2019 3 Familia
F
ISSN 1592-9930
amilia
3
Il diritto della famiglia e delle successioni in Europa
Rivista bimestrale
maggio - giugno 2019
D iretta da Salvatore Patti Tommaso Auletta, Mirzia Bianca, Francesco Macario, Lucilla Gatt (vicedirettore), Fabio Padovini, Massimo Paradiso, Enrico Quadri, Carlo Rimini, Giovanni Maria Uda
www.rivistafamilia.it
IN EVIDENZA Riforme ed evoluzione del diritto di famiglia: riflessioni su un percorso di mezzo secolo Tommaso Auletta
La tanto attesa decisione delle Sezioni Unite. Ordine pubblico versus superiore interesse del minore? Mirzia Bianca
Nuovi modelli familiari, matrimonio e unione civile: fine della partita? Giovanni De Cristofaro
Pacini
Indice Parte I Dottrina Tommaso Auletta, Riforme ed evoluzione del diritto di famiglia: riflessioni su un percorso di mezzo secolo........................................................................................................................................................ p. 233 Giovanni De Cristofaro, Nuovi modelli familiari, matrimonio e unione civile: fine della partita?........» 299 Francesca Cristiani, Vincoli familiari fra tradizione e nuove prospettive................................................» 323 Parte II Giurisprudenza Cass. civ., Sez. Un., 8 maggio 2019, n. 12193 (con nota di Mirzia Bianca, La tanto attesa decisione delle Sezioni Unite. Ordine pubblico versus superiore interesse del minore?) .......................................» 345 Cass. civ., sez. VI , 10 gennaio 2018, n. 402 (con nota di Giovanni Iorio, Il presupposto della comunione spirituale e materiale ai fini del riconoscimento dell’assegno di mantenimento nella separazione giudiziale) ...........................................................................................................................» 387
231
Tommaso Auletta
Riforme ed evoluzione del diritto di famiglia: riflessioni su un percorso di mezzo secolo* Sommario : 1. L’introduzione del divorzio quale tappa che dà inizio alla stagione delle riforme. – 2. Le riforme successive. – 3. I modelli familiari. – 4. Modi di costituzione e relativi effetti. – 5. I rapporti personali di coppia. – 6. I rapporti patrimoniali: La comunione legale. – 7. segue: Le convenzioni matrimoniali. – 8. segue: Il lavoro prestato a favore di altri familiari. – 9. segue: Gli effetti patrimoniali della crisi. – 10. Crisi di coppia ed effetti rispetto ai figli: l’affidamento. – 11. segue: mantenimento ed esercizio della responsabilità genitoriale. – 12. segue: La casa familiare. –13. La filiazione: criteri costitutivi del rapporto. – 14. Lo stato giuridico dei figli. – 15. Diritti e doveri nel rapporto genitoriale. – 16. Dalla patria potestà alla responsabilità genitoriale. – 17. Uno sguardo al futuro.
In this work the author provides an overview of family law evolution in the last fifthy years, that deeply modifies is original framework fixed by 1942 Italian Civil Code, thanks to the contribution of statutory reforms and new interpretations, especially from the Courts. The first step of this evolution was the introduction of divorce (1970), but there were other important steps like the General Family Law Reform Act (1975), the Act on unified status of sons (2012) and the Act on Civil Partnerships and Cohabitation Rules (2016). That important changes involved not only the most important principles of family law, but the model of family itself. In fact, now, there is not a sole model of family (based on marriage), but there are different models of that. Moreover, the author does some reference to other reforms, not so much important, that there are discussed in today’s public debate or that, in their opinion, should be good solutions to improve family law framework.
*
Il contributo riproduce sostanzialmente il contenuto della relazione finale di sintesi al Convegno tenutosi a Catania dal 27 al 29 settembre 2018 sul tema, “Il sistema del diritto di famiglia dopo la stagione delle riforme: rapporti di coppia e ruolo genitoriale”, con l’omissione di alcune espressioni di circostanza. Per non ampliarne eccessivamente il contenuto si è preferito limitare al massimo il corredo delle note, per lo più riferite, riguardo alla dottrina, alle relazioni ed agli interventi succedutisi durante i lavori (in seguito citati Convegno CT) mentre più ampi sono i riferimenti giurisprudenziali.
233
Tommaso Auletta
1. L’introduzione del divorzio quale tappa che dà inizio alla stagione delle riforme.
L’impianto complessivo del diritto di famiglia oggi vigente costituisce approdo (ma in continua evoluzione) derivante dal susseguirsi di numerose riforme intervenute negli ultimi cinquant’anni che ha riguardato tutti gli istituti fondamentali, modificandone radicalmente il quadro elaborato dal legislatore del 1942. Prezioso a tal fine è stato anche il contributo fornito dalla giurisprudenza e dalla dottrina1 nel sollecitare ed aprire la strada a tali mutamenti. Si può affermare dunque tranquillamente che il diritto di famiglia è il settore del diritto privato che in questi anni ha subito i più rilevanti cambiamenti: nulla è rimasto immutato infatti rispetto al quadro complessivo che avevo appreso negli anni universitari. Ciò non è un caso, ma la naturale conseguenza dei profondi quanto rapidi mutamenti sociali intervenuti, nei costumi e nei valori, riguardanti le relazioni di coppia ed il rapporto fra genitori e figli. Mutamenti, è stato sottolineato2, così radicali che rendono difficilmente comprensibili e condivisibili argomentazioni, proposte anche da insigni giuristi, per giustificare istituti del passato oggi considerati del tutto superati. Peraltro non di rado le norme non si sono limitate a riconoscere rilevanza giuridica ad istanze maturate socialmente, ad un costume ormai diffuso, ma hanno contribuito alla promozione di importanti valori: si pensi ad esempio alla valorizzazione del ruolo della donna nella famiglia, al riconoscimento dell’uguaglianza fra gli sposi; alla tutela del lavoro domestico, anche mediante il favore riservato alla comunione legale, alla parità di trattamento tra tutti i figli a prescindere dalla nascita o meno nel matrimonio, all’esigenza di assicurare la crescita del minore all’interno della propria famiglia genetica o comunque di una famiglia, alla centralità dell’interesse del minore, al diritto del medesimo di essere ascoltato con riferimento alle questioni che coinvolgono i suoi interessi. L’importanza che la famiglia riveste nell’ambito della società ed il timore che l’introduzione di rilevanti mutamenti potesse incidere sulla sua stabilità costituisce la principale ragione per la quale quasi tutte le riforme più significative sono state approvate in tempi non brevi, dopo ampio dibattito caratterizzato anche da forti resistenze al cambiamento e non di rado pervenendo a soluzioni di compromesso. È quanto accade, ad esempio, nel 1970 con l’approvazione della legge che introduce il divorzio, la quale segna l’inizio della stagione delle riforme (senza sottovalutare peraltro l’importanza della legge del 1967 sull’adozione speciale la quale tendeva a dare risposta ai bisogni di minori in stato di abbandono - ma solo quelli in tenera età - di crescere in una famiglia). La legge 898/1970 riveste rilevanza fondamentale perché introduce un’im-
1
2
Ivi compresi alcuni civilisti che hanno insegnato presso la Facoltà giuridica catanese il cui apporto è stato ampiamente posto in luce nella relazione di S. Patti, Il diritto di famiglia a Catania: una scuola al plurale, relazione Convegno CT, i cui atti sono in corso di pubblicazione. S. Patti, cit.
234
Riforme ed evoluzione del diritto di famiglia: riflessioni su un percorso di mezzo secolo
portante modifica riguardante il matrimonio, istituto centrale del diritto di famiglia, dal quale ha origine la coppia, facendone venire meno il principio di indissolubilità, mutuato dal diritto canonico. Cambiamento peraltro avversato da una corrente di pensiero, non solo di orientamento cattolico, verosimilmente non senza ragione, perché segna la fine di un assetto volto, almeno in teoria, ad assicurare stabilità all’unione coniugale derivante dall’irreversibilità della scelta. Dalla corrente di pensiero ad esso favorevole si metteva in luce invece il contrasto di tale principio con il tendenziale sfavore dell’ordinamento per la creazione di vincoli indeterminati nel tempo e non risolubili unilateralmente, con conseguente inaccettabile sacrificio della libertà personale. Non infondato si è rivelato il timore della difficoltà che ne sarebbe derivata nella gestione dei rapporti fra i componenti delle famiglie che avrebbero potuto succedersi nel tempo (famiglie rinnovate o ricomposte). Si paventava anche il rischio che le coppie si unissero in matrimonio, di conseguenza, con maggior disinvoltura, essendo comunque concessa loro la possibilità di ripensamento della scelta compiuta, soprattutto ove fosse consentita anche l’iniziativa unilaterale. Timore rivelatosi solo in parte fondato, a fronte di una realtà nella quale per un verso è vero che si registrano con una certa frequenza matrimoni di durata molto breve ma, per altro verso, è sempre più diffusa nelle coppie la scelta della convivenza o addirittura la costruzione di un rapporto affettivo senza coabitazione e senza assumere alcun vincolo, soprattutto per le conseguenze economiche che da esso derivano e per i tempi e le procedure necessarie per ottenerne lo scioglimento. Problema quest’ultimo che il legislatore ha solo in parte risolto abbreviando i termini per ottenere la separazione e poi il divorzio ed introducendo procedure stragiudiziali, misure queste ultime che presuppongono però l’accordo fra i coniugi sull’an ed il quomodo di risoluzione della crisi. La mediazione alle contrapposte argomentazioni fu individuata nella scelta della soluzione favorevole alla dissolubilità del matrimonio ma solo quale rimedio al manifestarsi di una crisi di coppia ormai irreversibile, peraltro temperato dal configurarsi di una situazione, contemplata normativamente (per lo più la separazione protrattasi nel tempo), anche in mancanza di accordo fra i coniugi. Il legislatore si limitò tutto sommato ad introdurre un istituto condiviso socialmente, come testimoniato dalla mancata abrogazione in sede di una consultazione referendaria significativamente partecipata (1974). La disciplina sullo scioglimento del matrimonio viene individuata dagli interpreti come significativa tappa iniziale nel riconoscimento di spazi sempre più ampi riconosciuti all’autonomia privata dal moderno diritto di famiglia (in passato invece estremamente circoscritti in conformità al concetto dello status caratterizzante i relativi rapporti), la quale andrà viepiù ampliandosi negli anni successivi3. Viene definitivamente superata l’antica concezione che individuava nel diritto di famiglia una materia di confine fra il diritto pubblico
3
In special modo con riferimento alla regolamentazione degli aspetti connessi alla crisi: L. Balestra, La crisi della comunione di vita, Relazione al Convegno CT.
235
Tommaso Auletta
e il diritto privato e nella famiglia un soggetto portatore di diritti autonomi e sovraordinati rispetto a quelli dei suoi componenti. Rimangono però sostanzialmente immutati i limiti connaturati all’essenza di numerosi istituti (si pensi all’inderogabilità delle forme matrimoniali, dei doveri coniugali, alla costituzione ed agli effetti del rapporto di filiazione). Rispetto alla regolamentazione originaria, la possibilità di accedere al divorzio si amplia notevolmente non solo in seguito all’introduzione della normativa del 1982, la quale consente il mutamento di sesso e il conseguente scioglimento del matrimonio (d’ufficio o solo su domanda di parte?4) ma soprattutto di norme successive, relative alla separazione, le quali assumono rilevanza indiretta a detto fine quando ne condizionano la pronunzia del giudice. Ciò si verifica in particolare in seguito alla legge n. 151 del 1975, la quale consente al giudice di pronunciare la separazione sia su richiesta del coniuge non responsabile della crisi sia “quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza” (art. 151). Significativo è dunque il passaggio da una separazione e dal successivo divorzio quale forma di tutela per il coniuge incolpevole, e dunque rimesso alla sua discrezionalità, alla configurabilità di rimedio contro l’obbiettivo fallimento della vita di coppia anche in mancanza di un responsabile. Un importante ulteriore indebolimento del vincolo matrimoniale si registra in seguito al prevalere dell’interpretazione giurisprudenziale in virtù della quale l’intollerabilità della convivenza non richiede l’esistenza di riscontri oggettivi da sottoporre alla valutazione del giudice, ma può anche dipendere dal rifiuto di uno degli sposi di proseguire la vita di coppia per sopraggiunta disaffezione5; ne consegue che l’iniziativa può essere assunta anche dal coniuge responsabile del fallimento del matrimonio quantunque l’altro si opponga alla separazione6 onde, si è detto, “la formula è diventata nei fatti vuota perché è svanito ogni accertamento in merito”7. L’unica forma di protezione a vantaggio del coniuge incolpevole rimane allora quella di ottenere l’addebito a carico dell’altro del fallimento dell’unione, il quale assume rilevanza solo dal punto di vista dei diritti patrimoniali, sempre che ne esistano i presupposti (responsabile della crisi potrebbe anche essere il coniuge più abbiente, il quale sarebbe comunque tenuto a versare l’assegno o quando non sussiste tra i coniugi disparità economica). Tutela ulteriormente ridotta negli anni successivi dal prevalere di un indirizzo giurisprudenziale, ormai consolidato, secondo il quale il giudice, per pronunziare l’addebito, deve verificare se i comportamenti in violazione dei doveri coniu-
4
5
6 7
Problema successivamente risolto da C. Cost., 11 giugno 2014, n. 170, in Corr. giur, 2014, 1059, per contrarietà degli artt. 2 e 4 della l. 164/1982 all’art. 2 Cost. in quanto non veniva consentito alla coppia di mantenere in vita il rapporto mediante una unione giuridicamente rilevante anche di carattere diverso dal matrimonio. Ad es., Cass., 9 ottobre 2007, n. 21099, in Guida al dir., 2007, 44, 62; Cass., 14 febbraio 2007, n. 3356, in Famiglia e dir, 2008, 28. Mentre nel senso che devono ricorrere cause oggettive, v. Cass., 17 luglio 1997, n. 6566. Cass., 16 febbraio 2012, n. 2274, in Famiglia e dir., 2013, 50. L. Balestra, cit.
236
Riforme ed evoluzione del diritto di famiglia: riflessioni su un percorso di mezzo secolo
gali costituiscano la causa della crisi e non la conseguenza della medesima8. E incontra sempre maggiori consensi l’idea secondo la quale occorrerebbe procedere all’abolizione dell’addebito in una vista di una più ampia tutela della libertà di autodeterminazione. Si getta così nuova luce sul significato dell’impegno matrimoniale il quale dovrebbe, a buon diritto, essere rinnovato giorno per giorno e potrebbe essere revocato in qualsiasi momento senza alcuna perdita sul piano patrimoniale. Il complesso di tali ragioni, si è osservato, contribuisce a rendere la coppia sempre più “liquida” rispetto al passato9.
2. Le riforme successive. L’evoluzione più rilevante nella disciplina dei rapporti familiari consegue all’entrata in vigore della legge n. 151 del 1975 (la c.d. riforma del diritto di famiglia) sia per la “radicalità” dei mutamenti apportati alla disciplina del codice del 1942 sia per la sua ampiezza, in quanto coinvolge quasi tutti gli istituti. Essa si muove nella duplice direttrice riguardante, rispettivamente, i rapporti fra coniugi e quelli fra genitori e figli. La riforma viene approvata al termine d un ampio dibattito protrattosi per alcuni anni, al quale non rimase estranea la dottrina la quale vi partecipa attivamente e, probabilmente in maniera decisiva. Sono noti per la loro rilevanza i due convegni, del 196810 e del 197211 organizzati dalla Fondazione Cini, per iniziativa di Alberto Trabucchi, nel corso dei quali vengono esaminate, anche criticamente, le linee fondamentali tracciate dai Disegni di legge in discussione in Parlamento e confluite poi, non senza modifiche, nel c.c. Progetto Unificato. Delle novità introdotte e del dibattito che le ha precedute si parlerà in occasione dell’esame dei singoli istituti. Di poco successivo (1973), e di uguale rilevanza, è altro Convegno, tenutosi a Napoli12, incentrato sulle problematiche a cui dare risposta per rendere effettiva l’attuazione del principio di Eguaglianza morale e giuridica dei coniugi proclamato dalla costituzione ma rimasto ancora sostanzialmente inattuato. Mutamenti altrettanto radicali, ma di portata più circoscritta, in virtù della materia trattata, vengono introdotti da leggi successive. In particolare occorre menzionare la legge 183/1983 (e successive modifiche) in materia di adozione, che innova in maniera significativa sia la disciplina codicistica, sia le regole introdotte dalla legge del 1967. Novità principali sono costituite dall’abbandono della adozione consensuale quale accordo fra genitori di sangue ed adottanti per privilegiarne la funzione di rimedio a tutela del minore
8
Ad es., Cass., 8 febbraio 2019, n. 3877; Cass., 23 giugno 2017, n. 15811, in Famiglia e dir., 2019, 33; Cass., 20 aprile 2011, n. 9074. Prova quest’ultima che deve essere fornita dal coniuge che contesta l’addebito. 9 Trattasi di espressione di M. Sesta, formulata nel contesto delle conclusioni alla terza sessione del Convegno CT. 10 La riforma del diritto di famiglia, Padova, Cedam, 1967. 11 La riforma del diritto di famiglia, Padova, Cedam, 1973. 12 Eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, atti di un Convegno di studi, Napoli, Jovene, 1975.
237
Tommaso Auletta
(di qualsiasi età), temporaneamente o definitivamente in stato di abbandono; viene introdotta a tal fine una pluralità di modelli volta a dare una risposta diversificata, e per questo più efficace,alle diverse situazioni concrete che ne costituiscono la causa e il nuovo istituto dell’affidamento, materia non affrontata dalla legge 151/1975. Ugualmente importante è il cambiamento di rotta avvenuto nel 2006 mediante la legge n. 54 (sul c.d. affidamento condiviso), la quale incide sulle regole relative all’affidamento dei figli nel caso di crisi della coppia, al fine di assicurare un rapporto equilibrato con entrambi i genitori e con gli altri familiari, poi in seguito consolidato dalla legge 219/2012 e dal successivo decreto legislativo di attuazione 154/2013 (in seguito cit. come riforma 2012/13). Questi ultimi mirano soprattutto a completare l’opera già iniziata dalla riforma del 1975 riguardo all’unificazione dello stato filiale, al fine di assicurare piena parità di trattamento a tutti i figli fine peraltro non pienamente realizzato13 in parte a causa dei limiti della delega conferita al governo per raggiungere lo scopo indicato ed in parte frutto di una scelta, ricollegabile al fatto che la filiazione nel matrimonio trae comunque origine da un rapporto formale di coppia, mancante nella filiazione al di fuori del matrimonio, differenza che potrebbe non essere priva di rilevanza (ma su questi aspetti si tornerà in seguito). Su alcuni profili della materia riguardante la filiazione (ma non solo) aveva inciso, alcuni anni prima (2004) la legge n. 40 sulla procreazione medicalmente assistita e la surrogazione di maternità, al fine di risolvere alcuni problemi connessi alle pratiche che consentono il concepimento e la generazione della prole in mancanza di un rapporto sessuale, le quali erano ancora in fase di perfezionamento negli anni ’70 (problematiche che forse per questa ragione la riforma del 1975 non aveva affrontato); disciplina normativa che ha subito in seguito - come è noto – numerose revisioni in seguito a ripetuti interventi della corte costituzionale14 i quali non hanno riguardato, però, i criteri di attribuzione della genitorialità contenuti nella legge. Alla stagione delle riforme è infine da ricondurre la legge 76/2016 relativa alle regolamentazione delle unioni civili e delle convivenze che, a parere di molti, introduce espressamente nell’ordinamento una pluralità di forme familiari o comunque dello “stare insieme” (opzione forse già desumibile da normative precedenti).
3. I modelli familiari. Proprio prendendo le mosse da quest’ultimo aspetto, occorre sottolineare come la riforma del 1975 abbia confermato l’opzione codicistica – che per alcuni trova fondamento
13
Come messo ben in luce nelle relazioni di L. Lenti, La costituzione del rapporto filiale e l’interesse del minore, e di M. Mantovani Azioni di stato e interesse del minore, al Convegno CT. 14 Cfr. C. Cost., 8 maggio 2009, n. 151, in Famiglia e dir., 2009, 761; C. Cost., 10 giugno 2014, n. 162, in Corr. giur., 2014, 1062; C. Cost., 11 novembre 2015, n. 229 in Dir. fam e pers., 2016, 36.
238
Riforme ed evoluzione del diritto di famiglia: riflessioni su un percorso di mezzo secolo
a livello costituzionale nell’art. 29 – secondo la quale l’unica forma di famiglia tutelata dall’ordinamento è quella fondata sul matrimonio. A quell’epoca infatti aveva ancora scarso seguito l’idea che forme, pur limitate, di tutela potessero essere introdotte anche per i conviventi, individuandosi nel c.d. concubinato un grave scostamento della coppia dalle regole volte a costituire la famiglia, a prescindere dal fatto che la relazione fosse anche adulterina. È a tutti nota l’evoluzione che ha avuto questa problematica negli anni immediatamente successivi. A giudizio di alcuni interpreti i tempi dovevano considerarsi maturi per introdurre una disciplina normativa delle convivenze, sia pur differente dal matrimonio, per garantire una tutela essenziale del partner più debole, fondata sulla solidarietà che nasce pur sempre dall’attuazione di un rapporto di coppia simil-matrimoniale. In tal senso si è mossa, come è noto, sia pur con una certa cautela, la giurisprudenza (ad es., con riferimento ai diritti del convivente sulla casa familiare15 o al risarcimento in caso di morte16), la quale si è sforzata di individuare anche gli elementi costitutivi della fattispecie. Opzione avversata da altri, per il timore che il riconoscimento di tali unioni comportasse un indebolimento della famiglia legittima (si paventava, autorevolmente, il rischio di sancire in tal modo la morte della famiglia17) ma anche per il (presunto) contrasto con la libertà dei conviventi, i quali non intendevano evidentemente contrarre obblighi reciproci o comunque sottoporre il rapporto alle regole del diritto, avendo altrimenti la possibilità di celebrare matrimonio (osservazione che non valeva peraltro nei casi in cui fossero impossibilitati a farlo). E persino il legislatore ha riconosciuto progressivamente ai conviventi, limitatamente a specifici aspetti, tutele analoghe a quelle riservate alla coppia coniugata (es., accesso alla procreazione medicalmente assistita, alla nomina del convivente come amministratore di sostegno o tutore, alla facoltà di non testimoniare nel processo contro l’altro convivente). Dopo qualche contrasto era comunque prevalsa l’opinione che i conviventi avrebbero potuto regolare almeno contrattualmente il loro rapporto, ma limitatamente ad aspetti di ordine economico, ritenendo lecita e meritevole di tutela la causa posta a fondamento dell’accordo18. Il dibattito sulla opportunità di introdurre un modello normativo, produttivo di effetti giuridici più ampi (fondato su base più solide del riconoscimento giurisprudenziale) si è protratto per ben quarant’anni19, fino all’approvazione della legge 76/2016 che ha riconosciuto rilevanza giuridica alla convivenza (opzione comunque criticata da una corrente
15
In presenza di figli: C. Cost., 7 aprile 1988, n. 404, in Nuove leggi civ. comm., 1988, I, 515. A partire, riguardo alla giurisprudenza di legittimità, da Cass., 13 giugno 1977, n. 2449, in Foro it., 1978, I, 727; e poi Cass., 28 marzo 1994, n. 2988, in Giust. civ., 1994, I, 1849; Cass., 29 aprile 2005, n. 8976, in Dir. e Giustizia, 2005, 27, 18. 17 A. Trabucchi, Morte della famiglia o famiglie senza famiglia?, in Riv. dir. civ., 1988, I, 19 ss. 18 Cfr., ad esempio F. Gazzoni, Dal concubinato alla famiglia di fatto, Milano, Giuffrè, 1983, 156 ss. 19 Attesa in parte dovuta, a giudizio di U. Salanitro, Il sistema del diritto di famiglia dopo la stagione delle riforme, Relazione introduttiva al Convegno CT, alla limitata rilevanza sociale del fenomeno, poi progressivamente accresciutosi nel tempo con conseguente aumento della richiesta sociale di protezione. 16
239
Tommaso Auletta
di pensiero, non solo per l’approssimazione dei suoi contenuti ma sempre al fine di non intaccare la centralità del matrimonio), la quale ha comunque sostanzialmente privilegiato la soluzione “contrattualistica” del rapporto (ma condizionando la validità della stipula20 solo alla presenza di determinati requisiti personali, non richiesti in precedenza dalla giurisprudenza, e dunque limitando gli spazi di autonomia un tempo più ampi), mentre solo diritti circoscritti, e limitati nel tempo, sono stati riconosciuti normativamente (alimenti, diritti sulla casa familiare, o derivanti dalla partecipazione all’impresa familiare). Ha trovato conferma, almeno in parte, l’opzione che rimette al giudice l’accertamento degli elementi costitutivi della fattispecie (in quanto non è tale l’eventuale dichiarazione anagrafica21, alla quale può farsi riferimento ai fini della prova ed insufficiente per dare origine alla fattispecie) ed, in particolare, dei connotati caratterizzanti il legame affettivo di coppia. Tuttavia la tutela non può applicarsi se i componenti della coppia sono minorenni, legati da rapporti di parentela, affinità, adozione, nonché da matrimonio o da una unione civile, dunque privi di libertà di stato, requisito non richiesto in precedenza dalla giurisprudenza, onde si riconosceva tutela anche al convivente separato ma non divorziato, che oggi sembrerebbe dover essere negata22. L’intervento legislativo del 2016 mediante il quale vengono disciplinate oltre alle convivenze anche le unioni civili tra persone del medesimo sesso, riconoscendo loro una tutela simile a quella matrimoniale, ha alimentato il dibattito, già in corso da alcuni anni, circa la configurabilità o meno nell’ordinamento di una pluralità di modelli familiari. Per altro l’espressione “famiglia di fatto”, riferita al rapporto di convivenza, era ormai entrata da tempo nel linguaggio comune e negli arresti della giurisprudenza. Secondo una diffusa corrente di pensiero, la legge 76/2016 sancisce il principio della rilevanza giuridica di una pluralità di modelli familiari (vincolo matrimoniale, unioni civili, convivenze disciplinate dalla legge del 2016, ma forse anche convivenze caratterizzate da presupposti diversi; e già da tempo si parla anche di “famiglie rinnovate o ricomposte”, famiglie poligamiche o poliandriche), peraltro variamente tutelate. In realtà la rilevanza della famiglia non fondata sul matrimonio era già emersa sostanzialmente dalla riforma del 2012/13 la quale, modi-
20
Riguardo al vizio che colpisce l’accordo se stipulato in assenza dei requisiti previsti dalla legge v. M. Cavallaro, ‘Tipo’ e ratio della convenzione matrimoniale e nelle altre fattispecie di recente introduzione, relazione al Convegno CT. 21 Su tale posizione è attestata la dottrina largamente prevalente. V. in proposito U. Salanitro, cit., il quale rileva come la mancanza o il mutamento del dato anagrafico costituirebbe comodo escamotage per eludere l’applicazione della disciplina. 22 In senso contrario U. Salanitro, cit. il quale ritiene preferibile annoverare il riferimento alla mancanza di matrimonio o di unione civile ai rapporti interni alla coppia e non rispetto a terzi, onde assicurare maggior tutela al convivente anche se con persona ancora coniugata, così come sostenuto dalla giurisprudenza. Tale soluzione potrebbe finire però col penalizzare ingiustamente il coniuge quando si profila un conflitto di interessi con il convivente. Si pensi ad es., all’ipotesi in cui l’obbligato intenda sottrarsi (o ottenere la limitazione dell’assegno di mantenimento) a causa degli oneri da sostenere a cagione della convivenza o per la prestazione degli alimenti, nonché alla durata temporanea del diritto di abitazione dell’immobile costituente casa familiare dei conviventi e caduto in successione. Di converso mi sembra perfettamente coerente una scelta legislativa che esclude la contemporanea esistenza di più modelli familiari in capo alla medesima persona (come testimoniato dalla necessità di libertà di stato per il matrimonio e per le unioni civili).
240
Riforme ed evoluzione del diritto di famiglia: riflessioni su un percorso di mezzo secolo
ficando l’art. 74 c.c. ha riconosciuto l’esistenza del rapporto di parentela anche rispetto ai congiunti del genitore non coniugato. Nell’ambito delle figure familiari va ricondotto anche il rapporto che si costituisce fra genitore e figlio, tra parenti ed il minore, a prescindere dalla nascita nel matrimonio, tra un minore ed un estraneo che lo accoglie come figlio23. In senso critico verso il riconoscimento come famiglie delle unioni civili e delle convivenze – come è stato sottolineato anche nel corso di questi lavori24 – altra corrente di pensiero ritiene tuttora che esista un solo modello familiare, caratterizzato dall’unione fondata sul matrimonio, come attestato dall’art. 29 Cost., mentre gli altri due costituirebbero tutt’al più modelli parafamiliari non assimilabili al primo, che il legislatore non potrebbe tutelare allo stesso modo. Tale ricostruzione troverebbe conferma nel linguaggio usato dal legislatore del 2016 il quale parla, a proposito dell’unione civile, di “specifica formazione sociale”, rientrante nell’enunciato degli artt. 2 e 3 Cost., ma non dell’art. 29 che si riferisce alla famiglia al singolare25; infatti i suoi componenti sono identificati come “parti” dell’unione civile. A questo fine vengono richiamate le importanti differenze di disciplina tra matrimonio ed unioni civili (quantunque entrambi i vincoli nascano da un atto formale e siano sottoposti, per scelta della coppia, alle regole poste dall’ordinamento) riguardanti in particolare le modalità di costituzione del rapporto ed i suoi contenuti (diritti e doveri), la mancanza di una disciplina della filiazione e della responsabilità genitoriale, la (presunta) preclusione all’adozione, le modalità di scioglimento dell’unione. La soluzione volta a configurare il riconoscimento di una pluralità di modelli familiari mi sembra più convincente, pur non avendo la possibilità di argomentarne in questa sede le ragioni, rinviando ad altro contesto in cui mi sono occupato del problema26. Ed è quella che non pone problemi, sotto tale aspetto, alla conformità della scelta da parte del nostro ordinamento in applicazione dell’art. 12 CEDU (riconoscimento di uno strumento atto a dar vita ad una famiglia). Mi sembra sufficiente richiamare quanto è stato detto, con espressioni molto incisive, che ove c’è un vincolo di amore, un legame affettivo fondato sulla comunione di vita lì c’è una famiglia meritevole di tutela. Infatti la famiglia è una realtà sociale che prescinde dal riconoscimento giuridico e comunque il modello additato dall’art. 29 Cost. è quello principale, ma non per questo necessariamente esclusivo27. Infatti, seguendo il disegno argomentativo proposto da Ruggeri28, ma discostandomene nelle conclusione, può probabilmente considerarsi maturata una consuetudine culturale
23
C.M. Bianca, Nuove forme familiari, relazione al Convegno CT. F.D. Busnelli, Conclusioni alla prima sessione del Convegno CT; G. De Cristofaro, Nuovi modelli familiari, matrimonio e unione civile: fine della partita?, relazione al Convegno CT. Diversamente U. Salanitro, cit., ritiene che il rapporto familiare sia da escludere solo per le convivenze e non per le unioni civili. 25 A. Ruggeri, Famiglia e costituzione, relazione al Convegno CT. 26 Disciplina delle unioni non fondate sul matrimonio: evoluzione o morte della famiglia?, in Nuova giur. civ. comm., 2016, 367 ss. 27 C.M. Bianca, cit. 28 Nella relazione cit. 24
241
Tommaso Auletta
condivisa circa l’esistenza della suddetta pluralità di modelli che ha inciso sulla costituzione sostanziale. Si è osservato altresì che le recenti riforme hanno contribuito alla frantumazione delle forme familiari (dall’unità alla pluralità) in contrapposizione a quanto avvenuto per lo stato del figlio (dalla pluralità all’unità). Al figlio infatti è riservato il medesimo trattamento riguardo a diritti e doveri ed è sottoposto alle medesime regole di esercizio della responsabilità genitoriale a prescindere dal tipo di unione da cui ha avuto origine, onde il baricentro della famiglia, sembra essersi ormai spostato dal matrimonio alla filiazione29.
4. Modi di costituzione e relativi effetti. Nonostante tutto, il matrimonio costituisce ancora l’istituto centrale nella formazione della famiglia, (l’“istituzione”, punto di riferimento delle altre forme familiari sia al fine di assimilarle sia al fine di differenziarsene), riservato alle persone di sesso diverso, sul quale il legislatore ha di recente modellato le unioni civili. Esso origina dall’espressione del consenso alla costituzione della comunione spirituale e materiale di vita30 di cui l’ordinamento cura la piena consapevolezza, riservando limitato spazio alla tutela dell’affidamento dell’altra parte. Rispetto al codice del 1942 la riforma del 1975 ne rafforza la rilevanza: a questo fine eleva a diciotto anni l’età richiesta per la celebrazione, senza distinzione di sesso, contempla fra le cause di invalidità dell’atto (oltre la mancanza di capacità di intendere e di volere di una delle parti, già rilevante nel passato) l’errore su alcune qualità di un coniuge contemplate dalla legge e ritenute essenziali dall’altro, nonché la simulazione del consenso che ricorre qualora gli sposi abbiano escluso, di comune accordo, l’osservanza dei doveri coniugali nel loro complesso31. Irrilevante è invece – e dunque privo di effetti - l’accordo volto ad escludere l’osservanza solo di alcuni e la c.d. riserva mentale (con conseguente problematico riconoscimento delle sentenze ecclesiastiche di annullamento del matrimonio concordatario pronunziate per tale ragione). Discutibilmente è stata confermata la preclusione del matrimonio all’interdetto, piuttosto che rimettere, come sarebbe stato più opportuno, all’autorizzazione giudiziale l’accertamento in concreto della sua capacità32. Egli potrà dunque vivere la propria vita affettiva solo nel contesto di una convivenza, consentita anche dalla legge 76/2016, la quale non contempla l’interdizione fra le situazioni che impediscono il prodursi degli effetti legali. Tuttavia non ne è possibile
29
A. Gorassini, Lo stato unico di genitore, relazione al Convegno CT. Essa trova espressione nei c.d. doveri coniugali declinati dal legislatore, i quali assumono rilevanza nella loro unitarietà ma anche in altri doveri impliciti (rispetto dei diritti fondamentali dell’altro): v. M. Trimarchi, Doveri familiari e contribuzione, relazione al Convegno CT. 31 Tenuto conto che i doveri coniugali rilevano nella loro unità e non sono singolarmente scorporabili: v. in proposito M. Trimarchi, cit. 32 L’auspicabile ricorso all’amministrazione di sostegno consentirebbe invece di tenere conto della concreta capacità matrimoniale della persona “in difficoltà”. 30
242
Riforme ed evoluzione del diritto di famiglia: riflessioni su un percorso di mezzo secolo
l’ampliamento mediante stipulazione di un contratto di convivenza, precluso all’interdetto giudiziale ed anche al suo rappresentante legale33 (onde non è consentita, ad esempio, la scelta del regime di comunione ed anche una regolamentazione della contribuzione ai bisogni della famiglia o degli effetti di un eventuale scioglimento del rapporto, nonché la regolamentazione dei rapporti personali ove ciò si ritenga ammissibile34). Nella prospettiva della valorizzazione del consenso matrimoniale la riforma del 1975, pur confermando la soluzione adottata in precedenza dal codice secondo la quale la concreta attuazione del rapporto in presenza di alcune cause di invalidità non consente l’impugnazione dell’atto, trascorso un certo lasso di tempo, ha ampliato tale limite portandolo da un mese ad un anno dalla cessazione della causa, ove la convivenza non sia stata interrotta. Secondo la giurisprudenza più recente la convivenza protrattasi oltre i termini indicati preclude anche la delibazione della sentenza di nullità pronunziata dal giudice ecclesiastico35. Le regole enunciate relative al consenso non hanno subito mutamenti negli anni, anzi hanno trovato conferma nel contesto delle recente riforma del 2016, la quale le ripropone integralmente con riferimento alla regolamentazione delle unioni civili, anch’esse costitutive di uno status (di uniti civilmente). Come si è in precedenza sottolineato, la novità fondamentale è costituita dal fatto che un rapporto formale di coppia può nascere ormai non solo dal matrimonio ma anche dal negozio costitutivo di unione civile, quantunque le modalità di costituzione siano state costruite dal legislatore in maniera ben diversa da quelle previste per il matrimonio36. In particolare, la dimensione “familiare” del rapporto sarebbe limitata dalla mancanza del legame di affinità con i parenti dell’altro componente della coppia in quanto la legge del 2016 non fa rinvio all’art. 78 cc. fra le norme applicabili. Pur potendosi dubitare della possibilità di applicare la norma mediante analogia sembrerebbe più coerente alla funzione dell’istituto la soluzione contraria, espressa anche nel corso di questi lavori, secondo la quale il silenzio normativo potrebbe essere superato riconoscendo rilevanza al rapporto almeno quando viene preso in considerazione all’interno delle norme a cui la legge 76/2016 fa espresso rinvio (alimenti, impresa familiare) 37. Diversa è la situazione con riferimento alle convivenze, le quali non sorgono in seguito all’espressione di un consenso formale ma dalla spontanea e stabile attuazione di un modello di vita, non dissimile da quello matrimoniale e dell’unione civile. Si fa fatica a
33
Trattandosi di atto strettamente personale: v. in tal senso M. Cavallaro, cit. In senso positivo si pronunzia M. Cavallaro, cit. alla cui trattazione si rinvia anche riguardo alle problematiche relative alla natura dell’accordo stipulato dalle parti. 35 A partire da Cass. S.U., 17 luglio 2014, n. 16379, in Corr. giur., 2014, 1196, confermata in decisioni successive. 36 Come è stato ben messo in luce da A. Renda, La costituzione del matrimonio, delle unioni civili e della convivenza, relazione al Convegno CT. 37 Mr. Bianca, I diversi statuti della casa familiare nella complessità dei modelli familiari, relazione al Convegno CT. Di parere contrario U. Salanitro, cit., il quale, richiamando il dato testuale (mancato richiamo dell’art. 78), ritiene che gli uniti civilmente costituiscano sì una famiglia ma caratterizzata da una relazione individuale che non coinvolge direttamente i loro familiari; nel contempo, però, egli non riviene ostacoli verso un futuro mutamento di tale quadro relazionale. 34
243
Tommaso Auletta
comprendere, tuttavia, per quale ragione la disciplina della convivenza non debba applicarsi se la coppia (od uno dei suoi membri) è minore di età, tenuto conto della più limitata incidenza degli effetti rispetto a quelli del matrimonio (il quale non è sempre precluso a minori che abbiano compiuto sedici anni). Matrimonio ed unione civile rimangono istituti comunque distinti. Il legislatore nazionale non ha inteso cioè adottare una soluzione di apertura del matrimonio alle coppie del medesimo sesso, come avvenuto in altri ordinamenti, esercitando legittimamente una discrezionalità riconosciuta anche dalla Corte EDU (sentenze Schalk e Kopf, v. Austria; Oliari ed altri, v. Italia). I tempi non sono infatti ancora maturi ed è condivisibile la perplessità emersa anche nei discorsi di queste giornate, circa la possibilità di pervenire in futuro a tale obbiettivo senza passare attraverso una riforma dell’art. 29 Cost.38. Ma perplessità sono state manifestate anche riguardo ad una eventuale prossima modifica, per la mancanza di una consuetudine culturale già matura che potrebbe allora giustificare l’avvio della procedura richiesta dall’art. 138 Cost.39. In senso opposto dubbi sono stati manifestati in ordine alla “capacità di tenuta” di tale opzione alla luce dei principi posti dall’art. 14 della CEDU40. Sul piano dei contenuti, si è messo in luce che a fronte di una equiparazione fra matrimonio e unione civile riguardo agli aspetti economici, ricorrono differenze (o forse, per alcuni aspetti, solo apparentemente tali) nei rapporti personali: diritti e doveri della coppia, nome comune, regolamentazione della crisi, filiazione ed adozione, sui quali si intende ritornare quando verranno affrontate tali tematiche. Esse sarebbero giustificate proprio dall’intento normativo di mantenere distinti i due modelli, onde evitare l’ irragionevolezza di un’esclusione della coppia omosessuale solo dalla filiazione (e cioè dal ricorso alla PMA ed all’adozione), aspetto quest’ultimo particolarmente delicato sotto il profilo di un’eventuale violazione dell’art. 14 della CEDU41. La riforma del 1975 introduce una nuova prospettiva anche riguardo al rapporto fra matrimonio e generazione. L’impotenza di un coniuge infatti non costituisce più causa di invalidità del matrimonio ove non ignorata dall’altro. La legge 40/2004 introduce peraltro per la coppia sterile o infertile la possibilità di generare un figlio mediante ricorso ad una pratica di procreazione assistita anche di tipo eterologo (nella versione emersa dall’intervento della Corte costituzionale42) o, in un contesto diverso, mediante l’adozione, ma limitatamente alla coppia unita in matrimonio almeno riguardo all’adozione piena. La prima possibilità sembra verosimilmente preclusa dalla normativa nazionale alle coppie del medesimo sesso, in quan-
38
A. Ruggeri, cit. A. Ruggeri, cit. 40 G. De Cristofaro, cit. 41 G. De Cristofaro, cit. In senso contrario U. Salanitro, cit., ritiene che alcune differenze – ed in particolare quelle relative alla mancanza delle pubblicazioni, al nome familiare, alla inesistenza della separazione – siano da ricondurre alla ricerca di una regolamentazione maggiormente conforme alle regole europee, onde l’ambiguo dettato relativo all’adozione dovrebbe interpretarsi in senso favorevole all’ammissibilità di quella particolare nei confronti del figlio del partner. 42 10 giugno 2014, n. 162, cit. 39
244
Riforme ed evoluzione del diritto di famiglia: riflessioni su un percorso di mezzo secolo
to alla luce dell’art. 5 l. 40/2004 possono accedere alla procreazione medicalmente assistita solo coppie di sesso diverso43, mentre riguardo all’adozione, il comma 20 della legge del 2016 si esprime in modo volutamente equivoco (“resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle normative vigenti”) onde potrebbe considerarsi normativamente recepita l’apertura alle coppie omosessuali ma solo dell’adozione particolare, mediante una singolare (e a mio avviso non del tutto convincente) interpretazione dell’art. 44 lett. d). Ulteriori aperture si registrano in seno alla giurisprudenza la quale tende ormai sempre più spesso ad ammettere il riconoscimento in Italia dello stato di filiazione acquisito all’estero da coppie omosessuali mediante pratiche di fecondazione assistita, di surrogazione di maternità oltre che di adozione44 ove ciò risponda all’interesse del minore45. Apertura, è stato posto in luce46 riconducibile in generale ad una sostanziale perdita di sovranità degli Stati nazionali anche in ambito familiare, sulla base dei principi della CEDU ed in particolare di letture volte a configurare la violazione del diritto alla procreazione fondato sull’art. 8 e, con riferimento alla coppia omosessuale, dell’art. 14 che vieta qualsiasi discriminazione fondate sul sesso. Principi analoghi sono contenuti anche nella Carta di Nizza onde il mancato riconoscimento dello status genitoriale acquisito presso un Paese dell’Unione rischierebbe di configurarsi come violazione del diritto di circolazione, tutelato dall’art. 15 della Carta medesima.
5. I rapporti personali di coppia. Un profondo cambiamento si verifica, a partire dal 1975, anche nei rapporti personali tra i coniugi, sia riguardo ai doveri di coppia sia nel governo della famiglia, rispetto al modello codicistico caratterizzato dalla disparità di trattamento fra i coniugi, in quanto si ritiene che la famiglia necessiti di un capo e questo ruolo guida debba essere affidato al marito in ragione della maggiore abilità rispetto alla moglie; ne consegue anche una diversità di doveri tra i membri della coppia. Con riferimento a quest’ultimo aspetto, il marito è tenuto a proteggere la sposa, tenerla presso di sé e somministrarle quanto necessario a soddisfare i bisogni di vita, in proporzione alle sue risorse. La moglie ne segue la condizione civile, ne assume il cognome ed è obbligata a accompagnarlo dovunque egli creda opportuno fissare la residenza. A lui sono rimesse le decisioni riguardanti la famiglia, gli è consentito esercitare un controllo sulla moglie (in virtù della potestà maritale), con modalità non dissimili rispetto a quelle riguardanti i figli.
43
Da ultimo, C. cost., 19 giugno 2019 ha ritenuto peraltro non fondata la questione di costituzionalità del divieto posto alle coppie del medesimo sesso. 44 Cfr. ad es., Cass., 31 maggio 2018, n. 14007, in Foro it.,, 2018, I, 2717; Cass., 15 giugno 2017, n. 14878, in Famiglia e dir., 2018, 5; Cass., 30 settembre 2016, n. 19599, in Familia, 2017, 85; App. Torino, 4 dicembre 2014, in Nuova giur. civ. comm., 2015, I, 441, con nota di Franco; App. Bari, 13 febbraio 2009, in Famiglia e minori, 2009, 5, 50. 45 App. Milano, 25 luglio 2016, in Banca dati Pluris. 46 G. De Cristofaro, cit.
245
Tommaso Auletta
Tale modello viene sovvertito dall’art. 29 della costituzione secondo il quale il matrimonio è ordinato sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, ma consentendo ad un tempo alla legge di porre limiti, a garanzia dell’unità familiare. Ciononostante l’impianto del codice rimane sostanzialmente immutato per quasi trent’anni. Anche in dottrina, (in particolare nei menzionati Convegni del 1968 e del 1972 tenutisi a Venezia) si discute ancora sull’opportunità di mantenere il ruolo-guida del marito a garanzia dell’unità familiare. Peraltro un graduale cambiamento volto ad attuare il dettato della Carta viene promosso proprio in quegli anni da sporadiche pronunzie della corte costituzionale: con riferimento all’adulterio47 (equiparando a tal fine i comportamenti del marito a quelli della moglie quali cause di separazione) e condizionando il dovere del marito di mantenere la moglie al caso in cui ella non sia in grado di provvedervi autonomamente48, ma anche da alcune pronunzie dei giudici di merito, volte a circoscrivere i confini della potestà maritale da altri invocata per giustificare il potere di controllo sulla vita privata della moglie e di condizionarne l’esercizio dell’attività di lavorativa. Al termine di un vivace dibattito, vengono approvate, nel contesto della legge n. 151, alcune regole che modificano profondamente il precedente assetto, eliminando in gran parte le disparità precedentemente enunciate. Ad eccezione della regola riguardante il cognome della famiglia, che rimane quello dell’uomo49 per salvaguardarne l’unità (regola tutt’ora in vigore ma che sarebbe auspicabile mutare in futuro rimettendo ai coniugi la scelta, come previsto per gli uniti civilmente, o riconoscendo ad entrambi il diritto di usare il cognome dell’altro, in conformità al principio di uguaglianza che è il solo idoneo a garantire realmente l’unità della famiglia50) e la prevalenza della decisione paterna, nel caso di disaccordo dei genitori, per le decisioni urgenti ed indifferibili in presenza di un incombente pericolo per il figlio (regola poi abolita dalla riforma del 2012/13 sulla filiazione). Sul piano della valutazione sociale l’emancipazione della donna trovava ancora forti resistenze, onde l’intervento del legislatore ha indubbiamente contribuito a favorirla. I coniugi vengono equiparati dal punto di vista dei doveri reciproci. Tra questi viene aggiunto il dovere di collaborazione e quello di contribuire ai bisogni della famiglia, in una visione secondo la quale tutti i suoi membri (figli compresi) sono impegnati a soddisfarne le esigenze. È questo il modello più appropriato per una famiglia unita piuttosto che la relazione mantenente-mantenuto; in tale contesto viene opportunamente valorizzato l’apporto che il coniuge, per lo più la donna, fornisce mediante il lavoro domestico.
47
C. Cost., 20 dicembre 1968, n. 176. C. Cost., 23 maggio 1966, n. 46; C. Cost., 24 giugno 1970, n. 133. 49 Che la moglie aggiunge al proprio, posponendolo: art. 143 bis cc. Tale uso costituisce un diritto ma non un dovere alla luce del principio di effettività, il quale trova indiretta conferma nella disciplina anagrafica ed in numerose regole di settore nelle quali la donna viene identificata con il proprio cognome di origine. 50 Non è convinto della validità di tale soluzione S. Troiano, Unità della famiglia e disciplina del cognome, relazione al Convegno CT, il quale ne sottolinea altresì la diversità rispetto a quella relativa alle unioni civili. 48
246
Riforme ed evoluzione del diritto di famiglia: riflessioni su un percorso di mezzo secolo
Viene confermato il principio secondo il quale i doveri coniugali sono inderogabili in quanto espressione della comunione di vita (affettiva) che i coniugi (ma ormai anche gli uniti civilmente) si impegnano a realizzare – principio che rimane immutato anche dopo la stagione delle riforme51 - e pur tuttavia se ne rimette la concretizzazione all’accordo di coppia, nel contesto più generale della determinazione dell’indirizzo di vita (art. 144 cc.)52. L’elenco di diritti e doveri tracciato dalla riforma del 1975 rimane immutato nel tempo ma non così la ricostruzione del loro contenuto da parte degli interpreti. Basti pensare all’evoluzione che si è verificata riguardo al significato della fedeltà53: dall’esclusività dei rapporti sessuali di coppia, il principio si estende all’esclusività della generazione (onde viene meno al suo dovere anche il coniuge che si sottopone a pratiche di procreazione assistita eterologa senza il consenso dell’altro), nonché all’esclusività del rapporto affettivo (onde la violazione può sussistere anche in mancanza di rapporti sessuali, se si riscontrano comportamenti volti ad attribuire ad un’altra persona quel ruolo che sul piano affettivo spetterebbe esclusivamente al coniuge54). L’accordo costituisce lo strumento privilegiato per la risoluzione delle questioni familiari più rilevanti (ad es., la scelta della residenza familiare, del regime patrimoniale, le decisioni inerenti all’esercizio della c.d. potestà genitoriale, l’indirizzo da dare alla crisi familiare); l’unità della famiglia si garantisce infatti nel contesto di una logica paritaria mediante la dialettica di coppia e non legittimando decisioni unilaterali autoritarie, come nel passato. Ciascuno dei coniugi è legittimato a dare concretamente attuazione all’indirizzo di vita concordato assumendo le conseguenti iniziative. La regola rimane però depotenziata dalla mancanza di previsione di un potere reciproco di vincolare economicamente l’altro coniuge per le obbligazioni contratte a tal fine, previsto invece in ordinamenti a noi vicini. Vulnus di non poco conto perché il coniuge privo di un patrimonio apprezzabile si trova nell’impossibilità pratica di agire, in quanto difficilmente troverà persone disposte a fargli credito. La giurisprudenza si mostra infatti molto cauta nel coinvolgimento patrimoniale dell’altro coniuge55, mostrando qualche apertura nei casi in cui l’obbligazione è contratta nell’interesse dei figli (soprattutto con riferimento ad alcune spese mediche56 e scolastiche). Pur tuttavia un’interpretazione estensiva del dovere di collaborazione consentirebbe verosimilmente di pervenire ad una conclusione siffatta in tutte le ipotesi in cui l’obbligazione è riconducibile all’indirizzo concordato.
51
E. Bivona, L’obbligo di fedeltà dopo la stagione delle riforme, intervento al Convegno CT ed anche in Familia, 2019, 125 ss. Secondo M. Trimarchi, cit., il problema della derogabilità o meno dei doveri coniugali è stemperato dal fatto che ne sono rimesse alla coppia le modalità attuative. L’autore aderisce pertanto alla tesi prevalente secondo la quale l’inderogabilità è limitata ad un “nucleo essenziale” dal quale non può prescindersi per configurare l’esistenza di una comunione materiale e spirituale di vita. 53 Come ampiamente sviluppato nell’intervento di E. Bivona, cit. 54 In tal senso si è ripetutamente pronunziata la giurisprudenza. Si vedano ad es., Cass., 16 aprile 2018, n. 9384; Cass., 13 luglio 1998, n. 6834; Cass., 14 aprile 1994, n. 3511. 55 Prevale infatti largamente la soluzione contraria: per tutte v. Cass., 15 febbraio 2007, n. 3471, in Famiglia e dir., 2007, 557. 56 V., ad es., Cass., 8 agosto 2002, n. 12021; Cass., 29 novembre 1995, n. 12390. 52
247
Tommaso Auletta
Ulteriori spazi vengono riconosciuti nel tempo all’autonomia della coppia nella gestione del rapporto, ivi compresa la regolamentazione della crisi (favorendo l’adozione di soluzioni concordate), la quale trova il limite più rilevante nella tutela dell’interesse dei figli (è necessario, ad es., che le scelte dei genitori tengano conto delle sue inclinazioni ed aspirazioni), sempre meno nell’interesse pubblico e nel relativo controllo (si pensi ad es., all’introduzione della degiurisdizionalizzazione della crisi). Nel quadro dei doveri di coppia una questione particolarmente discussa dalla dottrina ed affrontata a più voci anche in questi giorni è quella relativa alle conseguenze del mancato richiamo, da parte della normativa sulle unioni civili, del dovere di fedeltà e di quello di collaborazione. Ciò non sarebbe frutto di casualità ma rientrerebbe nel preciso disegno legislativo di diversificare l’unione civile dal matrimonio, onde dovrebbe privilegiarsi la soluzione negativa, non superabile in via interpretativa, non essendo possibile introdurre per questa via una limitazione della libertà personale: quella inerente alla sfera sessuale; l’esercizio della sessualità rimarrebbe dunque del tutto estraneo al rapporto fra persone del medesimo sesso (come sarebbe testimoniato dalla mancata incidenza sulla validità dell’unione dell’errore su una anomalia o deviazione sessuale di una delle parti e il mancato richiamo all’inconsumazione quale causa di scioglimento dell’unione57). Maggior cautela nel pervenire a tale conclusione è stata però suggerita58, rilevando che nell’interpretare la legge occorre anche, in linea generale, tenere conto della sommarietà e della fretta con cui si è giunti alla sua approvazione, in prossimità della fine della legislatura, nonché del faticoso compromesso raggiunto all’ultimo momento dalle forze politiche della maggioranza per consentirne l’approvazione, circostanze che hanno profondamente inciso sulla coerenza del disegno normativo complessivo senza consentirne un’appropriata verifica. A volere prestare fede sino in fondo al dettato letterale della legge si dovrebbe, ad esempio, ritenere superato in senso positivo l’interrogativo se l’unione civile costituisca o meno una famiglia, in quanto il comma 12 stabilisce che le parti concordano l’indirizzo della vita familiare59, senza trincerarsi invece – come da alcuni argomentato – dietro una svista del legislatore. Pur tuttavia – anche ipotizzando il mancato richiamo con un preciso intendimento del legislatore storico di diversificare il matrimonio rispetto alle unioni civili – bisognerebbe chiedersi innanzitutto se esso trovi rispondenza nel disegno complessivo della legge di assicurare anche alla coppia unita civilmente un istituto atto a porre in essere una comunione di vita esclusiva fondata sull’affetto e la solidarietà60. Inoltre, occorre tenere presente che già da
57
M. Paradiso, I rapporti personali nelle relazioni di coppia dopo la stagione delle riforme, relazione al Convegno CT ed anche in Familia, 2018, 613 ss. 58 G. Ferrando, Il sistema del diritto di famiglia dopo la stagione delle riforme: rapporti di coppia e ruolo genitoriale, relazione di sintesi alla seconda sessione del Convegno CT. 59 Fermo restando che anche la famiglia è una formazione sociale onde il riferimento all’unione civile come specifica formazione speciale non ne esclude il carattere familiare. 60 Condivisibile è l’opinione di M. Trimarchi, cit. secondo il quale anche nell’unione civile si costituisce una comunione di vita, onde non
248
Riforme ed evoluzione del diritto di famiglia: riflessioni su un percorso di mezzo secolo
tempo è stata ammessa in dottrina, con riferimento al matrimonio, la possibilità di individuare doveri impliciti di coppia, pur al di fuori dell’elenco contenuto nella legge ove funzionali al perseguimento degli obiettivi propri del vincolo61 ed in tal senso occorre verosimilmente orientarsi anche riguardo all’unione civile62. Il mancato richiamo ad alcuni doveri previsti dall’art. 144 non assume dunque rilevanza decisiva in quanto risultano strettamente funzionali alla creazione di un rapporto volto a cementare la comunione affettiva di coppia63. Ove si intendesse privilegiare le argomentazioni volte ad escludere il dovere di fedeltà tra gli uniti civilmente occorrerebbe chiedersi allora se il contenuto del rapporto così costruito assicuri il raggiungimento della finalità indicata dalla Corte costituzionale64 e dalla Corte Edu65 di mettere a disposizione delle coppie del medesimo sesso un istituto, pur diverso dal matrimonio, che garantisca loro di vivere una “condizione di coppia”. In quest’ultima decisione si menziona come indispensabile a tal fine, è vero, il riconoscimento dei reciproci diritti all’assistenza morale e materiale, al mantenimento ed i diritti successori senza menzionare il dovere di fedeltà; ma è pur sempre necessario garantire una relazione seria e stabile. Pertanto dubito fortemente che un rapporto di coppia possa essere tale se non è esclusivo e dunque se non fondato sulla fedeltà, che peraltro, occorre ricordare, riguarda innanzitutto la sfera affettiva e non solamente il profilo sessuale (la cui rilevanza, sia ben chiaro, non può escludersi comunque solo per le ragioni generalmente addotte ed innanzi ricordate) e dunque risulta ormai slegato dalla garanzia di esclusività della generazione naturale. La limitazione della libertà della persona che introduce il rispetto dell’esclusività della relazione, invocata66 contro l’interpretazione proposta mi sembra evidente, ma non decisiva, perché trova adeguata giustificazione nella libera decisione di costituire uno stabile legame di coppia, diritto che verrebbe invece negato alla coppia del medesimo sesso, con evidente discriminazione nei suoi confronti. È vero pertanto che la Corte costituzionale riconduce l’unione omosessuale nell’ambito delle formazioni sociali la cui tutela non può essere negata, ma non di una formazione sociale qualsiasi bensì volta ad assicurare una condizione di coppia, a carattere familiare (aggiunge la Corte Edu)67, che in quanto tale non può prescindere dall’esclusività del rapporto e dunque dal rispetto della fedeltà. Appropriato mi sembra il suggerimento di privilegiare una lettura delle norme, costituzionalmente orientata, volta a realizzare la miglior tutela delle persone secondo lo spirito della costituzione, senza alimentare differenze prive di ragionevolezza68. Non ritengo dun-
avrebbe senso porsi il problema dell’esclusione di alcuni doveri in quanto essi, nel loro insieme, sono funzionali al raggiungimento di tale obiettivo. 61 V. quanto detto a nota 31. 62 Analogamente M. Trimarchi, cit. 63 M. Trimarchi, cit. 64 15 aprile 2010, n. 138, in Famiglia e dir., 2010, 653. 65 21 luglio 2015, n. 18766/11, Oliari e altri v. Italia, in Famiglia e dir., 2015, 1069. 66 M. Paradiso, cit. 67 Come sottolineato da G. De Cristofaro, cit. 68 G. Ferrando, cit.
249
Tommaso Auletta
que la strada giusta quella di accogliere un’interpretazione volta ad accrescere la fragilità dell’unione, quasi auspicandone il fallimento. In questa sede non è possibile argomentare ulteriormente, rinviando ad altra trattazione svolta69, ma, nell’optare per la lettura proposta, sono in un certo senso confermato nella bontà della soluzione dal rilievo avanzato in queste giornate dalla tesi contraria secondo la quale l’unione civile consisterebbe in un mero patto contrattuale70 volto ad assicurare assistenza morale e materiale (se non addirittura esclusivamente patrimoniale) che dovrebbe essere consentito (e in ciò consisterebbe l’incoerenza normativa) anche fra parenti71. In realtà l’unione civile è ben altro; occorre infatti ribadire che essa risponde all’esigenza di dare veste giuridica all’unione affettiva tra persone del medesimo sesso, consentendo loro di instaurare un rapporto non dissimile da quello matrimoniale, volto a realizzare una comunione di vita fondata sugli affetti e la solidarietà onde deve distinguersi, nella funzione e nei contenuti da un rapporto meramente solidaristico – certamente non immeritevole di tutela – che può legare due fratelli, altri parenti o anche cari amici. Riguardo alla sussistenza del dovere di collaborazione in seno alla coppia unita civilmente, ribadito quanto precedentemente affermato sulle conseguenze del silenzio legislativo, mi limito a rilevarne la intima funzionalizzazione al governo della medesima, fondato sull’accordo, a prescindere dalla configurazione di una famiglia o di una unione parafamiliare e dall’esistenza dei figli72. Riguardo alle convivenze (etero od omosessuali) se per un verso il legislatore non impone doveri, per altro verso finisce col richiamarne i contenuti essenziali quali elementi costitutivi della fattispecie dovendo trattarsi di persone “unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale” (comma 36 l. 76/2016) onde la loro inosservanza, nel nucleo essenziale, non comporta sanzioni ma la mancanza della stessa fattispecie e dei relativi effetti. La pluralità delle forme familiari finisce dunque con l’essere accomunata dall’obiettivo unitario di realizzare una comunione di vita di coppia73.
6. I rapporti patrimoniali: La comunione legale. Non meno significativa è l’evoluzione che si registra nei rapporti patrimoniali della coppia anch’essa quasi integralmente riconducibile alla riforma del 1975: mediante l’in-
69
In Le unioni civili e le convivenze (a cura di C.M. Bianca), Torino, Giappichelli, 2016, 140 ss. G. De Cristofaro, cit. 71 M. Paradiso, cit. 72 in senso contrario alla sua esistenza, M. Paradiso, cit.; E. Bivona, cit. 73 V. al riguardo le argomentazioni esposte nella Relazione di M. Trimarchi, cit. il quale così conclude: “sembra allora possibile affermare che in ogni rapporto di coppia, con la previsione da parte dell’ordinamento in modo espresso o implicito dei doveri familiari, indicandoli testualmente o prendendo in considerazione il fatto che li testimonia, ricorre un minimo inderogabile e qualificante di valori giuridici idonei a fondare e definire un aggregato di tipo familiare”. 70
250
Riforme ed evoluzione del diritto di famiglia: riflessioni su un percorso di mezzo secolo
troduzione della comunione quale regime legale della famiglia e con il venir meno della presunzione di gratuità del lavoro prestato da un congiunto nel contesto dell’attività produttiva del capo-famiglia. Obiettivo che accomuna tali scelte è quello di una più equilibrata distribuzione delle risorse familiari. L’opzione a favore della comunione legale ha rappresentato una delle innovazioni più dirompenti ma anche più discusse introdotte dal legislatore. In senso contrario, in sede di lavori preparatori, si segnalava l’inopportunità di parificare i coniugi sotto il profilo economico solo perché uno di essi si dedica alla famiglia in maniera esclusiva o prevalente; si rilevava altresì come nel passato la comunione, pur potendo essere adottata convenzionalmente, non aveva avuto un significativo riscontro nella pratica, non essendo radicata nella nostra cultura sociale e giuridica e dunque l’adozione come regime legale costituiva una sorta di salto nel buio. La soluzione favorevole muoveva invece dall’opposta valutazione circa la congruità della tutela così riservata al coniuge – per lo più la donna - maggiormente dedito alla famiglia, in quanto questi sacrifica, in tutto o in parte, le proprie aspettative di lavoro e il reddito che potrebbe ricavarne, a tutto vantaggio dell’altro che, in virtù dell’attività extra-familiare, ha la possibilità di tesaurizzare le risorse prodotte oltre che di deciderne l’utilizzo. Si richiamava altresì l’esigenza di realizzare in tal modo l’uguaglianza sostanziale tra l’uomo e la donna, funzione questa che non risulta peraltro compatibile con la derogabilità del regime. Un suo peso nel mutamento ha avuto anche la scelta, già compiuta a quell’epoca da ordinamenti a noi vicini, di privilegiare il regime comunitario, ma in un quadro in parte diverso da quello ricorrente nel nostro ordinamento. Da non sopravvalutare si riteneva poi lo scarso radicamento nella realtà del regime comunitario riconducibile, in linea generale, al disinteresse e alla ritrosia delle coppie per la stipula di convenzioni matrimoniali. È opportuno puntualizzare innanzitutto che ratio dell’istituto in esame sembra piuttosto il perfezionamento, anche dal punto di vista patrimoniale, della comunione di vita di coppia posta a fondamento del matrimonio (ma oggi anche dell’unione civile), l’elevazione al più alto grado della solidarietà e non la finalità “compensativa” innanzi menzionata, perché la paritaria distribuzione della ricchezza prodotta potrebbe non rispondere ad un criterio di “proporzionalità” al sacrificio patito in seguito alla dedizione alla famiglia e produce i relativi effetti anche in sua assenza. Pur tuttavia la funzione latamente “compensativa” del regime ricorre in concreto nella maggior parte dei casi; essa è forse trascurata dalle coppie che, sempre in maggior numero, (come è stato messo in luce in questi giorni74), preferiscono adottare la separazione dei beni. Il diffondersi di tale scelta appare allora una delle ragioni per le quali si pone il problema, nel caso di crisi dell’unione, di individuare un criterio atto a compensare adeguatamente il coniuge che ha sopportato maggiori sacrifici a vantaggio della famiglia o che ha contributo
74
G. Oberto, Attualità del regime legale, relazione al Convegno CT ed anche in Famiglia e dir., 2019, 85 ss.
251
Tommaso Auletta
in misura più rilevante all’incremento del patrimonio dell’altro o di quello comune. Ecco che allora il problema, inizialmente sottovalutato, rischia di esplodere in tutta la sua complessità nel momento della crisi. E le soluzioni adottate per superarlo danno luogo a non poche perplessità attuative (come si cercherà di precisare successivamente). Il problema della disaffezione nei riguardi della comunione deve dunque essere attentamente preso in considerazione per promuovere efficaci misure volte a favorirne il superamento. In questa prospettiva efficacemente sono state poste in luce75 le ragioni che ne provocano l’abbandono sempre più ricorrente, formulando proposte la cui attuazione potrebbe consentire, almeno in parte, di ovviare al problema. Infatti dubito che il coniuge più debole abbia sempre ben chiare le conseguenze che possono derivare dalla scelta separatista, salvo poi a rendersene conto all’insorgere della crisi. Peraltro la comunione non sembra essere considerato dal legislatore istituto obsoleto e poco funzionale, se riproposto di recente quale regime legale anche per le unioni civili. Riassumendo quanto è stato detto, criticità principali che si possono riscontrare nel regime legale sono: a) rigidità della disciplina relativa alla gestione dei beni ed allo scioglimento della comunione stessa, la quale crea problemi particolarmente gravi al momento della crisi rendendo più difficile il percorso della separazione consensuale; b) eccessiva genericità della formula normativa volta a determinare i beni compresi nella comunione, fonte di incertezza, che finisce dunque con l’affidare alla discrezionalità dell’interprete numerosi aspetti non chiari; c) incertezze che si accrescono viepiù con riferimento alla comunione di residuo; d) incerta differenziazione della disciplina applicabile, rispettivamente, alle diverse figure dell’azienda coniugale, impresa coniugale, impresa familiare (societaria); e) ambiguità delle regole da seguire e degli effetti derivanti dal pignoramento da parte dei creditori personali della quota di comunione spettante al coniuge esecutato; f) scarsa funzionalità del regime pubblicitario; g) eccessiva limitazione degli spazi riconosciuti all’autonomia privata. Ma probabilmente l’elenco potrebbe risultare ancor più lungo. In estrema sintesi, due, a mio avviso, sono le strade che potrebbero seguirsi: la prima volta a riformulare alcune norme in maniera più chiara e completa, nonché al ripensamento di alcune soluzioni anche alla luce dell’esperienza; la seconda è quella di privilegiare, sulla scorta del modello tedesco, una comunione che non dia origine ad una contitolarità dei beni ma ad una comunione differita al momento dello scioglimento, limitata ad una mera operazione contabile; la scelta di un regime comunitario “più stringente” potrebbe essere rimesso, ad una scelta dei coniugi (mediante convenzione). Tutt’al più la contitolarità potrebbe limitarsi alla casa familiare ed ai relativi arredi, fermo restando che l’interesse alla stabilità del godimento potrebbe anche realizzarsi limitandone la disponibilità, mediante decisione unilaterale, da parte del titolare esclusivo.
75
G. Oberto, cit.
252
Riforme ed evoluzione del diritto di famiglia: riflessioni su un percorso di mezzo secolo
Il modello auspicato consentirebbe una notevole semplificazione dei rapporti, con superamento della maggior parte dei problemi innanzi rilevati e consentirebbe ad un tempo di “pareggiare” la situazione patrimoniale dei coniugi, realizzando la finalità “compensativa”, a vantaggio di colui che ha sopportato maggiori sacrifici a vantaggio dell’altro e della famiglia. Andrebbero anche ripensati i diritti successori del coniuge e degli uniti civilmente, tenendo conto del fatto che durante il matrimonio sia stato adottato o meno un regime comunitario (per evitarne una eccessiva dilatazione a discapito dei figli)76. Il mutato quadro delle figure familiari scaturenti dalla riforma del 2016 assume rilevanza anche con riferimento al tema in esame. Come accennato infatti, la comunione è regime legale anche per le parti dell’unione civile77. Peraltro qualche problema ulteriore si pone riguardo all’epoca dello scioglimento del regime il quale non può essere anticipato al momento in cui si dà inizio al procedimento di divorzio78. Ben diversa è la situazione dei conviventi per i quali non sussiste un regime patrimoniale. Pur tuttavia, sempre in base alla legge 76/2016, la comunione, normativamente disciplinata, può essere applicata anche a loro, ove stabilito nel contratto di convivenza (una sorta – se mi si passa l’espressione – di comunione convenzional-legale). Si è inteso superare in questo modo il problema, emerso in passato, circa la possibilità dei conviventi di adottare, mediante accordo, il regime legale, interrogativo a cui si dava per lo più risposta negativa ritenendosi possibile tutt’al più l’adozione di un regime che in qualche modo ricalcasse quello legale ma ad esso non sovrapponibile. Peraltro la soluzione dipendeva, almeno in parte, dal ricorso a strumenti e clausole negoziali nei limiti della loro ammissibilità (acquisto in comune di ciascun bene unitamente ad un patto di non alienazione, contratto di mandato, clausola di indivisibilità, ecc.). Oggi il legislatore ha fornito alla parti, mediante il contratto di convivenza, la possibilità di adottare il medesimo regime previsto dalla legge per i coniugi e gli uniti civilmente. Sono stati posti in luce tuttavia i numerosi problemi che scaturiscono da questo “trapianto sommario” all’interno di un quadro diverso da quello riservato agli sposi e agli uniti civilmente: ad es., con riferimento alla pubblicità di tale scelta (affidata ai registri anagrafici)79, al momento di decorrenza (apponibilità di termini o condizioni ?), all’individuazione del momento dello scioglimento80.
76
V. in proposito di U. Salanitro, cit., il quale osserva che la legge 76/2016, avrebbe dovuto prendere in considerazione il problema sia per introdurre una diversificazione fra gli uniti civilmente ed i coniugi (se veramente si intendeva rimarcare l’esigenza di una tale diversificazione) sia al fine di “ammodernare” un sistema di regole sotto questo aspetto insoddisfacente. 77 M. Cavallaro, cit., critica tale opzione ritenendo che sarebbe stato più opportuno rimetterne la scelta alle parti ma ad un tempo riviene la ragione nell’esigenza di tutela del partner più debole economicamente. 78 Cfr. M. Cavallaro, cit. 79 Secondo M. Cavallaro, cit., sarebbe anche possibile procedere alla trascrizione ex art. 2647 dei trasferimenti previsti nel contratto di convivenza. 80 G. Oberto, cit.; M. Cavallaro, cit.
253
Tommaso Auletta
7. segue: Le convenzioni matrimoniali. La riforma del 1975 apporta mutamenti anche alla materia delle convenzioni matrimoniali facendo venir meno, innanzitutto, la possibilità di stipulare un contratto di matrimonio nel cui contesto confluivano un insieme eterogeneo di regole volte a disciplinare i diversi aspetti riguardanti l’assetto patrimoniale della famiglia e di cui erano per lo più parti stipulanti i genitori della coppia. Il nuovo assetto della famiglia fondato sull’uguaglianza della coppia, sull’assimilazione dei ruoli e dei relativi doveri patrimoniali costituisce poi naturale ragione per l’introduzione del divieto di costituzione di dote, l’unica convenzione che in passato aveva avuto una sia pur limitata rispondenza pratica. La separazione dei beni diviene regime convenzionale; sia pure tra contrasti di opinioni è confermata la possibilità di destinare alcuni beni al soddisfacimento dei bisogni della famiglia (patrimonio familiare che muta nome in fondo patrimoniale, ed anche in parte la disciplina); è introdotto un regime di comunione convenzionale in alternativa a quello legale. Mentre rimane confermata la possibilità già riconosciuta dal codice del 1942 di stipulare, a certe condizioni, anche convenzioni atipiche e la capacità del minore, debitamente assistito dal suo rappresentante, di esserne parte, importante innovazione è costituita dalla possibilità concessa agli sposi di stipulare o modificare dette convenzioni anche durante il matrimonio (negata nel passato, salvo il caso in cui la stipula non alterasse le convenzioni già poste in essere). Fonte di delicate problematiche è anche il cambiamento delle regole riguardanti la pubblicità. Con riferimento all’incidenza pratica delle convenzioni menzionate, nel periodo successivo alla riforma, ribadito quanto detto in precedenza circa il successo della separazione dei beni, si comprendono ad un tempo le ragioni per le quali scarsa rispondenza abbia avuto la comunione convenzionale, strutturata dal legislatore soprattutto nell’ottica di consentire ai coniugi un ampliamento dell’oggetto. A ben vedere tuttavia, nessun ostacolo sembra rinvenirsi alla funzione opposta, onde i coniugi potrebbero circoscriverne l’oggetto ad esempio escludendo dalla comunione i proventi dell’attività separata o i frutti provenienti dai beni personali. Maggiormente controversa è la possibilità di ricostruire detta convenzione quale regime comunitario del tutto autonomo, svincolato dai limiti posti dall’art. 220 cc., a cui potrebbe darsi risposta positiva, a mio parere, sulla base del disposto dell’art. 161 cc. (possibilità di costituire convenzioni atipiche precisandone la disciplina). Se così fosse sarebbe consentito, già attualmente, stipulare anche un regime comunitario sul modello del regime legale tedesco che presenterebbe i vantaggi in precedenza menzionati. Discorso a parte merita il fondo patrimoniale, la cui conservazione è stata oggetto di discussioni in sede di approvazione della riforma del 1975, in quanto privo in precedenza di pratica rispondenza. Non altrettanto può dirsi attualmente, quantunque in una applicazione distorta, quale mezzo volto a frodare i creditori di impresa ed il fisco. Pur tuttavia tali inconvenienti nulla tolgono all’idea originaria di preservare parte del patrimonio, per lo
254
Riforme ed evoluzione del diritto di famiglia: riflessioni su un percorso di mezzo secolo
più dal rischio di impresa, consentendo in tal modo di assicurare all’imprenditore ed alla sua famiglia i mezzi necessari per non subire rovinose conseguenze connesse alla responsabilità illimitata. Lungimiranza di vedute che evidentemente manca nella maggior parte degli imprenditori, maggiormente preoccupati di contare su un patrimonio che consenta loro di ottenere credito presso le banche piuttosto che di preservare la propria famiglia dal dissesto (forse nella convinzione che il maggiore danno del fallimento è subìto, in ultima analisi, proprio dai creditori). Ed è proprio questo ricorso distorto all’istituto che non ha indotto a prendere seriamente in considerazione una revisione delle norme che lo disciplinano, volta a superare i non pochi problemi interpretativi che dalle medesime originano. Le convenzioni prese in esame possono essere stipulate anche dagli uniti civilmente81 mentre nulla si dice con riferimento ai conviventi, riguardo ai quali, essendo – come in precedenza rilevato - solo prevista la possibilità di adottare la comunione legale mediante contratto di matrimonio, sembrerebbe loro precluso l’accesso al fondo patrimoniale ed alla comunione convenzionale82.
8. segue: Il lavoro prestato a favore di altri familiari. Il secondo ordine di problemi menzionato al quale la riforma del 1975 ha inteso dare una risposta più soddisfacente è quello legato all’esistenza o meno di un diritto alla remunerazione del lavoro prestato da un congiunto (si tratta per lo più della moglie o dei figli) nell’ambito dell’attività del capo-famiglia. Sino a quel momento – come è noto – la soluzione accolta dal diritto effettivo era quella della gratuità del lavoro prestato, invocando la solidarietà che connota il rapporto familiare. L’unica eccezione era costituita dalla fattispecie caratterizzante la c.d. comunione tacita familiare in agricoltura (art. 2140 cc., oggi abrogato) la cui disciplina era rimessa alle consuetudini, le quali prevedevano una remunerazione per i partecipanti con un trattamento differenziato dei familiari collaborati in ragione del sesso o dell’età, considerando tali – a certe condizioni – anche coloro che non prestavano lavoro sul fondo. Peraltro ne era controversa l’applicabilità ad attività diversa da quella agricola. L’art. 230 bis costituisce tappa fondamentale nel superamento del principio di gratuità innanzi enunciato, pur non sancendo un diritto incondizionato al compenso per l’attività prestata. Trattasi di soluzione di indubbio rilievo da accogliere senza riserve, ma adottata in maniera eccessivamente restrittiva. Nonostante la diffusione del testo normativo, in esso
81 82
Ivi comprese quelle atipiche, quantunque manchi nella legge del 2016 un rinvio all’art. 161: v. M. Cavallaro, cit. Ma di diverso avviso M. Cavallaro, cit., che ipotizza persino la possibilità di disporre un modello di godimento dei beni simile alla dote non sussistendo un divieto specifico in proposito, che verosimilmente però risiede nella contrarietà di detta convenzione al principio di uguaglianza.
255
Tommaso Auletta
è dato riscontrare diverse ambiguità che non facilitano l’opera dell’interprete, affidandogli il gravoso compito di ricostruire un sistema di regole coerente con le finalità dell’istituto e idoneo a realizzare un’equilibrata tutela dei contrapposti interessi di cui si rendono portatori, rispettivamente, il titolare dell’impresa ed i singoli familiari che vi collaborano mediante il lavoro (oggi unico titolo di partecipazione). Novità importante rispetto al passato (il parametro di riferimento è naturalmente la disciplina codicistica del 1942) consiste nell’avere affidato alla legge la determinazione della linee disciplinari fondamentali, mentre la consuetudine trova ancora applicazione solo riguardo alle comunioni tacite familiari in agricoltura e nel rispetto dei principi enunciati. Ampliando la fattispecie precedente, l’art. 230 bis risulta applicabile al familiare che presta lavoro, in maniera continuativa, nell’ambito di un’impresa anche non agricola di cui altro familiare sia titolare e purché il rapporto non sia altrimenti disciplinato contrattualmente (fatta salva l’ipotesi in cui nel contratto si faccia rinvio alla disciplina normativa83). Partecipante può considerarsi anche il congiunto che si limita a prestare lavoro nella famiglia. Il limite più rilevante è costituito dal fatto che la norma non è stata concepita in maniera più generale per assicurare tutela anche al familiare che presta di fatto la propria collaborazione al di fuori di un’attività imprenditoriale (ad es., a favore di un professionista non imprenditore o di un lavoratore autonomo). Limite che non deve indurre peraltro a ricorrere in tali casi alla presunzione di gratuità della prestazione, ormai abbandonata dalla legge, ma che rende solo più problematica l’individuazione del criterio volto a determinarne il valore. Risentendo del suo antecedente storico la norma viene formulata con riferimento alla collaborazione all’interno di un’impresa individuale (come è noto nella comunione tacita in agricoltura la titolarità spettava al capo-famiglia, nel contesto della famiglia patriarcale). Tuttavia una condivisibile corrente interpretativa, che stenta a trovare consensi in giurisprudenza84, ha ritenuto che la norma possa applicarsi alla collaborazione prestata nell’ambito di un’impresa societaria. Irrilevante è inoltre la dimensione dell’impresa. Problema delicato è quello di individuare i confini entro i quali può considerarsi partecipante colui che si limiti a prestare lavoro nella famiglia dell’imprenditore, tenuto conto che tale attività viene già presa in considerazione sotto il profilo della contribuzione familiare e dunque irragionevole sarebbe riservagli rilevanza ulteriore per il solo fatto che venga prestato a favore di un imprenditore. Convincente è dunque la soluzione giurisprudenziale85 richiamata86 secondo la quale la prestazione deve svolgersi con caratteristiche diverse ed ulteriori (ad es., per tempi e modalità) da quelle richieste per il solo adempimento dei
83
Cass., 17 giugno 2003, n. 9683, in Foro it., 2003, I, 2628. In senso negativo, infatti, Cass. S.U., 6 novembre 2014, n. 23676 in Nuova giur. civ. comm., 2015, I, 350; Cass., 13 ottobre 2015, n. 20552, in Foro it., 2016, I, 1840. 85 Ad es., Cass., 22 maggio 1991, n. 5741, in Giur. it., 1992, I, 2002; Cass., 19 febbraio 1997, n. 1525, in Foro it., 1997, I, 1077. 86 G. Di Rosa, Lavoro familiare ed attività d’impresa, relazione al Convegno CT. 84
256
Riforme ed evoluzione del diritto di famiglia: riflessioni su un percorso di mezzo secolo
doveri matrimoniali (o filiali), cioè solo quando si configuri, formalmente o anche solo sostanzialmente, quale divisione dei compiti, volta ad accrescere la produttività dell’impresa, così sgravando o limitando l’adempimento delle incombenze familiari da parte di coloro che lavorano nell’impresa, consentendo loro di dedicarvi un tempo maggiore. Era quanto peraltro già accadeva sostanzialmente in passato nel modello della comunione tacita familiare (le donne provvedevano al lavoro domestico a vantaggio di tutti i familiari che si dedicavano all’attività agricola). L’equilibrio nella tutela dei contrapposti interessi viene raggiunta riconoscendo ruoli distinti al familiare che esercita l’attività a proprio nome ed a colui che vi collabora. Solo il primo risponde illimitatamente verso i creditori e provvede alla gestione ordinaria, mentre il secondo può rischiare tutt’al più gli utili accantonati a lui spettanti e concorre all’assunzione solo di alcune decisioni più importanti che coinvolgono i suoi interessi. Al fine di garantire il suddetto equilibrio, giurisprudenza consolidata adotta una lettura restrittiva dei diritti riconosciuti al familiare collaboratore, i quali possono essere fatti valere nei rapporti interni (nella veste di diritto di credito87) ma non sono opponibili ai terzi anche per la carenza di pubblicità che non consentirebbe a questi ultimi di conoscere l’esistenza dell’impresa familiare. In questa prospettiva non è opponibile ai terzi la contitolarità di beni aziendali acquistati con utili comuni (fatta salva l’ipotesi di contestazione) o della comunione sugli utili accantonati su conti non cointestati, nonché il mancato rispetto da parte dell’imprenditore di una decisione assunta dalla maggioranza nella gestione straordinaria dell’impresa. Di converso il diritto al mantenimento spettante al collaboratore viene riconosciuto a prescindere dall’andamento del singolo esercizio produttivo. Peraltro sembra del tutto ingiustificato, al fine di determinare l’entità del mantenimento, prendere come parametro di riferimento la condizione patrimoniale della famiglia dell’imprenditore (specialmente con riferimento al diritto vantato da familiari diversi dal coniuge o dall’unito civilmente), la quale può dipendere da fattori del tutto estranei all’attività produttiva (ad esempio, dalla condizione patrimoniale dell’altro coniuge o dal patrimonio dei figli minori). Qualche problema si pone anche riguardo alla fase di cessazione del singolo rapporto ed alle sue cause. Il legislatore non ha ritenuto opportuno intervenire in questi anni sulla disciplina prevista forse ritenendo soddisfacente l’assetto delineato, se non con riferimento alla questione, più volte presentatasi nella pratica, della estensibilità della tutela al convivente dell’imprenditore, che aveva visto la giurisprudenza inizialmente divisa, per poi attestarsi sulla soluzione negativa88.
87 88
Cass., 6 marzo 1999, n. 1917, in Riv. notar., 1999, 982. Ad es., Cass., 26 novembre 2004, n. 22405; Cass., 2 maggio 1994, n. 4204, in Giur. it., 1995, I, 1, 845.
257
Tommaso Auletta
Mentre l’art. 230 bis trova integrale applicazione riguardo agli uniti civilmente (in virtù del rinvio compiuto dal comma 13 della legge del 2016 alla sez. VI del capo VI del titolo VI), riconoscendo rilevanza, per le ragioni espresse in precedenza, anche al rapporto di affinità derivante dall’unione civile, la posizione del convivente è stata, invece, ingiustamente diversificata mediante l’introduzione di apposita disciplina (contenuta nell’art. 230 ter). La norma restringe la tutela al caso in cui egli presti stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente ma non anche nella famiglia. Più limitati sono anche i diritti riconosciuti, tra i quali non sono previsti il mantenimento, la partecipazione alle decisioni riguardanti la destinazione degli utili e degli incrementi nonché la gestione straordinaria, il diritto di prelazione sull’azienda. La soluzione adottata sembra fondarsi sulla negazione della dimensione familiare della convivenza e se ne è giustificata la ragione in virtù della scelta di fondo operata dal legislatore volta a diversificare il trattamento dei conviventi rispetto a quello riservato ai coniugi ed agli uniti civilmente89. Ma la soluzione non appare convincente perché risulta ingiustificatamente discriminatoria90 e non conforme all’idea di famiglia precedentemente descritta. Se infatti il convivente è da considerarsi a tutti gli effetti familiare dell’imprenditore, se il lavoro domestico assume rilevanza quando comporta una divisione dei compiti volta ad accrescere la produttività dell’impresa, non si comprende la ragione per la quale tale principio non debba applicarsi anche al convivente91. Criticabile è anche il ridimensionamento dei diritti menzionati dalla norma: per un verso si riconosce infatti il diritto del convivente a godere di utili ed incrementi ma poi si nega la possibilità di partecipare alle decisioni che ne riguardano la destinazione. Inoltre il mancato riconoscimento del diritto al mantenimento fa gravare sul convivente il rischio che in un certo arco di tempo l’attività non abbia prodotto utili, con conseguente gratuità del lavoro prestato92 (rischio al quale – come si è detto – non rimane esposto il coniuge ed anche l’unito civilmente, almeno secondo l’interpretazione prevalente).
9. segue: Gli effetti patrimoniali della crisi Riguardo alla regolamentazione della crisi della famiglia si sono già messi in luce i profondi cambiamenti verificatisi in seguito all’introduzione della legge sul divorzio ed alla riforma del 1975 che hanno reso, rispettivamente, dissolubile il matrimonio, e che facilita-
89
G. Di Rosa, cit. U. Salanitro, cit., avanza sospetti di incostituzionalità in proposito. 91 Fermo restando che comunque di tale lavoro occorre tenere conto sulla base delle regole dell’ingiustificato arricchimento. 92 Altro discorso è che egli possa godere in concreto della contribuzione ai bisogni familiari che resta comunque distinta dal mantenimento quale corrispettivo per il lavoro svolto. Non è scontato poi che essa sia essenziale per il configurarsi della fattispecie costitutiva (non coincidendo verosimilmente con l’assistenza materiale contemplata dal comma 36 della l. 76/2016). 90
258
Riforme ed evoluzione del diritto di famiglia: riflessioni su un percorso di mezzo secolo
no la separazione anche per scelta unilaterale. Riducendone progressivamente la durata, il legislatore ha inteso prendere atto della realtà secondo la quale ormai nella maggior parte dei casi la separazione costituisce l’anticamera del divorzio e non uno dei possibili sbocchi della crisi (ferma restando in astratto la possibilità della riconciliazione). Occorre ricordare infatti che ad una iniziale previsione (l. 898/1970) secondo la quale la separazione doveva protrarsi ininterrottamente per sette anni ove l’altro coniuge si opponesse al divorzio e per cinque nel caso contrario, la l. 74/1987 ha ridotto il termine a tre anni unificandolo per tutte le ipotesi, confermandone il decorso dal momento della comparizione delle parti innanzi al presidente del tribunale. Un’ulteriore riduzione ad un anno è stata introdotta dalla l. 55/2015 che può limitarsi a sei mesi nel caso di separazione consensuale. La semplificazione del procedimento, in quest’ultimo caso, rende possibile il rispetto di questi tempi tanto che occorre chiedersi fino a che punto questa “pausa di riflessione” sia realmente essenziale quando i coniugi sono d’accordo sul fallimento della loro unione e sul modo di disciplinarne gli effetti, impedendo loro di accedere direttamente al divorzio; ed altresì se non risulti solo di facciata la differenza con l’unione civile nella quale lo scioglimento consensuale può essere senz’altro richiesto senza il trascorrere di alcun lasso di tempo. Interrogativo legittimo, tenuto conto che uno degli argomenti che viene invocato a favore della maggiore stabilità del matrimonio rispetto all’unione civile risiede proprio nella diversa disciplina dello scioglimento. Il progressivo passaggio verso la disponibilità del vincolo matrimoniale può poi individuarsi nella recente scelta normativa di introdurre procedimenti stragiudiziali di risoluzione della crisi ricorrendo alla negoziazione assistita ed al consenso espresso innanzi all’ufficiale di stato civile. È evidente il favore che l’ordinamento ha inteso riservare ad una risoluzione consensuale della crisi con la previsione di tali procedure ed all’esercizio dell’autonomia privata, con cautele volte a tutelare gli interessi dei figli minori o non autonomi patrimonialmente93 non prive peraltro di alcune criticità94. Previsione che non riguarda però la crisi dell’unione civile, onde si dubita che le medesime risultino ad essa applicabili (in controtendenza con il disegno normativo, da alcuni considerato evidente e particolarmente significativo, di conferire maggiore “debolezza” a quest’ultima forma di unione). Nel mio intervento maggiore spazio intendo riservare però agli effetti della crisi ed in particolare, riguardo al profilo patrimoniale, al sostegno eventualmente dovuto dal coniuge più abbiente a quello economicamente più debole. Per ovvie ragioni trattasi di problemi frequentemente affrontati in giurisprudenza ma, soprattutto riguardo all’assegno divorzile, diverse sono le soluzioni affermatesi nel tempo, sulle quali alcuni interventi suc-
93 94
V. in proposito L. Balestra, cit. Poste in luce da C. Marino, Intervento al Convegno CT.
259
Tommaso Auletta
cedutisi in questi giorni hanno avuto modo di soffermarsi, incertezze causate dal fatto che la formulazione delle norme non appare proprio felice. Il dibattito ha riguardato in passato, a dire il vero, anche l’entità dell’assegno di mantenimento spettante al coniuge separato, ma sui criteri principali da applicare sembra essersi formata una giurisprudenza consolidata (ma non per questo pienamente condivisibile) la quale traduce la formula normativa - volta a riconoscere al coniuge più debole (e dunque nel caso di disparità economica) il “diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento” (nostro il corsivo) - nel diritto a conservare, per quanto possibile, il medesimo tenore di vita goduto durante la convivenza coniugale95. Si precisa inoltre che detto tenore di vita è quello potenziale, cioè consentito dalle risorse disponibili (considerando sostanze e redditi) e non quello effettivamente condotto, se inferiore alle possibilità della coppia96. Fatto salvo il caso in cui il richiedente abbia “adeguati redditi propri”, cioè sostanze tali da consentirgli la conservazione del tenore pregresso (eventualità difficilmente realizzabile). Molto cauta è poi la giurisprudenza nell’esigere che il coniuge meno abbiente si attivi per mettersi in condizione di provvedere autonomamente al soddisfacimento dei propri bisogni mediante il lavoro extra-domestico97. Tale soluzione (delineata per sommi capi) trova fondamento nel fatto che la separazione non estingue il vincolo matrimoniale e dunque la solidarietà che ne deriva, la quale deve trovare piena attuazione anche nel caso in cui la convivenza coniugale sia stata di breve durata (la legge infatti non richiama la durata della convivenza in funzione della determinazione o concessione dell’assegno). Neppure si richiamano solitamente altri elementi, come invece la legge stabilisce per la concessione dell’assegno divorzile, che possano incidere sulla determinazione dell’ammontare (ad es., la dedizione alla famiglia o il particolare contributo fornito nella formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge). Pur tuttavia, secondo una corrente giurisprudenziale98, l’assegno potrebbe essere negato nel caso di durata straordinariamente breve della convivenza. La soluzione desta perplessità perché, anche a volere richiamarsi alle “circostanze” menzionate dal 2° comma dell’art. 156 cc., esse possono condizionarne l’entità ma non la concessione dell’assegno. Rilevano poi certamente le ragioni della decisione ove la crisi sia addebitabile al creditore, il quale ha allora diritto solo ad un assegno alimentare. Il riconoscimento della rilevanza delle scelte pregresse viene in certa misura valorizzata da quelle decisioni nella quali si afferma che il richiedente ha diritto di conservare, durante la separazione, non solo il tenore ma anche l’assetto di vita condotto durante la
95
Ex multis, Cass., 16 maggio 2017, n. 12196, in Foro it., 2017, I, 1859. Ad es., Cass., 24 luglio 2007, n. 16334, in Famiglia e dir., 2007, 1060; Cass., 19 settembre 2006, n. 20256; in Famiglia e minori, 2006, 1, 54. 97 Dovendosi tenere conto di svariati fattori quali: l’essersi dedicato durante la vita matrimoniale solo all’attività domestica; la sussistenza in concreto della capacità lavorativa, tenuto conto dell’età, della formazione professionale e della posizione sociale; delle opportunità offerte dal mercato del lavoro. 98 Trib. Roma, 11 maggio 2009, in Dir. fam. e pers., 2010, 196. 96
260
Riforme ed evoluzione del diritto di famiglia: riflessioni su un percorso di mezzo secolo
convivenza (non è tenuto ad attivarsi per la ricerca del lavoro o per il suo mutamento in uno più redditizio rispetto a quello svolto nel contesto della famiglia unita)99, soluzione che non può essere rigorosamente generalizzata dovendosi pretendere, a seconda delle circostanze, che il coniuge provveda da solo al soddisfacimento delle proprie esigenze di vita se ha l’età, la capacità, l’opportunità di farlo in concreto. Infatti la vincolatività dell’indirizzo di vita adottato per regolare la convivenza viene meno quando si verifica un cambiamento così radicale quale la cessazione della medesima. In certa misura il profilo perequativo assume rilevanza quando la giurisprudenza afferma che il creditore ha diritto di godere degli incrementi patrimoniali verificatisi, durante la separazione, nel patrimonio dell’altro100, come se la convivenza non si fosse mai interrotta. Incrementi che non necessariamente devono originare da una situazione le cui premesse siano riconducibili al periodo della convivenza coniugale. La tutela del coniuge più debole viene costruita, almeno in certi casi, in maniera probabilmente esagerata anche se poi i risvolti pratici vengono attenuati, nella realtà concreta, dal fatto che la crisi provoca un accrescimento tale delle spese da sostenere, che i suddetti criteri possono difficilmente trovare compiuta attuazione. Inoltre il notevole abbreviarsi dei tempi richiesti per ottenere il divorzio dovrebbe circoscrivere, comunque, almeno in astratto, la durata dell’assegno così determinato (anche se in realtà la durata dei procedimenti contenziosi non è ancora così breve). Ben diversa è la situazione riguardante la determinazione dell’assegno divorzile (dovuto anche nel caso di scioglimento dell’unione civile) per diverse ragioni: le norme di riferimento sono mutate nel tempo; ambiguo è il riferimento alla mancanza di “mezzi adeguati” richiesta per ottenere l’assegno; più articolati sono i criteri per la determinazione dell’ammontare. Per questi motivi stenta ad emergere un indirizzo giurisprudenziale consolidato in vista del riconoscimento. L’evolversi delle norme e della giurisprudenza che ha affrontato detta problematica è stata messa ben in luce dagli interventi di queste giornate101; vorrei limitarmi pertanto solo a qualche rilievo sulla soluzione adottata dalla recente decisione delle sezioni unite della Cassazione102 e sulle prospettive riguardanti la sua applicazione (fatta salva naturalmente una futura revisione della norma).
99
Ad es., Cass., 29 luglio 2011, n. 16736, in Giust. civ., 2012, I, 729. Indirizzo diffuso: v. ad es., Cass., 7 febbraio 2006, n. 2625, in Foro. it., 2006, I, 1751; Cass., 24 dicembre 2002, n. 18327, in Famiglia e dir., 2003, 274. 101 L. Balestra, cit.; M. Pulvirenti, Saluti e brevi osservazioni sui temi del convegno 27-29 settembre 2018; C. Benanti, La funzione dell’assegno di divorzio nel sistema dei rapporti patrimoniali tra coniugi, intervento al Convegno CT ed anche in Familia, 2019, 157 ss. 102 11 luglio 2018, n. 18287, in Familia, 2018, 455 ss., con nota di S. Patti. Molti sono i commenti dedicati a questa sentenza. Ad essa è stata dedicato il n. 11 del 2018 della rivista Famiglia e dir. con contributi di G. Servetti, E. Al Mureden, C. Rimini, M. Dogliotti, C.M. Bianca, M. Sesta, F. Tommaseo, V. Carbone, E. Quadri, F. Danovi. Ed altresì il n. 1 del 2019 della rivista Familia, con contributi di M. Sesta, L. Balestra, C. Rimini, E. Al Mureden, G. Ballarani, M.N. Bugetti, C. Irti, F. Romeo, M. Martino. 100
261
Tommaso Auletta
Come è stato rilevato, le sezioni unite propongono una lettura dell’art. 5, 6° comma l. div. che rappresenta una mediazione rispetto alle diverse soluzioni espresse in precedenza da Cass. S.U. 11490/1990 (i cui dicta avevano trovato adesione in giurisprudenza, ma non sempre in dottrina, per quasi un trentennio)103 e Cass. 11504/2017104; essa segna l’abbandono della linea (che le accomuna) secondo la quale i criteri indicati nella prima parte del comma 6 si riferiscono alla quantificazione dell’assegno, mentre il sintagma “mezzi adeguati” va rapportato ad altri parametri: secondo la decisione del 1990, al tenore di vita matrimoniale (potenziale), per quella del 2017 all’indipendenza o autosufficienza economica del richiedente (che richiama in certo modo il godimento di un’esistenza libera e dignitosa presente in Cass. 1652/1990)105. Poiché per un verso nessuno dei due significati proposti viene enunciato dalla legge e per altro verso si caratterizzano per un alto grado di astrattezza rispetto alla situazione concreta dei coniugi, S.U. 2018 ritengono invece che a tal fine occorre fare riferimento ai parametri enunciati nella prima parte del comma 6 (condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune). Mezzi adeguati sono dunque quelli che consentono al coniuge più debole di mantenere “quel tenore di vita” che trova giustificazione secondo i parametri innanzi ricordati (anche se a dire il vero le ragioni della decisione non vengono prese in alcuna considerazione, con motivazione alquanto discutibile, privando di rilevanza il c.d. criterio risarcitorio). Si abbandona la linea argomentativa secondo la quale il giudice deve prima stabilire se il richiedente abbia diritto all’assegno (alla luce di un certo parametro che costituisce il criterio attributivo) e, in caso affermativo, quantificarne l’entità (alla luce di parametri determinativi diversi) per privilegiare un criterio unico definito “perequativocompensativo”106. Si tende ad evitare in tal modo il sacrificio del coniuge più debole che abbia dedicato (anche interamente) alla famiglia le proprie energie, rinunciando ad aspettative professionali e reddituali autonome e che potrebbe, anche dopo la rottura della convivenza, continuare ad occuparsi dei figli in modo prevalente. Il criterio assistenziale si coniuga dunque con quello compensativo, mentre – come accennato - viene espunto quello sanzionatorio, criteri sui quali, negli anni ’70, si fondava la tesi della natura composita dell’assegno, la quale si ispirava ad un testo normativo differente rispetto a quello attuale.
103
Cass., 29 novembre 1990, n. 11490, in Foro it., 1991, I, 67 ss., con note di E. Quadri e di V. Carbone. Cass., 10 maggio 2017, n. 11504, in Famiglia e dir., 2017, 636. 105 Cass., 2 marzo 1990, n. 1652, in Foro it., 1990, I, 1165. 106 Serrata è la critica mossa da L. Balestra, cit., a tale ricostruzione in quanto si ritiene che la Corte abbia operato una sostanziale indebita riscrittura della norma. È da sottolineare che la posizione dell’autore si differenzia pertanto dal generale favore con cui la dottrina maggioritaria ha accolto la decisione, che in effetti lascia per molti versi perplessi sia per alcune argomentazioni sia per il rischio che, la difficoltà nell’applicazione dei criteri enunciati, finirà con lasciare in concreto tutto invariato senza un reale scostamento dal riconoscimento al coniuge più debole di un assegno in grado di garantire – se possibile - il godimento del tenore di vita matrimoniale. 104
262
Riforme ed evoluzione del diritto di famiglia: riflessioni su un percorso di mezzo secolo
Sottile, ma non priva di incidenza, sembra la distinzione tra la “natura composita” del passato e la “valutazione composita” accolta dalla recente sentenza, rispetto alla posizione di S.U. del 1990 che riconoscono all’assegno natura prettamente assistenziale. Mentre infatti quest’ultima, partendo dal livello base costituito dal tenore di vita matrimoniale, utilizzava gli altri criteri per giungere ad una diminuzione o persino all’azzeramento dell’assegno, S.U. 2018 non muovono da tale livello ma utilizzano tutti i criteri per quantificarne l’ammontare, ove sussista, ben inteso, disparità economica fra gli ex-coniugi. Non mi sembra tuttavia, come è stato messo in rilievo107 che tale operazione riduca la discrezionalità del giudice (elemento di criticità soprattutto connesso alla tesi sulla natura composita dell’assegno), come affermato nella sentenza, ma, almeno in alcune ipotesi, probabilmente l’esatto contrario; infatti problematica è l’individuazione dei criteri da adottare nella quantificazione del valore da riconoscere al lavoro familiare108 onde il ricorso ad una valutazione equitativa appare quasi inevitabile soprattutto quando si profila tutt’al più una perdita di chance (data l’incertezza dell’incidenza economica delle rinunce compiute dal richiedente). Mentre sulla base del testo originario della legge la giurisprudenza aveva ritenuto possibile concedere l’assegno anche in mancanza di disparità economica (profilo assistenziale) fondandolo sugli altri profili (risarcitorio o (e) compensativo) oggi ciò viene negato. In particolare, il profilo compensativo può concorrere ma non prescindere da quello assistenziale onde, in mancanza di disparità economica, nulla può essere riconosciuto al coniuge che si sia caricato di maggiori pesi familiari o abbia contribuito alla formazione del patrimonio dell’altro oppure, in misura maggiore, di quello comune. Dunque, almeno in questo caso, il criterio assistenziale (di cui mancano i presupposti) prevale su quello compensativo. Mi sembra inoltre che i principi richiamati dalle sezioni unite passano portare a conseguenze importanti (al di là della loro piena persuasività) non solo a favore ma anche contro gli interessi del coniugi più debole, profilo forse non adeguatamente considerato dalla decisone. Preoccupazione principale dell’estensore – almeno a mio parere – è quella di depotenziare le conseguenze derivanti dalla decisione del 2017, la quale si riteneva non compensasse adeguatamente gli apporti forniti dal richiedente all’altro coniuge dalle rinunce alle prospettive di lavoro patite durante la vita coniugale o alla formazione del suo patrimonio. Basta leggere il testo della sentenza per rendersene conto: essa è interamente redatta in modo da valorizzazione l’eventuale apporto proveniente dal coniuge più debole, con ripetuti richiami alla solidarietà fondata sul principio costituzionale di pari dignità
107
L. Balestra, cit., il quale aggiunge che proprio per tale ragione esiste il forte rischio di un incremento del contenzioso futuro; nonché C. Benanti, cit. Peraltro, almeno sul punto relativo all’aumento e non alla diminuzione della discrezionalità del giudice, l’opinione della dottrina mostra essere tendenzialmente concorde. 108 Si veda in proposito M. Sesta, Attribuzione e determinazione dell’assegno divorzile: la rilevanza delle scelte di indirizzo della vita familiare, in Famiglia e dir., 2018, 983 ss. Per un tentativo al riguardo v. C. Rimini-M. Razzari, Commento all’art. 5 della l. 1 dicembre 1970, n. 898, in Commentario del codice civile, diretto da Gabrielli, Della famiglia (a cura di Di Rosa), Utet, Milano, 2018, III, 131 ss.
263
Tommaso Auletta
dei coniugi. E pur tuttavia proprio il più debole potrebbe risultare penalizzato rispetto a quanto riconosciutogli dalla giurisprudenza precedente non solo nel negargli giustamente una “rendita di posizione” ma richiedendo presupposti in precedenza non previsti (dei non indifferenti oneri probatori a suo carico si dirà successivamente). La concessione dell’assegno è infatti condizionata al fatto che “la disparità della situazione economicopatrimoniale (…) sia dipendente dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio, con il sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti in funzione dell’assunzione di un ruolo trainante endo-familiare”. In diversi punti della sentenza si mette in luce che il dislivello reddituale deve derivare da cause che sono frutto di libere scelte comuni, di cui entrambi devono accettare le conseguenze (alla luce del principio di auto-responsabilità). In assenza di una situazione siffatta dunque l’assegno non sarebbe dovuto (ben inteso, fatto salvo l’altro criterio della locupletazione del patrimonio del coniuge più abbiente); in particolare, ove la decisione di dedicarsi al lavoro casalingo fosse frutto di scelta esclusiva da parte del coniuge più debole, il quale per comodo od ignavia non intendesse impegnarsi in un lavoro extra-domestico pur avendone le possibilità, non condivisa dall’altro. Analogamente è a dirsi se, nonostante la differenza patrimoniale a suo sfavore abbia beneficiato di notevoli introiti derivanti da acquisti compresi in comunione legale con l’impiego di risorse provenienti dall’altro coniuge nonché qualora questi abbia contribuito significativamente all’accrescimento del patrimonio personale del coniuge più debole ed ancora ove il lavoro domestico sia stato compensato attraverso la partecipazione all’impresa familiare ed al godimento dei diritti da essa derivanti109. Due sono i dubbi che potrebbero originare dalla sentenza delle sezioni unite: 1) vi è ancora spazio per una solidarietà post-coniugale onde il coniuge in difficoltà economica avrebbe diritto all’assegno anche in mancanza di mezzi adeguati a condurre una vita dignitosa (o eventualmente anche un tenere di vita di livello un po’ superiore) quantunque i parametri previsti dalla prima parte dell’art. 5 comma 6 l. div. non ricorrano?; la risposta dovrebbe essere, a mio avviso, positiva tenuto conto della natura assistenziale dell’assegno ribadita dalla sentenza; 2) può ancora sostenersi l’integrale indisponibilità dell’assegno anche riguardo alla parte liquidata in funzione perequativo-compensativa? A mio avviso la risposta dovrebbe essere invece in questo caso negativa perché non sono in gioco interessi fondamentali della persona e l’atto di disposizione non configurerebbe una deroga ai doveri coniugali (con conseguente ammissibilità anche di accordi in vista del divorzio volti a determinarne la corresponsione). Ma il profilo più delicato è quello connesso all’onere della prova che correttamente, si ribadisce anche nell’ultima pronunzia delle sezioni unite, è posto a carico del richiedente e, si precisa, in maniera rigorosa, salvo a non escludere il ricorso a presunzioni. Si pensi
109
V. in tal senso i puntuali rilievi mossi alla sentenza da L. Balestra, cit.
264
Riforme ed evoluzione del diritto di famiglia: riflessioni su un percorso di mezzo secolo
infatti, ad esempio, alla necessità di provare che i sacrifici affrontati sono frutto di scelte comuni e non di un’opzione unilaterale (di comodo) che l’altro non è riuscito a contrastare o a soluzioni obbiettive non gestibili diversamente. Insomma, come giustamente è stato osservato110, la portata innovativa della soluzione adottata dalla Corte andrà verificata sulla base del rigore con cui la giurisprudenza di merito riterrà assolto, almeno in alcuni casi, l’onere della prova. L’interprete peraltro non può ovviare ai diversi aspetti di criticità della norma che richiederebbero un intervento del legislatore. Per indicarne solo uno, un aggravio importante a carico dell’obbligato è costituito dalla potenziale perpetuità dell’assegno e dalla possibilità che nel tempo esso venga incrementato. Auspicabile sarebbe dunque l’attribuzione al giudice (e non solo alle parti) del potere di limitarne, fin dall’inizio, la durata nel tempo111 o di fissare l’ammontare della somma complessiva dovuta (liquidazione una tantum) predisponendone l’eventuale rateizzazione, a seconda delle peculiarità del caso.
10. Crisi di coppia ed effetti rispetto ai figli: l’affidamento. Un altro importante effetto della crisi del rapporto di coppia è quello riguardante la relazione con i figli ed il relativo affidamento. Come è noto la svolta innovativa più importante in materia è stata introdotta dalla legge 54/2006 la quale pone al primo posto l’interesse del minore nella scelta della decisione più appropriata, volta a garantire un rapporto equilibrato tra il figlio ed entrambi i genitori (la c.d. bigenitorialità), nonostante la crisi familiare, in modo da ricevere da ciascuno cura, educazione, istruzione, assistenza morale e materiale. A questo fine si individua nell’affidamento condiviso il modello da privilegiare. Il mutamento di prospettiva rispetto al passato appare radicale in quanto sino a quel momento era convinzione diffusa, anche in giurisprudenza, che l’interesse del minore si realizzasse invece mediante l’adozione dell’affidamento esclusivo, il solo che potesse assicurare stabilità di vita al minore mediante una figura genitoriale di riferimento predominante, abilitata ad assumere le decisioni della vita quotidiana e di rappresentarlo nei rapporti con i terzi. Tale genitore veniva individuato normalmente nella madre, fatte salve alcune ipotesi del tutto eccezionali. Il ruolo dell’altro genitore (generalmente il padre) veniva relegato in secondo piano, riconoscendogli solo il diritto di visitare il minore e la compartecipazione nelle decisioni più importanti per la sua vita. L’affidamento congiunto e quello alternato, soluzioni che limitavano tale squilibrio, introdotti dalla l. 74/1987 erano opzioni rimaste sostanzialmente inapplicate per diverse ragioni.
110 111
C. Benanti, cit. Così come previsto dal DDL Morani, n. 506 presentato alla Camera.
265
Tommaso Auletta
Con la legge del 2006, l’affidamento condiviso diviene la regola applicabile a tutti i figli (senza distinzione di status) dalla quale il giudice o le parti (con riferimento alle procedure di risoluzione consensuale della crisi112) possono discostarsi solo previa circostanziata motivazione in presenza di situazioni eccezionali. Esso comporta innanzitutto un regime non dissimile di esercizio della potestà – ora responsabilità genitoriale – rispetto a quello proprio della famiglia unita (sempre che il riferimento alla gestione separata presente nell’art. 155 prev. cc. venga inteso come “gestione disgiunta”) ed il riconoscimento ad entrambi i genitori della rappresentanza nei rapporti con i terzi, accrescendo però i poteri del giudice: alla sua discrezionalità viene rimessa infatti sia la possibilità di discostarsi dalle regole di esercizio, in vista della tutela dell’interesse del minore sia la scelta della soluzione per lui più conveniente riguardo ad una specifica problematica, anche al di fuori – secondo l’interpretazione prevalente – di quelle prospettate dai genitori (mentre nella famiglia unita la scelta deve compiersi in tale ambito). Mutano inoltre le regole volte a realizzare la continuità dei rapporti tra figlio e genitori; infatti il fine di assicurare un rapporto equilibrato impone l’abbandono della linea, già prevalente, di limitare la relazione tra genitore non affidatario e figlio al solo diritto di “visita”. Le modalità di contribuzione alle sue esigenze non consistono solo nella corresponsione di un assegno in denaro ma anche nel ricorso al c.d. mantenimento diretto, mentre viene normativamente sancito il diritto del maggiorenne non autonomo patrimonialmente di continuare ad essere mantenuto dai genitori fin quando non si trovi in condizione di poterlo fare autonomamente. L’interesse del figlio a non mutare assetto di vita è quello che giustifica l’attribuzione in godimento gratuito della casa familiare al genitore non proprietario (esclusivo) o non titolare di altro diritto di godimento (derivante dal contratto di locazione o di comodato). Innovazione molto rilevante è la valorizzazione dal punto di vista giuridico del ruolo affettivo ed educativo che sovente altri parenti sogliono assumere nella pratica nei confronti del minore, riconoscendone il diritto alla salvaguardia, pur in presenza di una crisi fra i genitori. Anche in questo caso la legge viene approvata dopo un contrastato dibattito (proprio alla fine della legislatura, con una fretta che non giova certamente all’accuratezza del suo impianto) in quanto la corrente di pensiero contraria teme che un diritto alla bigenitorialità così concepito possa danneggiare piuttosto che giovare al minore, incidendo sulla stabilità della sua vita, contribuire ad accrescere i contrasti fra i genitori piuttosto che stemperarli, risultare difficilmente praticabile almeno nel contesto della separazione giudiziale nella quale la contesa tra i genitori è spesso molto aspra e riguarda per lo più proprio le questioni che coinvolgono l’interesse dei figli. Per queste ragioni si avanzano dubbi, circa la sua stessa utilità ed anche della portata innovativa: vale a dire, se alla fine, la riforma si
112
V. al riguardo i rilievi posti in luce da C. Marino, cit., circa la delicatezza del ruolo che la legge del 2014 ha affidato agli avvocati dei coniugi che ricorrono alla negoziazione assistita per risolvere la crisi di coppia.
266
Riforme ed evoluzione del diritto di famiglia: riflessioni su un percorso di mezzo secolo
rivelerà o meno solo “di facciata” nell’applicazione giurisprudenziale, se cioè i giudici non finiranno col confermare i vecchi schemi caratterizzanti il diritto di visita, con mero cambiamento terminologico. Mi sembra di poter dire che, pur con quella certa gradualità di applicazione che caratterizza quasi inevitabilmente ogni riforma profondamente innovativa, essa abbia ricevuto in larga parte attuazione sia pure in maniera non sempre uniforme. La giurisprudenza ricorre infatti all’affidamento individuale solo in ipotesi veramente eccezionali, per lo più dipendenti dall’inidoneità educativa113 o dal disinteresse mostrato dal genitore estromesso verso il figlio114 o circoscritte a quei casi in cui in passato i rapporti fra il genitore ed il minore si sono rivelati inesistenti o del tutto negativi 115, anche a causa del carattere violento o ad abusi116 (con conseguente avversione del figlio verso il genitore e rifiuto di intrattenere rapporti con lui117) o nell’ipotesi di sistematica denigrazione dell’altro genitore118. Mentre appare consolidato il principio che la lontananza fra i luoghi di residenza dei genitori119 o i contrasti anche gravi fra di loro120 non impediscono in linea di principio l’affidamento condiviso ivi compreso il caso in cui tale conflitto non consente loro di trovare un preventivo accordo circa la linea educativa da seguire in futuro. Le modalità per realizzare gli obbiettivi individuati dalla legge di assicurare il mantenimento della “significatività” e dell’ “equilibrio” dei rapporti fra genitori e figli dipendono dalle diverse circostanze caratterizzanti la vita familiare pregressa, onde la discrezionalità del giudice appare la soluzione più appropriata al fine di assicurare l’interesse di “quel” minore. Nella maggior parte dei casi lo schema privilegiato è costituito dalla individuazione di un genitore “collocatario” col quale il figlio dovrà vivere stabilmente, mentre la frequentazione dell’altro genitore viene predisposta per lo più con ragionevole ampiezza ed elasticità, non limitandola, come nel passato, a qualche fine settimana ma prevedendo la condivisione dei momenti più significativi della vita quotidiana (trascorrere giornate non solo dedicate allo svago, accompagnare e riprendere il figlio a scuola, trascorre con lui periodi di vacanza non limitati alle feste principali dell’anno od al periodo estivo, ecc.). Non di rado poi, il giudice lascia liberi i genitori di regolare le occasioni di frequentazione senza rigidità, modellandole in base alle circostanze concrete. Non mancano anche provvedimenti in cui si prevedono tempi paritari (o comunque sostanzialmente equivalenti)
113
Cfr. ad es., Cass., 22 settembre 2016, n. 18599. Spesso desunto dal sottrarsi del genitore al dovere di mantenimento: ex multis, Trib. Milano, 20 marzo 2014, in Nuova giur. civ. comm., 2014, I, 1182, con nota di Savorani. 115 Esercitando su di lui una cattiva influenza: Cass., 18 giugno 2008, n. 16593, in Familia, 2008, 4-5, 103, con nota di Cannata. 116 V. Trib. Terni, 31 luglio 2007, in Giur. it., 2007, 1142; Trib. min. Catanzaro, 27 maggio 2008, in Famiglia e minori, 2008, 10, 86. 117 Cfr. Trib. Torino, 4 aprile 2016, in Famiglia e dir., 2016, 808; App. Napoli, 17 maggio 2006, in Foro it., 2007, I, 145. 118 Ad es., Cass., 11 agosto 2011, n. 17191, in Dir. famiglia e pers., 2012, 146. 119 Ad es., Trib. Novara, 4 novembre 2008, in Fam. pers. succ., 2009, 207, con nota di Fantetti; App. Roma, 30 novembre 2006, in Famiglia e minori, 2007, 7, 68, con nota critica di Buldo; Trib. min. Potenza, 23 aprile.2008, in Famiglia e minori, 2008, 9, 84. 120 Principio questo ormai consolidato: v. ad es., Cass., 23 gennaio 2019, n. 1715; Cass., 3 gennaio 2017, n. 27; Cass., 31 marzo 2014, n. 7477; Cass., 3 dicembre 2012, n. 21591. 114
267
Tommaso Auletta
di frequentazione di ciascun genitore, se la situazione lo giustifica e sempre in vista della tutela più appropriata dell’interesse del minore121. Le pronunzie si conformano alle regole riguardanti l’esercizio della responsabilità genitoriale onde è ricorrente la precisazione che le decisioni più rilevanti per il minore verranno assunte di comune accordo mentre quelle quotidiane sono affidate al genitore presso il quale egli si trova in quel momento. Pur tuttavia occorre dare atto di qualche criticità che si riscontra tutt’ora – almeno a mio parere - nell’applicazione della disciplina: a) incontra ancora un evidente favore l’idea secondo la quale, se non ricorrono ragioni particolari che lo sconsiglino, la madre è normalmente il genitore collocatario considerato più idoneo, non sempre riconoscendo così il giusto valore alla mutata realtà sociale in virtù della quale spesso anche il padre si occupa della cura dei figli (e perché no, persino più e meglio della madre)122; b) il mantenimento diretto risulta scarsamente praticato, onde viene disposto generalmente dal giudice il pagamento di un assegno a favore del genitore meno abbiente; c) si riconosce il diritto del genitore collocatario di continuare a percepire l’assegno dovuto per il mantenimento del figlio anche quando questi divenga maggiorenne123; d) in nome della tutela dell’interesse del minore vengono a volta “ratificate” le violazioni compiute dal genitore collocatario che, senza il consenso dell’altro genitore o l’autorizzazione del giudice, muti il luogo di residenza del minore trasferendosi altrove124. La successiva riforma del 2012/2013 volta a realizzare l’unificazione dello stato dei figli apporta modificazione non radicali ai contenuti della disciplina descritta, tendenti soprattutto ad eliminare alcune imperfezioni, ed uniformandola a tutte le situazioni in cui la coppia non convive (separazione, divorzio, scioglimento dell’unione di fatto, o mancanza della medesima). Dal punto di vista sistematico ne consegue lo spostamento di queste norme dal contesto della separazione ad un capo autonomo (II del titolo IX) dedicato all’esercizio della responsabilità genitoriale nelle circostanze indicate. Su una parte significativa della disciplina così sintetizzata intende intervenire un DDL (n. 735 primo firmatario Pillon) presentato di recente in senato ed attualmente in discussione, che già ha alimentato molto critiche125, ma che potrebbe ultimare con successo il proprio iter in quanto sembra avere il sostegno delle forze politiche che rappresentano attualmente la maggioranza parlamentare126.
121
Trib. Salerno, 18 aprile 2017, in Foro it., 2017, I, 2498. Cass., 14 settembre 2016, n. 18087, in Foro it., 2016, I, 3447. 123 Cass., 23 maggio 2017, n. 12972. 124 È la soluzione avallata, ad esempio, da Cass., 26 marzo 2015, n. 6132, in Foro it., 2015, I, 1543, con nota di Casaburi e Trib. Roma, 26 marzo 2016, in Banca dati De Jure. 125 Evidenziate anche da alcuni interventi succedutisi in questi giorni: V. Roppo, Introduzione alla seconda sessione dei lavori del Convegno CT; Mr. Bianca, cit.; M. Pulvirenti, cit. 126 In realtà accanto a questo, numerosi DDL sono stati presentati da altri parlamentari volti ad introdurre modifiche alla disciplina vigente. 122
268
Riforme ed evoluzione del diritto di famiglia: riflessioni su un percorso di mezzo secolo
L’idea che sta alla base dell’innovazione forse più significativa (almeno nella prospettiva qui esaminata) contenuta nel DDL è quella di introdurre un criterio rigido di attuazione del principio di bigenitorialità, secondo il quale esso si realizza introducendo tempi paritetici (nella misura del 50%), di convivenza di ciascun genitore con il figlio o comunque equivalenti (anche mediante recupero durante le vacanze), non inferiori in ogni caso a dodici giorni al mese, salvo comprovato pericolo di pregiudizio per la salute psicofisica del minore, al ricorrere di ipotesi tassative; è fatto salvo, però, un diverso accordo fra le parti. In definitiva il legislatore intende arrogarsi la scelta sul modo migliore per tutelare l’interesse del minore, sottraendola alla valutazione del giudice. La ragione fondamentale, come si sostiene nella relazione introduttiva, è il fallimento nell’applicazione dei principi contenuti nella l. del 2006 - “che sicuramente non rispecchia la volontà del legislatore” – alla luce delle scelte sovente compiute da parte della giurisprudenza. Si vuole poi corroborare tale soluzione richiamando una risoluzione del Consiglio d‘Europa (2079/2015) nella quale si invitano gli Stati ad introdurre nella loro legislazione il principio della shared residence dei figli in caso di separazione, limitando le eccezioni ai casi di abuso o di negligenza verso il minore, o di violenza domestica e ad organizzare il tempo di permanenza in funzione dei bisogni e dell’interesse dei bambini. Pur non avendo la possibilità di dilungarmi quanto è necessario sull’impianto del DDL in oggetto, condivido le perplessità manifestate in queste giornate. Criticabile mi sembra l’idea di fondo che privilegia un irrigidimento dei criteri circa le modalità volte a realizzare un equilibrio nei rapporti fra ciascuno dei genitori ed il figlio, avocandoli al legislatore, ed individuando un presunto principio generale secondo il quale il maggior interesse del minore si persegue assicurando tempi paritetici di permanenza con ciascuno dei genitori; peraltro, come accennato, se ne riduce tuttavia la portata ad un minimo di dodici giorni al mese (sia pure prevedendo “adeguati meccanismi di recupero durante i periodi di vacanza”) per assicurarne un minimo di flessibilità onde non renderlo praticamente irrealizzabile almeno nelle ipotesi di significativa lontananza dei luoghi di abitazione dei genitori. Porre limitazioni così drastiche alla discrezionalità del giudice non appare scelta auspicabile; essa porta ad un appiattimento delle soluzioni che è opportuno invece siano adattate in ragione delle variabilità delle diverse situazioni concrete, al fine del miglior perseguimento dell’interesse del minore, scongiurando il rischio – come si è detto127 – di trasformare il minore in un oggetto da trasportare da una casa all’altra. Età del minore, rapporti pregressi con i genitori, maggiore affinità caratteriale con uno di essi, impegni lavorativi (e connessi spostamenti), luogo di residenza, disponibilità e concreta capacità di provvedere alle esigenze quotidiane del minore costituiscono alcune di tali variabili. Peraltro anche nella famiglia unita accade spesso che i tempi di frequentazione del figlio con i
127
Mr. Bianca, cit.
269
Tommaso Auletta
genitori non siano paritari, ma non è detto che per questa ragione la figura di riferimento sia necessariamente il genitore più presente. È proprio la discrezionalità del giudice lo strumento più idoneo ad assicurare tale flessibilità nella ricerca concreta del maggior interesse di “quel” minore, in un quadro generale secondo il quale devono essere riservate al figlio opportunità equilibrate di frequentazione rispetto a ciascuno dei genitori; la soluzione che intende cancellare la figura del genitore collocatario e comunque stabilire tempi minimi di convivenza del figlio con l’altro genitore appare pericolosa per i motivi indicati e per lo più inutile, in quanto spazi temporali siffatti sono già attualmente garantiti dalla maggior parte dei provvedimenti, ma sempre a ragion veduta, senza privare il giudice della valutazione del caso concreto, per affidarli ad una previsione normativa standardizzata. Figura del genitore con cui il minore vive in prevalenza che peraltro finisce con emergere comunque anche nella visione del riformatore, in quanto, a ben vedere, non si esclude la possibilità che il minore passi la maggior parte del tempo con uno dei genitori. Ciò non significa peraltro che un rigoroso equilibrio nei tempi di convivenza non possa risultare in alcune circostanze la soluzione più idonea a tutelare l’interesse del minore. L’essenza dell’affidamento condiviso non dipende infatti da tempi paritari di permanenza con ciascun genitore – ed infatti la necessità di detto equilibrio è stato ripetutamente esclusa dalla Cassazione128 - quanto dal pieno coinvolgimento di entrambi nella determinazione delle linee fondamentali del progetto educativo riguardante il minore, nell’assunzione delle decisioni fondamentali per la sua vita e per il suo patrimonio (ove sussista), nel riconoscimento di tempi di frequentazione tali (questo sì) da consentire a ciascuno di “essere realmente presente” nella vita del figlio, mettendolo in condizione di assumere consapevolmente le decisioni che lo riguardano. Ciò che rileva è dunque la “significatività” della frequentazione, che si realizza, come accennato, rendendo possibile al genitore la condivisione con il figlio delle principali esperienze di vita (quali ad es., studio, vacanze, tempo libero, pernottamenti, rapporto con gli insegnanti e gli altri educatori). Se ciò è vero, la configurazione di una doppia residenza può costituire soluzione appropriata solo in alcuni casi, e dunque non in linea con la definizione che ne dà il 2° comma dell’art. 43 cc. quale dimora abituale, almeno quando è opportuno individuare un genitore collocatario. Peraltro, pur promuovendo una soluzione siffatta, il Consiglio d’Europa non sembra suggerire l’adozione di una soluzione rigida, bensì additare la strada volta ad individuare una scelta nei tempi di permanenza presso ciascun genitore variabile in funzione dei bisogni e dell’interesse dei bambini. Maggiormente condivisibile è invece la soluzione che prevede il doppio domicilio coincidente con l’abitazione di ciascuno dei
128
V. da ultimo Cass., 10 dicembre 2018, n. 31902 in Famiglia e dir., 2019, 250, con nota di Danovi; Cass., 30 luglio 2018, n. 20151, in Foro It., 2018, I, 3465.
270
Riforme ed evoluzione del diritto di famiglia: riflessioni su un percorso di mezzo secolo
due genitori, presso i quali vanno trasmesse le informazioni più rilevanti (riguardanti la scuola, la salute, ecc.). Modifica da auspicare è invece, a mio parere, il superamento da parte della magistratura dell’idea, ancora diffusa, secondo la quale, nel dubbio, il genitore collocatario debba identificarsi per lo più con la madre, per il ruolo riservatole in natura129. La divisione dei ruoli è da considerarsi datata e non trova più riscontro nell’ordinamento, onde una siffatta opzione di principio può solo valere per bambini in tenerissima età. La tutela del padre non si assicura dunque introducendo tempi paritari di permanenza del figlio con ciascuno dei genitori ma superando i pregiudizi ancora esistenti nell’individuazione del genitore collocatario. Scarsa coerenza mostra poi il riformatore nel prevedere che l’applicazione di detta regola dipenda dalla richiesta e dalla disponibilità di uno dei genitori (salvo comprovato impedimento). Se il diritto del minore alla bigenitorialità dipendesse realmente dalla paritaria frequentazione con ciascuno di essi, la soluzione dovrebbe essere sempre privilegiata dal giudice e costituire ragione per respingere un accordo di diverso contenuto, per contrarietà all’interesse del minore. Ugualmente criticabile è la regola secondo la quale il giudice potrebbe negare i tempi minimi di frequentazione (dodici giorni al mese) nel caso in cui il genitore si renda responsabile di violenza, abusi sessuali, trascuratezza verso il figlio. Trattasi infatti di situazioni che non sempre si affrontano adeguatamente riducendo i periodi di convivenza, bensì prevedendo incontri protetti e, nei casi più gravi, ricorrendo all’affidamento esclusivo all’altro genitore (come attualmente stabilisce la giurisprudenza). Perplessità solleva inoltre la modifica introdotta mediante riformulazione dell’art. 337 quater che intende circoscrivere nel tempo l’affidamento esclusivo. Infatti possono sussistere ragioni per ricorrervi che non vengono meno o la cui durata non sia preventivabile; peraltro non è detto siano coronate da successo le azioni concrete, richiamate dal DDL, che il giudice deve programmare per la loro rimozione (si pensi al genitore violento, o responsabile di abusi). Diversamente è a dirsi, ad esempio, nell’ipotesi in cui il provvedimento venisse assunto per consentire al genitore di curarsi o di scontare una pena carceraria.
129
Superamento riscontrabile in App. Catania, 3 luglio 2017, in Foro it., 2017, I, 3186; Trib. Milano, 19 ottobre 2016, in Banca dati De Jure.
271
Tommaso Auletta
11. segue: mantenimento ed esercizio della responsabilità
genitoriale.
Riguardo alla disciplina del mantenimento, apprezzabile è il fine posto a fondamento della riformulazione dell’art. 337 ter commi 6, 7, 8, operata dal DDL, volta a privilegiare in maniera inequivocabile quello diretto del minore per capitoli di spesa, peraltro già desumibile dalla versione vigente della norma la quale prevede che la liquidazione di un assegno da versare all’altro genitore (per soddisfare i bisogni dei figli minori) sia limitata al caso in cui sia necessario assicurare l’applicazione del principio di proporzionalità nella ripartizione degli oneri relativi al mantenimento, altrimenti “ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli” in misura proporzionale alle sue disponibilità. Sovente non sussistono, infatti, ragioni in virtù delle quali uno dei genitori debba gestire somme di denaro corrisposte dall’altro per sovvenire ai bisogni del figlio. Tale modalità è certamente quella più in linea con la previsione di pariteticità dei tempi di permanenza del figlio con ciascun genitore ma rispondente comunque alla logica ed alle caratteristiche dell’affido condiviso, che vede ambedue i genitori ugualmente protagonisti nel rapporto con il figlio ed alla linea di continuità tra famiglia unita e famiglia in crisi tracciata dalle legge, pur senza sottovalutare i maggiori rischi di inadempimento; quest’ultimo è il motivo che rende la giurisprudenza per lo più restia ad adottarla. Ne conseguente che la liquidazione di un assegno, da corrispondersi da un genitore all’altro, debba avvenire al fine di favorire l’effettivo esercizio dei poteri connessi alla responsabilità genitoriale (ad es., consentire al genitore meno abbiente di compiere le scelte relative alla vita quotidiana, potendo contare sulla disponibilità delle risorse necessarie), in funzione perequativa, oppure ove sussistano altri motivi che la giustifichino (ad es., l’inadempimento totale o parziale). Non si comprende peraltro la ragione per la quale il DDL preveda una liquidazione solo temporanea, potendosi configurare certamente anche una situazione di stabile durata. La determinazione della misura del mantenimento dovuto da ciascuno dei genitori (eventualmente con la determinazione dell’assegno) riguarda, secondo giurisprudenza consolidata, le spese ordinarie. Interessanti sono le problematiche e le soluzioni illustrate130 inerenti invece alla corresponsione delle spese straordinarie, quelle cioè che – in via di prima approssimazione – non sono preventivabili per natura o entità; dubbi possono emergere infatti sulla identificazione concreta, e sulla fondatezza della pretesa alla compartecipazione quando sono assunte unilateralmente; non sempre esse scaturiscono da decisioni straordinarie che richiedono l’accordo dei coniugi, onde chi le ha sostenute potrebbe legittimamente chiederne la parziale restituzione anche in presenza di decisione
130
R. D’Agata, Spese straordinarie, intervento al Convegno CT.
272
Riforme ed evoluzione del diritto di famiglia: riflessioni su un percorso di mezzo secolo
unilaterale131. La procedura potrebbe essere lunga e complessa, ove si adotti la soluzione secondo la quale il creditore deve dotarsi di specifico titolo esecutivo. Per prevenire le controversie alcuni tribunali hanno intrapreso la strada di specificare, nel provvedimento con cui si dispone l’affidamento, le spese coperte dall’assegno e quelle da considerarsi straordinarie e la misura a carico di ciascun genitore132, o di elaborare protocolli nel contesto dei quali distinguere la tipologia delle spese enumerando e distinguendo quelle che devono essere deliberate di comune accordo dalle altre che possono rimettersi alla decisione unilaterale. Non del tutto scongiurato è l’inconveniente rappresentato dalla difformità dei criteri adottati da ciascun tribunale e della loro solo parziale diffusione. Con riferimento al mantenimento del figlio maggiorenne, da valutare positivamente è la soluzione presente nel DDL secondo la quale egli ne è esclusivo titolare, senza eccezioni, eliminando la possibilità, oggi prevista dalla norma in vigore, che il giudice ne disponga il pagamento a favore di un genitore (normalmente quello con cui il maggiorenne risiede), perché coerente con l’intento normativo di escludere che un genitore gestisca le risorse corrisposte dall’altro a questo fine. Essendo richiesta la domanda dell’interessato si profila il problema legato al passaggio del figlio dalla minore alla maggiore età, attualmente risolto per lo più dagli interpreti nel senso che, fino al mutamento della modalità di corresponsione, il genitore al quale veniva precedentemente versato mantiene tale diritto in mancanza di domanda del figlio133. Soluzione a mio avviso non soddisfacente anche alla luce del mutamento del quadro normativo di riferimento (introdotto, in verità, già dalla legge del 2006) che prevede una “residualità” dell’ipotesi, in virtù del normale ricorso al mantenimento diretto. Al raggiungimento della maggiore età, a mio avviso, cessa automaticamente la legittimazione del genitore titolare di percepire l’assegno134 onde l’obbligato potrebbe liberarsi versando l’assegno al figlio e continuando a soddisfare le altre sue esigenze mediante il mantenimento diretto (se tali erano la modalità di corresponsione prima del raggiungimento della maggiore età). L’adempimento diretto non è tuttavia contemplato dalla nuova normativa contenuta nel DDL. Il figlio maggiorenne dovrà quindi avanzare domanda per ottenerne la liquidazione in forma di assegno ove non venga raggiunto l’accordo previsto (riferimento al piano genitoriale) dall’art. 337 septies. È da valutare positivamente, in linea di principio, anche la parziale riformulazione delle regole relative all’esercizio della responsabilità genitoriale, in quanto consentono di supe-
131
La giurisprudenza più recente ritiene che possa esserne richiesto comunque il rimborso se le spese hanno soddisfatto un apprezzabile interesse del minore e rientrano nelle possibilità economiche dei genitori: v. ad es., Cass., 6 settembre 2018, n. 21726; Cass., 27 gennaio 2018, n. 1070; Cass., 23 febbraio 2017, n. 4753, in Famiglia e dir., 2017, 586; Cass., 15 febbraio 2017, n. 4060; Cass., 3 febbraio 2016, n. 2127, ivi, 2016, 648. Ma in senso diverso Trib. Trieste, 5 settembre 2018, in Banca dati Pluris. 132 Cfr. Trib. Bolzano, 11 maggio 2018, in Famiglia e dir., 2018, 917, onde esso costituisce titolo esecutivo per procedere al recupero da parte del genitore che le ha sostenute. 133 V. da ultimo, Cass., 9 luglio 2018, n. 18008; Cass., 14 dicembre 2018, n. 32529. 134 Soluzione che la giurisprudenza già applica peraltro nell’ipotesi in cui cessi la convivenza del figlio con il genitore (con)titolare dell’assegno. V. ad es., Trib. Padova, 13 giugno 2018, in Banca dati Pluris.
273
Tommaso Auletta
rare più agevolmente alcuni dubbi interpretativi. Si pensi innanzitutto, al più preciso riferimento rispetto alla norma vigente, alle regole da seguire per l’assunzione delle decisioni relative alla vita quotidiana, rimettendo la decisione al genitore con cui il figlio si trova in quel momento. La norma vigente (art. 337 ter, 3° comma) parla invece equivocamente di decisioni relative all’”ordinaria amministrazione” (di qui l’ammissibile dubbio che non ci si riferisca a decisioni di carattere esistenziale) rimettendo al giudice la possibilità di disporre l’esercizio della responsabilità genitoriale separata. Ne sarebbe stato opportuno però il completamento mediante disposizioni riguardanti l’amministrazione dei beni del minore. Le norme mettono inoltre bene in risalto l’importanza dell’accordo dei genitori riguardo al piano formativo da adottare, volto a determinare le linee educative per la cura e lo sviluppo della prole; trattasi del presupposto essenziale, a mio avviso, per dare vita all’affidamento condiviso. Perplessità suscita tuttavia la soluzione che rimette al giudice la redazione del piano, nel caso di disaccordo dei genitori. Tracciare queste linee fondamentali è indubbiamente compito esclusivo dei genitori, affidato loro dall’art. 30 della costituzione, a cui non può sostituirsi il giudice. È discutibile, invece, che in presenza di visioni di vita profondamente differenti da parte dei medesimi possa darsi luogo ugualmente all’affidamento condiviso, senza rischiare di esporre il minore ad un ricorrente conflitto. Solo sulla base di questo presupposto potranno poi funzionare adeguatamente le regole di esercizio della responsabilità genitoriale. Si pensi ad esempio, a quanto potrebbe accadere, in mancanza di accordo sulle linee fondamentali del piano educativo, in occasione dell’assunzione delle decisioni quotidiane da parte del genitore con cui il figlio si trova: la loro contraddittorietà rischierebbe di provocare disorientamento nel minore con effetti negativi facilmente intuibili. Almeno inizialmente, l’accordo potrà riguardare anche solo alcuni punti fondamentali (e più urgenti della linea educativa) da svilupparsi in un secondo momento. È difficile infatti che nel corso di un procedimento di separazione giudiziale o di divorzio conflittuale i genitori siano in grado di raggiungere un accordo completo, dalla cui esistenza dipenderebbe poi la possibilità di procedere all’affidamento condiviso135. Opportuna sembra anche la puntualizzazione della regola che rimette all’accordo dei genitori il mutamento di residenza del minore, anche se riserve possono muoversi sulla necessità della forma scritta, dalla quale dipenderebbe poi (più esattamente) la validità e non l’efficacia del medesimo (come specificato impropriamente dal DDL). Regola che, negli obiettivi, tende a privare di fondamento la soluzione, attualmente adottata in alcuni casi dalla giurisprudenza, secondo la quale, in nome dell’interesse del minore, è consigliabile non modificare la situazione di fatto, creata dal genitore in seguito alla violazione delle
135
Una interpretazione siffatta è quella che consente in concreto di realizzare il favore normativo per tale modalità di affidamento. Peraltro è quanto accade normalmente nella determinazione dell’indirizzo di vita che i coniugi devono concordare ai sensi dell’art. 144 cc.
274
Riforme ed evoluzione del diritto di famiglia: riflessioni su un percorso di mezzo secolo
disposizioni sulla responsabilità parentale, in tutte le ipotesi in cui si è verificato un radicamento del minore in un determinato luogo136. Si finirebbe altrimenti con l‘incoraggiare e indirettamente legittimare comportamenti che è necessario prevenire. Troppo generico e fonte di incertezza è poi il dettato che affida all’autorità di pubblica sicurezza di adoperarsi per ricondurre il minore alla sua residenza. Tale disegno non può innanzitutto realizzarsi nell’ipotesi (peraltro la più frequente) in cui il mutamento di residenza del minore si accompagni a quella del genitore collocatario, in quanto occorre un intervento del giudice volto a modificare le modalità dell’affidamento. È comunque sempre da scongiurare l’uso della forza per ricondurre il minore alla residenza originaria.
12. segue: La casa familiare. Disciplina di cesura tra i rapporti patrimoniali e personali nella famiglia è quella relativa alla casa familiare (un tempo maritale). Essa non costituisce un bene qualsiasi bensì il centro, il punto di riferimento della vita di coppia, a prescindere dalla sua titolarità. Di qui la particolare tutela, anche dal punto di vista successorio, garantita al coniuge, ed introdotta dalla riforma del 1975, mediante il riconoscimento di un diritto di abitazione, e di recente estesa anche all’unito civilmente, diritto facente parte della porzione legittima. Esso, si è posto in luce137, tende ad assicurare al componente superstite della coppia la “memoria” dell’unione passata e dunque risponde innanzitutto ad un interesse non patrimoniale. Tale diritto, proprio per tale ragione, prevale su altri in conflitto, di natura patrimoniale, di cui sono portatori gli altri eredi o il proprietario che ha concesso l’immobile in godimento al conduttore defunto. L’importanza del profilo esistenziale della casa emerge anche dalla recente disciplina sulla convivenza nella quale viene confermato, al comma 44 della l. 76/2016, che nel caso di morte del conduttore, il convivente ha facoltà di succedergli nel contratto; una nuova regola, introdotta dal comma 42, gli riconosce poi, con riferimento all’ipotesi di morte del proprietario dell’immobile, il diritto di continuare ad abitarvi almeno per due anni (elevati a tre se con lui abitino figli minori o disabili) o per un periodo maggiore, pari alla durata della convivenza fino ad un massimo di cinque anni. Importante è il riferimento ad un termine più lungo a tutela dei figli del convivente (minori, disabili, ma non anche maggiorenni non autonomi economicamente) perché non solo conferma il principio volto a tenere in particolare considerazione l’interesse dei figli alla continuità del rapporto con la casa familiare (di cui si parlerà in seguito più diffusamente), ma tutela gli interessi riguardanti la famiglia rinnovata (o ricomposta). I figli presi in considerazione – è stato
136 137
V. citaz. a nota 124. Mr. Bianca, cit.
275
Tommaso Auletta
sottolineato138 - sono infatti quelli unilaterali del convivente perché riguardo ai figli comuni trova applicazione il principio generale enunciato nell’art. 337 sexies, secondo il quale il diritto di abitazione dura, a loro vantaggio, fino al raggiungimento dell’autonomia economica, in tutti i casi di scioglimento dell’unione (dunque anche di quella non fondata sul matrimonio, in virtù dell’unificazione della disciplina, a prescindere dallo stato del figlio). Riguardo al tema in esame, non meno importanti sono le regole riguardanti il diritto di godimento sulla casa familiare nel caso di crisi della famiglia, introdotto solo con la legge 74/1987 (la quale ha riformulato, tra gli altri, il previgente art. 6 l. 898/1970) non previsto dalla riforma del 1975 nel contesto della separazione. L’irragionevole discrasia era stata superata mediante interpretazione analogica prima e successivamente con l’introduzione di apposita previsione (art. 155 quater). Le diversità nella formulazione delle due norme hanno creato almeno due problemi interpretativi per i quali si sono proposte linee di lettura condivisibili139; problemi riguardanti: a) i criteri di attribuzione del diritto; b) la ricostruzione delle regole concernenti l’opponibilità ai terzi. Riguardo al primo punto è stato posto in luce come il criterio prevalente sia costituito dall’interesse dei figli minori, o diversamente abili, o non autonomi economicamente (a prescindere dal loro status) di non mutare ambiente di vita, per non accrescere il disorientamento già derivante inevitabilmente dalla crisi; dunque un interesse di natura esistenziale, quantunque il valore economico del godimento non debba essere ignorato. È ormai consolidata la tesi secondo la quale il giudice non possa riconoscere il diritto quale modalità di corresponsione dell’assegno di mantenimento dovuto al coniuge più debole. Eccezionalmente però anche in capo al coniuge separato (all’ex coniuge o al già unito civilmente) è riconducibile l’interesse “esistenziale” meritevole di tutela a rimanere nella casa ove ricorra una causa di accentuata debolezza non economica (si pensi alla persona diversamente abile o gravemente ammalata). È possibile individuare nel testo e nella ratio delle norme, con riferimento a queste ipotesi, elementi su cui fondare l’attribuzione del diritto di godimento, senza alterare l’opzione normativa tendente a limitare il sacrificio a cui viene esposto il proprietario dell’immobile solo ove si configuri un interesse sovraordinato contrapposto (normalmente quello dei figli ma eccezionalmente anche quello del coniuge). La giurisprudenza peraltro non è di questo avviso neppure in questo caso. Una regola particolare è prevista invece nel rapporto fra i conviventi ove non entrino in gioco gli interessi dei figli della coppia. Infatti nel caso di recesso dal contratto di convivenza, il recedente proprietario, deve concedere all’altro un termine non inferiore a novanta giorni entro il quale dovrà lasciare l’abitazione (comma 61, l. 2016). Trattasi di soluzione che garantisce un equo contemperamento degli interessi contrapposti. La brusca estromissione dalla casa finirebbe infatti col porsi in contrasto col rapporto solidaristico
138 139
Mr. Bianca, cit. Nella relazione di Mr. Bianca, cit.
276
Riforme ed evoluzione del diritto di famiglia: riflessioni su un percorso di mezzo secolo
caratterizzante la comunione di vita che si realizza anche con la convivenza, onde il convivente non può considerarsi un mero ospite, come già una parte della giurisprudenza aveva messo in luce140 prima del 2016. Essa risulta pertanto appropriata e ragionevole ma non ne è condivisibile la limitazione, contenuta nella legge, all’ipotesi in cui sia stato stipulato – come si è detto – un contratto di convivenza, a prescindere dal fatto che in esso sia inserita una regolamentazione relativa alla casa familiare. Appare allora auspicabile che la giurisprudenza privilegi una interpretazione non restrittiva di tale regola, riconoscendo il diritto anche in mancanza del contratto menzionato, accogliendo il suggerimento secondo il quale il riferimento va ricollegato alla risoluzione del rapporto e non necessariamente del contratto di convivenza141, tenuto anche conto – come accennato - che già prima dell’entrata in vigore della legge del 2016 si era tendenzialmente affermato un indirizzo giurisprudenziale in tal senso. In contrario non vale osservare che mediante tale disciplina si contraddice la regola secondo la quale le parti devono essere libere di sciogliere la convivenza senza limitazione alcuna, non avendo voluto formalizzare la loro unione. Ciò è certamente vero, ma è altrettanto vero che hanno inteso pur sempre costituire una famiglia cioè una comunione di vita fondata sulla solidarietà, dunque devono accettarne alcune conseguenze. Peraltro è nota la distinzione che corre fra coabitazione e convivenza, basti pensare che la giurisprudenza non nega la separazione per il solo fatto che i coniugi continuino a vivere insieme nella casa familiare142 e che, al fine della riconciliazione, non è sufficiente che i coniugi riprendano a coabitare. Riguardo invece al regime di opponibilità è senz’altro da accogliere il suggerimento secondo il quale esso è integralmente affidato alle regole sulla trascrizione contenute nell’art. 337 sexies, onde il diritto è opponibile al creditore pignorante o all’acquirente se è stato trascritto in data anteriore143. Come è noto, tuttavia, incontra ancora consensi l’indirizzo interpretativo che, ritenendo applicabile anche l’art. 6 l. div. (il quale fa rinvio all’art. 1599 cc.), ammette l’opponibilità del diritto nei limiti del novennio anche se non trascritto144. Più complesso è il problema circa l’opponibilità del diritto riconosciuto al convivente nel contratto volto a regolare il rapporto, ove non sia configurabile a suo favore un diritto reale di abitazione, soggetto a trascrizione, ai sensi dell’art. 2643 n. 4 cc. È da ricordare infine che il DDL Pillon intende introdurre modifiche anche alla disciplina in esame, stabilendo che il coniuge il quale continua a risiedere nella casa familiare
140
Cass., 15 settembre 2014, n. 19423; Cass., 2 gennaio 2014, n. 7, in Famiglia e dir., 2014, 664; Cass., 21 marzo 2013, n. 7214, in Guida al dir., 2013, 17, 54. A differenza dell’ospite il convivente gode infatti del bene in seguito ad una stabile convivenza progettata concordemente. 141 Mr. Bianca, cit. 142 Cass., 21 marzo 2000, n. 3323, in Guida al dir., 2000, 13, 58. 143 Mr. Bianca, cit. 144 L’orientamento è diffuso in giurisprudenza. V. ad es., Cass., 24 gennaio 2018, n. 1744, in Famiglia e dir, 2018, 411; Cass., 17 marzo 2017, n. 7007.
277
Tommaso Auletta
“è comunque tenuto a versare al proprietario un indennizzo pari al canone di locazione, valutato sulla base dei correnti prezzi di mercato”. Impropriamente in realtà si fa riferimento all’intero importo, perché dovrà tenersi conto sia dell’eventuale diritto di comproprietà della casa spettante all’assegnatario, sia del valore del godimento a vantaggio del figlio, onere gravante anche il proprietario coobbligato al suo mantenimento. Se poi al titolare del diritto di abitazione spetta l’assegno di mantenimento (non essendo in grado di provvedervi autonomamente) la corresponsione del canone così determinato potrebbe risultare una mera partita di giro. La soluzione risulterà invece particolarmente penalizzante per il convivente non abbiente, perché questi non ha diritto all’assegno di mantenimento volto ad ovviare alla disparità economica derivante dallo scioglimento dell’unione (salvo specifica previsione nel contratto di convivenza) e che proprio per la sua condizione potrebbe non essere in condizione di garantire spazi di vita adeguati in funzione della crescita del minore, onde per tale ragione potrebbe subire discriminazioni nei tempi di frequentazione del figlio, a dispetto di quanto previsto dalla nuova versione dell’art. 337 ter che il DDL intenderebbe introdurre.
13. La filiazione: criteri costitutivi del rapporto. Passando adesso ad esaminare le principali questioni relative al rapporto di filiazione occorre rilevare innanzitutto che fondamento del rapporto genitoriale storicamente consolidato, accolto dal nostro come dalla generalità degli altri ordinamenti, il quale trova conferma in documenti sovranazionali, è quello della derivazione genetica; esso si applica a prescindere dalla volontà dei genitori di procreare146. Se si eccettua il caso dell’adozione, infatti, è condivisa l’opinione secondo la quale è preferibile per ogni persona poter contare sulla “solidarietà biologica”, cioè ricevere assistenza, istruzione, mantenimento dai genitori genetici, la cui ricerca viene dunque favorita (favor veritatis); principio peraltro non assoluto ma temperato, in maniera più o meno ampia, nel corso degli anni, dal c.d. favor legitimitatis. Non si esclude infatti che detta ricerca possa essere limitata o impedita per consentire alla persona di acquisire o mantenere lo stato di figlio rispetto ad una coppia unita in matrimonio, quantunque non corrispondente ai genitori genetici, in virtù della maggior tutela riservata, almeno un tempo, ai c.d. figli legittimi. Di recente la legge e la giurisprudenza hanno valorizzato anche l’interesse del figlio alla “stabilità dello stato”, a prescindere dal fatto che esso si fondi o meno sul matrimonio dei genitori, onde la rimozione di uno stato consolidato, anche se non rispondente al vero, potrebbe non realizzare 145
145 146
Che, si è detto, è ormai divenuto rapporto centrale nell’economia generale del moderno diritto di famiglia: M. Sesta, cit. Cass., 25 settembre 2013, n. 21882, in Famiglia e dir., 2014, 921, con nota di Farolfi; Cass., 18 novembre 1992, n. 12350, in Nuova giur. civ. comm., 1993, I, 933, con nota di Maggiolo.
278
Riforme ed evoluzione del diritto di famiglia: riflessioni su un percorso di mezzo secolo
l’interesse di colui che risulta come figlio. Si profila dunque la figura del genitore sociale, il quale si è preso cura del minore pur non avendo contribuito geneticamente alla sua generazione. La prevalenza di uno dei criteri menzionati rispetto agli altri ha subito nel tempo importanti modifiche, riconducibili in parte alla riforma del 1975, in parte a quella del 2012/13 (che ha portato all’unificazione dello stato filiale) ed ancora all’intervento della Corte costituzionale che ha consentito il ricorso a pratiche di fecondazione eterologa147. Nuove problematiche sono sorte in seguito al diffondersi appunto della pratiche di fecondazione in vitro, alle quali, sia pure con ritardo, l’ordinamento ha inteso dare, almeno parzialmente, risposta mediante la legge 40/2004. In particolare, il criterio della derivazione genetica viene abbandonato nel caso di ricorso a fecondazione eterologa, negando la genitorialità del donatore o della donatrice dei gameti per riconoscerla ai c.d. genitori sociali148. Più delicata è l’individuazione del criterio da applicare nel caso di sdoppiamento del ruolo materno derivante dal ricorso alla surrogazione di maternità, problema che un tempo non si poneva: oggi infatti diversa può essere la madre gestante da quella genetica, onde nel caso di conflitto occorre stabilire quali dei due ruoli debba risultare prevalente. Il ruolo della gestante è considerato l’unico rilevante dall’art. 269, comma 3 cc. in quanto stranamente il legislatore, nel porre il divieto del ricorso alla maternità surrogata, ha preferito non prospettare alcuna soluzione per il caso di violazione del medesimo, a differenza dell’ipotesi di violazione del divieto di fecondazione eterologa (contenuto nella versione originaria della legge 40/2004). Per risolvere il problema si è suggerito149, presupponendo una lacuna nell’ordinamento, il ricorso ai principi generali, in virtù dei quali viene privilegiato il criterio di derivazione biologica (ove la madre surrogata non lo sia anche dal punto di vista genetico), anche al fine di garantire la parità di trattamento dei genitori. Potrebbe però obiettarsi che proprio il silenzio della legge al riguardo senza un riconoscimento del ruolo della madre genetica (anche quando è madre sociale) sottende in realtà una scelta a favore della partoriente. Tuttavia è indubbio che quando la madre surrogata intende abdicare al proprio ruolo potrebbe assumere rilevanza il principio generale menzionato, di rilevanza della derivazione genetica mentre l’interesse del figlio alla bigenitorialità (come si dirà tra breve) potrebbe costituire fondamento per riconoscere il ruolo della madre sociale quando essa non è anche madre genetica150. Il problema si complica ove la surrogazione sia avvenuta all’estero e l’ordinamento di quel Paese riconosca prevalenza alla madre sociale, considerandola tale a tutti gli effetti, ma la nostra giurisprudenza tende ormai ad
147
C. Cost., 10 giugno 2014, n. 162, cit. Per tale ragione, rileva A. Gorassini, cit., si è verificata ormai una frantumazione della figura dei genitori. 149 L. Lenti, cit. 150 V. in tal senso, Corte EDU, 27 gennaio 2015, n. 25358/12, in Nuova giur. civ. comm, 2015, I, 828, con nota di Schuster. 148
279
Tommaso Auletta
imporre il riconoscimento nell’ordinamento interno dello status acquisito all’estero151, con conseguente rilevanza della c.d. genitorialità sociale152. Altro principio che assume rilevanza nel bilanciamento dei diversi criteri è quello volto a tutelare l’interesse del figlio alla bigenitorialità, cioè ad essere assistito curato e mantenuto da entrambi i genitori – come già si è visto a proposito dei criteri dell’affidamento – anch’esso però non privo di eccezioni153. Ma ormai sembra possibile ipotizzare persino un interesse alla plurigenitorialità. Dubbia è poi la rilevanza della diversità sessuale dei genitori, questione insussistente fin quando il concepimento poteva scaturire solo dall’atto sessuale, ma non così al giorno d’oggi in cui la coppia può sottoporsi – come si è detto - a pratiche di fecondazione eterologa o ricorrere alla surrogazione di maternità. Anche quest’ultimo principio potrebbe dunque incontrare eccezioni ove tali pratiche fossero consentite o comunque essere riconosciuto il ruolo genitoriale assunto dalla coppia omosessuale in seguito alla violazione delle regole. In un quadro così complesso e variegato non è semplice tentare una sintesi esaustiva di quanto emerso dai lavori di questi giorni. Espressione del favor veritatis sono, ad esempio, la riconoscibilità dei figli adulterini (riforma del 1975) e di quelli incestuosi (riforma del 2012), sia pure, per questi ultimi, previa verifica da parte del giudice dell’interesse del minore (nel caso di maggiorenne infatti la valutazione spetta solo a lui); l’ampliamento operato dalla riforma del 1975 dei legittimati ad esperire l’azione di disconoscimento, dei tempi per agire e del loro decorso (in alcuni casi anche dopo la nascita); l’eliminazione della prova richiesta per potere poi dimostrare l’incompatibilità genetica tra padre e figlio (mediante interpretazione giurisprudenziale prima e intervento normativo poi, nel contesto della riforma del 2012/13); l’imprescrittibilità dell’azione per il figlio che non mostri interesse per mantenere un legame col genitore sociale ma non genetico154, come anche per la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità; nonché dell’azione di contestazione dello stato di figlio, applicabile, però, a qualsiasi legittimato; dell’azione di reclamo della legittimità, con un rilevante vulnus ove si acceda alla tesi che essa vada negata ai veri genitori; la possibilità di impugnare il riconoscimento da parte di qualsiasi interessato, ivi compreso il suo autore (legittimazione
151
Cfr. citaz. a nota 44. Ma in senso contrario, Cass., 26 settembre 2014, n. 24001, in Nuova giur. civ. comm., 2015, I, 235, con nota di C. Benanti, che non ha riconosciuto lo status acquisito all’estero dal minore non solo per contrarietà all’ordine pubblico ma anche perché ottenuto in violazione delle regole ivi vigenti; e da ultimo Cass., 8 maggio 2019, n. 12193, in questa rivista, 2019, 345, con nota di M. Bianca e Giust. civile.com., 2019, con nota di Salanitro, le quali considerano intrascrivibile, per contrarietà all’ordine pubblico, l’atto di nascita straniero formato sulla base del ricorso a maternità surrogata in quanto la pratica si pone in contrasto con i valori fondamentali dell’adozione e di rispetto della dignità della persona. In senso contrario si è però espressa altresì la Corte EDU, 27 gennaio 2015, cit. 152 Cfr. Trib. Pistoia, 5 luglio 2018, in www.articolo 29.it. 153 V. in proposito M. Mantovani, cit., la quale sottolinea che l’interesse del figlio deve valutarsi in concreto, escludendo che esso sussista quando il genitore non intende esercitare il proprio ruolo educativo, onde il tal caso sarebbe preferibile imporgli solamente l’onere del mantenimento ex art. 279 cc. 154 Nessuno infatti potrebbe sovrapporsi alla sua valutazione circa la convenienza della scelta quando non sia possibile l’acquisizione del genitore genetico ad es., perché sconosciuto.
280
Riforme ed evoluzione del diritto di famiglia: riflessioni su un percorso di mezzo secolo
quest’ultima negata nel caso di mala fede di quest’ultimo da una corrente di pensiero che ha qualche seguito anche in giurisprudenza155). Nella medesima prospettiva si colloca la possibilità ormai riconosciuta alla madre coniugata di procedere al riconoscimento del figlio, al momento di formazione dell’atto di nascita, precisando che il marito non è il padre; non potendosi negare peraltro l’inconveniente che non esiste alcuna sicurezza sulla veridicità della dichiarazione e che in tal modo essa diviene sostanzialmente arbitra della privazione dello stato nei confronti del marito stesso (temperato del fatto che normalmente è proprio quest’ultimo a trovarsi più facilmente in condizione di rendere la dichiarazione di nascita). Contrari al favor veritatis sono l’ammissibilità del parto anonimo, l’interpretazione secondo la quale il padre non può procedere al riconoscimento del figlio prima della sua nascita in mancanza del contemporaneo riconoscimento da parte della madre; la possibilità attribuita all’autore del riconoscimento, pur rispondente a verità, ma viziato da violenza o incapacità di impugnarlo (pur potendosene ammettere la giustificazione ma sotto il profilo della natura del riconoscimento). Sono espressione del favor legitimitatis, ad es., la possibilità, un tempo concessa al marito (almeno secondo una corrente di pensiero), di disconoscere il figlio nato prima di 180 giorni dalla celebrazione del matrimonio (poi venuta meno in base all’attuale versione dell’art. 231 cc.); la singolarità dell’arco di tempo previsto per l’attivarsi della presunzione di paternità del marito, essendo improbabile che egli sia autore del concepimento sino alla soglia di dieci mesi successivi all’annullamento, scioglimento del matrimonio o separazione dei coniugi; la limitazione di tempo per esercitare l’azione di disconoscimento da parte del padre e della madre e la negata legittimazione all’azione di colui che assume di essere il vero padre (in quanto il curatore speciale eventualmente nominato al minore può agire solo del suo interesse e non anche del vero genitore); l’inammissibilità del disconoscimento, prospettata da una corrente di pensiero, nel caso di violenza subita dalla moglie (la quale risponde peraltro al condivisibile criterio di tutela della donna che non è venuta meno al suo dovere di fedeltà). Rispondono (anche) alla tutela dell’interesse del figlio alla bigenitorialità la possibilità di agire senza limiti di tempo per il reclamo della stato e la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità; la scomparsa del divieto di riconoscimento dei figli adulterini (da parte del genitore unito in matrimonio) ed incestuosi (sia pur con limiti) ed inoltre il divieto per la coppia che è ricorsa alla fecondazione eterologa di contestare il rapporto genitoriale costituito in base ad una pratica posta in essere per comune decisione. Analogo principio potrebbe applicarsi ai genitori sociali, ma non genetici che sono ricorsi alla surrogazione di maternità, ove la partoriente non intenda acquisire il proprio ruolo. il divieto
155
Trib. Firenze, 30 luglio 2015, in Foro it., 2015, I, 3113; Trib. Roma, 17 ottobre 2012, in Famiglia e dir., 2013, 909, con nota di Farolfi. Ma avversata dalla Cassazione: v. ad es., Cass., 24 maggio 1991, n. 5886, in Giust.civ., 1992, I, 775.
281
Tommaso Auletta
di PMA delle donna dopo la morte del marito o del partner (peraltro non applicabile se l’embrione è già formato). Alla luce di tale interesse potrebbe risolversi il problema, a cui la legge 40/2004 non dà risposta, circa l’attribuzione della paternità al marito o al convivente, quantunque nel corso della pratica siano state violate le regole, previste dall’art. 5, relative ai requisiti previsti per la coppia che vi si sottopone ed in particolare quelli che ne disciplinano il consenso. Anche riguardo a quest’ultimo difetto è ipotizzabile, infatti, che nel caso di fecondazione omologa l’interesse del figlio alla bigenitorialità debba avere il sopravvento, soprattutto in vista dell’assunzione degli oneri economici. Resta però il dubbio se l’interesse al mantenimento non possa adeguatamente realizzarsi mediante il risarcimento posto a carico di chi si è reso autore della violazione; mentre, sotto il profilo della cura del minore poco funzionale appare, in ultima analisi, l’imposizione di un ruolo che il genitore probabilmente non intenderà comunque esercitare156. Confliggono con la tutela dell’interesse del figlio alla bigenitorialità la tutela della decisione della madre di rimanere nell’anonimato (che si giustifica per la prevalenza dell’interesse del medesimo, a nascere scongiurando che la donna decida di abortire); il rifiuto da parte del giudice, nell’interesse del minore, di autorizzare il riconoscimento da parte del genitore incestuoso in mala fede, (valutazione a lui sottratta, come detto in precedenza, una volta che il figlio abbia raggiunto la maggiore età); la possibilità attribuita al genitore che ha riconosciuto per primo di opporsi al secondo riconoscimento (opposizione peraltro superabile mediante un procedimento più semplice rispetto al passato, alla luce della nuova versione dell’art. 250, 4° comma cc. introdotta dalla riforma del 2012/13 volto a verificare se l’opposizione risponda o meno all’interesse del minore157); e quella concessa al marito od al convivente di agire in giudizio per rimuovere lo status, acquisito nei suoi confronti, qualora non abbia dato il consenso alla fecondazione eterologa. In alcune circostanze infine può configurarsi un interesse alla pluri-genitorialità: si pensi ad es., al caso della c.d. adozione mite, all’affidamento familiare, ai rapporti che nascono dalla ricomposizione familiare, alla maternità surrogata alla quale ricorra una coppia che le affidi lo sviluppo del proprio embrione o di un embrione formato con gameti di due donatori158; per non parlare poi dei rapporti che sorgono in seno alle famiglia poligamiche o poliandriche. Complessità di rapporti (e problematiche su cui non è possibile soffermarsi in questa sede) alla cui conservazione e valorizzazione il figlio può avere interesse. Il suo interesse alla stabilità dello status viene invece tutelato, ad esempio, dalla decadenza dall’azione di disconoscimento ed impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità per i legittimati diversi dal figlio (ma stranamente non per l’impugnazione dello
156
In prospettiva più generale v. i convincenti rilievi, espressi da M. Mantovani, cit., secondo i quali non risponde all’interesse del minore acquisire lo stato di figlio di un genitore che non intende esercitare il proprio ruolo di cura del medesimo. 157 V. quanto detto alla nota 153. 158 In casi estremi i soggetti coinvolti nella pratica possono essere addirittura cinque: la partoriente, la donatrice e il donatore dei gameti, i genitori sociali anche se poi solo rispetto a questi ultimi viene costituito il rapporto genitoriale onde in concreto la situazione posta in essere è quella di una bigenitorialità.
282
Riforme ed evoluzione del diritto di famiglia: riflessioni su un percorso di mezzo secolo
stato di figlio nato nel matrimonio); richiedendo il consenso al secondo riconoscimento da parte del genitore che l’abbia già effettuato o l’assenso del figlio che abbia compiuto quattordici anni nonché il consenso di quest’ultimo per promuovere o proseguire l’azione volta a dichiararne giudizialmente la paternità o la maternità; dal ricorso ad un curatore speciale per l’esercizio delle azioni volte a modificarne lo status, appunto solo qualora sussista l’interesse del minore159. Infine occorre sottolineare come sempre più frequenti siano le ipotesi in cui il figlio, nel rispetto del principio di bigenitorialità, possa anche avere come genitori, riconosciuti dall’ordinamento, persone del medesimo sesso, per lo più sulla base di regole vigenti in ordinamenti stranieri le quali, alla luce della giurisprudenza più recente e ormai largamente prevalente, possono trovare in linea di principio riconoscimento nel nostro Paese160. È noto infatti che tale situazione non può scaturire da interventi praticati in Italia in quanto secondo la legge 40/2004 è legittimata ad accedere alla PMA solo una coppia di sesso diverso161, onde il rapporto genitoriale viene tutelato, richiamando l’interesse del minore, quantunque posto in essere in violazione delle norme interne. Analogamente è a dirsi nel caso di adozione da parte di persone del medesimo sesso essendo la medesima riservata alla coppie di sesso diverso. Si configura una doppia genitorialità maschile nel caso di ricorso a surrogazione di maternità da parte di due uomini uniti in matrimonio o conviventi, uno dei quali può essere anche padre genetico162 (situazione che si configura riguardo a ciascuno dei due nel caso di più embrioni fecondati in vitro e poi impiantati nella madre portante163), oppure nel caso di adozione da parte di due uomini. Ancor più numerosi possono presentarsi i casi di una doppia (o plurima) genitorialità femminile: a) procreazione assistita nella quale si configuri una madre gestante ed una genetica (fecondata con seme di donatore164) oppure una madre gestante e genetica ed altra sociale (eventualmente adottiva)165; b) ricorso a maternità surrogata da parte di madre
159
Onde il favor veritatis non assume assoluta prevalenza proprio perché potrebbe porsi in contrasto con l’interesse del minore. Spetta dunque al curatore valutare se l’interesse del minore si realizzi mantenendo in vita uno status non rispondente al vero ma che gli garantisca stabilità di vita o agire per il suo l’adeguamento alla realtà genetica: cfr. Cost., 18 dicembre 2017, n. 272, in Corr. giur, 2018, 446, con nota di Ferrando nonché i commenti, rispettivamente, di Gorgoni e di Salanitro, in Nuova giur. civ. comm., 2018, 540 ss.; 552 ss. Riguardo alla individuazione della fase in cui occorra procedere alla valutazione di tale interesse v. M. Mantovani, cit. 160 V. citaz. Alle note 162, 163, 164, 165, 166. 161 Trib. Pordenone, 2 luglio 2018, in Famiglia e dir., 2018, 1091, ha tuttavia sollevato questione di costituzionalità del divieto, posto dagli artt. 5 e 12, commi 2,9,10 della l. 40/2004, per contrarietà agli artt. 2, 3, 31, 2° comma, 32 e 117 Cost. 162 Cfr. Trib. Milano 16 ottobre 2018, in www.articolo 29.it; App. Venezia, 28 giugno 2018, ivi; Trib. Roma, 11 maggio 2018, ivi; Trib. Livorno, 12 dicembre 2017, ivi; Trib. Trento, 23 febbraio 2017, in Famiglia e dir., 2017, 669; App. Venezia 16 luglio 2018, in Banca dati Pluris. 163 App. Milano, 28 dicembre 2016, in Nuova giur. civ. comm., 2017, I, 657. 164 V. Trib. Perugia, 7 agosto 2018, in www.articolo 29.it; Trib. Pisa, 23 luglio 2018, ivi; App. Venezia, 16 luglio 2018, ivi; Trib. Torino, 21 giugno 2018 e 21 maggio 2018, ivi; Trib. Perugia, 9 febbraio 2018, ivi; Cass., 30 settembre 2016, n. 19599, cit.; App. Napoli, 6 dicembre 2016, in Rass. dir. civ., 2018, 312; App. Torino, 27 maggio 2016, in Foro it., 2016, I, 1910; App. Torino, 4 dicembre 2014, cit. 165 Cass., 31 maggio 2018, n. 14007, cit.; Cass., 15 giugno 2017, n. 14878, in Famiglia e dir., 2018, 5; App. Napoli, 4 luglio 2018, ivi, 1145; Trib. min. Bologna, 6 luglio 2017, in Corr. giur., 2018, 1396; Trib. Napoli, 11 novembre 2016, in www.articolo29.it.
283
Tommaso Auletta
genetica (unita in matrimonio o convivente con altra donna che accetta il ruolo di madre sociale); c) ricorso da parte di due madri sociali alla surrogazione di maternità, nonché alla donazione di ovulo e di sperma; d) adozione da parte di una donna del figlio genetico di altra donna o di cui la stessa è madre sociale166; e) adozione da parte di una coppia di donne unite in matrimonio o conviventi. Oggetto tutt’ora di discussione è la configurabilità di un interesse del figlio di avere genitori di sesso diverso. Non è detto peraltro che i vari casi prospettati debbano ricevere il medesimo trattamento: rilievo può assumere, ad esempio, il fatto se ricorra o meno un contributo genetico da parte della coppia sociale o se la disponibilità alla surrogazione di maternità dipenda da ragioni economiche o solidaristiche, nonché la configurabilità dell’interesse del minore alla costituzione od alla conservazione dello status consolidatosi nel tempo, ed ancora l’eventuale contrarietà della soluzione ai principi di ordine pubblico167. Peraltro in questa sede non sono possibili ulteriori approfondimenti168.
14. Lo stato giuridico dei figli. L’esistenza dei presupposti che consentono di costituire il rapporto genitore-figlio non è sufficiente, come è noto, per l’acquisto dei diritti e doveri che conseguono dai relativi stati se non ne corrisponde un pubblico accertamento169. Essi sono profondamente mutati nel corso degli ultimi cinquant’anni, basti considerare la maggior tutela riservata ai figli nati nel matrimonio rispetto ai c.d. figli naturali, sia dal punto di vista patrimoniale (mantenimento, diritti successori), sia da quello personale (si pensi ai limiti posti al loro inserimento nella famiglia legittima del genitore), nonché gli ostacoli alla costituzione dei medesimi. Differenze che potevano cogliersi anche sul piano terminologico in quanto i figli nati da genitori coniugati venivano definiti legittimi, gli altri naturali (se non addirittura illegittimi, per metterne maggiormente in luce l’irregolarità della generazione). Peraltro è la stessa costituzione che, nell’assicurare la medesima tutela riservata ai figli nati al di fuori del matrimonio, ne condiziona la compatibilità con i diritti dei membri della famiglia legittima. La riforma del 1975 apre la strada verso l’equiparazione sostanziale degli stati, che rimangono comunque formalmente distinti. Trattasi di un importante passo in avanti che costituisce punto qualificante della riforma stessa, approdo peraltro molto discusso in sede
166
Ormai la giurisprudenza al riguardo è estremamente numerosa. V. ex multis, App. Torino, 24 aprile 2017, in Foro it., 2017, I, 2061; App. Milano, 9 febbraio 2017, in Corr. giur., 2017, 798; Cass., 22 giugno 2016, n. 12962, ivi, 2016, 1203 con nota di Morozzo della Rocca. Trib. Milano, 16 ottobre 2015, in Nuova giur. civ. comm., 2016, 725, con nota di Benanti, ha ammesso la costituzione di un rapporto di adozione piena con il partner del genitore. 167 Cass., 26 settembre 2014, n. 24001, cit., e da ultimo Cass., 8 maggio 2019, n. 12193, cit. 168 Per i quali si rinvia all’intervento introduttivo alla terza sessione del Convegno CT, di A. Palazzo, Interesse del minore tra genitorialità “formale” e genitorialità “sociale”. 169 Forma + fatti, sottolinea A. Gorassini, cit.
284
Riforme ed evoluzione del diritto di famiglia: riflessioni su un percorso di mezzo secolo
di lavori preparatori. Si ponevano in luce, infatti, i pericoli che ne sarebbero potuti derivare per la famiglia legittima, la sola da additare come modello privilegiato dall’ordinamento, nonché il sacrificio che avrebbero potuto subire i suoi componenti dalla concorrenza di uguali diritti riservati ai figli naturali (ad es., diritto al mantenimento e agli alimenti, diritti successori, diritto al cognome paterno) in seguito alla riconoscibilità degli adulterini. Si sottolineava inoltre il sostanziale riconoscimento di una famiglia naturale pur in presenza di altra famiglia fondata sul matrimonio e dunque una surrettizia introduzione di una sorta di divorzio170. In contrario si rilevava, da altra corrente di pensiero, l’irragionevolezza di soluzioni che facessero ricadere sui figli le colpe dei genitori. Quest’ultima fu la soluzione che prevalse, forse non ancora pienamente condivisa dalla coscienza sociale, che ebbe il merito di favorirne la graduale evoluzione. Rimasero comunque alcune importanti differenze che in larga parte sono state superate, ma solo diversi anni dopo, con la riforma del 2012/2013. Importante è innanzitutto il principio generale introdotto da quest’ultima, e proclamato nell’art. 315 cc., secondo il quale “tutti i figli hanno il medesimo stato giuridico“, in quanto addita all’interprete la regola da seguire per la risoluzione delle eventuali problematiche che potrebbe comportare una disciplina che contempli diversità di trattamento: il figlio deve essere tutelato in quanto tale, a prescindere dal rapporto che lega i suoi genitori. Tale unificazione trova riscontro anche sul piano terminologico in quanto scompare, in linea di principio, la menzione dell’origine della filiazione, eccettuato il caso in cui essa risulti necessaria, adottando allora le espressioni “figli nati nel matrimonio” e “figli nati fuori del matrimonio”, quest’ultima già presente nella Costituzione (art. 30), quando necessita considerare la diversa realtà dell’origine, senza sottendere giudizi di valore. Unico è ormai anche lo stato di genitore, in quanto egli può vantare i medesimi diritti, assume i medesimi doveri, a prescindere dal fatto che la nascita sia avvenuta o meno nel matrimonio ed uguali sono le regole di esercizio della responsabilità genitoriale171. Riguardo all’importanza e all’opportunità di quest’ultima riforma differenti sono stati i giudizi formulati, anche nel corso del Convegno. Significativo mi sembra innanzitutto il fatto che l’approvazione della legge non abbia incontrato le medesime resistenze del passato; ciò è dovuto evidentemente all’evolversi della coscienza sociale verso una soluzione che non discrimini i figli a causa della loro origine, a cui ha indubbiamente contribuito anche la giurisprudenza. Mentre la maggior parte degli interpreti sottolinea l’importanza dell’intervento normativo, altra opinione tende in certo senso a minimizzarne l’incidenza per due ragioni: perché sul piano dell’equiparazione degli effetti essa sarebbe stata realizzata (almeno per la gran parte) già dalla riforma del 1975, mentre riguardo ad altri aspetti differenze di trattamento
170 171
V. in tal senso L. Carraro, I rapporti inerenti alla filiazione, in La riforma del diritto di famiglia, cit., 1967, 73 ss. Cfr. A. Gorassini, cit.
285
Tommaso Auletta
sono rimaste in vita o per scelte del legislatore, giudicate per lo più inopportune, o per l’impossibilità di intervenire in assenza di delega172. Insoluti sono rimasti anche numerosi problemi riguardanti la determinazione del rapporto di filiazione nel caso di ricorso alla PMA al di fuori delle regole previste dalla l. 40/2004, ma trattasi di problema173 diverso che il legislatore non intendeva affrontare e che eventualmente dovrebbe essere oggetto di una futura riforma. Sono fermamente convinto che la recente riforma segni un importante passo in avanti di un cammino, è vero, già iniziato dal legislatore con la riforma del 1975, verso la piena realizzazione del valore dell’uguaglianza nella tutela dei figli, ma non portato a compimento in quella sede; tutt’altro che trascurabile è anche la rilevanza dell’ultimo intervento normativo dal punto di vista sistematico e terminologico. Limitandomi a qualche breve cenno, sotto il profilo sostanziale, molto incisiva è la novità introdotta mediante modifica dell’art. 74 cc. in virtù della quale legami di parentela sorgono ormai anche tra il figlio nato al di fuori del matrimonio e gli altri congiunti diversi dai genitori, dalla quale consegue il riconoscimento, anche dal punto di vista giuridico, della rilevanza di un tessuto di rapporti “familiari” sotto il profilo educativo ed assistenziale, già socialmente riconosciuto174; esso comporta rilevanti mutamenti anche riguardo ai profili successori, introducendo diritti a favore del figlio nato fuori del matrimonio sulla successione di congiunti in precedenza non considerati tali ma anche, all’inverso, di questi ultimi sulla sua successione. In tale ambito, complessi sono i risvolti scaturenti dalla norma transitoria (art. 104 d. lgs. 154/2013) la quale dispone che i relativi diritti possono essere fatti valere anche sulle successioni aperte prima dell’entrata in vigore del decreto, di cui si è posta in dubbio anche l’opportunità175. Accanto a questa, occorre porre in luce altre importanti novità: l’ammissibilità del riconoscimento anche dei figli incestuosi 176; la semplificazione del procedimento giudiziale volto a superare la negazione del consenso del genitore al secondo riconoscimento, l’abolizione dell’istituto della legittimazione; la ridefinizione del possesso di stato, estendendone gli effetti verso i figli nati al di fuori del matrimonio ed equiparandone i presupposti rispetto a quelli previsti per i figli nati nel matrimonio; l’equiparazione di tutti i figli dal punto di vista successorio (in seguito alla eliminazione della facoltà di commutazione). La riforma del 2012/13 segna inoltre un ulteriore passo in avanti verso l’unificazione delle azioni di stato, coordinandone i tempi di esercizio; interviene su alcuni aspetti relativi al
172
L. Lenti, cit. V. in proposito i rilievi e le considerazioni di U. Salanitro, cit. 174 U. Salanitro, cit., dubita che tale soluzione costituisca forzatura del sistema voluto dal costituente nell’art. 30, 3° comma Cost., al fine di adattarlo ai principi di derivazione internazionale ed in particolare al divieto di discriminazione fondata sulla nascita, contenuto nella CEDU e nella Carta di Nizza. 175 V. al riguardo la relazione di M. Criscuolo, Autonomia privata tra famiglia e successioni, al Convegno CT. 176 Naturale conseguenza della decisione di C. Cost., 28 novembre 2002, n. 494, in Famiglia e dir,, 2003, 119 con nota di Dogliotti, che aveva considerato incostituzionale il divieto di accertamento giudiziale della filiazione incestuosa. 173
286
Riforme ed evoluzione del diritto di famiglia: riflessioni su un percorso di mezzo secolo
riconoscimento, sui diritti e doveri dei figli e dei genitori (mediante unificazione e completamento), sulla disciplina della responsabilità genitoriale (di cui si dirà meglio in seguito). Per quanto riguarda il profilo sistematico opportunamente è stata unificata la disciplina dei rapporti tra genitori e figli (accorpandoli nel titolo IX), in precedenza inserita in parte nell’ambito delle norme sugli effetti del matrimonio (in particolare l’indicazione dei doveri dei genitori verso i figli e la disciplina dei rapporti fra i medesimi nel caso di crisi). Viene inoltre previsto il diritto di mantenere rapporti significativi con i parenti, introdotto dalla legge del 2006 riguardo alla crisi, ma carente con riferimento alla famiglia unita ed analogamente è a dirsi per il diritto a crescere in famiglia, in precedenza contemplato solo dalla legge sull’adozione ed ora entrambi menzionati in generale dall’art. 315 bis, 2° comma cc. Permangono ancora, tuttavia, alcune differenze soprattutto riguardo alle modalità di costituzione dello status177 ed alla tipologia delle relative azioni. Infatti, sotto il primo aspetto, solo per i figli nati durante il matrimonio (o entro trecento giorni dal suo scioglimento) opera la presunzione di paternità del marito; la dichiarazione di nascita può avvenire in maniera semplice e non essere impedita dalla volontà del genitore (fatto salvo il caso di parto anonimo). Essa può essere resa, infatti, non solo da uno dei genitori o da un procuratore speciale da loro nominato, ma anche da persona che abbia assistito al parto (sempre fatto salvo il caso del parto anonimo). Diversamente, per il figlio nato da genitori non coniugati non sussiste la presunzione suddetta, neppure nel caso di convivenza dei genitori; se ne auspica peraltro, condivisibilmente, da alcuni l’introduzione sulla base del fatto che, in virtù degli elementi caratterizzanti (quelli propri della c.d. convivenza more uxorio) è estremamente probabile che autore del concepimento sia il convivente178. Tuttora però l’ordinamento ha adottato la soluzione contraria, sulla quale non ha inciso la nuova disciplina della convivenza del 2016, sulla base della considerazione che tra conviventi non sussiste un dovere di fedeltà come per gli sposi. In realtà l’unificazione della disciplina è vista con sfavore da coloro che individuano in detta presunzione un tratto esclusivo del matrimonio il cui venir meno finirebbe in certa misura con l’indebolirne l’importanza. Inoltre, l’acquisto dello stato di figlio nato al di fuori del matrimonio è rimasto affidato ad un atto di accertamento volontario (anche se è possibile ovviare alla sua mancanza mediante azione giudiziale) da parte di ciascuno dei genitori, un’assunzione di responsabilità, che potrebbe pertanto mancare, risultare impossibile a causa della morte, o non essere ammessa per mancanza di capacità del medesimo. Non si è inteso seguire infatti la strada dell’accertamento automatico della filiazione neppure per la madre, come previsto in altri ordinamenti, per garantire parità di trattamento fra i genitori. L’unica strada percorribile per la costituzione dello status è costituita pertanto dalla via giudiziale, con soluzione certamente meno favorevole rispetto a quella riguardante la filiazione nel matrimonio.
177
Come è stato ampiamente messo in luce nelle relazioni di L. Lenti, e M. Mantovani, cit. Quest’ultima sottolinea anche la scarsa coerenza sistematica della distribuzione delle azioni in capi diversi del titolo VII. 178 L. Lenti, cit.
287
Tommaso Auletta
Non coerente con l’unificazione dello status è anche la distinzione fra le relative azioni volte ad incidervi (disconoscimento di paternità, contestazione, reclamo, riguardo al figlio generato nel matrimonio; impugnazione del riconoscimento e dichiarazione giudiziale di paternità o maternità per il nato al di fuori di esso) nonché la diversificazione dei legittimati ad agire al fine di contestare la paternità, la quale comporta che lo stato di figlio nato nel matrimonio goda di maggiore solidità per il fatto che il vero padre non è legittimato ad esercitare l’azione di disconoscimento mentre l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità spetta a qualsiasi interessato, dunque anche a lui179. Tale unificazione non è avvenuta in quanto non consentita dal contenuto della delega ma appare auspicabile un futuro intervento normativo che introduca una sola azione volta a contestare lo status non corrispondente al vero, nei confronti di uno o di entrambi i genitori, tutelando in maniera uniforme l’interesse del figlio alla stabilità del medesimo, ed altra azione volta a costituirlo, se mancante. In contrasto con il principio di unicità dello status si pone anche la conservazione della regola (pur attenuata nei contenuti) posta dall’art. 252, 2° comma cc. secondo la quale il diritto del figlio nato fuori del matrimonio di convivere con il proprio genitore viene limitata se quest’ultimo ha costituito una famiglia fondata sul matrimonio. I principi espressi nella norma risultano collegati con quelli relativi all’affidamento condiviso, in virtù dei quali il giudice può stabilirne le modalità nell’interesse del minore, predisponendo il prevalente collocamento presso un genitore o all’affidamento esclusivo. Quando detto genitore, però, è coniugato ed il figlio è nato fuori del matrimonio, occorre in certi casi il consenso del coniuge e dei figli conviventi (che abbiano compiuto sedici anni). La regola non è volta a tutelare la stabilità di qualsiasi forma familiare del genitore, in quanto essa non opera se il figlio da inserire è nato da un precedente matrimonio o si tratta di famiglia non fondata sul matrimonio, bensì della sola famiglia legittima, anche a discapito dell’interesse del figlio. Essa dunque trova fondamento nel disposto dell’art. 30 Cost., 3° comma, che ammette la possibilità di una diversità di trattamento senza però esigerla. Nel caso specifico i riferimenti contenuti nella legge di delega sembra tuttavia che imponessero il mantenimento della norma. Il legislazione della riforma del 2012/13 ne ha tuttavia attenuato l’applicazione mediante l’introduzione del 5° comma, che consente al giudice di sindacare la legittimità del rifiuto all’inserimento nella famiglia legittima da parte di coloro che sono chiamati a prestare il consenso. Verosimilmente sarebbe opportuno in futuro rivedere tale disciplina o mediante abrogazione della norma (e quindi riconoscendo prevalenza all’interesse del figlio a vivere con il proprio genitore, soluzione questa che appare preferibile) o modificandone i contenuti in modo da renderla applicabile a tutte le ipotesi di inserimento di un figlio “estraneo” nella nuova famiglia del genitore (e dunque dando prevalenza all’interesse dei suoi componenti alla stabilità, senza distinzione tra famiglia legittima e naturale, consentendo eventualmente al giudice di verificare la fondatezza del rifiuto).
179
Cfr. ancora al riguardo L. Lenti, cit.; M. Mantovani, cit.
288
Riforme ed evoluzione del diritto di famiglia: riflessioni su un percorso di mezzo secolo
Sul piano processuale la riforma del 2012/13, pur avendo unificato in capo al tribunale ordinario la competenza nei giudizi relativi all’affidamento dei figli nel caso di crisi (incardinata in precedenza presso il tribunale minorile per i provvedimenti relativi ai figli naturali), non ha eliminato le differenze relative al rito. Mentre infatti per i figli nati nel matrimonio il procedimento da seguire è quello ordinario, per quelli nati al di fuori di esso è previsto il rito camerale180.
15. Diritti e doveri nel rapporto genitoriale. Estremamente significativa è l’evoluzione nel tempo riguardante la determinazione dei diritti e dei doveri reciproci fra genitori e figli. La riforma del 1975 non introduce mutamenti nell’indicazione dei doveri dei genitori (mantenere, istruire, educare, anche se inverte l’ordine degli ultimi due) ma, con importante sottolineature, ne individua la funzionalizzazione al perseguimento dell’interesse del minore (obiettivo che negli anni successivi viene sempre più spesso richiamato ed assume pregnante importanza), precisando che i relativi poteri devono esercitarsi “tenendo conto” delle sue capacità ed inclinazioni naturali, mentre scompare il riferimento al rispetto dei principi della morale. Tali diritti spettano a tutti i figli senza distinzione, ivi compresi quelli non riconoscibili. Nei confronti di questi ultimi la riforma accresce la tutela prevista dal codice del 1942 limitata agli alimenti e solo nei casi espressamente menzionati dall’art. 279. I diritti del figlio sono declinati in forma di doveri dei genitori (art. 147 cc.) e non sono posti in correlazione con i suoi doveri (contemplati dall’art. 315 cc.) Secondo l’interpretazione prevalente, con il raggiungimento della maggiore età rimane in vita solo il dovere dei genitori al mantenimento fin quando il figlio non abbia raggiunto l’autonomia economica (i cui criteri risultano alquanto controversi). Rilevante mutamento si verifica anche riguardo ai doveri dei figli i quali, nella nuova versione dell’art. 315, anch’essa riconducibile alla riforma del 1975, sono tenuti a rispettare i genitori (non più contemplato è il dovere di onorarli, richiamato nella versione del codice del 1942) e, quel che è più importante, a contribuire ai bisogni della famiglia finché convive con essa, in una logica che impone a tutti i familiari, sia pure con parametri di riferimento diversi, di adoperarsi per il soddisfacimento dei bisogni comuni e di prestare gli alimenti. Per stabilire i criteri da applicare nel determinare il dovere di contribuzione del figlio, la riforma del 2012 fa riferimento non solo ai redditi ed alle sostanze ma anche alla sue capacità, che vanno dunque considerate non solo dal punto di vista economico ma anche riguardo alla possibilità di fattiva collaborazione - in ragione dell’età, delle
180
V. più approfonditamente F. Tommaseo, Sulle forme di tutela dei figli minori nella crisi dei rapporti familiari, relazione al Convegno CT.
289
Tommaso Auletta
attitudini, del tempo disponibile - nel soddisfacimento delle esigenze della famiglia (si pensi in particolare nell’ambito domestico). In tale prospettiva anche il dovere di rispetto assume contenuti ulteriori ricomprendenti anche l’assistenza morale e materiale (anche in questo caso in senso fattuale) verso i genitori (si pensi in particolare ai casi di malattia ed infermità)181. L’incidenza dei doveri genitoriali viene rafforzata nel tempo dalla giurisprudenza che ne sanziona, a certe condizioni, la violazione mediante la nascita di un’obbligazione al risarcimento del danno, anche non patrimoniale, subito dal figlio per essersi il genitore sottratto ai propri compiti182. Con la legge 219/2012, i diritti dei figli (ed i correlativi doveri dei genitori) innanzi ricordati, vengono invece espressamente menzionati (non desumibili implicitamente dai doveri genitoriali come nel passato) e trovano collocazione generale nel testo dell’art. 315 bis cc., correlandoli con i relativi doveri183. Trattasi di adeguamento sistematico in linea con l’unificazione dello stato, onde l’art. 315 bis diviene la norma fondamentale volta a disciplinare la materia, senza che peraltro la relativa menzione scompaia dall’art. 147 cc. Ciò sta ad indicare che i doveri dei coniugi verso i figli mantengono ancora la loro rilevanza “matrimoniale” in quanto la loro violazione può costituire causa di intollerabilità della convivenza o di addebito della separazione. Ai diritti già menzionati, l’art. 315 bis ne aggiunge di ulteriori: assistenza morale, diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti, di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano. Mentre può dubitarsi se il primo si estingua con il raggiungimento della maggiore età, gli altri si riferiscono certamente solo al minore (per l’ascolto ciò è precisato espressamente dalla legge)184. Solo il dovere di assistenza morale costituisce vera novità, forse però più dal punto di vista formale che sostanziale, in quanto tende a rimarcare che i genitori sono tenuti al sostegno del figlio anche dal punto di vista affettivo185, aspetto particolarmente importante soprattutto nella fase della crescita (in quanto non si è mai realmente dubitato che nella cura dovuta al figlio rientrasse anche l’assistenza morale). Infatti il diritto di crescere nella propria famiglia era già menzionato dall’art. 1 della l. 184/1983 (e contemplato implicitamente dall’art. 155 cc.) e pur tuttavia la nuova collocazione lo riveste di un carattere di generalità di cui era in precedenza sprovvisto (ad es., devono sussistere importanti ragioni per legittimare il comportamento dei genitori che affidino a terzi, anche familiari, il minore per tempi non brevi). Analogamente il diritto di mantenere rapporti significativi con i parenti era già declinato dall’art. 155 cc. nella versione introdotta dalla l. 54/2006, ma con
181
V. in proposito gli interessanti rilievi di A. Bellelli, I diritti e i doveri del minore, relazione al Convegno CT. Cass., 7 giugno 2000, n. 7713, in Danno e resp. 2000, 835; Cass., 12 aprile 2012, n. 5652, in Giur. it., 2013, 45; Cass., 22 novembre 2013, n. 26205, ivi, 2014, 1593 , con nota di Tassone. 183 V. A. Bellelli, cit. 184 A. Bellelli, cit. Della durata degli altri diritti e della responsabilità genitoriale si è già detto in precedenza nel testo. 185 Si è detto persino “diritto all’amore”: A. Bellelli, cit. 182
290
Riforme ed evoluzione del diritto di famiglia: riflessioni su un percorso di mezzo secolo
riferimento alla crisi di coppia (oggi trattasi dell’art. 337 ter) onde la norma si è limitata ad un intervento dal punto di vista sistematico, volta a colmare una lacuna, contemplando tale diritto anche nel contesto della famiglia unita; ne deriva pertanto che è contrario, in linea di principio, all’interesse del minore ogni ostacolo posto dai genitori alla frequentazione dei nonni e degli altri parenti, ove non sussista una fondata ragione. La norma ha inteso così riconoscere l’importanza del contributo fornito dai parenti ai genitori (ed in particolare dai nonni), al fine di favorire lo sviluppo e la cura del minore, sia pure nel rispetto della diversità dei ruoli. Trattasi evidentemente di quei parenti che intrattengono con lui rapporti significativi. In tale contesto va inquadrata anche la particolare considerazione che l’ordinamento riserva al rapporto con i fratelli186, come emerge dall’art. 6, commi 6 e 7, l. 184/1983. La posizione dei nonni riceve poi particolare riconoscimento dal tenore dell’art. 317 bis, dal quale sembra potersi individuare anche la tutela diretta del loro interesse ad intrattenere rapporti significativi col minore, sia pure compatibilmente col suo preminente interesse187, attribuendo il potere di agire giudizialmente nel caso di violazione. Con l’introduzione del 4° comma dell’art. 315 bis è stato generalizzato il principio, già presente in diverse norme, secondo il quale il minore degli anni dodici, ma anche di età inferiore se capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni o le procedure che lo riguardano, salvo che l’ascolto, secondo il giudice, risulti contrario al suo interesse (ad es., possa nuocergli psichicamente) o manifestamente superfluo (art. 336 bis); diritto all’ascolto poi ribadito in numerose e più specifiche disposizioni interne ed internazionali, che presuppone anche un diritto ad essere informato (Conv. Strasburgo 1996, art. 3). Il coinvolgimento del minore nelle decisioni che lo riguardano costituisce dunque la regola, alla quale non solo il giudice e le altre autorità pubbliche o private sono tenute ad uniformarsi, ma anche i genitori188, a meno che le scelte suggerite risultino obbiettivamente lesive dei suoi interessi (ed in particolare alla crescita nel rispetto dei valori costituzionali), contrarietà che deve essere supportata peraltro da rigorosa motivazione189. Tra i diritti del figlio è da contemplare quello alla propria identità, mediante l’uso del cognome familiare, i cui criteri di attribuzione costituiscono problema particolarmente delicato a cui possono dedicarsi sono alcuni cenni. Come si è detto in precedenza, secondo il nostro ordinamento il cognome familiare è quello del marito, che viene anche trasmesso
186
Cass., 24 maggio 2018, n. 12957, in Corr., giur., 2018, 1018 la quale afferma che i fratelli devono essere collocati in linea di principio presso il medesimo genitore, a meno che la soluzione non risulti conforme ai loro interessi. 187 Rileva infatti Cass., 25 luglio 2018, n. 19779, in Corr. giur., 2018, 1586, con nota di Danovi che l’interesse dei nonni costituisce un diritto pieno solo nei confronti dei terzi ma si pone in posizione recessiva rispetto all’interesse del nipote. Cass. 25 luglio 2018, n. 19780, ivi, 1591 ha esteso il diritto anche al coniuge in seconde nozze del nonno. V. anche Cass., 12 giugno 2018, n. 15238, in Corr. giur., 2018, 1163. 188 V. in proposito ad es., le significative disposizioni in tema di decisioni relative alla salute previste dalla l. 219/2017. Alla luce di tale principio deve essere superato il silenzio normativo riguardo all’ascolto del minore nelle procedure di negoziazione assistita volte a regolamentare la crisi coniugale. V. in argomento C. Marino, cit. 189 Cass., 24 maggio 2018, n. 12954, in Corr. giur., 2018, 1017.
291
Tommaso Auletta
alla prole; analoga soluzione si applica ai figli nati al di fuori del matrimonio ove il padre li abbia riconosciuti (essi portano il cognome della madre se vi sia stato riconoscimento solo da parte sua). Trattasi di una regola – dalla discussa natura (legislativa o consuetudinaria?) - che suscita comunque non poche perplessità perché contrasta con l’art. 14 della CEDU190 e col principio costituzionale di uguaglianza, oltre a sacrificare irragionevolmente il diritto fondamentale del figlio all’identità personale191, senza che il legislatore sia stato in grado di intervenire, nonostante i richiami da parte della Corte costituzionale192 ed i tentativi posti in essere da molto tempo mediante presentazione di numerose proposte di legge, che verosimilmente hanno indotto il legislatore della riforma del 2012 a non intervenire sulla materia193. Soddisfa solo in parte l’esigenza rilevata la soluzione accolta di recente dalla Corte Costituzionale194 di consentire ai genitori, previa concorde richiesta avanzata all’ufficiale di stato civile195, di ottenere che il figlio venga identificato con entrambi i loro cognomi (non è chiaro poi se solo posponendo quello della madre o anche anteponendolo196). Infatti ove i genitori non siano d’accordo o manchi comunque l’espressione del consenso da parte del padre (ad es., non sia in condizione di prestarlo) la regola di prevalenza del cognome paterno rimane comunque applicabile. Come è stato messo in luce, la soluzione adottata mediante detta pronuncia non poteva dare risposta adeguata all’intera problematica in materia in vista di un’appropriata tutela degli interessi di cui sono portatori tutti i soggetti del rapporto (padre, madre e figlio). Numerose e complesse sono pertanto le questioni che rimangono comunque irrisolte197 che solo una riforma legislativa è in grado di affrontare198. In questa prospettiva, due sono, in sintesi, le possibili strade da intraprendere199: quella di mantenere il criterio tradizionale e di più facile applicazione, di identificare il figlio con
190
In tal senso si è espressa la Corte EDU, 7 gennaio 2014, n. 77/07, in Famiglia e dir., 2014, 205. S. Troiano, cit. 192 16 febbraio 2006, n. 61, in Dir. e giust., 2006, 10, 16 e 27 aprile 2007, n. 145, in Giust. civ., 2007, I, 1306, la quale, pur considerando il criterio frutto di una concezione familiare ormai superata e contrario al valore dell’uguaglianza, aveva dichiarato la questione inammissibile in quanto la materia necessita di una complessa regolamentazione che solo il legislatore può stabilire. 193 S. Troiano, cit., la considera ad un tempo una motivazione nobile ma anche un’occasione propizia non sfruttata adeguatamente. 194 21 dicembre 2016, n. 286, in Famiglia e dir., 2017, 213, come viene ampiamente messo in luce nella relazione di S. Troiano, cit. È tuttavia significativo che la Corte abbia ritenuto in questa ipotesi di intervenire pur nella consapevolezza che la complessità della materia non avrebbe comunque potuto essere risolta in maniera esaustiva in mancanza di un intervento normativo, il quale viene ancora una volta sollecitato con ulteriore forza. 195 Alla luce delle regole di esercizio della responsabilità genitoriale riguardo all’assunzione delle decisioni di particolare rilevanza. 196 Di quest’ultimo avviso è S. Troiano, cit., il quale critica l’opposta interpretazione contenuta nella circolare 7/2017 del Ministero dell’Interno. 197 Dal problema relativo allea prova circa l’esistenza dell’accordo, alla individuazione del cognome “paterno” da trasmettersi successivamente alla prole (entrambi i cognomi a lui attribuiti o solo quello proveniente dalla stirpe paterna? Ma il problema diviene ancor più complesso ove i genitori fossero del medesimo sesso). Ed ancora la richiesta di aggiunta del cognome materno deve esercitarsi una volta per tutte al momento della nascita del primo figlio? Se la coppia ha già altri figli nati prima della pronunzia della Corte la richiesta potrà riguardare anche questi ultimi? Vedi al riguardo le singole soluzioni proposte da S. Troiano, cit., nella sua Relazione. 198 S. Troiano, cit. 199 Escluderei pertanto di rimettere all’autonomia dei genitori il potere di scegliere una fra le due possibili strade. 191
292
Riforme ed evoluzione del diritto di famiglia: riflessioni su un percorso di mezzo secolo
uno dei cognomi dei genitori (rimettendone loro la scelta) oppure quella, più innovativa e complessa, dell’attribuzione di due cognomi, uno per ciascun genitore. Anche a me sembra tutto sommato preferibile la soluzione a favore del doppio cognome200, in quanto maggiormente idonea a valorizzare il contributo fornito ed il ruolo spettante ad entrambi i genitori, senza sacrificarne uno, ed a tutelare in maniera più efficace il diritto all’identità del figlio. Entrambe le soluzioni si fondano sull’accordo, strumento decisamente preferibile rispetto ad altri: la prima riguardante la scelta del cognome da attribuire al figlio, la seconda l’ordine con cui menzionare il cognome proveniente da ciascun genitore e quello da trasmettere alla generazione successiva (che potrebbe non essere necessariamente il primo). La soluzione prescelta andrebbe formalizzata al momento del matrimonio o della conclusione dell’unione civile201 (sarebbe forse anche ipotizzabile la possibilità di una concorde revisione della precedente risoluzione purché assunta non oltre la nascita del primo figlio) e troverà applicazione per tutti i figli generati dalla coppia. Riguardo alla coppia “destrutturata” i cui membri intendano entrambi procedere al riconoscimento, l’accordo andrà formalizzato in sede di denuncia della nascita e troverà poi applicazione per tutti i figli della coppia. Da risolvere, in quest’ultimo caso, è il problema di un eventuale disaccordo. Il ricorso al giudice in vista della migliore tutela dell’interesse del minore potrebbe forse essere la strada più appropriata (e conosciuta dall’ordinamento) rispetto ad altre ipotizzabili202. Il medesimo criterio potrebbe applicarsi in caso di disaccordo sull’ordine dei cognomi ove il legislatore intendesse optare per la soluzione del doppio cognome. Sarei però favorevole ad una soluzione che rimetta al figlio in grado di compiere la scelta, l’individuazione del cognome da trasmettere alla prole da lui generata in futuro203. Il diritto all’identità personale assume rilevanza anche mediante tutela dell’interesse alla conoscenza delle proprie origini, sancito dall’art. 28 della l. 184/1983, che si profila non solo nel caso di adozione ma anche di PMA di tipo eterologo o di anonimato del parto204. Sempre in prospettiva de iure condendo sembra opportuno accennare ad un ulteriore problema: quello relativo alla durata del dovere di mantenimento da parte dei genitori. Come accennato la sua cessazione viene individuata dalla giurisprudenza nel momento del raggiungimento dell’autonomia economica, ma diversi sono i criteri adottati per la relativa verifica. In estrema sintesi, la giurisprudenza più recente sembra orientata ad adottare sempre più spesso un criterio composito che tenga conto dell’età, dell’impegno profuso dal figlio nella ricerca di occupazione, ed in certa misura della sua adeguatezza rispetto
200
Suggerita da S. Troiano, cit. Un eventuale disaccordo andrà dunque necessariamente risolto prima della costituzione dell’unione. 202 Illustrate da S. Troiano, cit. 203 Di diverso avviso S. Troiano, cit. 204 Cfr. al riguardo C. Cost., 22 novembre 2013, n. 278, in Corr. giur., 2014, 471, con nota di Auletta, la quale ha considerato illegittimo l’art. 28, comma 7 l. adoz. In quanto non prevede un procedimento per consentire al figlio di conoscere le proprie origini, nel caso di parto anonimo, mediante la possibilità di interpellare la madre al fine di esprimere il consenso. 201
293
Tommaso Auletta
al titolo di studio o alla formazione professionale raggiunta, delle opportunità concrete offerte dal mondo del lavoro205. Il DDL Pillon, in precedenza menzionato, intende abbandonare detto criterio, stabilendo l’estinzione del diritto al raggiungimento del venticinquesimo anno di età del figlio o, ancor prima, se la mancanza di autonomia economica dipende da negligenza o rifiuto ingiustificato di opportunità di lavoro. Due sono i rilievi negativi di fondo nei confronti di questa soluzione: innanzitutto anche in questo caso si intende introdurre un meccanismo rigido volto a porre sullo stesso piano situazioni che possono risultare profondamente diverse e che dunque è opportuno non omologare, rimettendo la valutazione al giudice. È a tutti noto, infatti, che il completamento del percorso di preparazione necessario per accedere ad alcune professioni o per l’esercizio di attività particolarmente qualificate richiede tempi più lunghi, anche per persone capaci e diligenti, nonché le difficoltà ancora esistenti nel nostro Paese per accedere al mondo del lavoro. Non è dunque opportuno modificare il criterio attuale sostituendolo con una disposizione normativa rigida, ferma restando la necessità di una valutazione rigorosa della situazione nella quale versa l’avente diritto, per evitare che continui a percepire il mantenimento anche quando sarebbe in grado di provvedervi autonomamente. Criticabile è altresì il posizionamento della regola nel contesto delle norme che disciplinano la crisi della famiglia. Essa attiene infatti, più in generale, ai diritti vantati dal figlio nei confronti dei genitori, da applicarsi anche nel contesto della famiglia unita, e dovrebbe dunque trovare posto all’interno dell’art. 315 bis cc. (sui diritti e doveri del medesimo).
16. Dalla patria potestà alla responsabilità genitoriale. Specchio significativo dell’evoluzione del diritto di famiglia compiutasi negli ultimi cinquant’anni sono, a mio avviso, i mutamenti riguardanti il ruolo riservato al genitore nella relazione con il figlio. Come è noto fino al 1942 l’esercizio di detto ruolo (identificato col sintagma “patria potestà”) spettava prevalentemente al padre e solo in caso di sua morte o di altra causa di impossibilità, alla madre. Legittimo era ritenuto il ricorso a strumenti autoritari (non del tutto escluso l’uso della forza) come testimoniato dalla norma (art. 319 cc.) che consentiva l’allontanamento da casa del figlio e persino il collocamento presso un istituto correzionale nel caso di cattiva condotta. Ma soprattutto non era considerato illegittimo il comportamento del genitore volto ad imporre le decisione anche al fine di realizzare le proprie aspirazioni (la creazione di un figlio in certo qual modo a propria immagine e somiglianza). Al centro della relazione è posto il genitore, profondamente
205
Per ampi ragguagli in proposito ci si permette di rinviare a T. Auletta, Commento all’art. 337 septies, in Commentario del codice civile, diretto da Gabrielli, Della famiglia, (a cura di G. Di Rosa), II, Utet, Torino2, 2018, 1054 ss.
294
Riforme ed evoluzione del diritto di famiglia: riflessioni su un percorso di mezzo secolo
marcata è la posizione di soggezione del figlio, significativamente attestata dal dovere di onorare i genitori, oggetto da proteggere e non soggetto da promuovere. Tale modello entra progressivamente in crisi con l’evolversi di una concezione sociale che tende ad individuare nel minore un soggetto debole da tutelare e da promuovere, ed a legittimare nel genitore l’esercizio di poteri autoritativi più limitati, funzionalizzati all’interesse del minore stesso, per tutelarlo dalla situazione di svantaggio in cui versa a causa dell’età (potestà come esercizio di una funzione). Sempre più diffuso nella pratica, e condiviso socialmente, è il coinvolgimento di entrambi i genitori a pari titolo nella cura del minore. La riforma del 1975, nel modificare significativamente il precedente istituto, interviene sia sulla titolarità sia sui contenuti. In conformità col principio di uguaglianza, caratterizzante il rapporto coniugale, essa viene attribuita ad entrambi i genitori, se coniugati, i quali la esercitano di comune accordo con parità di poteri. La medesima regola trova applicazione anche riguardo a genitori non coniugati ma solo se conviventi (quando dunque costituiscano una famiglia di fatto). Altrimenti, inspiegabilmente, l’esercizio viene attribuito al genitore con il quale il minore convive ed, in mancanza di convivenza, a colui che lo ha riconosciuto per primo (logica è invece la soluzione che l’esercizio spetta al solo genitore che ha provveduto al riconoscimento). Nell’interesse del figlio nato al di fuori del matrimonio il giudice può disporre però diversamente, persino provvedendo alla nomina di un tutore (art. 317 bis). Dal punto di vista terminologico l’antica espressione “patria potestà” viene meno ed è sostituita col sintagma “potestà dei genitori” (terminologia peraltro che non si è sottratta alla critica di alcuni dei primi commentatori della legge206). Riguardo ai contenuti, scompare il riferimento all’esercizio di poteri correzionali, onde si aprono progressivamente le porte per negare l’”immunità” dei genitori dal rispetto delle regole sulla responsabilità civile per comportamenti tenuti nei confronti dei figli207; assume inoltre importante incidenza il dovere, a cui i primi vengono richiamati, di tenere conto nell’assumere le decisioni della capacità, inclinazione naturale ed aspirazioni dei figli. Ove il “tenere conto” viene viepiù interpretato nel senso che la volontà del figlio può essere disattesa ma solo nel suo interesse ed il mancato rispetto di detto principio legittima l’adozione dei provvedimenti giudiziali di cui all’art. 333 ss cc. Alcune decisioni poi non possono essere assunte senza il consenso del figlio stesso che abbia compiuto una certa età (ad es., l’adozione, il riconoscimento). Nelle norme interne ed in quelle internazionali (artt. 1, 6 e 10 Convenzione di Strasburgo del 1996; art. 3 Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989; art. 24 Carta dei diritti fondamentali dell’UE) sempre più ricorrente è il riferimento al superiore interesse del
206
Cfr. M. Giorgianni, Della potestà dei genitori, in Commentario alla riforma del diritto di famiglia, a cura di Carraro-Oppo-Trabucchi, I, 2, Padova, Cedam, 1977, 741 s. 207 Si veda in proposito la ricostruzione del problema nella trattazione di S. Patti, Famiglia e responsabilità civile, Milano, Giuffrè, 1984.
295
Tommaso Auletta
minore quale criterio fondamentale e generale di riferimento, volto a guidare le istituzioni pubbliche e private al perseguimento del suo benessere ed il giudice ad indirizzare la sua decisione. Un ulteriore strumento volto a ridimensionare la discrezionalità dei genitori è costituito dalla progressiva introduzione, in specifiche situazioni contemplate dalla legge, di poteri decisionali attribuiti al minore208 (o ad un curatore speciale che agisca nel suo interesse), o almeno all’ascolto, nelle decisioni a lui sottratte ma che coinvolgono suoi interessi se capace di discernimento; mentre, prendendo spunto dalla finalità dei poteri riconosciuti ai genitori, parte della dottrina e della giurisprudenza prospettano soluzioni volte ad ampliare ulteriormente i poteri decisionali del minore in ragione della maggiore consapevolezza e maturità via via acquisite in seguito alla progressione nell’età (capacità di autodeterminazione) soprattutto con riferimento alle decisioni riguardanti la sua salute209. Un decisivo contributo all’evoluzione del contenuto della potestà genitoriale è indubbiamente fornito dalla riforma del 2012/13 la quale rafforza il principio secondo il quale l’operato dei genitori deve tendere esclusivamente alla tutela degli interessi del figlio, il quale diviene la figura centrale della relazione. In tal senso depone innanzitutto il mutamento terminologico operato dal riformatore il quale ha significativamente sostituito l’espressione “potestà dei genitori”, con “responsabilità genitoriale” non certo per ragioni di stile. Intervento che riprende espressioni contenute in documenti internazionali (ad es., l’art. 2 n. 7 Reg. CE 2201/2003) i quali additano la direzione verso la quale deve muoversi l’interprete secondo l’intenzione del legislatore. La legge vuol sottolineare infatti la prevalenza del dovere piuttosto che del potere inerente all’esercizio; che sui genitori incombe “la responsabilità” di curare il figlio nel tempo, rispettandolo come persona, perché meritevoli di rispetto sono le sue le capacità, inclinazioni naturali, aspirazioni (purché non contrarie ai suoi interessi); la finalità di favorirne pienamente la crescita come persona “autonoma” e “responsabile”, che dovrà essere in grado in futuro di affrontare la vita (quale distanza dall’idea della tutela dell’interesse dei genitori a perseguire i propri interessi formando il figlio a propria immagine e somiglianza!). In questa prospettiva deve essere valutato il comportamento del genitore in vista dell’adozione dei provvedimenti contemplati dagli artt. 333 ss. cc210. Ed in presenza di gravi violazioni di tali regole trovano applicazione i rimedi risarcitori ed i provvedimenti caratterizzanti gli ordini di protezione211
208
Si pensi ad es., alle regole in precedenza ricordate riguardo al riconoscimento o alla dichiarazione di paternità o maternità nei confronti del minore, al consenso all’adozione, alla scelta della frequenza scolastica dell’ora di religione 209 V. ad es., P. Stanzione, Capacità e minore età nella problematica della persona umana, Napoli, Jovene, 1975, 360 ss.; A. Belvedere, L’autonomia del minore nelle decisioni familiari, in M. De Cristoforo-A. Belvedere, L’autonomia del minori tra famiglia e società, Milano, Giuffrè, 1980, 319 ss. Per ulteriori citaz. v. A. Bellelli, cit., nota 11. 210 Ad es., può considerarsi illegittima la decisione dei genitori di impedire i rapporti tra il minore ed un familiare o con persona che abbia con lui instaurato un rapporto significativo rilevante per la sua crescita: cfr. C. Cost., 20 ottobre 2016, n. 225, in Famiglia e dir., 2017, 305, con nota di Tommaseo. V. al riguardo anche Corte EDU, 16 luglio 2015, n. 39438/13, in Quotidiano giur., 2015, con nota di Scarcella. 211 Si rinvia in proposito ad A. Bellelli, cit.
296
Riforme ed evoluzione del diritto di famiglia: riflessioni su un percorso di mezzo secolo
con conseguente possibilità di allontanamento del genitore dalla casa familiare in base al disposto dell’art. 5 l. 154/2001 il quale estende tale rimedio anche nel caso di comportamenti pregiudizievoli tenuti nei confronti di altri componenti della famiglia212. Centralità della posizione del figlio confermata dal generale diritto all’ascolto – in precedenza menzionato - strumento riconosciuto al minore anche in tenera età, purché capace di discernimento, che gli consente di mettere in luce i suoi interessi, il quale trova anche riscontro nella declaratoria dei diritti del figlio, posta in apertura del capo I del titolo IX, che tra l’altro, sono ben più numerosi e significativi dei doveri. Ciò non significa peraltro che il genitore veda sminuita l’importanza della sua funzione, tutt’altro, che debba assecondare sempre e comunque la volontà del figlio ma che debba tenerne conto, e – riprendendo le belle espressioni di Gorassini – che deve esercitare il suo ruolo di guida relativo all’istruzione, l’educazione, alle scelte di vita avendo come unico parametro di riferimento il bene e l’interesse del medesimo: il genitore è chiamato ad operare non per se stesso ma per il figlio.
17. Uno sguardo al futuro. Questa potrebbe essere forse la conclusione più appropriata di questo lungo discorso, anche perché le ultime espressioni non sono le mie; lungo, ma nello stesso tempo necessariamente sommario, e me ne scuso, perché ampia e complessa è stata l’evoluzione del diritto di famiglia, come detto in apertura, nell’arco degli ultimi cinquant’anni. Ma all’orizzonte si profilano già, forse in un futuro non lontano, o comunque appaiono auspicabili nuove riforme, alcune delle quali accennate nel mio intervento. Penso ad esempio alla probabile apertura verso l’ammissibilità dei patti prematrimoniali213, ad una riforma della l. 40/2004, volta a meglio precisare lo stato del figlio in tutte le ipotesi di ricorso alla pratica contra legem concluse con la nascita, ad un’ulteriore riforma dell’adozione (con apertura anche a coppie unite civilmente o conviventi o anche a single214 e all’adozione del concepito215), alla regolamentazione della ricomposizione familiare, all’attribuzione del cognome
212
“Le norme di cui alla presente legge si applicano, in quanto compatibili, anche nel caso in cui la condotta pregiudizievole sia stata tenuta da altro componente del nucleo familiare diverso dal coniuge o dal convivente, ovvero nei confronti di altro componente del nucleo familiare diverso dal coniuge o dal convivente. In tal caso l’istanza è proposta dal componente del nucleo familiare in danno del quale è tenuta la condotta pregiudizievole”. Per le problematiche connesse all’applicazione della norma al rapporto tra genitore e figli, v. per tutti G. Foti, Commento all’art. 5 della legge, in Commentario del codice civile, diretto da Gabrielli, Della famiglia (a cura di Di Rosa), Utet, Milano, 2018, III, 1639 ss. 213 DDL Morani n. 244 presentato alla Camera. 214 Si vedano, con differenza di contenuti il DDL n. 333 Bertacco e altri, presentato al senato. I DDL n. 467 e 468 Ravetto; n. 630 Rosato e altri, presentati alla Camera. 215 DDL n. 1238 Stefani ed altri, presentato alla Camera.
297
Tommaso Auletta
familiare216, all’ampliamento della tutela riservata ai conviventi217, all’introduzione di un giudice specializzato a cui demandare tutte le questioni riguardanti la famiglia218. Nonché all’introduzione di regole più precise volte a disciplinare la materia sulla conoscenza delle proprie origini219 ed a disporre l’intrascrivibilità degli atti di nascita formati all’estero in violazione delle regole interne sulla PMA e la surrogazione di maternità220. Non è difficile pertanto predire che la stagione delle riforme proseguirà senza soste come accaduto negli ultimi cinquant’anni, auspicando però che si vada incontro a buone riforme, evitando che il mare che circonda l’isola o l’arcipelago – come si preferisce – ne eroda la struttura.
216
Numerosi sono i DDL volti a disciplinare la materia, adottando criteri diversi. Al Senato, n. 170, Garavini ed altri; n. 286 Unterberger. Alla Camera n. 160, Boldrini; n. 230 Gebhard e altri. 217 In particolare, riconoscendo il diritto alla pensione di reversibilità: DDL n. 236 Gebhard, presentato alla Camera. 218 DDL n. 306 Binetti, presentato al Senato. 219 DDL n. 922 Pillon presentato al Senato. 220 DDL n. 501 De Bertoldi ed altri, presentato al Senato; n. 698 Montaruli, presentato alla Camera.
298
Giovanni De Cristofaro
Nuovi modelli familiari, matrimonio e unione civile: fine della partita?* Sommario: 1. Premessa introduttiva. – 2. Le tappe fondamentali del percorso sfociato nell’approvazione della disciplina delle unioni civili contenuta nella legge n. 76 del 2016: la sentenza della Corte costituzionale n. 138 del 15 aprile 2010. – 3. (Segue): la sentenza “Oliari” della Corte EDU del 21 luglio 2015. – 4. Le opzioni fondamentali compiute nella legge n. 76 del 2016. Confronto con le leggi tedesca, austriaca e svizzera in materia di unioni registrate. – 5. I tratti caratterizzanti delle unioni civili, quali disciplinate dalla legge italiana. – 6. La compatibilità della disciplina italiana delle unioni civili con l’art. 3 Cost. Le vicende evolutive del diritto tedesco e austriaco. – 7. La (in)compatibilità della disciplina italiana con la Cedu. … – 8. … e con il diritto dell’Unione Europea. – 9. Conclusioni: Ehe für alle?
The entry in force of Law May 20th, 2016, No. 76 has brought radical innovations to the Italian family law, finally introducing a legislative regulation of civil partnerships between same sex couples. Between the legal regime of the marriage and the legal regime of the civil partnership there are however several and relevant differences. These differences, according to the Author, were wittingly wanted by the Italian Legislator with the aim to prevent the new law from being declared unconstitutional, in the light of the interpretation of the artt. 2, 3 and 29 of the Constitution given by the Italian Constitutional Court in the judgments relating to the private-law regulation od same-sex couples. However, the mentioned differences between the two regimes appear to the Author to be incompatible with the ECHR and with the EU Charter of Fundamental Rights, as respectively interpreted by the European Court of Human Rights and by the EU Court of Justice. Therefore, within a few years, these differences are inevitably going to be gradually eliminated, especially with regard to the access of same-sex couples to filiation, and even the choice of denying the access to marriage to same-sex couples appears to be destined to be overcome.
*
Testo rielaborato della Relazione tenuta in occasione del Convegno “Il sistema del diritto di famiglia dopo la stagione delle riforme: rapporti di coppia e ruolo genitoriale”, svoltosi a Catania, presso il Dipartimento di Giurisprudenza, nelle giornate del 27-29 settembre 2018.
299
Giovanni De Cristofaro
1. Premessa introduttiva. Discorrere di nuovi modelli familiari – rectius, di nuovi istituti e/o di nuove disposizioni di diritto privato create o modificate al fine di dare veste e rilevanza giuridica a modelli e relazioni di natura personale diverse da quelle tradizionalmente conosciute e regolamentate dal nostro diritto di famiglia – potrebbe apparire oggi, almeno dal punto di vista del diritto positivo di rango legislativo, superfluo. Con la legge 20 maggio 2016, n. 76, sulle unioni civili e sulle convivenze di fatto, il legislatore ordinario ha infatti finalmente offerto una risposta, da un lato, alla istanza delle coppie omosessuali di disporre di uno strumento giuridico adeguatamente disciplinato da utilizzare per assumere reciprocamente diritti e doveri (almeno in parte) modellati sui diritti e i doveri scaturenti dal matrimonio eterosessuale e, dall’altro lato, all’esigenza di assicurare un regime giuridico minimo alle c.d. coppie di fatto stabilmente conviventi. I contenuti della legge n. 76 del 2016, come era inevitabile, hanno suscitato ampi dibattiti e discussioni e sono stati fatti oggetto di valutazioni critiche e giudizi più o meno positivi1, ma indiscutibilmente costituiscono un punto fermo, una tappa di fondamentale importanza nell’evoluzione del nostro diritto di famiglia, paragonabile per impatto e portata innovativa alle grandi riforme del 1970 e del 1975. È possibile, a questo punto, ritenere che le risposte in tal modo fornite dal nostro legislatore siano idonee a conferire al nostro diritto di famiglia (o delle famiglie, o delle relazioni affettive di natura familiare, se si preferisce) un sufficiente grado di solidità ed un assetto dotato di quel minimo di stabilità e durevolezza che appare imprescindibile affinché un istituto di nuovo conio possa – anche grazie al labor limae esegetico e ricostruttivo degli studiosi chiamati ad interpretare le nuove disposizioni e dei giudici chiamati ad applicarle – gradualmente e armonicamente inserirsi nel sistema, consentendo così di pervenire ad una organica rilettura e ricostruzione del sistema stesso, alla luce delle rivoluzionarie innovazioni apportate dalla legge del 2016? La risposta, purtroppo (o forse per fortuna), è di segno negativo: non solo e non tanto in ragione di presunte o reali lacune, manchevolezze, inadeguatezze contenutistiche delle
1
La letteratura in proposito è già fluviale: mi limito pertanto a citare, senza alcuna pretesa di completezza, alcuni dei volumi purrblicati in argomento, ad essi rinviando per ulteriori e più complete indicazioni bibliografiche: A.A.V.V., Le unioni civili e le convivenze: commento alla Legge n. 76/2016 e ai D. lgs. n. 5/2017; D. lgs n. 6/2017; D. lgs. n. 7/2017, a cura di C. M. Bianca, Torino, 2017; A.A.V.V., Unione civile e convivenza di fatto, vol. 5 del Trattato di diritto di famiglia diretto da Bonilini, Milano, 2017; A.A.V.V., Codice dell’unione civile e delle convivenze, a cura di Sesta, Milano, 2018; Romeo, Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze, in A.A.V.V., Della famiglia. Leggi complementari, a cura di Di Rosa, in Commentario del codice civile diretto da E. Gabrielli, Torino, 2018, 1985ss.; Gattuso, Romeo, Venuti, Giorgianni, e Palmeri, nel capitolo dedicato alle unioni civili in A.A.V.V., Legami di coppia e modelli familiari, a cura di Ferrando, Fortino, Ruscello, vol. I del Trattato di diritto di famiglia. Le riforme, diretto da Zatti, 2a ed., Milano, 2018, 1ss., nonché A.A.V.V., Le nuove famiglie. Unioni civili, convivenze, famiglie ricostituite: costituzione, diritti e doveri, rapporti personali e patrimoniali, filiazione, responsabilità, crisi della coppia e scioglimento, successione mortis causa, convenzioni e formule contrattuali, a cura di Albanese, Pisa, 2019.
300
Nuovi modelli familiari, matrimonio e unione civile: fine della partita
discipline menzionate, ma anche e soprattutto perché in un contesto ordinamentale come quello attuale – connotato da un sistema delle fonti multilivello presidiato da Corti sovranazionali come la Corte EDU e la Corte di Giustizia UE (2) nonché dall’espansione incontrollata e apparentemente inarrestabile degli spazi occupati dalla discrezionalità valutativa e decisoria dell’autorità giudiziaria ordinaria (e da ultimo persino degli ufficiali dello Stato civile) – qualsiasi intervento del legislatore nazionale in materia di relazioni personali e familiari affidato alla legge ordinaria appare ineluttabilmente destinato ad una sorte contrassegnata da instabilità, provvisorietà e fragilità. A ciò si aggiunga la circostanza che la sempre più agevole circolazione delle persone rende estremamente facile conferire, sotto l’impero di legislazioni nazionali di altri Paesi, rilevanza ed efficacia giuridica a relazioni cui il nostro diritto interno nega qualsivoglia rilevanza giuridica ovvero attribuisce effetti e conseguenze giuridiche più o meno radicalmente diverse da quelle contemplate dalle legislazioni nazionali straniere: si pone così in misura sempre più urgente e quasi drammatica il problema della definizione puntuale e concreta dei confini del nostro ordine pubblico (in materia familiare), che è rimasto l’unico ed ultimo ostacolo suscettibile di frapporsi all’attribuzione di validità ed efficacia, nel nostro diritto interno, ad atti negoziali e provvedimenti amministrativi legalmente e validamente formati all’estero e soprattutto a decisioni pronunciate da autorità giudiziarie straniere che riconoscano rilevanza giuridica a relazioni familiari che nel nostro diritto di famiglia non possono e non debbono avere alcuna rilevanza giuridica ovvero hanno una rilevanza giuridica profondamente diversa rispetto a quella che ad essi viene conferita dagli ordinamenti nazionali degli Stati in cui sono stati adottati gli atti, i provvedimenti e le decisioni in questione. Una emblematica espressione della descritta instabilità dell’attuale assetto del diritto di famiglia è rappresentata dalla vicenda evolutiva della regolamentazione delle relazioni affettive fra persone del medesimo sesso, alla quale verranno dedicate le considerazioni svolte in questo contributo.
2. Le tappe fondamentali del percorso sfociato
nell’approvazione della disciplina delle unioni civili contenuta nella legge n. 76 del 2016: la sentenza della Corte costituzionale n. 138 del 15 aprile 2010.
Per comprendere a fondo il senso e le ragioni delle scelte compiute dal legislatore italiano, e valutarne la tenuta e la solidità rispetto a possibili, futuri sviluppi giurisprudenziali, è indispensabile richiamare brevemente le due tappe fondamentali del percorso che ha
2
Cfr. in proposito le preziose pagine di Scalisi, Famiglia e famiglie in Europa, in Riv. Dir. civ., 2013, 7ss. e e di Busnelli, Il diritto della famiglia di fronte al problema della difficile integrazione delle fonti, in Riv. dir. civ., 2016, 1447ss.
301
Giovanni De Cristofaro
condotto all’approvazione della legge del 2016: la sentenza della Corte costituzionale n. 138 del 15 aprile 2010 e la sentenza “Oliari” della Corte EDU del 21 luglio 2015. Nella celebre e discussa sentenza n. 138 del 2010, la Corte costituzionale formula una serie di affermazioni che offrono una chiave di lettura cruciale ai fini della comprensione del senso e degli obiettivi delle opzioni compiute dal legislatore interno. L’unione omossessuale, intesa come “stabile convivenza fra due persone dello stesso sesso”, è una formazione sociale nel senso e ai fini di cui all’art. 2, che come tale ha il “diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia” e può legittimamente aspirare ad ottenere – nei modi e nei limiti previsti dalla legge ordinaria – il riconoscimento giuridico della propria condizione di coppia. L’aspirazione a siffatto riconoscimento postula necessariamente l’adozione, da parte del legislatore ordinario, di una “disciplina di carattere generale che regolamenti i diritti e i doveri dei componenti della coppia”. La realizzazione di siffatta istanza non implica tuttavia imprescindibilmente l’equiparazione delle unioni omosessuali alle unioni eterosessuali e la conseguente estensione alle prime dell’istituto matrimoniale attualmente riservato alle seconde: ai fini del rispetto dell’art. 2 Cost., infatti, l’individuazione delle “forme di garanzia e di riconoscimento” attraverso le quali assicurare alle unioni omosessuali la tutela cui esse hanno diritto ai sensi dell’art. 2 Cost. compete al Parlamento, nell’esercizio della sua discrezionalità. Alla Corte costituzionale rimane peraltro concessa la possibilità di intervenire a tutela di situazioni specifiche, ben potendo accadere che “in ipotesi particolari” si riscontri la necessità di assicurare alla coppia omosessuale un trattamento omogeneo a quello riservato alla coppia coniugata, ciò che la Corte costituzionale si riserva di garantire attraverso il controllo di ragionevolezza. Il matrimonio di cui all’art. 29 Cost. è soltanto il matrimonio eterosessuale di cui al codice civile del 1942: “questo significato del precetto costituzionale non può essere superato per via ermeneutica, perché non si tratterebbe di una semplice rilettura del sistema o di abbandonare una mera prassi interpretativa, bensì di procedere ad un’interpretazione creativa”. La “famiglia” di cui al citato art. 29 Cost. è pertanto solo la famiglia “legittima” fondata sul matrimonio eterosessuale. Le disposizioni del codice civile che riservano in via esclusiva l’accesso al matrimonio alle coppie eterosessuali non possono considerarsi illegittime sul piano costituzionale, sia perché trovano fondamento nell’art. 29 Cost., sia perché non danno luogo ad una discriminazione irragionevole, in quanto “le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio”. A differenziare il matrimonio (rectius la coppia eterosessuale unita in matrimonio) dalla coppia omosessuale (unita civilmente) è la “(potenziale) finalità procreativa del matrimonio”. Infine, si asserisce che l’art. 9 della Carta dei diritti UE e l’art. 12 della CEDU non impongono la piena estensione alle unioni omosessuali delle regole previste per le unioni matrimoniali tra uomo e donna: il rinvio esplicito alle leggi nazionali conferma che la materia è affidata alla discrezionalità del Parlamento (nazionale).
302
Nuovi modelli familiari, matrimonio e unione civile: fine della partita
Dalle affermazioni sopra riportate può ricavarsi un quadro complessivo che presenta alcuni tratti di sicura chiarezza ma nel contempo si connota per rilevanti lacune e considerevoli margini di ambiguità3, quadro che può essere sinteticamente riassunto nei termini seguenti: 1) si asserisce che le coppie omosessuali stabilmente conviventi e unite da una relazione affettiva consolidata non sono omogenee alle coppie eterosessuali coniugate: a caratterizzare la coppia eterosessuale coniugata, differenziandola dalla coppia omosessuale, è la “potenziale finalità procreativa del matrimonio”. La Corte, tuttavia, non individua né enuclea espressamente ulteriori elementi differenziali fra le une e le altre, sicché non è chiaro se agli occhi della Consulta l’assenza della “potenziale finalità procreativa” sia l’unica differenza o soltanto una delle differenze (eventualmente la più significativa). 2) conseguentemente, si esclude che la negazione dell’accesso al matrimonio alle coppie omosessuali costituisca una discriminazione irragionevole, contrastante con il principio di uguaglianza, fondandosi la ragionevolezza di tale opzione regolatoria proprio sulla “potenziale finalità procreativa” intrinsecamente ed ineludibilmente propria del matrimonio; 3) si ravvisa nell’art. 29 Cost., interpretato in senso tradizionale, il fondamento costituzionale della esclusione delle coppie omosessuali dal matrimonio, ma non si afferma in nessun punto che l’estensione del matrimonio alle coppie omosessuali rappresenterebbe una violazione dell’art. 29 Cost. 4) si afferma che il riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali stabilmente conviventi, attraverso la creazione di una disciplina generale di rango legislativo che ne regolamenti diritti e doveri, è comunque imposto dall’art. 2 Cost., giacché le unioni omosessuali, pur non potendo essere ricondotte alla nozione di famiglia di cui all’art. 29 Cost., sono pur sempre formazioni sociali ai fini dell’art. 2 Cost. Si nega che tale disciplina debba necessariamente essere quella dettata per il matrimonio, ma non si esclude espressamente che i suoi contenuti possano corrispondere ai contenuti della disciplina del matrimonio. Per altro verso, tuttavia, si ribadisce che le persone del medesimo sesso possono legittimamente aspirare (soltanto) al riconoscimento giuridico della propria “condizione di coppia”, in tal modo esaurendo nella relazione bilaterale fra i componenti della coppia la possibile portata del “riconoscimento giuridico” e così implicitamente escludendone qualsivoglia capacità espansiva e quindi la potenziale attitudine a costituire il fondamento di un vero e proprio nucleo familiare. 6) si afferma che la determinazione dei contenuti di tale disciplina generale è affidata alla piena discrezionalità del Parlamento, ma si omette di chiarire quali debbano essere i contenuti minimi delle “forme di riconoscimento delle garanzie e dei diritti” dei compo-
3
Quadro ribadito senza integrazioni o modificazioni dalle successive sentenze della Corte costituzionale 22 luglio 2010, n. 276 e 5 gennaio 2011, n. 4. V. anche Corte cost. 11 giugno 2014, n. 170, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimi gli artt. 2 e 4 l. 14 aprile 1982, n. 164 (norme in materia di rettificazione dell’attribuzione di sesso) nella parte in cui non prevedono che la sentenza di rettificazione del sesso di uno dei coniugi, che provoca lo scioglimento del matrimonio, consenta comunque, laddove entrambi i coniugi lo richiedano, di mantenere in vita un rapporto di coppia regolato giuridicamente con una forma diversa, che tuteli adeguatamente i diritti e i doveri della coppia con modalità da stabilirsi ad opera del legislatore.
303
Giovanni De Cristofaro
nenti della coppia che debbono imprescindibilmente essere assicurati affinché possa considerarsi soddisfatta l’istanza di tutela fondata sull’art. 2 Cost. 7) pur muovendosi dal presupposto di fondo della intrinseca e strutturale disomogeneità delle coppie omosessuali e delle coppie eterosessuali, si riconosce che in alcune “ipotesi particolari” possa rendersi necessario un trattamento giuridico omogeneo e si rimette alla Corte costituzionale il compito di verificare la sussistenza di tali “situazioni specifiche”. Ferma restando dunque la piena libertà del legislatore ordinario di destinare alle coppie omosessuali un istituto diverso dal matrimonio e di conferire al relativo regime giuridico un contenuto diverso da quello del matrimonio, la determinazione delle singole, concrete differenze di trattamento non è rimessa alla pura discrezionalità del legislatore ordinario: ogni singola disparità di trattamento può essere infatti vagliata dalla Corte costituzionale sotto il profilo della ragionevolezza, dovendo risultare giustificata da ragioni di natura oggettiva e non arbitrariamente discriminatoria, pena la violazione dell’art. 3 Cost.
3. (Segue): la sentenza “Oliari” della Corte EDU del 21 luglio 2015.
La sentenza Oliari del 21 luglio 20154, sviluppando un orientamento interpretativo già formatosi in precedenti pronunce non riguardanti l’Italia, perviene a sua volta ad alcune statuizioni che hanno rivestito (e rivestiranno in futuro) una fondamentale importanza non soltanto ai fini dell’an ma anche ai fini dei contenuti dell’intervento del legislatore italiano. Una relazione affettiva stabile e seria intercorrente fra due persone del medesimo sesso rientra sia nella nozione di “vita privata” che nella nozione di “vita familiare” di cui all’art. 8 della CEDU, sicché a siffatta relazione trova applicazione diretta l’art. 8 CEDU, nonché l’art. 14, in combinato disposto con il medesimo art. 8 (§§ 159ss.). Le coppie omosessuali hanno la stessa capacità delle coppie eterosessuali di instaurare relazioni stabili e si trovano in una situazione significativamente simile ad una coppia eterosessuale quanto all’esigenza di riconoscimento giuridico e di tutela della propria relazione (§ 165) . Il pieno ed effettivo rispetto dei diritti alla vita familiare e privata impone agli Stati aderenti l’obbligo positivo di procedere al riconoscimento giuridico della relazione affettiva stabile intercorrente fra due persone del medesimo sesso, ad esse estendendo l’istituto del matrimonio ovvero approntando una disciplina ad hoc, idonea ad assicurare una tutela contenutisticamente adeguata e duratura5 alle esigenze fondamentali della coppia (§§
4
5
Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 21 luglio 2015 - Ricorsi nn. 18766/11 e 36030/11 - Oliari e altri c. Italia., in Nuova g. civ. comm., 2015, I, 918 ss., con l’Opinione di L. Lenti, Prime note in margine al caso Oliari c. Italia (II, 983 ss.), La stabilità e durevolezza della tutela implica, secondo la Corte, che essa non dovrebbe esser fatta dipendere dalla convivenza, posto che “nel mondo globalizzato di oggi diverse coppie, sposate o civilmente unite, vivono la loro relazione a distanza, dovendo mantenere la residenza in Paesi diversi per ragioni professionali o di altra natura”: ciò non dovrebbe in alcun modo impedire
304
Nuovi modelli familiari, matrimonio e unione civile: fine della partita
166ss.): fra queste esigenze fondamentali possono essere annoverati fra l’altro, a titolo esemplificativo, “i reciproci diritti ed obblighi, compresa la reciproca assistenza morale e materiale, gli obblighi di mantenimento e i diritti successori” (§ 169). La puntuale determinazione dei contenuti del regime giuridico cui sottoporre le coppie omosessuali unite da una relazione stabile è rimessa ai legislatori nazionali, i quali tuttavia godono in proposito di margini di discrezionalità la cui ampiezza varia a seconda del livello della regolamentazione: tali margini di discrezionalità sono infatti assai limitati con riferimento alla enucleazione e alla determinazione dei contenuti dei “diritti fondamentali” derivanti dall’unione civile, sono invece decisamente più ampi con riferimento alla enucleazione e alla determinazione dei diritti “supplementari” suscettibili di scaturire dal perfezionamento dell’istituto (diverso dal matrimonio) che deve essere messo a disposizione delle coppie del medesimo sesso (§ 177). In ogni caso, trattandosi della tutela della vita privata degli individui, i margini di discrezionalità sono tanto più ridotti quanto più sia in gioco un “aspetto particolarmente importante dell’esistenza o dell’identità di una persona”. Le affermazioni contenute nella sentenza Oliari vengono pienamente ribadite dalla successiva sentenza “Orlandi” del 14 dicembre 20176, che ha ravvisato gli estremi di una lesione del diritto alla tutela della vita privata e familiare ex art. 8 CEDU nel rifiuto, legittimamente opposto dagli ufficiali dello Stato civile italiano anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 76 del 20107, di procedere alla trascrizione nei registri dello stato civile di matrimoni validamente contratti all’estero da coppie del medesimo sesso. Fermo restando dunque che gli Stati non debbono considerarsi obbligati (dall’art. 12 CEDU) ad estendere alle coppie del medesimo sesso l’accesso all’istituto del matrimonio, rimane tuttavia altrettanto fermo che – laddove questa opzione non venga esercitata – l’art. 8 CEDU può considerarsi rispettato soltanto se ed in quanto venga introdotto nel diritto nazionale un istituto giuridico ad hoc munito delle sopra descritte caratteristiche “minime” e venga consentito alle coppie del medesimo sesso che abbiano contratto matrimonio all’estero di trascrivere negli atti dello stato civile nazionale il relativo vincolo, vedendo ad esso attribuita la rilevanza e l’efficacia giuridica propria dell’istituto (diverso dal matrimonio) reso accessibile nel diritto nazionale alle coppie del medesimo sesso. La Corte Edu non specifica tuttavia in modo puntuale quali siano i contenuti minimi necessari ed imprescindibili della tutela che dev’essere garantita ai “diritti” e alle “esigenze” fondamentali dei componenti della coppia dall’istituto ad hoc (alternativo al matrimonio) che gli Stati debbono considerarsi obbligati a creare e mettere a disposizione delle cop-
6 7
di ritenere sussistente in questi casi una relazione stabile meritevole, di per sé sola ed in quanto tale, di essere giuridicamente riconosciuta e tutelata (punto 169 della sentenza). Sentenza della CEDU del 14 dicembre 2017, causa Orlandi e altri contro Italia. Legge della quale incidentalmente – ma superficialmente – si afferma che “sembra offrire più o meno la stessa tutela del matrimonio in ordine alle esigenze fondamentali di una coppia che ha una relazione stabile e seria”: num. 195.
305
Giovanni De Cristofaro
pie di persone del medesimo sesso legate da una relazione stabile che aspirino a veder riconosciuta e tutelata giuridicamente siffatta relazione. In particolare, non chiarisce se fra questi diritti possa e debba essere annoverato il diritto di accedere (come coppia, e non uti singuli) alla adozione (di figli minori in stato di abbandono), alla procreazione medicalmente assistita mediante fecondazione eterologa nonché all’adozione del figlio del partner (c.d. stepchild adoption).
4. Le opzioni fondamentali compiute nella legge n. 76 del
2016. Confronto con le leggi tedesca, austriaca e svizzera in materia di unioni registrate. Spinto (anche) dalla necessità di adeguare il nostro diritto interno alle indicazioni fornite dalla Corte Costituzionale e al dictum della sentenza Oliari, il Parlamento italiano, come noto, è riuscito dopo un lungo e faticosissimo percorso a pervenire all’elaborazione di un testo normativo rivelatosi idoneo a raccogliere la maggioranza dei consensi dei parlamentari. L’esigenza – fortemente sottolineata dalla Corte costituzionale e dalla Corte EDU – di assicurare riconoscimento giuridico e tutela alle relazioni affettive stabili intercorrenti fra persone del medesimo sesso attraverso una disciplina di carattere generale è stata soddisfatta ribadendo l’impossibilità per le coppie del medesimo sesso di accedere al matrimonio e creando per tali coppie un istituto ad hoc (denominato “unione civile”), reputato idoneo a dar vita a quel regime giuridico de minimis richiesto dalla Corte EDU e, già nel 2010, dalla Corte costituzionale. Sotto questo profilo, la scelta compiuta dal nostro legislatore appare a prima vista pienamente rispettosa dei margini di discrezionalità ad esso concessi sia dalla Corte costituzionale che dalla Corte Edu; per altro verso, essa sembra collocarsi nel solco delle analoghe scelte precedentemente effettuate dai legislatori tedesco8, svizzero9 e austria-
8
9
Gesetz über die Eingetragene Lebenspartnerschaft (Lebenspartnerschaftsgesetz – LpartG), inserito nel § 1 della legge del 16 febbraio 2001 che, nei §§ 2ss., reca le disposizioni che hanno modificato il codice civile e una considerevole serie di provvedimenti normativi previgenti al fine di adeguarne i contenuti alle innovazioni implicate dall’entrata in vigore del LPartG e di coordinarli con quest’ultimo. Sulla disciplina tedesca, che ha subito svariate modifiche negli anni successivi alla sua entrata in vigore (sulle quali torneremo infra, sub 6), cfr. i commenti di Wacke (nel Band 8 del Münchener Kommentar zum BGB, 7a ed., München, 2017), Brudermüller (in Palandt, Bürgerliches Gesetzbuch, 75a ed., 2016, 3106 ss.), Ring e Olsen-Ring (nel Band 4 del Bürgerliches Gesetzbuch. Kommentar, volume curato da Kaiser, Schnitzler, Friederici e Schilling, 3a ed., Baden Baden, 2014, 2652 ss.) e di Voppel (nell’apposito volume dello Staudingers Kommentar zum BGB, Berlin, 2010). Nella manualistica, v. Dethloff, Familienrecht, 32a ed., München, 2018, 242ss., Schwab, Familienrecht, 26a ed., München, 2018, 238ss. e Schlüter, BGB-Familienrecht, 14a ed., Heidelberg, 2013, 322 ss., nonché Gernhuber – Coester-Waltjen, Familienrecht, 6s ed., München, 2010, 479 ss. Nella letteratura italiana, v. di recente Azzarri, Le unioni civili nel diritto tedesco – quadro normativo e prospettive sistematiche, in questa Rivista, 2016, 1105 ss. e S. Patti, Le unioni civili in Germania, in Fam. dir. 2015, 958 s. Legge federale sull’unione domestica registrata di coppie omosessuali (LUD) del 18 giugno 2004, che negli artt. 1-35 disciplina il nuovo istituto dell’unione domestica registrata e negli artt. 36 ss. contempla una serie di modificazioni a provvedimenti previgenti. Sulla disciplina svizzera, entrata in vigore il 1° gennaio 2007, v. AA.VV., Droit LGBT. Droits des gays, lesbiennes, bisexuels et transgenres en Suisse: Partenariat enregistré, communauté de vie de fait, questions juridiques concernant l’orientation sexuelle et l’identité de
306
Nuovi modelli familiari, matrimonio e unione civile: fine della partita
co10, che come il legislatore italiano hanno preferito, nel momento in cui hanno deciso di riconoscere e tutelare giuridicamente le coppie omosessuali, mettere a disposizione di queste ultime un istituto ad hoc, di nuovo conio (regolato da disposizioni non inserite nel codice civile ma collocate in una legge speciale), lasciando riservata in via esclusiva alle coppie eterosessuali la possibilità di accedere al matrimonio. Sennonché, la disciplina italiana presenta, rispetto ai modelli tedesco, austriaco e svizzero, elementi di somiglianza ma anche profili di netta differenziazione, assai eterogeneo essendo stato il grado di diversità che ha connotato in questi Paesi la disciplina delle unioni registrate di coppie omosessuali rispetto alla disciplina nazionale del matrimonio11. Come le leggi austriaca, tedesca e svizzera, anche la legge italiana disciplina gli effetti economico-patrimoniali della costituzione e dello scioglimento (per morte o per sentenza pronunciata a seguito dell’intervenuta, irreversibile crisi della relazione) del vincolo contratto dalla coppia omosessuale con modalità pienamente corrispondenti a quelle con le quali disciplina gli effetti economico-patrimoniali del matrimonio e del divorzio. I diritti e gli obblighi reciproci dei coniugi e delle persone civilmente unite sono sostanzialmente identici; altrettanto dicasi della disciplina del regime patrimoniale della coppia applicabile in costanza di rapporto. Come la legge tedesca, austriaca e svizzera (nella loro formulazione testuale originaria), anche la legge italiana preclude in toto alle persone del medesimo sesso, che decidano di vincolarsi reciprocamente ricorrendo al nuovo istituto messo a loro disposizione, la possibilità di accedere – sia “come coppia” sia uti singuli – a qualsivoglia forma di filiazione adottiva, nonché la possibilità di accedere alla procreazione medicalmente assistita. Dalle leggi tedesca, austriaca e svizzera, la legge italiana si distingue tuttavia sotto altri profili, di fondamentale importanza. In primo luogo, nel solco della impostazione adottata dalla Corte costituzionale, la legge n. 76 del 2016 riconduce la coppia omosessuale unita civilmente nell’alveo delle “formazioni sociali”, negando natura familiare al relativo consortium ed escludendone la sussumibilità nella nozione di “famiglia” di cui all’art. 29, comma 1, Cost. La dimensione
genre, 2a ed., a cura di Copur, Montini e Ziegler, Basel, 2015; AA.VV., Zürcher Kommentar zum Partnerschaftsgesetz. Kommentar zum Bundesgesetz über die eingetragene Partnerschaft gleichgeschlechtlicher Paare (PartG) vom 18. Juni 2004, a cura di Greiser e Gemper, Zürich, 2007; AA.VV., Eingetragene Partnerschaft, a cura di A. Büchler, Bern, 2006. Nella manualistica, v. Guillot e Burgat, Droit des familles, 5a ed., Basel, 2018, Hausheer, Geiser, Aebi-Müller, Das Familienrecht des Schweizerischen Zivilgesetzbuches, 6a ed., Bern, 2018, 559 ss. 10 Bundesgesetz über die eingetragene Partnerschaft, inserito nel § 1 del Eingetragene Partnerschaft-Gesetz – EPG, pubblicato il 30 dicembre 2009 ed entrato in vigore il 1° gennaio 2010, che nei §§ 2ss., reca le disposizioni che hanno modificato il codice civile e una nutrita serie di atti normativi previgenti per coordinarli e adeguarli al nuovo istituto. Sulla disciplina austriaca, v. Gröger - Haller, EPG - Eingetragene Partnerschaft-Gesetz, Wien, 2010; AA.VV., Kommentar zum Ehe- und Partnerschaftsrecht, a cura di Gitschthaler e Höllwert, Wien New York, 2011; AA.VV., Handbuch Familienrecht, a cura di A. Deixler-Hübner, Wien, 2016. Nella manualistica, v. Kerschner - Wagner, Bürgerliches Recht. V. Familienrecht, 6a ed., Wien, 2017, 155ss. e Hinteregger, Familienrecht, 8a ed., Wien, 2017, 153ss.. 11 Per una analitica illustrazione di questi elementi di diversità mi permetto di rinviare al mio “Le unioni civili” fra coppie del medesimo sesso. Note critiche sulla disciplina contenuta nei commi 1°-34° dell’art. 1 della l. 20 maggio 2016, n. 76, integrata dal d. legisl. 19 gennaio 2017, n. 5, in Le nuove leggi civili commentate, 2017, 101ss.
307
Giovanni De Cristofaro
e la valenza familiare dell’istituto sono state espunte con certosina precisione da tutte le disposizioni che concorrono a comporre la relativa disciplina12, che non ricollega alla costituzione di un’unione civile nemmeno la conseguenza della instaurazione di rapporti giuridicamente rilevanti di affinità. Questa marcata e voluta negazione della natura “familiare” del consortium costituito da due persone del medesimo sesso unite civilmente13 non si rinviene nelle leggi tedesca, austriaca e svizzera. In secondo luogo, gli effetti non patrimoniali inter partes dell’unione civile vengono regolati con modalità significativamente e profondamente diverse rispetto a quelle con le quali vengono disciplinati gli effetti non patrimoniali inter partes del matrimonio: non vengono contemplati né l’obbligo di fedeltà, né l’obbligo di collaborazione nell’interesse della famiglia14, e la comunione di vita materiale e spirituale fra i/le componenti della coppia non viene né direttamente né indirettamente individuata come elemento caratterizzante il rapporto giuridico intercorrente fra le persone unite civilmente15. La dimensione non patrimoniale dell’istituto si riduce alla mera assistenza morale e materiale, cui si affianca una coabitazione la cui doverosità non appare munita di una giustificazione ragionevole, alla luce della preclusione della possibilità di accedere alla filiazione. Anche la configurazione di effetti non patrimoniali inter partes dell’unione civile sensibilmente più ridotti, per importanza e portata, rispetto agli effetti non patrimoniali del matrimonio è un tratto caratterizzante l’opzione legislativa italiana che non si riscontra affatto nelle leggi austriaca, tedesca e svizzera. Infine, profondamente diverse sono le risposte che la legge del 2016 offre a fronte dell’insorgenza di una crisi nella coppia unita civilmente, rispetto alla coppia coniugata. Non si contempla la possibilità per la coppia in disaccordo di chiedere l’intervento del giudice in funzione della ricerca di una possibile soluzione concordata della questione in merito alla quale è insorto il contrasto fra i partner (possibilità prevista invece per il matrimonio dall’art. 145 c.c.). Non si prevede la necessità, per poter addivenire allo scioglimento del vincolo, di una fase intermedia di sospensione degli effetti dell’unione civile equiparabile
12
Con l’unica eccezione (verosimilmente casuale) del comma 12 dell’art. 1, nel quale si discorre di indirizzo della vita familiare, salvo poi precisare che le parti fissano la residenza comune (e non “della famiglia”, come recita l’art. 144 c.c. con riferimento al matrimonio). 13 Riconosce che attraverso le differenziazioni di regime normativo degli effetti non patrimoniali (“molto significative sul piano ideologico”, ancorché dotate di “scarsissima portata effettiva”) il legislatore italiano ha inteso “sottolineare con il massimo di retorica verbale la differenza fra matrimonio e unione civile”, e “sembra così voler suggerire che l’unione civile non è una famiglia”, anche Lenti, Diritti di famiglia e servizi sociali, Torino, 2a ed., 163s., il quale giustamente evidenzia la incompatibilità di questo approccio con la giurisprudenza della Corte EDU. 14 Ma v. Auletta, I rapporti personali tra uniti civilmente, in Jus civile, 2017, 288ss, il quale ritiene (p. 293) che il dovere di fedeltà, ancorché non espressamente menzionato dalle legge, sia inevitabilmente implicato dal vincolo assunto dalle parti dell’unione civile, dal momento che l’istituto è stato introdotto per consentire alle coppie omosessuali di dar vita ad un legame giuridico non dissimile da quello matrimoniale; per altro verso (p. 297) anche il dovere di collaborazione, ancorché non contemplato in modo espresso, dovrebbe ritenersi comunque scaturente dalla costituzione di una unione civile, poiché anche nella coppia unita civilmente si rinviene un menage comune alla cui realizzazione entrambi i componenti della coppia debbono concorrere. 15 L’art. 1 della legge n. 898 del 1970, ai sensi del quale la sentenza di divorzio può essere pronunciata dopo che il giudice abbia accertato che la comunione di vita materiale e spirituale fra i coniugi è venuta meno e non può più essere ricostituita, non compare nell’elenco delle disposizioni della legge del 1970 applicabili anche alle unioni civili.
308
Nuovi modelli familiari, matrimonio e unione civile: fine della partita
alla separazione legale dei coniugi. Non si subordina ad alcun presupposto la possibilità, per le persone unite civilmente, di addivenire (mediante sentenza o in forma stragiudiziale) allo scioglimento del vincolo, che può essere ottenuto in virtù di una mera manifestazione unilaterale di volontà di uno dei componenti della coppia, la quale non necessita di essere in alcun modo motivata né giustificata e rende di per sé sola possibile l’attivazione del procedimento giudiziario divorzile (o la conclusione dell’accordo stragiudiziale di divorzio) alla sola condizione del decorso di tre mesi dalla data della sua emissione. Lo scioglimento del vincolo assunto mediante unione civile è dunque assai più semplice, libero e rapido rispetto al vincolo matrimoniale, e l’ordinamento non appresta strumenti né misure di qualsivoglia genere idonee a prevenirne, evitarne o quantomeno differirne la definitiva cessazione. Anche sotto questo profilo, le profonde differenziazioni fra unione civile e matrimonio che si rinvengono nella legge italiana mancano del tutto nelle leggi tedesca, austriaca e svizzera, ove presupposti e modi di scioglimento dei rapporti instaurati attraverso matrimonio e unione registrata sono assoggettati a regole sostanzialmente omogenee.
5. I tratti caratterizzanti delle unioni civili, quali disciplinate dalla legge italiana.
L’unione civile viene dunque ad essere configurata dalla legge italiana come un negozio produttivo di effetti rigorosamente inter partes, costitutivo di un rapporto meramente bilaterale e privo di potenzialità espansive sia in linea orizzontale che in linea verticale16, suscettibile di essere sciolto con modalità relativamente agevoli e in tempi assai ridotti (quantomeno se non vi è conflittualità fra le parti). Quanto ai contenuti di tale rapporto, mentre le conseguenze economico/patrimoniali dello scioglimento (per morte o per sentenza) sono sostanzialmente identiche a quelle dello scioglimento del rapporto matrimoniale, al pari del regime patrimoniale dei coniugi/uniti civilmente in costanza di rapporto, sul versante non patrimoniale si riscontrano numerose differenze assai significative, tutte riconducibili all’obiettivo, minuziosamente e pervicacemente perseguito dal legislatore, di ridurre (se non addirittura di eliminare) la valenza “familiare” dell’istituto, relegando la coppia del medesimo sesso unita civilmente al rango di mera formazione sociale, ontologicamente diversa dalla famiglia di cui all’art. 29 Cost.17.
16
Nel senso che gli effetti dell’unione civile riguardano sostanzialmente soltanto i membri della coppia che la costituiscono, cfr. Sesta, Manuale di diritto di famiglia, 8a ed., Milano, 2018, 226s. 17 Sesta, La disciplina dell’unione civile tra tutela dei diritti della persona e creazione di un nuovo modello familiare, in Fam. Dir., 2016, 885ss. Nel senso che l’unione civile darebbe vita ad uno status di carattere familiare, v. però Auletta, I rapporti personali tra uniti civilmente, cit., 276 e 311s., il quale, muovendo dal presupposto della esistenza – e piena compatibilità con la nostra Costituzione – di una pluralità dii modelli familiari, giunge a ravvisare nella coppia omosessuale unita civilmente un modello familiare vero e proprio, ancorché diverso rispetto al modello familiare rappresentato dalla coppia eterosessuale coniugata (e quindi non suscettibile di essere ricompreso nell’ambito di operatività dell’art. 29 Cost, riservato in via esclusivamente a quest’ultima); cfr. anche Ferrando,
309
Giovanni De Cristofaro
L’atto costitutivo di una unione civile finisce così per essere un negozio bilaterale dotato di effetti giuridici di ordine prevalentemente economico-patrimoniale, tanto da aver indotto una parte della dottrina a ricondurlo alla categoria del contratto piuttosto che alla categoria dei negozi non patrimoniali del diritto delle persone e della famiglia18. Ed è proprio questo l’aspetto che caratterizza la legge italiana distinguendola profondamente dalle leggi tedesca, austriaca e svizzera, che pure escludevano, nelle rispettive versioni originarie, qualsiasi possibilità di accesso alla filiazione per le coppie registrate del medesimo sesso, al pari della legge italiana. In Germania, Austria e Svizzera il nucleo non patrimoniale dell’istituto viene costruito con modalità del tutto analoghe a quelle del matrimonio, ciò che, per un verso, rende ovvio e pacifico il riconoscimento della valenza e natura familiare dell’istituto e per altro verso spiega e giustifica la piena estensione alle coppie omosessuali registrate delle conseguenze economico-patrimoniali ricondotte dai codici civili nazionali alla celebrazione e allo scioglimento del matrimonio. Le differenze fra i due istituti rimangono essenzialmente confinate alla tematica della filiazione, in ragione del fatto che in tutti e tre i Paesi, all’epoca della approvazione delle leggi sulle unioni registrate, i tempi non erano ancora maturi per addivenire in proposito all’individuazione di una soluzione politica sufficientemente condivisa. In Italia, invece, è proprio il nucleo non patrimoniale dell’istituto ad essere diversamente strutturato e costruito, ed è proprio la sua valenza familiare ad essere esplicitamente esclusa dal legislatore. Con queste premesse, la preclusione dell’accesso alla filiazione finisce per risultare l’inevitabile e logica conseguenza dell’opzione regolatoria di fondo compiuta dal Parlamento. In un ordinamento nel quale il diritto della filiazione tuttora non consente l’adozione piena da parte del single, ammette la coppia eterosessuale coniugata all’adozione “piena” di minorenni dichiarati in stato di adottabilità soltanto in presenza dei rigorosi presupposti di cui all’art. 6 l della l. n. 184 del 183, circondando di numerose cautele il relativo procedimento, ed apre infine l’accesso alla procreazione medicalmente assistita esclusivamente
Matrimonio e unioni civili: un primo confronto, in Pol. Dir., 2017, 49s., secondo la quale la legge Cirinnà ha portato “a compimento quel passaggio dalla “famiglia” alle “famiglie”, tale per cui alla famiglia fondata sul matrimonio si affiancano altri tipi di famiglie, diverse ma anch’esse meritevoli di tutela secondo l’ordinamento: anche le coppie unite civilmente sono pertanto famiglie, e in ciò risiederebbe la loro “specificità” nell’ambito della vasta ed eterogenea categoria delle formazioni sociali cui fa riferimento l’art. 2 Cost. Anche per Quadri, Unioni civili: disciplina del rapporto, in Nuova giurisprudenza civile commentata, 2016, 1688ss. l’istituto delle unioni civili ha sostanza indubbiamente familiare, nonostante le scelte lessicali del legislatore. 18 Sesta, La disciplina, cit.,, 883. Considerato il diverso ruolo dell’ufficiale dello Stato civile (il quale si limita a ricevere la dichiarazione resa congiuntamente dalle parti e a dichiarare poi avvenuta la costituzione dell’unione civile che le parti hanno manifestato la volontà di concludere), considerato che l’unione civile produce effetti rigorosamente circoscritti alle parti e considerato infine che - di tali effetti - quelli di natura patrimoniale sono di gran lunga più rilevanti rispetto a quelli (sostanzialmente evanescenti) di natura non patrimoniale, appare oggettivamente difficile negare la riconducibilità del negozio giuridico costitutivo dell’unione civile (quale delineato a disciplinato dalla legge del 2016) alla figura del contratto. Di un negozio giuridico bilaterale dotato della medesima natura (non patrimoniale e quindi non contrattuale) di quello matrimoniale discorre invece Auletta, Diritto di famiglia, Torino, 4a ed., 2018, 13, muovendo ovviamente da una opzione esegetica di fondo volta a valorizzare (nonostante e al di là della formulazione testuale delle disposizioni di legge che compongono la disciplina delle unioni civili) la dimensione familiare del vincolo e gli effetti non patrimoniali della sua assunzione.
310
Nuovi modelli familiari, matrimonio e unione civile: fine della partita
alle coppie eterosessuali coniugate o conviventi in età potenzialmente fertile, e soltanto a fronte della documentata ed accertata impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione (art. 4, comma 1, l. n. 40 del 2004) o della esistenza di malattie genetiche suscettibili di essere trasmesse alla prole (Corte Cost. 5 giugno 2015, n. 96), sarebbe stato del tutto incoerente ed irrazionale aprire le porte dell’adozione piena e della procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo a coppie del medesimo sesso sol perché unite da un vincolo giuridico sprovvisto di valenza familiare, sostanzialmente privo di contenuti non patrimoniali e suscettibile di essere sciolto con relativa facilità e rapidità. Il legislatore italiano, diversamente da quello tedesco, austriaco e svizzero, ha così preferito costruire i contenuti dell’istituto con modalità idonee a giustificare e fondare l’opzione di fondo (politicamente più rilevante e “sensibile”) dell’esclusione della coppia unita civilmente dall’accesso a qualsivoglia forma di filiazione, al fine di garantire la coerenza di questa opzione di fondo con il sistema complessivo del diritto italiano della filiazione e nel contempo di assicurarne la tenuta rispetto al possibile vaglio di illegittimità costituzionale per violazione degli artt. 2 e 3 Cost. Questa scelta ha avuto ovviamente un prezzo, quello della assoluta incoerenza ed inspiegabilità della piena ed indiscriminata estensione, alla coppia omosessuale unita civilmente, degli effetti giuridici economico-patrimoniali riconnessi dal diritto italiano alla celebrazione e allo scioglimento del matrimonio: un’estensione che, a rigore, può giustificarsi soltanto se si muove dal presupposto di una sostanziale omogeneità ed equivalenza (se non addirittura della piena sovrapponibilità) della coppia omosessuale e di quella eterosessuale unite da una relazione affettiva stabile e da un progetto duraturo di vita in comune di natura familiare19. Ma è un prezzo che il Parlamento italiano è stato evidentemente pronto a pagare pur di riuscire a consolidare e “blindare” l’opzione di fondo sulla quale ha finito per essere raggiunto l’accordo politico che ha reso possibile la positiva conclusione del sofferto iter di approvazione della legge.
6. La compatibilità della disciplina italiana delle unioni
civili con l’art. 3 Cost. Le vicende evolutive del diritto tedesco e austriaco.
L’opzione regolatoria di fondo che connota ed ispira la disciplina italiana delle unioni civili, distinguendola rispetto alle discipline tedesca, austriaca e svizzera, ha suscitato in dottrina molte critiche: sia per la sua intrinseca contradditorietà (riduzione e svalutazione
19
Sui risvolti e sulle ripercussioni della intrinseca contradditorietà della scelta del legislatore sul piano fiscale, con particolare riguardo alla imposta di successione, cfr. le riflessioni di Benni De Sena, Le unioni civili e l’imposta di successione: considerazioni civilistiche. famiglia e famiglie, trasmissione e trasmissioni, in Le nuove leggi civili commentate, 2018, 1033ss.
311
Giovanni De Cristofaro
degli effetti non patrimoniali a fronte della piena estensione degli effetti non patrimoniali propri del matrimonio), sia per la non condivisibilità della negazione tout court della dimensione familiare della coppia unita civilmente, sia, ancora, per il rigore eccessivo (e verosimilmente inutile sul piano pratico, in ragione delle ampie possibilità di accesso alla filiazione offerte dalle legislazioni vigenti in altri Paesi, Ue ed extra UE) della preclusione assoluta dell’accesso a qualsivoglia forma di filiazione. Queste critiche sono in larga misura condivisibili e inevitabilmente conducono e condurranno la dottrina e la giurisprudenza a proporre correttivi in via interpretativo/applicativa. Tuttavia, non si può negare che questa opzione regolatoria presenti, in sé e per sé, una indiscutibile logica (20) e coerenza con le indicazioni fornite dalla Corte costituzionale nella sentenza del 2010. Se è vero (come ha esplicitamente affermato la Corte costituzionale) che la relazione affettiva intercorrente fra due persone del medesimo sesso sfociata nella costituzione di una unione civile, per quanto seria e stabile, seppure meritevole di tutela e protezione giuridica è inidonea ad essere posta sul medesimo piano ed equiparata alla relazione affettiva stabile intercorrente fra due persone di sesso diverso che sfoci nella celebrazione di un matrimonio, in ragione di una intrinseca e strutturale diversità fra le due relazioni (radicata in primis nella impossibilità di accedere naturalmente alla filiazione), si giustifica e si impone la costruzione di differenze contenutistiche significative in punto di regime giuridico dei profili non patrimoniali del rapporto, differenze che proprio alla luce della natura non familiare (nel senso e ai fini di cui all’art. 29 Cost.) della “formazione sociale” costituita dalla coppia omosessuale unita civilmente si spiegano e motivano. La tenuta della legge sul versante degli artt. 2, 3 e 29 Cost. parrebbe così essere assicurata proprio dalla profondità delle differenze esistenti fra i regimi normativi dei due istituti. Se infatti il legislatore si fosse limitato a negare alla coppia unita civilmente l’accesso alla filiazione (o ad alcune tipologie di filiazione adottiva), lasciando tutti gli altri aspetti dell’istituto regolati con modalità identiche a quelle adottate dal codice civile per il matrimonio, la disciplina in parte qua (segnatamente, nella parte in cui non equipara alla persona coniugata la persona unita civilmente ai fini dell’accesso alla fecondazione assistita, all’adozione piena e all’adozione in casi particolari del figlio del partner ex art. 44, lett. b), della l. n. 184 del 1983) si sarebbe fin troppo facilmente prestata ad una censura di irragionevolezza in relazione all’art. 3 Cost. Né si sarebbe potuto obiettare che tale (unica) differenziazione viene imposta dall’art. 29, posto che – come riconosciuto da tutte le Corti costituzionali europee chiamate a pronunciarsi sulla compatibilità con i precetti costituzionali di tutela del matrimonio delle
20
Diversamente Venuti, La regolamentazione delle unioni civili tra persona dello stesso sesso e delle convivenze in Italia, in Pol. Dir., 2016, 112, la quale discorre criticamente di “scarsa visibilità” della ratio che orienta il legislatore nel tracciare la linea di demarcazione tra matrimonio e unione civile.
312
Nuovi modelli familiari, matrimonio e unione civile: fine della partita
leggi nazionali che negli ultimi anni hanno aperto le porte dell’istituto matrimoniale alle coppie omosessuali21 – nessun vulnus diretto alla tutela speciale del matrimonio assicurata dalla Carta costituzionale deriva dall’eventuale ammissione delle coppie del medesimo sesso unite civilmente all’accesso alla filiazione adottiva e alla fecondazione eterologa Inserita in un contesto assai più ampio e complesso di differenziazioni, soprattutto sul versante non patrimoniale, l’esclusione della coppia unita civilmente dalla filiazione appare invece null’altro che la tessera centrale di un più ampio, complesso e a suo modo coerente mosaico normativo, costruito con contenuti sensibilmente diversi da quello matrimoniale proprio in ragione della postulata, intrinseca disomogeneità delle due fattispecie regolate. La portata e le conseguenze della peculiare impostazione adottata dal legislatore italiano si colgono con chiarezza se si volge lo sguardo alle vicende evolutive del diritto tedesco e del diritto austriaco successive all’entrata in vigore delle leggi sulle unioni registrate. In entrambi questi Paesi, infatti, la questione della compatibilità – con il principio di uguaglianza e con il divieto di discriminazioni fondate sul sesso e sull’orientamento sessuale (consacrati nelle rispettive Carte costituzionali) – della scelta originariamente compiuta dal legislatore nazionale di negare l’accesso alla filiazione alle coppie omosessuali registrate, è stata infatti presto sottoposta alle rispettive Corti costituzionali, le quali hanno accolto le relative censure22 proprio muovendo dalla considerazione della piena uniformità dei contenuti delle discipline del matrimonio e delle unioni registrate in punto di effetti patrimoniali e non patrimoniali inter partes e del sottostante, implicito riconoscimento della piena omogeneità ed equivalenza della relazione stabile eterosessuale e di quella omosessuale e della natura sicuramente “familiare” di quest’ultima. Ciò ha indotto i Parlamenti nazionali23 ad intervenire per porre rimedio, con interventi correttivi del testo originario della legge, alle incongruenze e alle discriminazioni censurate dalle Corti costituzionali, pervenendo così gradualmente alla eliminazione di qualsivoglia differenza di trattamento fra coppie eterosessuali coniugate e coppie omosessuali registrate, soprattutto in tema di accesso alla filiazione adottiva e alla procreazione medicalmente assistita24.
21
V. Coester-Waltjen, Die Einführung der gleichgeschlechtlichen Ehe in ausgewählten Rechtsordnungen, in Zeitschrift für europäisches Privatrecht, 2018, 355ss. 22 Cfr. ad es. la sentenza della Corte costituzionale tedesca del 19 febbraio 2013, che ha dichiarato l’incostituzionalità (per violazione del principio di uguaglianza consacrato nell’art. 3, comma 1, del Grundgesetz tedesco) del § 9, par. 7 della legge tedesca del 2001, nella parte in cui precludeva alla persona che avesse costituito una unione registrata la possibilità di adottare il figlio del partner. Cfr. inoltre la sentenza del 21 gennaio 2015 della Corte costituzionale austriaca, che ha dichiarato la incostituzionalità del § 191, comma 2 del codice civile austriaco nella parte in cui riservava alle sole coppie eterosessuali coniugate la possibilità di adottare minorenni e del § 8, comma 4, della legge sulle unioni registrate che precludeva alle coppie omosessuali che avessero costituito una unione registrata l’accesso all’adozione di minorenni. 23 Cfr. infra, sub par. 9. 24 Persino in Svizzera il legislatore ha ritenuto opportuno rivedere la rigorosa scelta iniziale e – pur lasciando inalterato il divieto di accesso alla procreazione medicalmente assistita e all’adozione “come coppia” – con la legge federale di riforma dell’adozione del 17 giugno 2016, entrata in vigore il 1° gennaio 2018, ha finito per ammettere e regolamentare la possibilità, per ciascuno dei componenti della coppia omosessuale registrata, di adottare i figli del partner (c.d Stiefkindadoption), inserendo a tal fine una nuova disposizione (art. 27a) nella Legge sull’unione domestica registrata. Merita poi di essere rilevato che la menzionata legge di riforma del 2016 ha altresì introdotto nel diritto svizzero la possibilità della adozione di minorenni da parte di singoli individui (purché di età non
313
Giovanni De Cristofaro
Difficile immaginare che anche in Italia possa verificarsi uno sviluppo analogo su impulso della Corte costituzionale e con riferimento agli artt. 2 e 3 Cost. È vero, infatti, che la nostra Corte costituzionale, nella sopra ricordata sentenza n. 138 del 2010, non ha mancato di riservarsi espressamente la possibilità, “in ipotesi particolari” e in vista della protezione di “situazioni specifiche”, di sottoporre al controllo di ragionevolezza le differenze esistenti fra la disciplina del matrimonio e la disciplina delle unioni civili (ancora non approvata all’epoca della pronuncia della sentenza), sicché a rigore le sopra descritte differenziazioni di regime normativo sono, in linea di principio, tutte suscettibili di essere vagliate nella loro compatibilità con l’art. 3 Cost. Ed è altresì vero che la Corte costituzionale non ha precisato in dettaglio quali siano i contenuti “minimi” di tutela che la “disciplina generale” dei diritti e degli obblighi delle coppie omosessuali che decidono di vincolarsi giuridicamente deve necessariamente avere affinché possa considerarsi pienamente soddisfatta l’istanza di tutela di queste peculiari “formazioni sociali” fondata sull’art. 2 Cost., onde anche sotto questo profilo non può escludersi a priori che la Corte possa essere chiamata a stabilire se il regime normativo delineato dalla legge Cirinnà sia adeguato e sufficiente per assicurare alla coppia unita civilmente quella pienezza di riconoscimento e tutela che l’art. 2 Cost. impone al legislatore ordinario di garantirle. Tuttavia, proprio perché la nostra Corte costituzionale, diversamente dalla Corte EDU (e, come si vedrà, dalla Corte di giustizia UE), muove dal presupposto di fondo della disomogeneità della coppia omosessuale e di quella eterosessuale – disomogeneità ancorata (almeno) al dato della (in)attitudine alla procreazione “naturale” – è evidente che gli spazi per una censura di irragionevolezza delle differenziazioni di disciplina che siano direttamente o indirettamente connesse alla negazione della natura familiare dell’istituto e alla preclusione dell’accesso alla filiazione adottiva e alla fecondazione eterologa non possano che essere ridottissimi25. Invero, salvo il completo e definitivo abbandono dell’impostazione adottata nella sentenza del 2010, la Corte costituzionale, a fronte delle sopra descritte differenze di disciplina fra unioni civili e matrimonio, assai difficilmente potrà arrivare a ravvisare la sussistenza degli estremi di una di quelle “ipotesi particolari” e/o “situazioni specifiche” che potrebbero imporre un trattamento omogeneo delle unioni omosessuali e delle coppie coniugate e conseguentemente giustificare una censura di irragionevolezza della disparità di trattamento riservata alle coppie omosessuali dalla legge del 2016.
inferiore ai 28 anni). Tuttavia, mentre tale possibilità è stata concessa senza limitazioni alle persone non coniugate né vincolate da una unione domestica registrata, alle persone coniugate o vincolate da un’unione domestica registrata tale possibilità viene concessa soltanto se ed in quanto il partner sia stato colpito da una duratura incapacità di discernimento (nuovo art. 264b del codice civile svizzero). 25 Emerge infatti chiaramente dal testo della sentenza che per la Consulta la disomogeneità del trattamento giuridico è destinata ad essere la regola, a fronte della quale la omogeneità di trattamento è destinata per contro ad essere una eccezione, giustificabile soltanto in “ipotesi particolari” e in funzione della adeguata garanzia di “situazioni specifiche”.
314
Nuovi modelli familiari, matrimonio e unione civile: fine della partita
Ancor più ridotte, a maggior ragione, appaiono le probabilità che il nucleo di diritti e doveri (e, più in generale, l’insieme degli effetti giuridici) riconnessi dalla legge del 2016 alla costituzione di un’unione civile possa essere considerato insufficiente ai fini della piena attuazione dell’art. 2 Cost., dal momento che tale ultima disposizione si riferisce pur sempre a (mere) formazioni sociali, e non a (vere e proprie) famiglie, nel senso di cui all’art. 29 Cost.
7. La (in)compatibilità della disciplina italiana con la Cedu. …
La prospettiva muta tuttavia completamente se ci si interroga in merito alla compatibilità della legge n. 76 del 2016 con la CEDU, con la Carta dei diritti UE e con lo stesso Trattato sul funzionamento dell’UE. In quest’ottica, infatti, appaiono evidenti i profili di debolezza e fragilità dell’impianto e dei contenuti della legge Cirinnà, che non mancheranno verosimilmente di essere fatti valere con successo davanti alla Corte EDU (e forse anche davanti alla Corte di Giustizia UE). La Corte EDU ha affermato, nella sentenza Oliari e in altre sentenze, che gli Stati debbono assicurare alle coppie del medesimo sesso la possibilità di accedere (in alternativa al matrimonio) ad un istituto che garantisca adeguata tutela a diritti fondamentali della coppia del medesimo sesso, ma non ha ancora chiarito quale sia il nucleo minimo di questi diritti fondamentali, e in particolare non ha mai affrontato ex professo la questione se vi rientri o meno il diritto all’accesso alla genitorialità, pure a più riprese ritenuto incluso ed implicato dal “diritto alla vita privata”. Quali saranno mai questi diritti fondamentali? Il diritto alla fedeltà? Il diritto al doppio cognome? I diritti patrimoniali post-scioglimento per morte o divorzio? Dubito fortemente che la Corte EDU sia propensa a ravvisare (soltanto) in questi diritti il nucleo minimo essenziale dei diritti fondamentali della coppia che una disciplina nazionale dell’unione civile deve imprescindibilmente garantire e tutelare onde ottemperare agli “obblighi positivi” scaturenti dall’art. 8 CEDU. È fin troppo chiaro ed evidente, a mio avviso, che fra questi diritti fondamentali non potrà non essere annoverato anche, se non in via primaria, proprio il diritto delle persone unite civilmente di accedere alla genitorialità: non solo uti singuli, attraverso l’adozione del figlio del partner, ma anche e soprattutto come coppia, mediante il ricorso all’adozione piena di figli altrui dichiarati adottabili ovvero mediante il ricorso alla fecondazione assistita eterologa. Considerando che – per costante giurisprudenza della Corte CEDU – i margini di discrezionalità dei quali gli Stati godono in sede di definizione dei contenuti dell’istituto attraverso il quale le coppie omosessuali possono veder riconosciuta e tutelata la loro relazione sono assai ristretti quando sia “in gioco un aspetto particolarmente importante dell’esistenza o dell’identità di una persona”, non si vede infatti come si possa pensare di rimettere alla pura discrezionalità (se non all’arbitrio) dei legislatori nazionali la definizione della
315
Giovanni De Cristofaro
questione dell’accesso alla genitorialità, questione che per ovvie ragioni ha – prima e più di qualsiasi altra – una valenza esistenziale centrale ed un rilievo cruciale per le persone unite civilmente, sia come individui sia come coppia. Quando la Corte EDU sarà chiamata ad analizzare in maniera compiuta e puntuale il dettaglio dei contenuti dei regimi normativi nazionali delle unioni civili e le caratteristiche che li distinguono dai regimi normativi dettati per il matrimonio dalle medesime legislazioni nazionali, ben potrà accadere che essa reputi insufficiente il novero dei diritti garantiti ovvero il modo in cui tali diritti sono regolamentati, pervenendo alla conclusione che la disciplina nazionale dell’unione civile ha soddisfatto nell’an ma non nel quomodo l’istanza di tutela della vita privata e familiare della coppia omosessuale unita da una relazione affettiva stabile e seria. La legge italiana finirà così con ogni probabilità per essere censurata per violazione diretta dell’art. 8 CEDU, anche con l’ausilio dell’argomento comparatistico e del raffronto con l’evoluzione delle legislazioni straniere. A ciò si aggiunga che, ai sensi dell’art. 14 CEDU, il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla Convenzione (e quindi, anche del diritto alla tutela della vita privata e della vita familiare di cui all’art. 8) “deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione”. In definitiva, lo Stato che decide di non aprire il matrimonio alle coppie del medesimo sesso deve – nel costruire i contenuti dell’istituto deputato a soddisfare l’aspirazione di tali coppie a veder adeguatamene rispettata la loro vita privata e familiare attraverso il riconoscimento di rilievo giuridico alla loro relazione affettiva – evitare di adottare una disciplina che, differenziando i contenuti e le modalità di esercizio dei diritti spettanti ai componenti della coppia per motivi esclusivamente legati al sesso e all’orientamento sessuale delle persone coinvolte, si presti ad essere considerata discriminatoria: si verificherebbe infatti, in tal caso, una violazione del precetto dell’art. 8 CEDU in combinato disposto con l’art. 14 CEDU. Poiché – secondo quanto più volte la Corte Edu ha sottolineato – “le coppie omosessuali hanno la stessa capacità delle coppie eterosessuali di instaurare relazioni stabili e si trovano in una situazione significativamente simile ad una coppia eterosessuale quanto all’esigenza di riconoscimento giuridico e di tutela della propria relazione”, nella prospettiva dell’art. 14 CEDU ogni differenza di contenuto fra le discipline legislative nazionali del matrimonio e dell’unione civile, per non essere giudicata discriminatoria, deve essere dotata di una forte e solida giustificazione, che non può essere fondata in via esclusiva sul sesso e sull’orientamento sessuale (pena la violazione dell’art. 14) né tantomeno basarsi sulla negazione tout court della natura familiare della relazione affettiva omosessuale, stante l’ormai consolidato orientamento della Corte EDU a considerare inclusa nella nozione di vita familiare, sullo stesso piano della relazione fra persone di sesso diverso, anche la relazione fra persone del medesimo sesso. Posto, invero, che agli occhi della Corte EDU la relazione affettiva, seria e stabile intercorrente fra due persone del medesimo sesso condivide appieno la natura di relazione
316
Nuovi modelli familiari, matrimonio e unione civile: fine della partita
familiare tipicamente propria della relazione affettiva stabile intercorrente fra due persone di sesso diverso unite in matrimonio, come potranno giustificarsi le differenze di regime normativo fra matrimonio e unione civile contemplate dalla legge italiana? Non potrà essere certamente addotto l’argomento della intrinseca disomogenità della coppia omosessuale rispetto a quella eterosessuale, tanto più se fondato (esclusivamente) sulla oggettiva impossibilità di accedere ad una procreazione “naturale”; men che meno potrà invocarsi l’argomento della natura ontologicamente non familiare del consortium costituito dalla coppia omosessuale, posto alla base della sentenza della Corte Costituzionale del 2010 e della legge del 2016. Quale altra giustificazione potrà essere efficacemente addotta, allora, in un quadro nel quale ormai numerosi Stati aderenti alla Convenzione hanno esteso l’accesso al matrimonio alle coppie omosessuali, in contesti sociali, culturali e valoriali assai omogenei a quello italiano e con il pieno avvallo delle rispettive Corti Costituzionali nazionali26? L’esclusione dell’affinità, la mancata previsione degli obblighi di fedeltà e cooperazione, la diversa disciplina dello scioglimento, e ovviamente la preclusione assoluta della possibilità di accedere a qualsivoglia forma di filiazione: tutto finirà inevitabilmente per risultare irragionevolmente ed immotivatamente fondato su null’altro se non il sesso e l’orientamento sessuale delle persone coinvolte, con conseguente riconoscimento della sussistenza di una violazione dell’art. 8, in relazione all’art. 14 CEDU.
8. … e con il diritto dell’Unione Europea. Ai profili di incompatibilità con la Cedu si aggiungono poi ulteriori profili di incompatibilità con il diritto UE, che emergono von evidenza se si volge lo sguardo ai contenuti della recente sentenza pronunciata dalla Grande sezione della Corte di Giustizia il 5 giugno 2018 nel caso Coman27. Un cittadino rumeno, il sig. Coman, si trasferisce in Belgio, ove soggiorna per ragioni professionali per diversi anni lavorando come assistente parlamentare presso le istituzioni eurounitarie. Nel corso di questo soggiorno, sposa un cittadino statunitense con il quale, prima ancora di trasferirsi in Belgio, aveva instaurato una duratura e stabile relazione affettiva28. Successivamente, venute meno le ragioni lavorative che lo avevano indotto a
26
V. l’ampia rassegna effettuata da Coester-Waltjen, Die Einführung, cit., 347ss., la quale rileva che in nessuno dei Paesi (europei e non) che hanno esteso alle coppie omosessuali il matrimonio le Corti costituzionali nazionali, chiamate a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale delle relative leggi nazionali, le hanno giudicate contrastanti o comunque incompatibili con i precetti della Carta costituzionale nazionale volti a tutelare il matrimonio (con modalità più o meno equiparabili a quelle che connotano l’art. 29 della nostra Costituzione). 27 Corte di Giustizia (Grande Sezione) 5 giugno 2018, in causa C‑673/16, Relu Adrian Coman, Robert Clabourn Hamilton e Asociaţia Accept c. Inspectoratul General pentru Imigrări, Ministerul Afacerilor Interne. 28 In Belgio l’accesso al matrimonio è stato esteso alle coppie del medesimo sesso dalla Loi ouvrant le mariage à des personnes de même
317
Giovanni De Cristofaro
trasferirsi in Belgio, decide di rientrare in Romania, per tornare a stabilirsi nel suo Paese di origine insieme al partner. A tal fine la coppia richiede il rilascio, per il partner statunitense, di un permesso di soggiorno di durata superiore ai tre mesi ai sensi dell’art. 7, par. 2, della direttiva 2004/38/CE29, nella convinzione che il cittadino statunitense avesse diritto ad un permesso di soggiorno di durata superiore a tre mesi in quanto “familiare” del sig. Coman, posto che – in virtù della definizione contenuta nell’art. 2, punto 2, lett. a) della direttiva medesima – la nozione di “familiare” include il “coniuge”. A fronte del diniego opposto dal competente Ispettorato rumeno e motivato dalla considerazione che il diritto rumeno non ammette il matrimonio di persone del medesimo sesso (né conosce istituti paragonabili alle nostre unioni civili), i coniugi si rivolgono all’autorità giudiziaria rumena, sollevando questione di legittimità costituzionale della normativa rumena, questione che il tribunale rumeno effettivamente sottopone alla Corte costituzionale. Quest’ultima sospende a sua volta il giudizio, promuovendo un procedimento pregiudiziale davanti alla Corte di Giustizia UE alla quale chiede di chiarire se nella nozione di “coniuge” di cui all’art. 2, punto 2, lett. a), della direttiva 2004/38/CE debba ritenersi ricompreso anche il cittadino di uno Stato extra UE che abbia legalmente sposato un cittadino dell’Unione europea del suo stesso sesso in base alla legge di uno Stato membro diverso (nel caso di specie, il Belgio) da quello (nel caso di specie, la Romania) nel quale il cittadino UE intende soggiornare. La Corte risolve positivamente la questione pregiudiziale sollevata, affermando che la nozione di “coniuge”, impiegata nella direttiva 2004/38/CE, è neutra dal punto di vista del genere e include pertanto senz’altro anche la persona del medesimo sesso del cittadino dell’Unione interessato, che abbia validamente celebrato con quest’ultimo un matrimonio in un altro Stato UE. Quel che ai fini del nostro discorso, e nella prospettiva del diritto italiano, assume importanza cruciale non è tanto la risposta fornita dalla Corte alla questione pregiudiziale sollevata dalla Corte costituzionale rumena30, bensì il percorso argomentativo seguito e le
sexe et modifiant certaines dispositions du Code civil del 13 febbraio 2003, che ha modificato a tal fine il codice civile, il cui art. 143 oggi recita “Deux personnes de sexe différent ou de même sexe peuvent contracter mariage”. Dopo soli tre anni, un ulteriore intervento legislativo (Loi modifiant certaines dispositions du Code civil en vue de permettre l’adoption par des personnes de même sexe del 18 maggio 2006) ha aperto anche alle coppie coniugate del medesimo sesso le porte dell’adozione dei minorenni. 29 Direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri (in GUCE n. L 158 del 30 aprile 2004, 77ss.). L’art. 7, par. 2, della direttiva attribuisce espressamente il diritto di soggiorno per un periodo superiore a 3 mesi in uno Stato membro ai familiari (non cittadini di uno Stato membro) del cittadino dell’Unione che lo accompagnino o raggiungano nello Stato membro nel quale viene ospitato. Le disposizioni che hanno recepito la direttiva nell’ordinamento italiano si trovano nel d. legisl. n. 30 del 6 febbraio 2007. 30 Posto infatti che l’Italia (diversamente dalla Romania) si è dotata di una legge che ha riconosciuto e regolamentato le unioni civili fra coppie del medesimo sesso che espressamente statuisce che il termine coniuge, presente nella legislazione vigente, debba intendersi in senso ampio, comprensivo della persona unita civilmente, per nessuna ragione la richiesta di un permesso di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi potrebbe essere rifiutata dalle autorità italiane al cittadino di un Paese extraUE coniugato o unito civilmente con un cittadino di un Paese UE che (in presenza dei presupposti che lo legittimino a farne richiesta) intenda soggiornare stabilmente in Italia. La qualità di persona coniugata o unita civilmente è infatti di per sé sola (e senza che debbano ricorrere ulteriori presupposti) certamente idonea a farne un “familiare” ai sensi e ai fini di cui all’art. 2, lett. b), num. 1, e all’art. 7, comma 2, del d. legisl. 11 aprile 2007, n. 30.
318
Nuovi modelli familiari, matrimonio e unione civile: fine della partita
affermazioni contenute nella motivazione della sentenza, che mettono prepotentemente in luce il problema della compatibilità della legge italiana con la Carta dei diritti UE e con il Trattato sul funzionamento dell’UE. Pur riconoscendo che “lo stato civile, al quale sono riconducibili le norme relative al matrimonio, è una materia che rientra nella competenza degli Stati membri”, competenza che non viene pregiudicata dal diritto UE, la Corte (par. 38) precisa che “gli Stati membri, nell’esercizio di tale competenza, devono rispettare il diritto UE e, in particolare, le disposizioni del Trattato relative alla libertà di ogni cittadino dell’Unione di circolare e di soggiornare nel territorio degli Stati membri”. A venire in considerazione è, segnatamente, l’art. 21, par. 1, del Trattato sul funzionamento dell’UE, ai sensi del quale “Ogni cittadino dell’Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dai trattati e dalle disposizioni adottate in applicazione degli stessi”: un diritto, chiarisce la Corte (par. 32), che include il diritto di condurre una normale vita familiare sia nello Stato membro ospitante sia nello Stato membro del quale si è cittadini al quale si faccia eventualmente ritorno dopo aver soggiornato in altri Stati membri, ivi beneficiando della presenza, al proprio fianco, dei familiari e del coniuge. Muovendo da queste premesse, la Corte evidenzia che qualora le autorità di uno Stato membro si rifiutino di riconoscere – ai fini della concessione di un diritto di soggiorno c.d. derivato ad un cittadino di uno Stato terzo – il matrimonio da quest’ultimo contratto con un cittadino dello Stato membro, celebrato dalla coppia durante un soggiorno effettivo in un altro Stato membro ed in conformità alla legislazione di quest’ultimo Stato membro, il relativo atto di diniego è senz’altro idoneo ad ostacolare l’esercizio del diritto del cittadino UE di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, in quanto lo priva della possibilità di tornare nello Stato membro di cui ha la cittadinanza accompagnato dal coniuge. Ora, rileva la Corte, una misura nazionale idonea ad ostacolare l’esercizio della libera circolazione delle persone può essere giustificata solo se è conforme ai diritti fondamentali sanciti dalla Carta dei diritti UE, fra i quali rientra il diritto al rispetto della vita privata e familiare garantito dall’art. 7, diritto che ha “lo stesso significato e la stessa portata” del diritto garantito dall’articolo 8 della CEDU (num. 48 e 49). Di conseguenza, poiché dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo risulta che la relazione che lega una coppia omosessuale può rientrare nella nozione di «vita privata» nonché in quella di «vita familiare» al pari della relazione che lega una coppia di sesso opposto che si trovi nella stessa situazione (num. 50), è giocoforza concludere nel senso che l’art. 21, par. 1, TFUE non consente alle autorità competenti dello Stato membro di cui un cittadino UE abbia la cittadinanza di rifiutare la concessione di un diritto di soggiorno sul proprio territorio al cittadino di uno Stato terzo con lui coniugato per il solo fatto che l’ordinamento di tale Stato membro non prevede il matrimonio tra persone dello stesso sesso. L’impostazione adottata dalla Corte Edu in sede di interpretazione dell’art. 8 CEDU con riferimento alle coppie omosessuali (con particolare riguardo alla piena e incondizionata equiparazione alle coppie eterosessuali quanto alla attitudine a dar vita a forme di “vita
319
Giovanni De Cristofaro
familiare” meritevoli di identica tutela) viene così fatta integralmente propria dalla Corte di Giustizia UE, che la estende de plano all’art. 7 della Carta dei diritti UE elevandola in tal modo a canone fondamentale per l’interpretazione e l’applicazione dell’intero diritto UE e delle normative nazionali di attuazione dello stesso. Quanto profonda ed abissale sia la distanza fra il diritto UE, come interpretato dalla Corte di Giustizia, e il diritto italiano (Corte Cost. n. 138 del 2010 e legge n. 76 del 2016), è fin troppo evidente.
9. Conclusioni: Ehe für alle? Il legislatore nazionale, nonostante la regolamentazione privatistica dei rapporti familiari non rientri fra le materie di competenza esclusiva o concorrente dell’UE e non sia toccata, se non attraverso precetti generalissimi, dalla CEDU, di fatto ha perduto quasi completamente la possibilità di assumere ed attuare scelte regolatorie di politica del diritto libere ed autonome in materia di famiglia: stretto fra i principi della Costituzione, della CEDU e della Carta dei diritti, il peso crescente dell’influenza esercitata dall’evoluzione dei diritti nazionali dei Paesi UE e la pressione sempre più forte delle istanze di riconoscimento di efficacia in Italia di atti e provvedimenti giurisdizionali formati all’estero, vede ormai ridotti al minimo i propri spazi di discrezionalità. È indispensabile ormai prenderne atto con onestà e lucidità, traendone tutte le dovute conseguenze per il nostro sistema del diritto di famiglia. Altrettanto dicasi dei margini di cui gode la stessa Corte Costituzionale, la quale – se verrà chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità con gli artt. 2 e 3 (e con l’art. 117) delle differenze di disciplina fra matrimonio e unione civile attualmente contemplate dalla legge Cirinnà – non potrà non mutare il proprio approccio, pena l’isolamento fra le Corti costituzionali europee e lo scontro frontale con Corte EDU e Corte di Giustizia UE. Si perverrà per questa via ineluttabilmente al risultato della imprescindibilità di una piena uniformazione dei contenuti dell’unione civile a quelli del matrimonio, anche per quel che concerne l’accesso alla filiazione: soltanto in questo modo la disciplina interna della unione civile potrà andare esente da censure di incompatibilità con gli art. 8 e 14 CEDU e con il diritto UE. Una volta pervenuti all’esito della piena uniformazione dei contenuti e della disciplina dei due istituti, si porrà tuttavia l’ulteriore problema della ragionevolezza della scelta legislativa di destinare alle coppie omosessuali un istituto designato con un termine diverso dal termine “matrimonio” e regolato da disposizioni ad hoc collocate al di fuori dal codice civile, ma dotato di contenuti e caratteristiche del tutto corrispondenti a quelle del matrimonio medesimo: scelta della quale difficilmente potrà negarsi, per un verso, la concreta inutilità, per altro verso la natura intrinsecamente discriminatoria e l’attitudine a rendere possibili disparità di trattamento motivate esclusivamente dall’orientamento sessuale.
320
Nuovi modelli familiari, matrimonio e unione civile: fine della partita
Il problema si è posto in Germania ed in Austria ed è stato risolto con modalità differenti: in entrambi i casi la scelta originaria del legislatore nazionale di destinare alle coppie omosessuali un istituto ad hoc, mantenendo l’accesso al matrimonio riservato in via esclusiva alle coppie eterosessuali, è stata completamente superata. In Germania, dopo la pronuncia della Corte costituzionale del 2013 e gli interventi legislativi di modifica ed integrazione del Lebenspartnerschaftsgesetz del 16 febbraio 2001 (modificato una decina di volte fra il 2008 e il 2017!!), che hanno gradualmente eliminato tutte le differenze di disciplina intercorrenti fra matrimonio e unione registrata, è stato finalmente approvato dal Parlamento il Gesetz zur Einführung des Rechts auf Eheschließung für Personen gleichen Geschlechts del 20 luglio 201731, che ha riformulato il testo del § 1353 BGB32 aprendo il matrimonio anche alle coppie del medesimo sesso33, ha stabilito che a partire dal giorno di entrata in vigore della legge non possono più essere costituite unioni registrate fra persone del medesimo sesso ed ha previsto la possibilità di “convertire” in rapporto matrimoniale i rapporti precedentemente instaurati attraverso unioni registrate costituite sulla base della legge del 200134. In Austria, invece, la legge sulle unioni registrate di coppie omosessuali del 2009, modificata dal Parlamento già nel 201335 e poi nel 201736, e investita nel 2015 da una prima pronuncia della Corte costituzionale37, è stata da ultimo interessata da una ulteriore pronuncia della Corte costituzionale del 7 dicembre 2017 che ha eliminato, riconoscendone l’incostituzionalità, la diversità di sesso dei nubendi dai presupposti di accesso al matrimonio ed ha nel contempo eliminato l’identità di sesso dei partner dai presupposti di accesso all’istituto dell’unione registrata, rendendo in tal modo accessibili in egual maniera alle coppie eterosessuali e alle coppie omosessuali sia l’istituto del matrimonio, sia l’istituto dell’unione registrata, e rimettendo alla loro piena e incondizionata libertà la possibilità di optare per l’uno o per l’altro.
31
Sulla legge tedesca del 2017 cfr. Azzarri “Ehe für alle”: ragioni e tecnica della legge tedesca sul matrimonio tra persone dello stesso sesso, in Le nuove leggi civili commentate, 2018, 795ss. 32 Disposizione con la quale si apre il Titolo 5 (Effetti del matrimonio in generale) della Sezione 1 (Matrimonio civile) del Libro IV del codice civile, dedicato al diritto di famiglia. 33 Nella formulazione attualmente vigente, il comma 1 del § 1353 (rubricato Eheliche Lebensgemeinschaft - comunione di vita matrimoniale) prevede che il matrimonio viene celebrato da due persone di sesso diverso o del medesimo sesso per la durata della vita (auf Lebenszeit). I coniugi sono obbligati reciprocamente alla comunione di vita matrimoniale e si assumono reciprocamente la responsabilità l’uno dell’altro si fanno responsabilmente carico l’uno dell’altro. 34 Il disegno riformatore è stato successivamente completato dal Gesetz zur Umsetzung des Gesetzes zur Einführung des Rechts auf Eheschließung für Personen gleichen Geschlechts del 18 dicembre 2018, che ha apportato al codice civile e a svariati atti normativi vigenti le modificazioni rese indispensabili dall’estensione del matrimonio alle coppie omosessuali. 35 Con la legge di riforma dell’adozione del 6 agosto 2013 (Adoptionsrechts-Änderungsgesetz 2013 – AdRÄG 2013). 36 Con la seconda legge di riforma della disciplina delle misure di protezione degli adulti del 25 aprile 2017 (2. ErwachsenenschutzGesetz – 2. ErwSchG). 37 Sentenza del 21 gennaio 2015 della Corte costituzionale austriaca, che ha dichiarato la incostituzionalità del § 191, comma 2 del codice civile austriaco nella parte in cui riservava alle sole coppie eterosessuali coniugate la possibilità di adottare minorenni e del § 8, comma 4, della legge sulle unioni registrate che precludeva alle coppie omosessuali che avessero costituito una unione registrata l’accesso all’adozione di minorenni.
321
Giovanni De Cristofaro
Muovendo dalla considerazione che “sia il matrimonio che l’unione civile sono concepite come una comunione di vita duratura di due esseri umani, volta ad assicurare vicendevole cura, sostegno e responsabilità, e costituiscono entrambi la cornice giuridica della vita in comune che assicura pari diritti ai due partner intenzionati ad istituzionalizzare legami stabili e durevoli”, e che l’unica significativa differenza esistente fra questi due istituti – originariamente voluta dal legislatore in omaggio ad una concezione tradizionale del matrimonio come unico istituto suscettibile di sfociare nella genitorialità comune dei partner – è stata successivamente superata da interventi legislativi che hanno consentito alle persone unite civilmente di accedere come coppia e senza limitazioni alla adozione e alla procreazione medicalmente assistita, la Corte costituzionale austriaca è pervenuta ad affermare che l’assoggettamento, da parte della legislazione vigente, delle relazioni omosessuali e di quelle eterosessuali a due istituti giuridici distinti contrasta con il divieto, scaturente dal principio di uguaglianza, di discriminare gli esseri umani in base a loro caratteristiche personali quali l’orientamento sessuale38. Di qui la necessità di aprire incondizionatamente alle coppie omosessuali e alle coppie eterosessuali la possibilità di optare per l’uno o l’altro istituto. Difficile dire se anche il diritto italiano sia destinato ad una sorte analoga a quella che hanno avuto il diritto tedesco o quello austriaco: vi sono tuttavia, alla luce di quanto ho avuto modo di evidenziare, buone ragioni per ritenere che sia soltanto una questione di tempo…..
38
“L’assoggettamento ad istituti giuridici distinti (ma contenutisticamente corrispondenti) di rapporti che nella loro essenza, nel loro significato e nella loro importanza per gli individui coinvolti sono fondamentalmente identici” - così la Corte austriaca – “finisce così per avere un effetto discriminatorio diretto (vietato), perché in questo modo viene reso pubblicamente noto ed evidente che la relazione intercorrente fra due persone del medesimo sesso, formalizzata attraverso la costituzione di una unione civile, è qualcosa di diverso rispetto alla relazione intercorrente fra due persone di sesso diverso unite in matrimonio, sebbene le due relazioni siano intenzionalmente e consapevolmente sorrette dai medesimi valori (gleichen Werten). L’esistenza di due istituti giuridici distinti, a maggior ragione alla luce della sostanziale identità dei contenuti dei relativi regimi normativi, lascia intendere che le persone di orientamento omosessuale sono diverse dalle persone di orientamento eterosessuale: l’effetto discriminatorio che ne consegue si palesa nella circostanza che a causa della diversa denominazione del relativo stato civile le persone unite civilmente si vedono costrette a rendere pubblico il loro orientamento omosessuale, anche in contesti e circostanze in cui l’orientamento sessuale non dovrebbe avere alcuna rilevanza, correndo in tal modo il pericolo di essere per questo motivo vittime di atti o comportamenti discriminatori.
322
Francesca Cristiani
Vincoli familiari fra tradizione e nuove prospettive* Sommario : 1. Parentela e famiglia: un rapporto mutevole. – 2. La fuga dai vincoli in ambito familiare: accentuazione della volontà del singolo. – 3. La stabilità dei legami: segnali inversi di recupero del loro valore “ordinante”. – 4. Parentela e “famiglia degli affetti”: quale rapporto?
The essay aims to give a picture of the actual meaning of kinship, given the changes occurred in the relation between kinship and family, as well as the new configuration of family system, with the affirmation, and often prevalence, of a new set of values, sometimes not fully corresponding to values which kinship represents. The Author suggests to revitalize traditional bond of kinship, under the sign of solidarity, which is indispensable and common to every models of family. It is important also to enhance ordering value of kinship, and its certainty and stability, which gives it a resilience that cannot be found in other relationships, which are more and more “volatile” and at the risk of dissolution.
1. Parentela e famiglia: un rapporto mutevole. Il vincolo di parentela costituisce un legame di natura familiare che trova le sue origini in tempi molto lontani1. La sua definizione non ha subito rilevanti modifiche nel corso del
* 1
Il presente contributo è stato sottoposto a valutazione in forma anonima. Per una ricostruzione storica cfr., tra altri, C. Schwarzenberg, voce Parentela (dir. civ.) storia, in Enc. dir., XXXI, Milano, 1981, 639 ss.; A.G. Parisi, Della parentela e dell’affinità, artt. 74-78, Il Codice Civile. Commentario, fondato e diretto da Schlesinger, continuato da F.D. Busnelli, Milano, 2016, 3 ss. In relazione alle caratteristiche della parentela nel diritto romano, originariamente priva di un
323
Francesca Cristiani
tempo, sopravvivendo, pressoché immutata2, a vere e proprie rivoluzioni che hanno investito, al contrario, altre relazioni che pure si realizzano nello stesso ambito della famiglia. Tuttavia, se la definizione del legame ha resistito ai vorticosi mutamenti che hanno riguardato le relazioni familiari, non altrettanto si può dire del significato, dell’ampiezza e della rilevanza degli effetti del vincolo di parentela, per i quali si è assistito a notevoli cambiamenti, in conseguenza della affermazione, e spesso della prevalenza, di nuovi valori, talvolta non pienamente congruenti con quelli dei quali la parentela costituisce espressione. Un primo aspetto di evoluzione che involge la parentela si riferisce al rapporto tra la stessa e la famiglia3. In origine famiglia e parentela tendevano infatti a coincidere, ma questa coincidenza è venuta meno in seguito al tramonto della famiglia patriarcale, la cui rilevanza è andata via via sempre più riducendosi a favore della affermazione di un concetto di famiglia più ristretto, volto a ridimensionare la rilevanza dei rapporti familiari entro il più ridotto ambito del nucleo composto da genitori e figli4. I due termini della relazione parentela – famiglia hanno subito altresì una ulteriore fase di assestamento a seguito del venir meno della saldatura tradizionale tra parentela e legame di coppia: il vincolo di parentela, che scaturisce dalla filiazione, può nascere e sopravvivere, per sua natura, in maniera del tutto indipendente dalla persistenza di una relazione genitoriale, sempre più volatile, e non necessariamente formalizzata, fin dalla sua origine, con la celebrazione del matrimonio5. Sotto quest’ultimo profilo si deve ricordare che le caratteristiche della relazione parentale, sempre più frequentemente sorta, negli ultimi decenni, a prescindere dal vincolo coniugale, sono state oggetto di attenzione da parte della dottrina e di pronunce giurispru-
2
3
4
5
significato univoco, ed oggi alla base del moderno concetto, derivante dalla cognatio, basata sul vincolo di sangue, v. D. Barillaro, Della parentela e dell’affinità, in Comm. Scialoja Branca, Bologna-Roma, 1970, 438 ss.; G. Galeno, voce Parentela e affinità (diritto romano e vigente), in Noviss. Dig. it., XII, 1981, Torino, 390 ss. Il codice civile del 1865, all’art. 48, dava una definizione di parentela che è stata integralmente recepita dall’art. 74 del codice civile del 1942, ovvero il vincolo fra le persone che discendono dallo stesso stipite. Diversa era invece l’articolazione della disciplina, rispetto alle disposizioni del codice attuale, in quanto la collocazione del codice Pisanelli anteponeva la definizione dei gradi rispetto alla identificazione della “linea”; inoltre il limite entro il quale veniva riconosciuto il vincolo di parentela era previsto nello stesso art. 48, e indicato nel decimo grado. Cfr. in proposito. G. Salito, Parentela e affinità, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da G. Autorino Stanzione, Torino, 2011, 9. In merito al rapporto tra parentela e famiglia v., per tutti, P. Barcellona, voce Famiglia (dir. civ.), in Enc. dir., XVI, Milano, 1967, 787 e S. Ciccarello, voce Parentela (dir. civ.), in Enc. dir., XXXI, Milano, 1981, 656; più recentemente, F.G. Rossi, Problemi attuali della nozione di parentela e famiglia, in Rass. dir. civ., 2005, 693 ss. e E. DEL Prato, Matrimonio, famiglia, parentela: prospettive di inizio secolo, in Studi in onore di Antonio Palazzo, Torino, 2009, 2, 227 ss. V. in proposito, tra altri, M. Dogliotti, voce Famiglia (dimensioni della), in Dig. disc. priv., sez. civ., Torino, 1992, 178; E. Guerinoni, La parentela e l’affinità, in Il diritto di famiglia nei nuovi orientamenti giurisprudenziali, diretto da G. Cassano, vol. I, Famiglia e matrimonio, Milano, 2006, 67; C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1, La famiglia, Milano, 2017, 4. V. in proposito M. Sesta, Stato unico di filiazione e diritto ereditario, in Riv. dir. civ., 2014, I, 9, il quale sottolinea come “il matrimonio non si configuri più quale presupposto per dar vita a relazioni legalmente familiari, dato che esse sorgono oramai indipendentemente dalla sussistenza del vincolo”, ponendo in luce la differenza di prospettiva che è stata seguita nel parificare il rapporto genitore-figlio, invero pressoché uniformato già in sede di riforma del 1975, rispetto a quella che colloca il figlio nell’ambito più ampio delle relazioni parentali del genitore, che è quanto ha attuato la legge del 2012.
324
Vincoli familiari fra tradizione e nuove prospettive
denziali di diverso segno, soprattutto dopo la riforma del diritto di famiglia. In particolare, com’è noto, la questione più discussa era relativa alla estensibilità del vincolo di parentela naturale oltre il primo grado6 e nei confronti dei collaterali, problematica che, seppur risolta dalla dottrina prevalente, in via interpretativa, nel senso di una possibile estensione, quanto meno in linea verticale, non aveva, al contrario, trovato condivisione nella giurisprudenza7. Quest’ultima, pur riconoscendo, a specifici determinati fini, la parentela
6
7
Con la legge n. 151 del 1975, operata la (pressoché totale) equiparazione tra figli legittimi e figli, non più illegittimi, ma naturali, all’art. 258 c.c., norma dettata in materia di riconoscimento, era stata apportata soltanto una modifica aggiungendo l’inciso “salvo i casi previsti dalla legge”. Detta espressione veniva interpretata in senso estensivo dalla dottrina più incline a sostenere l’equiparazione tra parentela legittima e parentela naturale; in senso limitativo, e di conferma di un rapporto di parentela solo tra genitore e figlio, dalla dottrina che accoglieva la tesi tradizionale. Per quest’ultimo orientamento, confortato anche dall’assenza di espresso riferimento, in altre norme che pur davano rilevanza alla parentela, al vincolo nato al di fuori di un rapporto matrimoniale, v., tra altri, F. Santoro Passarelli, Parentela naturale, famiglia e successione, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1981, 30 ss.; M. Dogliotti, op. cit., 177; G. Di Rosa, sub art. 74, in Commentario del codice civile, diretto da E. Gabrielli, Della famiglia, a cura di L. Balestra, Torino, 2010, 9. Fautori di un’estensione dell’efficacia del riconoscimento, sulla scorta anche delle indicazioni provenienti dalla Carta Costituzionale e da fonti sovranazionali, ex plurimis, C.M. Bianca, Diritto civile, Famiglia e successioni, Milano, 2005, 21; G. Ferrando, La filiazione naturale, in Trattato Rescigno, IV, Torino, 1997, 122 ss.; F. Ruscello, La famiglia tra diritto interno e normativa comunitaria, in Familia, 2001, 704 e G. Salito, op. cit., 19. La Corte Costituzionale, dopo una prima pronuncia del 1969, che aveva ritenuto fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 467 e 577 c.c., nella parte in cui non riconoscevano il diritto di rappresentazione ai figli naturali del figlio o fratello del de cuius che non avesse avuto coniuge o discendenti legittimi, riconoscendo rilevanza alla parentela naturale (Corte Cost. 14 aprile 1969, n. 79, in Giur. it., 1969, I, c. 1219), si era espressa successivamente in senso opposto, in relazione al diritto di succedere dei fratelli e sorelle naturali, fondandosi sulla portata non estensiva dell’art. 30 Cost., limitato ai rapporti tra genitore e figlio (v. Corte Cost. 12 maggio 1977, n. 76, in Foro it., 1977, I, c. 1346), per affermare poi, nuovamente, la rilevanza della parentela naturale tra fratelli con la sentenza 4 luglio 1979, n. 55 (si veda in Giur. it., 1980, I, 1, c. 1122 con nota di G. Ferrando, La successione tra fratelli naturali ancora all’esame della Corte Costituzionale; in L.N.L.C.C., 1980, 181, con nota di L. Mengoni, Successione legittima dei fratelli naturali; in Foro it., 1979, I, 1, c. 1941 e ivi, 1980, I, 1, c. 908, con nota di M. Dogliotti, La Corte Costituzionale estende il rapporto di parentela naturale; in Dir. fam. e pers., 1979, 1043, con nota di A. Scalisi, “Principio di parità” e successione tra collaterali), dichiarando la parziale illegittimità costituzionale dell’art. 565 c.c., nella parte in cui escludeva il diritto a succedere tra fratelli e sorelle naturali, in mancanza di altri successibili, e con la sentenza n. 184 del 1990 (in L.N.L.C.C., 1990, 1452 con nota di M. Costanza Fratelli naturali: successione solo senza il concorso con parenti legittimi; in Giust. civ., 1991, I, 1133, con nota di E. Perego, La successione tra fratelli naturali dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 184 del 1990; in Rass. dir. civ., 1991, 422, con nota di F. Prosperi, L’incerto incedere della Corte Costituzionale nei confronti della parentela naturale; in Foro it., 1991, I, c. 3283 e in Giur. it., 1991, I, 1, c. 257), che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della stessa norma, nella parte in cui, in mancanza di altri successibili all’infuori dello Stato, non prevede la successione legittima tra fratelli e sorelle naturali, dei quali sia legalmente accertato il rispettivo status di filiazione nei confronti del comune genitori. Tuttavia, in seguito, la Corte Costituzionale ha ripetutamente negato rilevanza giuridica alla parentela naturale, ribadendo l’interpretazione restrittiva della portata dell’art. 30 Cost. e giustificando le precedenti pronunce, apparentemente di segno opposto, come introduzione di una nuova categoria di successibili, ma senza che questo potesse dare adito ad un principio generale di estensione della portata della parentela naturale (cfr. in questo senso Corte Cost. 7 novembre 1994, n. 377, in Fam. e dir., 1995, 6, con nota di A. FIGONE, La Corte Costituzionale interviene ancora sulla chiamata alla successione dei fratelli naturali e in Il Corr. giur., 1995, 112, con nota di F. Felicetti, Fratelli e sorelle naturali; e Corte Cost. 23 novembre 2000, n. 532, in Giust. civ., 2001, I, 591, con nota di C.M. Bianca, I parenti naturali non sono parenti? La Corte costituzionale ha risposto: la discriminazione continua; in Fam. e dir., 2001, 361, con nota di G. Ferrando, Principio di uguaglianza, parentela naturale e successione; in Familia, 2001, 498, con nota di M. Dellacasa, La vocazione a succedere dei parenti naturali tra garanzie costituzionali e normativa codicistica e in Il Corr. giur., 2001, 1034, con nota di E. Guerinoni, La Corte costituzionale ancora sulla successione legittima dei parenti naturali). Più recentemente, in merito, cfr. A. Morace Pinelli, Il problema della rilevanza giuridica della cd. parentela naturale, in Riv. dir. civ., 2012, I, 345 ss. Anche la Corte di Cassazione (V. Cass. Civ., sez. II, 10 settembre 2007, n. 19011, in Giust. civ., 2008, 2477), specificamente affermando che una rilevanza giuridica alla parentela come istituto comprensivo di tutte le persone che discendono dallo stesso stipite, sufficiente ad attribuire la qualità di successibile ex lege, avrebbe potuto essere soltanto l’effetto di una normativa ad hoc, si era espressa nel senso della impossibilità di includere tra i successibili ex lege i parenti naturali in linea collaterale di quinto grado. V. in proposito le interessanti considerazioni, anche de jure condendo, di A. Renda, Le incerte sorti della parentela naturale tra resistenze giurisprudenziali e prospettive di riforma, in Fam. pers. e succ., 2008, 21 ss.
325
Francesca Cristiani
naturale oltre il rapporto tra genitore e figlio che si instaura con il riconoscimento, aveva, al contrario, espressamente e ripetutamente escluso l’affermazione di una generalizzata forza espansiva della parentela conseguenza della filiazione indipendente dal vincolo matrimoniale. La tormentata questione è giunta a compimento soltanto con la legge n. 219 del del 2012 che novellando, sul punto, l’art. 74 c.c., e specificando, altresì, con il nuovo testo dell’art. 258 c.c., che gli effetti del riconoscimento si estendono ai parenti del genitore che lo ha fatto, ha posto definitivamente fine ad ogni dubbio sulla capacità espansiva della parentela naturale8. Così, se di figlio si deve parlare oggi senza aggettivi9, altrettanto si deve fare con riferimento alla parentela, che della filiazione costituisce inevitabile conseguenza: dalla filiazione scaturisce un vincolo che inserisce il figlio nella cerchia parentale di entrambi i genitori e che sopravvive anche alla eventuale dissoluzione del legame di coppia10. Si può dire allora che i due termini del rapporto parentela – famiglia abbiano subito opposte vicende: mentre la parentela ruota attorno all’unico e unitario fulcro della filiazione, la famiglia, priva di un unico paradigma, “sganciata” non soltanto dal crisma matrimoniale, ma anche dal legame di coppia eterosessuale, si è scomposta in diversi modelli11, che rappresentano nuove realtà di tipo familiare, accomunate in senso lato dall’essere espressione di legami di natura affettiva, più o meno stabili, nel segno della solidarietà. Ciò rende impossibile valutare in modo unitario il rapporto con la parentela, ormai inevitabilmente inquadrato in maniera indipendente dal legame di coppia e dal modo nel quale lo stesso si può atteggiare: non è un caso che si sia parlato di un passaggio dalla famiglia senza parentela, alla parentela senza famiglia12. Se di realtà di tipo familiare si può parlare, oggi, con riferimento a situazioni diverse, ma connaturate da una dimensione comunitaria, che si realizza nelle maglie di un unitario
8
V., tra altri, M. Velletti, La parentela a seguito della riforma (art. 74 c.c., come modificato dall’art. 1, comma 1 della L. n. 219/2012), in La riforma della filiazione, a cura di C.M. Bianca, Padova, 2015, 179; M. Lupo, La parentela e i suoi effetti, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da G. Bonilini, Torino, 2016, vol. I, 51. 9 Cfr. in proposito, tra altri, M. Bianca, L’uguaglianza dello stato giuridico dei figli nella recente L. n. 219 del 2012, in Giust. civ., 2013, 205 ss.; e L’unicità dello stato di figlio, in La riforma della filiazione, a cura di C.M. Bianca, cit., 3 ss.; V. Carbone, Riforma della famiglia: considerazioni introduttive, in Fam. e dir., 2013, 228 ss.; A. Del Giudice, La filiazione prima e dopo la riforma, in Dir. fam. e pers., 2014, 337 ss.; A.G. Parisi, op. cit., 30 ss.; U. Salanitro, La riforma della disciplina della filiazione dopo l’esercizio della delega, (I parte), in Il Corr. giur., 2014, 540 ss. 10 Sottolinea il ruolo centrale dell’art. 74 nell’ambito della nuova disciplina della filiazione S. Patti, Riflessioni conclusive, in La riforma della filiazione, cit., 1212. In merito sia consentito rinviare altresì a F. Cristiani, La parentela. Chiaroscuri di un vincolo al passo con i tempi, Torino, 2018, 18 ss. 11 Cfr. tra altri, T. Auletta, in Diritto di famiglia, Torino, 2016, 7, il quale rileva come “il concetto di famiglia non è univoco e statico ma si evolve in virtù dei mutamenti sociali e culturali che vengono recepiti dalle norme”; M. Porcelli, La famiglia al plurale, in Dir. fam. e pers., 2014, 1248 ss.; L Rossi Carleo, che parla di “una pluralità di costellazioni familiari” in Status e contratto nel mosaico della famiglia, in Dir. fam. e pers., 2016, 221.; F. Parente, I modelli familiari dopo la legge sulle unioni civili e sulle convivenze di fatto, in Rass. dir. civ., 2017, 956 ss. Fa riferimento alla impossibilità di configurazione di un modello familiare L. Balestra, L’evoluzione del diritto di famiglia e le molteplici realtà affettive, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2010, 1105 ss., modello sulla cui crisi e sul cui attuale significato riflettono A Gorassini, Il nuovo ordine della famiglia nella società del terzo millennio, in La famiglia all’imperfetto?, Napoli, 2016, 15 ss. e R. Picaro, Le famiglie e la loro regolazione, in Rass. dir. civ., 2017, 1419 ss. 12 V. E. Del Prato, op. cit., 235.
326
Vincoli familiari fra tradizione e nuove prospettive
vincolo di solidarietà, si possono indicare sinteticamente diversi aspetti che il rapporto tra parentela e famiglia può assumere. Ci sono sicuramente ipotesi di famiglia che non è parentela, ad esempio il caso di due coniugi senza figli. Svariate sono altresì le ipotesi di comunione di affetti che restano in una zona grigia, nel senso che non sono coperte né dall’una dell’altra “investitura”, vuoi perché risultano regolate ma non definite, come i casi di affidamento e di adozione cd. non legittimante; vuoi perché, al contrario, sono regolate ma definite in negativo: il riferimento paradigmatico è alle unioni civili, che non vengono espressamente e volontariamente chiamate famiglia13 e non possono dar vita, in quanto tali, a rapporto di discendenza (e quindi di parentela). Si possono altresì individuare fattispecie concrete non oggetto di specifica regolamentazione, se non per aspetti particolari, come è il caso della famiglia ricomposta14, con le relative problematiche attinenti al riconoscimento di giuridica rilevanza alla comunione di affetti, anche consolidata15, che può instaurarsi tra un bambino ed i genitori – ed eventualmente i parenti – cd. sociali16. E ancora, ci sono ipotesi di parentela, giuridicamente rilevanti, che potrebbero in concreto stridere con una tale identificazione di famiglia, ad esempio la parentela di sesto grado rilevante ai fini successori: in questo caso potrebbe non esserci una effettiva comunità di affetti, sostituita comunque, almeno, da una certezza, se non altro di stabilità. Ci sono, infine, casi nei quali la parentela si identificherebbe proprio con una nozione di famiglia nella sua dimensione comunitaria, che però non sono regolate in quanto tali, ma solo nella loro configurazione di persone appartenenti al medesimo gruppo parentale: per esempio le ipotesi, non infrequenti soprattutto in età avanzata, di parenti conviventi in
13
Rileva come la legge eviti “con cura quasi maniacale l’utilizzazione della parola famiglia e dell’aggettivo familiare in tutte le disposizioni inserite nei commi 1-34 dell’art. 1” G. De Cristofaro, Le “unioni civili” fra coppie del medesimo sesso. Note critiche sulla disciplina contenuta nei commi 1-34 dell’art. 1 della legge 20 maggio 2016 n. 76, integrata dal d.lgs. 19 gennaio 2017 n. 5, in L.N.L.C.C., 2017, 101 ss.; osserva P. Zatti, Introduzione al convegno, in L.N.G.C.C., 2016, II, 1663, come la legge n. 76 del 2016 abbia voluto delimitare il “riconoscimento” legislativo dell’unione omosessuale, sottolineandone la “specificità” come formazione sociale, così sottratta dal campo concettuale della famiglia. 14 Cfr. in merito, tra altri, Rescigno, Le famiglie ricomposte: nuove prospettive giuridiche, in Familia, 2002, 1 ss.; M. Sesta, Verso nuove trasformazioni del diritto di famiglia italiano, in Familia, 2003, 123 ss.; T. Auletta, La famiglia rinnovata: problemi e prospettive, in Familia, 2005, 19 ss.; A. De Mauro, Le famiglie ricomposte, in Familia, 2005, 765 ss.; D. Buzzelli, La famiglia “composita”. Un’indagine sistematica sulla famiglia ricomposta: i neo coniugi o conviventi, i figli nati da precedenti relazioni e i loro rapporti, Napoli, 2012. Successivamente alla legge n. 76 del 2016 v. E. Al Mureden, Le famiglie ricomposte tra matrimonio, unione civile e convivenze, in Fam. e dir., 2016, 966 ss.; T. Auletta, Disciplina delle unioni non fondate sul matrimonio: evoluzione o morte della famiglia? (l. 20 maggio 2016 n. 76), in L.N.G.C.C., 2016, I, 370 ss. 15 Segnala M. Dell’Utri, Famiglie ricomposte e genitori “di fatto”, in Familia, 2005, 281, la “necessità di riservare la dignità dell’espressione alle sole esperienze relative alla costituzione di rapporti o nuclei familiari (in cui spiccano relazioni tra minori e adulti non genitori) in cui prevalente è il dato della stabilità o del consolidamento concreto della consuetudine degli affetti”, evitando così il rischio di “cadere nell’equivoca sopravvalutazione di esperienze di coppia effimere o deresponsabilizzate”. 16 Cfr. G. Ferrando, Famiglie ricomposte e nuovi genitori, in Giur. it., 2007, 2893 ss.; M. Cinque, Quale statuto per il “genitore sociale”?, in Riv. dir. civ., 2017, 1475 ss. Particolare riferimento alla prospettiva del minore nelle cd. famiglie ricostituite in E. Quadri, La tutela del minore nelle unioni civili e nelle convivenze, in L.N.G.C.C., 2017, II, 566 ss.
327
Francesca Cristiani
una comunità reciprocamente solidale, per sostenersi reciprocamente in senso materiale e spirituale17. Né si può dire che il chiarimento sulla configurazione del rapporto tra parentela e famiglia sia privo di rilievo pratico e confinabile soltanto nell’ambito della pura dissertazione; al contrario, appare estremamente rilevante al fine di comprendere chi possa essere identificato come “familiare”, nell’ambito di diverse norme, anche recenti, che allo stesso si riferiscono, senza però fare chiarezza, in quanto dalla regolamentazione di alcuni specifici aspetti attinenti ai rapporti non si evince un comune e unitario concetto di famiglia, né si parla espressamente dei parenti, salvo, talvolta, ad indicarne alcuni specificamente. Si possono, a tal proposito, prendere in considerazione normative che si occupano in qualche modo del destino dell’individuo e che attengono a sue scelte personalissime. La legge 15 marzo 2010 n. 38 sulle cure palliative fa espresso – e nello stesso tempo, per quanto si riferisce alla individuazione dei soggetti, generico – riferimento alla “cura individuale per il malato e per la sua famiglia” ed al supporto dei malati “e dei loro familiari”. In questa ipotesi, anche considerando i delicatissimi e personali interessi presi in considerazione, è da ritenere che l’intenzione del legislatore sia quella di consentire al malato, ed alle persone a lui affettivamente legate, a prescindere dalla qualifica formale, sia essa di parente, coniuge, convivente, o di soggetto unito civilmente, di fruire del massimo sostegno di cure e di affetti, per poter vivere con dignità la situazione di patologia così come definita dall’art. 2, lett. c) della legge: la strada percorsa dal legislatore sembrerebbe seguire il solco che porta a privilegiare la famiglia intesa come comunità di affetti. Ulteriormente diverso il dettato normativo dell’art. 5, comma 2 della legge del 22 dicembre 2017 n. 219, in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento, che pure fa riferimento ai “familiari”, ma non in via esclusiva. In questo caso, infatti, la medesima indicazione dei “familiari” come possibili destinatari, con il consenso del paziente, delle informazioni relative alla patologia ed alla sua prevedibile evoluzione ai fini di una pianificazione condivisa delle cure18, è accompagnata dalla espressa previsione della “parte dell’unione civile” e del “convivente”. Da questa esplicita elencazione si potrebbe dedurre, con argomento letterale e sistematico, un’interpretazione diversa da quella poco sopra prospettata in relazione alle cure palliative, poiché se il coniuge ed i parenti (salvo individuare in concreto quali) debbono senz’altro essere inclusi tra coloro ai quali spetta la qualifica di “familiare”, non altrettanto si potrebbe dedurre, al contrario, per il partner dell’unione civile e della convivenza. In altri termini, dalla lettura di questa
17
Indica le convivenze parentali come ipotesi meritevoli di considerazione sul piano dei vincoli affettivi F.D. Busnelli, La famiglia e l’arcipelago familiare, in Riv. dir. civ., 2002, I, 517. 18 Fa riferimento alla gestione consapevole e dignitosa di malattie infauste, che vede la partecipazione di vari attori: oltre al malato, i familiari, il soggetto fiduciario, nell’ambito di una programmazione concertata delle cure M. Bianca, La legge 22 dicembre 2017, n. 219. Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento. Prime note di commento, in Familia, 2018, 109.
328
Vincoli familiari fra tradizione e nuove prospettive
normativa, si potrebbe ipotizzare una rinnovata tendenziale sovrapposizione del concetto di famiglia a quello di parentela. Analoga conclusione sembrerebbe potersi trarre a seguito del tenore letterale del comma 39 dell’art. 1 della legge n. 76 del 2016, che specifica espressamente i diritti dei conviventi di fatto in ambito – per così dire – sanitario, parificandoli a quelli previsti per i coniugi e i familiari, con la duplice conseguenza logica che i coniugi non sono familiari, i quali ultimi devono allora essere specificamente individuati, potendo coincidere, forse, con coloro che appartengono alla cerchia parentale. La medesima legge, con riferimento alle unioni civili, per un verso evita accuratamente di parlare di famiglia; per altro detta una regolamentazione di diritti e obblighi, ma non parla di comunione materiale e spirituale19, che non costituisce un suo presupposto; per altro ancora non comporta, per mancanza di richiamo espresso della relativa norma del codice, l’estensione del vincolo ai familiari attraverso il legame costituito dall’affinità20. A questo proposito, se ne potrebbe allora dedurre, accogliendo una nozione di famiglia latamente basata su una comunione di affetti, che anche all’unione civile ci si potrebbe riferire come ad una comunità familiare, non di per sé, ma se ed in quanto, in concreto, ci sia una tale comunione di affetti, che prescinde, peraltro, dalla instaurazione del vincolo di parentela e dal verificarsi dei suoi effetti. In conclusione, non si può fare a meno di rilevare come, anche nella legislazione più recente, non sia ravvisabile una costante, coerente ed unitaria impostazione sulla base della quale si possano (ri)costruire saldamente i termini mutevoli del rapporto tra famiglia e parentela. La mancanza di una chiara linea di tendenza in proposito merita senz’altro di essere segnalata criticamente, potendo suscitare, in diversi casi, rilevanti dubbi interpretativi nell’applicazione di norme, sulla base del presupposto inequivocabile che non può ritenersi esistente una unitaria qualifica di “familiare”, in mancanza di un unico modello di famiglia.
19
Pone in luce come nella regolamentazione dell’unione civile si prescinda da una finalità comunitaria e di tutela del gruppo R. Fadda, Le unioni civili e il matrimonio: vincoli a confronto, in L.N.G.C.C., 2016, 1387. 20 Nella mancanza di costituzione di uno specifico rapporto tra un membro dell’unione civile ed i parenti dell’altro, alcuni hanno posto in luce la piena coerenza con la precisa, seppur criticata, scelta del legislatore di escludere nell’unione civile la qualificazione di famiglia (in questo senso G. De Cristofaro, op. cit.), scelta della quale si è da altri evidenziato il contrasto con la coscienza sociale: cfr. T. Auletta, op. ult. cit., 370; senza peraltro sopravvalutare quella che rappresenta indubbiamente una differenziazione tra matrimonio e unione civile, e che potrebbe essere vista piuttosto come il segno del superamento di una prospettiva ormai datata sul piano storico, tendente a identificare il matrimonio come un’“alleanza tra famiglie”: così E. Quadri, Unioni civili: disciplina del rapporto, in L.N.G.C.C., 2016, 1688 ss.
329
Francesca Cristiani
2. La fuga dai vincoli in ambito familiare: accentuazione della volontà del singolo.
Nella attuale configurazione delle nuove e diverse realtà familiari, con la constatata impossibilità di far riferimento ad un paradigma unitario, si assiste alla accentuazione degli effetti della autodeterminazione del singolo, sempre più arbitro di costituire legami basati su comunanza di affetti – diversamente inquadrabili in distinti modelli, tutti legittimi ed ai quali variamente l’ordinamento attribuisce rilievo – ed allo stesso tempo sempre più libero di sciogliere il vincolo attraverso una manifestazione di volontà, in alcuni casi sottratta a qualunque controllo, e del tutto indipendente da una corrispondente determinazione di altri soggetti eventualmente coinvolti nel rapporto. La fondamentale – talvolta esclusiva – rilevanza della libera scelta del singolo, che merita certo di essere apprezzata come espressione del volere della persona, in relazione ad aspetti strettamente connessi alla sfera più intima di ciascuno, determina, per converso, nell’ambito dei legami familiari, una evoluzione nel senso della tendenziale instabilità, sottraendoli, di fatto, a quella forza coesiva che ne costituiva allo stesso tempo una caratteristica ordinante e che consentiva a tali legami di rappresentare una sorta di “rete di protezione” che accomunava, sotto l’ “ombrello” della solidarietà, i diversi individui, parti della relazione di natura familiare. Sotto quest’ultimo profilo sono emblematiche le soluzioni accolte dalla legislazione più recente in merito allo scioglimento delle relazioni di coppia: la legge n. 76 del 2016, che pure nasce come risposta ad una richiesta di regolamentazione di rapporti fino ad allora privi – o comunque carenti – non solo di disciplina ma anche di tutela, lascia sostanzialmente arbitra la parte dell’unione civile di porre fine unilateralmente al vincolo21 che si è costituito attraverso una formalizzazione analoga alla celebrazione del matrimonio, e niente dice – né poteva essere diversamente, data la natura “fattuale” della convivenza – in merito alla necessità di una condivisione22 tra le parti in ordine alla cessazione dello stato
21
Ai sensi del comma 24 dell’art. 1 della legge n. 76 del 2016, lo scioglimento dell’unione può essere determinato da una manifestazione di volontà di ciascuna delle parti le quali, insieme o separatamente, dichiarano dinanzi all’ufficiale dello stato civile di non voler mantenere in essere il vincolo. Tale manifestazione costituisce il presupposto di una domanda giudiziale volta allo scioglimento diretto del rapporto, che realizza un vero e proprio diritto di recesso ad nutum, il cui effetto risolutorio necessita tuttavia dell’emanazione di una sentenza costitutiva. Il procedimento può essere promosso una volta trascorso il termine di tre mesi dalla data della manifestazione di volontà, termine che rappresenta uno spatium deliberandi assimilabile a quello previsto per la durata della separazione tra coniugi - nel caso in cui quest’ultima sia la causa dello scioglimento o della cessazione degli effetti del vincolo - separazione che non è contemplata, invece, tra le cause di scioglimento dell’unione civile. Quest’ultimo può realizzarsi, una volta decorso il termine di tre mesi dalla manifestazione di volontà in tal senso, anche attraverso un accordo perfezionato in seguito a negoziazione assistita ovvero concluso dinanzi all’ufficiale di stato civile. In tema cfr., tra altri, E. AL Mureden, Lo scioglimento dell’unione civile tra rapporto di coppia e ruolo del genitore sociale, in L.N.G.C.C., 2016, 1699 ss.; G. Bonilini, Lo scioglimento dell’unione civile, in Trattato di diritto di famiglia, a cura di G. Bonilini, vol. V, Torino, 2017, 403 ss.; T. Bonamini, Lo scioglimento dell’unione civile per volontà dichiarata da una delle sue parti o da entrambe, ivi, 414 ss. 22 La cessazione della fattispecie “convivenza di fatto” non potrà che essere il risultato di un accertamento, appunto, di fatto, del venir meno dei requisiti fondanti l’ipotesi di cui al comma 36 dell’art. 1 della legge n. 76 del 2016, senza che sia previsto alcun ostacolo,
330
Vincoli familiari fra tradizione e nuove prospettive
di fatto, che determina le conseguenze previste dalla legge, automaticamente, al verificarsi di certi presupposti, o in base alla scelta dei soggetti coinvolti23. La tendenza così manifestata dal legislatore del 2016 si pone nel medesimo solco già tracciato dalle modifiche, intervenute in più soluzioni, in ordine alle modalità di scioglimento del vincolo coniugale. Pur senza abbandonare il suo originario carattere rimediale, l’istituto del divorzio ha visto progressivamente diminuire non soltanto i tempi necessari per la sua pronuncia, nel caso – statisticamente assolutamente prevalente – in cui sia successivo alla separazione24, ma anche il controllo, seppure di legittimità, di un’autorità terza, addirittura del tutto assente in alcune ipotesi, nelle quali non ci sia la necessità di specifica tutela di soggetti istituzionalmente deboli25. Il preminente rilievo riconosciuto alla volontà del singolo non si limita ad emergere soltanto in riferimento al venir meno di un vincolo di coppia, liberamente instaurato, ma si evidenzia abbastanza chiaramente come linea di tendenza della legislazione, che privilegia la scelta dell’interessato rispetto ad indicazioni che potrebbero desumersi dall’applicazione di criteri obiettivi e predeterminati. Emblematica risulta, in tal senso, la previsione dell’art. 408 c.c., che attribuisce al potenziale beneficiario la possibilità di designare il proprio amministratore di sostegno, in vista della eventuale futura incapacità; designazione, che, seppur non vincolante, dovrà essere tenuta in considerazione dal giudice, il quale potrà individuare altro soggetto, appartenente alla “cerchia familiare”, secondo il dettato dell’ultimo comma della stessa disposizione, soltanto laddove la designazione dell’interessato meriti di essere disattesa per gravi motivi26. Più recentemente, la legge n. 219 del 2017, nel regolare delicatissimi aspetti che attengono a situazioni che si riferiscono a momenti drammatici della vita dell’individuo, chiamato a decidere sulla sua stessa esistenza, ovvero in merito alla prosecuzione di cure in assenza delle quali è inevitabile l’esito fatale, prevede, all’art. 4 relativo alle disposizioni anticipate di trattamento, che ciascuno possa indicare un suo fiduciario27, che in qualche
né giuridico né operativo, allo scioglimento del rapporto, basato su un principio di libertà personale che esclude di per sé l’esistenza di un vincolo giuridico insuscettibile di risoluzione ad nutum. 23 Rileva come si possa operare una distinzione nell’ambito della legge, i cui commi 38-49 e 65 costituiscono una normativa di tutela, applicabile indipendentemente dalla volontà delle parti, sussistendone i presupposti di fatto, laddove, al contrario, i commi 50-64 sarebbero espressione di un regime opzionale S. Patti, Le convivenze “di fatto” tra normativa di tutela e regime opzionale, in Foro it., 2017, I, c. 302 ss. 24 Il periodo di separazione di cinque anni, originariamente previsto come necessario, è stato ridotto a tre dall’art. 5 della legge n. 74 del 1987, nonché a un anno o sei mesi, con diverso dies a quo in dipendenza delle modalità procedurali della separazione, dall’art. 1 della legge 6 maggio 2105, n. 55. 25 La legge 10 novembre 2014, n. 162, di conversione del d. l. 12 settembre 2014, n. 132, nelle ipotesi in cui non ci siano figli minori o affetti da handicap, consente lo scioglimento del vincolo su richiesta congiunta delle parti manifestata dinanzi al Sindaco, in assenza di qualsiasi forma di controllo, anche solo di legittimità, da parte dell’autorità giudiziaria. 26 V., in merito, G. Bonilini, F. Tommaseo, Dell’amministrazione di sostegno, in Il Codice Civile. Commentario, fondato da Schlesinger, diretto da F.D. Busnelli, Milano, 2018, 293. 27 Rileva come alla stessa figura del fiduciario la legge faccia riferimento sia nella disciplina primaria del consenso (art. 1), che della pianificazione di cure (art. 4, comma 1°), e in quella delle DAT (art. 5, comma 2°)”, con funzioni che non sono identiche P. Zatti, Spunti per una lettura della legge sul consenso informato e DAT, in L.N.G.C.C., 2018, II, 247, fiduciario il cui ruolo lo stesso Autore analizza anche in Brevi note sull’interpretazione della legge n. 219 del 2017, in L.N.L.C.C., 2019, 3 ss.
331
Francesca Cristiani
modo sia latore delle sue volontà precedentemente manifestate, così indirettamente consentendo alla persona di decidere in merito al proprio destino28. Qualunque sia la qualificazione giuridica e la specifica individuazione del ruolo del fiduciario, è incontestabile che l’indicazione, consentita all’interessato, di una persona di fiducia che possa rappresentare punto di riferimento anche per i terzi coinvolti nella relazione di cura, e possibile veicolo della volontà del disponente, non più in grado di esprimerla consapevolmente, sia del tutto indipendente da un preesistente e predeterminato legame, sia esso di parentela, di coniugio, di unione civile o basato sulla convivenza di fatto. Il riferimento allo stesso fiduciario di cui alla legge 219 del 2017 è stato inserito, ad opera del d. lgs. n. 101 del 2018, nel dettato dell’art. 82 del Codice in materia di dati personali, individuandolo quale potenziale destinatario delle informazioni di cui agli artt. 13 e 14 del Regolamento29, in caso di impossibilità di renderle all’interessato. In altri termini, si ravvisa piuttosto chiaramente, proprio nell’ambito delle questioni che si riferiscono ad aspetti personali, la tendenza a lasciare ogni individuo libero di poter operare delle scelte, che – coinvolgano o meno altri soggetti – sono indifferenti rispetto ad un preesistente legame inquadrabile in modelli predeterminati. Questa tendenza rappresenta espressione di una generalizzata fuga verso la attenuazione della rilevanza dei legami stabili, poiché la stessa stabilità non è considerata, di per sé, un valore, quanto piuttosto manifestazione di un vincolo che si cinge attorno alla persona, costringendola entro limiti che possono non essere – o non essere più – dalla stessa condivisi, e che dunque non meritano di essere mantenuti, o la cui operatività deve comunque cedere a fronte di scelte differenti riferibili all’interessato.
3. La stabilità dei legami: segnali inversi di recupero del loro valore “ordinante”.
L’intrinseca solidità del vincolo di parentela ne costituisce una caratteristica che finisce per contraddistinguerlo, in maniera pressoché esclusiva, rispetto ad altri legami che pur trovano, ugualmente, spazio in ambito lato sensu familiare.
28
Individuano il precipuo compito del fiduciario nell’obiettivo indiscusso di promozione della persona, nella garanzia del rispetto della volontà espressa dal dichiarante e della sua concreta attuazione G. Baldini, L. n. 219/2017 e disposizioni anticipate di trattamento (Dat), in Fam. e dir., 2018, 803 ss.; F. Giardina, Qualche riflessione sul consenso al trattamento medico (con particolare riguardo alla legge 219/2017), in La rivista italiana di cure palliative, 15 giugno 2018; R. Masoni, Consenso informato, amministrazione di sostegno ed intervento medico sanitario, in Dir. fam. e pers., 2017, 1308. In merito v. altresì A. Arfani, Disposizioni anticipate di trattamento e ruolo del fiduciario, in Fam. e dir., 2018, 815 ss. e M. Ramuschi, Le disposizioni anticipate di trattamento alla luce della L. n. 219/2017, in Familia, 2018, 133 ss.; M. Mantovani, Relazione di cura e disposizioni anticipate di trattamento, in L.N.L.C.C., 2019, 188 ss. 29 Il riferimento specifico è al Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, per il quale il d.lgs. n. 101 del 2018 detta disposizioni per l’adeguamento della normativa nazionale.
332
Vincoli familiari fra tradizione e nuove prospettive
Stabilità può diventare allora sinonimo di forza coesiva e ordinante, che rappresenta per ciascuno – inserito inevitabilmente, alla nascita, in una cerchia parentale – un inossidabile punto fermo, polo attrattivo di diritti ed obblighi specificamente individuati e individuabili. Non è forse un caso che, a fronte della magmatica evoluzione dei legami familiari verso relazioni sempre più “sfumate”, si possa scorgere anche una linea di tendenza di segno sostanzialmente opposto, ovvero nel senso della rivalutazione del valore del vincolo in quanto tale, di per sé espressione di stabilità. La intervenuta modifica dell’art. 74 del codice civile, con la quale si è definitivamente precisato l’ambito di ampiezza del vincolo parentale, sulla scia della unificazione dello status di figlio, può senz’altro essere letta come segnale di recupero del valore positivo rappresentato da una dimensione obiettiva, sottratta, per sua natura, al mutevole atteggiarsi delle determinazioni individuali, decisive rispetto alla persistenza del legame di coppia dal quale è scaturita la filiazione, ma ininfluenti sul rapporto di filiazione e, conseguentemente, sulla parentela30. Nel segno della rivalutazione del significato e del valore intrinseco del vincolo parentale, può essere inquadrata anche una norma assai più risalente rispetto alla legge n. 219 del 2012 – che ha novellato, sul punto, il codice civile – ovvero l’art. 27 della legge n. 184 del 1983. Con questa disposizione, fortemente significativa, si è precisato come il minore adottato deve essere inserito a pieno titolo nella cerchia parentale31. Tale principio è stato ribadito con la nuova formulazione dell’art. 74 c.c., che – senza nulla innovare, in concreto – con rilevante valenza “culturale”, sottolinea ed evidenzia in una norma del codice civile l’unicità dello stato di figlio anche qualora il vincolo giuridico discenda dall’adozione32.
30
Il rapporto di parentela non può sciogliersi in quanto tale, se non a seguito dell’accertamento dell’insussistenza del suo presupposto fondante, ovvero la filiazione. Sotto questo profilo merita specificamente di essere rilevato come le modifiche apportate alla disciplina delle azioni di stato dal decreto attuativo della riforma della filiazione si muovano nell’ottica precipua della tutela del figlio, che comporta, in talune ipotesi, la scelta del legislatore di privilegiare la stabilità dello status, come valore da preferire anche rispetto alla veridicità dello stesso. In proposito cfr., tra altri, G. Chiappetta, La nuova disciplina delle azioni di stato, in La riforma della filiazione, cit., 328 ss.; M. Dossetti, L’azione di disconoscimento della paternità, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da G. Bonilini, cit., vol. IV, 3459 ss. e G. F. Basini, Il riconoscimento del figlio nato fuori del matrimonio e La dichiarazione giudiziale di paternità e maternità, ibidem, 3556 ss. In merito, la Corte Costituzionale, nel dichiarare infondata la questione di legittimità costiituzionale dell’art. 263 c.c., ha precisato come i due valori dela verità e dell’interesse del minore “devono essere bilanciati mediante un adeguato giudizio comparativo, all’esito del quale non è affatto necessario che, in base alle emergenze del fatto concreto, l’esigenza di verità dello status filiationis prevalga sull’interesse del minore a rimanere in quel contesto familiare”: cfr. Corte Costituzionale n. 272 del 2017, in Giur. It., 2018, con nota di E. Falletti, Filiazione e riconoscimento di atto di nascita straniero. Il riconoscimento in Italia dello status di figlio nato da surrogacy straniera; in L.N.G.C.C., 2018, 540 ss., con nota di A. Gorgoni, Art. 263 cod. civ.: tra verità e conservazione dello status filiationis e in Fam. e dir., 2018, 5 ss., con nota di F. Longo, Le due madri e il rapporto biologico. 31 A seguito dell’emanazione della legge n. 431 del 1967, che aveva inserito al titolo VIII del libro primo del codice civile il Capo III, Dell’adozione speciale, poi successivamente abrogato ex art. 67 della legge 4 maggio 1983, n. 184, argomentando ex art. 314/26 c.c., in base al quale erano esclusi i rapporti di parentela con i parenti collaterali degli adottanti, si era parlato di riconoscimento “implicito” di una parentela in linea retta anche oltre il rapporto tra adottante e adottato: v. in proposito R. Perchinunno, voce Parentela e affinità, Diritto civile, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1991, riconoscimento che la legge n. 184 del 1983 ha esplicitato, instaurando espressamente il rapporto di parentela tra adottato e ascendenti e collaterali della coppia genitoriale: v., per tutti, A. Giusti, L’adozione dei minori di età, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da G. Bonilini, cit., vol. IV, 3890. 32 Cfr. M. Velletti, op. cit., 448.
333
Francesca Cristiani
La medesima normativa sull’adozione mostra di voler proteggere la parentela – con riferimento, in questo caso, al vincolo parentale “originario”, piuttosto che a quello nuovo, che viene a costituirsi in virtù dell’adozione stessa – come espressione di valori irrinunciabili a tutela del minore, laddove, all’art. 22, prevede che non possa essere disposto l’affidamento di uno solo di più fratelli, tutti in stato di abbandono, salva la sussistenza di gravi ragioni. Proprio la nececessità di mantenere, nell’interesse del minore, il legame che lo univa ai fratelli ed alle sorelle nella famiglia di origine costituisce altresì il presupposto di una delle ipotesi di consentito superamento dei limiti di differenza di età tra adottante e adottando, secondo quanto disposto dall’art. 6 della legge, nella formulazione successiva alle modifiche apportate con la legge n. 149 del 2001. Il senso profondo del valore dei rapporti parentali, con specifico riferimento agli ascendenti, tale da giustificare la tutela della loro conservazione, nell’interesse del minore, è stato altresì riconosciuto espressamente dalla legislazione, dapprima in relazione alla fase di crisi del rapporto tra i genitori, con l’art. 155 del codice civile33, e, a seguito della riforma del 2012, come principio generale da salvaguardare per garantire il corretto sviluppo della personalità del minore anche nella “fisiologia” del legame tra i genitori stessi34. Il valore intrinseco del rapporto di fratellanza35, nonché, più latamente, del vincolo parentale, nel solco del suo espresso riconoscimento effettuato dal legislatore con i differenti ripetuti interventi in materia, è stato espressamente ribadito anche dalla giurisprudenza, da diverse prospettive. Una pronuncia della Cassazione36, in relazione ad una fattispecie di separazione tra i genitori, ha fatto espresso riferimento, alla luce della previsione dell’art. 337 ter c.c., alla opportunità di privilegiare la tutela del vincolo di fratellanza, con la conseguente opportunità di affidare congiuntamente i fratelli, in modo da garantire la prosecuzione effettiva del rapporto preesistente alla separazione dei genitori, anche nel caso in cui i fratelli o le sorelle non siano figli di entrambi gli stessi genitori. Ben prima, il vincolo di parentela in quanto tale, come espressione dei valori più profondi ed intimi attinenti alla persona umana, è stato individuato come presupposto giustificativo dell’esistenza di un danno non patrimoniale suscettibile di risarcimento in caso di sua lesione per fatto illecito proveniente da terzi. La lesione del rapporto parentale,
33
La protezione del legame affettivo tra ascendenti e minorenni, nella fase di crisi del rapporto genitoriale, è ora prevista dall’art. 337 ter c.c. 34 L’art. 155 c.c., nella formulazione risultante a seguito della modifica operata dalla legge n. 54 del 2006, è stato trasfuso, ad opera della legge della legge di riforma della filiazione, nell’art. 315 bis c.c., norma che sancisce la definitiva estensione del riconoscimento del diritto alla conservazione di rapporti significativi tra minore e ascendenti (rectius parenti) dal momento patologico delle relazioni familiari a quello fisiologico: in questo senso cfr. P. Corder, Rapporti dei minorenni con gli ascendenti (art. 317 bis c.c., come modificato dall’art. 42 del d.lgs n. 154 del 2013), in La riforma della filiazione, a cura di C.M. Bianca, cit., 95 ss. 35 Auspica espressamente che, nell’ambito del diritto a mantenere rapporti significativi con i parenti, anche i fratelli e le sorelle ricevano in futuro una specifica considerazione legislativa Sirena, Il diritto del figlio minorenne di crescere in famiglia, in La riforma della filiazione, a cura di C.M. Bianca, Padova, 2015, 127. 36 V. Corte di Cassazione, sez. I civ., ord. 27 ottobre 2017- 24 maggio 2018 n. 12957, in Guida al diritto, n. 32 del 2018, 38 ss.
334
Vincoli familiari fra tradizione e nuove prospettive
inquadrabile – secondo l’orientamento giurisprudenziale affermatosi tra il 2003 e il 2008 con le note sentenze della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale37 – nel danno non patrimoniale, risarcibile ex art. 2059 c.c., colpisce, in questo caso, diritti inviolabili della persona38, non aventi natura economica, quali la perdita di affetti e di solidarietà inerenti alla famiglia come società naturale, incontestabilmente riconosciuti degni di tutela, con riferimento ai soggetti facenti parte del ristretto nucleo familiare39. In quest’ultima ipotesi, il rapporto di parentela è stato ritenuto di per sé suscettibile di tutela risarcitoria, in quanto la lesione dei valori a suo fondamento costituisce il presupposto di un danno non patrimoniale presunto40. Al contrario, per i parenti meno stretti, o comunque non conviventi, la lesione è stata configurata non con riferimento al rapporto parentale astrattamente considerato, ma soltanto a seguito della prova che tale rapporto sia accompagnato dalla sussistenza, in con-
37
V. Cass. Civ., sez. III, 12 maggio 2003, nn. 7281 e 7283; Cass. Civ., sez. III, 31 maggio 2003, nn. 8827 e 8828, in Foro it., 2003, I., c. 2272 ss., con il commento E. Navarretta, Danni non patrimoniali: il dogma infranto e il nuovo diritto vivente; in proposito, tra altri, F. D. Busnelli, Chiaroscuri d’estate. La Corte di cassazione e il danno alla persona; G. Ponzanelli, Ricomposizione dell’universo non patrimoniale: le scelte della Corte di Cassazione e A. Procida Mirabelli Di Lauro, L’art. 2059 c.c. va in paradiso, tutti in Danno e resp., 2003, 826 ss. Cfr. inoltre Corte Cost., 11 luglio 2003, n. 233, in Foro it., 2003, I, c. 2201 ss., con nota di E. Navarretta, La Corte costituzionale e il danno alla persona “in fieri”, e altri numerosi commenti, tra i quali si vedano Cendon, Ziviz Vincitori e vinti (... dopo la sentenza 233/2003 della Corte Costituzionale), in Giur. it., 2003, 1777; F. Gazzoni L’art. 2059 c.c. e la Corte Costituzionale, la maledizione colpisce ancora, in Resp. civ. e prev., 2003, 1292 ss; G. Ponzanelli, La Corte costituzionale si allinea con la Cassazione; A. Procida Mirabelli Di Lauro, Il sistema di responsabilità civile dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 233/03; O. Troiano, L’irresistibile ascesa del danno non patrimoniale, tutti in Danno e resp., 2003, 939 ss.; Perlingieri, L’art. 2059 uno e bino: un’interpretazione che non convince, in Rass. dir. civ., 2003, 769 ss. Infine, il riferimento è alle sentenze delle Sezioni Unite Civili, 11 novembre 2008, nn. 26792, 26793, 26794 e 26795, (in Foro it., 2009, I, c. 120 ss., con note di A. Palmieri, La rifondazione del danno non patrimoniale, all’insegna della tipicità dell’interesse leso (con qualche attenuazione) e dell’unitarietà; R. Pardolesi, R. Simone, Danno esistenziale e sistema fragile: “die hard”; G. Ponzanelli, Sezioni Unite: il nuovo statuto del danno non patrimoniale; E. Navarretta, Il valore della persona nei diritti inviolabili e la sostanza dei danni non patrimoniali. Tra i molti altri commenti, v. E. Bargelli, Danno non patrimoniale: la messa a punto delle sezioni unite, in L.N.G.C.C., 2009, I, 102 ss.; F.D. Busnelli, Le Sezioni unite e il danno non patrimoniale, in Riv. dir. civ., 2009, II, 97 ss.; C. Castronovo, Danno esistenziale: il lungo addio, in Danno e resp., 2009, 5 ss.; Cendon, L’urlo e la furia, in L.N.G.C.C., 2009, II, 69 ss.; S. Patti Le Sezioni Unite e la parabola del danno esistenziale, in Il Corr. giur., 2009, 415 ss.; G. Grisi, Il danno (di tipo) esistenziale e la nomofilachia “creativa” delle Sezioni Unite, in Europa e dir. priv., 2009, 379 ss.; S. Mazzamuto, Il rapporto tra gli artt. 2059 e 2043 c.c. e le ambiguità delle Sezioni unite a proposito della risarcibilità del danno non patrimoniale, in Contr. e impr., 2009, 589 ss.; P.G. Monateri, Il pregiudizio esistenziale come voce del danno non patrimoniale, D. Poletti, La dualità del sistema risarcitorio e l’unicità della categoria dei danni non patrimoniali, C. Scognamiglio, Il sistema del danno non patrimoniale dopo le decisioni delle Sezioni unite, P. Ziviz, Il danno non patrimoniale: istruzioni per l’uso, tutti in Resp. civ. e prev., 2009, 56 ss.; A. Procida Mirabelli Di Lauro, Il danno non patrimoniale secondo le Sezioni unite. Un “De profundis” per il danno esistenziale; in Danno e resp., 2009, 19 ss.; C. Sganga, Le Sezioni unite e l’art. 2059 c.c.; censure, riordini, ed innovazioni del dopo principio, ivi, 50 ss. 38 Ci si può limitare in questa sede a ricordare, per tutti, E. Navarretta, voce Diritti inviolabili e responsabilità civile, in Enc. dir., Annali, VII, Milano, 2014, 351 e ss. 39 Critici sulla distinzione tra parentela più o meno stretta come presupposto di risarcibilità del danno, anche in relazione alla difficoltà di individuare i membri del ristretto nucleo familiare, M. Rossetti, Senectus ipsa est morbus, ovvero che male c’è se ti ammazzano un nonno (critica ad una aberrante sentenza della Corte di cassazione) in Danno e resp., 2013, 1, 35 ss.; Morozzo Della Rocca, Sulla condizione di convivenza nel risarcimento del danno non patrimoniale da uccisione del familiare, in Il Corr. giur., 2012, 1059 ss. 40 Parla di danno non patrimoniale presunto, consistente nelle conseguenze pregiudizievoli sul rapporto parentale, allorché colpisce soggetti legati da uno stretto vincolo di parentela, la Corte di Cassazione (cfr. Cass. Civ., sez. III, 16 marzo 2012, n. 4253, in Giur. it., 2012, 2518, con nota di A. Nobile, Risarcibilità del danno non patrimoniale per morte del parente non convivente, nonché Cass. Civ., sez. III, 14 giugno 2016, n. 12146, in Giust. civ. Mass., 2016).
335
Francesca Cristiani
creto, di un vincolo affettivo che si assume leso, anche al fine di evitare il pericolo di una dilatazione ingiustificata dei soggetti danneggiati secondari. In altri termini, affinché possa ritenersi risarcibile la lesione del rapporto parentale al di fuori della parentela più stretta, secondo la prevalente giurisprudenza, occorre verificare, caso per caso, che l’altrui fatto illecito abbia provocato quel dolore e quelle sofferenze morali che solitamente si accompagnano alla morte di una persona cara, attraverso una rigorosa verifica degli elementi idonei a provare la lamentata lesione, consistente nella irreversibile perdita del godimento del congiunto e nella definitiva preclusione delle reciproche relazioni interpersonali41. Ferma rimanendo, peraltro, la indiscussa esistenza, quanto meno in astratto, della configurabilità della lesione, in dipendenza di un fatto lesivo riferito ad un soggetto legato all’attore da vincolo di parentela, quale esso sia. A questo proposito, si può rilevare come il rapporto nonno – nipote42, generalmente inquadrabile al di fuori del ristretto nucleo familiare, e spesso indipendente dalla convivenza, sia inserito come ipotesi tabellare espressamente prevista dall’Osservatorio sulla giustizia civile di Milano43, così come a diverse “classi” di relazioni parentali (avo, nipote, zio, cugino) con il de cuius come presupposto di danno non patrimoniale fanno riferimento le tabelle elaborate dal Tribunale di Roma 44. Né si può sottacere come, nella nuova configurazione delle realtà familiari, si assista ad una posssibile rivitalizzazione dei vincoli, sotto un duplice profilo. In primo luogo, a fronte di una discendenza che si realizza nell’ambito di una coppia omosessuale – per natura, inevitabilmente, riferibile solo ad uno dei suoi componenti, che insieme e parimenti si occupano di crescere il bambino – sono in costante aumento le richieste volte a dare formalizzazione al vincolo con il riconoscimento della paternità o maternità, e conseguentemente, del relativo rapporto di parentela, nei confronti di entrambi i partners45.
41
Tra gli elementi da prendere in considerazione, la giurisprudenza più recente appare orientata ad attribuire minor rilievo alla convivenza, ritenuta invece imprescindibile da alcune sentenze (per la giurisprudenza di merito, tra altre, Trib. Milano, sez. I, 2 dicembre 2014, n. 14320, in Resp. civ. e prev., 2015, 1, 167; per la giurisprudenza di legittimità, v. la sentenza della Cassazione del 2012 citata alla nota precedente) come prova dell’esistenza del rapporto affettivo leso. Nel senso che la lesione del diritto alla continuità della relazione parentale può risultare in concreto sussistente, anche in assenza di convivenza, che non costituisce altro che uno degli indizi da valutare, cfr. Cass. Pen., sez. III, 4 giugno 2013, n. 29735, in Foro it., 2014, 2, II, c. 86; Cass. Civ., sez. III, 20 ottobre 2016, n. 21230, in Foro it., 2017, 2, I, c. 623; e, tra le sentenze di merito: Trib. Rimini, 17 giugno 2014, n. 4619, in Riv. it. med. leg. e del dir. in campo sanitario, 2015, 2, 756; Trib. Firenze, sez. II, 23 novembre 2016, in Ridare.it., 5 maggio 2017. 42 Ha affermato espressamente, ribadendo la più recente linea di tendenza non solo della giurisprudenza di merito, ma anche di quella di legittimità, l’esistenza presunta di un legame tra nonno e nipote, che legittima quest’ultimo al risarcimento per la perdita della relazione con una figura di riferimento e dei correlati rapporti di affetto e di solidarietà familiare, e ciò anche in difetto di un rapporto di convivenza, fatta salva, ovviamente, la necessità di considerare l’effettività e la consistenza della relazione parentale ai fini della liquidazione del danno la Cassazione civile, III° sez., nella sentenza n. 29332 del 27 ottobre - 7 dicembre 2017, in Resp. civ. e prev. 2017, 1963 e in Ridare.it, fasc. 12 marzo 2018, con nota di P. Ziviz, La tutela risarcitoria del nipote non convivente per la perdita del nonno. 43 Il riferimento è alle tabelle aggiornate del 14 marzo 2018 per la liquidazione del danno non patrimoniale, alle quali la Corte di Cassazione ha attribuito valore di tabella unica nazionale di riferimento: cfr. F. Martini, Sotto la “Madonnina” è sfida sul riordino delle voci di danno, in Guida al Diritto n. 15 del 2018, 11 ss. Si vedano, ivi, 8 ss., i primi commenti di G. Comandè, Nuove tabelle milanesi aperte verso una logica non solo riparatoria, e, a 17 ss., M. Ridolfi, L’Osservatorio civile include e quantifica campi mai inesplorati. 44 Per le tabelle del Tribunale di Roma del 28 dicembre 2018, v. Guida al diritto, Dossier n. 2/2019, 95 ss. 45 La problematica accennata si riferisce alla possibilità di ammettere la trascrizione dei provvedimenti relativi allo status di figli nati
336
Vincoli familiari fra tradizione e nuove prospettive
In secondo luogo, nelle cd. famiglie ricomposte o ricostituite – casi limitati, un tempo, al vedovo o vedova con figli che contraeva nuovo matrimonio, oggi sempre più frequenti a seguito della sempre maggiore instabilità dei legami di coppia – nelle quali il genitore “sociale” risulta privo di una sua qualificazione giuridica, spesso in contrasto con la sussistenza di un effettivo legame di fatto, la parentela, purché accompagnata dalla celebrazione del matrimonio tra i due membri della “nuova” famiglia, costituisce strumento per tramite del quale la relazione che si viene ad instaurare con il nuovo partner del genitore assume la specifica veste formale dell’affinità. In questa ipotesi, più che ad un’accentuazione della rilevanza del vincolo di parentela, si deve piuttosto osservare che è il legame formalizzato con il matrimonio che va a costituire pressupposto esclusivo di una qualificazione sotto il profilo giuridico, altrimenti inesistente, in controtendenza rispetto al trend che ha “sganciato” gli effetti della discendenza da quelli del matrimonio. Da notare, altresì, che solo dalla celebrazione di quest’ultimo può scaturire la sussistenza dell’affinità, esclusa, in base alla legge n. 76 del 2016, in caso di costituzione dell’unione civile. Il vincolo matrimoniale rappresenta altresì il requisito preso in considerazione dall’art. 44, lett. b) della legge n. 184 del 1983 per consentire, attraverso l’adozione in casi particolari, di sottoporre ad una disciplina specifica il rapporto tra un coniuge ed il figlio dell’altro, indipendentemente dal sorgere di un rapporto di parentela tra adottante e adottato, e ciò a prescindere dal fatto che il figlio stesso abbia ancora un genitore biologico, con il quale l’adozione eventualmente intervenuta non recide i rapporti preesistenti46.
all’estero nell’ambito di coppie omosessuali, in virtù del superamento della concezione che vedeva nel tendenzialmente ineludibile collegamento con il genitore l’elemento fondante della filiazione, anche in relazione ad ipotesi nelle quali la filiazione si sia realizzata con una tecnica espressamente vietata dall’ordinamento italiano, come la surrogazione di maternità. Ai numerosi casi di trascrizione di atti di nascita con l’indicazione di due madri, ritenuta ammissibile, dopo alcune pronunce di merito, anche dalla Corte di Cassazione (cfr. Cass. Civ., I, 15.06.2017 n. 14878, in L.N.G.C.C., 2017, 1708 ss., con nota di G. Palmieri, (Ir)rilevanza del legame genetico ai fini della trascrivibilità del certificato di nascita redatto all’estero a favore di una coppia same sex), e conforme al dettato costituzionale (in questo senso la Corte Costituzionale si è espressa, con la sentenza n. 272 del 2017, citata alla nota 30) hanno fatto seguito le richieste di rettifica dell’atto di nascita formato all’estero, con l’indicazione del secondo padre, questione approdata all’esame delle Sezioni Unite con ordinanza della Prima Sezione Civile (v. Cass. Civ., I, 22.02.2018 n. 4382, in Corr. Giur., 2018, 1204 ss., con nota di I. Barone, La trascrivibilità dell’atto di nascita formato all’estero da una coppia same sex tra legalità costituzionale e ordine pubblico internazionale e in Familia, 2018, 163 ss. con nota di S. Sandulli, Duplice paternità e ordine pubblico alla luce del best interest of the child). Queste ultime, con sentenza n. 12193/2019 (v. in questo fascicolo della Rivista, 345 ss., con ampio commento di M. Bianca, la tanto attesa decisione delle Sezioni Unite. Ordine pubblico versus superiore interesse del minore), hanno escluso la possibilità di trascrivere il provvedimento straniero con il quale sia stato accertato il rapporto di filiazione costituito attraverso il ricorso alla maternità surrogata. La richiesta di coppie del medesimo sesso di ottenere in Italia la formazione di un atto di nascita con indicazione della doppia paternità o maternità è attualmente all’esame della Corte Costituzionale, investita della questione con ordinanza del Tribunale di Pisa: cfr. Trib. Pisa, ord. 15 marzo 2018, in L.N.G.C.C., 2018, 1569 ss., con nota di A.G. Grasso, Stato civile. È possibile formare in Italia un atto di nascita con due genitori dello stesso sesso? e in Foro it., 2018, I, c. 1778, con nota di G. Casaburi, Le nuove forme di genitorialità: alla ricerca di fondamenta normative differenziate. In tema cfr. altresì, ex plurimis, C. Campiglio, La genitorialità nelle coppie same sex: un banco di prova per il diritto internazionale privato e l’ordinamento di stato civile, in Fam. e dir., 2018, 924 ss. 46 V. in proposito T. Auletta, Modelli familiari, disciplina applicabile e prospettive di riforma, in L.N.G.C.C., 2015, 615 ss., M. Cinque op. ult. cit., 1487 ss.; C. Favilli, Libertà e solidarietà nella ricostituzione familiare, in L.N.L.C.C., 2016, 1275 ss., la quale evidenzia l’inadeguatezza dell’adozione in casi particolari a soddisfare le esigenze delle famiglie ricostituite.
337
Francesca Cristiani
Al contrario, i parenti (e specificamente i figli) di persona che conviva stabilmente (a prescindere dal fatto che la convivenza possa, o meno, essere inquadrata nei canoni previsti dal comma 36 e 37 dell’art. 1 della legge n. 76 del 2016) con altro soggetto non sono con quest’ultimo legati da alcun vincolo rivestito di specifica veste giuridica. Sotto questo profilo il matrimonio rappresenta, pertanto, esclusivo presupposto di riferimento di norme che sono invece inapplicabili nel caso di vincoli nascenti da legami diversi. Si può allora rilevare come proprio nell’ambito della famiglia ricomposta – che costituisce certamente una delle realtà maggiormente diffuse e potenzialmente problematiche nella configurazione attuale dei rapporti familiari – si assista al verificarsi di un fenomeno che sembra porsi in controtendenza rispetto alla generale evoluzione legislativa. Infatti, mentre il vincolo di parentela è stato incontestabilmente e definitivamente “sganciato” dall’esistenza di un vincolo di coniugio, è soltanto a seguito della celebrazione del vincolo che possono assumere una forma giuridicamente conosciuta i rapporti tra i figli del genitore biologico che si unisca in vincolo matrimoniale con altro soggetto, e tale soggetto. Peraltro, il vincolo di affinità che si instaura con la celebrazione del matrimonio non determina conseguenze in ordine alla eventuale responsabilità genitoriale, laddove si sia in presenza di figli minori, rispetto ai quali, pertanto, può risultare pregiudicato il c.d. diritto alla bigenitorialità, pure espressione di una linea di tendenza costante della legislazione più recente. Le riflessioni svolte possono suggerire, conclusivamente, una nuova chiave di lettura: valore coesivo di un vincolo e comunione di affetti, nel segno della solidarietà lato sensu familiare, meritano, alla luce della multiforme realtà contemporanea, di essere guardati da una prospettiva che ne ponga in luce, piuttosto che una sorta di intrinseca contrapposizione, gli aspetti che possono costituirne un minimo comun denominatore.
4. Parentela e “famiglia degli affetti”: quale rapporto? Legislazione e giurisprudenza appaiono muoversi, seppure con un percorso non sempre netto e lineare, nel solco della valorizzazione dei legami che traggono la loro linfa da una condivisione di vita e di affetti, anche indipendentemente da un crisma di formalizzazione. Al primo segno embrionale, in questo senso, che si può storicamente ravvisare nella riforma del diritto di famiglia del 1975, con la (pressochè) completa equiparazione tra figli nati nell’ambito del rapporto matrimoniale e figli naturali, portata a definitivo compimento con la legge n. 219 del 2012, ne sono seguiti molti altri, rinvenibili in differenti ambiti legislativi, anche di novellazione del codice civile, volti a prendere in considerazione, nel quadro della famiglia di fatto – inizialmente tutelata esclusivamente nella prospettiva della filiazione – anche il rapporto tra conviventi, fino ad arrivare al tentativo di una regolamentazione più completa, attuato con la legge n. 76 del 2016.
338
Vincoli familiari fra tradizione e nuove prospettive
Più specificamente, la stabile convivenza è stata indicata, seppur in modo tendenzialmente frammentario47, come presupposto idoneo a legittimare la titolarità di situazioni giuridiche, di natura prevalentemente patrimoniale o di carattere più strettamente personale. A titolo esemplificativo, come indici rivelatori di una evoluzione nel senso di un ampliamento di rilevanza del legame tra conviventi, si possono ricordare le norme in tema di elargizione a favore di vittime di atti terroristici e di criminalità organizzata e di destinatari delle misure di protezione riferibili ai collaboratori di giustizia, che, fino dagli anni ’90, includono il riferimento al convivente more uxorio48, nonché le disposizioni che attribuiscono espressamente al medesimo alcuni diritti nell’ambito del rapporto di lavoro in presenza di specifiche situazioni che lo riguardino49. In relazione ad interessi di carattere più strettamente personale, il legame tra conviventi costituisce presupposto per presentare opposizione all’espianto degli organi50, per consentire permessi al detenuto51, per ricevere informazioni relative ai dati personali in caso di impossibilità dell’interessato52, per essere designato e promuovere la nomina dell’amministratore di sostegno53. Anche la giurisprudenza non ha mancato di lanciare segnali nel senso di attribuzione di specifico rilievo alla situazione di stabile convivenza. In particolare, in relazione alla tutela del diritto primario all’abitazione, già molti anni orsono la Corte Costituzionale54 è intervenuta sull’art. 6 della legge n. 392 del 1978, dichia-
47
Poneva in luce l’aspetto della frammentarietà della disciplina della famiglia di fatto, tra altri, G. Ferrando, Il matrimonio, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da Zatti, vol. I, Famiglia e matrimonio, a cura di G. Ferrando, M. Fortino, F. Ruscello, Milano, 2002, 211. 48 Si riferisce espressamente ai conviventi more uxorio, oltre che a coloro che risultino conviventi a carico della persona deceduta negli ultimi tre anni precedenti l’evento, il comma 2 dell’art. 4 della legge n. 302 del 1990, nel prevedere anche a loro favore la possibilità di elargizioni effettuate in caso di vittime di atti terroristici o di criminalità organizzata. I soggetti stabilmente conviventi sono altresì individuati come possibili destinatari delle misure di protezione riferibili ai collaboratori di giustizia dal comma 5 dell’art. 9 della legge n. 82 del 1991. 49 L’art. 4 della legge n. 53 del 2000, in tema di congedi parentali, espressamente riconosce al convivente stabile, purché la stabile convivenza con il lavoratore risulti da certificazione anagrafica, il diritto al permesso in caso di decesso o grave infermità del partner. Appare frutto del medesimo criterio di attenzione verso i diritti derivanti dalla stabile convivenza la pronuncia della Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 33 della legge n. 104 del 1992, nella parte in cui non prevede il convivente tra i soggetti legittimati a fruire del permesso mensile retribuito di tre giorni per l’assistenza alla persona gravemente disabile, in alternativa al coniuge ed al parente o affine entro il secondo grado: v. Corte Cost. 23 settembre 2016, n. 213, in Riv. it. dir. lav., 2017, 152, con nota di A. Cordiano, Una nuova pronuncia di incostituzionalità della legge n. 104/1992: i confini evanescenti della convivenza di fatto non registrata. 50 Il riferimento specifico è all’art. 3, comma 2 e all’art. 23 della legge 1° aprile 1999, n. 91, nell’ambito della disciplina transitoria, tuttora vigente. 51 L’art. 30 della legge 26 luglio 1975, n. 354 indica espressamente l’imminente pericolo di vita del convivente come presupposto per consentire al detenuto di recarsi a visitarlo. 52 L’art. 82 del Codice in materia di dati personali, anche nella formulazione risultante a seguito delle modifiche apportate con il d. lgs. 101 del 2018, indica il convivente come soggetto legittimato a ricevere le informazioni previste dagli artt. 13 e 14 del Regolamento UE 2016/679. 53 La legge n. 6 del 2004, con la modifica dell’art. 417 c.c., ha esteso altresì alla persona stabilmente convivente la legittimazione a promuovere la procedura di interdizione e di inabilitazione. 54 Si tratta della sentenza 7 aprile 1988, n. 404, in Giur. it., 1988, I, 1, 1627, con nota di A. Trabucchi e di altri autorevoli commentatori, tra i quali, per tutti, A. Scalisi, Il “diritto” all’abitazione del convivente more uxorio nella successione del contratto locativo, in Dir. fam. e pers., 1988, 1559 ss. In tema cfr. altresì, più recentemente, C. Madonia, Diritto abitativo e convivenza more uxorio, in Dir. fam. e pers., 2015, 1531 ss.
339
Francesca Cristiani
randolo illegittimo nella parte in cui non prevedeva, tra i successibili ex lege nel contratto di locazione, il convivente more uxorio, riconosciuto altresì titolare del diritto a succedere nel contratto al conduttore che abbia cessato la convivenza, in presenza di prole. La pronuncia della Corte ha chiarito come anche al componente di una comunità sentimentale non formalizzata55 debba essere assicurata piena garanzia in merito al diritto all’abitazione, assurto a diritto fondamentale dell’uomo, ponendo le basi per la successiva evoluzione, sul punto, della normativa in tema di assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica56. La lesione della relazione affettiva riscontrabile nell’ambito della convivenza more uxorio è stata oggetto di specifica considerazione in ambito giurisprudenziale anche come presupposto per il risarcimento del danno da fatto illecito. Sotto questo profilo, l’orientamento della giurisprudenza che ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno per la perdita subita a causa della morte dell’altro membro della coppia di fatto, affermatosi dapprima in sede di merito, e successivamente confermato dalla Cassazione57 e ribadito dalla Corte Costituzionale58, si pone nello stesso solco già tracciato anche in presenza di legami basati su vincoli rivestiti di specifica veste giuridica, quali la parentela59 e il coniugio60, volto a privilegiare la “effettività” del rapporto, ai fini dell’individuazione dell’an e del quantum del risarcimento61.
55
V. C.G. Terranova, Convivenza e situazioni di fatto, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da Zatti, vol. I, I ed., Milano, 2002, 867. Il convivente di fatto - non previsto dall’art. 12 del d.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035, che detta le norme applicabili agli alloggi di edilizia residenziale pubblica nell’elenco degli aventi diritto all’assegnazione, in caso di decesso del concorrente - è stato inserito tra gli aventi diritto dalla deliberazione adottata dal C.I.P.E. il 19 novembre 1981, recepita da varie leggi regionali, qualora abbia stabilmente convissuto con l’assegnatario defunto da almeno due anni anteriori al bando di concorso per l’assegnazione: cfr. dettagliatamente, sul punto, C. Coppola, La famiglia non fondata sul matrimonio, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da G. Bonilini, cit., vol. I, 1095. In senso analogo la Corte Costituzionale si è espressa con la sentenza n. 559 del 1989 (v. in Foro it., 1990, I, c. 1465), con riferimento all’art. 18 della legge reg. Piemonte 10 dicembre 1984, n. 64, dichiarandone la illegittimità nella parte in cui non prevedeva il diritto del convivente, affidatario della prole, a succedere nell’assegnazione dell’alloggio, in seguito alla cessazione della convivenza. Il soggetto convivente da almeno cinque anni è altresì indicato come titolare del diritto di opzione all’acquisto, in caso di rinuncia dell’assegnatario, in ordine di gradazione, successivamente al coniuge, e prima dei figli, tra coloro che possono subentrare nell’assegnazione dell’alloggio in caso di alienazione da parte degli Istituti autonomi delle case popolari, dall’art. 13 del d.l. n. 112 del 2008, convertito nella legge n. 133 dello stesso anno: cfr. in proposito F. Bocchini, Il diritto di famiglia, Le grandi questioni, Torino, 2013, 277. 57 Si vedano, tra altre, Cass. 28 marzo 1994, n. 2988, in Giust. civ., 1994, I, 1849.Cass. Civ., 29 aprile 2005, n. 8976, in Diritto e giustizia, 2005, n. 27, 18; Cass. Civ., sez. III, 16 settembre 2008, n. 23725, in Giust. civ., 2009, 12, I, 2714. 58 Il riferimento è alla pronuncia della Corte Costituzionale n. 372 del 27 ottobre 1994: si veda in Foro it., 1994, I, c. 3297, con nota di G. Ponzanelli, La Corte Costituzionale e il danno da morte; e in Giust. civ., 1994, I, 3029, con nota di F.D. Busnelli, Tre “punti esclamativi”, tre “punti interrogativi” e un “punto a capo”. 59 Cfr. le osservazioni svolte, sul punto, nel par. precedente. 60 In particolare, alcune sentenze hanno affrontato la problematica relativa a richieste di risarcimento per morte del coniuge separato, scegliendo una soluzione non formalistica, ovvero non fondata unicamente sulla persistenza del rapporto coniugale tipica della situazione di separazione, così accogliendo la richiesta laddove in concreto, sulla base delle circostanze del caso, indipendentemente dalla separazione, fosse accertata la sussistenza di un vincolo affettivo particolarmente intenso. In questo senso cfr., tra altre, Cass. Civ., sez. III, 17 gennaio 2013, n. 1025, in Giust. civ., Mass., 2013.Cass. Civ., sez. III, 12 novembre 2013, in Giust. civ., Mass., 2013. 61 Proprio in relazione al diritto al risarcimento del danno non patrimoniale, si è posto il problema con riferimento al genitore “sociale” per la morte del figlio del proprio compagno: esamina la problematica della rilevanza giuridica di questo rapporto, nell’ambito della nozione di famiglia quale situazione anche di fatto, dove la relazione tra i suoi membri concreta la dimensione più profonda della persona e la pienezza della personalità, tra altri, A. Gorgoni, La rilevanza della filiazione non genetica, in Persona e Mercato n. 56
340
Vincoli familiari fra tradizione e nuove prospettive
La tutela della convivenza di coppia, affermatasi così, nel corso del tempo, in determinati specifici ambiti, a seguito di diversificati interventi legislativi e di interpretazioni giurisprudenziali anche consolidate – ai quali si è sinteticamente accennnato in via esemplificativa – è stata oggetto, per la prima volta, di regolamentazione sistematica con la legge n. 76 del 2016, con l’obiettivo – forse auspicato, ma sicuramente non raggiunto – di superare la frammentaria disciplina esistente. In realtà, la normativa del 2016, laddove realizza un ampliamento dello spazio di rilevanza, in prospettiva di tutela, del legame tra conviventi, sembra confermare tramite la formalizzazione della legge risultati che in gran parte erano stati già raggiunti in via giurisprudenziale62. Le novità più rilevanti riguardano le norme in tema di alimenti63, di diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza in favore del convivente superstite in caso di decesso del convivente proprietario64 e di impresa familiare65. In riferimento alla decisioni in materia di salute o per le determinazioni successive alla morte, il comma 40 dell’art. 1 della legge non sembra comportare specifiche novità: niente aggiunge, infatti, a quanto già consentito, o comunque non escluso dalla precedente normativa, se non con riferimento all’introduzione di uno specifico onere di forma, anticipando forse, nel resto, una disciplina, ancora in divenire anche in relazione ai diritti riconosciuti ai parenti ed al coniuge, con riferimento alla determinazioni in caso di salu-
3/2017, Saggi, 153 ss. Emblematica, in tal senso, appare la previsione del comma 49, che parifica il convivente di fatto, nella individuazione dei criteri per il risarcimento del danno, al coniuge superstite. 63 Il comma 65 dell’art. 1 della legge n. 76 del 2016 interviene direttamente sull’art. 433 c.c., riconoscendo il legame soggettivo del convivente di fatto al pari di parenti e affini, ponendolo al terzo posto nell’elenco, se si esclude il donatario, dal momento che non possono esservi né il coniuge, né gli affini, seppure con una rilevante differenza rispetto agli altri casi di obbligazione alimentare, rappresentata dalla imposizione di un termine finale. V., per tutti, F.S. Mattucci, Gli alimenti in favore del “convivente di fatto”, in Fam. e dir., 2017, 705 ss. 64 Il comma 42 dell’art. 1 della legge n. 76 del 2016 prevede il diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza, se di questa sia proprietario il convivente deceduto, diritto peraltro limitato nel tempo, con termini differenti in considerazione della presenza di figli minori o disabili del superstite: cfr. in merito ” F. Mastroberardino, Il diritto di godimento della casa di comune abitazione in proprietà del convivente deceduto, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da G. Bonilini, vol. V, cit., 908 ss. La tutela del diritto primario all’abitazione costituisce anche la ratio del comma 44, che peraltro si risolve, sostanzialmente, seppure con alcune specificazioni, nell’ampliamento dell’ambito di applicazione di una disposizione già presente nell’ordinamento, a seguito della giurisprudenza della Corte Costituzionale intervenuta sull’art. 6 della legge n. 392 del 1978. In particolare, l’ambito di ampiezza del diritto del convivente di fatto risulta esteso dal comma 44, rispetto a quanto già previsto in caso di convivenza more uxorio, nell’ipotesi di recesso dal contratto di locazione, che, in presenza della convivenza di fatto, nonostante la presumibile rottura di tale rapporto, contempla il diritto del partner di subentrare nel contratto di locazione, senza che, come previsto in caso di coniuge separato, sia necessaria l’esistenza di prole. V., sul punto, ancora F. Mastroberardino, Il diritto di godimento, della casa di comune abitazione locata dall’altro convivente, alla luce della legge n. 76 del 2016, in Fam. e dir., 2017, 396 ss. Sempre con riferimento alla tutela del diritto primario all’abitazione, il legislatore del 2016 è intervenuto espressamente statuendo, in favore dei conviventi di fatto, la facoltà di usufruire di un titolo di preferenza nelle graduatorie per l’assegnazione di alloggi di edilizia popolare, diritto peraltro già contemplato per i conviventi da alcune legislazioni regionali e da intendersi, ora, esteso a tutto il territorio nazionale per i “conviventi di fatto”, ex comma 45 dell’art. 1 della legge. 65 Al codice civile la legge del 2016 aggiunge l’art. 230 ter, prevedendo peraltro, per il convivente, una posizione molto meno solida rispetto a quella del coniuge e degli altri familiari. V. in merito le analitiche considerazioni, anche critiche, di G. Quadri, Le prestazioni di lavoro del convivente alla luce del nuovo art. 230 ter c.c., in L.N.L.C.C., 2017, 590 ss., e di G. Guerrieri, Convivenza di fatto e impresa familiare, in L.N.G.C.C., 2018, 1007 ss. 62
341
Francesca Cristiani
te, nell’ipotesi di malattia che comporti incapacità di intendere e di volere. Così, mentre, come è stato rilevato 66, né il coniuge, né i parenti, né i soggetti uniti civilmente godono della possibilità di designare un rappresentante per le decisioni in materia di salute – ed è irragionevole pensare che la norma attribuisca ai conviventi di fatto la possibilità di beneficiare di un regime giuridico più ampio rispetto ad essi – niente ostava, già prima dell’entrata in vigore della normativa del 2016, al fatto che si potesse designare il convivente come legittimato ad esprimere ed eseguire le volontà manifestate dal convivente in vita in relazione alla donazione di organi, al trattamento del corpo ed alle celebrazioni funerarie. Né si può dire che il comma 40 acquisti specifico rilievo alla luce della normativa in tema di disposizioni anticipate di trattamento, in quanto il fiduciario indicato dall’interessato non deve necessariamente essere vincolato da uno specifico rapporto con il designante; e, d’altra parte, il convivente è espressamente assimilato ai familiari ed alla parte dell’unione civile, laddove gli stessi siano presi in considerazione nell’ambito della legge67. Occorre, a questo punto, in via più generale, precisare come non sia soltanto dal rilievo espressamente attribuito alla posizione del convivente nella titolarità di diritti che si possa trarre la conclusione di una linea di tendenza verso la privilegiata considerazione dei legami affettivi: la scelta del legislatore, in diversi contesti, spesso relativi a situazioni di natura personalissima e talora drammatica, di parlare di “familiare” e di “famiglia”68, in un momento storico nel quale questi termini non possono obiettivamente assumere un significato univoco, sembra orientare verso la valorizzazione di un senso di comunione solidale, di un vincolo che sussiste se ed in quanto ce ne siano i presupposti di fatto, la cui costituzione – e soprattutto il cui scioglimento – sono spesso lasciati alla libera determinazione dell’interessato. L’interrogativo che queste riflessioni suscitano è se i vincoli tradizionali e, in particolare, quello costituito dalla parentela, siano destinati ad essere “sostituiti”, nella loro rilevanza giuridica, da altri legami, effettivi e indipendenti da una specifica qualificazione formale, o se piuttosto il senso del loro mantenimento vada ricercato attraverso una rivitalizzazione che ruoti attorno al perno di una riconosciuta comunione di affetti e di intenti, all’interno della grande orbita della solidarietà. In altri termini, forma e sostanza devono, o comunque possono, coincidere. A ben vedere, è proprio dalla prospettiva di una auspicabile sovrapposizione che sembra potersi guardare con rinnovata vitalità anche ai vincoli tramandati da una tradizione ultramillenaria. Emblematica, a questo proposito, può rivelarsi la normativa in tema di adozione dei minori, massima espressione dell’accoglienza. Con la indiscussa statuizione
66
Cfr. L. Lenti, La nuova disciplina della convivenza di fatto: osservazioni a prima lettura, in Jus civile, 2016, 92 ss. Il problema che si potrà porre, a questo punto, in sede di applicazione, sarà piuttosto quello di stabilire se il riferimento alla convivenza debba intendersi esclusivo, o meno, alla “convivenza di fatto” così come individuata dai commi 36 e 37 della legge n. 76 del 2016. 68 V. le considerazioni svolte supra, nel testo. 67
342
Vincoli familiari fra tradizione e nuove prospettive
che il figlio adottivo è parente, si recupera il concetto antico, che merita di essere riconsiderato in questa nuova ottica: per garantire al minore una famiglia69, lo si inserisce nella cerchia parentale. Se è vero che la famiglia degli affetti non necessariamente si identifica con la parentela non è necessariamente vero il contrario, cioè che dove c’è parentela non c’è affetto. Dove, se non nella famiglia adottiva, c’è proprio il “trionfo” della famiglia degli affetti, che viene fatta coincidere con la famiglia di sangue, realizzandosi, così, una totale sovrapposizione tra forma e sostanza? Laddove, al contrario, la parentela sia soltanto espressione di appartenenza ad un gruppo familiare, priva di connotati di autentica solidarietà, ben venga la sua “sostituzione” con vincoli frutto di libera autodeterminazione, già individuati, in alcuni casi, dalla legislazione, anche più recente, ed auspicati, specificamente in ambito successorio, da ampia parte della dottrina. Nel primo senso il riferimento immediato è alla nomina del “fiduciario” per le disposizioni anticipate di trattamento; nel secondo senso alla riforma della successione necessaria della quale si giunge ad ipotizzare anche l’abrogazione70. Occorre però ricordare che dal vincolo di parentela scaturiscono non soltanto diritti – nella titolarità dei quali altri soggetti possono essere individuati anche a seguito di una manifestazione di volontà, consapevolmente e volontariamente espressa – ma anche obblighi, limitazioni e incompatibilità, per i quali può non apparire altrettanto agevole una sostituzione e che peraltro, spesso, si giustificano in funzione di una corrispettività con situazioni di vantaggio, mancando la quale potrebbe sfumarne il fondamento logico. Né può essere sottovalutata la circostanza che alcune situazioni, nelle quali si realizza effettivamente uno sviluppo della persona nella prospettiva autenticamente comunitaria, non risultano coperte da alcuna specifica regolamentazione, rimanendo in una sorta di “zona grigia”, aspetto che finisce per comportare, inevitabilmente, la rivalutazione di vincoli intrinsecamente caratterizzati dalla certezza e dalla pressoché assoluta stabilità. In alcuni casi certo non è facile intervenire legislativamente, laddove si può porre la necessità di contemperare opposte esigenze, ugualmente meritevoli di tutela71, come, per
69
La legge n. 184 del 1983 si intitola proprio “Diritto del minore ad una famiglia”. Rileva come l’ordinamento mostra di ritenere assolutamente prioritario il contesto familiare per il pieno sviluppo della personalità del figlio M. Pezzola, Diritto dei figli ad essere amati?, in Persona e Mercato n. 4/2018, Materiali e commenti, 27 ss. 70 Cfr., tra altri, G. Amadio, La successione necessaria tra proposte di abrogazione e istanze di riforma, in Riv. not., 2007, I, 803 ss. e Le proposte di riforma della successione necessaria, in Giur. it., 2012, 1942 ss.; V. Barba, Principi successori del figlio nato fuori del matrimonio e problemi di diritto transitorio, in Fam. e dir., 2014, 507; G. Bonilini, Sulla proposta di novellazione delle norme relative alla successione necessaria, in Fam. pers. e succ., 2007, 581 ss.; M. Cinque, Sulle sorti della successione necessaria, in Riv. dir. civ., 2011, I, 493 ss.; S. Delle Monache, Abolizione della successione necessaria? in Riv. not., 2007, I, 815 ss.; L. Gatt, Memento mori. La ragion d’essere della successione necessaria in Italia, in Fam. pers. e succ., 2009, 540 ss.; M. Paradiso, Sulla progettata abrogazione della successione necessaria, in Scritti in onore di M. Comporti, a cura di S. Pagliantini, E. Quadri, D. Sinesio, III, Milano, 2008, 2055 ss.; P. Rescigno, Le possibili riforme del diritto ereditario, in Giur. it., 2012, 1941 ss. 71 I problemi ai quali dà luogo la famiglia “ricostituita” non si riferiscono soltanto alla eventuale disciplina del rapporto che si instaura tra il figlio e il nuovo partner (sia esso coniuge, soggetto unito civilmente o convivente di fatto) del genitore, in funzione del soddisfacimento dell’interesse del figlio, ma possono estrinsecarsi anche nella eventualità di un conflitto tra gli interessi di quest’ultimo e la tutela del soggetto al quale il genitore biologico è legato, conflitto che può certamente verificarsi in fatto, ma che in alcuni casi è il naturale risultato dell’applicazione delle norme di legge: in quest’ultimo senso si può fare riferimento alla normativa successoria
343
Francesca Cristiani
esempio, nella cd. famiglia ricomposta: in proposito, se è vero che il nuovo art. 315 bis c.c. ha consacrato il principio che il minore ha diritto a crescere in famiglia e non nella famiglia, come è stato autorevolmente rilevato72, è anche vero che non può – né deve – venir meno la tutela del rapporto di discendenza originario, che non può essere limitata ad aspetti di carattere puramente patrimoniale. In questa ipotesi effettivamente si potrebbe realizzare un concreto contrasto tra parenti (per così dire, originari) – con i quali pure comunque è previsto dalla stessa norma che il minore debba mantenere i contatti – e nuova famiglia. Conclusivamente, l’approccio dell’interprete al vincolo di parentela deve essere oggi connnotato da uno spirito nuovo, che lo cali adeguatamente nel prisma delle nuove realtà della famiglia, trovando con esse un minimo comun denominatore rappresentato dalla dimensione della solidarietà73, dalla quale non si può prescindere nell’ambito di legami che vogliano qualificarsi come familiari, ma allo stesso tempo ponendo in luce la sua forza attrattiva e di coesione, il suo valore ordinante e di certezza, che gli consentono una capacità di resistenza non rinvenibile in altre relazioni, sempre più volatili, ed a rischio di dissolvimento o di “evaporazione” verso l’instabilità.
che, nell’ipotesi in cui il genitore contragga nuovo matrimonio, privilegia l’interesse del coniuge a potenziale discapito dei figli di primo letto. 72 V. F.D. Busnelli, Frantumi europei di famiglia, in Riv. dir. civ., 2013, I, 786. 73 Fa riferimento proprio al necessario rapporto di uguaglianza e solidarietà tra persone in comunione di vita come statuto minimo inderogabile della famiglia M.F. Tommasini, I rapporti familiari tra tradizione a attualità, in Dir. fam. e pers. 2018, 259 ss.
344
Giurisprudenza Cass. civ., Sez. Un., 8 maggio 2019, n. 12193; Mammone Primo Presidente f.f. Delibazione (giudizio di) – Dichiarazione di efficacia di sentenze straniere – Riconoscimento del rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero mediante il ricorso alla maternità surrogata ed il genitore d’intenzione munito della cittadinanza italiana – Escluso per contrarietà all’ordine pubblico Il riconoscimento dell’efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero con cui sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero mediante il ricorso alla maternità surrogata ed il genitore d’intenzione munito della cittadinanza italiana trova ostacolo nel divieto della surrogazione di maternità previsto dall’art. 12, comma 6, l. n. 40/2004, qualificabile come principio di ordine pubblico, in quanto posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità umana della gestante e l’istituto dell’adozione.
(Omissis) Fatti
di causa.
degli atti di nascita; precisato inoltre che la loro – 1. M.L. e R.R., in proprio e
unione era produttiva di effetti nell’ordinamento
nella qualità di genitori esercenti la responsabili-
italiano ai sensi della L. 20 maggio 2016, n. 76,
tà nei confronti dei minori M.C. ed A., proposero
art. 1, comma 28, lett. b), e che i minori erano
ricorso alla Corte d’appello di Trento, per sentir
cittadini sia italiani che canadesi, aggiunsero di
riconoscere, ai sensi della L. 31 maggio 1995, n.
aver assunto entrambi il ruolo di padre fin dalla
218, art. 67, l’efficacia nell’ordinamento interno
nascita dei bambini e di essere stati riconosciuti
del provvedimento emesso il 12 gennaio 2011
come tali non solo dai figli, ma anche nella cer-
dalla Superior Court of Justice dell’Ontario (Ca-
chia degli amici, familiari e colleghi.
nada), con cui era stato accertato il rapporto di
Si costituì il Procuratore generale della Repub-
genitorialità tra il R. ed i minori, e per sentir-
blica, ed eccepì l’incompetenza della Corte, ai
ne ordinare la trascrizione negli atti di nascita di
sensi del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, art. 95,
questi ultimi da parte dell’ufficiale di stato civile
chiedendo in ogni caso il rigetto della domanda,
del Comune di Trento.
per contrarietà all’ordine pubblico del provvedi-
Premesso di aver contratto matrimonio il 2 di-
mento adottato dal Giudice canadese.
cembre 2008 in Canada, i ricorrenti esposero che
Nel giudizio, spiegò intervento il Ministero
i minori, nati in quel Paese il 23 aprile 2010, era-
dell’interno, a difesa del provvedimento emesso
no stati generati mediante procreazione medical-
dal Sindaco di Trento in qualità di ufficiale di
mente assistita, a seguito del reperimento di una
governo, affermando anch’esso che, in assenza
donatrice di ovociti e di un’altra donna disposta
di una relazione biologica tra il R. ed i minori, il
a sostenere la gravidanza; riferirono che, dopo
riconoscimento dell’efficacia del provvedimento
un primo provvedimento giudiziale, regolarmen-
emesso dal Giudice canadese si poneva in con-
te trascritto in Italia, con cui il Giudice canadese
trasto con l’ordine pubblico.
aveva riconosciuto che la gestante non era genitrice dei minori e che l’unico genitore era il M.,
Con ordinanza del 23 febbraio 2017, la Corte d’appello di Trento ha accolto la domanda.
l’ufficiale di stato civile, con atto del 31 maggio
Premesso che il procedimento ha ad ogget-
2016, aveva rifiutato di trascrivere quello oggetto
to esclusivamente il riconoscimento dell’efficacia
della domanda, con cui era stata riconosciuta la
del provvedimento emesso dal Giudice straniero,
cogenitorialità del R. e disposto l’emendamento
rispetto al quale la richiesta di trascrizione non
345
Giurisprudenza
costituisce un’autonoma domanda, idonea ad
giudice deve verificare se l’atto straniero contrasti
introdurre un giudizio di opposizione al rifiuto
con l’esigenza di tutela dei diritti fondamentali
dell’ufficiale di stato civile, la Corte ha escluso
dell’uomo, desumibili dalla Carta costituziona-
da un lato la propria incompetenza, dallo altro
le, dai Trattati fondativi e dalla Carta dei diritti
la legittimazione all’intervento del Sindaco e del
fondamentali dell’Unione Europea, nonché dalla
Ministero, osservando che il primo non rivestiva
CEDU. Ciò posto, ha ritenuto che nella specie
la qualità di parte, nonostante la notificazione del
dovesse attribuirsi rilievo alla tutela dell’interes-
ricorso, mentre il secondo non poteva conside-
se superiore del minore, articolato in diverse si-
rarsi portatore di un interesse attuale all’interven-
tuazioni giuridiche che hanno trovato riconosci-
to, nè in relazione alla regolare tenuta dei regi-
mento sia nell’ordinamento internazionale che in
stri dello stato civile, tenuto conto dell’oggetto
quello interno, ed individuabile in particolare nel
dell’accertamento da compiere, nè in qualità di
diritto del minore alla conservazione dello sta-
organo sovraordinato al Sindaco, nè in relazione
tus di figlio riconosciutogli in un atto validamen-
ad ipotetiche future pretese risarcitorie per danni
te formato in un altro Stato, come conseguenza
da attività provvedimentale illegittima. Ha affer-
diretta del favor filiationis emergente dalla L. n.
mato che l’unico interesse pubblico rilevante nel
218 del 1995, art. 13, comma 3, e art. 33, commi
caso in esame, costituito dall’esigenza di evita-
1 e 2, ed implicitamente riconosciuto dall’art. 8,
re l’ingresso nell’ordinamento di provvedimenti
par. 1, della Convenzione di New York sui diritti
contrari all’ordine pubblico, doveva considerarsi
del fanciullo. Ha osservato infatti che il mancato
tutelato dall’intervento del Procuratore generale,
riconoscimento del predetto status avrebbe de-
non richiesto in via generale nelle cause di ri-
terminato un evidente pregiudizio per i minori,
conoscimento dell’efficacia di sentenze straniere,
precludendo il riconoscimento in Italia di tutti i
ma legittimato dalle norme del codice di rito che
diritti che ne derivavano nei confronti del R., in-
prevedono la partecipazione del Pubblico Mini-
dipendentemente dalla possibilità di farli valere
stero a specifiche tipologie di controversie, come
nei confronti dell’altro genitore, impedendo al R.
quelle in materia di stato delle persone.
di assumere la responsabilità genitoriale nei loro
Precisato poi che nel caso di specie l’unico re-
confronti, e privando di rilievo giuridico nel no-
quisito in contestazione ai fini del riconoscimen-
stro ordinamento l’identità familiare ed i legami
to dell’efficacia del provvedimento straniero era
familiari legittimamente acquisiti in Canada.
costituito dalla compatibilità con l’ordine pubbli-
Pur rilevando che, a differenza di quella cana-
co internazionale, la Corte ha richiamato la più
dese, la disciplina vigente in Italia non consente
recente giurisprudenza di legittimità, secondo cui
il ricorso alla maternità surrogata, in quanto la L.
il contenuto di tale nozione va desunto esclusi-
19 febbraio 2004, n. 40 limita alle coppie di sesso
vamente dai principi supremi e/o fondamentali
diverso la possibilità di accedere alla procreazio-
della Carta costituzionale, ovverosia da quelli che
ne medicalmente assistita, prevedendo sanzioni
non potrebbero essere sovvertiti dal legislatore
amministrative in caso di ricorso alle relative pra-
ordinario, restando escluso il contrasto con l’or-
tiche da parte di coppie composte da soggetti
dine pubblico in caso di difformità della norma
dello stesso sesso e sanzioni penali per chi in
straniera da norme del diritto nazionale con cui
qualsiasi forma realizza, organizza o pubbliciz-
il legislatore abbia esercitato la propria discrezio-
za la commercializzazione di gameti o embrioni,
nalità in una determinata materia, con la conse-
mentre la L. 20 maggio 2016, n. 76 esclude l’ap-
guenza che, ai fini della relativa valutazione, il
plicabilità alle unioni civili delle disposizioni del-
346
Mirzia Bianca
la L. 4 maggio 1983, n. 184, la Corte ha ritenuto
neppure nella giurisprudenza della Corte EDU
che ciò non costituisse un ostacolo al riconosci-
relativa all’art. 8 della CEDU, la quale, anche nei
mento dell’efficacia nell’ordinamento interno del
casi in cui ha escluso la configurabilità di una
provvedimento canadese che aveva accertato il
vita familiare, ha attribuito rilievo preminente alla
rapporto di filiazione tra il R. e i due minori ge-
breve durata della relazione ed alla precarietà del
nerati attraverso la maternità surrogata. Premesso
legame giuridico con i genitori, derivante dalla
infatti che, in presenza di questioni che pongano
condotta di questi ultimi, contraria al diritto italia-
delicati interrogativi di ordine etico in ordine ai
no. Ha infine escluso che nella specie l’interesse
quali non vi sia consenso su scala Europea, la
dei minori possa trovare una tutela più adeguata
Corte EDU ha riconosciuto al legislatore statale
attraverso un’adozione disposta ai sensi della L.
un ampio margine di apprezzamento, conferma-
n. 184 del 1983, art. 44, lett. b), non essendo pa-
to anche dalla Corte costituzionale in occasione
cifica l’ammissibilità del ricorso a tale forma di
della dichiarazione d’illegittimità costituzionale
adozione da parte delle coppie omosessuali.
della L. n. 40 del 2004, art. 4, comma 3, la Cor-
Avverso la predetta ordinanza hanno propo-
te ha affermato che la disciplina positiva della
sto ricorso per cassazione il Pubblico Ministero,
procreazione medicalmente assistita non costitu-
per due motivi, nonché il Ministero dell’interno
isce espressione di principi fondamentali costitu-
ed il Sindaco di Trento, in qualità di ufficiale di
zionalmente obbligati, ma il punto di equilibrio
governo, per cinque motivi, illustrati anche con
attualmente raggiunto a livello legislativo nella
memoria. Il M. ed il R. hanno resistito con contro-
tutela degl’interessi fondamentali coinvolti in tale materia. Ha aggiunto che le conseguenze della
ricorso, anch’essi illustrato con memoria. Ragioni della decisione. – 1. Con il primo moti-
violazione dei divieti posti dalla L. n. 40 del 2004
vo d’impugnazione, il Pubblico Ministero denun-
non possono ricadere su chi è nato, il quale ha il
cia la violazione e la falsa applicazione della L.
diritto fondamentale alla conservazione dello sta-
n. 218 del 1995, artt. 16 e 65 e del D.P.R. n. 396
tus filiationis legittimamente acquisito all’estero,
del 2000, art. 18, censurando l’ordinanza impu-
non rappresentando un ostacolo l’insussistenza
gnata per aver riconosciuto efficacia nell’ordina-
di un legame genetico tra i minori ed il R., dal
mento interno ad un provvedimento contrario
momento che nel nostro ordinamento non esiste
all’ordine pubblico, in quanto avente ad ogget-
un modello di genitorialità fondato esclusivamen-
to l’accertamento di un rapporto genitoriale con
te sul legame biologico tra il genitore ed il nato:
persone del medesimo sesso, sulla base di norme
ha evidenziato in proposito l’importanza assunta
straniere scelte dagli stessi ricorrenti e sul pre-
a livello normativo dal concetto di responsabi-
supposto indimostrato della rispondenza di tale
lità genitoriale, che si manifesta nella consape-
situazione all’interesse dei minori. Precisato che
vole decisione di allevare ed accudire il nato, la
la questione non ha ad oggetto l’equiparazione
favorevole considerazione accordata dall’ordi-
di una paternità non biologica a quella biologi-
namento al progetto di formazione di una fami-
ca, ma l’ammissibilità di un rapporto genitoriale
glia anche attraverso l’istituto dell’adozione, e la
di coppia in capo a persone dello stesso sesso,
possibile assenza di una relazione biologica con
sostiene che la riduttiva nozione di ordine pub-
uno dei genitori nel caso di ricorso a tecniche
blico accolta dall’ordinanza impugnata si pone in
di fecondazione eterologa consentite dalla legge.
contrasto con il consolidato orientamento della
Ha rilevato che l’assenza di un legame biologico
giurisprudenza di legittimità, secondo cui la stes-
con il minore non riveste portata determinante
sa va desunta non solo dai valori consacrati nelle
347
Giurisprudenza
norme costituzionali, ma anche dagli altri princi-
privo di collegamento biologico, che non era stata
pi e regole che, pur non trovando collocazione
mai posta in discussione, risultando positivamente
nella Carta fondamentale, informano l’intero ordi-
prevista e disciplinata dalle norme in materia di
namento, in quanto immanenti ai più importanti
adozione. Aggiunge che l’assenza di considerazio-
istituti giuridici ed emergenti dal complesso delle
ni riguardanti la compatibilità con l’ordine pub-
norme inderogabili che caratterizzano l’atteggia-
blico è resa ancor più grave, nella specie, dalla
mento etico-giuridico dell’ordinamento in un de-
totale carenza di motivazione del provvedimen-
terminato momento storico. In quanto difforme
to straniero, che rappresenta di per sè stessa una
da tali principi, l’ordinanza impugnata intacca la
causa ostativa al riconoscimento dell’efficacia del-
sovranità statale, consentendo l’ingresso nell’ordi-
lo stesso nell’ordinamento interno. Afferma infine
namento di istituti apertamente contrastanti con i
che, nel conferire rilievo decisivo all’esistenza di
principi che informano un intero settore di rap-
un progetto di genitorialità dei ricorrenti, la Corte
porti in un determinato momento storico, la cui
territoriale si è limitata ad un enunciato meramen-
individuazione compete al legislatore ordinario,
te assertivo, senza indicare gli elementi da quali ha
nel rispetto della Costituzione: la nozione di ge-
tratto il relativo convincimento.
nitori da quest’ultima emergente non può infatti
Con il primo motivo del loro ricorso, il Mini-
considerarsi gender neutral, trovando specifica-
stero ed il Sindaco lamentano il difetto assoluto
zione nei concetti di paternità e maternità risul-
di giurisdizione, sostenendo che, nel riconoscere
tanti dall’art. 30, u.c., e 31 e nell’istituto del ma-
efficacia ad un provvedimento straniero che pre-
trimonio previsto dall’art. 29, che postula l’unione
vede la trascrizione nei registri dello stato civile
tra persone di sesso diverso; la bigenitorialità fon-
di una doppia paternità, in assenza di una norma
data sulla diversità di genere costituisce inoltre
interna che lo consenta, l’ordinanza impugnata
il presupposto dell’intera disciplina civilistica dei
ha ecceduto i limiti della giurisdizione, invaden-
rapporti di famiglia e delle successioni, nonché di
do la sfera di discrezionalità politica riservata
quella della procreazione medicai-mente assistita,
al legislatore. Premesso che l’estensione di una
consentita soltanto a coppie di sesso diverso.
serie di diritti alle coppie omosessuali, in pro-
Con il secondo motivo, il Pubblico Ministero
spettiva antidiscriminatoria, non comporta neces-
deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4,
sariamente un’equiparazione perfetta e completa
la nullità dell’ordinanza impugnata, per violazione
sotto ogni profilo, soprattutto in materia familia-
dell’art. 111 Cost. e dell’art. 132c.p.c., comma 4, e
re, osservano che, in tema di filiazione, l’ordi-
art. 134 c.p.c., osservando che il provvedimento è
namento appresta, indipendentemente dalla di-
sorretto da una motivazione meramente apparen-
scendenza biologica, strumenti normativi idonei
te, in quanto priva dell’esposizione delle ragioni
all’istituzione di un rapporto di responsabilità di
giuridiche a sostegno dell’affermata compatibilità
tipo genitoriale, la cui previsione segna tuttavia
con l’ordine pubblico di un rapporto di filiazione
anche il limite all’equiparazione delle diverse
con doppia paternità e di un rapporto genitoriale
situazioni socio-personali. Tale limite risulta su-
di coppia fra persone dello stesso sesso. Premesso
perato dall’ordinanza impugnata, la quale costi-
che la relativa verifica è sottratta alla disponibilità
tuisce espressione di un’attività di produzione
delle parti, dovendo aver luogo d’ufficio, contesta
normativa estranea alla competenza della Corte
la pertinenza delle argomentazioni svolte nell’ordi-
territoriale, anche con riguardo al richiamo della
nanza, rilevando che le stesse riguardano esclusi-
giurisprudenza della Corte EDU, non applicabile
vamente l’ammissibilità di un rapporto genitoriale
direttamente dal giudice nazionale, e comunque
348
Mirzia Bianca
inidonea a giustificare una completa equiparazio-
procedimento, contrassegnata dal rifiuto dell’uffi-
ne delle coppie omosessuali in relazione ad ogni
ciale di stato civile di procedere alla trascrizione
aspetto del diritto di famiglia.
del provvedimento straniero, e della richiesta di
Con il secondo motivo, il Ministero ed il Sinda-
trascrizione espressamente formulata nel ricorso
co denunciano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma
introduttivo, nonché della natura contenziosa del
1, n. 2, la violazione del D.P.R. n. 396 del 2000,
procedimento disciplinato dall’art. 67 cit., assog-
art. 95, osservando che, nell’individuare l’oggetto
gettato alle forme del rito sommario di cognizio-
del procedimento esclusivamente nel riconosci-
ne ed avente necessariamente come controparte
mento dell’efficacia del provvedimento straniero,
il soggetto che si oppone alla richiesta di tra-
l’ordinanza impugnata non ha tenuto conto della
scrizione. Tale soggetto non è identificabile nel
ragion d’essere del giudizio, costituita dal rifiu-
Pubblico Ministero, legittimato esclusivamente ad
to dell’ufficiale di stato civile di procedere alla
intervenire nelle cause riguardanti lo stato e la
trascrizione del provvedimento emesso dal Giu-
capacità delle persone, ai sensi dell’art. 70 c.p.c.,
dice canadese, e delle conclusioni formulate dai
comma 1, n. 3, ma nel Sindaco, al quale spetta,
ricorrenti, in cui questi ultimi chiedevano espres-
in qualità di ufficiale dello stato civile, la corretta
samente di ordinarne la trascrizione negli atti di
tenuta dei relativi registri, e per esso nel Ministe-
nascita dei minori. La Corte territoriale ha omes-
ro, al quale fa capo il Sindaco nell’esercizio delle
so di rilevare la contraddittorietà della condotta
funzioni di ufficiale di governo.
processuale degl’istanti, i quali, pur richiamando
Con il quinto motivo, il Ministero ed il Sindaco
le norme in materia di trascrizione, non hanno
denunciano la violazione e la falsa applicazione
seguito la procedura dalle stesse prevista, rimessa
della L. n. 218 del 1995, artt. 16 e 65, della D.P.R.
alla competenza del tribunale nel cui circondario
n. 396 del 2000, art. 18 e della L. n. 40 del 2004,
si trova l’ufficio dello stato civile presso il quale
art. 5 e art. 12, commi 2 e 6, osservando che,
dev’essere eseguito l’adempimento richiesto.
nell’escludere il contrasto tra il provvedimento
Con il terzo motivo, il Ministero ed il Sindaco
emesso dal Giudice canadese e l’ordine pubbli-
deducono, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1,
co, l’ordinanza impugnata ha fornito un’interpre-
n. 4, la violazione e la falsa applicazione dell’art.
tazione eccessivamente estensiva di tale nozione,
112 c.p.c., rilevando che l’ordinanza impugnata
il cui accoglimento finirebbe per svuotare di ogni
ha omesso di pronunciare in ordine all’eccezione
significato gli artt. 16 e 65 cit., che la pongono co-
d’inammissibilità del ricorso proposto dal R., da
me limite all’ingresso di provvedimenti stranieri
essi sollevata in relazione al difetto di legittima-
contrastanti con quell’insieme di principi e valori
zione del ricorrente, non investito del potere di
ritenuti fondamentali nel nostro ordinamento, al
rappresentanza dei minori, in quanto non tito-
punto da essere considerati parte integrante e im-
lare della responsabilità genitoriale sugli stessi,
prescindibile del sostrato giuridico nazionale. Nel
secondo l’ordinamento italiano.
richiamare i principi enunciati dalla più recente
Con il quarto motivo, il Ministero ed il Sinda-
giurisprudenza di legittimità, la Corte territoria-
co lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma
le ha trascurato la precisazione, da quest’ultima
1, n. 4, la violazione e la falsa applicazione degli
emergente, secondo cui, in quanto posto a salva-
artt. 101 e 702-bis c.p.c. e della L. n. 218 del 1995,
guardia della coerenza interna dell’ordinamento
art. 67, censurando l’ordinanza impugnata nella
nazionale, l’ordine pubblico non è riducibile ai
parte in cui ha escluso la loro legittimazione, sen-
soli valori condivisi dalla comunità internaziona-
za tener conto della vicenda da cui trae origine il
le, ma comprende anche principi e valori esclusi-
349
Giurisprudenza
vamente propri dell’ordinamento interno, purché
all’estero, ha ampiamente esteso a queste ultime
fondamentali ed irrinunciabili. Tra gli stessi va
i diritti e i doveri derivanti dal matrimonio, ma ha
senz’altro incluso il principio, chiaramente de-
escluso l’operatività delle disposizioni della L. n.
sumibile dalle norme inderogabili in materia di
184 del 1983, ferme restando quelle già ritenute
filiazione, che postula, quale requisito imprescin-
applicabili in materia di adozione, in tal modo
dibile per il riconoscimento del relativo rappor-
segnando il punto di equilibrio cui l’ordinamento
to, la differenza di sesso tra i genitori, avendo
è giunto nel bilanciamento tra i vari istituti del
quest’ultima influito significativamente su tutta
diritto familiare, dal quale non può prescinder-
la legislazione nazionale introdotta nel tempo,
si nella valutazione della conformità all’ordine
ivi compresa quella concernente le diverse tec-
pubblico dei provvedimenti giudiziali stranieri;
niche di fecondazione assistita; tale principio è
tale disciplina impedisce di estendere alle coppie
rimasto inalterato anche a seguito della dichia-
formate da persone dello stesso sesso le norme
razione d’illegittimità costituzionale della L. n. 40
sulla filiazione e la responsabilità genitoriale, ai
del 2004, art. 4, comma 3, che nulla ha mutato
fini delle quali assume rilievo decisivo il rapporto
con riguardo ai requisiti prescritti per l’accesso
di discendenza genetica, quale fatto oggettivo ac-
alle predette tecniche, non essendo venute me-
certabile in sede giudiziale, indipendentemente
no le sanzioni comminate per l’applicazione di
dall’aspetto volitivo-negoziale; ciò comporta l’e-
tecniche di procreazione medicalmente assistita
sclusività della posizione giuridica di padre, la
a coppie composte da soggetti dello stesso sesso
quale va tenuta distinta dal concetto di genito-
e per la surrogazione di maternità. Ad avviso dei
rialità, intesa come relazione affettivo-familiare
ricorrenti, non può dunque dubitarsi della con-
con il minore e come responsabilità e capacità di
trarietà all’ordine pubblico della trascrizione di
cura degli interessi dello stesso, che può trovare
un atto di nascita che preveda una duplice pater-
realizzazione anche attraverso altri istituti previsti
nità, la cui ammissibilità non può essere desunta
dall’ordinamento.
nè dalle pronunce della Corte EDU che, ai fini
Con ordinanza del 22 febbraio 2018, la Pri-
dell’adozione, hanno sancito la piena equipara-
ma Sezione civile di questa Corte ha disatteso le
zione delle coppie omosessuali alla famiglia tra-
eccezioni d’improcedibilità delle impugnazioni,
dizionale, nè dalla recente pronuncia di legittimi-
sollevate dalla difesa dei ricorrenti in relazione al
tà che ha disposto la trascrizione di una duplice
mancato deposito della copia notificata del prov-
maternità, dal momento che le prime hanno ad
vedimento impugnato, dando atto dell’avvenuta
oggetto esclusivamente il rapporto di genitoria-
effettuazione di tale adempimento da parte del
lità civile, mentre la seconda, oltre a riferirsi ad
Ministero, con efficacia anche nei confronti del
un caso diverso da quello in esame, ha conferito
Pubblico Ministero.
rilievo non già alle esigenze di genitorialità del-
Rilevato inoltre che i controricorrenti hanno
la coppia, ma all’interesse esclusivo del minore,
contestato l’ammissibilità di entrambi i ricorsi,
non invocabile utilmente nel caso in esame, in
per difetto di legittimazione dei ricorrenti, soste-
quanto i minori sono già in possesso della citta-
nendo che il Sindaco non ha mai assunto formal-
dinanza italiana e risultano già figli del padre bio-
mente la qualità di parte del giudizio di merito,
logico. Quanto alla L. n. 76 del 2016, la stessa, nel
in quanto il ricorso introduttivo gli è stato notifi-
dettare tra l’altro la disciplina delle unioni civili
cato soltanto a titolo di litis denuntiatio, mentre
tra persone dello stesso sesso, applicabile anche
il Pubblico Ministero ha rivestito la mera posi-
alle coppie che abbiano contratto matrimonio
zione d’interventore, essendo privo del potere di
350
Mirzia Bianca
proporre l’azione, ha affermato che la risoluzione
per l’attinenza a delicatissimi profili di diritto, la
della prima questione implica la definizione della
risoluzione di questioni di massima di particolare
nozione d’interessato, ai sensi della L. n. 218 del
importanza.
1995, art. 67, in relazione all’oggetto del giudizio,
Rigettata pertanto l’eccezione d’improcedibi-
costituito non solo dal riconoscimento dell’effica-
lità delle impugnazioni, la prima questione da
cia di un provvedimento straniero di volontaria
esaminare concerne l’ammissibilità di entrambi
giurisdizione, ma anche dalla richiesta di ordi-
i ricorsi, contestata dai controricorrenti sotto il
narne la trascrizione negli atti dello stato civile,
profilo della legittimazione all’impugnazione, a
rispetto alla quale difficilmente può escludersi la
loro avviso non spettante nè al Sindaco, in quan-
legittimazione del Sindaco, in qualità di ufficiale
to non evocato formalmente in giudizio e non
di stato civile. Ha ritenuto poi di dover sollevare
costituitosi nella precedente fase processuale, nè
d’ufficio la questione concernente la legittimazio-
al Pubblico Ministero, in quanto convenuto in
ne del Ministro dell’interno, portatore, in qualità
qualità di parte necessaria del giudizio di merito,
di titolare della funzione amministrativa eserci-
ma privo del potere d’impugnare la relativa sen-
tata dal Sindaco in materia di tenuta dei registri
tenza. Tale questione è strettamente collegata a
anagrafici, di uno specifico interesse all’uniforme
quella della legitimatio ad causam del Sindaco e
tenuta di tali registri, osservando invece, relativa-
del Ministero dell’interno, dagli stessi riproposta
mente alla legittimazione del Pubblico Ministero,
con il quarto motivo del loro ricorso, nel senso
che, nonostante l’indubbio interesse ad evitare
che la mancata citazione del primo, cui l’atto in-
che possano trovare ingresso nel nostro ordina-
troduttivo del giudizio sarebbe stato notificato a
mento giuridico provvedimenti contrari all’ordine
mero titolo di litis denuntiatio, in tanto potrebbe
pubblico riguardanti lo stato delle persone, in ta-
considerarsi idonea ad escluderne la legittimazio-
le materia egli non è titolare del potere d’impu-
ne all’impugnazione, in quanto, come affermato
gnazione, limitato alle cause previste dall’art. 72
dalla sentenza impugnata, egli non avesse tito-
c.p.c., commi 3 e 4 ed a quelle che egli stesso
lo a partecipare al giudizio: in caso contrario, la
avrebbe potuto proporre. Premesso tuttavia che,
mancanza della vocatio in jus si risolverebbe in
ai sensi del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 73,
un mero vizio del ricorso introduttivo, la cui noti-
il Pubblico Ministero ha azione diretta per far os-
ficazione dovrebbe essere considerata sufficiente
servare le leggi di ordine pubblico, ha rilevato
a far assumere al Sindaco la qualità di parte, legit-
che la questione di legittimazione s’intreccia nel-
timata ad impugnare la sentenza, in quanto risul-
la specie con quella che costituisce oggetto dei
tata soccombente nel merito. Com’è noto, infatti,
ricorsi, evidenziando la diversità delle nozioni di
la legittimazione a proporre l’impugnazione o a
ordine pubblico emergenti da recenti pronunce
resistervi spetta a chi abbia rivestito formalmen-
di legittimità.
te la posizione di parte nel giudizio conclusosi
Precisato infine che la denuncia dell’eccesso
con la sentenza impugnata, e dev’essere desunta
di potere giurisdizionale per invasione della sfera
da quest’ultima, intesa sia nella parte dispositi-
di attribuzioni del legislatore comporta obbliga-
va che in quella motiva, indipendentemente dal-
toriamente la rimessione della causa alle Sezioni
la correttezza di tale individuazione e dalla sua
Unite, la Prima Sezione ha ritenuto che tale prov-
corrispondenza alle risultanze processuali, non-
vedimento sia imposto nella specie anche dalla
ché dalla titolarità (attiva o passiva) del rapporto
complessità e dalla rilevanza delle censure pro-
sostanziale controverso (cfr. ex plurimis, Cass.,
poste con i motivi di ricorso, il cui esame implica,
Sez. V, 30/05/2017, n. 13584; Cass., Sez. VI, 2/10/
351
Giurisprudenza
2014, n. 20789; 29/07/2014, n. 17234; Cass., Sez.
di parte del Sindaco come ufficiale di stato civile
III, 14/07/2006, n. 16100).
(cfr. Cass., Sez. I, 31/05/2018, n. 14007).
9.1. La legittimazione a contraddire del Sinda-
Il rilievo in tal modo conferito al rifiuto di
co e del Ministero è stata esclusa dalla Corte di
trascrizione ed alla riproposizione della relativa
merito sulla base di tre distinte ragioni, fondate
richiesta nel procedimento di riconoscimento
rispettivamente sull’oggetto della domanda, iden-
impone un approfondimento del rapporto in-
tificato non già nella trascrizione del provvedi-
tercorrente tra quest’ultimo ed il procedimento
mento straniero, ma nel riconoscimento della sua
previsto dal D.P.R. n. 396 del 2000, art. 95 per la
efficacia nell’ordinamento italiano, sulla non con-
rettificazione degli atti di stato civile nel caso in
figurabilità nel presente giudizio di un interesse
cui, come nella specie, la richiesta di trascrizione
alla regolare tenuta dei registri dello stato civile,
trovi fondamento in una sentenza o un provve-
e sull’estraneità alla materia del contendere di
dimento giurisdizionale straniero del quale il ri-
pretese risarcitorie per danni cagionati da attività
chiedente intenda far valere l’efficacia nel nostro
provvedimentale illegittima.
ordinamento. Non appare necessario, in questa
La tesi secondo cui, in quanto avente carattere
sede, soffermarsi sulle differenze strutturali tra i
meramente accessorio e consequenziale rispetto
due istituti, già evidenziate dalla dottrina in ri-
alla domanda di riconoscimento, e quindi inido-
ferimento al procedimento di delibazione disci-
nea ad introdurre un procedimento di rettifica-
plinato dagli artt. 796 c.p.c. e ss. ed a quello di
zione ai sensi del D.P.R. n. 396 del 2000, art. 95, la
rettificazione previsto dal R.D. 9 luglio 1939, n.
richiesta di trascrizione del provvedimento risul-
1238, poi sostituiti da quelli in esame, e ribadi-
terebbe insufficiente a giustificare la legittimazio-
te anche in relazione a questi ultimi, soprattutto
ne del Sindaco, in qualità di ufficiale di stato ci-
con riguardo al tipo di giurisdizione (contenziosa
vile, è stata disattesa da una recente pronuncia di
o volontaria) di cui ciascuno di essi costituisce
legittimità, che in tema di riconoscimento dell’ef-
espressione ed ai limiti entro i quali le relative
ficacia di una sentenza straniera di adozione ha
decisioni sono destinate a spiegare efficacia di
ravvisato proprio nel rifiuto opposto dal Sindaco
giudicato. Giova piuttosto sottolineare la diver-
alla richiesta di trascrizione (anche in quel caso
sa funzione dei due rimedi, il primo dei quali è
riproposta con il ricorso introduttivo del giudizio)
volto a risolvere contestazioni in ordine all’effica-
quella “contestazione” che la L. n. 218 del 1995,
cia di provvedimenti giurisdizionali stranieri o a
art. 67 richiede ai fini dell’insorgenza della con-
consentirne l’esecuzione nel nostro ordinamento,
troversia: premesso infatti che, secondo la giuri-
laddove il secondo mira ad eliminare una diffor-
sprudenza di legittimità, l’espressione “chiunque
mità tra la situazione di fatto, quale è o dovrebbe
vi abbia interesse”, con cui la predetta disposizio-
essere nella realtà secondo la previsione di leg-
ne individua i soggetti legittimati a ricorrere alla
ge, e quella risultante dai registri dello stato civi-
corte d’appello, non si riferisce esclusivamente
le, a causa di un vizio comunque originatosi nel
alle parti del processo che ha dato luogo alla
procedimento di formazione dei relativi atti (cfr.
sentenza da eseguire, tale pronuncia ha afferma-
Cass., Sez. I, 2/10/ 2009, n. 21094; 27/03/1996, n.
to, richiamando anche l’ordinanza interlocutoria
2776; 30/10/1990, n. 10519). La più ampia porta-
emessa nel presente giudizio, che in presenza
ta del procedimento di delibazione, riguardante
del predetto rifiuto la nozione di “interessato” al
sentenze e provvedimenti di qualsiasi genere e
riconoscimento del provvedimento straniero dif-
finalizzato alla produzione di effetti non limita-
ficilmente potrebbe condurre a negare la qualità
ti alla trascrizione nei registri dello stato civile,
352
Mirzia Bianca
aveva indotto, in passato, parte della dottrina ad
stato civile venga contestata non già per un vizio
affermarne la prevalenza su quello di rettificazio-
di carattere formale, ma per l’insussistenza dei re-
ne, e ciò in coerenza con il sistema previsto dal
quisiti di carattere sostanziale cui la L. n. 218 del
codice di rito, che subordinava in via generale
1995, artt. 64 - 66 subordinano l’ingresso nel no-
alla pronuncia di delibazione la possibilità di far
stro ordinamento. Tale contestazione, investendo
valere nel nostro ordinamento i provvedimenti
la stessa possibilità di ottenere il riconoscimento
stranieri; tale opinione, che ha trovato seguito
dello status accertato o costituito dal provvedi-
anche dopo l’entrata in vigore della L. n. 218 del
mento straniero, dà luogo ad una controversia di
1995, non può essere ritenuta più condivisibile,
stato, per la cui risoluzione, com’è noto, la giuri-
alla luce del radicale mutamento di prospettiva
sprudenza di legittimità ha costantemente escluso
da quest’ultima determinato: in quanto impernia-
l’applicabilità del procedimento di rettificazione,
to sul principio del riconoscimento automatico
in virtù dell’osservazione che tale questione deve
(art. 64), applicabile anche ai provvedimenti in
essere necessariamente risolta nel contradditto-
materia di stato e capacità delle persone (art. 65)
rio delle parti, in un giudizio contenzioso aven-
ed a quelli di volontaria giurisdizione (art. 66), il
te ad oggetto per l’appunto lo status (cfr. Cass.,
regime da essa introdotto rende infatti superfluo,
Sez. I, 21/12/1998, n. 12746; 27/03/1996, n. 2776;
almeno in prima battuta, il ricorso al procedimen-
26/01/1993, n. 951).
to previsto dall’art. 67, consentendo di procede-
Se ciò è vero, peraltro, deve riconoscersi per
re direttamente alla trascrizione nei registri dello
un verso che la richiesta di trascrizione, non pro-
stato civile, e rimettendo quindi all’ufficiale di
ponibile nelle forme previste dal D.P.R. n. 396 del
stato civile la verifica dei requisiti prescritti dalla
2000, art. 95, può ben essere avanzata contestual-
legge. Soltanto nel caso in cui tale verifica abbia
mente alla domanda di riconoscimento, rispetto
esito negativo, ovvero nel caso in cui l’efficacia
alla quale non riveste carattere meramente acces-
del provvedimento straniero debba essere fatta
sorio e consequenziale, per altro verso che la pro-
valere anche ad altri fini, si rende necessaria la
posizione di tale domanda esige l’instaurazione
procedura di riconoscimento, la cui applicabilità
del contraddittorio nei confronti dell’organo il cui
non può ritenersi esclusa dalla possibilità di pro-
rifiuto di trascrivere il provvedimento straniero
porre opposizione ai sensi del D.P.R. n. 396 del
ha dato origine alla controversia, non potendosi
2000, art. 95, configurandosi quest’ultima come
negare a quest’ultimo la qualifica di “interessato”,
un rimedio concorrente, ma avente una portata
nel senso previsto dalla L. n. 218 del 1995, art.
più limitata rispetto a quella del procedimento
67, non spettante esclusivamente ai soggetti che
di cui alla L. n. 218 del 1995, art. 67: la funzione
hanno assunto la veste di parti nel giudizio in cui
della rettificazione resta infatti strettamente colle-
il provvedimento è stato pronunciato, ma anche a
gata con quella pubblicitaria propria dei registri
quelli direttamente coinvolti nella sua attuazione
dello stato civile e con la natura meramente di-
(cfr. Cass., Sez. I, 8/01/2013, n. 220). L’ordine di
chiarativa delle annotazioni ivi riportate, aventi
procedere alla trascrizione nei registri dello stato
l’efficacia probatoria privilegiata prevista dall’art.
civile non è infatti configurabile come una mera
451 c.c., ma non costitutive dello status cui i fatti
conseguenza della pronunzia di riconoscimento,
da esse risultanti si riferiscono; esula pertanto dal
la cui funzione non si esaurisce nell’attribuzione
suo ambito applicativo l’ipotesi in cui, come nella
degli effetti specificamente previsti dall’art. 451
specie, il predetto stato emerga dal provvedimen-
c.c., ma investe l’efficacia del provvedimento
to straniero, la cui trascrivibilità nei registri dello
straniero in tutti i suoi aspetti; esso si inserisce
353
Giurisprudenza
nel petitum della domanda come oggetto dotato
che patrimoniali. La circostanza che la corretta ed
di una propria autonomia concettuale e giuridica,
uniforme applicazione delle predette disposizio-
essendo volto a rimuovere l’ostacolo frapposto
ni risponda ad un’esigenza obiettiva dell’ordina-
dall’organo competente, al quale, come destina-
mento, nel cui perseguimento l’Amministrazione
tario del provvedimento richiesto dall’istante, va
non agisce in qualità di parte, non consente quin-
pertanto riconosciuta la posizione di legittimo
di di escludere la configurabilità di un autonomo
contraddittore nel relativo procedimento.
interesse, concreto ed attuale, tale da legittimare
9.2. Nell’esercizio delle funzioni di ufficiale
l’intervento del Ministero nel giudizio avente ad
dello stato civile, il Sindaco agisce poi, ai sensi
oggetto il riconoscimento dell’efficacia del prov-
del D.P.R. n. 396 del 2000, art. 1, in qualità di uffi-
vedimento straniero e la correlata richiesta di tra-
ciale del governo, e quindi non già come organo
scrizione, indipendentemente dalla proposizione,
di vertice e legale rappresentante dell’Ammini-
contestuale o paventata, di una domanda di risar-
strazione comunale, bensì come organo periferi-
cimento dei danni cagionati dal rifiuto dell’uffi-
co della Amministrazione statale, dalla quale di-
ciale di stato civile.
pende ed alla quale sono pertanto imputabili gli
9.3. In quanto collegato alla funzione ammi-
atti da lui compiuti nella predetta veste, nonché
nistrativa specificamente esercitata dal Ministero,
la responsabilità per i danni dagli stessi cagionati
il predetto interesse non coincide con quello che
(cfr. Cass., Sez. I, 25/03/2009, n. 7210; Cass., Sez.
legittima la partecipazione al giudizio del Pubbli-
III, 6/08/2004, n. 15199; 14/02/2000, n. 1599).
co Ministero, riconducibile invece alla natura del
Com’è noto, la competenza in materia di tenuta
rapporto controverso ed all’indisponibilità delle
dei registri dello stato civile, già spettante al Mi-
situazioni giuridiche fatte valere, da cui deriva
nistero della giustizia, ai sensi del R.D. n. 1238
l’esigenza di garantire che, pur nel rispetto del
del 1939, art. 13, è stata in seguito trasferita al
principio dispositivo, gli strumenti processuali
Ministero dell’interno, al quale il D.P.R. n. 396
apprestati per la tutela delle predette situazioni
del 2000, art. 9 attribuisce il potere di impartire
operino in funzione della puntuale applicazione
istruzioni agli ufficiali dello stato civile, nonché la
della legge. Correttamente, nella specie, l’ordi-
vigilanza sui relativi uffici, da esercitarsi attraver-
nanza impugnata ha confermato la legittimazione
so il prefetto: pur non essendo certo che questi
del Pubblico Ministero ad intervenire nel giudizio
poteri costituiscano espressione di un rapporto
dinanzi a sè, avuto riguardo alla natura della que-
di gerarchia in senso proprio, tale da consentire
stione sollevata dagl’istanti, che, in quanto avente
al Ministero di annullare gli atti compiuti dagli
ad oggetto il riconoscimento dell’efficacia di un
ufficiali di stato civile (cfr. le contrastanti pro-
provvedimento straniero attributivo di uno sta-
nunce del Giudice amministrativo: Cons. Stato,
tus, è qualificabile, come si è detto, come contro-
Sez. III, 1/12/2016, n. 5047; 4/11/2015, n. 5043;
versia di stato, con la conseguente applicabilità
26/10/2015, nn. 4897 e 4899), è pacifico che le
dell’art. 70 c.p.c., comma 1, n. 3, che attribuisce
predette istruzioni rivestono carattere vincolante
all’organo in questione la qualità di parte neces-
per questi ultimi, ai quali è espressamente im-
saria nelle cause riguardanti lo stato e la capa-
posto l’obbligo di uniformarvisi, e ciò al fine di
cità delle persone, prescrivendone l’intervento a
assicurare il regolare svolgimento del servizio e
pena di nullità rilevabile d’ufficio. Il riferimento
l’unità d’indirizzo nell’interpretazione di dispo-
alla predetta disposizione implica tuttavia l’esclu-
sizioni dalla cui applicazione discendono effetti
sione del potere di impugnare la decisione emes-
determinanti per la tutela dei diritti sia personali
sa dalla Corte d’appello, non essendo la contro-
354
Mirzia Bianca
versia annoverabile nè tra quelle per le quali la
te disomogenea rispetto a quelle che possono
legge riconosce al Pubblico Ministero il potere di
dar luogo al procedimento di rettificazione, ed il
azione nè tra quelle matrimoniali, e non trovan-
chiaro dettato dell’art. 70 c.p.c., comma 1, n. 3,
do pertanto applicazione nè il comma 1 dell’art.
che in riferimento alle controversie di stato si li-
72 c.p.c., che in riferimento alla prima categoria
mita ad attribuire al Pubblico Ministero un potere
di controversie attribuisce al predetto organo, in
d’intervento. È proprio la predetta disomogenei-
caso d’intervento, gli stessi poteri che competono
tà a spiegare l’asimmetria del sistema segnalata
alle parti, nè il terzo ed il comma 4 del medesimo
dal Procuratore generale, e consistente nell’at-
articolo, che in riferimento al secondo gruppo di
tribuzione al Pubblico Ministero di un potere
controversie attribuiscono al Pubblico Ministero
d’iniziativa (e quindi d’impugnazione) limitato
il potere d’impugnazione.
a controversie che, pur coinvolgendo l’interesse
Non può condividersi, in proposito, la tesi
pubblico alla corretta applicazione della legge in
sostenuta dal Procuratore generale, secondo cui
una materia delicata come quella riguardante la
la legittimazione all’impugnazione del Pubblico
formazione e la registrazione degli atti di stato ci-
Ministero, apparentemente esclusa dalle norme
vile, rivestono una portata più circoscritta rispetto
citate, potrebbe essere ricavata dal D.P.R. n. 396
a quelle riguardanti direttamente lo stato delle
del 2000, art. 95, comma 2, che, riconoscendo al
persone. In realtà, il potere di azione previsto dal
Procuratore della Repubblica la facoltà di pro-
D.P.R. n. 396 del 2000, art. 95, comma 2, costitui-
muovere in ogni tempo il procedimento di ret-
sce un retaggio del sistema previgente, in cui gli
tificazione, contemplerebbe proprio quel potere
uffici dello stato civile facevano capo al Ministe-
di azione dalla cui titolarità il comma 1 dell’art.
ro della giustizia e il R.D. n. 1238 del 1939, art.
72 c.p.c. fa dipendere il potere d’impugnazione,
182 attribuiva al Pubblico Ministero, posto alle
ovvero dal L. n. 218 del 1995, artt. 64 - 66, che,
dipendenze del Ministro, la vigilanza sul regolare
subordinando il riconoscimento dell’efficacia dei
svolgimento del servizio e sulla tenuta dei rela-
provvedimenti stranieri alla condizione che gli
tivi registri; il suo mantenimento da parte della
stessi non risultino contrari all’ordine pubblico,
nuova disciplina appare coerente con la natura
lascerebbero spazio all’iniziativa del Pubblico
non contenziosa del procedimento di rettificazio-
Ministero, cui il R.D. n. 12 del 1941, art. 73 attri-
ne, la cui instaurazione costituirebbe altrimenti
buisce l’azione diretta per far osservare le leggi
appannaggio esclusivo degl’interessati, ma non
di ordine pubblico. L’esclusione della possibilità
risulta sufficiente a giustificarne l’estensione ad
di avvalersi del procedimento di cui al D.P.R. n.
un procedimento contenzioso qual è quello di
396 del 2000, art. 95 per la risoluzione di con-
riconoscimento, che ha come controparte, secon-
troversie di stato, e la conseguente necessità di
do la formula adottata dalla L. n. 218 del 1995,
promuovere la procedura di cui alla L. n. 218 del
art. 67, “chiunque vi abbia interesse”, ivi com-
1995, art. 67 per ottenere la dichiarazione di ef-
presi, come si è detto, l’ufficiale di stato civile
ficacia del provvedimento straniero, anche ai fi-
ed il Ministero dell’interno. Il richiamo all’art. 73
ni della trascrizione nei registri dello stato civile,
dell’ord. giud. non tiene invece conto dell’ante-
impediscono infatti di estendere il potere di ini-
riorità di tale disposizione rispetto alla disciplina
ziativa riconosciuto al Pubblico Ministero ai fini
introdotta dal codice civile (art. 2907) e dal co-
della rettificazione oltre l’ambito in riferimento
dice di procedura civile (art. 69), che concorde-
al quale è specificamente previsto, ostandovi la
mente limitano l’iniziativa del Pubblico Ministero
natura stessa della controversia, intrinsecamen-
in materia civile ai soli casi stabiliti dalla legge,
355
Giurisprudenza
in tal modo delineando un sistema ispirato a ca-
sumere il potere d’impugnazione del Pubblico
noni di rigida tipizzazione, nell’ambito del quale
Ministero dalla mera partecipazione alla prece-
risulta assente qualsiasi riferimento all’osservanza
dente fase processuale, configurabile come in-
delle “leggi d’ordine pubblico”; tale sistema trova
tervento adesivo volontario, e quindi idonea a
il suo completamento negli artt. 70-72 del codice
giustificare la proposizione dell’impugnazione
di rito, che distinguono puntualmente le ipotesi
indipendentemente dal ricorso all’art. 72 c.p.c., è
in cui al predetto organo spetta il potere di azio-
appena il caso di evidenziare la portata esaustiva
ne da quelle in cui è titolare di un mero potere
della disciplina dettata da tale disposizione, che,
d’intervento, includendo nella seconda categoria
nel limitare il potere d’impugnazione del Pubbli-
le controversie di stato, e limitando espressamen-
co Ministero che abbia spiegato intervento nel
te alle prime la legittimazione all’impugnazione.
giudizio alle cause che avrebbe potuto proporre,
L’assoggettamento della fattispecie a disposizioni
ovverosia alle ipotesi di cui all’art. 70, comma 1,
di ordine pubblico costituirebbe d’altronde un
n. 1, ed alle cause matrimoniali, escluse quelle
criterio di applicazione tutt’altro che agevole ai
di separazione dei coniugi, non introduce, relati-
fini dell’individuazione del potere di azione del
vamente alle altre ipotesi, alcuna distinzione tra
Pubblico Ministero, avuto riguardo alle difficol-
quelle in cui l’intervento ha carattere obbligato-
tà che s’incontrano nella definizione della stessa
rio, essendo prescritto a pena di nullità rilevabile
nozione di “ordine pubblico”, e nella conseguen-
d’ufficio, e quelle in cui l’intervento ha carattere
te delimitazione di tale categoria di disposizioni,
facoltativo, in quanto fondato su una valutazione
il riferimento alla quale risulterebbe foriero di
del pubblico interesse rimessa allo stesso Pubbli-
non poche incertezze, in un settore in cui appare
co Ministero.
invece primaria l’esigenza di garantire la corretta
9.4. La prima questione sottoposta all’esame
ed uniforme applicazione della legge; significati-
delle Sezioni Unite può dunque essere risolta con
va, in proposito, è la circostanza che, proprio in
l’enunciazione dei seguenti principi di diritto:
tema di controversie di stato, la giurisprudenza
“Il rifiuto di procedere alla trascrizione nei
di legittimità abbia più volte escluso la possibilità
registri dello stato civile di un provvedimento
d’individuare nel carattere imperativo della disci-
giurisdizionale straniero con il quale sia stato
plina applicabile il fondamento di un interesse
accertato il rapporto di filiazione tra un minore
tale da legittimare l’esercizio dell’azione da parte
nato all’estero ed un cittadino italiano, se non
del Pubblico Ministero, affermando che l’iniziati-
determinato da vizi formali, dà luogo ad una con-
va spetta ai soli soggetti privati che abbiano un
troversia di stato, da risolversi mediante il proce-
interesse individuale qualificato (concreto, attua-
dimento disciplinato dalla L. n. 218 del 1995, art.
le e legittimo) sul piano del diritto sostanziale,
67, in contraddittorio con il Sindaco, in qualità di
di carattere patrimoniale o morale, all’essere o al
ufficiale dello stato civile, ed eventualmente con
non essere dello status, del rapporto o dell’atto
il Ministero dell’interno, legittimato a spiegare in-
dedotto in giudizio, e concludendo quindi che, in
tervento nel giudizio, in qualità di titolare della
mancanza di una deroga esplicita, trova applica-
competenza in materia di tenuta dei registri dello
zione la regola generale prevista dall’art. 70 c.p.c.,
stato civile, nonché ad impugnare la relativa de-
comma 1, n. 3 (cfr. Cass., Sez. I, 16/03/1994, n.
cisione”.
2515; 18/10/1989, n. 4201).
“Nel giudizio avente ad oggetto il riconosci-
Quanto infine alla possibilità, prospettata in
mento dell’efficacia di un provvedimento giuri-
via alternativa dal Procuratore generale, di de-
sdizionale straniero con il quale sia stato accer-
356
Mirzia Bianca
tato il rapporto di filiazione tra un minore nato
duzione normativa estranea alla sua competenza.
all’estero ed un cittadino italiano, il Pubblico Mi-
Essa non è ravvisabile nel caso in esame, avendo
nistero riveste la qualità di litisconsorte necessa-
la Corte d’appello giustificato la propria decisio-
rio, ai sensi dello art. 70 c.p.c., comma 1, n. 3,
ne attraverso il richiamo a una pluralità di indici
ma è privo della legittimazione ad impugnare la
normativi, collegati tra loro ed interpretati alla lu-
relativa decisione, non essendo titolare del pote-
ce dei principi enunciati dalla giurisprudenza di
re di azione, neppure ai fini dell’osservanza delle
legittimità e dalla Corte EDU, dai quali ha tratto la
leggi di ordine pubblico”.
convinzione che il modello di genitorialità cui s’i-
In applicazione dei predetti principi, il ricorso
spira il nostro ordinamento nell’attuale momento
del Pubblico Ministero va dichiarato inammissibi-
storico non possa più considerarsi fondato esclu-
le, mentre risulta ammissibile quello proposto dal
sivamente sul legame biologico tra il genitore ed
Sindaco e dal Ministero dello interno, del quale
il nato, ma debba tener conto di nuove fattispecie
vanno altresì accolti il secondo ed il quarto mo-
contrassegnate dalla costituzione di un legame
tivo.
familiare con quest’ultimo, in conseguenza della
Va altresì accolto il terzo motivo del predetto
consapevole assunzione da parte del primo della
ricorso, concernente la legittimazione del R. ad
responsabilità di allevarlo ed accudirlo, nel qua-
agire anche nella veste di legale rappresentante
dro di un progetto di vita della coppia costituita
dei minori, dal momento che, indipendentemente
con il genitore biologico.
dal conflitto d’interessi con i rappresentati, even-
In quanto ancorato alla disciplina vigente, sia
tualmente configurabile in relazione all’oggetto
pure interpretata secondo criteri evolutivi, il per-
della domanda, la sussistenza del potere rappre-
corso logico-giuridico seguito per giungere alla
sentativo nella specie doveva ritenersi subordi-
decisione risulta immune dal vizio lamentato, la
nata proprio al riconoscimento dell’efficacia del
cui individuazione presupporrebbe d’altronde la
provvedimento straniero, dal quale dipendeva la
possibilità di distinguere, nell’ambito del predetto
possibilità di attribuire rilievo allo status filiatio-
iter, l’attività di produzione normativa inammissi-
nis anche nell’ambito dell’ordinamento italiano.
bilmente esercitata dal giudice da quella inter-
Con riguardo alle altre censure, occorre in-
pretativa a lui normalmente affidata: operazione,
nanzitutto escludere che, come sostengono i ri-
questa, piuttosto disagevole, in quanto, come la
correnti, attraverso il riconoscimento dell’efficacia
Corte ha già avuto modo di rilevare, l’interpreta-
del provvedimento emesso dal Giudice canadese,
zione non svolge una funzione meramente euri-
ed in particolare mediante l’affermazione della
stica, ma si sostanzia nell’enunciazione della re-
conformità all’ordine pubblico dell’accertamento
gula juris applicabile al caso concreto, con profili
di un rapporto di filiazione non fondato su un le-
innegabilmente creativi. È proprio alla luce di ta-
game biologico, l’ordinanza impugnata sia incor-
le considerazione che va ribadita la portata emi-
sa nel vizio di eccesso di potere giurisdizionale
nentemente astratta e teorica dell’eccesso di po-
per invasione della sfera di attribuzioni riservata
tere, certamente non configurabile quando, come
al legislatore. A tale fattispecie, com’è noto, que-
nella specie, il giudice si sia attenuto al compi-
sta Corte ha attribuito un rilievo eminentemente
to interpretativo che gli è proprio, ricercando la
teorico, ritenendola configurabile soltanto qualo-
predetta regola attraverso la ricostruzione della
ra il giudice non si sia limitato ad applicare una
voluntas legis, anche se la stessa non sia stata
norma giuridica esistente, ma ne abbia creata una
desunta dal tenore letterale delle singole dispo-
nuova, in tal modo esercitando un’attività di pro-
sizioni, ma dal loro coordinamento sistematico,
357
Giurisprudenza
in quanto tale operazione non può tradursi nella
nel diritto a conservare lo status di figli loro rico-
violazione dei limiti esterni della giurisdizione,
nosciuto dall’atto validamente formato all’estero,
ma può dar luogo, al più, ad un error in iudi-
dall’altro alla consapevole decisione di accudirli
cando (cfr. Cass., Sez. Un., 27/06/2018, n. 16974;
ed allevarli, nell’ambito del progetto familiare av-
12/12/2012, n. 22784; 28/01/2011, n. 2068).
viato con l’altro genitore.
Nell’escludere la contrarietà all’ordine pubbli-
12.1. Il richiamo ai principi fondamentali che
co del provvedimento con cui il Giudice cana-
caratterizzano l’ordinamento interno nell’attuale
dese ha riconosciuto a M.C. ed A., già dichiara-
momento storico, quale parametro di riferimento
ti figli di M.L., il medesimo status nei confronti
della valutazione prescritta ai fini del riconosci-
di R.R., con il quale i minori non hanno alcun
mento, costituisce espressione dell’orientamento
legame biologico, l’ordinanza impugnata ha ri-
da tempo affermatosi nella giurisprudenza di le-
chiamato una recente pronuncia di legittimità,
gittimità, che, abbandonando la precedente con-
che identifica la predetta nozione con il “com-
cezione difensiva dell’ordine pubblico quale limi-
plesso dei principi fondamentali caratterizzanti
te all’ingresso nel nostro ordinamento di norme
l’ordinamento interno in un determinato perio-
ed atti provenienti da altri sistemi e ritenuti con-
do storico, ma ispirati ad esigenze di tutela dei
trastanti con i valori sottesi alla vigente normativa
diritti fondamentali dell’uomo comuni ai diversi
interna, ha attribuito alla predetta nozione una
ordinamenti e collocati ad un livello sovraordina-
diversa funzione, eminentemente promozionale,
to rispetto alla legislazione ordinaria” (cfr. Cass.,
che circoscrive l’ambito del giudizio di compati-
Sez. I, 30/09/2016, n. 19599). Premesso che, a dif-
bilità ai valori tutelati dalle norme fondamentali,
ferenza di quanto previsto dalla legge canadese,
ponendo in risalto il collegamento degli stessi
che ammette il ricorso alla maternità surrogata,
con quelli riconosciuti a livello internazionale e
purché a titolo gratuito, la disciplina della procre-
so-vranazionale, dei quali mira a favorire la diffu-
azione medicalmente assistita vigente nel nostro
sione, congiuntamente all’armonizzazione tra gli
ordinamento non lo consente, la Corte di merito
ordinamenti.
ha ritenuto che il divieto posto dalla L. n. 40 del
In passato, la giurisprudenza di legittimità si
2004 non precluda il riconoscimento dell’effica-
era infatti uniformata ad una nozione di ordine
cia del provvedimento straniero con cui è stato
pubblico fortemente orientata alla salvaguardia
accertato il rapporto di filiazione tra i minori ge-
dell’identità e della coerenza interna dell’ordina-
nerati attraverso la suddetta pratica ed il genitore
mento, nonché alla difesa delle concezioni mora-
intenzionale, trattandosi di disposizioni che non
li e politiche che ne costituivano il fondamento,
costituiscono espressione di principi vincolanti
definendolo come il complesso dei principi fon-
per il legislatore ordinario, ma dell’ampio mar-
damentali che caratterizzano la struttura etico-
gine di apprezzamento di cui quest’ultimo gode
sociale della comunità nazionale in un determi-
nella regolamentazione di una materia in ordine
nato periodo storico e dei principi inderogabili
alla quale non vi è consenso a livello Europeo,
immanenti ai più importanti istituti giuridici (cfr.
per i delicati interrogativi di ordine etico che la
Cass., Sez. I, 12/03/1984, n. 1680; 14/04/1980, n.
stessa suscita. Precisato inoltre che il nostro ordi-
2414; 5/12/1969, n. 3881): pur distinguendo con-
namento non prevede un modello di genitorialità
cettualmente tra ordine pubblico internazionale,
fondato esclusivamente sul legame biologico tra
riferibile ai soli rapporti caratterizzati da profili
il genitore ed il nato, ha conferito rilievo da un
transnazionali e preclusivo del richiamo alla leg-
lato all’interesse superiore dei minori, identificato
ge straniera applicabile in base ai criteri stabili-
358
Mirzia Bianca
ti dalle norme di diritto internazionale privato,
è l’affermazione di ordine generale secondo cui
ed ordine pubblico interno, attinente invece al-
i principi di ordine pubblico vanno individuati
la libera esplicazione dell’autonomia privata nei
in quelli fondamentali della nostra Costituzione
rapporti tra soggetti appartenenti al medesimo
o in quelle altre regole che, pur non trovando
ordinamento (cfr. Cass., Sez. lav., 25/05/1985, n.
in essa collocazione, rispondono all’esigenza di
3209; Cass., Sez. I, 3/05/1984, n. 2682; Cass., Sez.
carattere universale di tutelare i diritti fondamen-
2, 19/02/1970, n. 389), il predetto indirizzo faceva
tali dell’uomo, o che informano l’intero ordina-
sostanzialmente coincidere le due nozioni, ravvi-
mento in modo tale che la loro lesione si tra-
sando nella prima null’altro che un aspetto del-
duce in uno stravolgimento dei valori fondanti
la seconda, fino ad affermare esplicitamente che
dell’intero assetto ordinamentale (cfr. Cass., Sez.
essa non doveva essere intesa in senso astratto
lav., 26/05/2008, n. 13547; 23/02/2006, n. 4040;
ed universale, ma andava riferita all’ordinamento
26/11/2004, n. 22332). Significativa è anche la
giuridico nazionale ed ai suoi più elevati inte-
precisazione, conforme alle critiche mosse al
ressi, dei quali era volta ad assicurare il rispetto
precedente orientamento, che l’ordine pubblico
(cfr. Cass., Sez. I, 9/01/1976, n. 44; 14/04/1972,
internazionale non è identificabile con quello
n. 1266; 24/04/1962, n. 818). Tale orientamen-
interno, perché altrimenti le norme di conflitto
to, estendendo il parametro di riferimento del-
sarebbero operanti solo ove conducessero all’ap-
la valutazione prescritta ai fini della delibazione
plicazione di norme materiali aventi contenu-
ai principi informatori dei singoli istituti, quali
to simile a quelle italiane, con la conseguenza
si desumono dalle norme imperative che li di-
che resterebbe cancellata la diversità tra sistemi
sciplinano, finiva tuttavia per lasciare ben poco
giuridici e diverrebbero sostanzialmente inuti-
spazio all’efficacia dei provvedimenti stranieri, la
li le stesse regole del diritto internazionale pri-
cui attuazione nel territorio dello Stato risultava
vato (cfr. Cass., Sez. lav., 4/05/2007, n. 10215).
in definitiva subordinata alla condizione che la
La conclusione che se ne trae è che non vi è
disciplina dagli stessi applicata non differisse,
coincidenza tra le norme inderogabili dell’ordi-
almeno nelle linee essenziali, da quella dettata
namento italiano ed i principi di ordine pubblico
dall’ordinamento interno.
rilevanti come limitazione all’applicazione di leg-
L’apertura di quest’ultimo al diritto sovrana-
gi straniere, dal momento che questi ultimi non
zionale ed il recepimento dei principi introdotti
vanno enucleati soltanto dal quadro normativo
dalle convenzioni internazionali cui il nostro Pa-
interno, ma devono essere ricavati da esigenze
ese ha prestato adesione, oltre ad influire sull’in-
(comuni ai diversi ordinamenti statali) di garanzia
terpretazione della normativa interna, ha peraltro
e tutela dei diritti fondamentali, o da valori fon-
determinato una modificazione del concetto di
danti dell’intero assetto ordinamentale (cfr. Cass.,
ordine pubblico internazionale, caratterizzato,
Sez. III, 22/08/2013, n. 19405; Cass., Sez. lav., 19/
nelle formulazioni più recenti, da un sempre più
07/2007, n. 16017).
marcato riferimento ai valori giuridici condivisi
In tale mutato contesto s’inserisce anche il
dalla comunità internazionale ed alla tutela dei
precedente richiamato dalla ordinanza impugna-
diritti fondamentali, al quale fa inevitabilmente
ta, avente ad oggetto il riconoscimento dell’atto
riscontro un affievolimento dell’attenzione ver-
straniero di nascita di un minore generato da due
so quei profili della disciplina interna che, pur
donne, una delle quali aveva fornito l’ovulo ne-
previsti da norme imperative, non rispondono ai
cessario al concepimento mediante procreazio-
predetti canoni. Emblematica di tale evoluzione
ne medicalmente assistita, mentre l’altra lo aveva
359
Giurisprudenza
partorito: tale pronuncia, nel ribadire la nozione
e nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
di ordine pubblico dianzi riportata, si pone in
Europea, nonché, con particolare riferimento al-
rapporto di continuità con il nuovo orientamen-
la posizione del minore e al suo interesse, te-
to, affermando a chiare lettere che “il legame, pur
nendo conto della Dichiarazione ONU dei diritti
sempre necessario con l’ordinamento nazionale,
del Fanciullo, della Convenzione ONU dei Dirit-
è da intendersi limitato ai principi fondamenta-
ti del Fanciullo e della Convenzione Europea di
li desumibili, in primo luogo, dalla Costituzione,
Strasburgo sui diritti processuali del minore (cfr.
ma anche, laddove compatibili con essa, dai trat-
Cass., Sez. I, 15/06/2017, n. 14878).
tati fondativi e dalla Carta dei diritti fondamentali
Il risalto in tal modo conferito ai principi con-
dell’Unione Europea, nonché dalla Convenzione
sacrati nelle fonti internazionali e sovranaziona-
Europea dei Diritti dell’Uomo”; essa precisa che
li, ai quali viene attribuita una portata comple-
“un contrasto con l’ordine pubblico non è rav-
mentare a quella dei principi sanciti dalla nostra
visabile per il solo fatto che la norma straniera
Costituzione, non trova smentita nella recente
sia difforme contenutisticamente da una o più
sentenza emessa da questa Corte a Sezioni Uni-
disposizioni del diritto nazionale, perché il pa-
te e richiamata nell’ordinanza di rimessione (cfr.
rametro di riferimento non è costituito (o non è
Cass., Sez. Un., 5/07/2017, n. 16601), la quale,
costituito più) dalle norme con le quali il legi-
nell’escludere la sussistenza di un’incompatibilità
slatore ordinario eserciti (o abbia esercitato) la
ontologica tra l’istituto dei danni punitivi e l’ordi-
propria discrezionalità in una determinata mate-
namento italiano, non ha affatto inteso rimettere
ria, ma esclusivamente dai principi fondamenta-
in discussione il predetto orientamento, ma si è
li vincolanti per lo stesso legislatore ordinario”,
limitata a richiamare l’attenzione sui principi fon-
e conclude pertanto che “il giudice, al quale è
danti del nostro ordinamento, con i quali il giu-
affidato il compito di verificare preventivamen-
dice investito della domanda di riconoscimento è
te la compatibilità della norma straniera con tali
pur sempre tenuto a confrontarsi. A fronte degli
principi, dovrà negare il contrasto con l’ordine
effetti sovente innovativi della mediazione eserci-
pubblico in presenza di una mera incompatibilità
tata dalle carte sovranazionali ai fini dell’ingresso
(temporanea) della norma straniera con la legi-
di istituti provenienti da altri ordinamenti, essa
slazione nazionale vigente, quando questa rap-
ha ribadito l’essenzialità del controllo sui prin-
presenti una delle possibili modalità di espressio-
cipi essenziali della lex fori in materie presidiate
ne della discrezionalità del legislatore ordinario
da un insieme di norme di sistema che attuano
in un determinato momento storico” (cfr. Cass.,
il fondamento della repubblica, affermando che
Sez. I, 30/09/2016, n. 19599, cit.). Nella medesima
“Costituzioni e tradizioni giuridiche con le loro
ottica, una successiva pronuncia, riguardante la
diversità costituiscono un limite ancor vivo: priva-
rettifica dell’atto di nascita di un minore genera-
to di venature egoistiche, che davano loro “fiato
to da due donne mediante il ricorso alla fecon-
corto”, ma reso più complesso dall’intreccio con
dazione assistita, ha affermato che la contrarietà
il contesto internazionale in cui lo Stato si collo-
dell’atto estero all’ordine pubblico internazionale
ca”. Ha quindi chiarito che la sentenza straniera
dev’essere valutata alla stregua non solo dei prin-
applicativa di un istituto non regolato dall’ordi-
cipi della nostra Costituzione, ma anche, tra l’al-
namento nazionale, quand’anche non ostacolata
tro, di quelli consacrati nella Dichiarazione ONU
dalla disciplina Europea, deve misurarsi “con il
dei Diritti dell’Uomo, nella Convenzione Euro-
portato della Costituzione e di quelle leggi che,
pea dei Diritti dell’Uomo, nei Trattati Fondativi
come nervature sensibili, fibre dell’apparato sen-
360
Mirzia Bianca
soriale e delle parti vitali di un organismo, invera-
fatti la relatività e mutevolezza nel tempo del suo
no l’ordinamento costituzionale”; nel contempo,
contenuto, soggetto a modificazioni in dipenden-
ha precisato che la valutazione di compatibilità
za dell’evoluzione dei rapporti politici, econo-
con l’ordine pubblico non può essere limitata al-
mici e sociali, e quindi inevitabilmente destinato
la ricerca di una piena corrispondenza tra istitu-
ad essere influenzato dalla disciplina ordinaria
ti stranieri ed istituti italiani, ma deve estendersi
degl’istituti giuridici e dalla sua interpretazione,
alla verifica dell’eventuale contrasto tra l’istituto
che di quella evoluzione costituiscono espressio-
di cui si chiede il riconoscimento e l’intreccio di
ne, e che contribuiscono a loro volta a tenere vivi
valori e norme rilevanti ai fini della delibazione.
e ad arricchire di significati i principi fondamen-
12.2. Viene in tal modo evidenziato un profi-
tali dell’ordinamento.
lo importante della valutazione di compatibilità,
Il segnalato processo di armonizzazione tra
rimasto forse in ombra nelle enunciazioni di prin-
gli ordinamenti, di cui costituisce espressione il
cipio delle precedenti decisioni, ma dalle stesse
riferimento ai valori giuridici condivisi dalla co-
tenuto ben presente nell’esame delle fattispecie
munità internazionale, non esige d’altronde la
concrete, ovverosia la rilevanza della normativa
realizzazione di un’assoluta uniformità nella di-
ordinaria, quale strumento di attuazione dei valo-
sciplina delle singole materie, spettando alla di-
ri consacrati nella Costituzione, e la conseguente
screzionalità del legislatore l’individuazione degli
necessità di tener conto, nell’individuazione dei
strumenti più opportuni per dare attuazione a
principi di ordine pubblico, del modo in cui i
quei valori, compatibilmente con i principi ispi-
predetti valori si sono concretamente incarnati
ratori del diritto interno, senza che ciò consenta
nella disciplina dei singoli istituti. Significativo, in
di declassare automaticamente a mera normativa
proposito, risulta l’ampio excursus dedicato dal-
di dettaglio le disposizioni a tal fine adottate. In
la prima delle sentenze richiamate alle norme di
tal senso depongono anche la L. n. 218 del 1995,
legge ordinaria che conferiscono rilievo all’inte-
artt. 64 e ss., i quali, nel disciplinare l’ingresso
resse superiore del minore ed a quelle che disci-
nel nostro ordinamento di atti e provvedimenti
plinano l’acquisto dello status di figlio e la pro-
formati all’estero, non prevedono affatto il rece-
creazione me-dicalmente assistita. Così come va
pimento degl’istituti ivi applicati, così come sono
sottolineata l’attenzione costantemente prestata,
disciplinati dagli ordinamenti di provenienza, ma
in tema di riconoscimento dell’efficacia dei prov-
si limitano a consentire la produzione dei rela-
vedimenti stranieri, all’opera di sintesi e ricom-
tivi effetti, nella misura in cui gli stessi risultino
posizione attraverso la quale la giurisprudenza
compatibili con la delineata nozione di ordine
costituzionale e quella di legittimità sono perve-
pubblico.
nute all’estrapolazione dei principi fondamentali,
12.3. La seconda questione sottoposta all’esa-
sulla base non solo dei solenni enunciati della
me delle Sezioni Unite può quindi essere risolta
Costituzione e delle Convenzioni e Dichiarazio-
con l’enunciazione del seguente principio di di-
ni internazionali, ma anche dell’interpretazione
ritto:
della legge ordinaria, che dà forma a quel diritto
“In tema di riconoscimento dell’efficacia del
vivente dalla cui valutazione non può prescinder-
provvedimento giurisdizionale straniero, la com-
si nella ricostruzione dell’ordine pubblico, quale
patibilità con l’ordine pubblico, richiesta dalla L.
insieme dei valori fondanti dell’ordinamento in
n. 218 del 1995, artt. 64 e ss., dev’essere valutata
un determinato momento storico. Caratteristica
alla stregua non solo dei principi fondamentali
essenziale della nozione di ordine pubblico è in-
della nostra Costituzione e di quelli consacrati
361
Giurisprudenza
nelle fonti internazionali e sovranazionali, ma an-
li egli risultava legato da un rapporto biologico,
che del modo in cui gli stessi si sono incarnati
in quanto una di esse lo aveva partorito, mentre
nella disciplina ordinaria dei singoli istituti, non-
l’altra aveva fornito gli ovuli necessari per il con-
ché dell’interpretazione fornitane dalla giurispru-
cepimento mediante procreazione medicalmente
denza costituzionale ed ordinaria, la cui opera
assistita. Le due fattispecie hanno in comune il
di sintesi e ricomposizione dà forma a quel dirit-
fatto che il concepimento e la nascita del minore
to vivente dal quale non può prescindersi nella
hanno avuto luogo in attuazione di un progetto
ricostruzione delle nozione di ordine pubblico,
genitoriale maturato nell’ambito di una coppia
quale insieme dei valori fondanti dell’ordinamen-
omosessuale, con l’apporto genetico di uno solo
to in un determinato momento storico”.
dei partner, differenziandosi invece per il numero
Tale profilo non ha costituito oggetto di ade-
di terzi estranei (due, anziché uno) che hanno
guato apprezzamento da parte dell’ordinanza im-
cooperato al predetto scopo, e soprattutto per il
pugnata, la quale si è limitata a far proprie le
contributo fornito da uno di essi, che risulta però
enunciazioni di principio della sentenza n. 19599
determinante ai fini della individuazione della di-
del 2016, ritenendole suscettibili di automatica
sciplina applicabile.
trasposizione alla fattispecie da essa esaminata,
Come rilevato da questa Corte, la tecnica fe-
senza tener conto delle profonde differenze in-
condativa esaminata dalla precedente sentenza è
tercorrenti tra la stessa e quella presa in consi-
assimilabile per un verso alla fecondazione ete-
derazione dal precedente di legittimità, ed omet-
rologa, alla quale è accomunata dalla necessità
tendo conseguentemente di valutare il diverso
dell’apporto genetico di un terzo donatore del ga-
modo di atteggiarsi dei principi richiamati, alla
mete per la realizzazione del progetto genitoriale
stregua della disciplina ordinaria specificamente
proprio di una coppia che, essendo dello stesso
applicabile.
sesso, si trovi in una situazione analoga a quella
La domanda proposta nel presente giudizio ha
di una coppia di persone di sesso diverso cui
infatti ad oggetto il riconoscimento dell’efficacia
sia diagnosticata una sterilità o infertilità assoluta
di un provvedimento emesso all’estero, che ha
e irreversibile, per altro verso alla fecondazione
attribuito ai minori lo status di figli di uno dei due
omologa, con la quale condivide il contributo ge-
istanti, con il quale essi non hanno alcun rap-
netico fornito da un partner all’altro nell’ambito
porto biologico, essendo stati generati mediante
della stessa coppia. La fattispecie non è pertanto
gameti forniti dall’altro, già dichiarato loro geni-
riconducibile alla surrogazione di maternità, in
tore con un precedente provvedimento regolar-
quanto priva della caratteristica essenziale di tale
mente trascritto in Italia, con la cooperazione di
figura, costituita dal fatto che una donna presta
due donne, una delle quali ha donato gli ovociti,
il proprio corpo (ed eventualmente gli ovuli ne-
mentre l’altra, in virtù di un accordo validamente
cessari al concepimento) al solo fine di aiutare
stipulato ai sensi della legge straniera, ha portato
un’altra persona o una coppia sterile a realizzare
avanti la gravidanza, rinunciando preventivamen-
il proprio desiderio di avere un figlio, assumendo
te a qualsiasi diritto nei confronti dei minori. Il
l’obbligo di provvedere alla gestazione ed al par-
giudizio nel quale è stata pronunciata la sentenza
to per conto della stessa, ed impegnandosi a con-
richiamata aveva invece ad oggetto la trascrizione
segnarle il nascituro. È per tale motivo che la pre-
nei registri dello stato civile italiano di un atto di
detta sentenza ha potuto agevolmente escludere
nascita formato all’estero e riguardante un mino-
l’applicabilità della L. n. 40 del 2004, art. 12, com-
re generato da due donne, a ciascuna delle qua-
ma 6, che vieta “la commercializzazione di game-
362
Mirzia Bianca
ti o di embrioni o la surrogazione di maternità”,
tale pratica è venuto parzialmente meno per effet-
comminando una sanzione penale per “chiun-
to della sentenza n. 162 del 2014, con cui la Corte
que, in qualsiasi forma”, la “realizza, organizza o
costituzionale ha dichiarato costituzionalmente
pubblicizza”; nel contempo, essa ha evidenzia-
illegittimo la L. n. 40 del 2004, art. 4, comma 3,
to la minore portata del divieto di accesso alle
e richiamando dall’altro i principi enunciati dalla
tecniche di procreazione medicalmente assistita,
sentenza n. 19599 del 2016. Tale ragionamento
imposto dall’art. 5 alle coppie dello stesso sesso,
non è tuttavia suscettibile di estensione al caso in
osservando che, ai sensi del comma 2 dell’art.
esame, il cui unico punto di contatto con la fecon-
12, lo stesso è presidiato esclusivamente da una
dazione eterologa è rappresentato dall’estraneità
sanzione amministrativa; ed ha dato atto della di-
alla coppia di uno dei soggetti che hanno fornito
versità della fattispecie anche dalla fecondazione
i gameti necessari per il concepimento, dal mo-
eterologa, dalla quale si distingue per il fatto che
mento che la gestazione ed il parto non hanno
l’ovulo è fornito dal partner della gestante, rite-
avuto luogo nell’ambito della coppia, ma con la
nendo quindi non pertinente il richiamo all’art. 9,
cooperazione di un quarto soggetto.
comma 3, della medesima legge, che, in caso di
13.1. In quanto manifestatosi nelle forme tipi-
violazione del divieto di cui all’art. 4, comma 3,
che della surrogazione di maternità, l’intervento
preclude al donatore di gameti l’acquisizione di
di quest’ultimo rende la vicenda assimilabile a
qualsiasi relazione giuridica parentale con il nato
quella presa in considerazione da una più risa-
e la possibilità di far valere nei confronti dello
lente sentenza, con cui questa Corte, nel pro-
stesso alcun diritto o assumere alcun obbligo.
nunciare in ordine allo stato di adottabilità di
La fattispecie che costituisce oggetto del pre-
un minore nato all’estero mediante il ricorso al-
sente giudizio è invece annoverabile a pieno ti-
la predetta pratica, ha ritenuto contrastante con
tolo tra le ipotesi di maternità surrogata, carat-
l’ordine pubblico il riconoscimento dell’efficacia
terizzandosi proprio per l’accordo intervenuto
dell’atto di nascita formato all’estero, in cui erano
con una donna estranea alla coppia genitoriale,
indicati come genitori due coniugi italiani, i quali
che ha provveduto alla gestazione ed al parto,
si erano avvalsi della maternità surrogata senza
rinunciando tuttavia ad ogni diritto nei confronti
fornire alcun apporto biologico (cfr. Cass., Sez.
dei nati: essa non è pertanto assimilabile in alcun
I, 11/11/2014, n. 24001). Nel ribadire che l’ordi-
modo a quella esaminata dal precedente citato, e
ne pubblico internazionale è “il limite che l’or-
neppure a quella che ha costituito oggetto della
dinamento nazionale pone all’ingresso di norme
successiva sentenza n. 14878 del 2017, riguardan-
e provvedimenti stranieri, a protezione della sua
te la rettifica dell’atto di nascita di un minore, for-
coerenza interna”, e dunque “non può ridursi ai
mato all’estero e già trascritto in Italia, a seguito
soli valori condivisi dalla comunità internaziona-
della modifica apportata dall’ufficiale di stato civi-
le, ma comprende anche principi e valori esclusi-
le straniero, che aveva indicato il nato come figlio
vamente propri, purché fondamentali e (perciò)
non solo della donna che lo aveva partorito, ma
irrinunciabili”, tale sentenza ha ritenuto pacifica
anche di un’altra donna, con essa coniugata, con
l’applicabilità del divieto della surrogazione di
cui il minore non aveva alcun legame biologico;
maternità risultante dalla L. n. 40 del 2004, art.
nell’escludere la contrarietà della rettifica all’ordi-
12, comma 6, osservando che tale disposizione è
ne pubblico, quest’ultima sentenza ha infatti equi-
certamente di ordine pubblico, come suggerisce
parato la fattispecie alla fecondazione eterologa,
già la previsione della sanzione penale, posta di
ricordando da un lato che il divieto del ricorso a
regola a presidio di beni fondamentali; ha preci-
363
Giurisprudenza
sato che “vengono qui in rilievo la dignità umana
norma di ordine pubblico, negando che la disci-
- costituzionalmente tutelata - della gestante e l’i-
plina della procreazione medicalmente assistita
stituto dell’adozione, con il quale la surrogazione
costituisca espressione di principi fondamentali
di maternità si pone oggettivamente in conflitto,
e costituzionalmente obbligati, non modificabili
perché soltanto a tale istituto, governato da rego-
ad opera del legislatore ordinario, e ravvisandovi
le particolari poste a tutela di tutti gli interessati,
piuttosto “il punto di equilibrio attualmente rag-
in primo luogo dei minori, e non al mero accordo
giunto a livello legislativo nella tutela dei diffe-
delle parti, l’ordinamento affida la realizzazione
renti interessi fondamentali che vengono in con-
di progetti di genitorialità priva di legami biolo-
siderazione nella materia”; ha conseguentemente
gici con il nato”; ed ha escluso che tale divieto
ritenuto che la predetta disciplina non possa pre-
si ponga in contrasto con l’interesse superiore
valere sull’interesse superiore dei minori, iden-
del minore, tutelato dall’art. 3 della Convenzio-
tificato in quello alla conservazione dello status
ne di New York sui diritti del fanciullo del 20
filiationis legittimamente acquisito allo estero, che
novembre 1989, resa esecutiva in Italia con L. 27
risulterebbe pregiudicato dall’impossibilità di far
maggio 1991, n. 176, ritenendolo espressione di
valere i relativi diritti nei confronti del genitore in-
una scelta non irragionevole, compiuta dal legi-
tenzionale, nonché dalla mancata assunzione dei
slatore nell’esercizio della sua discrezionalità, e
corrispondenti obblighi da parte di quest’ultimo.
volta a far sì “che tale interesse si realizzi proprio
13.2. Nella parte in cui esclude che il divie-
attribuendo la maternità a colei che partorisce e
to della surrogazione di maternità costituisca un
affidando (...) all’istituto dell’adozione, realizzata
principio di ordine pubblico, il ragionamento se-
con le garanzie proprie del procedimento giu-
guito dalla Corte territoriale si pone in evidente
risdizionale, piuttosto che al semplice accordo
contrasto con l’orientamento precedentemente
delle parti, la realizzazione di una genitorialità
riportato della giurisprudenza di legittimità, che
disgiunta dal legame biologico”.
assegna a tale disposizione una funzione essen-
Rispetto alla fattispecie presa in considera-
ziale di tutela di interessi costituzionalmente ri-
zione dalla predetta sentenza, quella esaminata
levanti, trascurando altresì le indicazioni emer-
dall’ordinanza impugnata si distingue soltanto per
genti dalla giurisprudenza costituzionale, che vi
il fatto che la surrogazione di maternità non si è
ravvisa il risultato di un bilanciamento d’interessi
realizzata mediante gameti interamente forniti da
attuato dallo stesso legislatore.
soggetti estranei alla coppia, ma con il contribu-
Com’è noto, infatti, la Corte costituzionale ha
to genetico di uno dei componenti della stessa;
da tempo riconosciuto nella L. n. 40 del 2004 una
nella specie, tuttavia, l’assenza di un legame ge-
legge “costituzionalmente necessaria”, osservan-
netico tra i minori e l’altro partner è stata ritenuta
do che essa rappresenta la prima legislazione
inidonea ad impedire il riconoscimento del rap-
organica relativa ad un delicato settore che in-
porto genitoriale accertato con il provvedimento
dubbiamente coinvolge una pluralità di rilevanti
del Giudice canadese, in virtù dell’affermazione
interessi costituzionali, i quali, nel loro comples-
che il modello di genitorialità cui s’ispira il no-
so, postulano quanto meno un bilanciamento tra
stro ordinamento non è fondato esclusivamente
di essi che assicuri un livello minimo di tutela
sul legame biologico tra il genitore ed il nato. Per
legislativa (cfr. Corte Cost., sent. n. 45 del 2005;
giungere a tale conclusione, la Corte di merito ha
v. anche sent. n. 151 del 2009); pur escludendo
escluso innanzitutto la possibilità di considerare
che detta legge abbia un contenuto costituzional-
la L. n. 40 del 2004, art. 12, comma 6, come una
mente vincolato, ha affermato che le questioni da
364
Mirzia Bianca
essa affrontate toccano temi eticamente sensibili,
l’utilizzazione delle prime al concorso di deter-
in relazione ai quali l’individuazione di un ra-
minate condizioni e vietando in ogni caso il ri-
gionevole punto di equilibrio delle contrapposte
corso alla seconda, nonché prevedendo sanzioni
esigenze, nel rispetto della dignità della persona
di diversa gravità (rispettivamente amministrative
umana, appartiene primariamente alla valutazio-
e penali) per la violazione delle relative dispo-
ne del legislatore (cfr. Corte Cost., sent. n. 347
sizioni. Tale diversità di regime giuridico è stata
del 1998). Premesso che “la determinazione di
evidenziata anche dal Giudice delle leggi, che nel
avere o meno un figlio, concernendo la sfera più
dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 4,
intima ed intangibile della persona umana, non
comma 3, della legge in esame, nella parte in cui
può che essere incoercibile, qualora non vulneri
vietava il ricorso alla procreazione medicalmen-
altri valori costituzionali”, e precisato che “il pro-
te assistita di tipo eterologo anche nel caso in
getto di formazione di una famiglia caratterizzata
cui fosse stata diagnosticata una patologia tale da
dalla presenza di figli, anche indipendentemente
causare sterilità o infertilità assolute ed irreversi-
dal dato genetico, è favorevolmente considera-
bili, ha tenuto a precisare che tale pronuncia non
to dall’ordinamento giuridico, come dimostra la
investiva in alcun modo il divieto posto dall’art.
regolamentazione dell’istituto dell’adozione”, la
12, comma 6 (cfr. sent. n. 162 del 2014).
Corte da un lato ha riconosciuto che “il dato della
Il senso di detto limite è stato chiarito dalla
provenienza genetica non costituisce un requisito
stessa Corte costituzionale, la quale, nel dichiarare
imprescindibile della famiglia”, dall’altro ha tenu-
infondata, in riferimento agli artt. 2,3,30 e 31 Cost.
to però a chiarire che “la libertà e la volontarietà
e art. 117 Cost., comma 1, ed all’art. 8 della CEDU,
dell’atto che consente di diventare genitori e di
la questione di legittimità costituzionale dell’art.
formare una famiglia, nel senso sopra precisato,
263 c.c., nella parte in cui non prevede che l’im-
di sicuro non implica che la libertà in esame pos-
pugnazione del riconoscimento del figlio minore
sa esplicarsi senza limiti” (cfr. Corte Cost., sent.
per difetto di veridicità possa essere accolta solo
n. 162 del 2014). Tra questi limiti va indubbia-
quando sia rispondente all’interesse dello stesso,
mente annoverato il divieto della surrogazione
ha posto nuovamente in risalto il ruolo svolto dal
di maternità, al quale dev’essere riconosciuta una
divieto di cui alla L. n. 40 del 2004, art. 12, com-
rilevanza del tutto particolare, tenuto conto della
ma 6, ai fini della regolamentazione degl’interessi
speciale considerazione di cui la predetta prati-
coinvolti nelle tecniche di procreazione medical-
ca costituisce oggetto nell’ambito della L. n. 40:
mente assistita. Premesso che, nonostante l’ac-
quest’ultima, infatti, nel consentire il ricorso alle
centuato favor dimostrato dall’ordinamento per la
tecniche di procreazione medicalmente assistita,
conformità dello status di figlio alla realtà della
ivi comprese (a seguito della sentenza della Corte
procreazione, l’accertamento della verità biolo-
costituzionale n. 162 del 2014) quelle di tipo ete-
gica e genetica dell’individuo non costituisce un
rologo, nei casi di sterilità o infertilità assolute ed
valore di rilevanza costituzionale assoluta, tale da
irreversibili, nonché (per effetto della sentenza
sottrarsi a qualsiasi bilanciamento con gli altri in-
della Corte costituzionale n. 96 del 2015) nel caso
teressi coinvolti, in particolare con l’interesse del
di coppie fertili portatrici di malattie genetiche
minore alla conservazione dello status filiationis,
trasmissibili rispondenti ai criteri di gravità di cui
e dato atto che in caso di ricorso alle tecniche di
alla L. 22 maggio 1978, n. 194, art. 6, comma 1,
procreazione medicalmente assistita il legislatore
lett. b), distingue nettamente tra le predette tecni-
ha attribuito la prevalenza proprio a quest’ultimo
che e la surrogazione di maternità, subordinando
interesse, dichiarando inammissibile il disconosci-
365
Giurisprudenza
mento di paternità, la Corte ha rilevato che, a fian-
dal Giudice delle leggi, viene a configurarsi come
co dei casi in cui il bilanciamento è demandato
l’anello necessario di congiunzione tra la disci-
al giudice, “vi sono casi nei quali la valutazione
plina della procreazione medicalmente assistita
comparativa tra gli interessi è fatta direttamente
e quella generale della filiazione, segnando il li-
dalla legge, come accade con il divieto di disco-
mite oltre il quale cessa di agire il principio di
noscimento a seguito di fecondazione eterologa”,
auto-responsabilità fondato sul consenso presta-
mentre “in altri il legislatore impone, allo oppo-
to alla predetta pratica, e torna ad operare il favor
sto, l’imprescindibile presa d’atto della verità con
veritatis, che giustifica la prevalenza dell’identità
divieti come quello della maternità surrogata”,
genetica e biologica. Tale prevalenza, d’altronde,
confermando inoltre che in quest’ultimo caso l’in-
non si traduce necessariamente nella cancellazio-
teresse alla verità riveste natura anche pubblica,
ne dell’interesse del minore, la cui tutela, come
in quanto correlato ad una pratica che offende in
precisato dalla Corte costituzionale, impone di
modo intollerabile la dignità della donna e mina
prescindere dalla rigida alternativa vero o falso,
nel profondo le relazioni umane, e per tale moti-
tenendo conto di variabili più complesse, tra le
vo è vietata dalla legge (cfr. Corte Cost., sent. n.
quali assume particolare rilievo, nella specie, la
272 del 2017).
presenza di strumenti legali idonei a consentire
Non può pertanto condividersi il ragionamen-
la costituzione di un legame giuridico con il ge-
to seguito dalla Corte di merito, nella parte in
nitore intenzionale, che, pur diverso da quello
cui, pur riconoscendo nella disposizione di cui
previsto dalla L. n. 40 del 2004, art. 8, garantisca
alla L. n. 40 del 2004, art. 12, comma 6, il punto
al minore una adeguata tutela (cfr. Corte Cost.,
di equilibrio attualmente raggiunto a livello le-
sent. n. 272 del 2017); in proposito, va richiama-
gislativo nella tutela dei differenti interessi fon-
to soprattutto l’orientamento di questa Corte in
damentali che vengono in considerazione nella
tema di adozione in casi particolari, che, proprio
materia, ha preteso di sostituire la propria valu-
facendo leva sull’interesse del minore a vedere
tazione a quella compiuta in via generale dal le-
riconosciuti i legami sviluppatisi con altri soggetti
gislatore, attribuendo la prevalenza all’interesse
che se ne prendono cura, individua nella L. n.
dei minori alla conservazione dello status filia-
184 del 1983, art. 44, comma 1, lett. d), una clau-
tionis, nonostante la pacifica insussistenza di un
sola di chiusura del sistema, volta a consentire
rapporto biologico con il genitore intenzionale.
il ricorso a tale strumento tutte le volte in cui è
Non risulta pertinente, in proposito, il richiamo
necessario salvaguardare la continuità della rela-
all’affermazione, contenuta nella citata sentenza
zione affettiva ed educativa, all’unica condizio-
n. 19599 del 2016, secondo cui le conseguenze
ne della “constatata impossibilità di affidamento
della violazione delle prescrizioni e dei divieti
preadottivo”, da intendersi non già come impos-
posti dalla L. n. 40 del 2004, imputabili agli adulti
sibilità di fatto, derivante da una situazione di
che hanno fatto ricorso ad una pratica fecondati-
abbandono del minore, bensì come impossibilità
va illegale in Italia, non possono ricadere su chi
di diritto di procedere all’affidamento preadottivo
è nato, il quale ha il diritto fondamentale, che
(cfr. Cass., Sez. I, 22/06/2016, n. 12962).
dev’essere tutelato, alla conservazione dello sta-
13.3. Tali conclusioni non si pongono affatto
tus filiationis legittimamente acquisito all’estero:
in contrasto con i principi sanciti dalle conven-
tale interesse, come si è visto, è destinato ad af-
zioni internazionali in materia di protezione dei
fievolirsi in caso di ricorso alla surrogazione di
diritti dell’infanzia, cui lo Stato italiano ha presta-
maternità, il cui divieto, nell’ottica fatta propria
to adesione, ratificandole e rendendole esecutive
366
Mirzia Bianca
nell’ordinamento interno, nè con le indicazioni
autorizzare o meno la predetta pratica che con
emergenti dalla giurisprudenza formatasi al ri-
riguardo alla determinazione degli effetti da ri-
guardo, e richiamata nell’ordinanza impugnata. È
collegarvi sul piano giuridico, dando atto che è
pur vero, infatti, che le predette fonti assicurano
in gioco un aspetto essenziale dell’identità de-
la più ampia tutela al minore, riconoscendo al-
gli individui, ma rilevando che in ordine a tali
lo stesso il diritto alla protezione ed alle cure
questioni non vi è consenso a livello internazio-
necessarie per il suo benessere, impegnando gli
nale, e ritenendo comunque legittime le finalità
Stati a preservarne l’identità ed a rispettarne le
di tutela del minore e della gestante, perseguite
relazioni familiari, ed individuando, quale criterio
attraverso l’imposizione del divieto in questione.
preminente da adottare in tutte le decisioni che
Pur osservando che il mancato riconoscimento
lo riguardino, il suo interesse superiore, nonché
del rapporto di filiazione è destinato inevitabil-
promuovendo la concessione delle garanzie pro-
mente ad incidere sulla vita familiare del minore,
cedurali necessarie ad agevolare l’esercizio dei
essa ha escluso la configurabilità di una viola-
suoi diritti (cfr. in particolare gli artt. 3, 8 e 9
zione del diritto al rispetto della stessa, ove sia
della Convenzione di New York cit.; gli artt. 1 e
assicurata in concreto la possibilità di condurre
6 della Convenzione Europea sull’esercizio dei
un’esistenza paragonabile a quella delle altre fa-
diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gen-
miglie, ravvisando soltanto una violazione del
naio 1996 e ratificata con L. 20 marzo 2003, n.
diritto al rispetto della vita privata, in relazione
77; gli artt. 8, 9, 10, 22, 23, 28 e 33 della Conven-
alla lesione dell’identità personale eventualmente
zione sulla competenza, la legge applicabile, il
derivante dalla coincidenza di uno dei genitori
riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione
d’intenzione con il genitore biologico del minore
in materia di responsabilità genitoriale e di mi-
(cfr. Corte EDU, sent. 26/06/2014, Mennesson e
sure di protezione dei minori, fatta all’Aja il 19
Labassee c. Francia). Le predette violazioni non
ottobre 1996 e ratificata con L. 18 giugno 2015,
sono pertanto configurabili nel caso in cui, come
n. 101; l’art. 24 della Carta di Nizza). Ciò non si-
nella specie, non sia in discussione il rapporto
gnifica tuttavia che la tutela del predetto interesse
di filiazione con il genitore biologico, ma solo
non possa costituire oggetto di contemperamen-
quello con il genitore d’intenzione, il cui man-
to con quella di altri valori considerati essenziali
cato riconoscimento non preclude al minore
ed irrinunciabili dall’ordinamento, la cui consi-
l’inserimento nel nucleo familiare della coppia
derazione può ben incidere sull’individuazione
genitoriale nè l’accesso al trattamento giuridico
delle modalità più opportune da adottare per la
ricollegabile allo status finiliationis, pacificamente
sua realizzazione, soprattutto in materie sensibili
riconosciuto nei confronti dell’altro genitore. Nel
come quella in esame, che interrogano profonda-
caso esaminato da questa Corte nella sentenza n.
mente la coscienza individuale e collettiva, po-
24001 del 2014, e riproposto dinanzi ad essa, la
nendo questioni delicate e complesse, suscettibili
Corte EDU ha d’altronde escluso entrambe le vio-
di soluzioni differenziate. D’altronde, proprio in
lazioni, negando per un verso la configurabilità
tema di riconoscimento giuridico del rapporto di
di una vita familiare, in considerazione dell’as-
filiazione tra il minore nato all’estero mediante
senza di qualsiasi legame genetico o biologico
il ricorso alla maternità surrogata ed il genitore
tra il minore ed entrambi i genitori e della breve
intenzionale, la Corte EDU ha da tempo affer-
durata della relazione con gli stessi, e ritenendo
mato che gli Stati godono di un ampio margine
per altro verso legittima l’ingerenza nella vita pri-
di apprezzamento sia ai fini della decisione di
vata, concretizzatasi nell’interruzione dei rapporti
367
Giurisprudenza
con i genitori e nella dichiarazione dello stato di
di un bilanciamento effettuato direttamente dal
adottabilità, alla luce dell’illegalità della condotta
legislatore, al quale il giudice non può sostituire
tenuta dai genitori, che avevano condotto il mi-
la propria valutazione, non esclude peraltro la
nore in Italia senza rispettare la disciplina dell’a-
possibilità di conferire rilievo al rapporto genito-
dozione, e della conseguente precarietà della re-
riale, mediante il ricorso ad altri strumenti giuri-
lazione in tal modo instauratasi (cfr. Corte EDU,
dici, quali l’adozione in casi particolari, prevista
sent. 24/01/2017, Paradiso e Campanelli c. Italia).
dalla L. n. 184 del 1983, art. 44, comma 1, lett. d)”.
Anche nella giurisprudenza della Corte EDU, la
In applicazione dei predetti principi, va per-
sussistenza di un legame genetico o biologico
tanto accolto anche il quinto motivo del ricorso
con il minore rappresenta dunque il limite oltre il
proposto dal Ministero e dal Sindaco, con la con-
quale è rimessa alla discrezionalità del legislatore
seguente cassazione dell’ordinanza impugnata, e,
statale l’individuazione degli strumenti più ade-
non risultando necessari ulteriori accertamenti di
guati per conferire rilievo giuridico al rapporto
fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai
genitoriale, compatibilmente con gli altri interessi
sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., con il rigetto del-
coinvolti nella vicenda, e fermo restando l’obbli-
la domanda di riconoscimento dell’efficacia del
go di assicurare una tutela comparabile a quella
provvedimento straniero.
ordinariamente ricollegabile allo status fifiationis:
L’incertezza delle questioni trattate, inerenti
esigenza, questa, che nell’ordinamento interno
ad una materia che ha costituito oggetto di un di-
può ritenersi soddisfatta anche dal già menzio-
battito dottrinale e giurisprudenziale assai vivace
nato istituto dell’adozione in casi particolari, per
e tuttora in evoluzione, giustifica l’integrale com-
effetto delle disposizioni della L. n. 184 del 1983,
pensazione tra le parti delle spese di entrambi i
che parificano la posizione del figlio adottivo allo
gradi del giudizio.
stato di figlio nato dal matrimonio.
P.Q.M.
13.4. L’ultima questione sottoposta all’esame
dichiara inammissibile il ricorso proposto dal
di queste Sezioni Unite può dunque essere risolta
Procuratore generale presso la Corte d’appello di
mediante l’enunciazione del seguente principio
Trento; rigetta il primo motivo del ricorso pro-
di diritto:
posto dal Ministero dell’interno e dal Sindaco di
“Il riconoscimento dell’efficacia del provvedi-
Trento; accoglie il secondo, il terzo, il quarto ed
mento giurisdizionale straniero con cui sia stato
il quinto motivo; cassa l’ordinanza impugnata, in
accertato il rapporto di filiazione tra un minore
relazione ai motivi accolti, e, decidendo nel me-
nato all’estero mediante il ricorso alla maternità
rito, rigetta la domanda. Compensa integralmente
surrogata ed il genitore d’intenzione munito del-
le spese processuali.
la cittadinanza italiana trova ostacolo nel divieto
Dispone che, in caso di utilizzazione della
della surrogazione di maternità previsto dalla L.
presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità
n. 40 del 2004, art. 12, comma 6, qualificabile co-
di informazione scientifica su riviste giuridiche,
me principio di ordine pubblico, in quanto posto
supporti elettronici o mediante reti di comunica-
a tutela di valori fondamentali, quali la dignità
zione elettronica, sia omessa l’indicazione delle
umana della gestante e l’istituto dell’adozione; la
generalità e degli altri dati identificativi di M.L.,
tutela di tali valori, non irragionevolmente ritenu-
R.R., M.C. ed M.A. riportati nella sentenza.
ti prevalenti sull’interesse del minore, nell’ambito
368
(Omissis)
Mirzia Bianca
La tanto attesa decisione delle Sezioni Unite. Ordine pubblico versus superiore interesse del minore? Sommario : 1. Premessa. – 2. La conferma del divieto della surrogazione di mater-
nità quale strumento lesivo della dignità umana della donna e dell’istituto dell’adozione. – 3. L’eliminazione dell’automatismo della genitorialità e del giudizio in ordine al best interest of the child. – 4. Il best interest del nato da surrogazione di maternità e l’ordine pubblico. Riflessioni de jure condendo
This essay is a comment to the decision no. 12193/2019 of the United Chambers of the Supreme Court, that addresses the long standing problem of the contrariness to the public order of a foreign provision that declares a person to be the parent of twins born through a surrogacy procedure in a foreign country (so-called “intention parent”) even in lack of biological connection to the children. Assuming the extended notion of public order according the United Chambers of the Supreme Court, in continuity with the orientation of its case law concerning punitive damages, the essay focuses on the matter of surrogacy and the best interest of the minor. As reflected in the title, the essay challenges the fact that, as apparently formally stated in the grounds of the commented decision, the public order for the violation of the prohibition of surrogacy is considered a higher value than the one of the best interest of child, for several reasons. First of all, because the best interest of child is itself a principle of public order. Secondly, because it should be identified what the best interest of a child born by surrogacy is, and it cannot always be against the public order. Thirdly, because by suggesting stepchild adoption, the United Chambers of the Supreme Court seem to deny the above-described conflict. The conclusion of the essay is dedicated to some de iure condendo observations.
1. Premessa. La tanto attesa decisione delle Sezioni Unite che qui si commenta affronta l’annoso problema della contrarietà all’ordine pubblico della trascrizione di un provvedimento straniero che attribuisce la qualità di genitore di due gemelli nati all’estero da surrogazione di maternità ad un soggetto privo di alcun legame biologico con i bambini (c.d. genitore di intenzione)1.
1
A questa difficile problematica è stato dedicato un seminario che si è svolto presso la Corte di Cassazione il 13 Giugno 2018: Genitori
369
Giurisprudenza
Prima delle premesse, può essere utile per il lettore indicare sinteticamente i principali punti di diritto sostanziale della decisione che si commenta. Essi sono i seguenti: 1) Per ordine pubblico si intende “l’insieme dei valori fondanti dell’ordinamento in un determinato periodo storico”, da intendersi come “il complesso delle norme della nostra Costituzione e dei principi consacrati nelle fonti nazionali e internazionali, nel modo in cui gli stessi principi sono incarnati nella disciplina ordinaria dei singoli istituti, nonché dell’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza costituzionale ed ordinaria”, nell’opera di costruzione del c.d diritto vivente; 2) il riconoscimento dell’efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero con cui sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero mediante il ricorso alla maternità surrogata ed il genitore di intenzione si pone in contrasto con l’ordine pubblico “ in quanto posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità umana della gestante e l’istituto dell’adozione”; 3) La tutela di tali valori, non irragionevolmente ritenuti prevalenti sull’interesse del minore, nell’ambito di un bilanciamento effettuato direttamente dal legislatore, al quale il giudice non può sostituire la propria valutazione, “non esclude peraltro di conferire rilievo al rapporto genitoriale, mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici, quali l’adozione in casi particolari, prevista dall’art. 44 lett. d) della legge n. 184 del 1983. Nella decisione che si commenta, la trascrizione del provvedimento straniero viene ritenuta contraria all’ordine pubblico, in quanto lesiva della dignità della donna gestante e dell’istituto dell’adozione e tali valori vengono posti in posizione sovraordinata rispetto all’interesse del minore2. Nonostante questa affermazione di principio, ci si preoccupa dell’interesse del minore a mantenere un rapporto con il genitore di intenzione e si indica lo strumento dell’adozione in casi particolari3. Come chiarirò più chiaramente nelle pagine successive, non sono convinta che l’ordine pubblico che qui si afferma si ponga in competizione e quindi in contrasto con il best interest del minore4 nato da surrogazione di maternità, anche perché ritengo che il superiore interesse del minore, sebbene concetto indeterminato5, sia esso stesso principio di ordine pubblico6. La via indicata dell’adozio-
2
3
4
5
6
dello stesso sesso: interesse del minore e ordine pubblico nel riconoscimento di atti di nascita formati all’estero; sempre a questo tema e in attesa della decisione a S.U che qui si commenta la rivista art. 29.it ha dedicato un focus preventivo: La trascrizione dei certificati di nascita tra sindaci, giudici e Sezioni Unite: contributi per un dibattito. Al tema generale della surrogazione di maternità è stata dedicata un’apposita sezione con vari contributi del n. 1/2017 della rivista Giudicedonna. Significativo al riguardo un passaggio della decisione in commento: “La tutela di tali valori [dignità umana della gestante e istituto dell’adozione], non irragionevolmente ritenuti prevalenti sull’interesse del minore, nell’ambito di un bilanciamento effettuato direttamente dal legislatore, al quale il giudice non può sostituire la propria valutazione, non esclude peraltro di conferire rilievo al rapporto genitoriale, mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici, quali l’adozione in casi particolari”. V. al riguardo M. Acierno - S. Celentano, La genitorialità e la gestazione per altri. L’intervento delle Sezioni Unite, pubblicato sulla rivista telematica Questione giustizia in cui si rileva che così le Sezioni unite si pongono in linea con l’orientamento della Corte volto a tutelare la genitorialità omoaffettiva. Al best interest of the child è stato dedicato il Convegno internazionale e interdisciplinare che si è tenuto all’Università di Roma La Sapienza nei giorni 20-22 settembre 2018, i cui atti sono in via di pubblicazione. Una sintesi di quelle giornate è ben illustrata nella rivista Giudicedonna n. 1/2019. Lo considera concetto pericolosamente indeterminato G. Casaburi, Le azioni di stato alla prova della Consulta. La verità non va (quasi mai) sopravvalutata, nota a Corte cost. n. 272 del 2017, in Foro it., 2018, I, c. 21. V. il § 4 del testo.
370
Mirzia Bianca
ne in casi particolari si presenta come tentativo di recuperare un interesse (del minore) di cui si è declamata la subordinazione rispetto al principio di ordine pubblico. Diverso problema è se l’adozione in casi particolari, nell’applicazione italiana della c.d Stepchild Adoption, sia lo strumento più idoneo e in generale quali potrebbero essere gli strumenti alternativi7. I piani di lettura di questa decisione sono tanti: il contenuto dell’ordine pubblico8, tema che interessa ed avrà corollari significativi per altri istituti del diritto civile tradizionale; il rapporto tra ordine pubblico e interesse del nato da surrogazione di maternità; il tema della rilevanza della genitorialità di intenzione. Di questi ho deciso di non trattare il primo e di concentrarmi con varie riflessioni sugli altri. Il commento a questa decisione ha rappresentato sicuramente l’occasione per affrontare il significato oscuro del superiore interesse del minore con riferimento allo strumento della surrogazione di maternità e per fare riflessioni generali de jure condendo sui modi di instaurazione della genitorialità oggi, con un particolare focus sulla genitorialità di intenzione. A questi temi sono dedicate le pagine che seguono. Tra i risultati da salutare con favore vi è sicuramente la conferma della riprovazione sociale della surrogazione di maternità e il rilievo della dignità umana9. Altro importante risultato è l’aver sottratto il procedimento di instaurazione della genitorialità e il giudizio sulla realizzazione del miglior interesse del minore ad ogni automatismo e ad ogni presunzione, riportando tale giudizio nel corretto binario della valutazione di concretezza10. Altro risultato di metodo è non aver considerato solo ed esclusivamente il profilo della violazione dell’ordine pubblico ma aver considerato e valutato la possibile realizzazione dell’interesse del minore. Tale interesse, se pure ritenuto recessivo rispetto all’ordine pubblico, non è stato dimenticato. Quanto questo gioco di equilibri sia stato raggiunto emergerà in queste pagine. Sicuramente nel mettersi in gioco la nostra Corte di Cassazione ha affrontato una delicata tematica che contiene in sé un ossimoro di fondo: la contrapposizione tra un giudizio di riprovazione verso un’attività che si pone in contrasto con i valori dell’ordinamento e la necessaria assunzione di responsabilità dell’ordinamento verso la soluzione della tutela del prodotto di questa attività illecita. Tale prodotto è un essere umano in carne ed ossa e come tale non è equiparabile al mondo delle cose11. In
7
Si rinvia al riguardo alle riflessioni contenute nel § 4 del testo. Su questo profilo rinvio alla nota di G. Casaburi, Le azioni di stato alla prova della Consulta. La verità non va (quasi mai) sopravvalutata, cit.; v. U. Salanitro, Quale ordine pubblico secondo le Sezioni Unite? Tra omogenitorialità e surrogazione, all’insegna della continuità, in Giustiziacivile.com 29 maggio 2019. 9 V. § 2 del testo. 10 V. il § 3 del testo. 11 Nel diritto romano che conosceva la schiavitù, sebbene la questione fosse stata vivacemente dibattuta, era prevalsa la tesi che negava la qualifica di frutto del parto della schiava e Gaio ne dà una spiegazione fondata sulla dignità umana che impediva l’equiparazione ai frutti delle cose: D. 22.1.28: absurdum enim videbatur hominem in fructu esse, cum omnes fructus rerum natura hominum gratia comparaverit (assurdo sembrava intendere l’uomo come frutto quando tutti i frutti delle cose sono stati considerati tali in funzione della natura dell’uomo). Non può che rinviarsi alle parole suggestive del compianto Maestro Giorgio Oppo, Diritto di famiglia e procreazione assistita, in Riv dir civ 2005, I, 335: “Fecondazione e procreazione possono essere attuate in violazione di altri divieti posti dalla l. n. 40.... 8
371
Giurisprudenza
una relazione inedita ad un Convegno tenutosi qualche anno fa all’Università degli Studi di Roma Tre dedicato a questa delicata problematica12, avevo rilevato la tensione tra questi piani di analisi del problema, pur evidenziando la necessità di separare il giudizio sulla illiceità del contratto di maternità surrogata dalla valutazione sul migliore interesse del minore. Avvertivo allora la necessità di non considerare esaustiva la questione della contrarietà all’ordine pubblico e della repressione della maternità surrogata come si legge invece oggi in alcuni progetti di riforma13, abbandonando la questione principale che è da ritenersi la tutela del prodotto del contratto14. Al tempo stesso avvertivo la necessità di non farsi suggestionare dalla bella formula del best interest of the child per legittimare ex post le scelte degli adulti, a prescindere da una valutazione in concreto di quello che è realmente l’interesse del soggetto nato a seguito di maternità surrogata. Sicuramente è allora da salutare con favore la scelta delle Sezioni unite di non limitarsi a trattare la questione della violazione del principio di ordine pubblico e di affrontare il tema della sorte del soggetto nato. Questa scelta pone il nostro ordinamento in piena coerenza con gli altri Paesi del contesto europeo e con i principi della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che da tempo evidenzia il problema, pur sottolineando la discrezionalità degli Stati membri nella scelta degli strumenti idonei a realizzare questo obiettivo15. Tale discrezionalità è stata di recente ribadita dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nel primo parere consultivo dato in materia (si trattava della medesima questione affrontata dalle Sezioni Unite) in applicazione del 16° Protocollo della Convenzione e sollecitato dalla Corte di Cassazione francese16, parere in cui, pur ritenendosi contrario al diritto alla vita privata (art. 8) del nato da surrogazione di maternità il mancato riconoscimento del genitore di intenzione, si è affermato, proprio in ragione della delicatezza della materia e della
La violazione di regole per così dire procedimentali non può mettere in forse lo stato del nato, stato che per quanto possibile, dovrebbe adeguarsi al suo interesse di uomo, protetto nella sua individualità”; sulla tutela del nascituro da procreazione assistita ID., Procreazione assistita e sorte del nascituro, in Vario diritto. Scritti giuridici VII, Padova, 2005, 45 e ss., in cui l’argomentazione viene condotta attraverso l’individuazione di 7 quesiti e della risposta ad essi. 12 Si tratta della Relazione al Convegno: “Vita umana e mercato: la dignità del nascere”, tenutosi l’8 settembre 2016 presso l’Università degli Studi di Roma Tre. Il Convegno si inseriva nel ciclo di Seminari del XIII Simposio internazionale dei docenti universitari dedicato al tema: Diritti, Giustizia, Misericordia. Il video della relazione è stato pubblicato nella rivista telematica www.DIMT.it il 15 settembre 2016. 13 Vedi il disegno di legge Pillon sul turismo riproduttivo n. 1024 presentato il 25 gennaio 2019, Disposizioni contro il turismo riproduttivo. In tale disegno di legge, pur condividendo la ragione di fondo, ovvero l’esigenza di vietare l’abuso del turismo riproduttivo, trovo incredibile che non vi sia nemmeno una disposizione dedicata ai casi in cui il soggetto è già nato! 14 Deve al riguardo sottolinearsi che un ordinamento che si preoccupasse unicamente di sanzionare il fenomeno della maternità surrogata senza al contempo preoccuparsi di risolvere il problema del soggetto nato contribuirebbe a creare bambini in stato di abbandono tradendo il diritto del soggetto minore di età, riconosciuto a livello internazionale, ad avere una famiglia. Si rinvia al riguardo al mio contributo: Il diritto alla famiglia, in via di pubblicazione per il Volume dell’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza dedicato ai 30 anni della Convenzione di New York sull’infanzia e l’adolescenza. 15 Tale discrezionalità emerge nell’orientamento costante della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo dedicata a questa tematica. 16 V. Avis consultatif relatif à la reconaissance en droit interne d’un lien de filiation entre un enfant né d’une gestation pour autrui pratiquée à l’étranger et la mère d’intention du 10 avril 2019; si rinvia all’attenta analisi di H. Fulchiron, Premier avis consultatif de la Cour européenne des droits de l’homme: un dialogue exemplaire? In Recueil Dalloz – 23 Mai 2019, n° 19.
372
Mirzia Bianca
diversità di discipline, che gli Stati non sono vincolati a scegliere la via della trascrizione della nascita, pur essendo vincolati a dare una soluzione rapida ed efficiente al problema. La differenza è che, mentre la Corte europea afferma la lesione dell’interesse del minore, la Corte italiana, pur suggerendo il rimedio dell’adozione in casi particolari, sembra aver negato, almeno in linea di principio, la lesione del superiore interesse del minore al riconoscimento del genitore di intenzione17. Rimane da capire in generale quale è il superiore interesse del minore nato da maternità surrogata, se esso sia sempre quello ad avere i genitori intenzionali18 e se comunque l’ordine pubblico sia da ritenere contrastante con il superiore interesse del minore, come se fossero due principi contrapposti.
2. La conferma del divieto della surrogazione di maternità quale strumento lesivo della dignità umana della donna e dell’istituto dell’adozione.
Come si è detto, uno dei punti di grande positività di questa decisione è la conferma del disvalore della tecnica della surrogazione di maternità, considerata lesiva del principio di dignità umana della gestante. La Corte al riguardo non fa alcuna distinzione tra surrogazione a titolo oneroso e surrogazione a titolo gratuito. La riprovazione di questa tecnica è un risultato che emerge a livello di principi interni e internazionali e risulta confermata dalla giurisprudenza ordinaria e costituzionale19, in conformità con quella nozione complessa di ordine pubblico che la decisione richiama quale presupposto. La Corte di Cassazione in un’importante decisione a sezioni semplici del 201420 aveva già manifestato la contrarietà all’ordine pubblico e la lesione della dignità umana di questa pratica e la Corte Costituzionale ha confermato la riprovazione di questa tecnica confermandone il divieto21. La stessa Corte Costituzionale in una decisione riguardante il problema della legittimità costituzionale dell’art. 263 del codice civile, ha confermato la riprovazione di questa tecnica e la lesione della dignità umana della donna gestante22. Nella decisione che si commenta la contrarietà
17
V. al riguardo un passaggio significativo della decisione che si commenta, in cui, diversamente dalla Corte europea che afferma la lesione del diritto alla vita privata, cosi si esprime “Le predette violazioni non sono pertanto configurabili nel caso in cui, come nella specie, non sia in discussione il rapporto di filiazione con il genitore biologico, ma solo quello con il genitore d’intenzione, il cui mancato riconoscimento non preclude al minore l’inserimento nel nucleo familiare della coppia genitoriale né l’accesso al trattamento giuridico ricollegabile allo status filiationis, pacificamente riconosciuto nei confronti dell’altro genitore”. In generale per la discontinuità rispetto al parere della Corte europea dei diritti dell’uomo, M. Acierno - S.Celentano, La genitorialità e la gestazione per altri. L’intervento delle Sezioni Unite, pubblicato sulla rivista telematica Questione giustizia, cit. 18 V. il § 4 del testo. 19 V. al riguardo l’importante contributo di M. Acierno, Le nuove genitorialità. Fonti e orientamenti giurisprudenziali, pubblicato sul n. 1/2017 della rivista Giudicedonna, contributo ricco di riferimenti di diritto interno e di diritto comparato. 20 V. Cass. 11 novembre 2014, n. 24001. 21 V. Corte cost. n. 162 del 2014 22 V. Corte Cost. 18 dicembre 2017, n. 272 del 2017. Tale decisione è stata annotata in Foro it. 2018, I, c. 21 da G. Casaburi, Le azioni di stato alla prova della Consulta. La verità non va (quasi mai) sopravvalutata, cit. v. anche i contributi di U. Salanitro, Azioni
373
Giurisprudenza
all’ordine pubblico della trascrizione della nascita di bambini nati all’estero viene ricondotta alla lesione della dignità umana della gestante e dell’istituto dell’adozione. La Corte non fa invece alcun riferimento alla dignità del nascituro23, riferimento che avrebbe determinato qualche corollario nel bilanciamento tra il principio di ordine pubblico e l’interesse del minore24. Il duplice riferimento alla contrarietà all’ordine pubblico per lesione della dignità della donna gestante e dell’istituto dell’adozione non è nuovo ma riproduce le argomentazioni che già la citata Corte di Cassazione a sezioni semplici nel 2014 aveva sostenuto a proposito di una questione analoga25. In particolare in quella decisione si era rilevato che la lesione dell’adozione veniva a concretizzarsi in fattispecie come questa, nel rilievo che il riconoscimento di una genitorialità non fondata su alcun dato biologico o genetico, trovava fondamento non già “nell’istituto dell’adozione, realizzata con le procedure proprie del procedimento giurisdizionale, ma sul semplice accordo delle parti”. Allora come oggi si affronta il tema della genitorialità disgiunta dal legame biologico per negare rilevanza all’atto di autonomia privata e al suo eventuale riconoscimento, individuando nel solo strumento dell’adozione la forza di creare una genitorialità disgiunta da qualsiasi legame biologico. In quelle riflessioni e in quelle attuali emerge un tema di assoluta importanza, ovvero la necessità di evitare che il figlio nato da maternità surrogata e privo di legami biologici con uno dei genitori sia trattato in maniera diversa rispetto al bambino sottoposto ad un procedimento di adozione. Inoltre la mancanza del legame biologico pone in termini generali il rischio dell’abuso di questa pratica26. E l’abuso di questa pratica, tralasciando atteggiamenti sanzionatori nei confronti di chi abbia alterato lo stato, incide inevitabilmente sul superiore interesse del minore alla veridicità e alla certezza del proprio stato di filiazione27. L’automaticità della trascrizione del provvedimento straniero, ove accolta, avrebbe creato uno statuto speciale del figlio nato da surrogazione di maternità28, sottraendo la procedura ad ogni indagine in ordine alla valutazione del reale e concreto interesse del minore. Senza
di stato e favor minoris tra interessi pubblici e privati, in Nuova giur comm 2018, 552, S. Sandulli, Favor veritatis e favor minoris nell’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, in Familia, 2018, 77 e ss. 23 Il riferimento alla lesione della dignità del nascituro emerge complessivamente nell’ordinamento spagnolo sia dalla giurisprudenza (Tribunal supremo, 6 fev. 2014) sia nel Parere del Comitato di Bioetica del 2017. Per questi riferimenti preziosi, v. J. Ramon De Verda Y Beamonte, Interés superior del menor y maternidad subrogada: estado de la cuestion en el derecho espanol, Relazione al Convegno “The best interest of the child” citato alla nota 4 del testo, in via di pubblicazione. 24 V. oltre nel testo. 25 V. la decisione citata alla nota 20 del testo. 26 Tali rischi sono evidenziati nel parere consultivo della Corte europea dei diritti dell’uomo, citato alla nota 16 del testo. Nel parere al punto 41 si fa esplicito riferimento alla decisione della Grande Chambre Paradiso Campanelli. 27 Per queste importanti riflessioni si rinvia alla relazione di G. Palmieri al Convegno tenutosi in Cassazione il giorno 13 Giugno 2018 Genitori dello stesso sesso: interesse del minore e ordine pubblico nel riconoscimento di atti di nascita formati all’estero e citato alla nota 1 del testo. 28 La necessità di evitare discriminazioni tra i figli è stata rilevata dalla dottrina non solo con riferimento alle famiglie in cui il figli nasce ma anche alle tecniche che vengono utilizzate per farli venire al mondo, v. già C.M. Bianca, Stato delle persone, in Procreazione artificiale e interventi sulla genetica umana, Atti del Convegno di Verona, 2,3, 4 e 25 ottobre, Padova, 1987, 104 e ss., ora pubblicato in Realtà sociale ed effettività della norma, Scritti giuridici, I, t. 2, Milano, 2002, 680, il quale, oltre a rilevare il problema dell’emarginazione del figlio nato da fecondazione artificiale, avvertiva della necessità di ricondurre queste tematiche alla centralità del codice civile.
374
Mirzia Bianca
contare che, come dirò a breve, l’automatismo della trascrizione di un provvedimento straniero di nascita da surrogazione di maternità tralascia il problema principale che in passato aveva interessato e animato il dibattito dei civilisti in ordine alla disarticolazione del titolo di maternità e del conflitto tra madre uterina e madre genetica29, problema che viene da tempo abbandonato e accantonato, quasi come si desse per scontato che la madre gestante sia esclusa dal rapporto di genitorialità. Quanto alla lesione della dignità umana della gestante, si tratta di principio la cui affermazione riveste un importante valore assiologico, anche se manca tuttavia nella decisione che si commenta una specificazione del perché sia stata lesa la dignità umana della gestante. Solo la risposta a tale quesito avrebbe reso più agile la distinzione tra la procedura di surrogazione di maternità e la fecondazione eterologa che, affermata in linea di principio, risulta tuttavia dai contorni incerti e piuttosto fumosi. Ma proprio la ricerca sulla ragione della lesività fa emergere l’elemento caratterizzante la surrogazione di maternità che è, per l’appunto, la gestazione (per altri), a prescindere dalle diverse tipologie di maternità surrogata che rinviano alla utilizzazione di materiale genetico della gestante o di terzi30. Tale dato consente di marcare una sicura distinzione con il diverso strumento della fecondazione eterologa, dove l’attributo si riferisce evidentemente alla estraneità del materiale genetico e quindi al solo dato dell’utilizzazione del materiale genetico di altri e non già alla gestazione. La distinzione tra le due figure ha consentito alla Corte Costituzionale31 di provvedere contestualmente e nella medesima decisione alla rimozione del divieto di fecondazione eterologa e al mantenimento del divieto di maternità surrogata, operazione che presuppone, evidentemente, una distinzione assiologica e tecnica tra i due strumenti. Questa distinzione ci ha consentito in passato di rilevare le diverse problematiche giuridiche sottese alle due figure. Mentre la fecondazione eterologa riguarda il problema degli atti di disposizione del proprio corpo, la surrogazione di maternità attiene al diverso problema della disposizione degli status32. La principale ragione di lesione della dignità umana della donna gestante va quindi individuata nella commercializzazione o strumentalizzazione della maternità e nella considerazione della sua persona quale macchina per fare figli, riproponendo una forma moderna di schiavitù. Questo dato di lesione della
29
V. al riguardo le riflessioni di Alberto Trabucchi, Cesare Massimo Bianca, Nicola Coviello, tutti volti a dare la prevalenza alla madre uterina. Indicazioni preziose su questo dibattito si trovano in C.M. Bianca, Nuove tecniche genetiche, regole giuridiche e tutela dell’essere umano, in Dir. Fam. 1987, 955 e pubblicato ora in Realtà sociale ed effettività della norma, Scritti giuridici, I, t. 2, cit., 693 e ss. Posizione autorevole e fuori dal coro quella del Maestro Giorgio Oppo, il quale riteneva prevalente la madre genetica committente: G. Oppo, Diritto di famiglia e procreazione assistita, cit., 334: “La partoriente dovrà ‘restituire il nato’ a coloro che le hanno affidato l’embrione mentre nessun rapporto familiare si costituisce tra questi soggetti e la surrogata”. ID., Procreazione assistita e sorte del nascituro, cit., 50 e ss. Sulla prevalenza della madre genetica, v. P. Zatti, Maternità e surrogazione, in Nuova giur civ comm., 2000, II, 193 e ss. 30 Correttamente e con la sua consueta lucidità G. Luccioli, La maternità surrogata, in Giudicedonna n. 1/2017, la quale rileva che “è soltanto con riferimento alla gravidanza ed al parto, e non alla provenienza del materiale genetico, che è ravvisabile un fatto di maternità surrogata”. 31 Corte cost. n. 162 del 2014. 32 V. la già citata relazione inedita citata alla nota 12 del testo.
375
Giurisprudenza
dignità umana è stato evidenziato dal Comitato di Bioetica33, dalla dottrina34 e stigmatizzato in letteratura nel bel libro “Il racconto dell’ancella” di Margaret Atwood35, racconto fantastico sulle donne ridotte in schiavitù e costrette a fare figli. La commercializzazione della maternità e quindi la rinuncia alla maternità è la causa principale della lesione della dignità umana della gestante e deve essere affermata a prescindere dalla natura onerosa o gratuita del contratto36 (questione che correttamente non viene affrontata dalla Corte) e dal consenso della gestante al contratto di maternità surrogata, stante l’indisponibilità del principio di dignità umana, che si pone prima e al di sopra di ogni diritto fondamentale. La questione potrebbe avere diversa soluzione ove si ritenesse che la surrogazione di maternità, piuttosto che essere uno strumento di sfruttamento dell’utero di una donna, fosse concepito come un progetto condiviso37. Secondo questa impostazione, la surrogazione della maternità non sarebbe di per sé lesiva della dignità umana della donna, ma sarebbe anzi a tutela della sua dignità, intesa nella diversa accezione di libertà di autodeterminazione38. Non condivido questa nozione liquida di dignità, in quanto ritengo che la dignità, quale diritto dei diritti sia irrinunciabile, indipendentemente dalla volontà e da un progetto che potrebbe astrattamente avere anche un contenuto solidale39. Il profilo di commercialità che, come si è detto, specifica e legittima la contrarietà di questa pratica e la lesività della dignità della donna gestante, non attiene tanto alla prestazione ma allo status di madre e tale profilo riguarda anche il nascituro40. Nella decisione
33
V. Parere del Comitato di Bioetica del 18 marzo 2016, anche se si tratta di parere riguardante la surrogazione di maternità a titolo oneroso. 34 Ci si riferisce al bel saggio di A. Ruggeri e C. Salazar, “Non è lecito separarmi da ciò che è mio”: riflessioni sulla maternità surrogata alla luce della rivendicazione di Antigone, in Consulta Online, n. 1/2017, p. 143. Riflessioni interessanti nel saggio di E. Lamarque, Navigare a vista: il giurista italiano e la maternità surrogata, publlicato sulla rivista Giudicedonna n. 1/2017. 35 Apparso nella sua prima edizione nel 1985. 36 Alcuni Paesi, come di recente il Portogallo, hanno invece legalizzato solo forme di surrogazione di maternità connotate dalla gratuità. V. al riguardo la decisione del Trbunale costituzionale n. 225/2018 sulla meritevolezza della surrogazione solidale, v. anche in dottrina V. Scalisi, Maternità surrogata: come “far cose con regole”, in Riv dir civ 2017, 1097 e ss.; Id., Il superiore interesse del minore ovvero il fatto come diritto, ivi, 2018, 405 e ss. 37 Si è parlato di “patto di gravidanza”. V. il disegno di legge Disposizioni in materia di regolamentazione della surrogazione di maternità presentato da un gruppo di studiosi e reperibile sul sito della rivista www.art.29.it.: M. Gattuso - A. Schillaci, Un sasso nello stagno: uno schema di legge di articolo29 per la regolamentazione della surrogazione di maternità. All’art. 2 della relazione si legge: “Finalità della presente legge è garantire il diritto ad una procreazione responsabile per le coppie italiane sterili o infertili, assicurando tuttavia, al contempo, il pieno esercizio del diritto della donna alla autodeterminazione, in condizioni di libertà e di spontaneità della scelta. Vietare ad una donna di autodeterminarsi in relazione alla propria capacità di procreare... appare in fin dei conti pregiudizievole della stessa dignità della donna”. In questo progetto colpisce un diritto di ripensamento della donna gestante che può ripensare sulla sua scelta di rinuncia alla maternità. Colpisce altresì il diritto di visita che viene accordato alla madre gestante in caso di rinuncia alla maternità e quindi di rispetto del patto di gravidanza. Si tratta di strumenti che inevitabilmente ledono il diritto del nato non solo ad una identità ma alla serenità familiare. 38 Sembra accogliere questa accezione la decisione del Tribunale costituzionale portoghese n. 225/2018 a proposito del problema di costituzionalità della legge portoghese sulla surrogazione di maternità. Sul tema, v. C. Cersosimo, La legalizzazione della surrogazione di maternità in Portogallo, articolo pubblicato sulla rivista www.rivistafamilia.it , 19 novembre 2018. In questo parere viene citata la dottrina italiana e la posizione autorevole di V. Scalisi. 39 V. al riguardo la mia relazione inedita citata alla nota 12 del testo. La nostra giurisprudenza di merito, in un’unica decisione ha affermato la meritevolezza di una surrogazione di maternità di carattere solidale, v. T. Roma, 17 febbraio 2000. Sulla illiceità ma non sulla immoralità di questo accordo, v. in dottrina C.M. Bianca, Diritto civile 2.1., cit., 446. 40 V. C.M. Bianca, Diritto civile 2.1., 445: “Del concepito non si può infatti disporre già per l’assorbente rilievo che qui l’atto dispositivo
376
Mirzia Bianca
che si commenta, come si è detto, non è tuttavia fatto alcun riferimento alla dignità del nascituro, diversamente da quanto espresso dal Comitato di bioetica41. Tale profilo è tuttavia essenziale per spostare l’asse del problema sull’interesse del minore e per fare valutazioni concrete e complessive sul suo migliore interesse che, altrimenti, rimane formula bella ma vuota. La dignità del nascituro appare lesa, non solo in quanto egli è trattato al pari di una res, ma anche perché la progettazione della sua nascita lo espone al rischio di incertezza in ordine alla sua identità filiale. La lesione della dignità del nascituro deve essere affermata indipendentemente dal problema (peraltro già risolto) del riconoscimento della sua soggettività e del suo essere persona. La dignità, in quanto Kern, ovvero nucleo di tutti i diritti fondamentali, prescinde anche dal riconoscimento della soggettività e della capacità giuridica, secondo le riflessioni teoriche e filosofiche più avanzate42. Quindi la dignità spetterebbe al nascituro e all’embrione, indipendentemente dalla opinione che si voglia accogliere in ordine alla sua soggettività. Queste riflessioni contribuiscono ad integrare il giudizio sul migliore interesse del minore nato da surrogazione di maternità. Se si accoglie l’idea che la surrogazione di maternità determina al contempo la lesione della dignità della madre e del nascituro, ci si avvede che ordine pubblico e interesse superiore del minore, almeno inteso in questa specifica accezione, non risultano in contrasto, non potendosi affermare che l’uno sia prevalente rispetto all’altro. Sempre con riferimento al superiore interesse del minore, da intendersi anche come interesse alla certezza del suo status filiale vorrei accennare ad altra questione. Le Sezioni Unite in questa decisione, come enunciato nelle premesse, accolgono una nozione di ordine pubblico diversa da quella contenuta nella decisione del 2016 sul caso delle due madri43 e scelgono la nozione di ordine pubblico contenuta nella decisione a S.U sui danni punitivi44, anche se con un’argomentazione talvolta ambigua che sembra voler celare il contrasto ed evidenziare linee di continuità. Al di là del linguaggio utilizzato, è infatti evidente che, diversamente dalla soluzione data nel 2016 (nel caso delle due mamme), in cui l’ordine pubblico rinviava al complesso di principi “desumibili dalla Carta costituzionale, dai Trattati fondativi e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nonché dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo”, in questa decisione si mette l’accento sul “modo [in cui gli stessi principi] “sono incarnati nella disciplina ordinaria dei singoli istituti, nonché dall’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza costituzionale e ordinaria”.
avrebbe ad oggetto il futuro stato familiare del nascituro”. Su questo aspetto v. la relazione di J. Ramon De Verda Y Beamonte, Interés superior del menor y maternidad subrogada: estado de la cuestion en el derecho espanol, cit. 41 V. il già citato parere del Comitato di Bioetica. 42 Per queste riflessioni, si rinvia alla mia relazione inedita sulla dignità citata alla nota 12 del testo. 43 Cass. 30 settembre 2016, n. 19599, pubblicata in Foro it., 2016, I, 3329 con nota di G. Casaburi, ivi, 3349. Per un costante sviluppo di quell’orientamento v. Cass. 16 giugno 2017, n. 14987 annotata da G. Casaburi in Foro it., 2017, I, 2280. 44 Cass. S.U. 16601/2017.
377
Giurisprudenza
Tuttavia, forse anche allo scopo di non smentire del tutto quanto deciso dalla prima sezione45, pur discostandosi dal contenuto dell’ordine pubblico enunciato in quella decisione, si riproduce la medesima distinzione tra fecondazione eterologa che si verificherebbe in quella ipotesi (caso di due donne l’una che dona il suo ovulo all’altra che porta avanti la gravidanza all’altra) e la surrogazione di maternità che caratterizzerebbe la presente questione della doppia genitorialità maschile. In particolare si afferma in motivazione che “le due fattispecie hanno in comune il fatto che il concepimento e la nascita del minore hanno avuto luogo in attuazione di un progetto genitoriale maturato nell’ambito di una coppia omosessuale, con l’apporto genetico di uno solo dei partner, differenziandosi invece per il numero di terzi estranei (due anziché uno) che hanno cooperato al predetto scopo, e soprattutto per il contributo fornito da uno di essi, che risulta però determinante ai fini della disciplina applicabile”. Ora come allora mi sembra che appaia dubbia la distinzione in quella fattispecie della nozione di fecondazione eterologa e di surrogazione di maternità, distinzione che certamente non può fondarsi sul numero di soggetti altri (uno o due) che partecipano al progetto di nascita. Potrebbe infatti ritenersi che si abbia surrogazione di maternità anche in quella ipotesi, se pure di tipo solidale e affettivo, in quanto una delle due donne rinuncia alla gestazione e alla maternità. Si potrebbe ritenere invece che nel caso dei due papà si ha surrogazione di maternità solo in quanto si tratta di un soggetto estraneo alla coppia? L’insieme di questi quesiti fanno emergere la debolezza di questa distinzione ma soprattutto il paradosso che essa disvela sotto il profilo ordinamentale. Ma al di là di queste riflessioni, occorre affermare che per il nostro diritto vigente delle due donne l’unica che può considerarsi madre è colei che ha portato avanti la gravidanza, dato che la legge 40 dà l’accesso alla fecondazione assistita, sia essa omologa che eterologa, alle sole coppie di sesso diverso affette da insterilità. Qui mancherebbero entrambi i presupposti per poter inquadrare la fattispecie nell’ambito della fecondazione: la diversità di sesso della coppia che accede e la mancanza di sterilità, elemento che legittima il ricorso a tale pratica. Il riconoscimento della doppia genitorialità femminile, oltre a non essere fondato sul sistema vigente, porterebbe inoltre a creare una discriminazione all’interno delle coppie omoaffettive in quanto per quelle maschili vi sarebbe sempre una violazione del divieto di surrogazione di maternità e un genitore di intenzione, fattispecie da ritenersi eccezionale per le coppie omoaffettive femminili 45bis. Il paradosso, di per sé fondato su natura, sarebbe irrilevante se non si considerasse il diverso trattamento che si riserva al nato. Nel caso di due donne (con donazione dell’ovu-
45
Paventava il rischio di una grave delegittimazione della sezione semplice G. Casaburi, nella nota all’ordinanza di rimessione alle Sezioni unite 22 febbraio 2018, n. 4382, in Foro it., 2018, I, 791. 45bis Tale rischio discriminatorio sembra essere stato superato di recente dalla Corte Costituzionale (decisione non ancora pubblicata ma di cui si è avuto notizia nel comunicato stampa del 18 Giugno 2019) che, nel respingere il giudizio di legittimità costituzionale della legge n. 40 là dove vieta alle coppie omosessuali di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, accomuna nel divieto di accesso sia le coppie omoaffettive femminili (che accedono alla fecondazione eterologa) che le coppie omoaffettive maschili (costrette per natura ad accedere alla maternità surrogata)
378
Mirzia Bianca
lo da parte dell’una e gravidanza da parte dell’altra), il bambino avrebbe automaticamente sempre due genitori, mentre nel caso di due uomini ne avrebbe sempre e sicuramente solo uno, che è quello biologico ed eventualmente altro attraverso l’adozione non piena! Sembra in definitiva che il problema della dignità del nato da intendersi anche quale diritto alla certezza del proprio status filiale e alla bigenitorialità, sarebbe soddisfatto in maniera diversa a seconda del genere della coppia omoaffettiva. Questi rilievi contribuiscono ad aggrovigliare la matassa dei criteri di instaurazione della filiazione, rendendo evidente il ruolo prevalente che, almeno in questa decisione, si attribuisce al dato biologico, nonostante il rimedio dell’adozione in casi particolari. Risulta invece decisamente ridimensionato il ruolo della genitorialità di intenzione che assume pertanto una posizione recessiva46.
3. L’eliminazione dell’automatismo della genitorialità e del giudizio in ordine al best interest of the child.
Altro sicuro merito di questa decisione è quello di aver evitato un automatismo in ordine alla genitorialità e in ordine alla valutazione del migliore interesse del minore. Quanto all’automatismo relativo alla genitorialità, è chiaro che la trascrizione immediata di un provvedimento straniero di un bambino nato da surrogazione di maternità che indica come genitore colei o colui che è privo di qualsiasi legame biologico con il nato, oltre alla già rilevata questione di ordine pubblico, determinerebbe un automatismo nella instaurazione della genitorialità senza legame biologico difficilmente giustificabile47, anche volendo ammettere che il nostro ordinamento ha progressivamente attenuato la primazia del favor sanguinis48. Ritorna quindi operativo il modello tradizionale dell’adozione che è stato quello prescelto per giustificare la genitorialità con legame biologico assente, in presenza di precisi presupposti e di adeguati controlli da parte del giudice. Al più potrebbe concedersi che il genitore di intenzione, proprio per la volontà che ha espresso di partecipare al progetto di nascita del bambino possa assumere una posizione privilegiata rispetto ad altri soggetti che concorrono all’affidamento familiare, in quanto soggetto estraneo ma che ha concorso intenzionalmente al progetto di nascita49. Ma si tratta di questioni che andrebbero valutate con attenzione de jure condendo in una riforma dell’adozione e dell’affidamento, senza abdicare ad una valutazione complessiva che dovrebbe tendenzialmente
46
Si rinvia al § 4 del testo. V. C.M. Bianca, op ult cit., 447, il quale a proposito del problema della trascrizione del certificato di nascita del soggetto nato da surrogazione di maternità così si esprime: “Se manca il nesso biologico è difficile giustificare l’accertamento del rapporto di filiazione adducendo l’interesse del minore”. 48 V. il § 4 del testo. 49 Si rinvia alle riflessioni de jure condendo contenute nel § 4 del testo. 47
379
Giurisprudenza
portare al contemperamento tra tutela del nato da surrogazione di maternità ed esigenza di disincentivare il ricorso a questa tecnica. L’eliminazione dell’automatismo in ordine alla genitorialità consente inoltre di eliminarne un altro ovvero quello in ordine alla realizzazione del best interest of the child. Come accennavo in apertura, rispetto al dibattito degli anni ‘80 che ha interessato animatamente i civilisti, si è completamente dimenticato che il primo interesse del minore sarebbe, in un mondo ideale degli adulti, quello di non interrompere il rapporto con la donna che lo ha portato in grembo per nove mesi, contribuendo in maniera fattiva alla sua nascita50. Ma di questo problema e della necessaria prevalenza della madre uterina ci siamo completamente dimenticati e in queste decisioni viene omesso ogni riferimento, dando per scontato che chi partorisce dietro contratto, sia tenuta a restituire il prodotto del parto, non avendo nessun rapporto con il nato. Si dimentica tuttavia l’unica regola certa in tema di genitorialità che è quella stabilita dall’art. 269, terzo comma, regola che stabilisce che è madre colei che partorisce. Credo che si tratti di regola di grande civiltà che non è stata toccata nel corso delle varie riforme50bis (problema di per sé non dirimente e risolvibile con una legge che ne sancisca l’abrogazione) in quanto traduce in regola giuridica un legame di fatto tra il nato e colei che lo partorisce. Si tratta di quelle poche norme del sistema che, pur essendo il retaggio del modello tradizionale della filiazione biologica, mantengono vigore in quanto riguardano un fatto di natura che difficilmente potrebbe cambiare, a meno che non si arrivi un giorno a fare figli attraverso un robot. Il fatto che la madre gestante sia da considerare la madre, al di là del contratto che ha stipulato, determina corollari tecnici significativi, ove si accolga la soluzione dell’adozione, sia piena che particolare, in quanto sarebbe comunque necessario un suo consenso all’adozione o una rinuncia alla sua maternità, anche esprimibile nella forma del parto anonimo. Tutte queste questioni non solo non sono state mai affrontate ma sono state superate dall’automatismo del riconoscimento del provvedimento straniero, dando per scontato che il superiore interesse del minore sia sempre e indipendentemente da una valutazione in concreto, quello ad avere, oltre al genitore biologico, il partner dello stesso, anche in assenza di alcun legame biologico. La rimozione di questo automatismo riapre il dibattito e mette tutte le questioni nuovamente sul piatto. In motivazione il tema della possibile prevalenza della madre uterina non risulta tuttavia neanche sfiorato. Altro punto in cui si rileva una contraddizione nella motivazione della decisione è che, pur negandosi in via di principio un interesse del minore a veder riconosciuto il rapporto di filiazione con il genitore di intenzione, a differenza della Corte europea che nel citato
50
C.M. Bianca, Diritto civile 2.1, cit., 445: “....è la gestazione che crea l’essenziale e concreto rapporto materno in cui si realizza l’accoglimento dell’essere umano. La forzata sottrazione del minore alla madre uterina appare quindi inammissibile in ragione del preminente interesse del minore a mantenere il rapporto materno già naturalmente costituito e vissuto”. L’A. si era espresso in questi termini già nel contributo Nuove tecniche genetiche, regole giuridiche e tutela dell’essere umano, in Dir. Fam. 1987, 955 e pubblicato ora in Realtà sociale ed effettività della norma, Scritti giuridici, I, t. 2, cit., 709. 50bis Un affresco dell’evoluzione del nostro ordinamento in materia di diritto di famiglia viene dipinto da T. Auletta, Riforme ed evoluzione del diritto di famiglia: riflessioni su un percorso di mezzo secolo, in questa Rivista e nel medesimo numero, 233 e ss.
380
Mirzia Bianca
parere consultivo evoca la lesione del diritto alla vita privata, si indica genericamente la via della adozione in casi particolari. Quella sarebbe stata l’occasione per argomentare sulla necessità di valutare in concreto tale interesse e di concedere lo strumento dell’adozione in casi particolari solo e quando (e mi si voglia scusare per la ripetizione) in concreto sia dato riscontrare un rapporto di affettività tra il genitore di intenzione e il nato, come affermato dalla Corte Europea nel citato parere consultivo51. Quanto alla indicazione dello strumento giurisprudenziale della cd. Stepchild Adoption, ritengo che, benché modello ormai operante nel diritto effettivo delle corti di merito e di legittimità52, esso sia il frutto di una geniale ma sicura forzatura del dettato della legge. L’interpretazione della costatata impossibilità di affidamento, attraverso il suo eloquente aggettivo, rinvia inevitabilmente ad una impossibilità di fatto e non all’escamotage della impossibilità di diritto53. La questione della valutazione in concreto del legame affettivo tra genitore di intenzione andrebbe più opportunamente collocata in una riforma della legge delle adozioni che si faccia carico di estendere l’ipotesi indicata alla lett. b) dell’art. 44 della legge sulle adozioni, ovvero l’adozione del figlio del coniuge, ipotesi normativa che, già in seno al dibattito in ordine alla introduzione della legge sulle unioni civili e le convivenze di fatto, si era proposto di estendere al convivente e all’unito civile. Si tratta infatti di adeguare il sistema delle adozioni al mutato assetto familiare. Si potrebbe anche pensare ad un affidamento familiare54 che sarebbe spurio in quanto non connotato dall’impossibilità della famiglia di origine. Esso potrebbe tuttavia essere uno strumento utile per evitare l’abbandono materiale e morale del bambino e per avere un adeguato periodo di tempo per controllare la capacità affettiva del genitore di intenzione. Ove invece si accolga la bontà del ricorso all’art. 44 lett. d) della legge sulle adozioni, come indicato dalla Corte, e quindi al modello giurisprudenziale della Stepchild Adoption, andrebbe comunque richiesto un consenso di colei che per il nostro diritto positivo è la madre, ovvero la donna gestante, ovvero una formale rinuncia alla maternità anche attraverso lo strumento del parto anonimo. D’altra parte e con riferimento all’ ipotesi dell’adozione in casi particolari del figlio del coniuge (art. 44, lett. b), la giurisprudenza richiede sempre il consenso del genitore55.
51
V. il Parere citato alla nota 16 del testo: “Ce que requiert l’intérêt supérieur de l’enfant – qui s’apprécie avant tout in concreto plutôt qu’in abstracto – c’est que ce lien, légalement établi à l’étranger, puisse être reconnu au plus tard lorsqu’il s’est concrétisé. Il appartient en principe non pas à la Cour mais en premier lieu aux autorités nationales d’évaluer, à la lumière des circonstances particulières de l’espèce, si et quand ce lien s’est concrétisé”. 52 V. al riguardo C. 22 giugno 2016, n. 12692. 53 V. C.M. Bianca, Diritto civile 2.1., cit., 504. 54 Per questa soluzione v. oltre nel testo. 55 V. Cass. 16 luglio 2018, n. 18827.
381
Giurisprudenza
4. Il best interest del nato da surrogazione di maternità e l’ordine pubblico. Riflessioni de jure condendo.
Esaurite queste questioni posso dedicarmi al tema che ritengo principale, ovvero il rapporto tra ordine pubblico e interesse del minore. Il tema farà emergere riflessioni di carattere più generale sulla complessità dei modelli di instaurazione della filiazione e sulla necessità di un intervento del legislatore. Quanto al primo tema, la Corte ha affermato in maniera generica la prevalenza dell’ordine pubblico sull’interesse del minore. Non so se di prevalenza può parlarsi dato che entrambi, il valore della dignità umana della gestante e dell’istituto dell’adozione da un lato e l’interesse del minore dall’altro appartengono al complesso dei valori interni e condivisi a livello internazionale e quindi sono diverse accezioni del medesimo concetto di ordine pubblico. Occorre poi intendersi su che cosa debba intendersi per interesse del minore del nato da surrogazione di maternità. Come si è cercato di evidenziare in queste pagine, la fascia degli interessi del minore non sono riducibili alla sola questione del riconoscimento della genitorialità di intenzione, ma ricomprendono una serie di interessi tutti essenziali e tutti richiedenti una adeguata selezione, operazione che é demandata, come correttamente indica la stessa Corte, al legislatore. Nel caso di fecondazione eterologa, la legge ha deciso chi è il padre e chi è la madre, operando scelte bene precise. La legge n. 40 stabilisce che colui che ha dato il consenso alla fecondazione eterologa non può disconoscere il nato e la madre che ha dato il consenso non può esercitare il diritto di anonimato. Ha anche stabilito che il donatore o la donatrice non sono genitori. Tuttavia queste regole certe non impediscono che il problema della dignità del nato alla certezza delle sue figure genitoriali sia leso, anche in situazioni non perfettamente coincidenti con la fattispecie della surrogazione della maternità. Basta evocare al riguardo il problema della procreazione medicalmente assistita post mortem 56 o il problema dello scambio degli embrioni che si è posto tragicamente nella vicenda dell’Ospedale romano Sandro Pertini57. Si tratta di vicende che scoprono il vaso di Pandora e denunciano la necessità di una riforma che possa dare regole certe per queste vicende della vita umana un tempo non immaginabili né prevedibili58. Per il nato da maternità surrogata il problema risulta più complesso ed urgente in quanto contaminato da altre questioni, tra le quali la necessità di scoraggiare l’uso di una tecnica barbarica e spesso strumento di sfruttamento della povertà. Deve al riguardo ritenersi che, nonostante
56
V. in particolare Corte di appello Ancona, 12 marzo 2018; Trib., Bologna 25 agosto 2018; Trib. Messina, 28 settembre 2017, con nota di G. Casaburi, in Foro it., 2019. Dello stesso autore e nella stessa rivista 2019 v. la nota a Trib. Roma, 8 maggio 2019 e Cass. 15 maggio 2019, n. 13000. 57 V. Trib. Roma, 20 agosto 2014 con mia nota di commento Il diritto del minore ad avere due soli genitori: riflessioni a margine della decisione del tribunale di Roma sull’erroneo scambio di embrioni, in Dir fam. 2015, 186. In quel commento avevo cercato di ipotizzare delle soluzioni de jure condendo, come la prevalenza della madre genetica in caso di rinuncia della madre uterina; Trib. Roma 10 maggio 2016, in Foro it., 2016, I, 2925, con nota di G. Casaburi. 58 Per queste riflessioni si rinvia alle sempre acute osservazioni di G. Casaburi, Le nuove forme di genitorialità:alla ricerca di fondamenta normative differenziate, Nota a Trib. Pisa, 15 marzo 2018 e Trib. Milano, 18 aprile 2017, in Foro it ., 2018, I, c. 1810.
382
Mirzia Bianca
l’autorevole intervento delle sezioni unite, il problema della certezza sulle figure genitoriali non possa ritenersi risolto. Tra i vari quesiti che affollano l’interprete e che chiedono una pronta soluzione, vi è quello della necessaria selezione che occorre fare tra i vari criteri che concorrono ad individuare il rapporto di genitorialità (verità, sangue, affettività e cura)59. In passato un grande Maestro, Giorgio Oppo ne aveva formulati due che si attagliano perfettamente alla questione qui trattata: “Quale legame può intercorrere, anche nel rispetto dell’interesse del nascituro, tra coloro che concorrono alla fecondazione? Qual è il ruolo e la responsabilità di chi, a uno o altro titolo, interviene nel processo della procreazione? Quale in particolare il rapporto tra responsabilità per il concepimento o per la fecondazione e vita futura?”60 È solo il legislatore che può stabilire quale criterio sia da ritenere prevalente. Dalla decisione che qui si commenta sembra che, nonostante tante riflessioni importanti sulla genitorialità sociale, testimoniate sia dalla giurisprudenza che dal legislatore, la prevalenza sia attribuita al dato biologico, inteso in senso unitario sia come sangue e come dato genetico. Per questo motivo si afferma la legittimità del riconoscimento delle due madri nel caso deciso dalla Corte di Cassazione nel 2016 mentre la si nega qui per il genitore di intenzione. Emerge tuttavia in tutta la sua portata l’esigenza di stabilire il rilievo che l’ordinamento deve e vuole assegnare alla genitorialità di intenzione. In questa riflessione occorre considerare che la genitorialità di intenzione non sempre coincide con quella sociale, in quanto nella prima, a differenza della seconda, l’elemento caratterizzante non è appunto la socialità del rapporto affettivo, ma la volontà e quindi l’intenzione di diventare genitori, partecipando a vario titolo al procedimento di nascita, pur in mancanza del dato biologico. Le due nozioni possono talvolta sovrapporsi quando si attribuisce rilevanza al genitore di intenzione solo quando è diventato sociale in quanto ha instaurato un consolidato legame affettivo con il nato. Nella fecondazione eterologa l’intenzione del padre biologico è ritenuta tale da superare il dato dell’assenza del legame biologico perché è la legge a dirlo. Il tema rimane scoperto per il nato da surrogazione di maternità, tema che richiede una necessaria gradazione degli interessi in gioco. In questa sede possono essere date solo alcune suggestioni. Al riguardo mi sembra che il primo interesse che andrebbe privilegiato è l’interesse del minore a mantenere il rapporto con la madre che lo ha partorito. Solo ove la madre gestante rinunciasse alla maternità riemergerebbe il diritto del minore ad una famiglia. In primo luogo, come affermato dalla Corte, questo diritto potrebbe essere soddisfatto attraverso il riconoscimento del genitore biologico, ove esistente. Ritorna poi il problema della rilevanza del genitore di intenzione, partner del genitore biologico. Non si tratta di risolvere il problema del diritto del minore ad una famiglia, in quanto in questo caso il bambino ha già una figura genitoriale di riferimento, ma di dare voce al legame affettivo che lega il genitore di intenzio-
59
Sulla maternità surrogata si rinvia allo scritto di M. Acierno, Le nuove genitorialità. Fonti e orientamenti giurisprudenziali, cit.; sulla complessità dei vari modelli di genitorialità, v. G. Casaburi, “Grande è la confusione sotto il cielo”: genitorialità affettiva, biologica, genetica, sociale; incertezze e fluidità della giurisprudenza, Nota a Cass. 29 novembre 2016, n. 24292, in Foro it., 2017, I, c. 167. 60 Cosi testualmente G. Oppo, Procreazione assistita e sorte del nascituro, cit., 47, quesiti VI e VII.
383
Giurisprudenza
ne al nato. La genitorialità di intenzione assume in questo caso rilevanza solo in quanto affiancata dalla genitorialità biologica dell’altro partner e dal legame di affettività del genitore intenzionale con il bambino, legame di cui deve accertarsi la concretezza del vissuto. In buona sostanza il genitore di intenzione acquista rilevanza solo in quanto è diventato anche genitore sociale. Si tratta della fattispecie oggetto della decisione che si commenta e dell’orientamento che emerge dalla lettura del recente parere consultivo della Corte europea dei diritti dell’uomo61. E se mancasse il legame biologico per entrambi i soggetti, pur essendo presente la sicura intenzione di diventare genitori? Si tratta del caso deciso dalla Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo nel 2017 (caso Paradiso Campanelli)62. Devo subito rilevare che in casi di questo tipo, oltre ai possibili rischi di abuso, siamo completamente al di fuori della fattispecie della surrogazione di maternità, la cui parola surrogazione indica la gestazione di una donna per altri, e quindi o per la figura maschile che fornisce il materiale genetico o per la figura femminile che fornisce il proprio materiale genetico. In caso di mancanza assoluta di legame biologico si tratta di una mera ipotesi di “programmazione di nascita”. Correttamente la Grande Camera della Corte europea ha escluso ogni rapporto di genitorialità, giudizio corroborato anche dalla assenza di un consolidato rapporto affettivo tra i genitori di intenzione e il nato. Rimane da chiedersi se, in luogo di mettere il bambino in stato di abbandono, l’ordinamento se la senta di attribuire una qualche rilevanza a chi, sia pure illecitamente, ha contribuito a programmare la nascita di un essere umano. Ritorna qui il quesito posto tanti anni fa da Giorgio Oppo. A quel quesito ne aggiungerei altro: chi deve pagare il prezzo di questa operazione? Sicuramente occorrerebbe evitare il più possibile pregiudizi al minore e quindi il collocamento per anni in istituti, in attesa di una famiglia. Solo avendo come faro questo interesse, l’ordinamento potrebbe valutare la scelta di ammettere i genitori di intenzione all’affidamento familiare. Tale strumento, che non richiede particolari requisiti soggettivi, potrebbe assolvere ai requisiti di celerità ed efficienza indicati dalla Corte europea nel citato parere consultivo, senza condurre all’automaticità dell’attribuzione della genitorialità. L’affidamento consentirebbe, attraverso il decorso del periodo biennale, di controllare l’idoneità affettiva dei soggetti e la loro capacità genitoriale. Qualunque sia la scelta del legislatore, un buon legislatore dovrebbe evitare in ogni caso di dare voce al diritto degli adulti e ad un inesistente diritto alla filiazione63, ma al diritto del nato ad essere trattato come tutti gli altri nati, indipendentemente dalle vicende che hanno causato la sua nascita. Si tratterebbe così di dar voce ad una nuova prospettiva
61
Importante al riguardo un passaggio di quel parere: “l’intérêt supérieur de l’enfant comprend aussi l’identification en droit des personnes qui ont la responsabilité de l’élever, de satisfaire à ses besoins et d’assurer son bien-être, ainsi que la possibilité de vivre et d’évoluer dans un milieu stable, la Cour considère toutefois que l’impossibilité générale et absolue d’obtenir la reconnaissance du lien entre un enfant né d’une gestation pour autrui pratiquée à l’étranger et la mère d’intention n’est pas conciliable avec l’intérêt supérieur de l’enfant, qui exige pour le moins un examen de chaque situation au regard des circonstances particulières qui la caractérise”. 62 Corte europea dei Diritti dell’Uomo, Grande Camera decisione del 24 maggio 2017, in Nuova giur. civ. comm., 2017, I, 501 e ss. 63 Si rinvia al riguardo a A. Morace Pinelli, Verso una riforma delle adozioni, in Fam e dir., 2016, 719 e ss.
384
Mirzia Bianca
del principio di uguaglianza che tenga conto dell’uguale diritto dell’individuo ad avere e a sapere chi sono i suoi genitori. Con specifico riferimento alla surrogazione di maternità occorrerebbe trovare una composizione non facile tra l’esigenza di disincentivarne la pratica e l’individuazione di soluzioni adeguate per risolvere il problema del diritto del nato. Nella ricerca di questa difficile opera di composizione degli interessi in gioco, è chiaro che un legislatore attento dovrebbe considerare il problema a tutto tondo e non limitarsi a prevedere la sanzione per la pratica di surrogazione della maternità, ma preoccuparsi di individuare degli strumenti che possano disincentivare il riscorso a tale strumento. Tale problema è sicuramente da affrontare perché la sanzione penale è stata di fatto depenalizzata e non rappresenta più un disincentivo. Forse l’idea di prevedere un reato universale o un’illiceità del contratto a carattere universale64, al di là della connotazione negativa in senso repressivo, potrebbe essere un tentativo per fermare il turismo riproduttivo. Non credo che la previsione di una rilevante sanzione pecuniaria potrebbe essere un vero disincentivo, tenendo in considerazione che coloro che ricorrono a questa pratica di solito sono persone molto benestanti. Occorre piuttosto volgere lo sguardo al di là di questa specifica tematica e rendersi conto che uno dei problemi più urgenti da risolvere è quello di dare una famiglia a tutti i minori in stato di abbandono, problema che non può ritenersi subordinato rispetto a quello del minore nato da surrogazione di maternità. Sono arrivati i tempi per una tanto auspicata riforma delle adozioni che possa porsi nel futuro quale sicura alternativa alla maternità surrogata e che non lasci più alcuna alibi a chi vuole un figlio. Occorrerebbe potenziare tale procedimento rendendolo più snello ed efficiente. Sarebbe altresì necessario aprire l’adozione alle coppie conviventi, siano esse omosessuali che eterosessuali, nonché alle persone singole. Questa riforma delle adozioni65, oltre a risolvere il problema dei minori senza famiglia, potrebbe temperare e arginare il fenomeno della surrogazione di maternità, evitando che il desiderio di filiazione possa tradursi in un dato di illiceità per il sistema e di incertezza per il nato. L’adozione, per la sua innegabile natura solidaristica66, consentirebbe di essere genitori e di compiere un grande dono: dare ad un minore la famiglia che non ha67. Mirzia Bianca
64
Suggerimento dato dal Comitato di bioetica spagnolo nel citato parere del 2017. V. al riguardo la proposta di legge Rosato n. 630, Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184 e delega al Governo per la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento e l’adozione di minori, presentata il 15 maggio 2018. Tale proposta è il risultato di un’importante indagine conoscitiva della Commissione Giustizia della Camera, condotta nella precedente legislatura sullo stato di attuazione delle disposizioni legislative in materia di adozione ed affido. Il documento conclusivo è del 7 marzo 2017. 66 Mi ero espressa in questi termini nel corso dell’Audizione alla Commissione Giustizia della Camera del 16 maggio 2016 relativa all’indagine conoscitiva sulla riforma della legge sull’adozione citata alla nota precedente del testo. 67 Commovente è l’esperienza di Luca Trapanese raccontata nel libro L. Trapanese- Mercadante, Nata per te, Torino, 2018 65
385
Giurisprudenza Cass. civ., sez. VI, 10 gennaio 2018, n. 402; Scaldaferri Presidente - Bisogni Relatore Giudizio di separazione – Assegno di mantenimento – Comunione spirituale e materiale – Prova dell’affectio coniugalis Deve escludersi il diritto all’assegno di mantenimento, a favore del coniuge economicamente più debole, qualora all’esito del giudizio di separazione si accerti che fra i coniugi non si è mai costituita la comunione spirituale e materiale.
(Omissis) Fatto
e diritto.
nio cita la giurisprudenza di legittimità e in par– Rilevato che
ticolare la recente pronuncia (Cass. civ. n. 1162
1. Nel giudizio di separazione introdotto da-
dell’8 gennaio 2017) secondo cui alla breve du-
vanti al Tribunale di Genova da C.J.S. nei con-
rata del matrimonio non può essere riconosciuta
fronti di D.A. il Tribunale genovese,. dopo aver
efficacia preclusiva del diritto all’assegno di man-
pronunciato la separazione, ha respinto le reci-
tenimento, ove di questo sussistano gli elementi
proche domande di addebito e rigettato la do-
costitutivi, rappresentati dalla non addebitabilità
manda di assegno di mantenimento della D.
della separazione al coniuge richiedente, dalla
2. La Corte di appello di Genova ha respinto
non titolarità, da parte del medesimo, di adeguati
il gravame proposto da D.A. relativamente al ri-
redditi propri, ossia di redditi che consentano di
getto della domanda di assegno rilevando che il
mantenere un tenore di vita analogo a quello go-
matrimonio è durato 28 giorni senza che i coniugi
duto in costanza di matrimonio, e dalla sussisten-
convivessero insieme e senza che si instaurasse
za di una disparità economica tra le parti mentre,
una vera comunione materiale e spirituale fra loro.
alla durata del matrimonio, può essere attribuito
Le parti - ha inoltre rilevato la Corte distrettuale
rilievo ai fini della determinazione della misura
- si accusano reciprocamente di aver concordato
dell’assegno di mantenimento. La ricorrente con-
il matrimonio per motivi estranei alla volontà di
testa l’affermazione della Corte distrettuale se-
una effettiva unione coniugale. Infatti il C. è alto
condo cui non si era instaurata alcuna effettiva
ufficiale dell’esercito USA e beneficia di gratifiche
comunione materiale e spirituale fra i coniugi e
economiche, conseguenti al matrimonio, ricono-
invoca in tal senso la generosa dazione di denaro
sciute agli appartenenti all’esercito. La D. si è in-
effettuata dal C.
dotta al matrimonio dopo essersi fatta rilasciare
4. La ricorrente deposita memoria difensiva.
assegni postdatati e, nel corso del brevissimo ma-
Ritenuto che:
trimonio, si è anche fatta consegnare dal marito la
5. La Corte di appello ha espresso una coe-
somma di 110.000 dollari in contanti.
rente valutazione della vicenda prospettata dalla
3. Ricorre per cassazione D.A. deducendo vio-
ricorrente ai fini dell’accertamento della sussi-
lazione e falsa applicazione dell’art. 156 c.c.. So-
stenza o meno del diritto all’assegno di manteni-
stiene la ricorrente che la brevissima durata del
mento ed è pervenuta ad escluderlo rilevando la
matrimonio (peraltro ascrivibile unicamente al
ricorrenza nella specie di quell’ipotesi ecceziona-
C.) e la mancata instaurazione della convivenza
le (cfr. negli stessi termini Cass. civ. sez. 6-1 ord.
non sono rilevanti al fine di escludere il diritto
n. 6164 del 26 marzo 2015) in cui non si è ancora
all’assegno di mantenimento e a sostegno della
realizzata, al momento della separazione, alcuna
sua tesi sulla irrilevanza della durata del matrimo-
comunione materiale e spirituale tra i coniugi. In-
387
Giurisprudenza
fatti la Corte distrettuale ha riscontrato esclusivamente la realizzazione di accordi economici tra le parti senza che vi sia stata alcuna condivisione di vita e instaurazione di un vero rapporto affettivo qualificabile come affectio coniugalis. 6. Il ricorso va pertanto respinto senza statuizioni sulle spese processuali. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano
omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis. (Omissis)
Il presupposto della comunione spirituale e materiale ai fini del riconoscimento dell’assegno di mantenimento* Sommario : 1. La fattispecie. – 2. Il fondamento del matrimonio: la comunione spirituale e materiale. – 3. La prova dell’affectio coniugalis e la rilevanza delle presunzioni. – 4. Note conclusive: qualche possibile sovrapposizione con la “simulazione” del matrimonio. Appunti per la legge che verrà.
With this contribution, the author comments on a Supreme Court’s decision (Cass., n. 402/2018) according to which alimony’s check cannot be given to the economically weaker spouse, when marriage’s fundamental requirement is missing: spiritual and material communion. The author also investigates the evidence required to prove the affectio coniugalis, wondering what future scenarios might arise, also in the light of some announced legislative reforms.
*
Il presente contributo è stato sottoposto a valutazione in forma anonima.
388
Giovanni Iorio
1. La fattispecie. Se si volesse stilare la classifica degli argomenti “caldi”, nella crisi della famiglia, oggi il primo posto spetterebbe senza dubbio all’assegno di divorzio. Basti pensare alla pronuncia delle Sezioni Unite del 2018, alle molteplici applicazioni che da quella sentenza sono derivate, al lavoro intenso di sistemazione della dottrina1. L’attenzione sull’assegno divorzile non è destinata a calare, ove si consideri l’annunciata riforma legislativa che recepirà i più recenti orientamenti giurisprudenziali ma, nel contempo, introdurrà alcuni significativi elementi di novità. Meno appeal, dunque, possiede attualmente il tema dell’assegno di mantenimento nella separazione fra i coniugi. Qui deve dirsi che, almeno di recente, non si registrano veri e propri revirement da parte della Suprema Corte. D’altra parte è lo stesso legislatore ad aver “compresso”, nel 2015, il periodo della separazione prima del divorzio, finendo per spostare il baricentro verso lo scioglimento del matrimonio. Si aggiunga che la l. n. 76/2016 non prevede, per i contraenti l’unione civile, la disciplina della separazione; ed in questo quadro non è mancato chi ha proposto l’opportunità di giungere al medesimo approdo pure per l’istituto del matrimonio. Non stupisce, pertanto, che sia passata quasi inosservata la pronuncia n 402/2018 della Suprema Corte. Eppure questa decisione merita di essere ripresa, giacché consente di svolgere qualche considerazione più generale sul requisito fondante del matrimonio: la comunione spirituale e materiale. Occupiamoci, brevemente, del caso. Due coniugi, dopo 28 giorni di matrimonio (e senza neanche aver convissuto), si rivolgono al tribunale per domandare la separazione. Il giudice di primo grado respinge la reciproca domanda di addebito e non riconosce in capo alla donna il diritto all’assegno di mantenimento. La stessa cosa fa il giudice d’appello. In entrambi i gradi di giudizio viene rilevata la mancanza di comunione spirituale e materiale nel matrimonio e, dunque, l’impossibilità di invocare l’art. 156 c.c. Era accaduto, da quanto si apprende leggendo la sentenza qui commentata, che l’uomo (un ufficiale dell’esercito degli Usa) si era sposato al fine di ottenere delle gratifiche economiche. La donna, invece, si era sposata dopo essersi fatta rilasciare dal militare degli assegni postdatati. Durante le quattro settimane di matrimonio, poi, si era fatta consegnare in contanti 110.000 dollari. La donna propone ricorso in Cassazione, deducendo la violazione e la falsa applicazione dell’art. 156 c.c. L’argomento svolto davanti ai giudici di legittimità è il seguente: l’effimera durata del matrimonio e l’assenza di convivenza non possono considerarsi ostativi al riconoscimento dell’assegno di mantenimento. A sostegno della tesi la ricorrente cita un
1
Pure nelle pagine di questa Rivista compaiono approfonditi contributi sulle plurime funzioni dell’assegno di divorzio alla luce dei nuovi criteri introdotti nel 2018. In precedenza, v., ex multis, S. Patti, Assegno di divorzio: un passo verso l’Europa?, in questa Rivista, 2017, p. 411 ss.
389
Giurisprudenza
precedente della Corte di Cassazione, secondo cui alla breve durata del matrimonio non può essere riconosciuta efficacia preclusiva del diritto all’assegno, ove di questo diritto sussistano gli elementi costitutivi. Vale a dire: la non addebitabilità della separazione al coniuge richiedente e la non titolarità di adeguati redditi propri, ossia di redditi che consentano di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio (Cass., 8.1.2017, n. 1162). La ricorrente, infine, contesta le conclusioni raggiunte dai giudici di merito, e cioè che fra le parti non si è instaurata una comunione spirituale e materiale fra i coniugi: la dazione di denaro sta a dimostrare proprio il contrario. La Corte di Cassazione, con la pronuncia in commento, rileva che nel caso di specie si è in presenza di un’ipotesi eccezionale in cui non si è ancora realizzata, al momento della separazione, alcuna comunione materiale e spirituale fra i coniugi (così anche Cass., 26.3.2015, n. 6164). Ne discende che non può riconoscersi il richiesto diritto al mantenimento.
2. Il fondamento del matrimonio: la comunione spirituale e materiale.
La sentenza qui in considerazione presenta un prima caratteristica espositiva: la brevitas. Una rarità, verrebbe da dire, se si considerano i numerosi precedenti degli ultimi anni, soprattutto dei giudici di legittimità, in cui si assiste ad uno sforzo “sistematico” che trasforma la motivazione in un “trattato” della materia (per impostazione, esaustività e lunghezza del discorso giuridico); un trattato in cui spesso non è difficile rintracciare le trame di un dialogo continuo che i tribunali intessono con la dottrina. Qui non vi è certo quella lunghezza cui siamo abituati. Il discorso, anzi, è sin troppo sintetico. Ed infatti, il decisum della Suprema Corte non è supportato dall’esplicazione di un ragionamento logico-giuridico; ragionamento che, ancorché conciso, dovrebbe essere sempre presente nell’iter motivazionale. Nel respingere il ricorso, i giudici di legittimità rilevano soltanto che ricorre “nella specie quell’ipotesi eccezionale (cfr. negli stessi termini Cass. civ. sez. 6-1 ord. n. 6164 del 26 marzo 2015) in cui non si è ancora realizzata, al momento della separazione, alcuna comunione materiale e spirituale tra i coniugi. Infatti la Corte distrettuale ha riscontrato esclusivamente la realizzazione di accordi economici tra le parti senza che vi sia stata alcuna condivisione di vita e instaurazione di un vero rapporto affettivo qualificabile come affectio coniugalis”. Dico subito che le conclusioni cui giungono i giudici di legittimità sono condivisibili. Vediamo perché. Tutto il discorso muove dal seguente presupposto: il matrimonio è fondato sulla “comunione spirituale e materiale” fra i coniugi. E non può che essere così, come ricorda la legge sul divorzio, per la quale “il giudice pronuncia lo scioglimento del matrimonio, contratto a norma del codice civile, quando, esperito inutilmente il tentativo di conciliazione di cui al successivo art. 4, accerta che la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non può
390
Giovanni Iorio
essere mantenuta o ricostituita per l’esistenza di una delle cause previste dall’art. 3” (art. 1 l. n. 898/1970)2. Si consideri, ai fini che qui interessano, una delle cause previste dall’art. 3 della l. n. 898/1970, ossia la separazione giudiziale. Ebbene, con la sentenza di separazione il giudice accerta quella che potremmo chiamare una “frattura” della comunione spirituale e materiale (che il giudice del divorzio accerterà essere “insanabile”). Perché si determina questa “frattura”? Qui occorre volgere lo sguardo al codice civile, ed esattamente all’art. 151, co. 1, c.c., secondo cui “la separazione può essere chiesta quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio alla educazione della prole”. La parola chiave è intollerabilità3. Si studino gli scenari più comuni: (a) due persone sono sposate e fra di loro si instaura una piena comunione spirituale e materiale. Dopo qualche tempo esse maturano convinzioni, idee, visioni della vita diametralmente opposte. Il giudice della separazione è chiamato ad accertare l’intollerabilità della convivenza, ossia la “frattura” della comunione spirituale e materiale; (b) due persone sono sposate e vivono d’amore e d’accordo. Accade ad un certo punto che l’affectio coniugalis viene messa in crisi dal comportamento di uno degli sposi, consistente nella violazione di un obbligo coniugale, come quello di fedeltà. Il coniuge tradito, in questo caso, potrà domandare l’addebito della separazione4. A questi due scenari, però, se ne deve aggiungere un altro: quello in cui un coniuge chiede la separazione ed il giudice accerta che la comunione spirituale e materiale non si è mai instaurata. La possibilità, pure in questo caso, di ottenere una sentenza di separazione giudiziale emerge ove si svolgano tre brevi osservazioni: (i) anzitutto, l’espressione intollerabilità alla prosecuzione della convivenza, contenuta nell’art. 151, co. 1, c.c., è talmente generica da farvi rientrare anche il caso in cui l’intollerabilità deriva dal fatto che manca, ab initio, la comunione spirituale e materiale;
2
3
4
Si badi bene: il matrimonio si fonda sulla comunione spirituale e materiale non perché lo prescrive l’art. 1 l. n. 898/1970, ma perché l’affectio coniugalis si ricava dall’intera disciplina codicistica (v., in particolare, l’art. 143 c.c. sugli obblighi reciproci degli sposi). La disposizione della legge sul divorzio, semmai, ha il merito di “sintetizzare” un requisito essenziale del vincolo coniugale, la cui assenza il giudice del divorzio è chiamato ad accertare (questa sì che è una prescrizione nascente direttamente dalla ricordata disposizione). Sotto questo aspetto, dunque, non mi sembra condivisibile quanto affermato da Trib. Novara, 5.7.2018, in www. articolo29.it, secondo cui (proprio perché la l. n. 76/2016 non richiama il predetto accertamento da parte del giudice del divorzio) “l’esistenza ab origine e la conservazione di una comunione materiale e spirituale di vita tra le parti è del tutto priva di rilevanza nell’istituto dell’unione civile”. Invero, pure nell’unione civile sono previsti una serie di obblighi in capo ai contraenti (art. 1, co. 11, l. n. 76/2016): e questi obblighi costituiscono il substrato della comunione familiare che i contraenti instaurano. V. il sempre attuale contributo di L. Lenti, Il criterio per valutare l’intollerabilità della convivenza: la Cassazione abbandona le declamazioni ideologiche e disvela le regole operative, in Nuova giur. civ. comm., 2008, 4, p. 523 ss. Ai sensi dell’art. 151, co. 2, c.c., “il giudice, pronunziando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze, e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio”.
391
Giurisprudenza
(ii) inoltre, e la valutazione qui attiene ad un profilo logico-sistematico, non potrebbe concepirsi un sistema in cui la separazione giudiziale è consentita quando sopravviene la mancanza di comunione spirituale e materiale e non anche nei casi (più radicali) in cui questa comunione, nonostante il matrimonio, non si è mai costituita; (iii) infine, deve dirsi che la Suprema Corte ha enunciato a chiare lettere il principio per cui i coniugi hanno un diritto “costituzionalmente orientato di ottenere la separazione personale e di interrompere la convivenza”5; ed è evidente che questo diritto verrebbe gravemente leso qualora non si ammettesse la separazione giudiziale proprio quando il matrimonio è privo del suo carattere fondante. Può considerarsi raggiunto, così, un punto fermo: i coniugi hanno diritto di ottenere la separazione anche quando fra essi non si sia mai costituita la benché minima forma di comunione spirituale e materiale. Si può allora procedere oltre, affrontando ex professo la problematica al centro della pronuncia qui in commento: il coniuge economicamente più debole ha diritto all’assegno di mantenimento anche quando si accerti che non si è mai avuta l’affectio coniugalis? La risposta, muovendo dal dato normativo, deve essere negativa. In base all’art. 156, co. 1, c.c., “il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri”. Ebbene: (i) intanto, mantenere significa “far rimanere” qualcuno o qualcosa in una determinata condizione6. Affinché dunque vi sia il diritto all’assegno di mantenimento, vi deve essere necessariamente una determinata condizione da conservare (ossia la comunione spirituale e materiale); (ii) inoltre, aprendosi verso una valutazione più ampia dell’istituto matrimoniale, deve dirsi che il diritto all’assegno di mantenimento si fonda proprio sull’affidamento che ciascun coniuge ripone sulla comunione spirituale e materiale, la cui epifania si può rinvenire sin dal momento della celebrazione del matrimonio. E si tratta di un affidamento che non viene cancellato tout court neanche con la separazione, posto che il rapporto di coniugio continua a sussistere: semmai l’aspettativa iniziale si traduce in una più circoscritta pretesa di carattere economico a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio (o, meglio, prima della crisi familiare). Se, però, sin dall’inizio non vi è alcuna comunione spirituale e materiale, risulterà vano rinvenire un affidamento da tutelare in sede di separazione.
5
6
Cass., 9.10.2007, n. 21099, in Giust. civ., 2008, 3, I, p. 673. V. anche M. Sesta, Manuale di diritto di famiglia, 8a ed., Milano, 2019, p. 166, per il quale “anche la mera volontà di un coniuge di separarsi giustifica l’accoglimento della relativa richiesta; è significativo che in proposito la Cassazione, affermando la sussistenza del ‘diritto costituzionalmente fondato di ottenere la separazione personale’, sottolinei l’assenza di limiti alla volontà di uno dei coniugi di porre termine alla convivenza matrimoniale e dare avvio al percorso che può condurre, attraverso il successivo divorzio, alla definitiva rottura del vincolo”. Mantenére, www.treccani.it, Vocabolario on line.
392
Giovanni Iorio
Sotto questo aspetto, dunque, è vero che l’art. 156 c.c. costituisce la norma di riferimento al fine di stabilire se il coniuge abbia diritto alla corresponsione dell’assegno di mantenimento7; tuttavia va rammentato che il presupposto implicito per il riconoscimento di questo diritto (o, come pure può dirsi, per invocare la ricordata disposizione del codice civile) è costituito dall’accertamento dell’esistenza della comunione spirituale e materiale fra i coniugi.
3. La prova dell’affectio coniugalis e la rilevanza delle presunzioni.
Ci si deve domandare in che modo vada provata la comunione spirituale e materiale fra i coniugi. Converrà introdurre il discorso soffermandosi, solo per un momento, sulla questione definitoria; chiedendosi, cioè, cosa si intenda in concreto per comunione spirituale e materiale. Qui sarebbe poco utile divagare alla ricerca di sinonimi dell’espressione oggetto di studio. Deve ricordarsi, infatti, che il lemma “comunione spirituale e materiale” (contenuto nell’art. 1 della l. n. 898/1970) già di per sé riassume una serie di tratti che caratterizzano il vincolo matrimoniale. E questi tratti hanno il volto, principalmente, degli obblighi coniugali: obbligo di fedeltà, di assistenza morale e materiale, di collaborazione nell’interesse della famiglia e di coabitazione (art. 143, co. 2, c.c.). Sicché può dirsi che vi è comunione quando, nell’ambito della famiglia, i coniugi si mostrino rispettosi degli impegni che, solennemente, assumono al momento della celebrazione del matrimonio8. Questo preliminare chiarimento consente di tornare all’annunciato tema della prova. Ora, i coniugi, celebrando il matrimonio, si impegnano solennemente ad assumere gli obblighi previsti dalla legge. Ne consegue che si deve presumere la sussistenza, in costanza di matrimonio, della comunione spirituale e materiale. È ammessa, ovviamente, la prova contraria. Particolare rilevanza, in materia, assumono (più che le prove dirette) le presunzioni. Varranno, in particolare, i seguenti indici: (i) la durata breve (o brevissima) del matrimonio;
7
8
V. anche, fra le più recenti, Cass., 15.1.2018, n. 770, in Guida al dir., 2018, 18, p. 73, per la quale “il diritto all’assegno di mantenimento, nella separazione personale, ha come suoi presupposti la non addebitabilità della separazione al coniuge richiedente, la non titolarità, da parte del medesimo, di adeguati redditi propri, ossia di redditi che consentano di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio e la sussistenza di una disparità economica tra le parti. Il precedente tenore di vita coniugale deve desumersi dalle potenzialità economiche dei coniugi, ossia dall’ammontare complessivo dei loro redditi e dalle loro disponibilità patrimoniali, non avendo – invece – rilievo il più modesto livello di vita eventualmente subìto o tollerato”. La disposizione codicistica, si noti, richiede di considerare congiuntamente gli obblighi coniugali: sicché, ad esempio, la mera dazione di denaro, non accompagnata dall’assolvimento dei plurimi impegni cui si riferisce l’art. 143, co. 2, c.c., potrebbe escludere la sussistenza della “comunione spirituale e materiale”. È quello che si è verificato, a ben guadare, nel caso di specie, in cui la ricorrente ha inteso affermare la sussistenza dell’affectio coniugalis dimostrando il ricevimento di assegni postdatati, unitamente al percepimento di una somma di denaro subito dopo il matrimonio. Davvero poco per poter discutere di comunione spirituale e materiale.
393
Giurisprudenza
(ii) l’assenza di convivenza fra gli sposi; (iii) il verificarsi di episodi che si pongono in una situazione di “anormalità” rispetto allo svolgimento della vita coniugale. Ben può accadere che questi fatti si presentino congiuntamente, finendo per comporre un quadro indiziario grave, preciso e concordante, idoneo a fondare il convincimento del giudice (art. 2729, co. 1, c.c.). In realtà, è noto che, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, ai fini della decisione può essere sufficiente un solo elemento assunto a fonte di prova, non essendo necessaria la concorrenza di più elementi9. Si pensi, in particolare, alla prima delle presunzioni semplici sopra ricordate: se si accerta che il matrimonio è durato pochissimi giorni (un “soffio”), questo fatto potrà considerarsi sufficiente a provare, da solo, l’assenza di affectio coniugalis. Erra la ricorrente, pertanto, quando afferma in maniera semplicistica che i giudici di merito avrebbero male applicato l’art. 156 c.c., il quale non prevede una durata minima del matrimonio ai fini del riconoscimento del diritto al mantenimento10. Se è vero che il predetto articolo del codice non indica, meccanicamente, un lasso di tempo minimo, è anche vero che un matrimonio durato pochi giorni potrebbe costituire la prova che mai si è instaurata una comunione spirituale e materiale fra gli sposi. Ed è quello che è successo nel caso di specie, dove peraltro i giudici di merito hanno avuto modo di accertare pure altri significativi indici presuntivi (quali, appunto, l’assenza di convivenza e la dazione “anomala” di denaro). Ecco perché, in definitiva, le conclusioni cui giungono i giudici di legittimità nella sentenza in commento meritano approvazione11. Si potrebbe dire che, in questo modo, il coniuge economicamente più debole resta privo di tutela, non avendo egli diritto all’assegno di mantenimento all’esito della separazione. Si tratta di una preoccupazione che va ridimensionata. Ed infatti, qualora siano entrambi i coniugi ad escludere la comunione spirituale e materiale, gli stessi non potranno lamentare alcuna lesione dell’affidamento sul vincolo coniugale, che in realtà hanno voluto solo sulla carta. Allorché, invece, soltanto un coniuge abbia fatto affidamento (seriamente) sul rapporto matrimoniale, mentre l’altro sin da subito abbia disatteso ogni impegno e dedizione, al primo non resterà che domandare senza indugio la separazione: così facendo il coniuge “ingannato” non potrà dire di aver diritto a “mantenere” (almeno dal punto di vista economico) ciò che di fatto non è mai esistito. Imputet sibi, invece, qualora di fronte
9
Cass., 29.7.2009, n. 17574, in Mass. Giust. civ., 7-8, p. 1149. La stessa ricorrente (lo si apprende dalla lettura della motivazione della sentenza in commento) cita Cass., 8.1.2017, n. 1162, in Mass. Foro it., 2017, secondo cui in tema di separazione personale alla breve durata del matrimonio non può essere riconosciuta efficacia preclusiva del diritto all’assegno di mantenimento. 11 Per un precedente in termini v. Cass., 26.3.2015, n. 6164, in Dir. & Giust., 2015, 26 marzo: “l’assenza di alcuna comunione materiale e spirituale tra i coniugi esclude il riconoscimento dell’assegno di mantenimento”. In questo caso era stata respinta la richiesta della donna di riconoscimento dell’assegno di mantenimento a fronte di un matrimonio durato meno di cento giorni e di una convivenza più breve ancora (appena dieci giorni). 10
394
Giovanni Iorio
alla palese assenza dell’affectio coniugalis lo sposo o la sposa non si determinino subito a domandare la separazione. Resta inteso, comunque, che qualora la “disaffezione” di un coniuge si palesi attraverso comportamenti riconducibili alla clausola generale di cui all’art. 2043 c.c., la vittima dei fatti illeciti avrà diritto al risarcimento integrale dei danni subìti, patrimoniali e non patrimoniali.
4. Note conclusive: qualche possibile sovrapposizione con la “simulazione” del matrimonio. Appunti per la legge che verrà.
Qualche notazione conclusiva va svolta. La lettura della sentenza annotata permette di affermare, senza particolari forzature, che la coppia ha inteso “simulare” il matrimonio: e questo per avere reciproci vantaggi economici. È dunque suggestivo l’accostamento fra la separazione giudiziale (in cui il giudice finisce per accertare l’assenza di comunione spirituale e materiale) e l’istituto della simulazione di cui all’art. 123 c.c.12 Invero, approfondendo il discorso si deve dire che le due figure finiscono per non combaciare. E questo perché: (i) anzitutto, l’art. 123 c.c. fa riferimento necessariamente ad un accordo simulatorio dei contraenti il matrimonio. Il ricorso per separazione giudiziale, invece, può derivare certamente da un’intesa simulatoria fra i coniugi (come pare sia capitato nel caso di specie); ben può succedere, però, che il coniuge (magari dopo pochissimi giorni dal matrimonio) scopra il tradimento dell’altro e si determini a chiedere la separazione facendo valere l’assenza della comunione spirituale e materiale; (ii) inoltre, i termini per far valere la nullità del matrimonio simulato sono assai stretti (cfr. l’art. 123, co. 2, c.c.). Diversamente, non vi sono limiti di tempo per far valere (o eccepire), nel giudizio di separazione, l’intesa simulatoria; (iii) infine, il presupposto per far valere l’azione di nullità del matrimonio ex art 123 c.c. è che i coniugi abbiano convenuto di non adempiere agli obblighi e di non esercitare i diritti da esso nascenti. Qui l’azione di nullità muove proprio dal fatto che non si sia mai esercitato un diritto previsto per il vincolo coniugale. Diversamente, chi agisce con il ricorso per separazione giudiziale fa comunque valere un diritto (costituzionale) che discende dal matrimonio: è il diritto, lo si è detto in precedenza, ad ottenere la separazione e a interrompere la convivenza13.
12
Questo articolo stabilisce che “il matrimonio può essere impugnato da ciascuno dei coniugi quando gli sposi abbiano convenuto di non adempiere agli obblighi e di non esercitare i diritti da esso discendenti (1° co.). L’azione non può essere proposta decorso un anno dalla celebrazione del matrimonio ovvero nel caso in cui i contraenti abbiano convissuto come coniugi successivamente alla celebrazione medesima (2° co.)”. 13 V. § 2.
395
Giurisprudenza
Dalla lettura della sentenza, inoltre, si ricava un’ulteriore suggestione. Nel caso di specie i coniugi hanno raggiunto, prima del matrimonio, un accordo per regolare le loro questioni economiche. Ancorché né il petitum né il thema decidendum vertano sui termini di questo accordo, deve dirsi che essi hanno siglato un patto prematrimoniale. Ci si può chiedere, allora, che spazio abbia un’intesa di tal fatta nel diritto vigente e de iure condendo. Ragionando sul presente, non pare difficile affermare che un contratto di questo tipo sarebbe destinato alla declaratoria di nullità. Se già non sono ammissibili accordi tra i coniugi diretti a fissare, in relazione al futuro ed eventuale divorzio, le reciproche attribuzioni economiche14, a maggior ragione debbono considerarsi nulle quelle pattuizioni in cui gli sposi considerano il matrimonio una semplice questione di denaro. E in futuro? Nel 2019 si deve registrare la presentazione di una proposta di legge, al Senato della Repubblica (n. 1151), da parte del Governo. Si tratta di una proposta recante la “Delega al Governo per la revisione del codice civile” in materia di “stipulazione di accordi tra nubendi, coniugi nonché parti di una programmata o costituita unione civile, volti a regolamentare i rapporti personali e quelli patrimoniali, anche in previsione dell’eventuale crisi del rapporto”. Qui il riferimento sembra essere proprio alla regolamentazione dei patti prematrimoniali. Sarà il tempo a svelare se e in che modo questi accordi troveranno ingresso nel nostro ordinamento e diffusione nella prassi. Una cosa, sin d’ora, sembra potersi dire. Fino a quando l’istituto del matrimonio sarà normativamente fondato sulla “comunione spirituale e materiale” dei coniugi (e fino a quando, si aggiunga, questa espressione continuerà ad essere presa sul serio, senza essere relegata ad un’arcaica formula di stile), non potranno trovare spazio accordi fra i “coniugi” come quelli oggetto della sentenza che qui si è annotata. Accordi, cioè, che escludono dall’orizzonte della vita degli sposi l’affectio coniugalis. Il matrimonio non è un contratto do ut des da collocare in qualche Capo del Libro quarto del codice civile. È qualcosa di diverso. È qualcosa di più. Giovanni Iorio
14
V., per un completo aggiornamento sullo stato dell’arte (e con rilievi critici), M. Grondona, Il problema della (il)liceità degli accordi predivorzili tra (vecchia) polifunzionalità e (nuova) monofunzionalità dell’assegno di divorzio, in AA.VV., I nuovi orientamenti della Cassazione Civile, a cura di C. Granelli, 2018, p. 7 ss. L’A. commenta Cass., 30.1.2017, n. 2224, la quale discute di nullità di questi accordi “per illiceità della causa”.
396