Familia 4/2018

Page 1

2018 4 Familia

F

ISSN 1592-9930

amilia

4

Il diritto della famiglia e delle successioni in Europa

Rivista bimestrale

luglio - agosto 2018

D iretta da Salvatore Patti Tommaso Auletta, Mirzia Bianca, Maria Giovanna Cubeddu, Lucilla Gatt (vicedirettore), Fabio Padovini, Massimo Paradiso, Enrico Quadri, Carlo Rimini, Giovanni Maria Uda

www.rivistafamilia.it

IN EVIDENZA ¢ Assegno di divorzio: il «passo indietro» delle Sezioni Unite Salvatore Patti

¢ L’incerto diritto del minore alla propria famiglia Cristina Caricato

¢ The conquest of ubiquity, or: why we should not regulate commercial surrogacy (and need not regulate altruistic surrogacy either) Valentina Calderai

Pacini


Indice Dottrina Gerard Hohloch, Violenza nelle relazioni familiari: CEDU e “Gewaltschutzgesetz”. L’esperienza tedesca................................................................................................................................ p. 375 Jordi Ribot Igualada, Domestic violence and family crises: a perspective from Spanish Law.................» 387 Valentina Calderai, The conquest of ubiquity, or: why we should not regulate commercial surrogacy (and need not regulate altruistic surrogacy either)............................................................................» 397 Giurisprudenza Cass. civ., sez. I, 19 gennaio 2018, n. 1431 e Cass. civ., sez. I, 14 febbraio 2018, n. 3594 (con nota di Cristina Caricato, L’incerto diritto del minore alla propria famiglia).................................................» 409 Serena Bartolomucci (a cura di), Questioni di diritto civile all’esame delle Sezioni Unite. Gli effetti economici della crisi coniugale................................................................................................................» 433 Cass. civ., SS. UU., 11 luglio 2018, n. 18287 (con nota di Salvatore Patti, Assegno di divorzio: il «passo indietro» delle Sezioni Unite)..........................................................................................................» 455

373



Gerhard Hohloch

Violenza nelle relazioni familiari: CEDU e “Gewaltschutzgesetz”. L’esperienza tedesca* Sommario: I.

Introduzione. – 1. Il tema. – 2. La tutela statale. – 3. La Corte di Strasburgo e il caso “Talpis”. – 4. Diritto costituzionale e “diritto semplice”. – 5. Convenzioni internazionali. – 6. Diritto “semplice” tedesco: due “pilastri” legali. – 6.1. Diritto pubblico - Leggi di polizia. – 6.2. Diritto privato - Legge di protezione contro la violenza domestica. – 7. Lo strumentario della Legge di protezione contro la violenza. – 7.1. I presupposti giuridici fondamentali. – 7.2. Conflitti all’interno della famiglia. – 7.3. Protezione dei figli (Art. 3 GewSchG). 7.4. Esecuzione forzata. – 7.5. Sanzioni di diritto penale. – II. Esperienza tedesca odierna. – 1. “Protezione binaria”. – 2. Diritto penale. – 3. Diritto di polizia. – 4. Legge di protezione contro la violenza e giurisprudenza. – 5. Velocità e tempestività di intervento. – III. Sintesi.

Domestic violence is an international problem; its prevention and control are highly relevant in all European countries and beyond. European approach is particularly evident in the case law of the European Court of Human Rights. The legal measures of each member state of the Council of Europe are based on different approaches. An important German approach, in addition to the public law protection of the victim by the police, is the protection by civil law for the purpose of prevention and compensation. European approach and German one are the focus of the following article.

*

Relazione svolta al Convegno intitolato “Crisi e violenza nelle relazioni familiari secondo la giurisprudenza CEDU”, tenutosi a Roma in data 13 e 14 aprile 2018 ed organizzato dall’Osservatorio Nazionale di diritto di Famiglia in collaborazione con E.F.L. (European Association for Family and Succession Law).

375


Gerhard Hohloch

I. Introduzione. 1. Il tema.

Il tema della “violenza nelle relazioni familiari”, intesa sia come “violenza nel matrimonio” sia come “violenza tra genitori e figli”, non è nuovo. Questo vale per l’Italia, la Germania ed altri Paesi1. Nei sistemi giuridici europei esistono diversi mezzi per contrastare la violenza familiare. Il più potente, ma non necessariamente il più efficace, è rappresentato dalla legge penale, che – almeno in Germania – contempla nuovi e speciali reati. L’immediata risposta dello Stato prevede i mezzi di polizia in caso di minaccia diretta o imminente di tale violenza, ma l’intervento della polizia presuppone una risposta appropriata. Si segnalano, invece, carenze e inadeguatezze. Esempio tipico è la fattispecie oggetto della sentenza “Talpis” della Corte di Strasburgo (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo [CEDU]) del 20172. Per questa ragione, l’ambito applicativo delle norme di diritto di famiglia e di altre leggi civili è stato rafforzato ed ampliato negli ultimi anni. Ricorrendo ai rimedi di diritto privato, un membro della famiglia minacciato da violenza può idealmente ottenere – su sua richiesta e per conto proprio – la tutela statale necessaria all’interno della famiglia o contro terzi che sono al di fuori della famiglia. 2. La tutela statale.

Non sono nuove le problematiche né le circostanze per ottenere protezione da parte dello Stato. “L’autotutela” può essere legittima e forse efficace soltanto in casi estremi3. A ben vedere, il “monopolio della forza” (“Gewaltmonopol”) nella società odierna risiede nello Stato, anche quando si tratta di scongiurare o opporsi alla violenza contro l’individuo quale parte più debole della famiglia. 3. La Corte di Strasburgo e il caso “Talpis”.

Il cd. caso “Talpis” (CEDU, sez. I, 2 marzo 2017)4 ha dimostrato, in particolare per l’Italia, come gli aiuti di Stato nel caso specifico di pericolo e violenza possano arrivare troppo tardi, probabilmente a causa di inadeguatezze nelle azioni di polizia o di ritardi che possono essere imputati alla polizia. Ciò, tuttavia, non riguarda soltanto l’Italia; casi simili sono

1

Cfr. in generale (forme e statistiche di violenza domestica) il rapporto della European Union Agency for Fundamental Rights (FRA), Violence against Women: an EU-Wide Survey. Main Results Report, March 2014 (ed. J. Goodey). 2 Talpis v. Italy (application no. 41237/14), sentenza del 2 marzo 2017. 3 Cfr. § 229 BGB. Con riferimento alla causa di giustificazione della legittima difesa (Notwehr) o dello stato di necessità (Notstand), cfr. §§ 227, 228 BGB (v. artt. 2044 e 2045 c.c. italiano). 4 Cfr. nota n. 2

376


Violenza nelle relazioni familiari: CEDU e “Gewaltschutzgesetz”. L’esperienza tedesca

noti anche in altri Stati5. Il caso “Talpis” è dunque importante per tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa. Anzi, offre l’occasione per analizzare gli strumenti giuridici che l’Italia e i Paesi europei hanno a disposizione e per esaminare la loro efficacia. La mia relazione serve a dare un’idea della situazione attuale in Germania. 4. Diritto costituzionale e “diritto semplice”.

Permettetemi di iniziare la mia relazione sulla legge tedesca con riferimento al diritto costituzionale e ai trattati internazionali. Essi rappresentano la base della situazione giuridica prevalente in Germania: gli articoli da 1 a 20 della Costituzione tedesca ovvero della Legge fondamentale (“Grundgesetz”) contengono il catalogo dei diritti fondamentali. Questi sono concepiti come diritti soggettivi di base della persona nei confronti dello Stato e formano la struttura della legge tedesca come un sistema di valori oggettivi. Particolarmente rilevanti in tema di “violenza familiare” sono gli articoli 1 (rubricato “Inviolabilità della dignità della persona”), 2 (“Tutela del libero sviluppo della personalità”) e 3, paragrafo 2 (“Parità tra uomini e donne”). L’articolo 6 sancisce la tutela dei diritti fondamentali del matrimonio e della famiglia ovvero, sul piano individuale, la tutela della libertà di sposarsi e la previsione della c.d. “Amministrazione di controllo statale” (“Wächteramt”) per proteggere meglio gli interessi dei figli e degli altri membri più deboli della famiglia6. Questo istituto non è espressione di una visione paternalistica della famiglia da parte dello Stato, ma ha una finalità “protettiva”7. Sullo sfondo della vita familiare, che in linea di principio può essere modellata liberamente8, lo Stato deve limitarsi alla tutela di questa libertà e alla prevenzione dei pericoli per la vita familiare liberamente configurabile. In caso di minaccia o pericolo per la vita e per la salute dei membri della famiglia, lo Stato deve attivare la sua funzione di “controllore”. È inoltre necessario adire i tribunali e le autorità incaricate di tutelare la famiglia e i figli. Ciò è riconducibile alla “legge semplice”, sotto l’egida della Costituzione e dei suoi diritti fondamentali. Quando si parla di diritto penale o diritto privato, compreso il diritto di famiglia, si applica la legge federale; per quanto riguarda le leggi di polizia, la legge federale sancisce la competenza legislativa dei singoli Stati federali (“Bundesländer”). Per questo motivo esistono sedici leggi di polizia ovvero una legge per ciascuno Stato Federale. Per quanto riguarda il loro contenuto, le differenze sono minime.

5

Cfr. per la giurisprudenza della Corte di Strasburgo Aydin v. Turkey (application no. 22178/94), sentenza del 26 marzo 1997; M.C. v. Bulgaria (application no. 39272/98), sentenza del 4 dicembre 2003; Kontrová v. Slovakia (application no. 7510/04), sentenza del 31 maggio 2007; Bevacqua and S. v. Bulgaria (application no. 71127/01), sentenza del 12 giugno 2009; Branko Tomasic and v. Croatia (application no. 46598/06), sentenza del 15 gennaio 2009; Opuz v. Turkey (application no. 33401/02), sentenza del 9 giugno 2009. 6 In breve, cfr. Palandt/Brudermüller, BGB Kommentar 77, ed. 2018 Einleitung vor § 1297 BGB no. 7; Einführung vor § 1353 BGB no. 3 e § 1353 BGB no. 2-6. 7 Art. 2, par. 2 Grundgesetz (Legge Fondamentale). Cfr. Bundesverfassungsgericht (Corte Costituzionale Federale) in Neue Juristische Wochenschrift, 2004, 3407. In breve, v. Palandt/Brudermüller (nota n. 6) Einführung vor § 1626 BGB n. 2. 8 § 1356 BGB; cfr. Bundesgerichtshof (BGH) (Corte Federale Suprema), in FamRZ (Zeitshrift für das gesamte Familienrecht) 2016, 1142.

377


Gerhard Hohloch

5. Convenzioni internazionali.

Con riferimento alla legge tedesca, la convenzione internazionale più rilevante per il nostro tema è la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), che in Germania è stata considerata una semplice legge federale sin dalla sua ratifica. Tuttavia, a causa della sua “interpretazione dinamica” da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo, essa ha acquisito un rango quasi costituzionale in Germania per i diritti umani e le libertà fondamentali in essa sanciti9. Anche la giurisprudenza della Corte di Strasburgo è degna di rilievo per la Germania; ai sensi dell’articolo 34 della CEDU, ogni persona fisica può adire la Corte con un “ricorso individuale” rispettando le istruzioni enunciate dall’articolo 47 del regolamento della Corte, il quale indica le informazioni e i documenti da fornire. Tuttavia, questa previsione è limitata nella pratica da due circostanze: 1) in primo luogo, per la Germania e per tutti gli altri Stati membri del Consiglio d’Europa, la Corte non può essere adita se non dopo l’esaurimento delle vie di ricorso interne (art. 35, n. 1 CEDU)10; 2) poi, nello specifico per la Germania, il “ricorso individuale” (“Verfassungsbeschwerde”) alla Corte costituzionale federale di Karlsruhe consente di adire Strasburgo soltanto in casi particolari11. Ciò nonostante, il diritto di famiglia tedesco è stato modificato in singoli punti in risposta alle decisioni di Strasburgo che sollecitavano una riforma legislativa. La “Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica” è stata ratificata dalla Germania nell’ottobre 2017 ed è in vigore dal 1° febbraio 2018. La sua attuazione in Germania è soggetta alla legge di ratifica del 17 luglio 201712 che tuttavia non contiene alcuna disposizione sostanziale, ma si limita a ordinare l’applicazione della Convenzione da parte della Germania. Non esiste una “legge di attuazione” separata; la convenzione è attuata attraverso le norme esistenti o ancora da creare mediante altre leggi. Altre convenzioni di rilievo per il nostro tema ed in vigore per la Germania sono: 1) la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna (CEDAW); 2) la Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, conclusa a New York il 10 dicembre 1984; 3) il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, stipulato a New York il 16 dicembre 1966. Le convenzioni prevedono il ricorso individuale alla commissione competente. L’importanza pratica è limitata in proporzione alla prassi generale.

9

Cfr. Bundesverfassungsgericht (Corte Costituzionale Federale) in FamRZ, 2004, 1857; in breve, v. Palandt/Brudermüller (nota n. 6) Einleitung vor § 1297 BGB n. 8. 10 Cfr. Guida pratica sulle condizioni di ricevibilità (ed. in lingua italiana per la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (2014). 11 Per esempio, le sentenze CEDU (in lingua tedesca) in: FamRZ, 2006, 1817; FamRZ, 2008, 1319; 2011, 269 e 1715; Neue Juristische Wochenschrift Rechtsprechungsreport (NJW-RR), 2007, 1226 e 2009, 1585. Per l’effetto vincolante (Bindungswirkung) delle sentenze CEDU cfr. Bundesverfassungsgericht (Corte Costituzionale Federale) in FamRZ, 2005, 1233. In breve, v. Palandt/Brudermüller, (nota n. 6) Einführung vor § 1626 n. 3. 12 Gesetz zu dem Übereinkommen des Europarats vom 11 Mai 2011 zur Verhütung und Bekämpfung von Gewalt gegen Frauen und häuslicher Gewalt vom 17 Juli 2017, Bundesgesetzblatt 2017 I , 1026 (L. 17 luglio 2017, Gazzetta Ufficiale Federale 2017, I, 1026).

378


Violenza nelle relazioni familiari: CEDU e “Gewaltschutzgesetz”. L’esperienza tedesca

6. Diritto “semplice” tedesco: due “pilastri” legali. 6.1. Diritto pubblico - Leggi di polizia.

In Germania, l’applicazione della legge in materia di “violenza domestica e familiare” poggia su due pilastri. Il pilastro del “diritto pubblico” è rappresentato dalle leggi di polizia degli Stati federali. In casi di violenza particolarmente gravi, si applicano le norme pertinenti del Codice penale (“Strafgesetzbuch, StGB”)13. La legge di polizia trova applicazione per la soppressione o la prevenzione della violenza in famiglia quando la violenza si caratterizza come “disturbo dell’ordine pubblico”; nella prospettiva odierna, è stata fissata una certa soglia in modo che l’intervento della polizia nella casa familiare risulti giustificato. Le misure di polizia contro la violenza familiare sono il “divieto di accesso”, il “divieto di avvicinamento” o ingiunzioni di vario tipo, così come “l’espulsione da casa”, la “detenzione” e altre misure di coercizione immediata. La competenza spetta alle autorità di polizia delle città e dei comuni; se è necessaria un’azione immediata, è responsabile la polizia in servizio. Il controllo giudiziario è effettuato dai tribunali amministrativi e dai tribunali amministrativi superiori, cioè dalla “giurisdizione amministrativa”, poiché l’ambito di intervento della polizia è il settore pubblico; nei casi particolari di carattere penale, il controllo giudiziario spetta alla “giurisdizione penale” secondo le regole del Codice di procedura penale (“Strafprozessordnung, StPO”)14. 6.2. Diritto privato - Legge di protezione contro violenze domestiche.

Indipendentemente da ciò, esiste una tutela legale di diritto privato che mira a prevenire la violenza familiare o domestica. Il suo fondamento giuridico dal 2002 è la c.d. “Legge di protezione contro la violenza” (“Gewaltschutzgesetz”).15 I suoi regolamenti secondari (“Legge per la prevenzione della violenza nell’educazione”16, “Legge per il miglioramento dei diritti dei bambini”17) e le modifiche del Codice civile (§ 1361b BGB nuova versione) e del diritto processuale hanno migliorato la base giuridica delle misure di controllo e la legge processuale, consentendo di modernizzare e progettare in modo appropriato la legge sulla esecuzione forzata18.

13

V. infra II.2 (§ 238 StGB). V. per esempio § 27a par. 4 e 5 della Legge di polizia Baden-Wuerttemberg. 15 Gesetz zum zivilrechtlichen Schutz vor Gewalttaten und Nachstellungen - Gewaltschutzgesetz, GewSchG - (Legge relativa alla protezione civilistica contro violenze e persecuzioni - Legge contro le violenze, 11 dicembre 2001) (BGBl [Gazzetta Ufficiale Federale], 2001, I, 3513). 16 Gesetz zur Aechtung der Gewalt in der Erziehung del 2 novembre 2000 (BGBl, 2000, I, 1479). 17 Gesetz zur Verbesserung der Kindesrechte del 9 aprile 2002 (BGBl, 2002, I, 1239). 18 Cfr. Palandt/Brudermüller, (nota n. 6) GewSchG “Einl vor Art 1” N. 1-6 (p. 3152 ss). 14

379


Gerhard Hohloch

7. Lo strumentario della Legge di protezione contro la violenza. 7.1. I presupposti giuridici fondamentali.

I presupposti giuridici fondamentali del ricorso al diritto privato contro la violenza familiare e domestica sono contenuti negli articoli da 1 a 4 della Legge contro la violenza (“GewaltschutzG”). L’art. 1 elenca le misure giudiziarie di tutela contro la violenza (“Gewalt”) e la persecuzione (“Nachstellung”/“Stalking”). Il paragrafo 1 stabilisce le condizioni per prevenire un uso reiterato della violenza. Il paragrafo 2 disciplina l’impiego preventivo delle misure senza la necessità del verificarsi di un episodio di violenza. Le misure di cui all’art. 1 sono:

• divieto di accesso; • divieto di avvicinamento; • divieti di avvicinamento prolungati; • divieti di contatto; • divieti di molestie; • ordini di mantenere una certa distanza. L’art. 1 disciplina la tutela giuridica privata e prevede le azioni della (potenziale) vittima, classificate come reclami per delitti o azioni ingiuntive di carattere negatorio o quasi negatorio19. Tali azioni possono essere esercitate davanti ai Tribunali di Famiglia se c’è una questione di famiglia. È questo il caso della violenza domestica, per cui sono competenti i Tribunali di Famiglia20. Le azioni possono essere esercitate sia nel procedimento ordinario sia in quello più veloce dell’ingiunzione provvisoria. Quest’ultima ipotesi prevale nella prassi, considerata l’urgenza che regolarmente ricorre in tali casi. Il tribunale adotta opportune ingiunzioni che possono essere applicate conformemente alle norme di FamFG e ZPO21. L’esecuzione è effettuata dall’ufficiale giudiziario e, se del caso, con l’assistenza della polizia in uniforme22.

19

Cfr. § 823 BGB (norma generale di responsabilità per fatti illeciti) e § 1004 BGB (actio negatoria del proprietario); v. Palandt/ Brudermüller, (nota n. 6) § 1 GewSchG N. 4. 20 In Germania il “Familiengericht” (Tribunale della Famiglia) è dipartimento del cosidetto “Amtsgericht” (Tribunale del distretto). 21 Le norme che disciplinano i procedimenti innanzi al Tribunale della Famiglia sono contentute nel “FamFG” (Gesetz über das Verfahren in Familiensachen und in Sachen der freiwilligen Gerichtsbarkeit / Codice di procedura familiare e della giurisdizione volontaria); il regolamento del Codice di procedura civile è sussidiariamente applicabile. La competenza del Tribunale della Famiglia segue i § 111 no. 6 e § 210 FamFG. Per l’ingiunzione provvisoria v. §§ 49 ss. FamFG. Il valore delle cause è previsto dal § 81 FamFG e dai §§ 49, 41 FamGKG (Gesetz über die Gerichtskosten in Familiensachen / Legge sul valore delle cause familiari). 22 §§ 53 ss. e 95 FamFG; per il procedimento cf. Palandt/Brudermüller, (nota n. 6) Einleitung GewSchG n. 9 con ricca giurisprudenza.

380


Violenza nelle relazioni familiari: CEDU e “Gewaltschutzgesetz”. L’esperienza tedesca

7.2. Conflitti all’interno della famiglia.

Situazioni di conflitto all’interno della famiglia possono sfociare in atti di violenza perché le parti coinvolte vivono o comunque soggiornano in un appartamento comune, vale a dire a stretto contatto. Per questo motivo, l’art. 2 della Legge contempla – per la risoluzione dei conflitti tra le parti – la cessazione della situazione abitativa comune e prevede l’assegnazione dell’appartamento ad una sola parte. La regolamentazione giuridica è complessa, considerata la complessità della situazione. Il paragrafo 1, unitamente al paragrafo 4, stabilisce il principio secondo cui, su richiesta di una parte – di solito della potenziale vittima – può essere dato un ordine di alloggio alla vittima. La base dogmatica è la protezione contro fatti illeciti23. I presupposti sono, in linea di principio, quelli di cui all’art. 1, ossia il rischio imminente di un uso reiterato della violenza. Se tali condizioni sono soddisfatte, un ordine di cui all’art. 1 può essere integrato da un ordine di cui all’art. 2. È inoltre ammissibile un ordine isolato ai sensi dell’art. 2, ma meno frequente, poiché la protezione della vittima è incompleta in quanto non viene emesso alcun “divieto di avvicinamento” o “ordine di mantenere una certa distanza”. Gli ordini di cui all’art. 2 possono creare problemi quando l’unico proprietario o un co-proprietario deve essere espulso dall’appartamento poiché si interviene rispetto ad un titolo di proprietà. Tali interventi, tuttavia, non sono esclusi, ma vi è la necessità di considerarli specificamente nel singolo caso concreto24. Inoltre, è previsto che il proprietario espulso dall’appartamento per un periodo di tempo più lungo abbia diritto ad un risarcimento economico per l’uso da parte dell’altro, che può alloggiarvi da solo. Anche in questo caso, tuttavia, devono essere considerate eventuali difficoltà per la vittima, spesso priva di un’adeguata disponibilità economica25. 7.3. Protezione dei figli (Art. 3 GewSchG).

Gli articoli 1 e 2 disciplinano la protezione della vittima unita in matrimonio o da relazione stabile (“verfestigte Gemeinschaft”) con il trasgressore. L’articolo 1 contempla anche le norme sulla protezione delle persone adulte vittime di violenza nei confronti di terzi. La protezione dei figli vittime di violenza in ambito domestico o familiare è disciplinata dall’art. 3. La modalità di regolamentazione può inizialmente stupire, ma ha una sua logica. L’art. 3 prevede che i figli minorenni che si trovano in un contesto domestico o familiare con l’autore del reato non siano tutelati direttamente dagli articoli 1 e 2 della legge. Gli articoli 1 e 2 sono immediatamente applicabili nel caso in cui un figlio diventi vittima di un terzo al quale non sia legato da uno stretto rapporto di parentela. Nel caso della violenza o dell’uso imminente della forza in ambito domestico o familiare, deve essere prima

23

Cfr. sopra nota n. 19 e Palandt/Brudermüller, (nota n. 6) Art 2 GewSchG N. 1 e 2. V. anche la disposizione parallela di § 1361b BGB (nuova versione). 24 Cfr. Oberlandesgericht (Corte d’appello) Celle 25.10.2012 – 10 WF 310/12 -. 25 V., ad esempio, Oberlandesgericht (Corte d’appello) Hamm 11.05.2005 – 11 WF 135/05 -; Oberlandesgericht (Corte d’appello) Stuttgart (Stoccarda) 16.12.2014 17 UF 142/14.

381


Gerhard Hohloch

accertata la potestà genitoriale da cui derivano diritti e obblighi nei confronti del figlio. È quindi prioritaria l’applicazione del § 1666 BGB. Se necessario, può essere richiesta l’applicazione delle norme di cui all’art. 1 nei confronti del figlio. Se l’autore del reato è un terzo, il minore ha anche diritto alle azioni previste dall’articolo 126. Nel rapporto genitore-figlio, tuttavia, il figlio può anche non essere considerato come potenziale vittima. I figli adolescenti possono talora assumere il ruolo di autori della violenza nei confronti di un genitore o di entrambi. La legge sulla protezione contro la violenza può applicarsi anche in questi casi. Il diritto al benessere dei giovani prevede misure di sostegno per i genitori quando non siano in grado di relazionarsi con un figlio violento e aggressivo. Nei casi estremi, si può accedere anche alle misure di cui all’art. 1, in modo che il Tribunale della Famiglia possa ingiungere il divieto di avvicinarsi o imporre altre misure. Si pensi anche agli “incontri assistiti” con la partecipazione di assistenti sociali o uffici giudiziari minorili. 7.4. Esecuzione forzata.

Per la protezione contro la violenza domestica e familiare la legge prevede misure di prevenzione speciale e generale. Nonostante la somiglianza agli articoli da 1 a 3 della “GewaltschutzG”, c’è una certa vicinanza ai regolamenti a tutela dell’interesse pubblico secondo la legge di polizia27. Con riferimento al diritto privato, tuttavia, la legge sulla violenza ha abbassato la soglia che deve essere superata per l’intervento statale in ambito domestico. In questo modo, la legge si applica anche se un ordine di polizia non può essere emesso, perché non c’è “disturbo della pubblica sicurezza”. Altrettanto importante per l’efficacia della legge è la possibilità di esecuzione forzata di ordini giudiziari. Il regolamento è contenuto nei §§ 53 e 96 FamFG28. È anche prevista la coercizione immediata e può essere richiesta l’assistenza della polizia. La legge nei confronti del partner si applica anche in presenza di figli, ma devono essere adottate particolari precauzioni per tutelare lo stato psicologico dei minori. 7.5. Sanzioni di diritto penale.

Nell’ultimo articolo della legge, ovvero l’art. 4, è prevista una disposizione di diritto penale. La violazione di un ordine esecutivo della Corte è punibile con la reclusione fino ad un anno o con una multa di importo illimitato. L’applicabilità di altre leggi penali rimane inalterata. L’articolo 4 è applicabile in quanto si ritiene sufficiente la violazione colpevole di un ordine esecutivo per ottenere una condanna. Non sono contemplati altri reati29.

26

Cfr. Oberlandesgericht (Corte d’appello) Karlsruhe, in FamRZ, 2012, 460; c.d. “protezione binaria” . V. par. 6.1. 28 V. par. 6.2; e nota n. 22. Oberlandesgericht (Corte d’appello) Hamm 30.01.2015 – 2 WF 232/14. 29 Cfr. l’elenco della ricca prassi delle Corti e dei Tribunali in: https://dejure.org/dienste/lex/GewSchG/4. 27

382


Violenza nelle relazioni familiari: CEDU e “Gewaltschutzgesetz”. L’esperienza tedesca

II. Esperienza tedesca odierna. 1. “Protezione binaria”.

La prassi tedesca odierna prevede da un lato l’intervento della polizia allo scopo di difendere e combattere la violenza familiare sulla base delle leggi di polizia e, dall’altro, il coinvolgimento dei tribunali (Tribunale della Famiglia e Tribunale civile) in base alla Legge sulla protezione contro la violenza (“GewaltschutzG”) e del Codice civile e delle azioni individuali della vittima ovvero la c.d. “protezione binaria” (“zweispuriger Rechtsschutz”)30. 2. Diritto penale.

L’esercizio dell’azione penale, d’altro canto, rischia di essere ai margini della prassi quotidiana e di limitarsi ad un uso particolarmente grave della violenza. Esso riguarda principalmente atti violenti di aggressione verso l’altro, reati sessuali e omicidi o tentati omicidi ed anche lesioni corporali31. Non dobbiamo dimenticare i casi di molestia persistente ai sensi del § 238 Codice penale (“Nachstellung”/”stalking”). Tali episodi stanno attualmente catalizzando in particolare l’attenzione dei media32. 3. Diritto di polizia.

Nel caso specifico, per la prevenzione della violenza imminente o l’immediata cessazione della violenza familiare, l’intervento della polizia è necessario e giustificato secondo la legge tedesca, nel caso in cui altri rimedi non siano sufficienti. Il fondamento giuridico deriva dalle leggi della polizia dei “Länder”. La finalità principale di queste leggi è la salvaguardia della legge e dell’ordine pubblico. Le leggi dei singoli “Länder” differiscono soltanto nei dettagli33. Queste leggi oggi sanciscono la disciplina legale delle diverse misure che la polizia può adottare per mantenere la sicurezza e l’ordine. Tali misure comprendono anche quelle individuali di espulsione (“Platzverweis”), il divieto di residenza (“Aufenthaltsverbot”), il divieto di accesso alle abitazioni (“Abstandsgebot”), il divieto di rimpatrio (“Rückkehrerbot”) e il divieto di avvicinamento (“Näherungsverbot”). Una regolamentazione esemplare è prevista, ad esempio, dal § 27a della legge di polizia del BadenWürttemberg. Queste misure non mirano specificamente alla tutela contro la “violenza in famiglia”, ma possono essere adottate a tal fine, poiché siffatta violenza costituisce, in

30

Cfr. nota n. 26. V. §§ 174 ss StGB (Codice penale) – Reati contro la autodeterminazione sessuale –; §§ 211 StGB ss – Delitti contro la vita –; §§ 223 StGB ss – Lesioni corporali. 32 V., per esempio, https://www.focus.de “Stalking” (fOCU-online). 33 Successivamente si considera la Legge di polizia di Baden-Wuerttemberg – dove è situata Friburgo/Brisgovia – del 13 gennaio 1992 (Gazzetta Ufficiale di Baden-Wurttemberg 1992, 1 [versione attuale del 4 aprile 2018]. 31

383


Gerhard Hohloch

linea di principio, anche un disturbo dell’ordine pubblico34. Queste misure di polizia sono soggette alla legge di polizia secondo il principio di proporzionalità. Gli agenti di polizia chiamati da una famiglia devono quindi considerare sul posto se possa essere sufficiente ed efficace una misura meno restrittiva. L’intervento degli agenti può avere successo, ma in alcuni casi non sortire effetti concreti35. A tal proposito, va ricordato il caso “Talpis”. L’intervento della polizia è spesso di ostacolo e non sempre efficace in situazioni complesse36. Infine, è importante per la valutazione degli ordini di polizia ai sensi del § 27a POLG BaWü che essi siano limitati nel tempo. In linea di principio, i divieti di soggiorno durano tre mesi. L’espulsione dall’appartamento è limitata ad un massimo di quattro giorni nella dichiarazione compilata dal funzionario di polizia locale, altrimenti ha una durata di due settimane. È pertanto necessario il rapido ricorso al Tribunale della Famiglia in base alla Legge di Protezione contro la violenza (“GewaltschutzG”), che la polizia non è autorizzata ad applicare a causa della natura civile delle norme. Si assiste, dunque, alla interazione della Legge di polizia al fine di garantire una celere protezione dalla violenza. Per questo, la persona minacciata deve prendere l’iniziativa. Allo stesso tempo, l’intervento della polizia non sempre vale ad impedire un errore di valutazione della situazione con conseguenze dannose; in tal caso, è previsto l’indennizzo o il risarcimento37. In caso di lesioni fisiche o psicologiche significative, si possono applicare anche le norme dell’“Opferentschädigungsgesetz” (“Legge relativa al risarcimento delle vittime”)38. Esse incidono sulle prestazioni pensionistiche statali in caso di lesioni permanenti dovute all’uso della forza. 4. Legge di protezione contro la violenza e giurisprudenza.

Il fulcro della prassi tedesca è quindi la giurisprudenza derivante dall’applicazione della Legge di protezione contro la violenza. Ci sono diverse decisioni dei tribunali pubblicate a partire dal 200239; molte sono relative ai §§ da 1 a 4 della Legge di protezione contro la violenza. Inoltre, ci sono anche numerose decisioni pronunciate dai Tribunali amministrativi che si occupano della revisione dei divieti di residenza della polizia. Entrambi gli aspetti mostrano la dimensione del problema della “violenza domestica” e dello “stalking” (in luogo pubblico e con incidenza nella sfera domestica). I rimedi di diritto privato offerti dalla Legge sulla protezione contro la violenza coprono in linea di principio le misure di protezione necessarie, in modo che, se adeguatamente impiegati, la tutela della persona

34

V. già sopra par. I.2 e 4. Cfr. BKA (Bundeskriminalamt) Polizeiliche Kriminalstatistik 2017 dell’8 maggio 2018. 36 Sulla base dell’art. 34 della Legge Fondamentale e del § 839 BGB (“Staatshaftung/Responsibilità dello Stato per delitti dei suoi funzionari”). 37 V. nota n. 36. 38 Gesetz über die Entschädigung für Opfer von Gewalttaten (Opferentschädigungsgesetz - OEG) Neugefasst durch Bek. v. 7.1.1985 (BGBl. 1985, I, 1). 39 Cfr. per esempio l’elenco di “dejure.org” Gewaltschutzgesetz Art. 1-4 “Rechtsprechung”. 35

384


Violenza nelle relazioni familiari: CEDU e “Gewaltschutzgesetz”. L’esperienza tedesca

può essere garantita con l’adozione dell’ordine appropriato. Altrettanto importante è la disposizione della assegnazione dell’appartamento, ai sensi dell’art. 2, al partner minacciato, il cui particolare bisogno di protezione si evince proprio da questo. Tale disposizione si applica anche contro il proprietario dell’appartamento40. Ugualmente in caso di minaccia per proteggere un figlio minore appartenente alla coppia. Non fa alcuna differenza che i presupposti legali siano altri (§ 1655 BGB, §§ 1, 2, 3 della Legge sulla protezione contro la violenza)41. La mia conclusione è che la normativa tedesca non richiede attualmente alcuna riforma o emendamento utile. Ciò si evince già dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e dalla necessità di tenere conto della protezione della famiglia e dell’integrità fisica. Gli errori nella valutazione dei singoli casi non rappresentano un errore di sistema, ma evidenziano che la comunicazione con le autorità deve essere più intensiva. Per queste ragioni, ritengo che non sia necessario prevedere un atto esecutivo a parte per la “Convenzione di Istanbul”42. I regolamenti della Convenzione sono in già in gran parte in vigore nel diritto tedesco; altre disposizioni della Convenzione non incidono sulla situazione in Germania. L’«organismo d’intervento» dell’accordo può essere istituito presso l’Ufficio Federale di Giustizia di Bonn (“Bundesamt für Justiz”), che ha la competenza di “Ufficio centrale” (“Zentralstelle”)43. 5. Velocità e tempestività di intervento.

Il caso “Talpis” ha dimostrato le conseguenze disastrose di un errore di valutazione dell’urgenza e della gravità di una situazione. Tale errore di valutazione può verificarsi in qualsiasi Paese. La comunicazione tempestiva tra tutte le parti può aiutare; tuttavia, non si deve trascurare che tale comunicazione non è agevole e che i suoi limiti sono evidenti in caso di violenza domestica. Ciò non è prontamente percepibile dallo Stato e dalle sue autorità. In Germania la polizia e i tribunali sono generalmente consapevoli della necessità della tempestività dell’intervento. La giurisprudenza amministrativa dimostra che i tribunali possono in gran parte approvare le azioni della polizia. Per quanto riguarda la Legge sulla protezione contro la violenza (“GewaltschutzG”) e le misure di diritto privato che essa contempla, si deve precisare che la sua applicazione è adeguata al caso specifico. La procedura dell’ordine provvisorio del Tribunale della Famiglia ai sensi dei §§ 53 e ss. FamFG44 è importante per i seguenti motivi. Tale ordine può essere rilasciato dal Tribunale della Famiglia in breve tempo, nel giorno stesso in cui il caso specifico si verifica. È sufficiente che la vittima sia credibile45, non si richiede necessariamente l’acquisizione formale di pro-

40

V. par. I., 7.2. V. par. I., 7.3 e 7.4. 42 Cfr. par. I., 5. 43 Per l’indirizzo e le funzioni (Bundesamt für Justiz Adenauerallee 99-103 D 54113 Bonn) v. Bundesamt für Justiz.de “Startseite”. 44 V. nota n. 21. 45 C.d. “Glaubhaftmachung”. 41

385


Gerhard Hohloch

ve. Se opportuno, si può ricorrere anche alla procedura ordinaria; ciò è particolarmente utile nel caso in cui sia richiesto l’appartamento e debba considerarsi un risarcimento per il suo uso. La prassi giudiziaria mostra una durata generalmente breve del procedimento, anche se le istanze più frequenti sono commutate in reclamo. La Corte Suprema Federale (“BGH”) è difficilmente influenzata da queste procedure.

III. Sintesi. Riassumo le mie osservazioni come segue. La decisione “Talpis” ha rilevanza per la Germania, almeno in forma indiretta. Incoraggia gli sforzi delle autorità per la comunicazione iniziale e per l’interazione necessaria. D’altra parte, non modifica le norme vigenti in materia di azioni di polizia. Ciò vale anche per la Legge sulla protezione contro la violenza, che è uno dei fondamenti del diritto tedesco in conformità alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Le suddette norme rientrano nel quadro della tutela dell’integrità fisica e del libero sviluppo della personalità e garantiscono la tutela della proprietà e della vita familiare. Ciò pone limiti all’intervento statale. Ecco perché è particolarmente importante una corretta valutazione della situazione. Questo vale sia per la polizia sia per i tribunali. In Germania non si prevede una riforma immediata. Gli strumenti giuridici del diritto di polizia e del diritto privato possono essere efficacemente impiegati. I relativi requisiti devono essere conosciuti, in modo da consentire, nel caso specifico, di intensificarne l’uso il più rapidamente possibile contro la violenza imminente o già esistente.

386


Jordi Ribot Igualada

Domestic violence and family crises: a perspective from Spanish Law* Sommario: I. Introduction. – 1. Protection orders. – 2. Violence and Family Cri-

sis. – 2.1 General issues. – 2.2 Parental authority. – 2.3 Custody. – 2.4 Visitation rights. – 3. Critical assessment of the application of Organic Act 1/2004.

This paper provides a brief overview of how Spanish law deals with the measures directly aimed at the prevention of domestic violence and gender-based violence against women, and the connection between criminal law issues and the civil law arrangements in family crises. Special attention is paid to the influence of allegations of gender-based violence on the granting of parental responsibilities and custodial or visitation rights to the alleged perpetrator, and to potential gaps in protection which may entail violations of international human rights obligations as laid down in the Istanbul Convention on preventing and combating violence against women and domestic violence.

I. Introduction. The transition from “domestic violence” to “gender-based violence against women” is visibly illustrated by developments in Spanish criminal law. Initially, the Spanish Parliament provided for a harsher criminal law response to family violence by creating a new type of crime under the label of “permanent violence in family households”1. In 2003, the regulation of domestic violence protection orders was

*

Relazione svolta al Convegno intitolato “Crisi e violenza nelle relazioni familiari secondo la giurisprudenza CEDU”, tenutosi a Roma in data 13 e 14 aprile 2018 ed organizzato dall’Osservatorio Nazionale di diritto di Famiglia in collaborazione con E.F.L. (European Association for Family and Succession Law). 1 See Art 153 Penal Code, as amended by Organic Act 14/1999, of 9 June, modifying the Penal Code and the Criminal Procedure Act as regards the protection of victims of abuse (BOE no. 138, 10 June 1999.

387


Jordi Ribot Igualada

expanded to convert them into a comprehensive remedy for victims, including both civil and criminal law measures2. The scope of application of these rules is domestic violence, which embraces violence against a current or former spouse or partner – but also against children or stepchildren, parents, siblings or any other person living under the same roof, regardless of whether the victim was a woman or a man. In 2004, however, the new socialist government decided to take new steps in the fight to eliminate violence against women, with the conviction that this is the worst expression of gender inequality. Accordingly, the Spanish Parliament approved a new comprehensive legal instrument: Organic Act 1/20043. From a legal standpoint, the most important changes brought about by this Act were (a) the aggravation of punishment for men’s acts of gender-based violence against women4 and (b) the creation of special courts (Courts of Violence against the Woman)5, which are responsible for dealing with all criminal issues connected with gender violence against women, but also with civil matters concerning family legal relationships that involve the victim and the alleged perpetrator6. The scope of application of Organic Act 1/2004 is strictly defined by the fact that the victim is a woman and the alleged perpetrator of the violent acts is her current or former male partner7. If a situation of domestic violence does not match this legal description of gender-based violence, none of the above mentioned special protection measures will be applicable. However, in 2015 the Act was amended to consider battered women’s children as victims of gender-based violence8. Future changes are very likely as a result of the need to accomodate Spanish law to the concepts of the Istanbul Convention, which goes beyond intimate partner violence9.

2

See Art 544 ter 7 Criminal Procedure Act, as laid down by Act 27/2003, of 31 July, on protection orders for domestic violence victims (BOE no. 183, 1 August 2003), and which supplemented Art 544 bis Criminal Procedure Act. 3 Organic Act 1/2004, of 28 December, on integrated protection measures against gender-based violence (BOE no. 313, 29.12.2004). 4 See especially Art 153.1 Penal Code with reference to the condition that the victim is or has been “the spouse or the woman bound to him in an analogous relation of affection, even without cohabiting” (see above note 3). This provision was deemed constitutional and not discriminatory against men by a number of judgments of the Constitutional Court, starting with no. 59/2008, of 14 May, and no. 98/2008, of 24 July. 5 Art 43-56 Organic Act 1/2004. 6 Art 87 ter 2 Organic Act 6/1985, of 1 July, on Judicial Power (as amended by Art 44 Organic Act 1/2004). 7 The victim is a woman abused by a man who is or has been her spouse, or with whom she is or has been engaged in a similar close emotional relationship, even without having lived together (i.e. husband, male cohabitant or boyfriend). See Art 1.1 Organic Act 1/2004. 8 See now Art 2.1 Organic Act 1/2004 as amended by Organic Act 8/2015, of 22 of July, which modifies the system of child protection (BOE no. 175, 23 July 2015). 9 See Art 3 a) Istanbul Convention.

388


Domestic violence and family crises: a perspective from Spanish Law

1. Protection orders. The main legal instruments to prevent violence against women and to protect victims of domestic violence are protection orders10. The most interesting feature of protection orders is that they are independent from criminal proceedings, in the sense that the victim may ask for one irrespective of her willingness to lodge a complaint against the alleged offender. It must be stressed, however, that criminal courts are the only ones with jurisdiction to issue protection orders. Compared to Italy or Germany, Spanish law does not include a procedural legal framework in which temporary protection orders can also be issued by civil courts in cases of domestic or intimate partner violence. In a context of domestic violence, the woman may ask a civil court for the assignment of the right to use the family home. This order may imply the eviction of her husband from the family home. However, this procedure is considered a preliminary step within a divorce or legal separation procedure11. Accordingly, the continuation of the order is conditioned upon filing a divorce or separation petition in a very short period of time. In addition, these rules are not available for non-married couples. Despite their notional independence from criminal proceedings, protection orders are in fact part and parcel of them: in all cases the issuance of a protection order is linked to allegations or indications of criminal acts committed by a spouse or partner. In other words, it is a measure connected with the investigation and prosecution of a crime. Accordingly, if criminal charges are dismissed for whatever reason, or the defendant is acquitted, the protection order must end12. Conversely, if he is convicted, the order may remain for some time after the end of the penalty. A protection order may be issued ex officio by the judge, after notice of a crime given by the police, the healthcare services or the social services. In practice, however, it is typically served at the request of the victim herself or, more rarely, of family members living in the same house. The public prosecutor may also ask for a protection order, although this is not so usual. The petition is examined by the Court of Violence against the Woman –or by the criminal court in service, if the petition is filed after office hours – in a fast-track emergency procedure including a judicial hearing with both the victim and the alleged perpetrator that must take place within 72 hours13. Note that Spain does not have a so-called emergency restraining order (as it is known in Austria or Germany). As a result, immediate

10

See Art 544 ter Criminal Procedure Act and Art 62 and 64 Organic Act 1/2004. Articles 104 Civil Code and 771 Civil Procedure Act. 12 The judgment of the Constitutional Court no. 16/2012, of 13 of February, declared that continuity of the protection order is exceptional, and must be specially justified. 13 Art 544 ter 4 II in fine Criminal Procedure Act. 11

389


Jordi Ribot Igualada

short-term protection of the victim must be ensured by an arrest in cases where the victim is under threat and her immediate safety needs to be secured before the protection order is issued. Some studies have found that there may be gaps in protection in those cases in which the police does not arrest the perpetrator, especially if the behaviour of the perpetrator is not considered serious enough to meet the threshold criteria for an arrest14. Other sources point to limited judicial resources in rural areas, where protection orders may not be issued on short notice15. Granting the order requires an objective situation of risk, which flows from indications that the accused has committed a crime against life, physical or psychological integrity, sexual freedom, or the freedom or safety of the victim. In practice, the risk is assessed by the police using a brief assessment tool under defined protocols especially designed to deal with violence against women16. Statistics show that around two-thirds of the petitions are granted, although specialised courts tend to issue far less (about one-third)17. The order can provide for different types of measures, which are related to the risk assessment made by the judge. On the one hand, preventive measures are linked to criminal proceedings, including an order of indefinite imprisonment. Most frequently, however, courts issue temporary restraining orders prohibiting the accused from communicating with or approaching the applicant directly or through third persons, ordering him to keep a specified distance away from the applicant, her children, her family, her residence, her place of work or any other place she might visit or frequent, and including the obligation to abandon the family home. Besides that, at the petition of the woman, the court may also order interim civil measures concerning the use of the family home, the exercise of parental responsibilities, custody and visitation rights with minor children and child support. In practice, this provides an advantage to protection order applicants insofar as they do not need to wait for a family court hearing, which in some cities takes from eight months to one year. The measures can be ordered ex parte but are limited to 30 days. If no family proceedings ensue, the measures shall end. As a result, if the victim has not yet decided whether or not to seek a divorce, the arrangements made by the Court of Violence against the Woman will cease to govern the personal and economic situation of the parties.

14

See R. Logar, J. Niemi, Emergency barring orders in situations of domestic violence: Article 52 of the Istanbul Convention, a collection of papers on the Council of Europe Convention on preventing and combating violence against women and domestic violence ( June 2017), 40. 15 See L. Kelly, C. Hagemann-White, T. Meysen, R. Römkens, Realising rights: Case studies on State responses to violence against women and children in Europe, London: Child and Woman Abuse Unit, London Metropolitan University, 2011, 81. 16 See Instruction of the State Secretary for Security 7/2016, of 8 of July, approving the protocol for police assessment of gender-violence risk against women according to Organic Act /2004 and the management of the safety measures for victims. 17 According to data of the Observatorio contra la Violencia de Género y Doméstica, a think tank of the General Council of the Judiciary, in 2017 68% of the protection orders requested were issued (see Datos de denuncias, procedimientos penales y civiles registrados, órdenes de protección y medidas de protección y seguridad solicitadas en los juzgados de violencia sobre la mujer y sentencias dictadas por los órganos jurisdiccionales en esta materia en el año 2017 at p. 10) Annual reports available at <http://www. poderjudicial.es>.

390


Domestic violence and family crises: a perspective from Spanish Law

The enforcement of protection orders is supported by the fact that intentional noncompliance is a crime. Violation of a protection order may also trigger consequences such as changing arrangements made for parents and children and, if serious risk exists18, it justifies the man’s arrest. A particular problem is that more often than not the victim agrees to meet her partner after the protection order is issued. By so doing, she faces the risk of being prosecuted as an accomplice or even an instigator of the crime of breaking the order. From the very beginning of the application of Organic Act 1/2004, public prosecutors have abstained from pursuing criminal actions against women for this reason. However, on occasion, this has happened, and courts have approved severe punishment for victims19.

2. Violence and Family Crisis. 2.1 General issues.

As soon as there are indications of an act of gender-based violence, and a protection order has been issued or investigations have been launched, the Courts of Violence against the Woman have exclusive jurisdiction to deal with the civil proceedings between the alleged victim and the perpetrator concerning the nullity of marriage or legal separation and divorce. They also handle civil proceedings connected to responsibilities of unmarried parents over their common children20. Civil courts must decline their jurisdiction and avoid examining a matrimonial or parental action in favour of the Court of Violence against the Woman unless the civil proceedings had reached their final stage (juicio oral)21. Once the criminal court is considered competent, it holds jurisdiction even if the husband is acquitted22. The same court must deal with any further actions that either party may file in the future to amend the arrangements approved by the judge. The rationale behind these controversial rules on jurisdiction23 is that the special courts are deemed to have a better understanding of intimate partner violence than courts de-

18

Objectively assessed and identified: see Constitutional Court no. 62/2005, of 14 of March (in this case the judge ordered temporary arrest and provisional imprisonment of the husband, without assessing the actual risk that he represented for his wife). 19 See the judgments of appellate courts of Granada (2nd) 15 June 2012, 26 November 2010 and 7 February 2014 and Barcelona (20th) 7 February 2013; but see also Barcelona (20th) 26 March 2013 and 20 November 2015 (holding the contrary view). 20 Art. 87 ter Organic Act on Judicial Power (as amended by Art 44 Organic Act 1/2004). 21 See Art 49 bis 1 Civil Procedure Act (as amended by Art 57 Organic Act 1/2004). The resolution of the Supreme Court (Civ.) 30 October 2012 indicated that the jurisdiction of the Court of Violence against the Woman in civil matters ends when the parties have been summoned to present their pleadings before a court hearing already scheduled. 22 I. Viteri Zubia, La trascendencia de la violencia de género en los procesos matrimoniales de separación y divorcio, in Revista de Derecho de Familia, no. 60/2013. 23 The issue was hotly contested by the Council of Judicial Power during the passing of Organic Act 1/2004. See the references in Mª Paz García Aburuza, La violencia doméstica desde el ámbito civil, in Revista Aranzadi Doctrinal, no.11/2010. See also M. P. García Rubio, El marco civil en la violencia de género, in M. de Hoyos (dir.), Tutela jurisdiccional frente a la violencia de género: aspectos

391


Jordi Ribot Igualada

ciding family matters. Most importantly, for practical reasons it was necessary to improve the coordination of measures flowing from criminal proceedings with orders concerning the family home, custody arrangements and other matters issued from family courts, and to avoid inconsistent results among different types of court24. Family mediation is prohibited expressis verbis by Spanish law in all cases before the Court of Violence against the Woman25. 2.2. Parental authority.

In case of separation or divorce, both parents hold joint parental authority but not the exercise of it26. However, a number of important decisions about child rearing – medical treatments, education, religion or residence – must be shared by the parents holding parental authority, regardless whether they both exercise that authority. The removal or deprivation of parental authority from the alleged offender is not feasible in emergency protection orders or during preliminary investigations. Courts consider that this decision, with such serious consequences, cannot be taken at this preliminary stage without a full hearing including substantial evidence supporting the grounds for deprivation. The presumption of innocence must prevail over problems caused by the possible veto of the violent parent27. However, even in cases when a guilty verdict for gender-based crimes is reached, criminal courts tend to suspend parental authority only in the most serious incidents28. Suspension of parental authority is possible in all legal proceedings.29 In practice, however, these measures are seldom ordered by courts. Both courts and prosecutors consider that these measures must only be taken if needed to protect children, and provided that it is in the best interest of the children involved30. They are neither automatic nor presumed to be in the children’s interest. On occasion, this restrictive approach has led to problems. In cases where minor children exposed to domestic violence needed psychological treatment, some psycholo-

procesales, civiles, penales y laborales, Lex Nova, Valladolid, 2009, 155. See also Comisión de Seguimiento de la Implantación de la Orden de Protección de las Víctimas de Violencia Doméstica, Protocolo de coordinación entre los órdenes jurisdiccionales penal y civil para la protección de las víctimas de violencia doméstica (23 January 2004) <Available at http://www.poderjudicial.es/cgpj/es/Temas/Violencia-domestica-y-de-genero/Guias-y-Protocolos-de-actuacion/ Protocolos/Protocolo-de-coordinacion-entre-los-ordenes-jurisdiccional-penal-y-civil-para-la-proteccion-de-las-victimas-de-violenciadomestica>. 25 Art 87ter (5) Organic Act on Judicial Power, as amended by Article 44 Organic Act 1/2004. See the more nuanced approach of Article 48 Istanbul Convention. Concerning the use of voluntary mediation see § 32(b) CEDAW 35/2017. 26 See Article 156 V Civil Code. 27 See Supreme Court (Civ.) 25 November 2016. 28 See Supreme Court (Crim.) 30 September 2015 (attempted murder of the mother). 29 See Article 65 Organic Act 1/2004. 30 Guidelines issued by the State General Prosecutor no. 4/2005, of 18 of July. <https://www.fiscal.es>. 24

392


Domestic violence and family crises: a perspective from Spanish Law

gists refused to intervene without the consent of the alleged violent parent. They feared being accused by their professional bodies of not honouring deontological obligations31. 2.3 Custody.

In cases in which the custody of children is an issue and the father is involved in gender-based or domestic violence, the judge must consider suspending the father’s custodial rights ex officio or at the request of any interested party at any moment of the criminal proceedings32. However, suspension of custody is neither automatic nor mandatory. Here again, decisions are taken by courts case by case, applying the standard of the best interest of the child. According to available data, this measure is very rarely used in practice33. Article 61 Organic Act 1/2004 as amended in 2015 stresses that, in all legal proceedings related to gender-based violence, the judges must make a declaration. But positive law still leaves much leeway for judicial discretion. Articles 65 and 66 Organic Act 1/2004 allow courts to refuse petitions to suspend custody provided that the judge sets up arrangements for the safe exercise of parental responsibilities, custody or visitation rights. The order must also organise periodical monitoring of the evolution of the measures. The only legal presumption against custodial rights of the father accused of domestic or gender-based violence is connected with the award of shared physical custody (Art 92(7) CC). On occasion, this rule has justified changing the shared physical custody previously agreed to by the parents after the conviction of the father for minor threats34. But the practice of lower courts seems to be less uncompromising35. Until conviction is final, mere involvement in criminal proceedings or even well-founded indications of minor violent incidents are not sufficient to suspend shared physical custody. On the contrary, psychosocial teams providing advice and support for courts tend to focus on the continuation of father-children relationships and therefore to recommend physical shared custody. In the case of a father’s acquittal, courts must remove prior suspensions of custodial rights and modify any restriction to his relationship with the child36. This is even mandatory in the Basque Country (Article 11(4) Regional Basque Act 7/2015)37.

31

See Informe de la Subcomisión para un Pacto de Estado en materia de Violencia de Género (BOCG-Congreso, XII Legislatura, no. 199, 03 August 2017). In particular, evidence provided during hearings held in Spanish Parliament by Teresa San Segundo Manuel (p. 37), Yolanda Besteiro de la Fuente (p. 49) and Blanca Estrella Ruiz Ungo (p. 50). Eventually, Royal Decrete Act 9/2018, of 3 August introduced an amendment to Art 156 Civil Code to avoid the need of the consent to psychological treatment of the children by the parent convicted for domestic violence (Boe no. 188, 4.08.2018). 32 Article 65 Organic Act 1/2004. See also Article 544 quinquies Criminal Procedural Act. 33 4.8% of protection orders/precautionary measures in criminal proceedings. 34 Supreme Court (Civ.) 4 February 2016. 35 See for instance Court of Appeal, Barcelona (18th) 10 December 2015 (concerning a conviction of verbal abuse). 36 Supreme Court (Civ.) 13 April 2016. 37 Act 7/2015, of 30 June, of family relations in case of parents’ separation or break up (BOPV no. 129, 10.07.2015).

393


Jordi Ribot Igualada

2.4. Visitation rights.

As with parental authority and custody, suspension of visitation and communication rights is possible and can be included in a protection order or during criminal prosecutions for domestic or gender-based violence38. However, these orders have been limited to very few cases and spouses or partners are not automatically prohibited from having contact with children. Moreover, according to Article 94 I Civil Code, the restriction or suspension of visitation and communication rights requires proof of “serious circumstances or evidence of significant or recurring infringement of duties imposed by the order”39. In practice, therefore, contact between the violent parent and the child is treated as a matter of parental rights. As a result, the “coordination points for visiting rights” – which depend on the justice system – are essential to making these rights effective in cases involving criminal proceedings or allegations of domestic violence40. Depending on the circumstances of the case, this service allows mothers and fathers to avoid contact when “picking-up/bringing back” the child, or provides supervision during meetings in case unsupervised contact is forbidden. In practice, however, the capacity of these “coordination points” is limited41. Long waiting lists apply, most personnel working in them have no specialised training to deal with cases of gender-based violence and the service can be provided for one year only42. On the other hand, according to Art 57(2) Penal Code, the husband-father’s conviction for mistreatment of mother and daughter leads automatically to suspension of his visitation rights until the end of the penalty term, and they cannot be reinstated contingent on his enrolment in a treatment programme43.

3. Critical assessment of the application of Organic Act 1/2004.

In 2004 Spain pioneered the legal treatment of domestic violence as something that would no longer be treated as a private matter of interest only to the members of the couple or the family, but rather as a public issue that demands gender understanding.

38

See Art 66 Organic Act 1/2004 (as amended by Organic Act 8/2015). As stressed by Constitutional Court judgment no. 176/2008, 22 December. 40 See Supreme Court (Civ.) 13 February 2015 and 26 November 2015. See also I. Viteri Zubia, La trascendencia de la violencia de género, cit. 41 See Kelly et alii, Realising rights, cit., 94. 42 According to Catalan regulations laid down by Decree 357/2011, of 21 of June (DOGC no. 5906, 23 June 2011), a maximum time of 12 months, or up to 18 months if special grounds are proven (see Art 25). 43 In this sense, Supreme Court (Civ.) 13 May 2016. 39

394


Domestic violence and family crises: a perspective from Spanish Law

According to international human rights standards, to meet their obligations, states need to develop integrated and comprehensive approaches to address interpersonal violence. It is the so-called three-P approach (protection, prevention and punishment). Integrated approaches aim for a coherent and consistent balance between three obligations: strengthening fundamental rights (notably the right to life and to health) by effectively preventing violence; protecting and supporting victims; and providing justice by penalising and prosecuting violations44. This aim was also apparent in Organic Act 1/2004, yet it is doubtful that this coherent and consistent balance has been achieved by Spanish law. On the one hand, prevention tools like protection orders are easily available and if breached, their enforcement is supported by additional punitive measures. However, most killings involve victims who never requested an order or filed a complaint against their partner. In addition, the number of protection order petitions is disproportionately lower than the number that would be needed by the dimension of the problem of gender-based violence against women. In practice, processing most of the victim’s complaints in fast-track criminal proceedings also limits the availability of evidence of spousal violence or abuse. Convictions depend exclusively on victims’ assertions, and for a number of reasons, including lack of evidence, this leads to the repeated acquittal of offenders. This may happen in early stages of the proceedings, particularly concerning psychological violence or emotional abuse cases. A criminal law focus obviously undermines the capacity of the legal system to deal with the first stages of abusive behaviour in intimate relationships. That, however, is not the only issue. In practice, the main problem is widespread lack of trust in the police and the justice system on the part of the victims. There are good reasons for this: the few who dare to file complaints against abusive or violent partners find that the protection tools available to them are insufficient and ill-conceived. During the hearings of a parliamentary commission set up to evaluate Organic Act 1/2004, a number of experts mentioned that in most parts of the country immediate free legal assistance for victims is almost non-existent. Very few courts have legal aid services readily available to victims of gender-based violence. In police stations, delays and further practical complications can even lead victims to waive their rights to free legal aid45. With some exceptions, specialised victim support services that contact victims to offer support and advice do not exist. Protection of victims’ fundamental rights, notably their right to life and health, as well as that of their children, should be paramount. However, the Spanish legal system still grapples with the issue of protecting mothers and children from abusive or violent partners/

44

See Gender Equality Commission, Analytical study of the results of the 4th round of monitoring the implementation of Recommendation (2002)5 on the protection of women against violence in Council of Europe member states (prepared by Prof. Carol Hagemann-White). 45 Interventions of experts Filomena Peláez Solís (p. 28) and Elisabeth González Laurés (p. 82).

395


Jordi Ribot Igualada

parents while avoiding unfair alienation of children from their fathers. As mentioned earlier, Spanish courts are reluctant to suspend alleged perpetrators’ parental responsibilities and/or visitation rights. Pursuant to Article 31 Istanbul Convention, “States shall ensure that the exercise of any visitation or custody rights does not jeopardise the rights and safety of the victim or children”. The Explanatory Report to the Istanbul Convention reminds that complying with contact orders can present a serious safety risk for many victims and their children, because it often means meeting the perpetrator face-to-face46. Spanish courts handle this complex issue on a case by case basis, and refrain from making prima facie value judgments based on allegations of incidents of violence. Judges tend to follow the view held in reports from psychosocial teams that keeping contact with the father is in the children’s best interest. But the risk assessment tools used by the police and the courts are not fit for purpose47. In fact, one of the many measures approved by Parliament in the so-called “State Agreement against Gender-based Violence” is approving Criminal Procedural Law criteria applicable to the risk assessment prior to the issuance of the protective measures currently available48. Finally, the case of Angela González Carreño and her deceased daughter, Andrea Rascón González, should be pointed up. At the age of 7, Andrea was shot dead while on an unsupervised visit with her father, who then committed suicide. Angela sued the Spanish authorities seeking wrongful death damages. The murder took place in a context of domestic violence that had been going on for several years. The UN Committee on the Elimination of Discrimination against Women decided that Spain had violated its obligations by not properly investigating the case and denying any kind of compensation.49 The Spanish Government replied that it would not review Andrea’s case or pay a single euro to her mother. It argued that the conclusions of the UN Committee are not binding. At the same time, it very happily announced the new “State Agreement against Gender-based Violence”. It is hoped that the amendments made to Organic Act 1/2004 to implement this “State Agreement” help avoid more tragic cases like Andrea’s, and that a more coherent approach to prevention, protection and punishment can result therefrom. By the way, the Supreme Court eventually said that UN CEDAW Committee conclusions are deemed binding insofar as they provide grounds for a failure in the operation of public services50.

46

Explanatory Report – CETS 210 – Violence against women and domestic violence, p. 31, no. 176. According to expert witnesses deposing in the Parliamentary Commission (see supra note 38), specialised risk-assessment units mentioned in Art 37 Organic Act 1/2004 have been implemented in one region only, and even the risk assessment reports by medical doctors assigned to the court (forenses) have a delay of 6 to 8 months. Intervention of Fernando Chacón Fuertes (p. 87). 48 Conclusion no. 101. 49 Committee on the Elimination of Discrimination against Women, Communication No. 47/2012 González Carreño v. Spain (16 July 2014) § 9.4 at p. 16 50 Supreme Court (Adm) 17 July 2018 (holding the Spanish State liable to pay € 600,000 in damages to Angela and that the denial of any compensation had been illegal and unfair). 47

396


Valentina Calderai

The conquest of ubiquity, or: why we should not regulate commercial surrogacy (and need not regulate altruistic surrogacy either)* S ommario :

1. The conquest of ubiquity and the transformations of parenthood. – 2. Technology and the rise of the market for gestational surrogacy services. – 3. The double strain on “prohibitionist” legal orders. – 3.1. The jurisprudence of the fait accompli. – 3.2. The jurisprudence of identity. – 4. Two paradoxes of regulation. – 4.1. The futility of altruistic surrogacy regulation. – 4.2. The normative impossibility of commercial surrogacy regulation. – 5. Three policy proposals.

The transnational market of gestational surrogacy puts a double strain on western European countries that refuse to acknowledge surrogacy agreements, as the ban on surrogacy does not prevent recognition of the effects of transactions carried out abroad, and the emphasis put by the ECtHR in Mennesson et Labassée on individual identity is at odds with the model of social justice developed in western Europe. Having analysed market regulation and top-down hierarchical allocation systems as allegedly pragmatic ways out of this conundrum, this paper argues that neither would offer a credible alternative to the ban of surrogacy agreements. Some policy proposals in the perspective of risk reduction and anti-discrimination are briefly considered.

*

The text reproduces with accompanying notes the presentation held at the workshop The Present and the Future of European Family and Succession Law (Pisa, 7 June 2018).

397


Valentina Calderai

1. The conquest of Ubiquity and the transformations of parenthood.

«Nos Beaux-Arts ont été institués, et leurs types comme leur usage fixés, dans un temps bien distinct du nôtre, par des hommes dont le pouvoir d’action sur les choses était insignifiant auprès de celui que nous possédons». La conquête de l’ubiquité is a visionary fragment by Paul Valéry dating back to 1928, where the poet raves about a future in which the enjoyment of the arts will be freed from the ties to a place, a time, a programme set by someone else: « Je ne sais si jamais philosophe a rêvé d’une société pour la distribution de Réalité Sensible à domicile »1. Ninety years on, the ubiquity conquered by technology has changed for good the ways we live and think, communicate and desire; the forms and contents of politics; the means of material and symbolic (re)production. This transformation could not leave the law unscathed, and it did not, starting from its very inception: the institutions of kinship and family. Parenthood does belong after all to a time in which the grip of technology on life was «insignificant» compared to nowadays. What follows takes on the debate on surrogacy from the point of view of the convergence of assisted reproductive technologies (ART) and information and communication technologies (ICT). I will set aside a third, perhaps most disruptive innovation: the genome editing technology known as CRISPR (clustered regularly interspaced palindromic repeats), as it is not yet extensively applied in the industry of human reproduction (though it will, in a few years, and its impact will be huge)2. As in times of peace technologies serve the end to open new markets, this perspective will allow me to focus on a relatively overlooked point, namely, the meaning, constraints and consequences of a regulatory approach to the market for gestational surrogacy services.

2. Technology and the rise of the market for gestational surrogacy services.

The transnational market of gestational surrogacy is the product of two formidable technical innovations. The first innovation has reshaped the imagery of parenthood, by shifting the accent from culture and custom to autonomy and freedom of contract. By the late 1980s in the USA the popularization of the in vitro fertilization and pre-embryo transplant techniques

1

P. Valéry, La conquête de l’ubiquité, in Œuvres, II, Paris, 1960, 1283 ff.
Valery’s words were chosen by W. Benjamin as the exergue to the third version of Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischer Reproduzierbarkeit, in Illuminationen. Ausgewählte Schriften I, Frankfurt/M. 1977, 136 ss. 2 See H. Greely, The End of Sex and the Future of Human Reproduction, Cambridge (Mass.), 2016.

398


The conquest of ubiquity, or: why we should not regulate commercial surrogacy

provided for the fragmentation and redistribution of the factors of reproduction among customers, gamete donors, surrogate mothers, middlemen and professionals, against a backdrop of pervasive medicalisation of procreation and pregnancy. The subsequent, spectacular slump in transaction costs – psychological, social, racial barriers; moral scruples rooted in religion and custom; hesitations caused by the uncertainty about the legal status of the offspring – paved the way to the meeting of a demand of «healthy, white infants»3 expressed by well-off, middle-class heterosexual white couples with an offer largely made up by destitute women from ethnic minorities and socially disadvantaged groups4. As the public outcry against surrogacy kindled by the Baby M case gradually assuaged5, a new market was on the rise. In the race to State regulation6, that followed the most cost-effective response came from a decision of the California Supreme Court, shifting the rule of recognition of motherhood from the woman who gives birth to the child to the «intended mother», the woman identified by the agreement as the «true» mother, with a blatant (yet unnoticed) contradiction between facts and norms7. The second innovation has been changing the economic geography of the market of reproductive services and it is conveniently summarised by the title of a documentary realised by the Israeli public broadcaster: Google Babies. Internet is the infrastructure used by the industry of reproductive services in order to channel a demand coming from affluent countries towards places where conditions of economic destitution and gender inequality grant the industry the female Ur-proletariat necessary to take down the costs of reproductive labour8. Tens of thousands surrogacy contracts are made and performed each year, under legislations aimed at capitalising on the new opportunities of international division of labour offered by the convergence of communication technology, in vitro fertilization, pre-embryo transplant. It is a rogue market, though, as portrayed by a 2017 report by the French Comité Consultatif National d’Ethique9: « Les gestatrices sont, dans leur grande majorité, des femmes des pays pauvres et des pays intermédiaires qui connaissent de fortes disparités économiques: Asie du Sud-Est, Ukraine, Russie et, dans une moindre mesure, Mexique, Grèce. Ce sont des femmes issues de groupes défavorisés qui deviennent gestatrices, si l’on excepte

3

R.A. Posner, The Ethics and Economics of Enforcing Contracts of Surrogate Motherhood, 5 Journal of Contemporary Health Law and Policy 21, at 22, 1989. 4 A. L. Allen, The Socio-Economic Struggle for Equality. The Black Surrogate Mother, 8 Harv. BlackLetter Journal 17, 1991. 5 E. S. Scott, Surrogacy and the Politics of Commodification, 72 Law and Contemporary Problems 109, 2009. 6 C. Spivak, The Law of Surrogate Motherhood in the United States, 58 The American Journal of Comparative Law 97, 2010. 7 The «intent» of becoming a parent cannot make parenthood true more than it can make it fake, and the same of course applies to «giving birth» to a child, for these are just performative criteria used by the law in order to identify the person bearing the status of a parent, not ontological marks expressing the “essence” of parenthood. 8 M. Fabre-Magnan, La gestation pour autrui. Fictions et réalité, Paris, 2013, at 82. 9 Comité Consultatif National d’Ethique pour les sciences de la vie et de la santé, Avis du CCNE sur les demandes sociétales de recours à l’assistance médicale à la procréation (15 juin 2017), www.ccne-ethique.fr, 34 (emphasis added). See also European Parliament, Plenary sitting, 30.11.2015, A8-0344/2015, at 114. National Rapporteur on Trafficking in Human Beings (2012). Human trafficking for the purpose of the removal of organs and forced commercial surrogacy, The Hague, at 21.

399


Valentina Calderai

le cas américain qui constitue un modèle en soi, avec toutefois une grande disparité entre les États. Les violences observées sont d’ordre économique, juridique, médical et psychique ».

3. The double strain put by surrogacy on “prohibitionist” legal orders.

The operation I have just described is known as « commercial cross-border gestational surrogacy » and it is unlike any other ART. What these contracts are about is hardly the rental of wombs (as a repulsive, misogynistic vulgata has it), or the trading of children (in spite of the clauses that bind the surrogate to «deliver» the child to the intended parents). Surrogacy contracts are not even, not primarily at least, about the obligation to get pregnant, carry the fetus to full term in accordance with exacting behavioural stipulations, and relinquish parental rights in exchange for compensation. All these obligations, though certainly material to the complex duty of performance weighing on the surrogate, are instrumental to the main objective of the agreement. More than anything else, a surrogacy contract is about the institution of a legally recognised subject – a persona, in the legal technical sense of the Latin word10 – before conception, and the placement of that still purely fictional subject in a system of genealogy and kinship at least in part conflicting with the system of genealogy and kinship assigned to the child by the law of the State where the intended parents live and whose citizenship they own. 3.1. The jurisprudence of the fait accompli.

This state of affairs puts a double strain on the legal systems that outlaw surrogacy agreements on public policy grounds. The first strain is exogenous to “prohibitionist” legal systems and arises from the clash between the boundless promises of technology and the boundaries of the world mirrored in the looking-glass of national legal orders. In given circumstances, the ban on commercial surrogacy agreements does not prevent “prohibitionist” countries from recognizing the effects of transactions carried out in more “permissive” places. These circumstances consist of (i) the conclusion and performance of a gestational surrogacy agreement according to a foreign law; (ii) a genetic relation between the child and at least one of the intended parents, if they are a couple; (iii) a legitimate and faithful certificate of birth. Whenever these requirements are met, the usual private international law mechanisms of recognition

10

See Y. Thomas, Le sujet de droit, la personne et la nature. Sur la critique contemporaine du sujet de droit, in Le Débat, 1998, 85 ss.; Id., L’être concret et sa personne, in O. Cayla and Y. Thomas, Le droit de ne pas naître, Paris, 2002, 156 ff.

400


The conquest of ubiquity, or: why we should not regulate commercial surrogacy

will ultimately allow the intended parents to partially recover the effects of an agreement which would be void under their national law. Endorsed by the European Court of Human Rights11, this solution has in fact induced several “prohibitionist” jurisdictions to rectify their previous judgement and authorize the recording in the national register of births of the genetic parent, who has legally recognized the child12. Meanwhile, a different judicial pattern has come to the fore, favourable to the full-blown recognition of the birth certificate, true to the terms of the surrogacy agreement, in the name of the «best interest of the child»13. Despite ex ante legitimate national prohibitions on surrogacy – the argument goes – the actual birth of a child commands the acknowledgement of the fait accompli: « The one and only way to protect the child’s interests, right to respect for private and family life and indeed livelihood, it is being alleged, lies with accepting the intended parents as legal parents »14. 3.2. The jurisprudence of identity.

The second strain prompted by cross border surrogacy is endogenous to “prohibitionist” legal systems. It thrives on the tension between the emphasis put by contemporary law on individual identity and the model of social justice developed in western Europe throughout the second half of the XX century. That model had a unique, utopian and almost paradoxical trait: it tied together universalism and particularism, the claim of human rights to unreserved recognition and the relevance of fundamental rights to a community: « a place in the world that makes opinion significant and actions effective »15. Immanent to this view is the idea that human beings, insofar as they are part of a polity, have the same social dignity and that the goal to preserve and enhance the equal dignity of fellow citizens may justify the imposition of limits on the power of individuals to engage the State in the enforcement of their private agreements16. The restrictions imposed by the Oviedo Convention on biomedicine and most western European legal systems on the appropriation of the human body and its functions, even when it takes the form of voluntary exchanges17, partake precisely of that idea, na-

11

ECtHR, 26.6.2014 n. 65192/11, Mennesson c. France and n. 65941/11, Labassée c. France. This happened in France (Ass. plén., 3.7.2015), Spain (STS, 6.2.2014), Italy (App. Milano, 28.12.2016), Austria (VfGH, 14.12.2011), Switzerland (Bundesgericht, 21.5.2015). 13 In the U.K. (Re X and Y (Foreign Surrogacy) [2009] 1 FLR 733), Germany (BGH, 10.12.2014), Italy (App. Trento, 27.2.2017). 14 In the words of a critical commenter: C. Thomale, State of play of cross-border surrogacy arrangements – is there a case for regulatory intervention by the EU?, 13 Journal of Private International Law, 2017, 463 ss., 469. See also: Id., Mietmutterschaft. Eine internationalprivatrechtliche Kritik, Tübingen, 2015. 15 H. Arendt, The Origins of Totalitarianism, New York, 1976 [19481], 296 f. 16 Dignity, thus, is not meant in this paper as an abstract and almost metaphisical quality, as much as a social achievement and a project of emancipation: see A. Somek, The Cosmopolitan Constitution, New York, 2014, 169 ff. In the Italian law scholarship: M.R. Marella, Il fondamento sociale della dignità umana. Un modello costituzionale per il diritto europeo dei contratti, in Riv. crit. dir. priv., 2007, 67 ss.; S. Niccolai, Alcune note intorno all’estensione, alla fonte e alla ratio del divieto di maternità surrogata in Italia, GenIus, 2017, 56 ss. 17 See: Convention on Human Rights and Biomedicine, art. 21. In Germany the ban on GPA and the repression of intermediation are – 12

401


Valentina Calderai

mely, that markets can be constrained in order to protect the individual and social rights of third parties and the interests of society at large. Some of the arguments cited by the French Government before the ECtHR in the joint cases Mennesson and Labassée in order to square the State interference within the frame of the protection of health and the rights and freedom of others, according to art. 8.2 ECHR, fit neatly into this scheme. By contrast when the ECtHR replies that « un aspect essentiel de l’identité des individus est en jeu dès lors que l’on touche à la filiation in order to justify the restriction of the margin of appreciation of the State»18, it is departing from this background. It surely is a partial departure, for it is confined to the protection of the child born from surrogacy and does not traslate to the protection of the family life of the intended parents as such. Even according to this narrow description, however, the retreat of the public policy exception before the privity of the relation between the child and the intended parents deeply resounds within the fragmented and deconstructed horizon of the «third globalization of law» portrayed by D. Kennedy19. Reproductive tourism20 offers indeed a striking first-hand experience of how the concept of individual identity deploys against collective identities that were key to the European constitutional and social model the same abrasive potential that back in the day was deployed by the latter against the abstract legal subject of XIX century legal systems. Solicitude for the interest of the child to keep the legal status resulting from the agreement, on the one hand, consideration for the privacy of the intended parents, on the other hand, might secure the connection to human rights needed in order to overcome the inalienability of bodily integrity and familial status. As a consequence, the fundamental rights foundation of the ban on commercial surrogacy suddenly seems to loose its relevance21. The argument goes as follows: prohibitionism at home and rogue markets abroad won’t deter infertile couples from seeking a progeny; in fact, the opposite may be true, as restrictive policies at home rest on the «safety valve»22 provided by cross-border commercial surrogacy. The only way to protect the health, safety and privacy of all the subjects involved is a legislative intervention aimed at deflating reproductive tourism by ensuring reproductive freedom within a framework of guarantees for children, surrogates, and intended parents. This intervention would alternatively take the form of either market regulation

significantly – included in the Adoptionsvermittlungsgesetz, §§ 13 c, 13d, 14. In France the nullity of the agreements under Articles 16-7 and 16-9 c.c. is strengthened by the criminal mediation prohibition: art. 227-12, al. 1 c. pen. For once the prohibition of mediation in the Italian law (art. 12.6, l. 40/2004, regulating assisted reproduction) is not the ius singulare of an ideological legislator, but a choice shared by most of the Western European legal systems. 18 ECtHR, n. 11, para. 80. 19 D. Kennedy, Three Globalizations of Law and Legal Thought, in D. M. Trubek and A. Santos (eds.), The New Law and Economic Development: a Critical Appraisal, New York, 2006, 19, 59 ff. 20 See I. G. Cohen, Circumvention Tourism, 97 Cornell Law Review, 2012, 109. 21 See M.-A. Frison-Roche, Comprendre la Cour de cassation (à propos des deux arrêts d’Assemblée plénière du 3 juillet 2015 sur la pratique des maternités de substitution (dite GPA), in Petites Affiches, 2015, 4, at 10: «l’absence the pertinence de la convention de matérnité de substitution pour l’établissement de l’état civil est montée d’un cran». 22 L. Brunet et al., A Comparative Study on the Regime of Surrogacy in Europe, Brussels, 2013, at 36.

402


The conquest of ubiquity, or: why we should not regulate commercial surrogacy

(commercial gestational surrogacy services are permitted, provided that they comply with strict subjective and objective requirements) or hierarchical allocation of culturally «tragic» goods (only non-commercial surrogacy services are allowed, within a system of burocratic allotment)23.

4. Two paradoxes of regulation. Conventional wisdom likes to portray the market for cross border gestational surrogacy services as a practice at the outer margin of the spectrum of legal phenomena. Empirical investigation supports the opposite view. Cross border gestational surrogacy is an intensely regulated practice, albeit by a puzzle of heterogeneous sources – private agreements, statutory law, decisions of national and international courts, industry self-regulation – gradually coalescing, as it were, under the pressure of technology and markets. This reading is consistent with a well known ECtHR judgement in an Austrian case concerning the States’ margin of appreciation in limiting the access to ART, where the Court inter alia observes24: «there is no prohibition under Austrian law on going abroad to seek treatment of infertility that uses artificial procreation techniques not allowed in Austria and […] in the event of a successful treatment the Civil Code contains clear rules on paternity and maternity that respect the wishes of the parents». This passage vividly illustrates the quasi-omeostatic character of the relationship between States’ powers and individual rights. The extent of the State margin of appreciation of the citizens’ reproductive choices is a function of the freedom of the latter to access more permissive legal regimes, while enjoying the mechanisms of parental recognition provided by the former. Were that freedom restricted, also the State power would decrease in proportion. One might read this doctrine in the light of the willingness of the Court to strike a political compromise between antithetical conceptions of human dignity: constraint vs empowerment. This interpretation is a strong argument in favour of a regulatory intervention aimed at contrasting the most hateful effects of reproductive tourism, while at the same time upholding freedom of choice. The whole point after all is to put an end to a contradictory and hypocritical situation, whereby “permissive” regimes work as a safety net for “prohibitionist” regimes. To my mind this analysis betrays a simplistic and unilateral vision of the allocation of “tragic goods” in transnational markets. To the extent that the delocalization of standardsetting powers is used in order to disguise an unfair allocation of resources, the convergence of “permissive” and “prohibitionist” legal orders in the normative infrastructure of

23 24

Cf. G. Calabresi and Ph. Bobbit, Tragic Choices, New York, 1978, at 17. ECtHR, S.H. and others v Austria [GC], no 57813/00 (Grand Chamber, 3 November 2011), para. 82.

403


Valentina Calderai

cross border surrogacy services can be compared to decentralized decision mechanisms within national legal systems25. Indeed “prohibitionist” legal orders prima facie delegate to “permissive” legal orders the decision as to whom shall have children with ART. The choice is actually made by the system of prices, but the economic discrimination on the demand side is concealed. The unfair outcomes of prohibitionism could indeed justify the call for regulation. This solution might even seem inevitable were genetic discent acknowledged as a fundamental right. Yet that right could only be guaranteed upon condition of injecting into the legal system a more serious discrimination. However hypocritical and contradictory the current compromise may appear, it can be a necessary hypocrisy and – paradoxically – a rational contradiction. 4.1. The futility of altruistic surrogacy regulation.

Since commercial surrogacy clashes with the inalienability of human body and parental status affirmed in several national and supra-national sources, vertical regulation looks prima facie at least like the most suitable option, according to a model experimented for human blood and organs. These latter, though, clearly affect the interests of the donors in different measures. If the prohibition to sell a kidney can be explained inter alia with the intent to prevent the sellers from choices they might regret, the same rationale clearly does not apply to the selling of blood. The common foundation is rather the desire to remove from the market the allocation of “tragic” goods, even at the cost – in the case of the market for blood – of making worst off those who could improve their condition with a somewhat limited sacrifice. In order to apply this scheme to surrogacy, we must conceive of a hierarchical governance structure, matching the supply and demand of surrogacy services on a purely altruistic and non-discriminatory basis, e.g. through a system of registers, merit rankings, licenses and authorizations. In addition, intended parents could not exercise any control over the inception and development of pregnancy, nor could they be made certain to get the child until after the birth, or later, lest fundamental rights to self-determination, bodily integrity and parental status be violated. One need not be expert at transaction costs analysis in order to realize that such an arrangement is doomed to fail due to the lack of both supply and demand, as the shortcomings of regulatory schemes based on the ban on commercial surrogacy and ex post facto authorization of non-binding agreements empirically demonstrate26: without economic incentives few women will be willing to act

25

G. Calabresi and Ph. Bobbitt, supra n. 21, 53 ff. See for U.K. and the Netherlands, respectively, K. Parizer-Krief, Gestation pour autrui et intérêt de l’enfant en Grande-Bretagne. De l’indemnisation raisonnable de la gestatrice prévue par la loi à la reconnaissance judiciaire des contrats internationaux à but lucratif, in Rev. int. dr. comp., 2011, 645 ff., at 646, observing «l’impossibilité d’inscrire la GPA dans le cadre d’un don gratuit»; B. Van Beers, Is Europe ‘Giving in to Baby Markets?’ Reproductive Tourism in Europe and the Gradual Erosion of Existing Legal Limits to Reproductive Markets, in Med. Law Rev., 2015, 103 ff. Adde C. Fenton-Glynn, Outsourcing Medical Dilemmas: Regulating International Surrogacy

26

404


The conquest of ubiquity, or: why we should not regulate commercial surrogacy

as surrogate; barred from enforcement mechanisms most intended parents would rather go abroad than submit to burocratic control and defer to a foreigner’s discretion. Most of all, whereas hierarchical allocation systems do not work well as proxies for the emotional bonds and deep trust needed for purely altruistic relationships, authentic solidarity makes legal regulation unnecessary. The expectation in that case does not have the quality of an expectation interest and it should be considered instead as a mere, not enforceable promise27. The super-ethical nature of truly altruistic surrogacy is thus what ultimately explains the existence of a market for gestational services. With minor adjustments, Adam Smith’s proverbial words on the role of personal interest in the division of social work still apply28: it is not from the benevolence of surrogates (and middlemen) that we expect our offspring, etc., as the practice of surrogacy as we know it today simply would not exist without an industry, a market, and enforceable obligations. It is no coincidence that many scholars, favorable to regulatory intervention, opt for market regulation: are not regulated markets by definition superior to wild, unregulated trade? 4.2. The normative impossibility of commercial surrogacy regulation.

Pace Monsieur de La Palisse, there are good reasons to reject the call for market regulation and all have to do with a concern for equality and the impact of a market for gestational services on the idea of equality underpinning the European constitutional and social model – or what is left of it. In order to measure that impact we might consider how an hypothetical regime would address the issue of remedies against breaches brought by surrogate mothers in such difficult and sensitive areas as behavioral stipulations and the right to abortion. Long-term contracts tipically require principals to strictly monitor their agents’ performance, as violations are difficult to verify ex post. Surrogacy agreements are no exception. In developing countries these agency problems are addressed by confining the surrogates in compounds for the time of the pregnancy under strict medical and behavioural control29, as if in a post-colonial, privatised, cheap replica of Atwood’s The Handmaid Tale. However effective, maybe precisely because it is effective, this strategy is clearly unsuitable the more the legal and social acceptance of surrogacy draws on self-determination and autonomy. As a second-best solution, therefore, surrogacy agreements in affluent countries are repleted with behavioural stipulations concerning nourishment and living habits, medical prescriptions and examinations, and so on, twenty-four hours a day, seven days

Agreements, in Med. Law Rev., 2016, 59 ff., suggesting a reform based on the ex ante authorization of commercial agreements. See G.B. Ferri, Dall’intento liberale al cosiddetto impegno etico e superetico: ovvero l’economia della bontà, in Dir. priv., 1999-2000, 330 ff. 28 A. Smith, An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of the Nations, Oxford, 1979, at 19. 29 Cohen, supra n. 18, at 1324 ff. 27

405


Valentina Calderai

a week, for the whole time of the pregnancy. These clauses however do not normally lay out liquidated damages provisions and even if they did, it is by no means obvious that the Courts would be willing to enforce them. Much harder questions are raised by abortion. Indian surrogates must reimburse the clinic and their customers for the expenses if they decide to interrupt the pregnancy30, which makes the eventuality of abortion speculative at best. At the opposite, upper end of the market, American surrogacy agreements will usually allow both parties to ask for abortion at any time for any reason, although – again – they do not normally provide for liquidated compensatory damages31. This reticence when it comes to remedies is not unintended. It follows from the very same ground that justifies the social acceptance of surrogacy: a concern for the constitutional right to privacy, of which the right to abortion, the right to procreate, the right to personal autonomy are but single instances. The legal culture most committed to freedom of contract apparently struggles to come to terms with a mechanism that would push the threshold of bargained for constraints on fundamental rights to temporary self-enslavement. Thence the silence of State legislatures and the refusal by the Courts to grant monetary damages. How would a European national legislature poised for market regulation address these issues? A statutory scheme within a freedom of contract framework is the first option that comes to mind. In order to set up a credible alternative to exploitative markets abroad, however, such a scheme should address the issue of remedies and be recast as a part of a general reassessment of the distribution of “tragic” goods in adherence to a strict welfareeconomics approach32. To the extent that the objections raised against trading in bone marrow, blood, gametes hold a fortiori against pregnancy, the establishment of a market for gestational services would indeed almost logically imply a Paretian reform of health care systems: a perspective at odds with the principle of universal access to health care on which the European constitutional and social model is based. Absent such a truly revolutionary reassessment, market regulation would take the shape of a limited, conditional suspension of fundamental rights connected to personal intimacy, autonomy, procreation and familial status in order to allow women (and only women, en

30

Ibid., at 1325. D. Mazer, Born Breach: The Challenge of Remedies in Surrogacy Contracts, 28 Yale Journal of Law & Feminism, 211 (2017), at 236. An unsettling empirical inquiry is carried out by D. Danna, «It’s not their pregnancy». L’aborto nei contratti di maternità surrogata statunitensi, 3 About Gender. International Journal of Gender Studies, 139, 2014. 
 32 Cf., in a similar vein: E. Landes and R. A. Posner, The Economics of Baby Shortage, 7 J. Legal Stud. 323, 1978; R. A. Epstein, Surrogacy: the Case for Full Contractual Enforcement, 81 Virginia Law Review 2305, 1995; H. Hansman, The Economics and Ethics of Markets for Human Organs 14 J. Health Pol’y & L. 57, 1989; P. H. Schuck, The Social Utility of Surrogacy, 13 Harv. J. L. & Pub. Pol’y 132, 1990; K. D. Krawiec, Price and Pretense in the Baby Market, in M. Goodwin (ed.), Baby Markets: Money, Morals, and the Neopolitics of Creating Families, New York, 2009, 41; Ead., Altruism and Intermediation in the Market for Babies, 66 Wash. & Lee L. Rev. 203, 2009; Y. Margalit, In Defense of Surrogacy Agreements: A Modern Contract Law Perspective, 20 Wm. & Mary J. Women & L. 423, 2014. For a powerful assessment of the general theoretical framework see L. Kaplow and S. Shavell, Fairness versus Welfare, Cambridge, Mass., 2002. 31

406


The conquest of ubiquity, or: why we should not regulate commercial surrogacy

attendant the artificial womb) to use their reproductive capacity to generate children to others. This regulatory scheme could either allow or reject liquidated damages for violations brought by women acting as a surrogate. The first scenario points to a blatant unconstitutional solution, as women’s bodies would be considered for a time as a private utility, for the benefit of their customers. In the alternative scenario surrogates would keep a substantive margin of control over their intimacy and the encroachment on equality would be somewhat subdued, though at the price of a costly and ineffectual regulation, unable to compete with more cheap and less deferential to fundamental rights markets abroad.

5. Three policy proposals. More than a century has passed since the time Anatole France made fun of the bourgeois laws, which «dans un grand souci d’égalité» forbid the rich and the poor from sleeping under the bridges (Le Lys rouge, 1894). We need only replace “forbidding” with “permitting” in order to grasp the reasons for the apparently very unpraktisch choice of upholding the ban to surrogacy. If the current state of affairs looks “tragic”, it is not because prohibitionism or permissivism are intrinsically right or wrong. It is rather because in the framework of the escalating inequality within the nations and among the nations, prohibitionist and permissive regimes are like the two sides of the same coin: the transnational market of reproductive services. This market has very high costs for both “prohibitionist” States (which delegate to the price system the choice between who can and who cannot have children) and “permissive” States (which trade social and gender inequality with women’s “freedom” to sell their procreative capacity). It also has bilateral externalities, as prohibitionism fuels local markets with harmful social consequences, and permissiveness undermines the rule of law and threatens social and civil rights too hastily believed unassailable. This paper suggests that market regulation at home would only add up to economic and gender discrimination, without offering any credible alternative to rogue markets abroad. As a matter of fact, national private law cannot take on by itself problems that have a transnational dimension, but it can act with a consideration for anti-discrimination and risk control. The protection of family life, in the first place, does not justify the indifference for conditions of exploitation comparable – according to the opinion of independent observers33 – to the trafficking of human beings. In that case, a response at once effective and mindful of the children is not criminal repression, leading up to the removal of the child from the intended parents, but a pecuniary sanction assessed at the costs of surrogacy services in the legal systems

33

Supra, n. 10.

407


Valentina Calderai

where the formation and the execution of agreements take place within a framework of guarantees for women and children. Secondly, and regardless of the legal framework of cross border surrogacy, an acknowledgement of parental status limited to the parent biologically linked to the child is an appropriate response to the request of a balance between the interest of the child and public policy considerations, provided that the way of adoption is open to the other parent. Finally, and for the very same reasons, nothing justifies the survival of anachronistic and discriminatory rules in legal systems that bar homosexual couples from adopting a child.

408


Giurisprudenza Cass. civ., sez. I, 14 aprile 2018, n. 3594; Tirelli Presidente - Acierno Relatore Adozione – Adottabilità (Dichiarazione Di) – Condizioni È correttamente motivata, e pertanto incensurabile in Cassazione, la sentenza di merito che, in sede di giudizio di rinvio, ha confermato l’adottabilità di una minore, ancora in tenera età, a fronte della accertata e non emendabile incapacità complessiva dei genitori di comprenderne i bisogni emotivi-affettivi e pratici, nonostante il loro comportamento collaborativo, e pur non presentando essi caratteristiche di emarginazione sociale, culturale ed economica.

(Omissis)

che aveva dichiarato l’adottabilità della minore,

Fatto. 1. La sentenza della Corte d’Appello di

in quanto intervenuta successivamente alla sen-

Torino, con la quale è stata dichiarata l’adottabili-

tenza di adozione passata in giudicato, la Corte

tà della figlia minore degli attuali ricorrenti, pas-

territoriale ha rilevato di essere tenuta, in virtù

sata in giudicato con il rigetto del ricorso da parte

della cassazione con rinvio, ad una decisione sul-

della Corte di Cassazione con sentenza n. 25213

la adottabilità della minore, non avendo la sen-

del 2013, - è stata impugnata per revocazione dai

tenza della Corte di Cassazione relativa al giudi-

ricorrenti e con la sentenza n. 13435 del 2016, la

zio sulla revocazione statuito alcunché in ordine

Corte di legittimità ha accolto il ricorso ritenendo,

alle sorti della sentenza di adozione successiva-

sotto il profilo rescindente, che la dichiarazione

mente intervenuta;

di adottabilità si era fondata, nella sostanza, su

- viene ritenuto che, pur essendo in linea di

una circostanza di fatto, ritenuta decisiva, ma ri-

principio incompatibile la coesistenza di un giu-

velatasi non corrispondente alla verità e, sotto il

dizio pendente sullo stato di abbandono con una

profilo rescissorio che non risultava conseguen-

sentenza di adozione passata in giudicato, all’in-

temente sussistente lo stato di abbandono morale

terno del giudizio relativo all’adottabilità il rinvio

e materiale della minore che costituisce l’ineludi-

della Cassazione impone una decisione di merito

bile presupposto della dichiarazione di adottabi-

ancorché inidonea ad incidere sulla sostanza di

lità. La pronuncia rescissoria si è conclusa con la

una sentenza costitutiva di status, passata in giu-

cassazione con rinvio della sentenza della Corte

dicato e, conseguentemente, non revocabile. Infi-

d’Appello che aveva dichiarato l’adottabilità della

ne non vi è luogo a provvedere sulla sospensione

minore perché fosse svolto un nuovo esame della

degli effetti della sentenza di adozione;

situazione di abbandono morale e materiale della

- in ordine all’accertamento della situazione di

minore alla luce dell’esito del giudizio relativo

abbandono morale e materiale della minore, la Cor-

alla revocazione.

te territoriale ha rilevato che il giudizio ha ad og-

2. La Corte d’Appello di Torino, con la senten-

getto la condizione attuale della minore, la quale da

za impugnata, ha confermato la dichiarazione di

molti anni non ha frequentazione, nè esperienza di

adottabilità della minore sulla base dei seguenti

vita in comune nè rapporti significativi con i ricor-

principi:

renti. Al riguardo i consulenti tecnici d’ufficio han-

- in ordine al rilievo del curatore speciale re-

no osservato che la rescissione dell’attuale legame

lativo all’efficacia della sentenza di revocazione e

con i genitori adottivi costituirebbe un effetto trau-

cassazione della pronuncia della Corte d’Appello

matico inimmaginabile a fronte della ricostruzione

409


Giurisprudenza

di un rapporto non più esistente, ma vissuto, per un

relazione dei servizi territoriali di poco successi-

tempo molto breve, con grandi difficoltà. Un rientro

va alla nascita si evidenziava che “non si coglieva

presso i genitori biologici sarebbe molto rischio-

un immaginario materno che comprendesse un

so in quanto la modificazione degli attuali punti

impegno di accudimento oltre che pratico, anche

di riferimento affettivo, determinerebbe un disagio

emotivo-affettivo”. Veniva, pertanto, aperta una

evolutivo grave nella minore.

procedura di volontaria giurisdizione su impulso

- i ricorrenti avrebbero dovuto allegare e pro-

del p.m. a tutela della minore. Seguiva l’allontana-

vare di possedere risorse “riparative” straordina-

mento ex art. 403 c.c. il (OMISSIS) con riferimento

rie per garantire il sereno sviluppo psico-fisico

all’episodio del giorno precedente, e gli incontri

della minore e ribaltare il giudizio prognostico

periodici e protetti della minore con i genitori i

dei consulenti d’ufficio, ma nella consulenza di

quali hanno sempre dimostrato collaborazione

parte di tali capacità riparative non si argomenta;

con i Servizi. La consulenza d’ufficio svolta in pri-

- il miglior interesse per il minore anche alla

mo grado è stata vivacemente criticata dagli ap-

luce dei principi Cedu non coincide nella specie

pellanti ma è pervenuta a conclusioni coerenti con

e sulla base di un giudizio all’attualità, nel pri-

quella di secondo grado. Dagli accertamenti svolti

varlo del legame di fatto e di diritto nel quale

è emersa un’univoca valutazione negativa sulla ca-

si esprime lo status di figlio. Il diritto alla vita

pacità genitoriale degli appellanti, non dovuta a

familiare da salvaguardare nel suo interesse con-

patologie psichiatriche o disagio socio economico.

siste nella conservazione della situazione stabile

Il padre ha dimostrato di non rendersi pienamente

e positiva di cui gode.

conto anche da un punto di vista pratico, delle

- in ordine alla tesi, richiamata anche nella sen-

complessive esigenze di una bambina in tenera

tenza della Corte di cassazione che ha deciso sulla

età e di essere totalmente dipendente ed acriti-

revocazione, secondo la quale la mancata costitu-

co rispetto alle aspettative genitoriali della moglie.

zione di un autentico rapporto filiale è da impu-

Quest’ultima ha evidenziato un ferreo controllo

tare all’allontanamento della minore ad un mese

delle emozioni, un sistema difensivo fortissimo, la

di vita dai genitori biologici, la Corte d’Appello

negazione di qualsiasi problema e la mancanza di

ritiene di condividere il giudizio di abbandono

consapevolezza in ordine alle difficoltà costante-

morale dovuto ad inemendabile inadeguatezza

mente dimostrate sull’accudimento concreto del-

genitoriale, già formulato nella sentenza impugna-

la minore, la quale ha evidenziato negli incontri

ta, coerentemente con le risultanze delle indagini

grande fatica e il bisogno di chiudere in fretta una

tecniche disposte. L’ingerenza dello Stato ai fini

situazione pesante. I consulenti hanno evidenziato

dell’attuazione del diritto alla vita familiare ex art.

che la bambina ha vissuto un trauma significativo

8 Cedu, è stata largamente giustificata anche sot-

sul piano relazionale ma ha comunque raggiunto

to il profilo della proporzionalità del mezzo allo

le tappe evolutive tipiche ed è adeguata sia sul

scopo. La valutazione d’inidoneità genitoriale e la

piano cognitivo che emotivo-relazionale. Gli affi-

prognosi di non recuperabilità in relazione ai tem-

datari e i servizi territoriali hanno riferito di acute

pi e alle esigenze della minore già formulate sono

crisi d’angoscia manifestate prima e dopo gli in-

fondate su accertamenti plurimi ed univoci. I geni-

contri con i genitori.

tori biologici della minore vennero ritenuti inido-

- i consulenti di parte degli appellanti han-

nei per l’adozione internazionale. Fin dalla nascita,

no valutato positivamente la metodologia seguita

la relazione genitoriale aveva presentato criticità

nelle operazioni peritali pur non concordando

ma la madre aveva negato qualsiasi aiuto. In una

sulle conclusioni, riconoscendo tratti narcisisti-

410


Cristina Caricato

ci ed istrionici nella madre biologica. L’indagi-

pisodio dell’abbandono, escluso in sede penale;

ne tecnica è stata approfondita, rispondendo ai

il secondo relativo al rilievo dell’età anagrafica

criteri richiesti dalla giurisprudenza Cedu, ed ha

dei ricorrenti da ritenersi illegittimo dal momento

concluso che il fatto accaduto il (OMISSIS) è sta-

che non sussiste alcun limite di età per la geni-

to valutato non per la sua rilevanza penale, già

torialità.

esclusa dai giudici di merito, ma come spia di

5.2. Nel secondo motivo si censura con il pa-

una complessiva mancata consapevolezza delle

rametro di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, l’erroneità

esigenze della minore, di una mancata “mentaliz-

della valutazione d’inidoneità dei genitori biolo-

zazione” della bambina e dei suoi bisogni. Anche

gici in quanto fondata sui medesimi presupposti

l’età degli appellanti non ha costituito un pregiu-

cassati in sede di revocazione.

dizio ma è stata valutata come elemento oggettivo da tenere in considerazione.

5.3 Nel terzo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 112 c.p.c. per essere la Corte d’Ap-

- l’accertamento svolto non ha alla base l’inte-

pello incorsa nel vizio di ultrapetizione, avendo

resse della minore ad avere una famiglia migliore

dato per presupposto il passaggio in giudicato

ma quello a vedersi assicurata una crescita sana

della sentenza di adozione, invece che esaminare

ed un’assistenza adeguata oltre che una stabilità

analiticamente i principi stabiliti nella sentenza

affettiva.

della Corte di cassazione n. 13435 del 2016 e far-

- lo stato di abbandono si è fondato, infine, su

ne esclusivo oggetto del decisum.

carenze genitoriali gravi riscontrate e non emen-

5.4 Nel quarto motivo è stata dedotta la viola-

dabili in tempi consoni con la crescita della mi-

zione dell’art. 8 Cedu per avere la Corte d’Appel-

nore. È stato riscontrato che, nel lungo periodo

lo articolato la propria decisione sul pregiudizio

degli incontri, non si è realizzato un legame fun-

relativo alla rescissione del legame tra la minore e

zionale al benessere della minore e, nonostante

la famiglia adottiva invece che sull’allontanamen-

la collaborazione degli appellanti ed il sostegno

to brusco ed illegittimo dalla famiglia di origine,

dei tecnici interpellati non si è prospettata l’ipo-

avvenuto subito dopo la nascita, così violando

tesi di un concreto margine d cambiamento.

gravemente l’art. 8 Cedu. L’interpretazione fornita

3. In conclusione secondo la Corte d’Appello

dalla Corte d’Appello ignora le indicazioni tratte

deve essere confermata la dichiarazione di adot-

dalla giurisprudenza Cedu poste a base della sen-

tabilità.

tenza di revocazione. In particolare è stata disat-

4. Avverso questa sentenza è stato proposto

tesa l’indicazione secondo la quale lo Stato deve

ricorso per cassazione affidato a 6 motivi. Ha re-

cercare di conservare i legami famigliari aiutando

sistito con controricorso il curatore speciale della

le situazioni di vulnerabilità e tenendo conto che

minore. I ricorrenti hanno depositato memoria.

l’ingerenza dello Stato può giustificarsi solo se

Diritto. 5. I motivi di ricorso sono i seguenti.

persegue uno scopo legittimo ed è necessaria per

5.1 Nel primo motivo viene dedotta l’omessa

una società democratica.

applicazione dei principi contenuti nella senten-

5.5 Nel quinto motivo viene dedotta la viola-

za di questa Corte n. 13435 del 2016 di accogli-

zione della L. n. 184 del 1983, art. 1 nella parte in

mento del ricorso per revocazione proposto dagli

cui stabilisce che il minore ha il diritto di essere

attuali ricorrenti. Nella sentenza è stato espressa-

educato nell’ambito della propria famiglia. I prin-

mente precisato che la pronuncia revocanda si

cipi cardine del sistema normativo relativo alla fi-

era fondata su due presupposti del tutto erronei e

liazione adottiva sono la gradualità degli strumenti

non corrispondenti al vero, il primo relativo all’e-

d’intervento e la residualità del ricorso all’adozio-

411


Giurisprudenza

ne. La giurisprudenza di legittimità ha stabilito che

zione della sentenza con la quale era stata dichia-

il diritto sancito all’art. 1 può essere limitato solo

rata l’adottabilità della minore, impone, nei limiti

ove si configuri un radicale stato di abbandono

dei principi contenuti nella sentenza n. 13435

mentre la dichiarazione di adottabilità deve essere

del 2016, di valutare nuovamente se sussistano

l’extrema ratio, dovendo lo stato impegnarsi nel

le condizioni per la dichiarazione di adottabilità,

sostegno della famiglia di origine. Le relazioni pe-

essendovi un vincolo indotto dalla natura stessa

ritali svolte nei due gradi di giudizio evidenziano

del giudizio di rinvio che esclude il rilievo dell’in-

che nella situazione dedotta nel presente giudizio

tervenuto provvedimento definitivo di adozione.

il sostegno genitoriale sarebbe stato sufficiente.

La relazione tra le due pronunce, quella sull’a-

La sentenza impugnata ha riportato genericamen-

dozione e quella definitiva sull’adottabilità non è

te stralci delle consulenze d’ufficio dai quali non

oggetto del presente giudizio.

emerge nulla di più che una criticità della coppia

7. Prima di esaminare i motivi di ricorso si

alle prese con il primo figlio in un contesto d’in-

ritiene di dover procedere ad un’illustrazione sin-

contri vigilati nel corso dei quali non ha potuto

tetica dei principi adottati da questa Corte nel-

esplicarsi la piena genitorialità.

la sentenza n. 13435 del 2016, nello statuire la

5.6 Nel sesto motivo viene dedotta la viola-

cassazione con rinvio della sentenza della Corte

zione della L. n. 184 del 1983, art. 8 per essere

d’Appello con la quale era stata dichiarata l’adot-

stata dichiarata l’adottabilità della minore senza

tabilità della minore. La Corte ha accolto i primi

accertamento della condizione d’abbandono. Ta-

due motivi di ricorso nei quali si deduceva la

le condizione è infatti stata esclusa dalla sentenza

violazione della L. n. 184 del 1983, artt. 1 e 8

penale passata in giudicato ed anche sotto il pro-

per essere stato dato rilievo preminente se non

filo civilistico non vi è stato un rigoroso accerta-

esclusivo al profilo dell’età dei ricorrenti oltre che

mento del predetto requisito.

all’episodio dell’abbandono rivelatosi non vero e

6. Il Collegio ritiene necessario illustrare sin-

per essere stato dichiarato l’abbandono sulla ba-

teticamente la sequenza delle pronunce che han-

se di enunciazioni generiche. Al riguardo la cas-

no riguardato l’adottabilità della figlia minore dei

sazione della sentenza della Corte d’Appello si è

ricorrenti.

fondata sulle seguenti affermazioni:

La Corte d’Appello di Torino con sentenza n.

la dichiarazione di abbandono che giustifica

150 del 2012, ha dichiarato l’adottabilità della mi-

l’adottabilità costituisce un’ingerenza particolar-

nore. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricor-

mente incisiva del diritto alla vita familiare così

so avverso tale sentenza (n. 25213 del 2013) ma

come declinato dalla Corte EDU e può giustificar-

questa pronuncia è stata oggetto di ricorso per

si soltanto se fondata su un’esigenza primaria e

revocazione definito con sentenza n. 13435 del

se proporzionata agli effetti determinati da essa.

2016, con la quale, in sede rescindente è stato

Nella specie, la circostanza che la minore sia stata

riconosciuto l’errore revocatorio invocato ed in

abbandonata in una condizione di pericolo è sta-

sede rescissoria è stata cassata la sentenza della

ta esclusa dal giudicato penale e l’allontanamen-

Corte d’Appello n. 150 del 2012.

to che ne è conseguito ha generato conseguenze

Anteriormente a quest’ultima decisione era intervenuto provvedimento definitivo di adozione della minore.

ascrivibili allo Stato e non ai ricorrenti. L’esame compiuto sulla loro idoneità, escluso il rilievo del predetto episodio si è fondato sol-

La Corte d’Appello di Torino ha correttamente

tanto sull’età, ovvero su un criterio palesemente

evidenziato che il rinvio conseguente alla cassa-

illegittimo, senza evidenziare fattori concreti che,

412


Cristina Caricato

per la loro gravità ed irreversibilità, potevano ri-

trovata in stato di pericolo (così come stabilito dal

tenersi idonei ad integrare la fattispecie di ab-

giudice penale), ma che sotto il profilo materiale

bandono morale e materiale posto a base dell’art.

la sequenza accertata dei comportamenti dei ricor-

8. L’oggetto del rinvio è, in conclusione, l’esame

renti non può essere ritenuta irrilevante unitamente

delle condizioni e dei requisiti per l’accertamento

alle altre emergenze istruttorie riscontrate, eviden-

della situazione di abbandono e per la dichia-

ziando un profilo di grave inadeguatezza.

razione di adottabilità nel rispetto dei parametri

10.2 Le valutazioni tecniche, pur riconoscen-

normativi, così come meglio illuminati alla luce

do che i ricorrenti non presentano caratteristiche

dei canoni desumibili dalla giurisprudenza EDU.

di emarginazione sociale, culturale ed economi-

8. La Corte d’Appello alle pag. 10 e 11 ha esat-

ca e che vi è stato da parte loro un compor-

tamente riprodotto i principi che la sentenza di

tamento collaborativo con le indicazioni prove-

questa Corte n. 13435 del 2016 le ha imposto di

nienti dai responsabili dei servizi territoriali, sono

seguire al fine di riesaminare i presupposti della

state, tuttavia, univocamente negative in ordine

dichiarazione di adottabilità.

all’idoneità genitoriale, essendo stata riscontrata,

9. Nel primo e secondo motivo si contesta

in particolare, una complessiva incapacità non

proprio l’applicazione di tali principi da parte

emendabile di comprendere quali siano i bisogni

della Corte territoriale sia sotto il profilo della

emotivo-affettivi e pratici della minore (cfr. pag.

violazione di legge che del vizio di motivazione.

20 sentenza impugnata), risultando il padre to-

10. Le censure risultano infondate.

talmente dipendente dalle aspettative e desideri

10.1 La Corte, svolgendo un accertamento di

della moglie e quest’ultima chiusa in un processo

fatto incensurabile in sede di giudizio di legittimi-

narcisistico che le impedisce di percepire la mi-

tà, ha affermato che la dichiarazione di adottabili-

nore come un investimento affettivo.

tà si fonda su “precisi e plurimi” elementi di fatto,

10.3 La sentenza impugnata non ha violato

confortati univocamente dalle indagini tecniche

i principi cui doveva attenersi in sede di rinvio

svolte dai consulenti d’ufficio, i quali sono perve-

compiendo una valutazione dei fatti non centrata

nuti a conclusioni del tutto omogenee.

esclusivamente sul binomio episodio abbandoni-

Gli elementi di fatto sono stati indicati analitica-

co - età dei ricorrenti ma arricchendo l’indagine

mente a pag. 17 attraverso l’esame della complessa

svolta e l’accertamento finale di numerosi ulterio-

vicenda genitoriale dei ricorrenti, prima e dopo la

ri elementi. La loro complessiva valorizzazione e

nascita della figlia minore (la reiezione della do-

valutazione costituisce il nucleo incensurabile del

manda di adozione internazionale e le ragioni che

sindacato del giudice di merito.

l’hanno sostenuta; la riscontrata necessità di soste-

11. Il terzo motivo è manifestamente infon-

gno alla genitorialità riscontrata prima del parto e

dato dal momento che la Corte d’Appello ha

confermata dopo la nascita, rifiutata dalla madre;

precisato di dover decidere sulla dichiarazione

l’indicazione di forti difficoltà nell’accudimento ol-

di adottabilità secondo i principi indicati nella

tre che pratico anche emotivo affettivo della mi-

sentenza della Corte di Cassazione n. 13545 del

nore; l’accettazione, successiva all’apertura di un

2016, senza alcuna interferenza con il provvedi-

procedimento di volontaria giurisdizione, di un so-

mento definitivo di adozione.

stegno da parte dei servizi territoriali; la forte diffe-

12. Il quarto motivo è infondato perché, co-

renza d’età con la minore). Tra i fatti esaminati, la

me già illustrato, la Corte d’Appello ha fondato

Corte ha dato rilievo anche a ciò che è accaduto

la propria decisione su una pluralità di elementi

il (OMISSIS), precisando che la minore non si è

che ha ritenuto decisivi in quanto caratterizzanti

413


Giurisprudenza

complessivamente il profilo personale e l’idoneità genitoriale dei ricorrenti. Le valutazioni dei consulenti tecnici, così come riprodotte e condivise, incensurabilmente, nella sentenza impugnata, non sono state il frutto dell’esclusivo esame della relazione tra i ricorrenti e la minore negli incontri protetti ma derivano, per come evidenziato nella pronuncia, da un’indagine complessiva della personalità degli stessi. 13. Il quinto motivo è inammissibile risolvendosi in una censura relativa esclusivamente alla valutazione dei fatti accertati così come eseguita nella sentenza impugnata. 14. Il sesto motivo è manifestamente infondato dal momento che la condizione di abbandono posta a base della dichiarazione di adottabilità non si è fondata, nel complessivo accertamento svolto dalla Corte d’Appello, sui fatti del (OMISSIS) ma, come già ripetutamente evidenziato, su

una pluralità di fattori. Inoltre il giudicato penale ha escluso la riconducibilità della condotta del ricorrente D.A. alla fattispecie incriminatrice speciale contestata, escludendo che la minore sia stata posta in una condizione di pericolo, ma tale conclusione non è impeditiva della valutazione dei fatti nella loro materialità, fuori della rilevanza penale e della creazione di una situazione di pericolo, ed in concorso con gli altri fattori ritenuti rilevanti. In conclusione, il ricorso deve essere respinto. La complessità della vicenda processuale induce alla compensazione integrale delle spese processuali del presente giudizio. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Compensa le spese processuali del presente giudizio. (Omissis)

Cass. civ., sez. I, 19 gennaio 2018, n. 1431; Tirelli Presidente - Lamorgese Relatore Adozione – Stato Di Abbandono – Accertamento Della Capacità Genitoriale In Concreto – Modalità Sussiste lo stato di abbandono di un minore in tenera età, con conseguente dichiarazione dello stato di adottabilità, nell’ipotesi in cui i genitori siano stati condannati a lunga pena detentiva, in mancanza di altri stretti congiunti idonei cui affidarlo. Lo stato detentivo di lunga durata dei genitori costituisce, infatti, una causa di forza maggiore non transitoria che impedisce oggettivamente l’adeguato svolgimento delle funzioni genitoriali, incidendo negativamente sul diritto del bambino di vivere in un contesto armonioso e sereno in una fase delicata della sua crescita.

(Omissis) Fatto. 1.- Il Tribunale per i minorenni di Milano, con sentenza del 22 settembre 2016, ha dichiarato lo stato di adottabilità di L.A., nato il (omissis), ed ha confermato la nomina del Comune di Milano come tutore provvisorio, essendo i suoi

414

genitori, L.M. e B.A., nell’impossibilità di esercitare la potestà sul figlio perché detenuti. Entrambi sono stati condannati alle pene detentive, rispettivamente, di sedici e ventitré anni di reclusione, pena rideterminata dalla Corte d’appello di Milano in venti anni di reclusione per la Levato, per avere


Cristina Caricato

cagionato a Ba.Pi. mediante lancio di acido corrosivo lesioni gravissime, come la deformazione e lo sfregio permanente del viso e l’indebolimento permanente dell’occhio destro, e per avere aggredito con analogo metodo altre persone (Ma.An., C.G. e per errore S.S.). 2.- Le vicende criminose cui si è fatto cenno costituiscono effetto del complesso rapporto sentimentale tra L.M. e B.A., caratterizzato - secondo la valutazione dei consulenti tecnici, condivisa dai giudici di merito - da “tensione intersoggettiva perversa”, essendo entrambi affetti da disturbi della personalità che erano all’origine di quei comportamenti gravemente devianti. La L. si era determinata a compiere le riferite aggressioni nei confronti delle vittime con le quali in passato aveva avuto rapporti sessuali, assecondando le richieste del proprio compagno B. (coniugato con altra persona) e per dimostrargli di essere pentita e pronta ad iniziare una nuova vita con lui e il loro figlio che portava già in grembo. 3.- Il gravame di L.M. e B.A., di G.M.R. e L.V., genitori della L., e di R.P., madre di B., è stato rigettato dalla Corte d’appello di Milano, con sentenza del 6 marzo 2017. 4.- La Corte ha confermato il giudizio del tribunale, secondo il quale, tenuto conto della lunga durata della detenzione in carcere, i genitori non sono in grado di garantire l’inserimento del minore in un ambiente familiare idoneo a sopperire ai suoi pressanti bisogni evolutivi, incompatibili con i tempi di recupero, assai incerti, degli stessi genitori, afflitti da disturbi della personalità; ha ritenuto che entrambi i genitori non abbiano dimostrato un reale pentimento, segno della mancanza di rielaborazione critica del loro vissuto; il medesimo giudizio di inadeguatezza è stato espresso dalla Corte con riguardo ai nonni di A., i quali hanno evidenziato mancata consapevolezza della gravità dei comportamenti dei loro figli, importanti fragilità delle loro personalità, scarsa empatia con il minore e atteggiamenti egoistici incompatibili con

la cura e l’educazione di quest’ultimo. 5.- Avverso questa sentenza hanno proposto ricorso per cassazione il padre di Ac., B.A., e la nonna paterna R.P.; in via incidentale, i nonni materni G.M.R. e L.V. e, con atto separato, L.M.. Il Comune di Milano, tutore provvisorio del minore, ha presentato controricorsi. L.M., L.V. e la G. hanno presentato memorie. Diritto. 1.- La ricorrente L.M. ha lamentato, nella memoria difensiva, di essere vittima di accanimento nei suoi confronti, che sarebbe dimostrato dal rigetto della sua istanza di essere autorizzata a presenziare all’udienza pubblica di questa Corte. Questa doglianza, che dev’essere esaminata sebbene formulata in via incidentale e non ribadita nella discussione orale, è infondata. Il provvedimento presidenziale del 17 novembre 2017, non reclamato, non ha impedito (e non avrebbe potuto impedire) all’interessata di presenziare ad un’udienza pubblica, qual è quella svolta in Cassazione il 30 novembre 2017. La doglianza riguarda, in realtà, la mancata adozione di misure atte a consentire il superamento della limitazione derivante dallo stato di detenzione, misure che il presidente non ha ritenuto di adottare per ragioni che la parte non ha in alcun modo contestato. È necessario precisare che non si è verificata alcuna lesione dei suoi diritti di difesa per la mancata partecipazione all’udienza pubblica di cui all’art. 379 c.p.c., nella quale la L. non avrebbe potuto svolgere alcuna attività e comunque è stata rappresentata e difesa dal suo avvocato. 2.- Il ricorso di L.M., madre di Ac., assume rilievo logicamente preliminare e dev’essere esaminato in via prioritaria. Con il primo motivo di ricorso, la L. ha denunciato violazione e falsa applicazione della L. n. 184 del 1983, artt. 1 e 5 e art. 8 Cedu, per avere dichiarato lo stato di adottabilità del figlio, senza darle la possibilità di dimostrare le proprie competenze genitoriali, escluse solo in ragione della gravità dei suoi comportamenti e delle risultanze di

415


Giurisprudenza

una perizia in sede penale ormai risalente, sen-

to il giudizio di incapacità genitoriale sulla base

za considerare il proficuo percorso terapeutico

della mera constatazione della efferatezza dei re-

da lei intrapreso, la possibilità di un affidamento

ati commessi, come conseguenza di tipo sostan-

etero-familiare del minore nè attivare alcun aiuto

zialmente sanzionatorio, mentre l’adozione del

nei suoi confronti, visto il suo impedimento tem-

minore, recidendo ogni legame con la famiglia di

poraneo, essendo detenuta in carcere.

origine, costituisce extrema ratio cui è possibile

Con il secondo motivo è denunciato omesso

ricorrere solo in presenza di una conclamata e

esame di fatti decisivi per il giudizio, per avere

irreversibile incapacità dei genitori di allevarlo e

fondato il giudizio di inadeguatezza genitoriale

curarlo, non desumibile dal loro attuale stato di

sulle condotte criminali della L., omettendo di

detenzione.

esaminare in concreto le sue capacità genitoriali e il suo percorso evolutivo in due anni di carce-

3.- Questa imputazione si basa su una lettura parziale e travisata della sentenza impugnata.

razione e di terapia psicologica; per avere riferito

3.1.- È necessaria una premessa sulla giuri-

di patologie personologiche senza individuarle e

sprudenza di questa Corte, nella quale è acquisito

trascurato la perizia svolta in sede penale che

il principio secondo cui la prioritaria esigenza del

escludeva l’esistenza di una patologia psichica

figlio di vivere nell’ambito della propria famiglia

tale da compromettere le sue capacità critiche e

di origine può essere sacrificata in presenza di

di giudizio; per avere omesso di valutare il posi-

pregiudizio grave e non transeunte per un equili-

tivo percorso evolutivo da lei compiuto in carce-

brato ed armonioso sviluppo della sua personali-

re, con l’aiuto dello psichiatra, dimostrato dalla

tà, quando la famiglia di origine non sia in grado

sua scelta di mettersi in discussione, di troncare

di garantirgli la necessaria assistenza e stabilità

i rapporti con A., di riprendere gli studi universi-

affettiva. Tale esigenza impone particolare rigore

tari e di dedicarsi alla cura degli altri; per avere

nella valutazione dello stato di adottabilità, ai fini

dato rilievo all’inverosimile teoria secondo cui il

del perseguimento del suo superiore interesse,

bimbo avrebbe praticato un “addormentamento

e non può fondarsi di per sé su anomalie non

difensivo” per esternare la propria ostilità verso

gravi del carattere e della personalità dei genito-

la madre e i familiari.

ri, comprese eventuali condizioni patologiche di

Con il terzo motivo è denunciato omesso esa-

natura mentale, quando non sia compromessa la

me di un fatto decisivo, per avere rilevato che

loro capacità di assicurare al minore una cresci-

L.M. sarebbe persona inidonea a crescere un fi-

ta serena ed un equilibrato sviluppo psicofisico

glio, senza valutare l’atteggiamento di autocritica

(Cass. n. 28230 del 2013, n. 18563 del 2012). Le

da essa avviato, risultante dalle relazioni dello

gravi carenze morali e materiali integranti lo stato

psichiatra …, con il quale aveva intrapreso un

di abbandono non devono dipendere da cause

proficuo percorso psicologico, e del consulente

di forza maggiore transitorie, le quali, una volta

di parte, P.C., il quale aveva riferito di una “me-

cessate, fanno venire meno il presupposto della

tamorfosi radicale” e di un “processo irreversibile

dichiarazione di adottabilità, restando irrilevante

nella direzione positiva” da parte della L., e in de-

la positiva valutazione prognostica della situazio-

finitiva senza considerare il fine rieducativo della

ne che verrebbe per il minore a realizzarsi presso

pena e di reinserimento del reo nella società.

eventuali genitori adottivi o affidatari. Infatti l’a-

In sostanza, i suddetti motivi, reciprocamente

dozione, recidendo ogni legame con la famiglia

connessi e, quindi, da esaminare congiuntamen-

di origine, costituisce una misura eccezionale cui

te, imputano alla Corte del merito di avere fonda-

è possibile ricorrere non già per consentire al

416


Cristina Caricato

minore di essere accolto in un contesto più fa-

mento, all’esito di un percorso doloroso che non

vorevole o per assicurargli le migliori condizioni

è stato riscontrato. Hanno riconosciuto che è in

di vita possibili, sottraendolo alle cure dei suoi

atto un percorso terapeutico che potrebbe con-

genitori biologici, ma solo quando si siano dimo-

durla “in futuro” ad una maturazione della pro-

strate impraticabili le altre misure, anche di ca-

pria personalità ed ad acquisire le competenze

rattere assistenziale, volte a favorire il ricongiun-

necessarie per sviluppare un rapporto equilibrato

gimento con i genitori biologici (Cass. n. 13435

con il proprio figlio, ma i tempi di attesa di que-

del 2017, n. 7391 del 2016, n. 19862 del 2003). Si

sta auspicabile evoluzione non sono compatibili

è precisato che la condizione di abbandono del

con le pressanti esigenze di un bambino dell’età

minore può essere dimostrata anche dallo stato

di Ac..

di detenzione al quale il genitore sia tempora-

Si tratta di apprezzamenti di fatto riservati ai

neamente assoggettato, trattandosi di circostanza

giudici di merito, compiuti sulla base di argo-

che, essendo imputabile alla condotta criminosa

mentazioni idonee a rivelare la ratio decidendi

posta in essere dal genitore nella consapevolezza

e non censurabili in Cassazione, risolvendosi le

della possibile condanna e carcerazione, non in-

doglianze nella critica della sufficienza del ragio-

tegra gli estremi della causa di forza maggiore di

namento logico posto a base dell’interpretazione

carattere transitorio individuata dalla L. n. 184 del

degli elementi probatori del processo e, in so-

1983, art. 8 quale causa di giustificazione della

stanza, nella richiesta di una diversa valutazione

mancata assistenza (Cass. n. 26624 del 2017, n.

degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazio-

19735 del 2015).

nale non più proponibile a norma del novellato

3.2.- Di questi principi la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione.

art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass., sez. un., n. 8053/2014). Inoltre il ricorso si appunta su argomentazioni

I giudici di merito hanno valutato sia i gra-

motivazionali svolte ad abundantiam e comun-

vissimi comportamenti delittuosi posti in essere

que prive di influenza sul dispositivo della stessa

dalla L., con in grembo il piccolo Ac., essendo

(Cass. n. 22380/2014), come nel caso del cosid-

lei consapevole della gravidanza, sia le anoma-

detto “addormentamento difensivo”; apodittica e

lie del carattere e della personalità della madre

avulsa dalla fattispecie concreta è la doglianza

(oltre che del padre), sebbene non integranti pa-

della ricorrente di non avere ricevuto l’aiuto e il

tologie psichiatriche definite, e - in linea con le

sostegno previsto dalla L. n. 184 del 1983.

indicazioni della giurisprudenza (Cass. n. 25213

3.3.- Ulteriore ratio decidendi, evincibile dalla

del 2013, n. 18563 del 2012) - hanno valutato

sentenza impugnata, è lo stato di lunga detenzio-

i negativi “effetti” sulla sua capacità genitoriale,

ne della L. che verrebbe indubbiamente a pre-

escludendo che lei possa garantire al bambino

giudicare la garanzia della convivenza del nucleo

uno sviluppo psicofisico sereno ed equilibrato

familiare che è espressione di un diritto fonda-

negli anni più delicati per la sua crescita.

mentale della persona umana e, in particolare,

Hanno evidenziato i disturbi psicologici della

dei genitori e dei figli minori ad una vita comune

L., la sua immaturità, l’esaltazione narcisistica del

nel segno dell’unità della famiglia (Corte cost. n.

proprio io, l’assenza di Ac. dalle proprie riflessio-

183 del 2008, n. 203 del 1997). Deve quindi rite-

ni e preoccupazioni e, in sostanza, la mancanza

nersi che lo stato detentivo di lunga durata costi-

di un autentico cambiamento di vita, che avrebbe

tuisca, nella specie, una causa di forza maggiore

richiesto necessariamente la presa di coscienza

non transitoria che oggettivamente impedisce un

della gravità dei propri comportamenti e il penti-

adeguato svolgimento delle funzioni genitoriali,

417


Giurisprudenza

incidendo negativamente sul diritto del bambino

valutazioni espresse dai consulenti tecnici e dagli

di vivere in un contesto familiare unito e sereno

operatori all’esito di quarantadue incontri con la

negli anni più delicati della sua crescita.

R. - e non censurabile in sede di legittimità, a

Neppure sussiste la situazione (considerata da Cass. n. 19735 del 2015 cit., n. 10126 del 2005)

norma del novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass., sez. un., n. 8053/2014).

che il genitore si sia comunque preoccupato di

5.- I nonni materni, G.M.R. e L.V., hanno de-

assicurare al minore l’assistenza morale e mate-

nunciato violazione e falsa applicazione della L.

riale, trattandosi di ipotesi riferibile al genitore

n. 184 del 1983, artt. 1,8 e 16 per avere dichia-

che, diversamente dalla L., sia capace di svolgere

rato l’adottabilità del minore quando lo stato di

le funzioni genitoriali ma temporaneamente im-

abbandono del minore non si era ancora con-

pedito perché detenuto e che per questo lo abbia

cretizzato, essendo stato piuttosto determinato

affidato a parenti in grado di prendersi cura di

dalla decisione della Procura della Repubblica

lui, mentre, nella specie, i nonni (come si vedrà)

di Milano di aprire il procedimento per l’adot-

non sono stati ritenuti idonei a sostituire effica-

tabilità del piccolo Ac. prima della sua nascita,

cemente i genitori nella funzione genitoriale, tra

con l’effetto di precludere la formazione di un

l’altro per un periodo lungo come quello della

legame genitoriale con la madre e l’evoluzione

detenzione.

naturale del legame affettivo con i nonni ma-

4.- B.A. e la nonna paterna, R.P., hanno de-

terni; per non avere dato a L.M. la possibilità

nunciato violazione e falsa applicazione della L.

di sperimentare o recuperare il rapporto con il

n. 184 del 1983, artt. 1,8 e 16 per avere dichiarato

figlio, nè valutato il carattere transitorio della

l’adottabilità del minore senza valutare la dispo-

sua condizione di detenuta e la possibilità di un

nibilità della R. a rendersi affidataria o collocata-

affidamento etero-familiare; per non avere valu-

ria del minore, senza verificarne adeguatamente

tato la disponibilità dei nonni materni a rendersi

la sua capacità di accudimento del piccolo Ac. e

affidatari o collocatari del minore, tanto più che

nonostante essa non soffrisse di patologie psi-

entrambi erano stimati insegnanti di scuola me-

chiche.

dia da molti anni.

4.1.- Il ricorso è infondato.

5.1.- Il ricorso è infondato nella parte in cui

Si osserva preliminarmente che B. non cen-

reitera censure e doglianze della figlia M. già esa-

sura la sentenza impugnata nella parte che lo

minate (v. supra, p. 2 ss.) e, nel resto, per ragioni

riguarda direttamente, ma in quella che ha giudi-

analoghe a quelle riguardanti la nonna paterna.

cato infruttuoso il tentativo della propria madre

Infatti anche i nonni materni non hanno di-

di evitare la dichiarazione di adottabilità propo-

mostrato una reale presa di coscienza delle atro-

nendosi come affidataria del minore.

cità delle condotte della figlia, come accertato

La Corte territoriale ha verificato l’inidoneità

dai consulenti tecnici e dagli operatori all’esito

della R. ad assicurare al piccolo Ac. le cure ma-

di quarantasei incontri, dai quali è emersa nelle

teriali e le attenzioni necessarie a garantirgli un

loro personalità una significativa fragilità emotiva

equilibrato ed armonioso sviluppo della persona-

di tipo narcisistico. L’incidenza negativa sulla ido-

lità, come dimostrato dalla mancanza di un atteg-

neità dei nonni a svolgere funzioni genitoriali vi-

giamento critico e di distacco dai comportamenti

carie è stata plausibilmente argomentata dai giu-

delittuosi del proprio figlio che ha continuato a

dici di merito con un accertamento - di fatto non

difendere. Si tratta di un accertamento di fatto

censurabile in sede di legittimità. Tale valutazio-

compiuto dai giudici di merito - sulla base delle

ne è rafforzata dalla considerazione della Corte

418


Cristina Caricato

di merito - ispirata alla valutazione del superiore interesse del minore - che, ove questi rimanesse legato alla famiglia di origine, inevitabilmente sarebbe costretto a confrontarsi con la drammatica storia familiare dei suoi genitori. 6.- In conclusione, i ricorsi sono rigettati. Le spese devono essere compensate, in considera-

zione della dimensione umana della controversia. P.Q.M. La Corte rigetta i ricorsi; compensa le spese. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi. (Omissis)

L’incerto diritto del minore alla propria famiglia*. Sommario:

1. La vicenda sottesa alla sentenza della Corte di Cassazione n. 3594/2018 – 2. La vicenda sottesa alla sentenza della Corte di Cassazione n. 1431/2018 – 3. La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo – 4. La giurisprudenza nazionale – 5. Osservazioni critiche.

There is no abandonment when the parents are too old to adequately fulfill their parental and educational tasks, not even when other vicarious persons, such grandparents who are willing and capable to take care of the grandchildren, exist. The decisions that are being commented change the concept of abandonment required by the law on adoption and introduce different and secondary evaluations with respect to the abovementioned requisite.

1. La vicenda sottesa alla sentenza della Corte di Cassazione n. 3594/2018.

Con la sentenza n. 3594 del 2018 la Suprema Corte porta a conclusione la vicenda, che ha avuto una grande eco mediatica, relativa ad una coppia di coniugi, la cui figlia biologica è stata infine data in adozione per vari motivi, ma (nella sostanza) perché si è ritenuto

*

Il presente contributo è stato sottoposto a valutazione in forma anonima.

419


Giurisprudenza

che i genitori biologici fossero in età troppo avanzata per potere svolgere adeguatamente la loro funzione genitoriale ed educativa. La signora G. C. D., ultracinquantenne, coniugata con un uomo di quasi settant’anni, dopo avere provato per lungo tempo ad avere figli (era ricorsa inutilmente dieci volte in Italia a tecniche di procreazione medicalmente assistita e due volte si era vista respingere l’istanza di adozione), dava alla luce, con la tecnica della fecondazione eterologa praticata all’estero1, una bambina. Nel 2010 a seguito di denuncia per presunto abbandono di minore, la bambina veniva allontanata e si apriva il procedimento di adozione, che confermava lo stato di adottabilità della minore, decisione confermata sia in appello che in cassazione. Tuttavia, il padre – assolto nel frattempo dall’accusa di abbandono di minore – impugnava la sentenza della Suprema Corte per revocazione. Questa volta la Suprema Corte, con sentenza n. 13435/20162, accoglieva il ricorso, ritenendolo fondato sotto due profili: sotto il profilo rescindente, perché la dichiarazione di adottabilità era stata in concreto fondata su un’unica circostanza di fatto, ritenuta decisiva, costituita dall’età avanzata dei genitori biologici; e, sotto il profilo rescissorio, perché secondo la Suprema Corte non risultava sussistente lo stato di abbandono morale e materiale della minore e non era dunque integrato il presupposto stesso della dichiarazione di adottabilità. Con riguardo a tale profilo rescissorio, la sentenza impugnata veniva cassata con rinvio alla Corte d’Appello che aveva dichiarato l’adottabilità della minore, affinché fosse svolto un nuovo esame della situazione di abbandono morale e materiale della minore tenendo presenti i principi di diritto dettati dalla Suprema Corte. Nel giudizio di rinvio, la Corte d’Appello di Torino confermava la dichiarazione di adottabilità della minore3 sulla base di una serie di principi.

1

In Italia, fino al 2004 era vietata. Cfr. L. 19 febbraio 2004, n. 40 recante “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”, pubblicata in Gazz. uff. n. 45 del 24 febbraio 2004. Cfr. di recente R. Villani, La procreazione assistita, in Trattato di diritto di famiglia diretto da P. Zatti, II, Filiazione, a cura di G. Collura, L. Lenti e M. Mantovani, 2a ed., Milano, 2012, 611 ss. 2 Cass., 30 giugno 2016, n. 13435, in Foro it., 2016, I, c. 2319, con nota di G. Casaburi, La revocabilità delle sentenze (della Cassazione) di adottabilità dei minori tra giudici supremi interni e sovranazionali: le “liaisons dangereuse” (c. 2340 ss.) e in Fam. dir., 2017, 319, con nota di A. Figone, Accertamento dello stato di abbandono e revocazione di sentenze della Cassazione, secondo cui: «Posto che il figlio minore ha diritto di vivere, nei limiti del possibile, con i suoi genitori e di essere allevato nell’ambito della propria famiglia, la dichiarazione di adottabilità del medesimo, in quanto si risolve nella definitiva e totale rescissione dei legami familiari, costituisce misura eccezionale, la cui adozione presuppone il rigoroso accertamento (a tutela del superiore interesse del minore) del suo stato di abbandono, riferibile alla radicale e non transeunte inadeguatezza dei genitori a prendersene cura, allevarlo ed educarlo (nella specie, la Suprema corte ha cassato la sentenza di merito che aveva dichiarato adottabile una neonata pur in mancanza di specifici elementi denotanti lo stato di abbandono, valorizzando invece fattori che, di contro, non avrebbero giustificato una tale pronuncia, in particolare: a) un episodio isolato, l’averla i genitori lasciata sola in automobile di notte, la cui pericolosità è stata esclusa dal giudice penale; b) l’età eccessivamente elevata dei genitori medesimi, elemento invece del tutto irrilevante; c) il disagio manifestato dalla bambina nei confronti dei genitori negli incontri monitorati dai servizi sociali, invece spiegabile proprio con il prolungato allontanamento della stessa dai congiunti a poche settimane dalla nascita)». Cfr. le osservazioni di C.M. Bianca, Una nuova pagina della Cassazione sul diritto fondamentale del minore di crescere nella sua famiglia, in Foro it., 2017, I, c. 3171, secondo cui lo spirito della sentenza risiede proprio nell’affermazione che «la dichiarazione dello stato di adottabilità va reputata, sotto ogni aspetto, come l’extrema ratio». 3 App. Torino, 11 marzo 2017, n. 21, in Foro it., 2017, I, c. 1184, con nota di G. Casaburi, «Quandoque bonus dormitat Homerus». Per

420


Cristina Caricato

1. In ordine all’accertamento della situazione di abbandono morale e materiale della minore, la Corte osservava che il giudizio deve avere per oggetto la condizione attuale della minore, che da molti anni non frequenta né ha esperienze di vita in comune né rapporti significativi con i genitori biologici. Deduceva la Corte in particolare che i consulenti tecnici di ufficio avevano ritenuto che recidere il legame attuale con i genitori adottivi avrebbe prodotto un effetto traumatico molto più grave dell’eventuale ricostruzione di un rapporto con i genitori biologici, che ormai non esisteva più, perché era stato vissuto per un periodo molto breve e per di più con grandi difficoltà. I consulenti osservavano che il rientro presso i genitori biologici sarebbe stato molto rischioso perché avrebbe modificato i punti di riferimento affettivo della minore determinando un grave disagio evolutivo nella medesima.

2. Ad avviso dei consulenti tecnici d’ufficio, i genitori non avevano dimostrato di possedere risorse necessarie a garantire il sereno sviluppo psicofisico della minore tali da ribaltare il giudizio prognostico formulato fino a quel momento.

3. .Il migliore interesse per il minore – anche alla luce dei principi della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo – secondo la Corte di Appello di Torino consisteva nel caso in esame nella conservazione della situazione stabile di cui la minore godeva. La Corte di Appello di Torino ha ritenuto invece di non condividere un’argomentazione della Suprema Corte4, ad avviso di chi scrive molto forte, secondo cui la mancata costituzione di un autentico rapporto filiale era da imputare all’allontanamento della minore dai genitori biologici ad appena un mese di vita5. Viceversa la Corte di Appello ha ravvisato nel caso di specie una situazione di abbandono6 morale dovuto a una inemendabile inadeguatezza dei genitori. Tale valutazione di inidoneità genitoriale e la prognosi di non recuperabilità in relazione ai tempi e alle esigenze della minore si fonderebbero in particolare su una serie di accertamenti di fatto che univocamente condurrebbero a tale risultato. Appare opportuno sottolineare questo passaggio della sentenza, perché – come si vedrà più avanti – essendo i predetti accertamenti di fatto incensurabili in cassazione, la Suprema Corte non ha avuto altra scelta che confermare lo stato di adottabilità della minore.

una specializzazione dei procedimenti di famiglia in Cassazione (c. 1205 ss.). Nella sentenza si legge: «A ben vedere, l’unico elemento negativo riscontrato dagli assistenti sociali nel rapporto con la minore – si legga, in sentenza, la descrizione degli incontri programmati, in cui la bambina “è profondamente a disagio” e “non emerge che i genitori naturali (…) siano per lei delle figure significative” – è stato indotto dallo Stato medesimo, allorché ha allontanato una neonata dai genitori a pochissime settimane dalla nascita: e la stessa corte del merito ammette come “è comprensibile che l’aver potuto vedere la bambina poche decine di volte nell’arco di questi anni alteri il rapporto tra lei e la minore e soprattutto che dia ragione di una certa ‘legnosità’ della relazione». 5 App. Perugia, 4 dicembre 2003, in Giur. merito, 2004, 2454 ss., con nota critica di G. Morani, Ancora sui presupposti dello stato di abbandono nell’adozione di minori d’età (ivi alla 2455). 6 Per una definizione dello «stato di abbandono» cfr. A. Giusti, Affidamento ed adozione dei minori di età, in Il diritto di famiglia, Trattato diretto da G. Bonilini e G. Cattaneo, Torino, 1997, 353. 4

421


Giurisprudenza

La Suprema Corte rigetta infatti il ricorso dei coniugi, ritenendo che la Corte territoriale di Torino abbia svolto un accertamento di fatto incensurabile in sede di giudizio di legittimità. Da tale accertamento di fatto è emerso – ad avviso della Suprema Corte – che la dichiarazione di adottabilità si fonda su precisi e plurimi elementi di fatto confortati univocamente dalle indagini tecniche svolte dai consulenti di ufficio, i quali sono pervenuti a conclusioni del tutto omogenee. I presunti elementi di fatto7 che conforterebbero la decisione sarebbero rappresentati dal rigetto della domanda di adozione internazionale (e dalle ragioni a sostegno di tale rigetto); dalla necessità di un sostegno alla genitorialità sia prima che dopo la nascita, viceversa rifiutato dalla madre; dall’accettazione, ma solo successiva all’apertura di un procedimento di volontaria giurisdizione, di un sostegno da parte dei servizi territoriali; dalla forte differenza di età con la minore.

2. La vicenda sottesa alla sentenza della Corte di Cassazione n. 1431/2018.

Anche questa seconda sentenza prende le mosse da un caso mediatico di grande rilevanza, quello della cosiddetta «coppia dell’acido», macchiatasi di atroci delitti nei confronti dei precedenti fidanzati della donna e per tale motivo condannata a scontare una lunga pena detentiva. Nella sentenza oggi in commento si discuteva della possibilità di dichiarare lo stato di adottabilità del figlio minore. Esclusa la fondatezza del ricorso presentato dai due genitori biologici a causa di «accertata inidoneità genitoriale derivante sia dai gravissimi delitti di cui si sono macchiati sia da problemi psicologici» tali da determinare disturbi della personalità, la Corte esaminava la possibilità che il minore fosse affidato alla nonna paterna, oppure ai nonni materni, ed escludeva entrambe le eventualità. Sia la nonna paterna che i nonni materni censuravano la sentenza di secondo grado che non avrebbe valutato la disponibilità degli stessi a rendersi affidatari del minore e che non avrebbe verificato adeguatamente la loro capacità di accudimento del piccolo, cioè nel caso della nonna paterna nonostante la stessa non soffrisse di patologie psichiche, nel caso dei nonni materni nonostante entrambi fossero stimati insegnanti di scuola media da molti anni. I nonni materni osservavano peraltro che la dichiarazione di adottabilità era intervenuta in un momento in cui il minore non era ancora nato e quindi lo stato di abbandono del minore non si era ancora concretizzato, lamentando che tale decisione

7

Nessuno di essi costituisce prova dello stato di abbandono: così C.M. Bianca, Quando possiamo togliere legittimamente un bambino alla sua famiglia?, in Foro it., 2017, I, c. 817 ss. Secondo l’illustra A., la considerazione degli elementi di fatto in questione «conferma che la dichiarazione dello stato di adottabilità si è basata su un impianto probatorio finalizzato ad un accertamento che è proprio del giudizio di idoneità degli adottanti, ma è estraneo a quello che deve presiedere il distacco di un minore dalla sua famiglia».

422


Cristina Caricato

era stata piuttosto determinata dalla volontà della Procura della Repubblica di Milano di aprire un procedimento prima della nascita del bambino, al fine e con l’effetto di precludere la formazione di un legame genitoriale con la madre e l’evoluzione naturale del legame affettivo con i nonni materni. Occorre osservare che la sentenza in commento è piuttosto scarna, limitandosi ad affermare che i nonni materni così come la nonna paterna non hanno dimostrato una reale presa di coscienza delle atrocità compiute dai rispettivi figli, che questo particolare è stato ampiamente accertato in fatto e questo accertamento di fatto non è censurabile in sede di legittimità. La Corte di Cassazione, inoltre, afferma che la decisione di adottare il bambino è ispirata alla valutazione del superiore interesse del minore8, considerato che – ove questi rimanesse legato alla famiglia di origine – inevitabilmente sarebbe costretto a confrontarsi con la drammatica storia familiare dei suoi genitori. Sul punto, la decisione appare già palesemente criticabile, dal momento che tale eventualità colpisce di frequente molti bambini che vivono in famiglie difficili, che lo Stato comunque è tenuto a sostenere per realizzare il dettato costituzionale (art. 31 Cost.), onde evitare la loro adozione; essa costituisce inoltre una circostanza inevitabile: invero, come è noto, l’art. 28, 5° comma, della legge sull’adozione prevede il diritto dell’adottato di conoscere le proprie origini9; è chiaro che questo avverrebbe in un momento in cui il minore sarebbe (forse) psicologicamente più forte (a 25 anni o al raggiungimento della maggiore età per motivi attinenti alla sua salute psico-fisica), perché al termine di un percorso evolutivo, anche se la conoscenza delle origini dipende da una scelta dei genitori che potrebbe anche avvenire prima del raggiungimento della maggiore età. Questa sentenza pone in luce che l’inidoneità a svolgere una funzione vicaria rispetto a quella dei genitori viene esclusa soprattutto (in questo secondo caso) per l’intento sanzionatorio di comminare una sorta di pena accessoria alla condanna: quale che sia la motivazione, occorre domandarsi se non debba essere più forte (e prevalere) l’interesse del minore a essere cresciuto dalla propria famiglia. Sotto quest’ultimo profilo, la Corte ha certamente trascurato un dato di comune esperienza, quello per cui in mancanza dei genitori (per morte o impossibilità), quando i minori sono in tenera età, gli stessi vengono frequentemente cresciuti dai nonni e spesso, anche in presenza dei genitori, per buona parte della loro vita i minori frequentano assiduamente i nonni10.

8

La dottrina ha da tempo posto in rilievo come l’interesse del minore abbia un carattere relativo e non possa costituire un modello predeterminato: cfr. L. Rossi Carleo, L’interesse del minore: relatività del valore assoluto e importanza delle regole procedimentali, in L’affidamento dei minori nelle separazioni giudiziali. Ricerca interdisciplinare sui criteri di affido in alcuni tribunali italiani, in A.M. Dell’Antonio e D. Vincenzi Amato (a cura di), Milano, 1992, 199. 9 In argomento, v. la recentissima Cass., 20 marzo 2018, n. 6963, in Archivio Dejure. 10 In argomento appaiono particolarmente appropriate le osservazioni di L. Rossi Carleo, I «rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti» tra riconoscimento e omissioni, in L’affidamento condiviso, a cura di S. Patti e L. Rossi Carleo, Milano, 2006, 139 ss.

423


Giurisprudenza

3. La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Le Convenzioni internazionali (prime fra tutte la Convenzione di New York del 20 novembre 1989 sui diritti dei fanciulli11, la Convenzione europea del 25 gennaio 1996 sull’esercizio dei diritti dei fanciulli12, nonché la Carta di Nizza13) riconoscono il preminente diritto del minore alla propria famiglia14, ribadendo quanto già è affermato nella Costituzione (artt. 30 e 31), che manifesta una chiara preminenza e precedenza degli interventi statali di sostegno della famiglia rispetto a quelli sostitutivi15. Pur essendo la legge in materia di adozione (come riformata nel 2001) molto chiara sul punto, affermando che l’adozione deve rappresentare un rimedio estremo e residuale16, le recenti pronunce in argomento, come quelle in commento, sono ben lontane dalla realizzazione del dettato costituzionale e di quello delle Convenzioni internazionali. Pur avendo l’art. 315-bis, 2° comma, c.c., introdotto dalla legge 219/2012, ribadito il fondamentale diritto del minore di crescere in famiglia, si registrano numerose sentenze di condanna17 della Corte europea dei diritti dell’uomo18 per avere dichiarato in stato di adottabilità minori pur in assenza di quelle eccezionali circostanze idonee a giustificare il distacco del minore dalla propria famiglia19.

11

L. 27 maggio 1991, n. 176. L. 20 marzo 2003, n. 77. 13 La Corte di giustizia dell’Unione Europea ha affermato, con riguardo all’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, cosiddetta Carta di Nizza (secondo cui «Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare») - che ha lo stesso valore giuridico dei Trattati ex art. 6, par. 1, TUE - che la norma «contiene diritti corrispondenti a quelli garantiti dall’art. 8, n. 1, Cedu e che pertanto occorre attribuire all’art. 7 della Carta lo stesso significato e la stessa portata attribuiti all’art. 8, n. 1, Cedu, nell’interpretazione datane dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo»: così Corte giust. U.E., 15 novembre 2011, C-256/11, in eur-lex.europa.eu. 14 Sul diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia, v. P. Morozzo della Rocca, sub art. 1 l. 4 maggio 1983, n. 184, in Commentario del Codice civile diretto da E. Gabrielli, Della famiglia, a cura di L. Balestra, Torino, 2010, 7 ss. 15 Lo ricorda G. Ferrando, La filiazione. Note introduttive, in Il Nuovo diritto di famiglia diretto da G. Ferrando, vol. III, Filiazione e adozione, Bologna, 2007, 14 ss. 16 Per una bibliografia essenziale in argomento, cfr.: M. Bessone e G. Ferrando, voce Minori e maggiori di età (adozione dei), in Noviss. Dig. it., App., V, Torino 1984, 82 ss.; C. Ebene Cobelli, Adozione e affidamento dei minori, sub art. 44 l. n. 184/1983, in Nuove leggi civ. comm., a cura di C.M. Bianca, F.D. Busnelli, G. Franchi e S. Schipani, 1984, 172 ss.; G. Cattaneo, voce Adozione, in Dig. IV, disc. priv. sez. civ., I, Torino, 1987, 116 ss.; R. Tommasini, Commento agli artt. 44-57 della legge sull’affidamento e adozione dei minori, in Commentario al diritto italiano della famiglia diretto da G. Cian, G. Oppo e A. Trabucchi, VI, 2, Padova, 1993, 456; L. Rossi Carleo, L’affidamento e le adozioni, in Trattato di diritto privato diretto da P. Rescigno, IV, 2a ed., Torino, 1997, 462 ss.; G. Autorino Stanzione e P. Stanzione, Le adozioni nella nuova disciplina. Legge 28 marzo 2001, n. 149, Milano, 2001, passim; A. e M. Finocchiaro, Adozione e affidamento dei minori, Milano, 2001, 135 ss.; M. Dogliotti, Adozione di maggiorenni e minori, in Il Codice civile. Commentario, fondato da P. Schlesinger, diretto da F.D. Busnelli, Milano, 2002, 797 ss.; P. Morozzo della Rocca, L’adozione dei minori e l’affidamento familiare, in Il Nuovo diritto di famiglia diretto da G. Ferrando, vol. III, Filiazione e adozione, Bologna, 2007, 587 ss.; L. Fadiga, L’adozione legittimante dei minori, in Trattato di diritto di famiglia diretto da P. Zatti, II, Filiazione, a cura di G. Collura, L. Lenti e M. Mantovani, 2a ed., Milano, 2012, 611 ss. Per una prospettiva storica, cfr. L. Lenti, Vicende storiche e modelli di legislazione in materia adottiva, in Trattato di diritto di famiglia diretto da P. Zatti, II, Filiazione, cit., 767 ss. 17 Lo denuncia C.M. Bianca, Le condizioni di indigenza dei genitori non possono essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia, in Familia, 2016, 3 ss., spec. 5. 18 Cfr. ad esempio il caso Paradiso e Campanelli c. Italia, 20 gennaio 2015. 19 Ravvisa una violazione dell’art. 8 CEDU Cass., 18 dicembre 2015, n. 25526, in www.dejure.it. 12

424


Cristina Caricato

La Corte Europea dei diritti dell’uomo, valorizzando l’art. 8 della CEDU, secondo cui «ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare» e «non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, per la pubblica sicurezza, per il benessere economico del paese, per la difesa dell’ordine e per la prevenzione dei reati, o per la protezione della salute o della morale, o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui», in ipotesi di dichiarazione dello stato di abbandono finalizzato all’adozione piena di minori, ha con forza affermato l’esigenza di accertare la sussistenza di presupposti assai stringenti20, per consentire l’allontanamento del minore dalla propria famiglia biologica21. Invero, una ingerenza nell’esercizio del diritto al rispetto della vita familiare potrebbe ritenersi compatibile con il richiamato art. 8 solo in presenza di una serie di condizioni: deve essere prevista dalla legge, perseguire uno scopo legittimo ed essere necessaria in una società democratica. In particolare, la Corte ha ricordato che «benché l’art. 8 abbia essenzialmente la finalità di tutelare l’individuo da ingerenze arbitrarie dei pubblici poteri, non si limita ad imporre agli Stati di astenersi da simili ingerenze: a tale obbligo di astensione possono aggiungersi obblighi positivi inerenti ad un rispetto effettivo della vita privata o familiare. Possono comportare l’adozione di misure volte a garantire il rispetto della vita privata fin nei rapporti interpersonali»22. Gli Stati devono, pertanto, porre in essere tutti gli interventi necessari affinché il legame possa svilupparsi23.

20

Cfr. le osservazioni critiche di G. Casaburi, La revocabilità delle sentenze (della Cassazione) di adottabilità dei minori tra giudici supremi interni e sovranazionali: le “liaisons dangereuse”, cit., c. 2341, che ricorda come alla Corte di Strasburgo non competa determinare il significato della legge nazionale, anche se – ad avviso di chi scrive – ad essa compete certamente di orientare gli Stati verso una interpretazione delle norme che sia conforme a Convenzioni e Trattati internazionali. . 21 Cfr. G. Ferrando, Genitori e figli nella giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, in Fam. dir., 2009, 1049 s.; Id., Matrimonio e famiglia: la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ed i suoi riflessi sul diritto interno, in Costituzione europea e interpretazione della Costituzione italiana, a cura di G. Iudica e G. Alpa, Napoli, 2006, 131 s.; Id., Il contributo della Corte europea dei diritti dell’uomo all’evoluzione del diritto di famiglia, in NGCC, 2005, II, 263; J. Long, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo e il diritto italiano della famiglia, in Trattato di diritto di famiglia diretto da P. Zatti, VII, Milano, 2005, 1 s. 22 Cfr. Corte eur. dir. uomo, 22 ottobre 1996, n. 22083, punto 62, Stubbings e altro c. Regno Unito, in Dir. dell’uomo e libertà fond., 2006, 489. Nello stesso senso, v. Corte eur. dir. uomo, 21 gennaio 2014, n. 33773, in Foro it., 2014, IV, c. 173, con nota di G. Casaburi, Dai diversi modelli di adozione di minore nella giurisprudenza della Cassazione alla novellazione legislativa della nozione di stato di abbandono. Tale sentenza afferma «Posto che l’adozione di un minore, recidendo ogni legame con la famiglia d’origine, costituisce misura eccezionale, gli Stati membri della convenzione europea dei diritti dell’uomo hanno l’obbligo di assicurare che le proprie autorità giudiziarie e amministrative adottino preventivamente tutte le misure, positive e negative, anche di carattere assistenziale, volte a favorire il ricongiungimento tra genitori biologici e figli e a tutelare il superiore interesse di questi ultimi, evitando per quanto possibile l’adozione e prevedendo la possibilità di disporre, sempre se corrisponda all’interesse dei minori, una forma di adozione che garantisca la conservazione dei legami tra questi ultimi e i genitori (nella specie, la corte ha ritenuto costituire violazione dell’art. 8 della convenzione l’adozione di un minore, disposta dall’autorità giudiziaria italiana, la cui madre biologica, in stato di indigenza ed in difficili condizioni di salute, non era in grado di prendersene cura, senza però che la sua condotta fosse stata di per sé pregiudizievole per il figlio, perché non era stata adeguatamente ricercata la possibilità, a mezzo di idonei interventi, di superare le pur gravi ed obiettive difficoltà della donna). 23 Cfr., ad esempio, Corte eur. dir. uomo, 16 luglio 2015, Akinnibosun c. Italia; 21 gennaio 2014, Zhou c. Italia; 2 novembre 2010, Piazzi c. Italia; 6 aprile 2009, Clemeno e altri c. Italia, che si possono leggere tutte in www.giustizia.it. In tale ultima sentenza la Corte ha ritenuto che se la decisione di interrompere i rapporti con la famiglia di origine poteva dirsi corretta nella prima fase del procedimento, nell’intento di tutelare la minore, dopo l’assoluzione del padre la decisione di interrompere i rapporti con la famiglia

425


Giurisprudenza

Alla luce di quanto sopra, una misura così radicale come l’interruzione totale dei contatti può essere giustificata solo in circostanze eccezionali24, affermazione quest’ultima in effetti ricorrente anche nella giurisprudenza nazionale25. Tali circostanze eccezionali possono realizzarsi qualora i genitori si siano dimostrati «particolarmente indegni»26 o quando ricorra un’esigenza primaria nel superiore interesse del minore27, non essendo il fine dell’adozione quello di individuare ad ogni costo una famiglia “migliore”: «il fatto che un minore possa essere accolto in un contesto più favorevole alla sua educazione non può di per sè giustificare che egli venga sottratto alle cure dei suoi genitori biologici»28. Per quanto qui interessa, soprattutto con riguardo alla prima delle due sentenze in commento, occorre poi ricordare come la Corte europea dei diritti dell’uomo abbia più volte ammonito l’Italia, sottolineando come, nelle cause in materia di adozione di persone minori di età, l’adeguatezza di una misura si valuta a seconda della rapidità della sua attuazione, in quanto lo scorrere del tempo può avere conseguenze irrimediabili sui rapporti tra il minore e il genitore che non vive con lui29.

4. La giurisprudenza nazionale. I principi proclamati univocamente dalla Corte europea dei diritti dell’uomo richiamano analoghi principi espressi dalla giurisprudenza nazionale, tanto costituzionale quanto di legittimità. La Corte costituzionale ha già da tempo affermato che «la garanzia della convivenza del nucleo familiare si radica nelle norme costituzionali che assicurano protezione alla famiglia e in particolare, nell’ambito di questa, ai figli minori ed il diritto e il dovere di mantenere, istruire ed educare i figli, e perciò di tenerli con sé, e il diritto dei genitori e dei figli minori ad una vita comune nel segno dell’unità della famiglia, sono... diritti fondamentali della persona»30. Lo stato di figlio costituisce un aspetto essenziale della identità

naturale, in particolare la madre ed i fratelli, intervenuta con il provvedimento di adottabilità della minore, non poteva trovare condivisione. 24 Corte eur. dir. uomo, 13 ottobre 2015, S.H. c. Italia, in NGCC, 2016, I, 683, con commento di L. Lenti, Quale futuro per l’adozione? A proposito di Corte eur. dir. uomo, S. H. c. Italia e Cass. n. 25526/2015, ibidem, II, 785 ss.; Corte eur. dir. uomo, sez. grande chambre, 13 luglio 2000, n. 39221, Scozzari e altro c. Rep. it., in Fam. dir., 2001, 5. 25 V., ad esempio, Cass., 24 novembre 2015, n. 23979, in NGCC, 2016, I, 669, con nota di M. Cinque, La continuità affettiva nella legge n. 184/1983 e la posizione dei “parenti sociali”; Cass., 18 dicembre 2015, n. 25526, ibidem, I, 680. 26 Così Corte eur. dir. uomo, 13 ottobre 2015, S.H. c. Italia, cit. 27 Per un’ampia disamina in ordine all’ambiguità e all’indeterminatezza di tale formula, definita «onnipervasiva», condotta (anche) alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, cfr. L. Lenti, L’interesse del minore nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo: espansione e trasformismo, in NGCC, 2016, 148 ss. 28 Così ancora Corte eur. dir. uomo, 16 luglio 2015, Akinnibosun c. Italia, cit., punto 72. 29 Cfr. ancora Corte eur. dir. uomo, 13 ottobre 2015, S.H. c. Italia, cit., punto 42; 16 luglio 2015, Akinnibosun c. Italia, cit., punto 63; 21 gennaio 2014, Zhou c. Italia, cit., punto 48. 30 Corte cost., 19 gennaio 1995, n. 28, in Dir. fam. pers., 1996, 1279, con nota di G. Sciancalepore, Il diritto al ricongiungimento familiare

426


Cristina Caricato

personale, acquisito al momento della nascita, che il minore ha diritto di conservare e gli Stati l’obbligo di preservare31. Dal canto suo, la Suprema Corte, pur nella specificità delle singole vicende sottoposte al suo esame, ha più volte richiesto un particolare rigore32 nella valutazione dello stato di abbandono ai fini della dichiarazione di adottabilità di un minore. Si è affermato, pertanto, che il diritto «fondamentale» del figlio di vivere con suoi genitori e di essere allevato nell’ambito della propria famiglia33 può incontrare un limite solo nei casi in cui la sua famiglia non sia in grado di prestare, in via non transitoria, le cure necessarie, con conseguente configurabilità di un definitivo stato di abbandono, in quanto i genitori sono irreversibilmente ritenuti incapaci di allevare ed educare i figli per totale inadeguatezza a prendersene cura34. La formula legislativa è chiara. La l. 184 del 1983 prevede che siano dichiarati in stato di adottabilità i minori di cui sia accertata la situazione di abbandono perché privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a causa di forza maggiore di carattere transitorio, mentre la situazione di abbandono sussiste, sempre che ricorrano le predette condizioni, anche quando i minori si trovino presso istituti di assistenza pubblici o privati o comunità di tipo familiare ovvero siano in affidamento familiare (art. 8). Ove risulti la situazione di abbandono, come sopra definita, lo stato di adottabilità del minore è dichiarato (art. 15) quando:

a. i genitori ed i parenti convocati ai sensi dell’art. 12 e art. 13, non si sono presentati senza giustificato motivo;

b. l’audizione dei soggetti di cui alla lettera a) ha dimostrato il persistere della mancanza di assistenza morale e materiale e la non disponibilità ad ovviarvi;

c. le prescrizioni impartite ai sensi dell’art. 12 sono rimaste inadempiute per responsabilità dei genitori ovvero è provata l’irrecuperabilità delle capacità genitoriali dei genitori in un tempo ragionevole. Nonostante la chiarezza del dettato normativo non lasci spazio a dubbi, l’interpretazio-

tra normativa speciale e disciplina costituzionale, con riferimento a un’ipotesi di ricongiungimento familiare; Corte cost., 26 giugno 1997, n. 203, in Giur. it., 1998, c. 205; Corte cost., 27 luglio 2000, n. 376, in Familia, 2001, 1155, con nota di F. Toriello, Espulsione del padre durante la gravidanza: la Consulta allinea la legge sugli stranieri ai “principi fondamentali” (p. 1160 ss.). 31 Così da ultimo Corte cost., 23 febbraio 2012, n. 31, in Giur. cost., 2012, c. 364, con nota di M. Mantovani, La Corte costituzionale fra soluzioni condivise e percorsi ermeneutici eterodossi: il caso della pronuncia sull’art. 569 c.p. (c. 377 ss.). 32 Ad esempio, cfr. in tal senso Cass., 13 gennaio 2017, n. 782, in Guida al diritto, 2017, 65 ss., che ritiene impossibile dare ingresso a giudizi sommari di incapacità genitoriale. 33 Cfr. ancora L. Lenti, L’interesse del minore nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo: espansione e trasformismo, cit., 150, che osserva che, nella prospettiva della Corte europea dei diritti dell’uomo, l’interesse del minore (a vivere e crescere nella propria famiglia) si declina nel diritto di intrattenere con i genitori una relazione affettiva reciproca avente carattere familiare. Si tratta, in altri termini, di un «diritto relazionale», cioè di un diritto a un rapporto. 34 Cass., 24 novembre 2015, n. 23979, in Guida al diritto, 2016, fasc. 3, 54.

427


Giurisprudenza

ne fornita dalla giurisprudenza35, soprattutto del presupposto indefettibile del definitivo stato di abbandono, ha mostrato spesso contorni sfumati36 e non si è rivelata sempre rispettosa dei principi espressi dalla legge sull’adozione. Sebbene nella giurisprudenza di legittimità si rinvengano affermazioni di principio, secondo cui il giudice dovrebbe prioritariamente tentare un intervento di sostegno diretto a rimuovere situazioni di difficoltà o disagio familiare e, solo37 ove sia impossibile prevedere il recupero delle capacità genitoriali entro tempi compatibili38 con la necessità del minore di vivere in uno stabile contesto familiare39, dichiarare il medesimo in stato di adottabilità40, nella giurisprudenza (e non solo di merito) sembrano aumentare le situazioni di irreversibile abbandono che a vario titolo giustificano l’adozione41. Occorre peraltro tenere conto della primaria esigenza che il minore cresca nella sua famiglia d’origine, esigenza non sacrificabile nemmeno dinanzi ad una evidente inadeguatezza dell’assistenza o di atteggiamenti patologici42 (quali l’iperaffettività, la possessività esasperata, la chiusura verso il mondo esterno) del genitore43. La giurisprudenza richiede spesso la sussistenza di un danno grave per la salute psicofisica e per lo sviluppo armonico della personalità del minore44, tale da indicare «la rescissione del legame familiare come unico mezzo adatto ad evitare maggiori pregiudizi per lo stesso»45. Tuttavia, leggendo attentamente la motivazione di molte sentenze, non si ravvisa prova

35

Per un ampio richiamo della giurisprudenza al riguardo, cfr. la puntuale disamina di G. Ballarani, Brevi note sulle valutazioni dello stato di abbandono del minore ai fini della dichiarazione di adottabilità, in Dir. fam. pers., 2006, 68 ss. 36 Ad esempio, Cass., 6 febbraio 2018, n. 2857, in Dir. & giust., 7 febbraio 2018, ha ritenuto ricorrere lo stato di abbandono genericamente «nelle ipotesi di mancanza di assistenza morale e materiale». 37 E solo quando non siano praticabili altre misure volte a favorire il ricongiungimento con la famiglia d’origine: così Cass., 17 ottobre 2016, n. 20936, in Il familiarista, 2016, 10 novembre. 38 Così Cass., 19 agosto 2015, n. 16897, in www.dejure.it. 39 E infatti sussiste lo stato di abbandono «quando la situazione familiare è tale da compromettere in maniera grave e irreversibile un armonico sviluppo psico-fisico del bambino, considerato non in astratto ma in concreto, cioè in relazione al suo vissuto, alle sue caratteristiche fisiche e psicologiche, alla sua età, al suo grado di sviluppo e alle sue potenzialità»: in questi termini, Cass., 13 settembre 2016, n. 17945, in Dir. & Giust., 2016, 14 settembre, con nota di K. Mascia, Sì all’adozione del minore se non si è in grado di offrirgli uno stabile progetto di vita. 40 Così fra molte Cass., 27 settembre 2017, n. 22589, in Giust. civ. Mass., 2017; Cass., 17 maggio 2017, n. 12393, in Dir. & Giust., 2017, 18 maggio, con nota di K. Mascia, La recisione del legame biologico costituisce una extrema ratio. 41 Ad esempio, Cass., 9 giugno 2017, n. 14436, in Foro it., 2017, I, c. 2291, affermando che il giudice di merito deve in primo luogo esprimere una prognosi sull’effettiva ed attuale possibilità di recupero, attraverso un percorso di crescita e sviluppo, delle capacità e competenze genitoriali, con riferimento, in primo luogo, alla elaborazione, da parte dei genitori, di un progetto, anche futuro, di assunzione diretta della responsabilità genitoriale, caratterizzata da cura, accudimento, coabitazione con il minore, ancorché con l’aiuto di parenti o di terzi, ed avvalendosi dell’intervento dei servizi territoriali, ha poi cassato la sentenza di appello che aveva revocato la pronuncia di adottabilità di una minore, in tenera età, in affido eterofamiliare, sul rilievo che il padre, l’unico genitore, aveva stabilito con essa un rapporto affettivo significativo, senza avere il sostegno attivo dei servizi sociali, omettendo però l’esame della elaborazione, da parte di quel genitore, di un progetto di recupero nel senso sopra delineato. 42 Cass., 14 aprile 2016, n. 7391, in Giust. civ. Mass., 2016, che esclude lo stato di abbandono in presenza di insufficienze o malattie mentali, anche permanenti, nonché la possibilità di dare ingresso a giudizi sommari di incapacità genitoriale. 43 In argomento, Cass. 30 luglio 1997, n. 7128, in Fam. dir., 1998, 251, con nota di S. Giuliano, Stato di abbandono e posizione dei parenti entro il quarto grado; Cass., 22 luglio 1996, n. 6555, in Fam. dir., 1997, 63 ss.; Cass. 26 aprile 1999, n. 4139, in Fam. dir., 2000, 30, con nota di D. Morello Di Giovanni, Stato di abbandono e criteri di valutazione per la dichiarazione di adottabilità. 44 Occorre, inoltre, una grave e irreversibile violazione degli obblighi dei genitori di educazione, mantenimento e istruzione dei figli, secondo Cass., 31 marzo 2016, n. 6248, in www.dejure.it. 45 Così Cass., 24 maggio 2017, n. 106, in www.dejure.it

428


Cristina Caricato

oggettiva dell’esistenza del suindicato pregiudizio46, riscontrandosi invece motivazioni che fanno leva ora su una condizione familiare obiettiva di carenza di protezione inemendabile47, ora semplicemente su giudizi sommari di incapacità genitoriale48 non basati su precisi elementi idonei a dimostrare un reale pregiudizio per il figlio49. In effetti, non di rado si afferma addirittura che lo stato di abbandono non viene meno per il solo fatto che al minore siano prestate le cure materiali essenziali da parte di genitori o di taluno dei parenti entro il quarto grado50, e si giunge infine ad affermare che – una volta che sia stata accertata l’incapacità dei genitori di svolgere il proprio ruolo e una situazione di grande difficoltà della famiglia protratta nel tempo, tale da non potersi ritenere temporanea, ma sintomatica di una irreparabile e insuperabile compromissione della crescita serena dei minori – è legittima la dichiarazione dello stato di adottabilità addirittura «anche senza l’audizione dei figli infradodicenni capaci di discernimento e la convocazione dei parenti entro il quarto grado»51.

5. Osservazioni critiche. Entrambe le sentenze in commento presentano aspetti censurabili52, ponendosi in contrasto con la legislazione e la giurisprudenza nazionali e internazionali, con i principi in materia e, in definitiva, con una interpretazione di sistema. Con riguardo alla prima sentenza, essa trae in primo luogo il proprio fondamento da un errore logico di base. Gli accertamenti di fatto in ordine alla capacità genitoriale dei ricorrenti sono stati disposti unicamente a cagione dell’età avanzata degli stessi. Il presupposto della loro ado-

46

Ovviamente in taluni casi il pregiudizio risulta chiaramente dall’ascolto del minore, soprattutto se è quest’ultimo a esprimere il proprio disagio nei confronti del proprio familiare, come nel caso di Cass., 19 maggio 2016, n. 10366, in Dir. & Giust., 2016, 13 maggio, con nota di P. Paleari, Un lavoro e un’abitazione, addio all’elemosina: passi avanti per la donna, che resta una madre inadeguata, in cui la minore rifiutava di vivere con la madre, con la quale era costretta a mendicare. Va detto però che proprio nel caso sopra richiamato la Suprema Corte ha ritenuto corretta la valutazione della Corte di merito, secondo cui «l’eventuale miglioramento delle condizioni di vita della S., che lavorerebbe ora presso una ditta, come addetta alle pulizie, e avrebbe preso in locazione una abitazione di tre vani, non rileverebbe di per sé solo, ai fini di un recupero totale delle capacità educative del genitore, ripetutamente considerate negative», ancora una volta impedendo un ricongiungimento tra madre e figlia che deve essere ritenuto sempre auspicabile, soprattutto in presenza di dimostrati sforzi volti a modificare le proprie abitudini di vita per recuperare il rapporto con un figlio. 47 Cfr. ancora Cass., 24 maggio 2017, n. 106, cit. 48 Essi dovrebbero avere, inoltre, il carattere dell’attualità: Cass., 1° dicembre 2015, n. 24445, in www.dejure.it. 49 Cfr., Cass., 13 gennaio 2017, n. 782, cit.; Cass., 21 novembre 2016, n. 23635, in Dir. & Giust., 2016, 22 novembre. 50 Così Cass., 14 giugno 2016, n. 12259, in Dir. & Giust., 2016, 15 giugno, con nota di P. Paleari, Dichiarazione di adottabilità e diritto a vivere nella famiglia di origine. 51 Cass., 14 aprile 2016, n. 7390, con nota di P. Paleari, E’ legittima la dichiarazione dello stato di adottabilità anche senza l’ascolto del minore. Esprime invece una critica ai casi in cui non si procede all’ascolto, sia pure dei figli infradodicenni, anche se la censura esprime un principio generale Cass., 29 febbraio 2016, n. 3946, in Guida al diritto, 2016, fasc. 20, 64. 52 Per un commento favorevole alle decisioni, ma poco attento al reale interesse dei minori, nonché alla normativa interna e internazionale di riferimento, v. G. Casaburi, Molto rumore per nulla. Le tre volte in Cassazione di una pronuncia di adottabilità, in Foro it., 2018, I, c. 815 ss.

429


Giurisprudenza

zione è dunque errato. Essi non sarebbero stati posti in essere qualora non fosse stato ritenuto che l’età avanzata della madre potesse influire sulla sua funzione genitoriale. Inutile dunque quanto si legge nella sentenza, e cioè che gli accertamenti di fatto sarebbero stati precisi e plurimi, dal momento che ovviamente, qualora i genitori fossero stati più giovani, non sarebbero stati neppure disposti. Pertanto, al di là di motivazioni abilmente camuffate, l’età anagrafica dei ricorrenti sembra essere l’unico vero motivo per il quale è stata pronunciata la dichiarazione di adottabilità della minore e, in definitiva, sembra quasi che l’ordinamento si sia arrogato, almeno in questo caso, il diritto di autorizzare la procreazione solo entro un certo limite di età. La decisione in esame mal si inquadra, inoltre, nel sistema normativo nel suo complesso. Infatti, dal punto di vista della coerenza sistematica, non è logico che l’ordinamento da un lato consenta a una coppia in età potenzialmente53 fertile di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita54 (così come all’adozione), mentre dall’altra ritenga che l’età avanzata, sia pure con motivazioni più o meno accettabili, che sembrano celare altre scelte di fondo, escluda di per sé la capacità genitoriale55. La suddetta decisione ignora, inoltre, i principi propri della legge sull’adozione, in particolare quelli secondo cui lo Stato deve cercare di conservare i legami familiari, sostenendo le situazioni di vulnerabilità e giustificando l’intervento statale solo qualora sia strettamente necessario. In realtà, come si è visto, l’art. 1 della l. 184 del 1983 si fonda sul principio, secondo cui occorre una gradualità degli strumenti di intervento e una residualità del ricorso all’adozione. In altri termini, per fare luogo all’adozione occorre rilevare un radicale stato di abbandono, tale che la dichiarazione di adottabilità debba costituire una extrema ratio, dovendosi lo Stato impegnare nel sostegno della famiglia di origine. Dalla situazione di fatto oggetto della prima sentenza esaminata emerge viceversa che la madre non ha avuto neppure la possibilità di vivere presso una casa-famiglia insieme alla figlia, come viceversa viene consentito a molte madri che versano in situazioni ben più gravi, a volte addirittura di estremo degrado morale e sociale. Come la giurisprudenza, anche di merito56, non ha mancato di ricordare, deve escludersi la situazione di abbandono di minore, quando il neonato sia allontanato sin dalla tenerissima età per un lunghissimo periodo dai genitori biologici: in tale ipotesi, non può ravvisarsi un’omissione di assistenza

53

E si è visto che nella prassi tale età può appunto essere anche molto avanzata: come nel caso della prima sentenza in commento. Sui presupposti soggettivi, cfr. R. Villani, La procreazione assistita, cit., 653 ss. 55 Osserva P. Morozzo della Rocca, sub art. 6 l. 4 maggio 1983, n. 184, in Commentario del Codice civile diretto da E. Gabrielli, IV, Della famiglia, a cura di L. Balestra, Torino, 2010, 39 ss., spec. 50 s. che, rispetto alla procreazione medicalmente assistita, «l’adozione si offre come competitiva, dato che oggi possono divenire genitori adottivi di un bambino da 0 a 1 anni coppie i cui membri abbiano, rispettivamente, un’età di 45-46 anni e 55-56 anni; il che significa poter adottare un bambino di 6 anni all’età di 61 anni, ma con possibilità di una deroga ulteriormente ampliativa da parte del giudice in forza del superiore interesse del minore quando la mancata adozione a causa del superamento dei limiti inferiori o superiori nel differenziale di età previsto dalla legge possa provocare un pregiudizio grave al minore». 56 C. App. Perugia, 4 dicembre 2003, in Giur. merito, 2004, 2454, per un caso di affidamento eterofamiliare ultraquinquennale di neonato con suo allontanamento coatto sin dal terzo mese di vita dai genitori biologici. 54

430


Cristina Caricato

morale imputabile ai genitori medesimi e, in assenza di prova certa dell’irreversibilità della privazione di assistenza, se ne deve escludere l’adottabilità, non sussistendo la causa di forza maggiore non transitoria alla base dell’allontanamento. Con riguardo alla seconda decisione in commento, essa appare parimenti censurabile, poiché non tiene nella dovuta considerazione la presenza di parenti disponibili a prendersi cura del minore. Proprio di recente, la Suprema Corte ha avuto occasione di ribadire che «ove i genitori siano considerati privi della capacità genitoriale, la natura personalissima dei diritti coinvolti e il principio secondo cui l’adozione ultrafamiliare costituisce l’«extrema ratio» impongono di valutare anche le figure vicariali dei parenti più stretti, che abbiano rapporti significativi con il bambino e si siano resi disponibili alla sua cura ed educazione»57. Infatti, la seria disponibilità dei parenti a prendersi cura del minore, se concretamente accertata e verificata, può essere ritenuta sufficiente a escludere lo stato di abbandono58. Già in passato la giurisprudenza di legittimità aveva affrontato il tema della rilevanza del legame del minore con gli stretti congiunti, in particolare con i nonni, ai fini della valutazione della insussistenza dello stato di abbandono, in caso di impossibilità dei genitori di prendersene cura, ponendo in luce la necessità della prova dell’esistenza di rapporti significativi del minore con i congiunti entro il quarto grado59. È chiaro, tuttavia, che occorre favorire l’instaurarsi di rapporti significativi con i prossimi congiunti. Come chiaramente ricorda una sentenza significativa, anche se non recentissima60, infatti, i suddetti rapporti significativi si possono iniziare e proseguire prima che l’autorità sia intervenuta impedendo che quei rapporti si instaurino o proseguano con la medesima intensità. Il Tribunale, se necessario, provvederà ad allontanare il minorenne dall’ambiente familiare, anche vietando contatti con i prossimi congiunti, ma di tale allontanamento dovrà poi tenere conto ai fini della valutazione dell’esistenza di rapporti significativi con i familiari medesimi. Inoltre, la decisione in esame penalizza la figura invero importantissima dei nonni, rischiando di trascurare vincoli che affondano le loro radici nella tradizione familiare, che trova un suo riconoscimento anche nell’art. 29 della Costituzione. Anche sotto quest’ultimo profilo, la decisione in commento pecca di coerenza sistematica, negando in definitiva

57

Cass., 16 febbraio 2018, n. 3915, in Giust. civ. Mass., 2018. Cass., 24 novembre 2015, n. 23979, in Guida al diritto, 2016, fasc. 3, 54. 59 Cfr. Cass., 8 agosto 2002, n. 11993, in www.dejure.it, secondo cui, qualora si manifesti da parte di figure parentali sostitutive la disponibilità a prendersi cura del minore, presupposto per escludere lo stato di abbandono è la presenza di significativi rapporti dello stesso con tali persone, giacché alla parentela la l. 4 maggio 1983 n. 184 attribuisce rilievo, solo se accompagnata dalle relazioni psicologiche e affettive che normalmente la caratterizzano, soprattutto dopo le modifiche introdotte dalla l. 28 marzo 2001 n. 184, il cui art. 11, nel condizionare espressamente, in caso di decesso dei genitori, alla inesistenza di siffatti rapporti tra il minore e i parenti entro il quarto grado la declaratoria di adottabilità, rende irragionevole una diversa disciplina con riferimento alla ipotesi della inidoneità dei genitori. Nello stesso senso, Cass., 9 maggio 2002, n. 6629, in Fam. dir., 2003, 155, con nota di S. Giuliano, Profili processuali nell’adozione di minori, in Giur. it., 2003, 1038, in Foro it., 2003, I, c. 3146; in NGCC, 2003, I, 657, con nota di M. Dogliotti, Stato di abbandono, forza maggiore, posizione dei parenti nell’adozione dei minori. 60 Cass., 9 febbraio 1990, n. 903, in www.dejure.it. 58

431


Giurisprudenza

rilevanza a figure vicariali, che da sempre l’ordinamento chiama in causa, sotto il profilo morale e materiale, quando i genitori non sono in grado di provvedere ai propri figli (artt. 148, 1° comma, seconda frase, c.c., 316 bis c.c., 433 c.c.). Tutta la normativa recente (si pensi ad esempio alle norme in materia di affidamento condiviso dei figli, in particolare, art. 337 ter c.c.) non fa che ribadire l’importanza per la crescita sana ed equilibrata dei minori dell’instaurazione di rapporti significativi con i nonni e i parenti di entrambi i rami genitoriali. La sentenza in esame si pone dunque in controtendenza assoluta e appare in effetti una sorta di sanzione accessoria alla condanna penale, quasi a volere esprimere per tale via la riprovazione per il turpe delitto commesso dai genitori biologici del minore dato in adozione. In conclusione, entrambe le sentenze, sia pure per motivi molto diversi, si pongono in contrasto con la legge sull’adozione, sacrificando il presupposto giuridico dello stato di abbandono61 sull’altare di principi che nulla hanno a che vedere con le finalità della l. 4 maggio 1983, n. 184 (così come ridisegnata dalla l. 28 marzo 2001, n. 149): essa sancisce il diritto del minore di crescere e di essere educato nell’ambito della propria famiglia naturale e mira a rendere effettivo questo diritto attraverso la predisposizione di interventi solidaristici di sostegno in caso di difficoltà della famiglia di origine, onde rimuovere le cause, di ordine economico o sociale, che possano precludere una crescita serena del bambino. In questo contesto di valorizzazione e di recupero, nei limiti del possibile, del legame di sangue si auspica per il futuro un particolare rigore, da parte del giudice, nella valutazione della situazione di abbandono. Cristina Caricato

61

Rileva correttamente C.M. Bianca, Quando possiamo togliere legittimamente un bambino alla sua famiglia, cit., c. 817 ss., che la Suprema Corte ha completamente disatteso la valutazione di tale presupposto in favore di altri elementi estranei al giudizio di adozione.

432


Giurisprudenza

Questioni di diritto civile all’esame delle Sezioni Unite. Gli effetti economici della crisi coniugale* a cura di Serena Bartolomucci** (con la supervisione del Cons. Paolo Di Marzio)

In data 28 febbraio 2018, presso l’Aula Magna della Corte Suprema di Cassazione, ha avuto luogo un convegno, organizzato dalla Struttura decentrata della Corte Suprema di Cassazione, dal titolo “Gli effetti economici della crisi coniugale”. Di seguito il report dello svolgimento dei lavori.

*** L’incontro di studio su tale questione è espressione di un’esigenza di confronto fra operatori del diritto, nella veste di giudici di merito e di legittimità, di professori universitari ed avvocati, in ordine ai concreti risvolti registrati all’indomani di una pronuncia rivoluzionaria nella materia del diritto di famiglia, qual è la sentenza della prima sezione civile della Suprema Corte n. 11504/2017, che per la sua forte carica innovativa ha marcato una linea di netta discontinuità con i precedenti orientamenti giurisprudenziali e dottrinali, dando luogo alla produzione di una notevolissima quantità di commenti e valutazioni relativamente alle conseguenze patrimoniali scaturenti dalla rottura del vincolo matrimoniale, non sempre omogenee, da parte degli stessi operatori del diritto. L’organizzatore dell’appuntamento, il Sostituto Procuratore Generale della Corte di Cassazione, Consigliere Giovanni Giacalone, ha evidenziato che il punto di partenza del dibattito, nonché suo fondamento, è la disciplina normativa contenuta nell’art. 5, comma sei, L. n. 898/1970, il quale individua i criteri di determinazione dell’assegno divorzile. Orbene, già verso la fine degli anni ’80 si registrava una certa concordia di opinioni nel

*

**

La pubblicazione del presente contributo è stata autorizzata – previa delibera del Comitato Direttivo della Scuola Superiore della Magistratura – da tutti i Relatori del Convegno “Gli effetti economici della crisi coniugale” organizzato, in data 28 febbraio 2018, dalla Struttura decentrata della Corte Suprema di Cassazione. Tirocinante presso la Corte Suprema di Cassazione. Hanno collaborato alla realizzazione del presente rapporto anche Patrizia Picciano, Martina Valentini e Angeladora Nori Chavarria, tirocinanti presso la Suprema Corte di Cassazione.

433


Giurisprudenza

senso di attribuire all’assegno divorzile natura esclusivamente assistenziale, poiché presupposto necessario ai fini del suo riconoscimento era l’insussistenza di mezzi adeguati e l’oggettiva impossibilità di procurarseli. In tal contesto, con le sentenze gemelle n. 11490 e n. 11492 del 29 novembre 1990, le Sezioni Unite ebbero a precisare che l’adeguatezza dei mezzi doveva essere rapportata al parametro del tenore di vita tenuto dai coniugi in costanza di matrimonio. In realtà, detto convincimento non fu omogeneamente recepito dal mondo giuridico, il quale reputava che l’assegno divorzile dovesse garantire indubbiamente una vita dignitosa, ma non necessariamente corrispondente a quella tenuta in costanza di matrimonio, correndosi il rischio di trasformare la solidarietà post-coniugale in un vincolo perpetuo, disincentivando il singolo coniuge al conseguimento dell’autonomia personale. Peraltro, le tensioni sembravano essere state sopite dalla Corte Costituzionale che, con la recente sentenza n. 11 del 2015, nel rigettare la questione di illegittimità costituzionale in merito all’interpretazione del diritto vivente sollevata dal Tribunale di Firenze, aveva fermamente ribadito, senza lasciar adito ad ulteriori e differenti interpretazioni, che il parametro del tenore di vita doveva intendersi quale utile termine di riferimento per la determinazione in astratto dell’ammontare dell’assegno (an debeatur), mentre in concreto (quantum) avrebbero dovuto trovare applicazione i criteri indicati al comma 6 dell’art. 5 della legge sul divorzio (condizione e reddito dei coniugi, contributo personale, ragioni della decisione), quali fattori di moderazione e diminuzione della somma astrattamente considerata, e che con riferimento al caso concreto potevano eventualmente condurre fino all’azzeramento dell’assegno. Pertanto, non è affatto vero che nella precedente giurisprudenza venisse comunque garantita, ad ogni costo, la conservazione del tenore di vita matrimoniale, trattandosi, invero, di un concetto ideale che assumeva una rilevanza solo tendenziale, in quanto andava poi ponderatamente bilanciato con i criteri di cui all’art. 5, L. n. 898/1970. Sennonché il dibattito ha ripreso nuovamente vigore in conseguenza della sentenza n. 11504/2017, pronuncia con la quale la prima sezione civile della Suprema Corte ha riaffermato la natura esclusivamente assistenziale dell’assegno divorzile ed ha mantenuto ferma la distinzione del relativo giudizio di attribuzione nelle due fasi dell’an e del quantum, improntando però la prima non più sul vecchio parametro del tenore di vita tenuto in costanza di matrimonio, ma su quello nuovo della titolarità di redditi idonei a garantire l’autosufficienza economica. La ‘sentenza Lamorgese’ – dal nome del suo estensore – sostituisce, quindi, ad un criterio relativo, concreto e specifico, perché dato dal tenore di vita precedentemente goduto, un criterio di carattere generale, astratto ed assoluto, identificato nell’autosufficienza/ indipendenza economica dell’ex-coniuge, inteso quale singolo individuo, privo di storia passata. Alla base di questa rappresentazione spiccatamente individualista vi è la concezione secondo la quale il divorzio opera come una cesura che recide definitivamente il vincolo matrimoniale e con esso viene meno ogni dovere di reciproca assistenza morale e materiale, e dunque risultano estinti non solo i rapporti personali fra i coniugi, ma anche quelli economico-patrimoniali. Il matrimonio viene, infatti, inteso come un atto di libertà

434


Serena Bartolomucci

e di autoresponsabilità che esige, al momento della sua dissoluzione, il pieno recupero dell’autonomia e delle potenzialità lavorative di entrambi gli ex-coniugi, senza ingenerare illegittime situazioni di locupletazione, sicché non è più configurabile un interesse giuridicamente rilevante alla conservazione del tenore di vita matrimoniale. Tuttavia, l’interrogativo che si pone è se questa impostazione, messa a confronto con la molteplice varietà dei modelli di vita familiare, non si risolva in una illegittima negazione del principio di parità ed uguaglianza dei coniugi, rifiutando ingiustamente tutela al soggetto debole. Trattasi, invero, di un problema ‘antico’ che tuttavia riaffiora oggi in modo dirompente, ponendosi negli stessi termini prospettati circa un trentennio fa, e che trova la propria scaturigine nella poca chiarezza del dato normativo, che risulta carente laddove non fornisce una nozione di ‘mezzi adeguati’ e, nella sua contorta espressione, troppo generica nel definire l’esatto ambito di applicazione dei parametri predisposti a tutela del coniuge debole – nonché nella oggettiva difficoltà di conciliare l’asserita funzione assistenziale dell’assegno divorzile con l’intento di conferire rilievo allo specifico dato del vissuto assieme e, dunque, al pregresso rapporto matrimoniale, al fine di dare regolamentazione alla sistemazione economica post-matrimoniale. Precisate questa serie di considerazioni introduttive, il Primo Presidente della Corte di Cassazione, Giovanni Mammone, e il Procuratore Generale Riccardo Fuzio, non hanno mancato di manifestare il proprio favore per l’incontro, data l’utilità di un confronto su di un tema così complesso e di preminente interesse per l’intera comunità, volto a fornire chiarimenti, a consentire la formulazione di proposte concettuali ed a confortare i chiamati ad esporre le proprie tesi dinanzi alle Sezioni Unite. Ha preso, quindi, la parola la Dottoressa Gabriella Luccioli, già Presidente di sezione della Corte di Cassazione la quale, nel ribadire ancora una volta l’importanza del tema in dibattito, vertendo su una sentenza di forte impatto sociale, perché destinata ad incidere sulla sfera personale e patrimoniale dei singoli individui, sui rapporti tra coniugi ed ex-coniugi, nonché sulla stessa scelta di divorziare, ha sollevato una serie di quesiti di ordine giuridico e sociologico, di seguito elencati, destinati ad essere oggetto di proficue argomentazioni nel corso del dibattito. A fronte dei dati riportati nelle Relazioni ISTAT – dai quali emerge che la misura media dell’assegno divorzile nell’anno 2015 è stata pari ad euro 533,00 mensili e che per gli obbligati con un reddito inferiore ad euro 29.000,00 annui l’ammontare dell’assegno dovuto è stato pari ad euro 300,00 mensili, ed ancora, che in base ai dati ISTAT relativi all’anno 2016, mentre solo nel 20,6% dei casi di separazione è stato attribuito un assegno di mantenimento al coniuge, notevolmente inferiore è stata la percentuale (solo del 15%) dei casi in cui è stato riconosciuto all’ex-coniuge il diritto a percepire un assegno divorzile – è possibile affermare sul piano sociologico, con assoluta certezza, che l’interpretazione del dato normativo fatta propria, per quasi un trentennio, dalla giurisprudenza di merito e di legittimità abbia davvero prodotto il proliferare di rendite di posizione (rendite parassitarie) ed abbia scardinato lo stesso principio di autoresponsabilità, ostacolando, dunque, il processo di emancipazione del coniuge debole? Passando alla disamina dei profili più strettamente giuridici, essendo stati registrati

435


Giurisprudenza

nell’ambito della giurisprudenza di merito tentativi disomogenei nell’individuazione di indici standard cui ancorare l’adeguatezza dei redditi e del patrimonio del coniuge richiedente, – posto che, in questa ‘Babele interpretativa’, alcuni hanno fatto riferimento all’ammontare degli introiti che, secondo le leggi dello Stato, consente di accedere al gratuito patrocinio; altri hanno fatto ricorso al costo della vita nel contesto sociale di riferimetno; altri ancora al reddito medio percepito nella zona di residenza; altri ancora, infine, al cosiddetto ‘redditometro’, ovvero al tenore di vita secondo la disciplina fiscale – come riempire di contenuto il concetto di autosufficienza/indipendenza economica? Non sarebbe opportuno individuare un univoco e sicuro metro di giudizio che consenta di determinare in modo oggettivo la soglia al di sopra della quale i mezzi del richiedente possano dirsi sufficienti ad assicurare allo stesso l’autosufficienza economica? Sempre con riferimento all’autosufficienza economica, se si assume, quale parametro per la determinazione della spettanza dell’assegno, (solo) ciò che risulta necessario e sufficiente a condurre una esistenza libera e dignitosa, non si rischia di confondere la figura dell’assegno divorzile con quella dell’assegno alimentare di cui all’art. 438 c.c.? Non si pongono problemi di compatibilità fra il nuovo indirizzo giurisprudenziale e l’art. 143 c.c., che impone l’eguale considerazione dell’impegno domestico e del lavoro professionale svolto dai coniugi? E prima ancora, non è del pari ravvisabile un problema di compatibilità con l’art. 29 Cost., – di cui non viene fatta menzione nella sentenza n. 11504/2017, che richiama piuttosto l’art. 23 Cost. – norma che sancisce l’uguaglianza e la solidarietà fra coniugi, anche con riferimento a quella fase della vita che succede allo scioglimento del vincolo matrimoniale? Come debbono operare i criteri di quantificazione ex art. 5, comma 6, L. n. 898/1970, ‘in diminuzione’ come fattori di moderazione della somma determinata in astratto oppure ‘in aumento’, poiché nell’un caso il quantum dell’assegno potrebbe scendere al di sotto di ciò che risulta sufficiente a garantire una esistenza autonoma e dignitosa, mentre nell’altro si rischia di dar luogo a trattamenti disuguali e di attribuire un assegno superiore a quanto necessario a garantire l’autosufficienza/indipendenza economica? Data la sostanziale assimilazione dell’art. 156 c.c. con l’art. 5 della legge sul divorzio – posto che ambedue le disposizioni fanno rifermento al concetto di adeguatezza, la prima dei redditi, la seconda dei mezzi – non vi è il pericolo di possibili future ripercussioni sulla misura dell’assegno di separazione? Quanto ai divorzi già definiti sotto il profilo patrimoniale in applicazione del precedente orientamento, la possibilità di rimettere in discussione il profilo dell’an sulla base di diversi e nuovi parametri di riferimento non determina una evidente violazione del giudicato? È corretto ricondurre tra i giustificati motivi che possono dar luogo alla revisione dell’assegno divorzile l’intervenuto overrulling, così discostandoci dal tradizionale orientamento secondo il quale solo un mutamento delle circostanze di fatto può comportare una revisione ex art. 9, L. n. 898/1970? In ultima istanza, l’accoglimento del nuovo orientamento non fa emergere l’esigenza di una diversa posizione circa la validità e l’ammissibilità dei patti prematrimoniali nell’ordinamento giuridico italiano?

436


Serena Bartolomucci

La Presidente della seduta, introdotte le principali tematiche, fulcro del dibattito, nella propria qualità di coordinatrice e moderatrice dei lavori le ha poi sottoposte all’attenzione dei relatori, invitando questi ultimi all’esposizione delle proprie riflessioni. La prima relazione è stata proposta da Roberto Calvo, Professore ordinario di Diritto Privato presso l’Università della Valle D’Aosta. Il relatore ha cominciato la sua esposizione – ampia ed articolata – prendendo le mosse dalla decisione che ha operato il revirement giurisprudenziale, la sentenza n. 11504 del 2017, dando per conosciuti i punti nodali e limitandosi, pertanto, ad osservare incidentalmente come, a suo avviso, il punto di riferimento del nuovo indirizzo giurisprudenziale fosse già contenuto nella sentenza della Suprema Corte, 2 marzo 1990, n. 1652, – dalla quale originò, successivamente, il pronunciamento delle Sezioni Unite del 1990 – nella quale anziché fare riferimento, come suole fare oggi la Cassazione del 2017, al concetto inedito di autosufficienza ed indipendenza economica dell’ex coniuge, si faceva riferimento ad un modello di vita libero e dignitoso, utilizzando, dunque, una espressione coniata da alcuni autori qualche anno prima: l’assegno divorzile è diretto ad assicurare al coniuge più debole non già il medesimo tenore di vita conseguito in costanza di matrimonio, bensì ciò che è necessario a mantenere “un modello di vita economicamente autonomo e dignitoso”. Il relatore, inoltre, ha affermato che sotto il diverso profilo del diritto vivente, l’orientamento giurisprudenziale appena richiamato si distingue altresì per aver correttamente interpretato il dettato normativo contenuto nell’art. 5, comma 6, L. n. 898/1970, nel testo oggi vigente, così come modificato a seguito della riforma del 1987. Tale riforma ha segnato il passaggio da un sistema composito, che vedeva i tre criteri, quello assistenziale, risarcitorio e compensativo, concorrere pariteticamente su di un piano sostanzialmente simmetrico, ad un sistema che potremmo definire gerarchico. In quest’ottica, secondo la nuova impostazione piramidale, il criterio assistenziale è il criterio destinato ad incidere sull’an, mentre gli altri criteri, risarcitorio e compensativo, sono suscettibili di incidere, tutt’al più, sul quantum debeatur. Sicché, la citata sentenza, annullata attraverso il superamento operato dalle Sezioni Unite del 1990 ed oggi recuperata e portata in auge dalle recentissime pronunce di legittimità, avrebbe il merito di aver tratto le giuste conseguenze dalla riforma del 1987 e di aver valicato il consolidatissimo impianto di rispondenza/corrispondenza dell’adeguatezza dei mezzi alla conservazione dello status quo ante. Il legislatore ha chiaramente voluto stravolgere e vincere quell’idea di matrimonio che di fatto, almeno dal punto di vista economico-patrimoniale, continua a dispiegare la sua indissolubilità sostanziale anche oltre il fallimento della comunione spirituale, sul presupposto che il divorzio sia, invece, il rimedio che, come la lama della ghigliottina, – utilizzando un linguaggio metaforico e simbolico – recide definitivamente il vincolo coniugale, fermo restando i doveri di solidarietà post-coniugale che continuano a persistere, come emerge nell’anzidetta sentenza del 2017. L’argomento merita di essere approfondito. E dunque, sempre sotto l’angolo visuale del dovere di solidarietà sussistente fra ex-coniugi, vengono qui in rilievo gli articoli 2 e 29 Cost. Orbene, secondo l’art. 2 Cost, norma fondamentale e criterio presidiante la

437


Giurisprudenza

corretta lettura ed interpretazione delle leggi ordinarie, il matrimonio può essere inteso quale società naturale e, al contempo, come formazione sociale all’interno della quale si sviluppano i diritti della persona umana. L’art. 29 Cost., viceversa, è la norma che, elevando a sommo principio quello della parità fra coniugi, orienta e disciplina la fisiologia del rapporto matrimoniale, anche nelle sue patologie, la separazione e quella estrema del divorzio. Traendo da queste premesse le dovute conseguenze pratico-applicative circa l’obbligo di mantenimento in favore dell’ex-coniuge, è possibile affermare che il reciproco dovere di assistenza morale e – soprattutto – materiale, presuppone la sussistenza di quella formazione sociale, sicché è ragionevole ritenere che, con il suo dissolvimento, venga meno anche il fondamento assiologico dell’obbligazione posta dall’art. 143, comma secondo, c.c. Continuare a perpetuare all’infinito, anche per il tramite di interpretazioni di dubbia correttezza, l’obbligo di contribuzione ai bisogni della ‘microfamiglia’, rapportandolo al parametro del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, significa – a parere del Professor Calvo – in concreto, assicurare ingiustificatamente al coniuge beneficiario della prestazione periodica l’ultrattività patrimoniale di un vincolo ormai estinto. Di qui, il rischio di rendite di posizione o rendite parassitarie e una considerazione del matrimonio, inteso quale investimento pro-futuro. Ne deriva che appare auspicabile ovviare a simili sviluppi attraverso l’adozione del nuovo parametro dell’indipendenza ed autosufficienza economica, così come immaginato e prospettato dal nuovo orientamento giurisprudenziale espresso dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 11504/2017. Il relatore ha quindi evidenziato un altro profilo interessante. La lettura proposta dal precedente del 1990, pare corretta non solo perché rispondente alla ratio legis e alla voluntas legislatoris della riforma del 1987, ma risulta tanto più apprezzabile perché perfettamente coerente con la profonda differenza che connota e che necessariamente deve intercorrere fra assegno di mantenimento ed assegno divorzile. Non a caso, viene fatto constatare che, mentre nell’art. 156 c.c. viene fatto uso del sostantivo ‘mantenimento’ a significare la conservazione dello status quo ante, tale parola non compare, a ragion veduta, e non viene in rilievo nel testo della legge sul divorzio. Ciò è giustificabile e risponde ad una sua logica giuridica, se si considera che in una situazione di semipatologia, qual è quella della separazione, il rapporto coniugale non viene meno, determinandosi soltanto la temporanea sospensione degli obblighi personalissimi, quali quello della convivenza, della fedeltà e della collaborazione. Non può dirsi altrettanto, per l’obbligo di assistenza materiale, nel quale si attualizza il contributo patrimoniale in favore del coniuge separato, che rimane in piedi in tutta la sua assolutezza, conservando piena efficacia. Al contrario, lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio elide il vincolo coniugale, sicché il mantenimento del medesimo tenore di vita matrimoniale, non solo risulta incompatibile con la nuova situazione, ma ancor prima collide con la stessa natura dell’istituto divorzile. Prevedibile la critica che può essere fatta – ed anzi che è stata già mossa – al nuovo orientamento, ovvero che perseguendo tale criterio non si premia, ma al contrario si finisce col penalizzare, il coniuge che nel corso della vita matrimoniale abbia concorso attivamente alla cura della famiglia e alla formazione delle fortune del ‘coniuge forte’. Sul

438


Serena Bartolomucci

punto si potrebbe discutere, – come d’asserzione del Calvo – ma verosimilmente, qui s’invoca il concetto dell’autoresponsabilità dei coniugi, per cui se è stata data attuazione ad un progetto condiviso di vita, non ci si potrà poi lamentare, proprio alla luce del principio innanzi richiamato, se da quel progetto non sia conseguita una premialità. Tirando le fila del discorso, il Calvo ha affermato che oggi, nel mutato e frenetico contesto sociale, non può più dirsi che il passato del matrimonio debba incidere necessariamente sulla patologia del suo futuro. Ha dunque preso la parola Carlo Rimini, Professore ordinario di Diritto Privato nell’Università degli Studi di Milano. Il relatore ha esordito nella propria dissertazione – coinvolgente, come di consueto, e densa di stimoli motivazionali – ponendosi la prerogativa di superare l’antico dogma della finalità assistenziale dell’assegno divorzile – ritenuto un vecchio retaggio storico – ed avanzare una proposta equilibrata che, in rottura con il passato, riesca a ridisegnare radicalmente i presupposti ed i criteri della ridistribuzione della ricchezza fra gli ex-coniugi a seguito del fallimento del matrimonio. Ricollegandosi alle riflessioni svolte dal Presidente della seduta, Gabriella Luccioli, a proposito del terremoto giurisprudenziale provocato dalla sentenza in commento, ha evidenziato come, a parer suo, si sia trattato di un terremoto più teorico-concettuale che pratico, in quanto nella prassi quotidiana dei nostri Tribunali, il riferimento al tenore di vita matrimoniale, quale parametro per la determinazione dell’assegno divorzile, di fatto, già da tempo era stato abbandonato, sino a divenire solo un pallido ricordo. Difatti, questo parametro, formalmente e costantemente evocato da oltre un quarto di secolo nelle motivazioni di una serie quasi infinita di sentenze di merito, veniva poi trascurato nella concreta determinazione del contributo di mantenimento, e gli assegni liquidati quasi mai permettevano al coniuge ritenuto economicamente più debole di mantenere il medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Tanto avveniva anche indipendentemente dall’operare dei criteri di moderazione, di cui all’art. 5, comma sei, L. n. 898/1970. Gli stessi dati statistici riferiti dalla presidenza mostrano, in tutta evidenza, la pochezza quantitativa degli assegni divorzili. Vigeva, dunque, una generalizzata insofferenza nei confronti del suddetto parametro teorico, sintomo di una mutata coscienza sociale e del rinnovato concetto di famiglia, una diffusa insoddisfazione di cui la rimessione alla Corte Costituzionale, operata dal Tribunale di Firenze nel marzo del 2014, costituisce forse una chiara manifestazione. I tempi, dunque, sembravano maturi per un cambiamento. Impossibile nascondere, secondo il Prof. Rimini, come appaia piuttosto singolare il fatto che la giurisprudenza di legittimità, rimettendo indietro le lancette dell’orologio, sia tornata ad affermare – seppur con l’avvedutezza di correggere leggermente alcune delle scelte semantiche fatte in passato – quanto sostenuto, dalla sentenza eversiva degli inizi del 1990, circa trent’anni fa, in una materia come quella del diritto di famiglia, in cui trent’anni sono assimilabili ad un’era geologica. Si impone la necessità di compiere un’osservazione tecnica in merito alla sentenza n. 11504/2017 – sentenza destinata ad incidere sulla carne viva delle persone – toccando il tema fondamentale del rapporto fra l’an debeatur e il quantum debeatur. La scansione del giudizio, in sede di determinazione dell’assegno divorzile, nelle due distinte fasi

439


Giurisprudenza

dell’an e del quantum, è il frutto di un’invenzione geniale espressa, sulle poche righe di una paginetta della Rivista di Diritto Civile del 1990 – L’assegno di divorzio in una recente sentenza della Cassazione – dal Professore Giovanni Gabrielli. Il tenore di vita è solo il parametro astratto dell’adeguatezza dei mezzi, destinato ad incidere sull’an debeatur dell’assegno divorzile – diceva all’epoca il Professore Gabrielli – per il quantum operano ‘a scendere’ gli altri criteri indicati nella parte centrale dell’art. 5, comma 6, L. n. 898/1970, e ciò in quanto nella fase di concreta determinazione dell’assegno divorzile, il tenore di vita coniugale rappresenta solo il tetto massimo dell’assegno. È essenziale che nella determinazione del quantum non si ecceda il parametro dell’an, pervenendosi altrimenti a soluzioni inique: per il coniuge debole, esemplificando, risulterebbe conveniente non far nulla e non attivarsi, neppure minimamente, per la ricerca di un’occupazione lavorativa, potendo richiedere ed ottenere, non essendo economicamente autosufficiente, un assegno divorzile, che sulla base degli altri criteri, risulti addirittura superiore nel suo ammontare a quello attribuito ad altro coniuge debole che, con notevoli esigenze familiari e lavorative, sia riuscito faticosamente a procacciarsi dei redditi. Dall’altra parte se conteniamo il quantum entro il limite dell’an, si corre il rischio che gli assegni periodici erogati non consentano neppure l’autosufficienza economica, costituendo il risultato di una scissione e ridistribuzione atomizzata delle ricchezze. Appare, infatti, del tutto ingiusto che il coniuge più debole, il quale abbia rinunciato alle proprie aspirazioni lavorative, o che, comunque, le abbia notevolmente compromesse, per dedicarsi alla famiglia e consentire all’altro coniuge di realizzarsi professionalmente, debba accontentarsi di ciò che sia necessario ai fini della conduzione di una vita dignitosa, prescindendosi dai redditi dell’altro e dalla considerazione che, con ogni probabilità, egli/ella non abbia più alcuna possibilità di procurarsi un reddito effettivamente adeguato. Sul punto, la Corte è stata molto incerta e non ha risolto il problema. È per le ragioni appena enfatizzate che il Professore milanese ha esortato alla ricerca di una soluzione alternativa, questa sì adeguata al mutato senso del matrimonio nella coscienza sociale contemporanea, che sia in grado di riequilibrare le fortune economiche degli ex-coniugi rispetto agli sforzi e alle rinunce compiute durante la vita matrimoniale. È venuto il tempo, per il Rimini, di affermare che con il divorzio viene meno ogni obbligo assistenziale. Continuiamo a sostenere, quasi fosse una necessità ontologica, che il fondamento dell’assegno divorzile sia un fondamento puramente assistenziale, ma il coniuge debole, al momento dello scioglimento del matrimonio, non chiede affatto assistenza, ma ciò che realmente ricerca è una giusta compensazione per i sacrifici e le rinunce, assai rilevanti, fatte durante il matrimonio, anche sulla base dell’affidamento che aveva riposto in quel legame. La ritenuta funzione esclusivamente assistenziale dell’assegno non può che frustrare simili aspettative. Viene osservato, inoltre, che la norma, con formula vaga e nebbiosa, si limita a statuire che, ai fini del riconoscimento dell’assegno divorzile, i redditi del coniuge beneficiario non devono essere adeguati, ma non fissa il parametro dell’adeguatezza dei mezzi, elencando solamente una serie di criteri da tenere debitamente in conto, fra questi il principale è dato, senz’altro, dal contributo personale ed economico apportato da ciascun coniuge alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del

440


Serena Bartolomucci

patrimonio personale di ciascuno o di quello comune. Se questa è la realtà, se al coniuge debole ripugna, considerandola offensiva della propria dignità, la sola l’idea di richiedere e ricevere assistenza – per cosa poi, se non si versi in stato di bisogno? – e se è vero, pure, che la natura assistenziale dell’assegno divorzile non è stata scolpita in modo cristallino dalla norma, ma è piuttosto il frutto di una ricostruzione interpretativa, sorge un dubbio: non potremmo rovesciare, a mo’ di clessidra, l’impianto concettuale del nostro ragionamento ed abbandonare il vecchio presupposto, per rapportare l’adeguatezza dei mezzi ai sacrifici fatti durante la vita matrimoniale in favore della famiglia e dell’altro coniuge? Non si comprende per quale ragione all’ex-coniuge, che non abbia compiuto sacrifici a favore del nucleo familiare o che li abbia compiuti, ma per un modesto arco temporale, spetti un qualche diritto. Viceversa il coniuge che, sulla base dell’affidamento fatto nel vincolo matrimoniale, per notevoli anni si sia sacrificato per l’educazione dei figli e per favorire la carriera dell’altro, giustamente andrà ricompensato con un assegno che riequilibri i redditi delle parti, in modo che entrambe possano vivere in modo paragonabile. Resta da vedere, se fosse accolta la soluzione appena prospettata, quali sarebbero i parametri da seguire. L’adeguatezza dei mezzi non dovrebbe essere valutata né alla luce del tenore di vita matrimoniale, né alla luce di ciò che serve per garantire l’autosufficienza economica o, meglio, una vita dignitosa, ma dovremmo usare come misura, quella dei sacrifici e delle rinunce fatte, della possibilità per il coniuge richiedente di ricuperare il tempo perduto, delle sostanze e dei redditi dell’altro coniuge che hanno dato luogo all’affidamento nel vincolo matrimoniale. Ovviamente dovranno essere prese in considerazione anche le entità che il coniuge abbia già conseguito sulla base del regime patrimoniale secondario, in particolare quello della comunione legale dei beni. Sicché, laddove i coniugi abbiano già condiviso gli acquisti effettuati durante la convivenza matrimoniale, il coniuge pur economicamente più debole, alla fine del rapporto di coniugio si ritroverà a poter disporre di un consolidato patrimonio e, dunque, potremmo dire che la compensazione, in questo caso, sia già avvenuta. Oppure, viceversa, potrà accadere che pur vigendo il regime patrimoniale della separazione legale dei beni, un coniuge abbia ricevuto dall’altro, durante la comunione matrimoniale, grandissime elargizioni a titolo di liberalità. Ugualmente, anche in tale ipotesi, potrà dirsi che il coniuge sia stato compensato per l’impegno profuso nel ménage familiare. Il Professore milanese ha, quindi, sostenuto l’impossibilità di continuare a pensare che l’assegno divorzile abbia una finalità assistenziale. Continuare a credere ciò – secondo il relatore – significa continuare a pensare con la mentalità retrograda di una vecchia società che, almeno da un quarto di secolo, è andata scomparendo. Se smettessimo – ha aggiunto – di indossare questi occhiali retrovisori e ci liberassimo di quella cappa opprimente che, ad oggi, continua ad appannare la nostra vista, forse potremmo fuoriuscire da quella angustia in cui siamo stati costretti, dalla pretesa logica assistenziale dell’assegno divorzile. La terza relazione è stata affidata a Franca Mangano, Presidente di sezione del Tribunale di Roma, la quale con approccio pragmatico si è fatta portavoce dell’esperienza maturata fra le aule dei tribunali, sintetizzando e semplificando quello che è stato il contributo appassionato offerto dal Tribunale di Roma nei mesi immediatamente successivi alla

441


Giurisprudenza

sentenza della prima sezione civile della Corte di Cassazione. La relatrice, preliminarmente, ha osservato come, in paradosso con la portata rivoluzionaria delle premesse ideologiche della sentenza in rassegna, la linea prescelta dal Tribunale di Roma sia di continuità con la precedente giurisprudenza di merito e che, dunque, davvero molto poco sarebbe cambiato rispetto al passato, seppure molti siano stati gli stimoli ricevuti dal nuovo orientamento. La stessa ha avuto cura di precisare l’affermazione fatta ed ha spiegato che i riferimenti rispetto ai quali il giudice capitolino si è mosso sono riferimenti irrinunciabili. Ha incominciato col menzionare la solidarietà post-coniugale – e con essa alcuni istituti vigenti nel diritto positivo, come la partecipazione alla ripartizione della pensione di reversibilità, la ripartizione del TFR, l’assegno a carico dell’eredità, espressione della solidarietà post-coniugale – e il principio di autoresponsabilità dei coniugi, inteso come contraltare al principio di solidarietà post-coniugale. Ha sottolineato, ancora una volta, la forte distinzione sussistente fra assegno di mantenimento ed assegno divorzile, ribadita in più occasioni dalla stessa giurisprudenza di merito e di legittimità, con la precisazione che le determinazioni assunte in sede di separazione possono avere solo valore di indice in sede di quantificazione dell’assegno divorzile, e null’altro. Infine, ha fatto riferimento alla convivenza di fatto come causa estintiva dell’obbligo di corresponsione dell’assegno divorzile, ed ha affermato la non reviviscenza del diritto all’assegno al venir meno del rapporto di fatto. Tutti principi, quegli appena richiamati, alla cui creazione ha sicuramente partecipato anche la giurisprudenza di merito e che costituiscono, assieme, il diritto vivente. Tuttavia, spazzato via il criterio del tenore di vita matrimoniale, la sentenza n. 11504/2017 ci ha lasciato privi di parametro cui commisurare l’adeguatezza dei mezzi, ed in questo modo la discrezionalità del giudice veniva estremamente amplificata. Si poneva, perciò, il problema di come leggere ed applicare quanto stabilito nella pronuncia della Cassazione, fermo restando i principi giurisprudenziali già consolidati. In particolare, il giudice capitolino si è interrogato, con atteggiamento di estrema prudenza, su quali dovessero essere i termini dell’adeguatezza dei mezzi: un parametro oggettivo, come la pensione sociale o addirittura la possibilità di individuare precise ‘gabbie’ di assegno divorzile, attraverso una sorta di “tabellizzazione”, oppure considerare gli oneri derivanti dal possesso di cespiti patrimoniali, in relazione al costo della vita nel luogo di residenza? Tuttavia, si è preso coscienza del fatto che una concezione meramente oggettiva dell’autosufficienza e dell’indipendenza economica non poteva essere accolta e, dunque, il giudice capitolino ha ritenuto di non poter seguire l’orientamento provocatoriamente interessante espresso dal Tribunale di Milano, del limite obiettivo della pensione sociale. Piuttosto ha ritenuto che l’autosufficienza economica sussista al concorrere dei seguenti parametri: il possesso di redditi, la disponibilità di cespiti patrimoniali, la capacità lavorativa, valutata non in astratto ma in concreto – con l’indicazione di ulteriori requisiti soggettivi dati dall’età, dal sesso e dalla salute – ed infine la disponibilità di un’abitazione. Di contro al prepotente riferimento, nell’annotata sentenza, all’ex-coniuge richiedente l’assegno quale singolo individuo, sradicato dal preesistente rapporto matrimoniale, si afferma, invece, che tali indicatori presuppongono una vita passata, rappresentata dalla durata del matrimonio, che

442


Serena Bartolomucci

non può, di certo, essere pretermessa nella valutazione complessiva di questi applicatori. La Presidente Mangano ha, quindi, avvertito la necessità di riportare – proseguendo nella propria opera chiarificatrice del lavoro svolto dal giudice del merito – fattispecie concrete, nelle quali è stato fatto pedissequo uso di tali strumenti interpretativi. Il primo caso portato all’attenzione dell’uditorio, concerneva una signora funzionaria di un’agenzia internazionale con incarico di tutta rilevanza, che aveva abbandonato il proprio lavoro per seguire il marito – brillante professionista – trasferendosi insieme a lui all’estero, per favorire la progressione nella carriera dell’uomo. Tornata a Roma, la signora aveva ripreso a lavorare nella medesima agenzia, ma con un incarico deteriore rispetto a quello affidatole in precedenza e, in assoluta autonomia, aveva pure conferito i propri beni immobili in una società a conduzione familiare, le cui quote risultavano interamente intestate alla madre del di lei marito. Al momento del divorzio, trovandosi con un reddito di euro 2.800,00 e priva di una casa, il giudice capitolino, secondo le proprie ricostruzioni, ha ritenuto che la donna versasse in condizioni di non autosufficienza economica, conseguentemente le ha riconosciuto il diritto a percepire l’assegno divorzile. La seconda vicenda riguardava, invece, il caso di una famiglia monoreddito con un modestissimo tenore di vita. L’ex-moglie al momento del divorzio aveva ricevuto in eredità un cospicuo peculio, il cui ammontare era stimabile in euro 250.000,00 circa. Tuttavia, nel caso di specie – considerato che la signora, casalinga, nel corso della vita matrimoniale, quasi trentennale, non aveva mai lavorato essendosi dedicata esclusivamente all’accudimento dei due figli disabili – il ricorrere di uno soltanto degli indicatori, a fronte dei quattro, ha consentito di sostenere che l’ex-moglie, senza una casa ed un lavoro e con due figli disabili, non fosse economicamente indipendente, ragion per cui anche in questo caso è stato accordato un assegno divorzile. L’ultima fattispecie riguardava una donna laureata che esercitava durante il matrimonio attività di consulenza, con un reddito mensile di euro 2.000,00, pressoché pari a quello del marito. Verificatasi la crisi coniugale ed il disfacimento della convivenza matrimoniale, la stessa versava in un momento di crisi dell’attività lavorativa ed anche, avendo venduto casa per trasferirsi in un’altra città assieme ai due figli, di dismissione del proprio patrimonio. Nel caso in esame è stato ritenuto che la scelta della signora, poiché frutto della sua libera determinazione, non poteva essere invocata come ragione per porla in una posizione di pretesa rispetto all’altro coniuge. Considerato, altresì, che la stessa disponeva di una capacità lavorativa in concreto, è stato, dunque, negato il diritto alla percezione dell’assegno periodico, perché ritenuta economicamente autosufficiente. Dall’analisi dei casi giurisprudenziali illustrati poc’anzi, è possibile constatare agevolmente che le decisioni adottate dal Tribunale di Roma appaiono pressoché identiche a quelle già adottate e pubblicate in epoca anteriore all’intervento di legittimità. Invero, a tali conclusioni il giudicante è pervenuto, utilizzano le medesime categorie che, in realtà, sarebbero state applicate, sussistendo ancora il parametro del tenore di vita matrimoniale. In questo senso può parlarsi di continuità rispetto al passato. È seguita l’ultima riflessione del Presidente della Sezione Famiglia del Tribunale capitolino. La sentenza della prima sezione civile della Cassazione sembra osservare da molto lontano e misconoscere la realtà del processo di separazione e divorzio. In primo luogo, la

443


Giurisprudenza

relatrice ha sconfessato il dogma della rigida suddivisione del giudizio nelle due fasi dell’an e del quantum – sulla quale si è già abbondantemente dibattuto in occasione dei precedenti interventi – ritenendo che la valutazione dei criteri di cui all’art. 5, comma sei, L. n. 898/1970, intervenga anche nella fase dell’an. In particolare uno, fra questi, risulterebbe determinante e potrebbe condurre, addirittura, alla negazione dell’assegno divorzile, ossia la durata del matrimonio che è il criterio che fotografa il tratto di strada percorso assieme. Invero, come già appurato, si tratta di un dogma che la prassi – la giurisprudenza di merito e di legittimità – ha già scalfito. In secondo luogo, la Cassazione del 2017 afferma che il rigore dell’onere probatorio del richiedente l’assegno divorzile deve essere valutato alla stessa stregua delle regole ordinarie del processo civile, dimenticando che il procedimento di separazione e quello di divorzio non rispondono a tali regole. Nel processo di separazione e in quello diretto ad ottenere lo scioglimento e la cessazione degli effetti civili del matrimonio, è inutile parlare di prova rigorosa, perché trattasi perlopiù di una serie di allegazioni di parte – in virtù del principio di leale collaborazione, che costituisce anche un riflesso del più generale principio di solidarietà – rispetto alle quali il giudice svolge attività di accertamento in materia di assegno divorzile e contributo per il mantenimento dei figli. In terzo luogo, con riguardo alla natura assistenziale dell’assegno, si evidenzia che il giudice dispone di uno strumentario molto povero, potendo solo imporre erogazioni periodiche, rispetto alle quali la funzione assistenziale risulta consona, ma che poco c’entrano con una funzione restitutoria. In merito, la novità ed il valore più grande che va assegnato a questa pronuncia, è proprio quello di aver posto in evidenza l’assoluta obsolescenza degli strumenti di cui il giudice di merito dispone per regolamentare gli aspetti patrimoniali della famiglia in crisi. Concludendo, in materia di assegno divorzile, la Presidente Mangano ha riconosciuto anch’essa il sussistere di una generale insofferenza, ma ha aggiunto che tale insofferenza viene avvertita dal giudice di merito non tanto nei confronti del parametro di tenore di vita, che invece è riuscito ad applicare in modo egregiamente duttile, plasmandolo secondo le progredite esigenze della realtà contemporanea, quanto piuttosto nei confronti di forme di erogazione periodiche successive al divorzio. Prendiamo atto di questa insofferenza, e possiamo anche comprenderla alla luce del maggior dinamismo, affettivo e sentimentale, della società, ma è comune nel Tribunale di Roma l’intendimento secondo il quale il mutare dei tempi, di cui siamo partecipi e protagonisti, non debba comunque tradursi nel sacrificio dei soggetti più deboli, siano essi i figli o/e il coniuge economicamente più debole. Ha in seguito preso la parola Geremia Casaburi, Consigliere della Corte di Appello di Napoli. Il Consigliere Casaburi ha esordito facendo constatare come ad attenuare l’impatto del nuovo orientamento nella realtà giuridica, sia stata la stessa prassi giudiziaria, la quale quotidianamente si trova ad affrontare le istanze avanzate da coniugi aventi redditi modesti – se non ai limiti della sopravvivenza – volte ad ottenere il riconoscimento di assegni divorzili, confrontandosi, dunque, con realtà e modelli di vita familiare dinnanzi ai quali i due criteri dell’autosufficienza e del tenore di vita cedono, piuttosto, il passo a criteri capaci di calarsi nella specificità dei casi concreti. A fronte del nuovo orientamento, se si volge lo sguardo al modus decidendi adottato

444


Serena Bartolomucci

dai giudici di merito immediatamente dopo la sentenza n. 11504/2017, si evince, infatti, che l’adesione al nuovo indirizzo è stata tutt’altro che unanime. La giurisprudenza di merito risulta così divisa: accanto alle pronunce che hanno prestato piena adesione al nuovo indirizzo, numerose sentenze hanno fatto uso – sulla scorta del modus operandi del Tribunale di Roma – del meccanismo della doppia motivazione, ovvero un fine escamotage giuridico che ha l’effetto pratico di riconoscere l’assegno divorzile, oppure di non riconoscerlo affatto, in forza dei vecchi e dei nuovi principi. Altre pronunce, ancora, hanno assunto un atteggiamento di prudenza, ponendo l’accento, in primo luogo sul profilo dell’onere della prova gravante sul richiedente l’assegno, in secondo luogo sulla stessa nozione di autosufficienza economica, cercando di elaborarne una nozione sufficientemente elastica, legata al singolo caso concreto. A titolo esemplificativo, può richiamarsi la pronuncia del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 13 dicembre 2017 che, in ossequio al nuovo orientamento, ha negato alla moglie – pur essendo titolare di un reddito che non le consentiva affatto l’autosufficienza – l’assegno divorzile, ricorrendo all’applicazione del principio dell’onere della prova e di vicinanza dei mezzi di prova. Ciò sul presupposto che la stessa, pur disponendo di una concreta e sicura capacità professionale, nell’ampio arco di tempo intercorso fra la separazione e il divorzio, non si sarebbe mai attivata al fine di reperire una occupazione lavorativa, non potendo invocare, a propria discolpa per il mancato conseguimento dell’autosufficienza economica, né la diffusa situazione di crisi economica, né tanto meno l’individuale difficoltà nel trovare un impiego nell’ambito del settore di proprio interesse. Detto in altri termini, la ricorrente nel caso di specie non avrebbe dato prova dell’impossibilità di conseguire detta autosufficienza per ragioni obiettive. Il Tribunale, pertanto, ha disatteso ogni contraria argomentazione, valorizzando invece la concreta potenzialità lavorativa della donna, resa palese dai titoli di studio posseduti e dalle precedenti esperienze lavorative. Il nuovo orientamento è certamente stato cristallino nell’ancorare la nozione di adeguatezza dei mezzi, non più al vecchio parametro del tenore di vita tenuto dalla famiglia in costanza di matrimonio, bensì al nuovo criterio dell’autosufficienza economica del richiedente, inteso come singolo, ma non è stato altrettanto chiaro nel riempire di contenuto la stessa nozione, che si presta pertanto ad essere l’oggetto di contrastanti letture. Quello dell’adeguatezza è un sintagma ambiguo che ha, dunque, bisogno di essere chiarito e precisato. Invero – ha osservato il relatore - muovendo dalla nozione di ‘mezzi adeguati’ e ponendo l’accento sulla lettera della legge, è possibile rilevare che il legislatore non parla di mezzi ‘sufficienti’, alla stessa stregua di quanto viene fatto, invece, nell’art. 438 c.c. Ne consegue che l’autosufficienza non potrà in nessun caso coincidere con la disponibilità di mezzi sufficienti, né tanto meno con lo “stato di bisogno” che connota l’assegno alimentare, posto che una simile indicazione è volutamente assente nel dettato legislativo, pur rilevando come nella successiva sentenza della Corte di Cassazione n. 11538/2017, l’assegno venga riconosciuto alla parte istante che disponga di “redditi insufficienti a condure un’esistenza libera e dignitosa”, espressione che sembra evocare l’art. 36, comma primo, Cost. (“il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità

445


Giurisprudenza

del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”). Seguendo tale impostazione, dovremmo concludere nel senso che l’ex-coniuge, il quale eserciti una stabile attività lavorativa, percependo una retribuzione mensile secondo i parametri appena illustrati, anche se sottopagato, non abbia alcun diritto a vedersi attribuito l’assegno periodico, e ciò pure nel caso in cui sussista una rilevante disparità patrimoniale e reddituale rispetto all’altro coniuge e nonostante l’impegno profuso nello svolgimento del lavoro domestico, nella soddisfazione delle esigenze familiari e nell’educazione della prole. Una simile lettura si risolverebbe in una ingiusta punizione per quella moglie, rimasta sposata per quindici, vent’anni o più, e che con notevoli sacrifici abbia continuato a lavorare, gestendo al contempo la casa ed i figli, per contribuire ad incrementare le risorse economiche familiari. Il dott. Casaburi ha quindi avuto cura di evidenziare che, in simili vicissitudini, l’esigenza che viene in gioco è quella di salvaguardare le situazioni di quelle famiglie asimmetriche in cui, accanto ad un coniuge che si dedica ad attività lavorative esterne – rappresentando la fonte esclusiva o, quantomeno prevalente, del reddito familiare – v’è l’altro, per lo più la moglie e la madre, che si dedica ad attività di cura della casa e della famiglia e che, pur lavorando, svolge attività meno prestigiose, anche in termini economici, rispetto a quelle cui avrebbe potuto aspirare se non si fosse dedicata alla famiglia. Del resto l’asimmetria nell’ambito del rapporto matrimoniale, e la ripartizione dei ruoli fra i coniugi, è un dato giuridico – e non meramente storico o sociologico – ben noto al legislatore che ha cercato di correggerlo con l’art. 143 c.c., quando, nel ribadire il fondamentale principio di eguaglianza morale e giuridica fra coniugi, ha coerentemente posto sullo stesso piano il lavoro esterno e il lavoro casalingo, orientando in senso solidaristico i rapporti – anche patrimoniali – tra coniugi. Di qui l’esigenza di una prudente interpretazione dei nuovi principi. Pertanto, il relatore – con grande coinvolgimento emotivo – ha illustrato il lavoro di sintesi intrapreso dalla Corte d’Appello di Napoli, la quale ha cercato di porsi a metà strada tra la giurisprudenza di merito e quella di legittimità, allo scopo di rinvenire un giusto equilibrio. In tal senso, con orientamento unanime, la Corte partenopea si è impegnata ad evitare ogni atteggiamento di iniquità, dando pur sempre alle proprie decisioni un fondamento normativo, sulla scorta del diritto interno. Contrariamente alla sentenza de qua, la Corte napoletana ha ritenuto opportuno, ancora oggi, riconoscere centralità all’art. 29 e agli artt. 2 e 3 Cost., i quali pongono principi che non possono essere, certamente, esclusi o paralizzati per effetto della crisi della famiglia, e perciò valevoli in ogni momento della vita matrimoniale, non soltanto, quindi, nella fase fisiologica, caratterizzata da uno stabile vincolo di convivenza e di sostegno, ma anche nella fase patologica e post-matrimoniale, contrassegnata nella generalità dei casi da aspri conflitti. È proprio al momento della disgregazione dell’unità-famiglia che i fondamentali canoni di eguaglianza e di reciproca solidarietà soccorrono ed operano fortemente. Il matrimonio costituisce, infatti, un istituto di altissima dignità sociale e giuridica, fonte di diritti inviolabili, di doveri inderogabili, di aspettative legittime e di legittimi affidamenti per gli stessi coniugi. Non è dunque possibile sostenere che con il divorzio il vincolo cessi

446


Serena Bartolomucci

completamente. Ne consegue che onorare il matrimonio significa riconoscerne il valore anche nella fase conclusiva, durante la quale gli effetti negativi dell’asimmetrica divisione dei pesi familiari sono suscettibili di manifestarsi con maggiore durezza, specie per il coniuge ritenuto più debole. Si badi bene che nessuno nega che il divorzio sia un diritto, oramai, giuridicamente riconosciuto nel nostro ordinamento ma, fermo restando il diritto inalienabile alla libertà e all’autodeterminazione personale, la stessa libertà di divorziare non può certo tramutarsi in una illegittima negazione e mortificazione dei doveri di solidarietà fra coniugi, e d’altra parte, l’autoresponsabilità dell’uno non può equivalere all’irresponsabilità dell’altro. Orbene, quello che alla Corte partenopea non pare equo è proprio la considerazione, nella sentenza oggetto del dibattito, del coniuge uti singulus, e non più come parte di un rapporto che si assume ormai estinto. Sembra, piuttosto, corretto ritenere che il giudice debba guardare al dato del vissuto insieme, in quanto diversamente opinando si rischierebbe di negare gli stessi principi enucleati dall’art. 29 Cost. Ancora, il Consigliere Casaburi ha sottolineato che non è affatto corretto negare in senso assoluto il legame che sussiste tra la separazione e il divorzio, due istituti entrambi deputati a fronteggiare, in successione progressiva, la crisi famigliare. I due istituti appaiono, infatti, molto più osmotici di quanto sia possibile immaginare. Innanzitutto, ambedue gli istituti, della separazione e del divorzio, costituiscono oggetto di un vero e proprio diritto potestativo di ciascun coniuge, da qui la possibilità di conseguire l’una o l’altro senza l’intervento del giudice, attraverso la negoziazione assistita, oppure ricorrendo alla procedura amministrativa innanzi all’Ufficiale di Stato Civile, ai sensi degli artt. 6 e 12 della L. n. 162/2014. In secondo luogo, la stessa riduzione dei tempi per l’accesso al divorzio ha consentito di avvicinare, anche sul piano processuale, i due istituti. Infine, secondo una lettura ‘evolutiva’ dell’istituto della separazione, esso rappresenta l’anticamera del divorzio, in quanto il venir meno – a seguito della sospensione – dei diritti e dei doveri personalissimi nascenti dal matrimonio, segna già nella coscienza sociale la fine del rapporto di coniugio. Del pari è scorretto contrapporre rigidamente l’assegno di separazione a quello di divorzio, posto che sul piano del diritto vivente, almeno, vi è una obiettiva vicinanza fra i due, fondata proprio sulla richiamata omogeneizzazione fra separazione e divorzio, pur rimanendo indubbio che il tenore di vita incidente sull’assegno di separazione è differente rispetto a quello che incide sull’assegno di divorzio: nel primo, posto che il vincolo matrimoniale continua, rappresenta un parametro inderogabile, mentre nell’altro, quando il vincolo si estingue, costituisce il tetto massimo, astrattamente determinabile nella fase dell’an debeatur, e che deve pur sempre essere contemperato, ‘in diminuzione’, nella fase del quantum debeatur. In ordine alla due fasi dell’an e del quantum debeatur, la Corte di Appello di Napoli, di cui il Casaburi si è fatto portavoce, ha ritenuto di poter superare la rigida contrapposizione tra le due fasi, che ben possono subire reciproche contaminazioni. Conseguentemente, accanto alla tradizionale funzione assistenziale, all’assegno divorzile può essere riconosciuta anche una funzione perequativo-compensativa, che assume particolare rilevanza specie nei matrimoni di lunga durata. Invero, nella prassi, la Corte partenopea ha operato

447


Giurisprudenza

differenziando nella risoluzione di singoli casi concreti: a fronte di matrimoni di breve durata, senza figli e con coniugi giovani, l’autosufficienza può essere considerata con rigore e prevale, pertanto, il principio dell’autoresponsabilità. Di fronte a tali fattispecie il Collegio, in genere, ha negato l’assegno. Dinanzi a matrimoni di lunga durata, nei quali uno dei coniugi si sia sacrificato per la famiglia, è stato posto l’accento sul principio del legittimo affidamento. In questi casi prevalgono i principi di solidarietà e di uguaglianza, che operano non soltanto quando il coniuge debole non lavori e non possegga redditi, ma anche nell’ipotesi inversa in cui questi lavori e disponga di un reddito. Pertanto, affinché l’assegno possa assolvere ad una funzione di riequilibrio della posizione economica e di equa ridistribuzione delle risorse dei coniugi, l’assegno divorzile deve continuare ad essere rapportato al tenore di vita, almeno potenziale. Il relatore ha concluso affermando che, nella materia, lungi da ogni astratta teorizzazione, vanno salvaguardati i diritti delle persone, sicuramente animate e proiettate verso il futuro, ma inevitabilmente legate al loro passato. Da ultimo ha proposto la propria relazione Tania Hmeljak, Consigliere della Corte di Appello di Palermo. La relatrice, premesso il disorientamento creato dalla sentenza de qua nell’operare una drastica inversione dell’orientamento giurisprudenziale, quasi trentennale, inaugurato dalle Sezioni Unite nel 1990, ha osservato che la sentenza n. 11504 del 2017 non chiarisce se l’obiettivo di garantire al beneficiario un livello di benessere tendenzialmente coincidente con il tenore di vita coniugale vada abbandonato anche nella seconda fase del giudizio, quella di quantificazione dell’assegno divorzile. Difatti, preso atto che la sentenza in commento ha certamente escluso l’operatività del parametro nella fase relativa all’an – atteso che a pagina 8, in un inciso della sentenza, si legge che: “il parametro del «tenore di vita», se applicato anche nella fase dell’an debeatur - collide con la natura stessa dell’istituto del divorzio e con i suoi effetti giuridici” – occorre capire se sia possibile, invece, utilizzare il parametro del tenore di vita nella fase relativa alla commisurazione del quantum debeatur. In tal senso sembrerebbe propendere, da un lato, il riferimento che la sentenza fa alla disposizione di cui all’art. 337-septies c.c. (il quale, nel disciplinare il mantenimento dei figli maggiorenni in caso di crisi della coppia genitoriale, fa riferimento al tenore di vita goduto in costanza di convivenza con entrambi i genitori) e dall’altro il richiamo, contenuto a pagina 12 della sentenza, al comma 9 dell’art. 5 della legge sul divorzio, che riguarda i provvedimenti provvisori ed urgenti, anche di natura economica, che il Presidente del Tribunale può adottare nell’udienza di comparizione dei coniugi, con un esplicito riferimento al tenore di vita matrimoniale. Tuttavia, la successiva sentenza della Corte di Cassazione n. 3015/2018, afferma con chiarezza che il criterio del tenore di vita precedentemente goduto, costituisce un parametro non più utilizzabile né nella fase dell’an debeatur né ai fini del giudizio del quantum, posto che la funzione dell’assegno divorzile è esclusivamente assistenziale, e che l’interesse tutelato con l’attribuzione di tale assegno non è quella di riequilibrare le condizioni economiche degli ex-coniugi, bensì quella di consentire al coniuge debole il raggiungimento dell’indipendenza economica. Diversamente, potrebbero verificarsi situazioni di-

448


Serena Bartolomucci

scriminatorie fra l’ex-coniuge economicamente indipendente, che tuttavia non disponga di redditi tali da assicurargli la conservazione del precedente tenore di vita, e il coniuge privo di redditi che gli garantiscano l’indipendenza economica. Ha aggiunto, però, la relatrice che se si segue l’interpretazione sistematica della sentenza n. 11504/2017, per la quale il ‘tetto massimo dell’assegno’ va individuato nella prima fase del giudizio, concernente l’an debeatur, secondo il nuovo parametro dell’indipendenza economica, si assiste – inevitabilmente – ad uno svilimento della seconda fase del giudizio e del ruolo esercitato da quei ‘fattori di moderazione’ enunciati dall’art. 5, comma sei, della legge sul divorzio, posto che nella determinazione di un assegno destinato a soddisfare solo i bisogni essenziali dell’ex-coniuge, il giudice non potrebbe, comunque, oltrepassare il limite massimo dell’autosufficienza economica. Si è sostenuto, pertanto, che tali fattori operino in ‘aumento’ – contrariamente al pregresso orientamento che vedeva tali fattori quali criteri di contenimento dell’importo astrattamente determinabile – della misura individuata nella fase dell’an, ma sempre in modo da consentire il conseguimento dell’obiettivo dell’indipendenza economica dell’avente diritto. In merito, le successive pronunce della Cassazione n. 2042 e 2043 del 2018, pur approvando il nuovo arresto del giudice di legittimità, hanno cercato di evitare ‘pericolosi automatismi’, precisando che quella dell’autosufficienza rappresenta una nozione relativa, mobile e variabile con riguardo al singolo caso concreto, nel senso che non può più parlarsi di un livello di autosufficienza oggettivo ed unitario, ma esso va sempre esaminato caso per caso in modo soggettivo e personale, tenendo conto del contesto sociale in cui vive l’avente diritto e di tutti gli ulteriori indici fissati nell’art. 5 della legge sul divorzio (condizione dei coniugi, ragioni della decisione, ecc.). Rifacendosi anch’essa alla prassi dei giudici di merito, la dott.ssa Hmeljak ha dunque messo a fuoco gli sforzi interpretativi compiuti dalla sezione famiglia della Corte di Appello di Palermo, per offrire soluzioni adeguate alla varietà dei casi concreti. La relatrice ha illustrato due casi in cui la medesima Corte territoriale si è occupata della questione relativa alla capacità lavorativa posseduta dal coniuge debole, cercando di seguire – seppure in modo graduale – l’indirizzo giurisprudenziale introdotto dalla sentenza n. 11504/2017. In conformità al generale principio dell’onere della prova, il coniuge debole deve dimostrare in concreto, mediante pertinenti allegazioni e deduzioni, l’incapacità e l’impossibilità effettiva di lavoro personale sulla base di parametri (età, ragioni di salute, inidoneità ad inserirsi nel mondo del lavoro, assenza di titoli di studio o di specializzazioni, mancanza di pregresse esperienze lavorative) che rendano prevedibile l’impossibilità di acquisire l’indipendenza/autosufficienza economica. Seguendo tali principi, nel primo caso, riguardante una donna avente il titolo di ingegnere gestionale e pure proprietaria di un cospicuo patrimonio immobiliare, la Corte territoriale ha considerato la qualifica professionale facilmente spendibile nel mercato del lavoro e la particolare capacità lavorativa della donna, dimostrata dalla pregressa attività professionale, negando sulla base del principio di autoresponsabilità l’assegno divorzile all’ex-coniuge. Nel secondo caso, che riguardava invece un avvocato, il Collegio ha ritenuto che la

449


Giurisprudenza

donna, pur percependo un reddito da lavoro autonomo, non disponesse di mezzi adeguati tali da assicurarle l’autosufficienza, per ragioni ed essa non imputabili, ma scaturenti da cause oggettive – come l’essersi occupata durante il matrimonio della famiglia e l’aver, pertanto, faticosamente portato a compimento gli studi e conseguito la relativa abilitazione all’esercizio della professione forense, dopo che i figli erano divenuti autonomi – e le ha, quindi, riconosciuto il diritto ad un assegno divorzile, in considerazione del fatto che la capacità lavorativa della donna era limitata, atteso che aveva un reddito annuo modesto, che aveva iniziato a lavorare da poco e che non si era ancora utilmente inserita nel contesto lavorativo. In entrambe le fattispecie qui richiamate, l’accertamento circa l’effettiva condizione economico-patrimoniale del coniuge richiedente non è stata compiuta in astratto, ma in concreto sulla base di dati esistenti, riferibili al singolo caso preso in esame. Tale ultima prospettazione è servita, alla relatrice Hmeljak, ad avanzare una possibile soluzione dianzi al nuovo e discusso orientamento, ovverosia quella di ragionare per casi concreti, considerando in maniera necessariamente differente le situazioni particolari in cui il coniuge non abbia potuto rendersi autosufficiente durante la vita matrimoniale e valorizzando il significativo apporto da esso dato alla conduzione della vita familiare, mentre potrà, sicuramente, essere applicato con estremo rigore il criterio dell’autosufficienza economica con riguardo al coniuge richiedente giovane, che non abbia figli e con un matrimonio di breve durata alle spalle. Esaurite le relazioni ha, quindi, preso la parola Mario Rosario Morelli, Giudice della Corte Costituzionale, per proporre le conclusioni. Il Morelli, cogliendo l’occasione per interrogarsi sulla portata della sentenza n. 11504/2017, ha ritenuto che non si tratti di un overruling sostanziale, ovvero di una modifica correttiva che interviene sul testo della norma, recuperando un’interpretazione precedente, ritenuta ‘corretta’, da sovrapporre all’interpretazione ‘scorretta’ contenuta nelle quattro sentenze gemelle delle Sezioni Unite, nn. 11489, 11490, 11491 e 11492 del 1990. Con ogni probabilità si tratta, invece, di una interpretazione evolutiva, o meglio del diritto vivente che, in continuo divenire, evolve e si modifica. Secondo il Pres. Morelli, la norma è infatti un composto ternario: vi sono il significante, il significato e il valore che la norma è tenuta a presidiare. Il valore è l’elemento mobile della norma giuridica. Dunque, finché il significante consente alla norma di assumere diversi e nuovi significati, per adeguarsi al mutamento del valore, la norma continua ad evolvere. Se questo è lo stato attuale, cosa sono chiamate a fare le SS.UU.? Morelli ha affermato che si richiede ora alla Corte Suprema di appurare se i valori sottostanti alla normativa originaria non risultino modificati, in relazione alle dimensioni sociologica, etica e religiosa, della società. La Cassazione è, quindi, chiamata a chiedersi cosa resta della famiglia tradizionale, se e come siano cambiati i valori nel relativo contesto sociale e quale fra questi sia quello emergente. Con specifico riferimento all’assegno divorzile, sulla scorta di quanto detto nel corso del dibattito, Morelli ha ritenuto opportuno concludere le proprie riflessioni con riferimento ai valori costituzionali, sottolineando che il criterio dell’adeguatezza è un criterio relazionale,

450


Serena Bartolomucci

che va adeguato alla dignità della persona nel contesto sociale in cui essa ha vissuto e in cui dovrà vivere, dignità della persona che – come ricorda Morelli – è il meta-valore della nostra Carta Costituzionale, come si ricava dall’art. 2 Cost. Esso costituisce sì, la sintesi dei diritti inviolabili, ma è altresì il fondamento del dovere di solidarietà, che non vive nella ristretta dimensione geografica-temporale di una data relazione, ma assurge a valore dell’intera collettività e in quanto tale non può in alcun modo essere tranciato in sede di valutazione circa la spettanza o meno dell’assegno. Terminata l’esposizione dei relatori, alcuni dei partecipanti al convegno hanno manifestato il proprio desiderio di intervenire, per poter commentare le riflessioni svolte. Il desiderio è stato immediatamente soddisfatto dal Presidente della seduta, Gabriella Luccioli, la quale ha subito introdotto l’intervento del Senatore Nicolò Lipari. Il Professor Lipari, ben lungi dall’esprimere un’opinione che potesse anticipare in qualche modo la decisione delle Sezioni Unite, si è limitato a fornire qualche indicazione di metodo. In particolare, nell’attuale contesto in cui il modo di ragionare dei giuristi, dei teorici e dei pratici procede, da un lato, per principi, dall’altro per fattispecie, il problema da chiarire una volta per tutte è quello di stabilire quale dei due ragionamenti debba essere prediletto dalle Sezioni Unite della Cassazione. Mentre le due sentenze, Sgroi del 1990 e Lamorgese del 2017, procedono secondo l’ottica della fattispecie, il ragionamento che la Corte Costituzionale utilizza è un ragionamento per principi. Se il criterio al quale si informa la Corte Costituzionale è quello del ragionamento per principi, quello che ci si augura è che le Sezioni Unite facciano, in tal senso, un salto qualitativo anche in tema di diritto di famiglia e che inizino, pertanto, a muoversi in questa stessa direzione argomentativa. In merito, il Professore ha dichiarato di essere personalmente convinto che, nella stagione contemporanea, a prevalere sia il principio di legalità del caso, ragion per cui non è più possibile procedere per paradigmi generali ed astratti, piuttosto si ritiene che dalla molteplicità delle situazioni concrete debba emergere un criterio concreto. Secondo il Lipari, è dunque opportuno che le Sezioni Unite della Cassazione con il loro intervento individuino finalmente, in materia di assegno divorzile, un principio guida che possa indirizzare le decisioni dei giudici di merito, lasciando peraltro al Giudicante un certo margine di libertà valutativa legata alla necessità di districarsi nella varietà delle specifiche situazioni, delle estrazioni sociali e dei modelli familiari, che non sono di certo riconducibili ad unità. È di seguito intervenuto il Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione Francesca Ceroni, la quale ha rappresentato il proprio ufficio proprio in occasione della pronuncia della sentenza di cui si sta discorrendo, presentando conclusioni in senso difforme a quanto poi statuito dalla prima sezione civile della Suprema Corte. Il contributo dato dalla Ceroni ha costituito il pretesto per poter riflettere circostanziatamente in merito al linguaggio in via di sviluppo e diffusione nella materia del diritto di famiglia. Invero, ciò che è dato constatare è che parole come: ‘autoresponsabilità’ ed ‘affidamento’, senz’altro di derivazione contrattuale, solo di recente figurano nelle pronunce in materia di famiglia e minori, posto che in epoca risalente costituivano, invece, specifica peculiarità del baga-

451


Giurisprudenza

glio lessicale sinallagmatico. Altra parola ‘in voga’ è quella della ‘solidarietà’ fra coniugi, in seno al matrimonio, e fra ex-coniugi come accadimento susseguente al suo scioglimento, e che si riconnette alla funzione assistenziale della prestazione periodica. In proposito, nel confronto seguito alla relazione del Professor Rimini appare condivisibile, secondo la Ceroni, ritenere che l’assegno divorzile debba incorporare in sé un quid pluris, una funzione compensativa in ragione dei tanti sacrifici profusi per innumerevoli anni da uno dei due coniugi – in genere la donna – nella cura della famiglia e della prole, spesso rinunciando ad aspirazioni professionali oppure cercando soluzioni compromissorie che permettessero di conciliare l’impegno domestico con quello professionale, pensando però anche a quelle giovani coppie che egualmente hanno prediletto una scelta di tipo tradizionale circa la ripartizione dei ruoli familiari, nelle quali il peso e la responsabilità di questa comune scelta non può ricadere, in futuro, solamente sulla ‘parte debole’ della coppia. Qui il problema si sposta, inevitabilmente, sul piano processuale ed attiene alla prova dei sacrifici compiuti che deve essere offerta da colui o colei che vanti il diritto. In questo senso, bisognerà ragionare sul tipo di prova richiesta e, soprattutto, sugli spazi da assegnare ai poteri ufficiosi in materia, tenendo ben a mente che spesso ci si trova innanzi a ‘parti svantaggiate’ – nella generalità dei casi, le donne – che non dispongono di mezzi economici che permettano loro di difendersi adeguatamente in sede processuale. Da ultimo è intervento Antonio Mondini, Consigliere della quinta sezione civile della Corte di Cassazione. Il Consigliere – in disaccordo con il Professor Calvo – ha sostenuto che il riferimento, contenuto nella sentenza n. 11504/2017, all’art. 23 Cost., che sancisce obblighi di solidarietà sociale, pare rappresentare una contraddizione e cozzare con la rappresentazione dell’ex-coniuge uti singulus. Difatti, appare irragionevole affermare il dovere di assistenza in favore di una persona rispetto alla quale non si è più nulla. In tal caso l’assistenza, in ossequio al principio di solidarietà sociale, dovrebbe essere garantita, piuttosto, dallo Stato. Convince, invece, – a parer suo – il riferimento del Professor Rimini alla funzione compensativa, oltre che assistenziale, dell’assegno divorzile, che troverebbe conferma nell’art. 29 Cost. Non è da escludersi, infatti che, laddove ne ricorrano i presupposti, alla funzione assistenziale dell’assegno possa accompagnarsi anche una funzione compensativa, nella quale la prima potrebbe essere anche assorbita. Potrebbero dunque verificarsi casi in cui, in base al criterio compensativo, l’ex-coniuge riceva più di quanto abbia bisogno per essere assistito, dall’altro lato potrebbero prospettarsi ipotesi nelle quali, l’ex-coniuge pur avendo diritto all’assistenza, dal punto di vista perequativo potrebbe non avere alcun diritto. *** Il Convegno sugli ‘Effetti economici della crisi coniugale’, tenutosi nella prestigiosa Aula Magna della Corte di Cassazione, si è rivelato senz’altro proficuo. L’utilità dell’appuntamento è stata dimostrata dall’alto livello di partecipazione anche emotiva, che i relatori, e coloro che sono intervenuti al Convegno, hanno manifestato nell’esporre con fervore le proprie considerazioni. La qualità della discussione è stata mantenuta costantemente ele-

452


Serena Bartolomucci

vata ed è stata arricchita, a più riprese, da confronti anche accesi, ma sempre costruttivi e stimolanti. Il dibattito della dottrina e della giurisprudenza su un tema così delicato e complesso, attenendo alla sfera personale del singolo individuo, ha consentito di individuare dei punti di contatto, come la necessità di superare la pretesa esclusività della natura assistenziale dell’assegno divorzile e la rigida suddivisione del giudizio per la determinazione dell’assegno nelle due fasi dell’an e del quantum, nonché la necessità di non procedere in astratto, ma di ricercare un criterio concreto che sia capace di orientare il giudice nella propria attività. L’auspicio, ha concluso la moderatrice Gabriella Luccioli, è che le Sezioni Unite ci aiutino, davvero, a capire se la sentenza Lamorgese del 2017 costituisca un passaggio fondamentale e irreversibile nella evoluzione giurisprudenziale o piuttosto sottenda una inaccettabile posizione ideologica, ossia se si tratti di un orientamento aperto alla modernità, rispettoso dei principi costituzionali, della normativa vigente e dei mutamenti intervenuti negli ultimi anni all’interno dei diversi modelli familiari, oppure se esprima una postmodernità regressiva e potenzialmente discriminatoria.

453



Giurisprudenza Cass. civ., Sez. Un., 11 luglio 2018, n. 18287; Mammone Primo Pres. - Acierno Relatore Divorzio – Assegno All’ex Coniuge – Natura e criteri di determinazione Ai sensi dell’art. 5, comma 6, l. n. 898/1970, dopo le modifiche introdotte dalla l. n. 74/1987, il riconoscimento dell’assegno divorzile, a cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi o comunque dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto.

(Omissis)

nonché di un patrimonio mobiliare ed immobi-

Fatto. 1. Il matrimonio concordatario tra le

liare molto cospicuo. Ha, pertanto, precisato che

parti è stato celebrato nel (OMISSIS). La sepa-

l’attribuzione dell’assegno di divorzio si era fon-

razione personale consensuale reca la data del

data sull’orientamento, superato da quello più

(OMISSIS). Le parti, in questa sede, hanno rag-

recente cui era stata prestata adesione, fondato

giunto un accordo fondato sul riequilibrio dei

sul criterio del tenore di vita, peraltro potenzia-

loro patrimonio che non prevedeva la correspon-

le, goduto dal richiedente, nel corso dell’unione

sione di alcun assegno da parte di un coniuge il

coniugale, da valutarsi alla stregua delle capaci-

favore dell’altro.

tà patrimoniali ed economiche delle parti. Nella

2. La cessazione degli effetti civili del matri-

specie pur essendovi un’evidente sperequazione

monio è stata pronunciata con sentenza parziale

delle predette capacità economiche e patrimo-

del Tribunale di Reggio Emilia il (OMISSIS). Con

niali in favore dell’ex marito, l’agiatezza della ex

sentenza definitiva il Tribunale ha posto a carico

moglie aveva condotto ad escludere la ricorrenza

dell’ex marito la somma di Euro 4000,00 mensili

dei requisiti attributivi dell’assegno, dovendosene

a titolo di assegno divorzile in favore della ex

escludere il difetto di autosufficienza economica.

moglie.

4. Avverso tale pronuncia ha proposto ricor-

3. La Corte d’Appello, in riforma della senten-

so per cassazione C.L., con richiesta, accolta con

za impugnata, ha negato il diritto della ex moglie

provvedimento del 30 ottobre 2017, di rimessio-

al riconoscimento di un assegno di divorzio con-

ne del ricorso alle Sezioni Unite. Ha resistito con

dannandola alla ripetizione delle somme ricevute

controricorso C.O.. La parte ricorrente ha depo-

a tale titolo specifico.

sitato memoria.

3.1. A sostegno della decisione assunta, la

Diritto. 5. Nel primo motivo di ricorso viene

Corte ha applicato l’orientamento espresso nel-

dedotta la violazione della L. n. 898 del 1970,

la pronuncia di questa Corte n. 11504 del 2017

art. 5 e successive modificazioni per le seguenti

secondo il quale il fondamento dell’attribuzione

ragioni:

dell’assegno divorzile è la mancanza di autosuf-

5.1 il criterio dell’indipendenza od autosuffi-

ficienza economica dell’avente diritto. Nel merito

cienza economica non trova alcun riscontro nel

ha escluso che la parte appellata fosse in tale

testo della norma che detta i criteri per l’attribu-

condizione, in quanto titolare e percettrice di

zione e determinazione dell’assegno di divorzio.

uno stipendio decisamente superiore alla media

Inoltre, non risulta chiaro quali siano i parametri

455


Giurisprudenza

al quale ancorarlo tra le diverse alternative pro-

vane, che abbia rinunciato, per scelta condivisa

ponibili, ovvero l’indice medio delle retribuzioni

anche dall’altro, ad essere economicamente in-

degli operai ed impiegati; la pensione sociale; un

dipendente o abbia ridotto le proprie aspettati-

reddito medio rapportato alla classe economico

ve professionali per l’impegno familiare si può

sociale di appartenenza dei coniugi e alle possi-

trovare, in virtù dell’applicazione del criterio

bilità dell’obbligato. Nell’ultima ipotesi, peraltro,

dell’indipendenza economica, in una situazione

il tenore di vita verrebbe ripreso in considera-

di irreversibile grave disparità. Infine, l’obbligo

zione perché i mezzi adeguati non potrebbero

di mantenimento del figlio maggiorenne non au-

che essere rapportati alla condizione sociale ed

tosufficiente perdura fino a quando non sia rag-

economica delle parti in causa e ai loro redditi;

giunto un livello di indipendenza adeguato al

5.2 la lettura logico sistematica della L. n. 898

percorso di studi e professionale seguito, mentre

del 1970, art. 5, comma 6 e successive modifica-

all’esito del divorzio per il coniuge che abbia le

zioni conduce al ripristino del criterio del teno-

caratteristiche soggettive sopra delineate, la con-

re di vita, tenuto conto che l’art. 5, al comma 9

dizione deteriore in cui versa non ha alcuna pos-

prevede espressamente la possibilità per il Tribu-

sibilità di essere emendata, essendo fondata su

nale, in caso di contestazioni, di disporre inda-

una sperequazione reddituale e patrimoniale non

gini sull’effettivo tenore di vita. La stessa Corte

più colmabile. Tale è la condizione della ricor-

Costituzionale con la sentenza n. 11 del 2015 ha

rente rispetto al livello economico-patrimoniale

ritenuto del tutto legittimo tale criterio, allora co-

molto più elevato dell’ex marito.

stantemente seguito dalla giurisprudenza;

5.5 Il nuovo orientamento lede il principio

5.3 l’applicazione del criterio dell’autosuffi-

della solidarietà post matrimoniale, sottolineato,

cienza economica è foriero di gravi ingiustizie

invece, dal legislatore sia in ordine al diritto al-

sostanziali, in particolare per i matrimoni di lun-

la pensione di reversibilità che in relazione alla

ga durata ove il coniuge più debole che abbia ri-

quota del trattamento di fine rapporto spettanti al

nunciato alle proprie aspettative professionali per

titolare dell’assegno. Il criterio adottato porta ad

assolvere agli impegni familiari improvvisamente

una lettura sostanzialmente abrogativa dell’art. 5.

deve mutare radicalmente la propria conduzione

6. Nel secondo motivo viene dedotta la viola-

di vita;

zione dell’art. 2033 c.c. con riferimento alla con-

5.4 il richiamo, contenuto nella sentenza n.

danna alla ripetizione di quanto indebitamente

11504 del 2017, all’art. 337 septies c.c. che fissa il

versato. La statuizione della sentenza d’appello

criterio dell’indipendenza economica ai fini del

non è idonea a configurare un indebito oggettivo

riconoscimento del diritto ad un contributo per il

perché dispone per l’avvenire. Inoltre vige, nella

mantenimento dei figli maggiorenni non autosuf-

specie, il principio dell’irripetibilità, impignorabi-

ficienti non risulta condivisibile in quanto le con-

lità e non compensabilità delle prestazioni assi-

dizioni soggettive rispettivamente dell’ex coniu-

stenziali, del tutto disatteso nella specie.

ge e del figlio maggiorenne non autosufficiente

7. L’esame della questione rimessa alle Sezio-

non sono comparabili: il figlio maggiorenne ha il

ni Unite richiede l’illustrazione preliminare del

compito sociale, prima che giuridico, di mettersi

quadro legislativo interno di riferimento, anche

nelle condizioni di essere economicamente indi-

sotto il profilo diacronico, dal momento che le

pendente e l’obbligo di mantenimento è definito

modifiche medio tempore intervenute hanno no-

temporalmente in funzione del raggiungimento

tevolmente influenzato gli orientamenti della giu-

dell’obiettivo; il coniuge, specie se non più gio-

risprudenza anche di legittimità.

456


Salvatore Patti

8. IL QUADRO LEGISLATIVO INTERNO.

La dottrina prevalente e la giurisprudenza di

8.1. Il testo originario della L. 1 dicembre

questa Corte avevano, tuttavia, ritenuto che l’as-

1970, n. 898, art. 5, comma 6, e gli orientamenti

segno di divorzio, alla luce della L. n. 898 del

giurisprudenziali relativi.

1970, art. 5, comma 6 avesse una natura mista

Il testo originario della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6 della aveva il seguente contenuto:

senza alcuna diversificazione e graduazione tra i criteri attributivi e determinativi.

Con la sentenza che pronuncia lo scioglimen-

In particolare le Sezioni Unite, poco dopo

to o la cessazione degli effetti civili del matrimo-

l’entrata in vigore della norma affermarono che

nio, il tribunale dispone, tenuto conto delle con-

l’assegno previsto dalla L. 1 dicembre 1970 n 898,

dizioni economiche dei coniugi e delle ragioni

art. 5 aveva natura composita “in relazione ai cri-

della decisione, l’obbligo per uno dei coniugi di

teri che il giudice per legge deve applicare quan-

somministrare a favore dell’altro periodicamente

do è chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di

un assegno in proporzione alle proprie sostanze

corresponsione: assistenziale in senso lato, con

e ai propri redditi. Nella determinazione di tale

riferimento al criterio che fa leva sulle condizio-

assegno il giudice tiene conto del contributo per-

ni economiche dei coniugi; risarcitoria in senso

sonale ed economico dato da ciascuno dei coniu-

ampio, con riguardo al criterio che concerne le

gi alla conduzione familiare ed alla formazione

ragioni della decisione; compensativa, per quan-

del patrimonio di entrambi. Su accordo delle par-

to attiene al criterio del contributo personale ed

ti la corresponsione può avvenire in una unica

economico dato da ciascun coniuge alla condi-

soluzione. L’obbligo di corresponsione dell’as-

zione della famiglia ed alla formazione del pa-

segno cessa se il coniuge, al quale deve essere

trimonio di entrambi. Il giudice, che pur deve

corrisposto, passa a nuove nozze.

applicare tali criteri nei confronti di entrambi i

Il coniuge, al quale non spetti l’assistenza sa-

coniugi e nella loro necessaria coesistenza, ha

nitaria per nessun altro titolo, conserva il diritto

ampio potere discrezionale, soprattutto in ordine

nei confronti dell’ente mutuimmaalistico da cui

alla quantificazione dell’assegno (S.U. 1194 del

sia assistito l’altro coniuge. Il diritto si estingue se

1974; conf. 1633 del 1975).

egli passa a nuove nozze.

La coesistenza dei criteri, come espresso ef-

La lettura della norma, già nella sua formu-

ficacemente nella massima, ne evidenziava la

lazione originaria, poteva dare luogo ad inter-

equiordinazione e costituiva una prescrizione di

pretazioni diverse. Valorizzando la distinzione di

primario rilievo per la valutazione che doveva es-

significato tra l’espressione “il Tribunale dispone”

sere svolta dal giudice di merito al quale veniva

con la quale si apriva l’elencazione dei criteri di

riconosciuto un ampio potere discrezionale nella

cui si doveva “tenere conto” ai fini del diritto alla

determinazione nell’ammontare dell’assegno ma

corresponsione dell’assegno di divorzio e l’incipit

non gli era consentito di considerare recessivo, in

della seconda parte della norma “nella determi-

astratto ed in linea generale, un criterio rispetto

nazione di tale assegno il giudice tiene conto”

ad un altro, salvo che il rilievo concreto di alcuno

emergeva, sul piano testuale una distinzione tra

di essi non fosse marginale od insussistente. Nel-

criteri attributivi (le condizioni economiche dei

la giurisprudenza immediatamente successiva, la

coniugi - profilo assistenziale; le ragioni della de-

formulazione generale del principio venne pun-

cisione - profilo risarcitorio) e determinativi (con-

tualizzata in relazione a ciascun parametro. In

tributo personale ed economico dato da ciascuno

particolare la Corte escluse che l’assegno potesse

dei coniugi - profilo compensativo).

avere carattere alimentare proprio in relazione al-

457


Giurisprudenza

lo scioglimento definitivo del vincolo di parente-

dituale individuale autonomo adeguato a quello

la, dal momento che tale tipologia di obbligazio-

familiare. Risultava evidente, pertanto, già negli

ni postulava la permanenza del vincolo stesso e

orientamenti degli anni 70 che il profilo stretta-

non la sua cessazione (Cass. 256 del 1975). Venne

mente assistenziale si contaminava con quello

sottolineato come il fulcro dell’accertamento da

compensativo, soprattutto in relazione alla durata

svolgere, in questa prima fase storica di applica-

del matrimonio, così da dar luogo all’inizio degli

zione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6,

anni 80 a principi ancora più decisamente ispirati

dovesse incentrarsi sulla natura e misura dell’in-

all’esigenza di ristabilire “un certo equilibrio nella

debolimento della complessiva sfera economico-

posizione dei coniugi dopo lo scioglimento del

patrimoniale del coniuge richiedente l’assegno in

matrimonio” (Cass. 496 del 1980) da realizzarsi

relazione a tutti i fattori che possano concorrere a

assumendo il parametro relativo alle condizioni

determinare questa sperequazione, quali l’età, la

economiche dei coniugi non come criterio esclu-

salute, l’esclusivo svolgimento di attività domesti-

sivo o prevalente ma come elemento di giudizio

che all’interno del nucleo familiare, il contributo

da porsi in relazione con gli altri concorrenti, in

fornito al consolidamento del patrimonio familia-

considerazione delle complessive condizioni di

re e dell’altro coniuge etc. (Cass. 835 del 1975).

vita garantite nel corso dell’unione coniugale e

Gli orientamenti furono certamente influenzati

delle aspettative che tali condizioni potevano in-

dal contesto socio economico nel quale la L. n.

durre (Cass. 496 del 1980).

898 del 1970 si è innestata, in quanto caratteriz-

La funzione dell’assegno di divorzio si carat-

zato da un modello coniugale formato su ruoli

terizza, sempre più, negli anni 80, sotto il vigore

endofamiliari distinti ed eziologicamente condi-

del testo originario della L. n. 898 del 1970, art.

zionanti la posizione economico patrimoniale di

5, comma 6, come strumento perequativo della

ciascuno dei coniugi dopo lo scioglimento dell’u-

situazione di squilibrio economico patrimoniale

nione matrimoniale. Il rilievo paritario attribuito

che si sia determinata a vantaggio di un ex coniu-

a tutti i parametri venne condizionato dalla vis

ge ed in pregiudizio dell’altro. A questo fine i tre

espansiva del principio di parità ed uguaglianza

criteri contenuti nella norma operano come “pre-

tra i coniugi così come innovativamente consa-

supposti di attribuzione” (Cass. 5714 del 1988)

crato e reso effettivo dalla riforma del diritto di

dell’assegno stesso. All’interno di questo orienta-

famiglia.

mento, la funzione dell’assegno si risolve in uno

Il criterio assistenziale, in particolare, assume,

strumento volto ad intervenire su una situazione

già in questa prima fase di applicazione della L.

di squilibrio “ingiusto” non in senso astratto, ov-

n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, una funzione

vero fondato sulla mera comparazione quantitati-

perequativa della condizione di “squilibrio ingiu-

va delle sfere economico-patrimoniali o delle ca-

sto” (Cass. 660 del 1977) che può determinarsi

pacità reddituali degli ex coniugi ma in concreto,

in relazione alla situazione economico-patrimo-

ponendo in luce la correlazione tra la situazione

niale degli ex coniugi, a causa dello scioglimen-

economico patrimoniale fotografata al momento

to del vincolo, in particolare quando la disparità

dello scioglimento del vincolo ed i ruoli svolti da-

di condizioni si giustifica in funzione di scelte

gli ex coniugi all’interno della relazione coniuga-

endofamiliari comuni che hanno prodotto una

le. Al riguardo sempre più frequentemente entra-

netta diversificazione di ruoli tra i due coniugi

va nella valutazione complessiva e paritaria dei

così da escludere o da ridurre considerevolmente

criteri ex art. 5, comma 6 il rilievo dell’apporto

l’impegno verso la costruzione di un livello red-

personale al soddisfacimento delle esigenze do-

458


Salvatore Patti

mestiche di uno solo dei coniugi (Cass. 3390 del

I principi giurisprudenziali illustrati, tuttavia,

1985) ed, in particolare, l’effetto negativo sull’ac-

furono sottoposti a revisione critica dalla dottri-

quisizione di esperienze lavorative e professio-

na, in particolare per l’eccessiva discrezionalità

nali che può determinare un impegno versato

rimessa ai giudici di merito che l’equiordinazione

essenzialmente nell’ambito domestico e familiare

dei criteri aveva determinato. Si lamentava l’as-

(Cass. 3520 del 1983), tanto da far affermare che,

senza di un fondamento unitario e coerente nella

anche in relazione all’età, il giudice del merito

composizione mista dei parametri di attribuzione

avrebbe dovuto accertare se fosse in concreto

e determinazione dell’assegno di divorzio. Si sot-

possibile per l’ex coniuge richiedente l’assegno

tolineava come l’an ed il quantum dell’assegno

essere competitivo sul mercato del lavoro senza

fossero stati tendenzialmente stabiliti del tutto di-

dover svolgere attività lavorative troppo usuran-

screzionalmente e l’applicazione dei criteri, pro-

ti od inadeguate rispetto al profilo complessivo

prio in quanto composita, fosse stata utilizzata

della persona, (Cass. 3520 del 1983).

per giustificare ex post la decisione, invece che

Da questi orientamenti emerge l’incidenza

dettarne le coordinate. Inoltre, vennero poste in

del principio costituzionale della parità sostan-

luce le profonde mutazioni nella società civile,

ziale tra i coniugi, così come declinato nell’art.

l’affermazione del principio di autoresponsabilità

29 Cost. nella valutazione in concreto dei criteri,

ed autodeterminazione, da ritenere determinanti

ed in particolare di quello assistenziale e com-

anche nelle scelte relazionali, oltre che l’evolu-

pensativo, sempre meno scindibili nel giudizio

zione del ruolo femminile all’interno della fa-

complessivo relativo al diritto all’assegno. L’in-

miglia e nella società. Si gettavano le basi, pur

terconnessione tra i due parametri viene preci-

sottolineandosi la funzione complessivamente

sata dall’affermazione contenuta nella pronuncia

perequativa dell’assegno di divorzio, per la rifor-

n. 6719 del 1987, secondo la quale la funzione

ma della norma.

dell’assegno di divorzio non è remunerativa ma

8.2. L’intervento della L. 6 marzo 1987 e la

compensativa, essendo preordinata all’obiettivo

modifica della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6;

del “giusto mantenimento” in relazione, non solo

l’interpretazione del nuovo testo nella giurispru-

all’apporto del coniuge richiedente alla condu-

denza di legittimità.

zione della vita familiare, ma anche alla forma-

In questo rinnovato contesto, è stato modifi-

zione del patrimonio comune ed in particolare al

cato l’art. 5, comma 6 dalla L. n. 74 del 1987, art.

rafforzamento della sfera economico patrimonia-

10 nel modo che segue:

le dell’altro coniuge.

“Con la sentenza che pronuncia lo sciogli-

Deve essere sottolineato come l’applicazione

mento o la cessazione degli effetti civili del ma-

equilibrata dei tre criteri, assistenziale, compen-

trimonio, il tribunale, tenuto conto delle condi-

sativo e risarcitorio, sia stata ritenuta adeguata al-

zioni dei coniugi, delle ragioni della decisione,

la varietà delle situazioni concrete ed idonea a far

del contributo personale ed economico dato da

emergere l’effettiva situazione di squilibrio (od

ciascuno alla conduzione familiare ed alla for-

equilibrio) conseguente alle scelte ed all’anda-

mazione del patrimonio di ciascuno o di quello

mento effettivo della vita familiare, tenuto conto

comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti

delle condizioni economico-patrimoniali degli ex

i suddetti elementi anche in rapporto alla dura-

coniugi e delle cause, con particolare riferimento

ta del matrimonio, dispone l’obbligo per un co-

a quelle maturate in corso di matrimonio, che

niuge di somministrare periodicamente a favore

hanno concorso a determinarle.

dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha

459


Giurisprudenza

mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive. La sentenza deve stabilire anche un criterio di adeguamento automatico dell’assegno, almeno con riferimento agli indici di svalutazione monetaria. Il tribunale può, in caso di palese iniquità, escludere la previsione con motivata decisione. Su accordo delle parti la corresponsione può avvenire in unica soluzione ove questa sia ritenuta equa dal tribunale. In tal caso non può essere proposta alcuna successiva domanda di contenuto economico. I coniugi devono presentare all’udienza di comparizione avanti al presidente del tribunale la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune. In caso di contestazioni il tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria)). L’obbligo di corresponsione dell’assegno cessa se il coniuge, al quale deve essere corrisposto, passa a nuove nozze. Il coniuge, al quale non spetti l’assistenza sanitaria per nessun altro titolo, conserva il diritto nei confronti dell’ente mutualistico da cui sia assistito l’altro coniuge. Il diritto si estingue se egli passa a nuove nozze. Il confronto testuale con la formulazione originaria della norma pone immediatamente in luce alcune differenze: a) il rilievo dell’indagine comparativa dei redditi e dei patrimoni degli ex coniugi, fondato sull’obbligo di deposito dei documenti fiscali delle parti e sull’attribuzione di poteri istruttori officiosi al giudice in precedenza non esistenti in funzione dell’effettivo accertamento delle condizioni economico patrimoniali delle parti, nella fase conclusiva della relazione matrimoniale; b) l’accorpamento di tutti gli indicatori che compongono rispettivamente il criterio assistenziale (“le condizioni dei coniugi” ed “il reddito di entrambi”), quello compensativo (“il contri-

460

buto personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune”) e quello risarcitorio (“le ragioni della decisione”) nella prima parte della norma, come fattori di cui si deve “tenere conto” nel disporre sull’assegno di divorzio; c) la condizione (che costituisce l’innovazione più significativa, perché assente nella precedente formulazione della norma) dell’insussistenza di mezzi adeguati e dell’impossibilità di procurarli per ragioni obiettive, in capo all’ex coniuge che richieda l’assegno. La rigida bipartizione tra criteri attributivi e determinativi, sorta per delineare più specificamente e rigorosamente i parametri sulla base dei quali disporre l’an ed il quantum dell’assegno di divorzio, e la ricerca del parametro dell’adeguatezza/inadeguatezza dei mezzi al di fuori degli indicatori contenuti nell’art. 5, comma 6, novellato, raggruppati nella prima parte della stesso, non costituisce una conseguenza necessaria della nuova formulazione della norma. In primo luogo, come nella versione originaria, il legislatore impone di “tenere conto” dei fattori che compongono i tre criteri, fornendone, rispetto alla formulazione antevigente un’elencazione completa. In secondo luogo nella norma s’introducono, al fine di sottolineare il rilievo indefettibile dell’indagine, poteri istruttori officiosi in capo al giudice del merito in ordine all’accertamento delle condizioni economico-patrimoniali di entrambe le parti, tanto da imporre l’obbligo di produrre la documentazione fiscale fin dagli atti introduttivi del giudizio. Proprio in virtù delle due nuove caratteristiche di questa fase istruttoria (previsione ex lege di produzione della documentazione fiscale e poteri officiosi d’indagine), deve ritenersi che essa costituisca, per tutte le controversie nelle quali si discuta dell’assegno di divorzio, un accertamento ineludibile rivolto ad entrambe le parti, con la conseguenza che la conoscenza


Salvatore Patti

comparativa di tali condizioni costituisce, secondo quanto risulta dall’esame testuale della norma, pregiudiziale a qualsiasi successiva indagine sui presupposti dell’assegno. In terzo luogo, il dato testuale dal quale è scaturita l’opzione interpretativa della netta bipartizione tra an e quantum e della individuazione del parametro dell’adeguatezza dei mezzi al di fuori degli indicatori contenuti nella norma, non presenta l’univocità che gli orientamenti, ancorché contrapposti, in ordine al metro di valutazione dell’adeguatezza dei mezzi, hanno voluto ravvisarvi. La norma stabilisce, nell’ultima parte del primo periodo, che l’obbligo per un coniuge di “somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno (di divorzio n.d.r.)” sorge quando il richiedente non ha mezzi adeguati e non può procurarseli per ragioni oggettive, ma il periodo si apre con la prescrizione espressa e completa dei criteri di cui il giudice deve tenere conto, valutandone il peso in relazione alla durata del matrimonio quando dispone sull’assegno di divorzio. Al fine di comprendere le ragioni dell’affermazione dell’opzione ermeneutica che ha dato luogo al contrasto di orientamenti su cui si fonda l’intervento delle S.U., deve rilevarsi che il dibattito che ha accompagnato la nascita della novella legislativa, si era incentrato su una netta contrapposizione di posizioni. Da un lato si sosteneva la necessità di ancorare il diritto all’assegno di divorzio esclusivamente all’accertamento di una condizione di non autosufficienza economica, variamente declinata come autonomia od indipendenza economica, od anche capacità idonea a consentire un livello di vita dignitoso, dall’altro si poneva in luce come la comparazione delle condizioni economicopatrimoniali delle parti non potesse dirsi esclusa dall’accertamento rimesso al giudice di merito, essendo una delle novità introdotte dalla novella proprio l’attribuzione di poteri istruttori officiosi all’organo giudicante, oltre al rilievo, del tutto attuale, della sostanziale marginalizzazione degli in-

dici contenuti nella prima parte della norma, ove l’accertamento fosse esclusivamente incentrato sulla condizione economico patrimoniale del creditore. Le S.U. con la sentenza n.11490 del 1990 hanno ritenuto centrali questi ultimi profili, dando vita ad un orientamento, rimasto fermo per un trentennio, fino al mutamento determinato dalla sentenza n. 11504 del 2017. Nella sentenza del 1990 hanno affermato che l’assegno ha carattere esclusivamente assistenziale dal momento che il presupposto per la sua concessione deve essere rinvenuto nell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante, da intendersi come insufficienza degli stessi, comprensivi di redditi, cespiti patrimoniali ed altre utilità di cui possa disporre, a conservargli un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio. È stato però chiarito che non è necessario l’accertamento di uno stato di bisogno, assumendo rilievo, invece, l’apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle precedenti condizioni economiche, le quali devono essere tendenzialmente ripristinate, per ristabilire un certo equilibrio. I criteri indicati nella prima parte della norma hanno funzione esclusivamente determinativa dell’assegno, da attribuirsi, tuttavia, sulla base dell’esclusivo parametro dell’inadeguatezza dei mezzi. Ove sussista tale presupposto, la liquidazione in concreto deve essere effettuata in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri enunciati dalla legge (condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, reddito di entrambi, durata del matrimonio), con riguardo al momento della pronuncia di divorzio. A questo consolidato orientamento si è di recente contrapposto quello affermato dalla sentenza n. 11504 del 2017 che, pur condividendo la premessa sistematica relativa alla rigida distinzione tra criterio attributivo e determinativo, ha individuato come parametro dell’inadeguatezza dei mezzi del

461


Giurisprudenza

coniuge istante, la non autosufficienza economi-

za dei mezzi al conseguimento di un’esistenza

ca dello stesso ed ha stabilito che solo all’esito

libera e dignitosa, intesa come autonomia ed in-

del positivo accertamento di tale presupposto

dipendenza economica da valutarsi prescinden-

possano essere esaminati in funzione ampliativa

do dalle condizioni di vita matrimoniale e senza

del quantum i criteri determinativi dell’assegno

un accertamento comparativo della situazione

indicati nella prima parte della norma.

economico-patrimoniale delle parti al momento

Entrambe le sentenze si sono richiamate ai

dello scioglimento del vincolo, sia l’orientamento

lavori preparatori della nuova legge. In partico-

opposto (Cass. 1322 del 1989 e 2799 del 1990)

lare, la recente sentenza n. 11504 del 2017 ha

fatto proprio dalla sentenza delle S.U. 11540 del

valorizzato un passaggio contenuto nella rela-

1990, secondo il quale l’inadeguatezza dei mezzi

zione accompagnatoria della novella, dal quale

deve riconoscersi quando il richiedente non ab-

poteva desumersi che l’intentio legis fosse quella

bia mezzi adeguati per conseguire un tenore di

di limitare l’accertamento sull’an debeatur alle

vita analogo a quello goduto in costanza di rap-

condizioni economico-patrimoniali del creditore-

porto coniugale, partono da un postulato erme-

richiedente l’assegno, ma si deve obiettare a que-

neutico comune dell’art. 5, comma 6 novellato.

sta argomentazione, per un verso, l’intrinseca am-

Entrambi gli orientamenti, forti anche di soste-

biguità dell’intentio legis e dall’altro che il testo

gno dottrinale, ritengono che la norma imponga

della norma, come ricordato nella sentenza delle

una distinzione tra il criterio attributivo dell’asse-

S.U. n. 11490 del 1990, ha subito un significati-

gno, di natura assistenziale, e gli altri, meramen-

vo mutamento rispetto a quello predisposto dalla

te determinativi. Il legislatore, avendo condizio-

Commissione Giustizia del Senato, nel quale l’a-

nato l’obbligo di somministrare periodicamente

deguatezza dei mezzi era correlata al consegui-

(od in un’unica soluzione) l’assegno di divorzio

mento di un dignitoso mantenimento, disancora-

all’accertamento sull’inadeguatezza dei mezzi e

to da quello goduto in costanza di matrimonio.

sull’impossibilità oggettiva di procurarli, avrebbe

8.2.1. L’interpretazione dell’art. 5, comma 6, novellato, nella giurisprudenza di legittimità.

inteso separare nettamente il piano assistenziale da quello compensativo e risarcitorio.

La lettura del nuovo testo della L. n. 898 del

A questa premessa unitaria si aggiunge, l’ulte-

1970, art. 5, comma 6, non offre indicazioni ap-

riore profilo comune costituito dal rinvenimento

plicative univoche, in ordine all’esatta determina-

del parametro dell’adeguatezza/inadeguatezza

zione del sintagma “mezzi adeguati” non essendo

al di fuori degli indicatori contenuti nella nor-

espressamente precisato quale sia il parametro

ma. Entrambi i parametri, il tenore di vita ma-

di riferimento cui ancorare il giudizio di adegua-

trimoniale (specie se potenziale) e l’autonomia

tezza.

od indipendenza economica (anche nella nuo-

Questa indeterminatezza ha dato luogo a due

va versione dell’autosufficienza economica, in-

orientamenti contrapposti, ancorché entrambi

trodotta dalla sentenza n. 11504 del 2017) sono

fondati sull’esigenza di limitare la discrezionalità

esposti al rischio dell’astrattezza e del difetto

dei giudici di merito, ai quali era lasciata la com-

di collegamento con l’effettività della relazione

parazione, la selezione e, in concreto la gradua-

matrimoniale. Tale collegamento diventa mera-

zione della rilevanza dei tre criteri (assistenziale,

mente eventuale ove si assuma come parametro

compensativo e risarcitorio) contenuti nella nor-

l’autosufficienza economica ma può perdere di

ma. In particolare, sia l’orientamento della sen-

rilievo anche con l’ancoraggio al tenore di vita

tenza n. 1652 del 1990, che legava l’adeguatez-

ove questo criterio venga assunto esclusivamen-

462


Salvatore Patti

te sulla base della comparazione delle condizio-

ta, (Cass. 6455 del 2015; 2466 del 2016) fattore

ni economico-patrimoniali delle parti e, dunque

definitivamente impeditivo del riconoscimento

valutando la potenzialità e non l’effettività delle

del diritto dell’assegno.

condizioni di vita matrimoniale.

Tuttavia, nonostante i criteri determinativi

Le due parti della norma sono state interpre-

possano, in concreto, incidere sull’entità dell’as-

tate in modo dicotomico pur essendo legate da

segno, come fattori limitativi, deve condividersi

un nesso di dipendenza logica testuale che ne

il duplice rilievo critico che viene mosso al para-

impone un esame esegetico unitario. Il giudice

metro del tenore di vita goduto o fruibile nel cor-

dispone sull’assegno di divorzio in relazione all’i-

so della relazione coniugale. Il primo rilievo ri-

nadeguatezza dei mezzi ma questa valutazione

guarda l’assoluta preminenza della comparazione

avviene tenuto conto dei fattori indicati nella

delle condizioni economico-patrimoniali dei co-

prima parte della norma. La scissione tra le due

niugi nel giudizio sul diritto all’assegno. Questa

parti della norma e quella conseguente tra i cri-

valutazione, ove costituisca il fattore determinan-

teri attributivi e determinativi, può condurre ad

te l’an debeatur dell’assegno, non può sottrarsi a

escludere nella prevalenza dei casi, l’esame degli

forti rischi di locupletazione ingiustificata dell’ex

indicatori la cui valutazione è imposta dall’art. 5,

coniuge richiedente in tutte quelle situazioni in

comma 6, oltre che dal contesto costituzionale e

cui egli possa godere comunque non solo di una

convenzionale di riferimento nel quale deve es-

posizione economica autonoma ma anche di una

sere inquadrato il diritto all’assegno di divorzio

condizione di particolare agiatezza oppure quan-

quando ne ricorrano le condizioni.

do non abbia significativamente contribuito alla

9. L’ESAME COMPARATIVO DEI DUE ORIENTAMENTI.

formazione della posizione economico-patrimoniale dell’altro ex coniuge. I criteri determinati-

Esaminati gli aspetti che accomunano i due

vi, ed in particolare quello relativo all’apporto

orientamenti occorre rilevarne le ragioni di forte

fornito dall’ex coniuge nella conduzione e nello

contrapposizione che li contraddistinguono.

svolgimento della complessa attività endofami-

Preliminarmente è necessario evidenziare che

liare, cui il Collegio ritiene di attribuire primaria

l’orientamento fissato nella sentenza n. 11490 del

e peculiare importanza, risultano marginalizzati,

1990, è stato costantemente seguito dalla giuri-

con conseguente ingiustificata sottovalutazione

sprudenza di legittimità e di merito, ancorché

dell’autoresponsabilità. Tale aspetto costituisce,

con adattamenti determinati dalle esigenze con-

invece, uno dei cardini delle scelte individuali e

crete che di volta in volta si sono prospettate. In

relazionali, sia nelle situazioni analoghe a quella

particolare, l’astrattezza del criterio del tenore di

sopradescritta, sia nelle situazioni opposte, carat-

vita, anche solo potenzialmente, tenuto durante

terizzate da condizioni economico-patrimoniali

la relazione matrimoniale è stata temperata tanto

che presentino uno squilibrio nella valutazione

in funzione della durata del rapporto, (Cass. 7295

comparativa, nelle quali la situazione di dispari-

del 2013; 6164 del 2015), per cui la estrema limi-

tà economico-patrimoniale, riscontrabile alla fine

tatezza temporale della relazione coniugale può

del rapporto, sia il frutto esclusivo o prevalente

determinare l’azzeramento del diritto all’assegno,

delle scelte adottate dai coniugi in ordine ai ruoli

quanto in funzione della creazione di un nuovo

ed al contributo di ciascuno alla vita familiare.

nucleo relazionale, caratterizzato dalla conviven-

In questa peculiare situazione, peraltro molto

za e dalla condivisione della vita quotidiana (c.d.

frequente, il criterio compensativo non può es-

famiglia di fatto), essendo tale circostanza ritenu-

sere esclusivamente un fattore di moderazione,

463


Giurisprudenza

dovendosene tenere conto al pari degli altri ele-

di esercitare questo diritto. Per questa ragione, i

menti alla luce dell’inquadramento costituzionale

diritti inviolabili della persona sono vivificati nel-

delle ragioni giustificative del diritto all’assegno

la nostra Costituzione dal principio di effettività

di divorzio, così come fattori quali la salute o

che permea l’art. 3 Cost.. Alla luce di tale specifi-

l’età in relazione alle capacità lavorativo-profes-

co richiamo, devono essere posti in rilievo alcuni

sionali e di produzione di reddito. Gli indicatori

elementi che anche il legislatore, nella compo-

contenuti nella L. n. 898 del 1978, art. 5, comma

sita indicazione di fattori incidenti sull’assegno

6, prima parte, hanno un contenuto perequativo-

di divorzio ha inteso valorizzare. In primo luogo

compensativo che la preminenza assoluta della

deve sottolinearsi che con la cessazione dell’u-

comparazione quantitativa tra le condizioni eco-

nione matrimoniale si realizza, nella prevalenza

nomico-patrimoniali degli ex coniugi rischia di

delle situazioni concrete, un depauperamento di

offuscare. Tuttavia, il rischio di trascurare del tut-

entrambi gli ex coniugi e si crea uno squilibrio

to i predetti indicatori, è ancora più incisivo alla

economico-patrimoniale conseguente a tale de-

luce dell’opposto orientamento, già preesistente

terminazione.

e consacrato nella sentenza n. 1564 del 1990 ma,

I ruoli all’interno della relazione matrimoniale

di recente, riaffermato, ed arricchito di rilievi cri-

costituiscono un fattore, molto di frequente, de-

tici e di nuovi elementi di valutazione giuridici e

cisivo nella definizione dei singoli profili econo-

metagiuridici, con la sentenza n. 11504 del 2017.

mico-patrimoniali post matrimoniali e sono frutto

La ragione di fondo, espressa nella motiva-

di scelte comuni fondate sull’autodeterminazio-

zione di quest’ultima pronuncia che ha dato luo-

ne e sull’autoresponsabilità di entrambi i coniu-

go alla modifica del consolidato orientamento

gi all’inizio e nella continuazione della relazione

giurisprudenziale in ordine al criterio attributivo

matrimoniale. Inoltre, non può trascurarsi, per

dell’assegno di divorzio, risiede nell’indicata inat-

la ricchezza ed univocità dei riscontri statistici al

tualità del precedente orientamento e nella sua

riguardo, la perdurante situazione di oggettivo

inadeguatezza rispetto ad una mutata valorizza-

squilibrio di genere nell’accesso al lavoro, tanto

zione delle scelte personali e delle loro conse-

più se aggravata dall’età.

guenze sotto il profilo dell’autoresponsabilità, da

La valutazione svolta nella sentenza n. 11504

valutarsi nel contesto costituzionale all’interno

del 2017 è rilevante ma incompleta, in quanto

del quale tali scelte e la loro protezione giuridica

non radicata sui fattori oggettivi e interrelazionali

si collocano.

che determinano la condizione complessiva degli

L’opzione di fondo della pronuncia coglie un

ex coniugi dopo lo scioglimento del vincolo.

elemento di rilievo ma ne trascura altri. L’autode-

Lo stesso limite dell’incompletezza si deve ri-

terminazione individuale e la libertà di scegliere

levare in ordine alla ratio posta a sostegno del

il percorso da imprimere alla propria esistenza

criterio attributivo dell’assegno di divorzio, indi-

costituisce certamente un valore assiologico por-

viduato nella carenza di autosufficienza economi-

tante nel sistema dei diritti della persona, ma è

ca della parte richiedente. Solo questo parametro

necessario che la declinazione di questo profi-

viene ritenuto coerente con i principi di autode-

lo dinamico dell’autodeterminazione sia effettiva

terminazione ed autoresponsabilità che perme-

ovvero non sia sconnessa dall’altro profilo fon-

ano la solidarietà post coniugale, su cui, in via

dante, quello della dignità personale, atteso che

esclusiva, si rinviene il fondamento dell’assegno.

la libertà di scegliere e di determinarsi è eziolo-

Il sostegno costituzionale della ratio solidaristica

gicamente condizionata dalla possibilità concreta

viene desunto dall’art. 2 Cost. e dall’art. 23 Cost..

464


Salvatore Patti

La garanzia costituzionale della riserva di legge in ordine al prelievo fiscale ed ad ogni forma di obbligo tributario anche inteso in senso lato, risulta del tutto estraneo al contesto giuridico-costituzionale all’interno del quale deve collocarsi la cd. solidarietà post coniugale, riguardando esclusivamente la relazione tra il cittadino-contribuente e l’autorità statuale o pubblica in senso ampio. Essa tuttavia costituisce la premessa coerente del contenuto riduttivo che nella pronuncia si attribuisce al principio di autodeterminazione ed autoresponsabilità, ancorché formalmente ancorati all’art. 2 Cost.. Della norma costituzionale viene, tuttavia, azzerata la parte, di primaria importanza, che colloca il principio di autodeterminazione all’interno delle formazioni sociali nelle quali si sviluppa la personalità dell’individuo. La giurisprudenza costituzionale ha, del resto, ancorato proprio all’art. 2 Cost. ed alla dignità costituzionale che assume la modalità relazionale nello sviluppo della personalità umana, il fondamento costituzionale delle unioni e delle convivenze di fatto (Corte Cost. n. 404 del 1988; 559 del 1989) estendendo ad esse, strumenti di tutela propri dell’unione matrimoniale (diritto a succedere nella titolarità del rapporto di locazione etc.) mediante un processo di adeguamento incrementato dalla giurisprudenza di merito e di legittimità (Cass. 12278 del 2011; 9178 del 2018). Lo stesso fondamento costituzionale è stato riconosciuto alle unioni omoaffettive (Corte Cost. n. 138 del 2010; Cass. 2184 del 2012) prima dell’entrata in vigore della L. n. 76 del 2016. La liberta di scelta e l’autoresponsabilità, che della libertà è una delle principali manifestazioni, costituiscono il fondamento costituzionale dell’unione matrimoniale, una delle formazioni sociali che la Costituzione riconosce come modello relazionale-familiare preesistente e tipizzato. Il canone dell’uguaglianza, posto a base dell’art. 29 Cost., può essere attuato e reso effettivo soltanto all’interno di una relazione governata da scelte che

sono frutto di determinazioni assunte liberamente dai coniugi in particolare in ordine ai ruoli ed ai compiti che ciascuno di essi assume nella vita familiare. L’uguaglianza si coniuga indissolubilmente con l’autodeterminazione e determina la peculiarità della relazione coniugale così come declinata nell’art. 143 c.c., norma che ne costituisce la perfetta declinazione. L’autodeterminazione non si esaurisce con la facoltà anche unilaterale di sciogliersi dal vincolo ma preesiste a tale determinazione e connota tutta la relazione ed, in particolare la definizione e la condivisione dei ruoli endofamiliari. Ugualmente l’autoresponsabilità costituisce il cardine dell’intera relazione matrimoniale, su di essa fondandosi l’obbligo reciproco di assistenza e di collaborazione nella conduzione della vita familiare così come tratteggiati nell’art. 143 c.c.. Nella sentenza n. 11504 del 2017, invece, lo scioglimento del vincolo coniugale, comporta una netta soluzione di continuità tra la fase di vita successiva e quella anteriore. L’autodeterminazione e l’autoresponsabilità costituiscono la giustificazione di questa radicale cesura e vengono assunti come principi informatori dei residui, limitati effetti, della cessata relazione coniugale. La previsione legislativa relativa all’assegno di divorzio, alle condizioni previste dalla legge, viene ritenuta prescrizione di carattere eccezionale e derogatorio, in relazione al riacquisto dello stato libero realizzato con il divorzio. All’assegno viene, di conseguenza, riconosciuta una natura giuridica strettamente ed esclusivamente assistenziale, rigidamente ancorata ad una condizione di mancanza di autonomia economica, da valutare in considerazione della condizione soggettiva del richiedente, del tutto svincolata dalla relazione matrimoniale ed unicamente orientata, per il presente e per il futuro, dalle scelte e responsabilità individuali. Si deve osservare, tuttavia, che questa impostazione, pur condivisibile nella parte in cui coglie la potenzialità deresponsabilizzante

465


Giurisprudenza

del parametro del tenore di vita, omette di con-

nione matrimoniale anche in relazione agli effetti

siderare che i principi di autodeterminazione ed

che possono conseguire dopo lo scioglimento del

autoresponsabilità hanno orientato non solo la

vincolo, senza incidere sulla efficacia solutoria di

scelta degli ex coniugi di unirsi in matrimonio

tale determinazione, volta al riacquisto dello stato

ma, ciò che è più rilevante ai fini degli effetti con-

libero ma anche senza azzerare l’esperienza della

seguenti al suo scioglimento così come definiti

relazione coniugale alla quale si dà forte rilevanza

nella L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, hanno

nella norma che prefigura gli effetti di natura eco-

determinato il modello di relazione coniugale da

nomica che conseguono al divorzio.

realizzare, la definizione dei ruoli, il contributo di

L’immanenza del principio di autoresponsabi-

ciascun coniuge all’attuazione della rete di diritti

lità risulta cristallizzata nei criteri fissati nell’inci-

e doveri fissati dall’art. 143 c.c. La conduzione

pit dell’art. 5, comma 6, individuati dal legislatore

della vita familiare è il frutto di decisioni libere e

nelle condizioni dei coniugi, nelle ragioni della

condivise alle quali si collegano doveri ed obbli-

decisione, nel contributo personale ed economi-

ghi che imprimono alle condizioni personali ed

co dato da ciascuno alla conduzione familiare ed

economiche dei coniugi un corso, soprattutto in

alla formazione del patrimonio di ciascuno o di

relazione alla durata del vincolo, anche irreversi-

quello comune, nel reddito di entrambi, nella du-

bile. Alla reversibilità della scelta relativa al lega-

rata del matrimonio e, di conseguenza non può

me matrimoniale non consegue necessariamente

essere mai tenuta fuori dall’accertamento del di-

una correlata duttilità e flessibilità in ordine alle

ritto alla corresponsione di un assegno divorzile.

condizioni soggettive e alla sfera economico pa-

Nell’orientamento affermato dalle S.U. n.

trimoniale dell’ex coniuge al momento della ces-

11490 del 1990, la comparazione delle condizio-

sazione dell’unione matrimoniale.

ni economico-patrimoniali degli ex coniugi con-

Il legislatore è stato largamente consapevole

duceva sia pure in modo riflesso a tenere conto

del forte condizionamento che il modello di re-

dei criteri determinativi, ma in funzione esclu-

lazione matrimoniale prescelto dai coniugi può

sivamente limitativa dell’astratta quantificazione

determinare sulla loro condizione economico-pa-

dell’assegno fondata sul parametro del tenore di

trimoniale successiva allo scioglimento. Per questa

vita. Nell’orientamento più recente, tali ultimi cri-

ragione ha imposto al giudice di “tenere conto” di

teri, ed in particolare quello, direttamente con-

una serie d’indicatori che sottolineano il significa-

seguente dal principio costituzionale della pari

to del matrimonio come atto di libertà e di auto

dignità dei coniugi, relativo al contributo dato

responsabilità, nonché come luogo degli affetti e

da ciascuno di essi nella conduzione della vita

di effettiva comunione di vita. Queste declinazioni

familiare e nella formazione del patrimonio co-

del modello costituzionale dell’unione coniugale,

mune e di ciascuno, diventano meramente even-

incentrata sulla pari dignità dei ruoli che i coniu-

tuali prospettandosi sostanzialmente una lettura

gi hanno svolto nella relazione matrimoniale, non

dell’art. 5, comma 6 abrogatrice della prima par-

possono entrare in via esclusivamente eventuale

te, in quanto l’opzione ermeneutica prescelta è

nella valutazione che il giudice deve effettuare

fondata sul rilievo nettamente preminente se non

quando dispone sull’assegno di divorzio. La re-

esclusivo del criterio attributivo dell’assegno.

lazione coniugale è orientata fin dall’inizio dai principi di libertà ed autoresponsabilità ed il legi-

10. LA SOLUZIONE INTERPRETATIVA ADOTTATA.

slatore ha inteso valorizzare la funzione conforma-

Le rilevanti modificazioni sociali che hanno

tiva di questi principi nel regime giuridico dell’u-

inciso sulla rappresentazione simbolica del le-

466


Salvatore Patti

game matrimoniale e sulla disciplina giuridica dell’istituto, sia per l’attribuzione a ciascuno dei coniugi del diritto unilaterale di sciogliersi dal vincolo sia per la natura di scelta libera e responsabile che caratterizza la decisione di unirsi in matrimonio, hanno determinato l’esigenza di valutare criticamente il criterio attributivo dell’assegno cristallizzato nella sentenza delle S.U. n. 11490 del 1990, soprattutto in relazione al rischio di creare rendite di posizione disancorate dal contributo personale dell’ex coniuge richiedente alla formazione del patrimonio comune o dell’altro ex coniuge, ed a quello connesso della deresponsabilizzazione conseguente all’adozione di un criterio fondato solo sulla comparazione delle condizioni economico-patrimoniale delle parti. Rimangono fermi, tuttavia, i rilevi formulati alla soluzione radicalmente opposta proposta da Cass. 11504 del 2017. Al fine d’indicare un percorso interpretativo che tenga conto sia dell’esigenza riequilibratrice posta a base dell’orientamento proposto dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 11490 del 1990 sia della necessità di attualizzare il diritto al riconoscimento dell’assegno di divorzio anche in relazione agli standards europei, questa Corte ritiene di dover abbandonare la rigida distinzione tra criteri attributivi e determinativi dell’assegno di divorzio, alla luce di una interpretazione dell’art. 5, comma 6, più coerente con il quadro costituzionale di riferimento costituito, come già evidenziato, dagli artt. 2,3 e 29 Cost.. Giova premettere che l’inclusione dell’art.29 Cost. nell’orizzonte in cui deve collocarsi l’interpretazione dell’art. 5, comma 6, deriva anche dalla sentenza della Corte Cost. n. 11 del 2015, sollecitata proprio in sede di denunzia d’illegittimità costituzionale del criterio attributivo dell’assegno di divorzio costituito dal tenore di vita goduto durante il matrimonio. Questo richiamo diretto al modello costituzionale del matrimonio, fondato sui principi di

uguaglianza, pari dignità dei coniugi, libertà di scelta, reversibilità della decisione ed autoresponsabilità sono stati tenuti in primaria considerazione dal legislatore in sede di definizione degli effetti economico patrimoniali conseguenti allo scioglimento del vincolo. L’art. 5, comma 6 attribuisce all’assegno di divorzio una funzione assistenziale, riconoscendo all’ex coniuge il diritto all’assegno di divorzio quando non abbia mezzi “adeguati” e non possa procurarseli per ragioni obiettive. Il parametro dell’adeguatezza ha, tuttavia, carattere intrinsecamente relativo ed impone una valutazione comparativa che entrambi gli orientamenti illustrati traggono al di fuori degli indicatori contenuti nell’incipit della norma, così relegando ad una funzione residuale proprio le caratteristiche dell’assegno di divorzio fondate sui principi di libertà, autoresponsabilità e pari dignità desumibili dai parametri costituzionali sopra illustrati e dalla declinazione di essi effettuata dall’art. 143 c.c.. L’intrinseca relatività del criterio dell’adeguatezza dei mezzi e l’esigenza di pervenire ad un giudizio comparativo desumibile proprio dalla scelta legislativa, non casuale, di questo peculiare parametro inducono ad un’esegesi dell’art. 5, comma 6, diversa da quella degli orientamenti passati. Il fondamento costituzionale dei criteri indicati nell’incipit della norma conduce ad una valutazione concreta ed effettiva dell’adeguatezza dei mezzi e dell’incapacità di procurarseli per ragioni oggettive fondata in primo luogo sulle condizioni economico-patrimoniali delle parti, da accertarsi anche utilizzando i poteri istruttori officiosi attribuiti espressamente al giudice della famiglia a questo specifico scopo. Tale verifica è da collegare causalmente alla valutazione degli altri indicatori contenuti nella prima parte dell’art. 5, comma 6, al fine di accertare se l’eventuale rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale degli ex coniugi all’atto dello scioglimento del vincolo sia dipendente dalle

467


Giurisprudenza

scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio, con il sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti in funzione dell’assunzione di un ruolo trainante endofamiliare, in relazione alla durata, fattore di cruciale importanza nella valutazione del contributo di ciascun coniuge alla formazione del patrimonio comune e/o del patrimonio dell’altro coniuge, oltre che delle effettive potenzialità professionali e reddituali valutabili alla conclusione della relazione matrimoniale, anche in relazione all’età del coniuge richiedente ed alla conformazione del mercato del lavoro. Il richiamo all’attualità, avvertito dalla sentenza n. 11504 del 2017, in funzione della valorizzazione dell’autoresponsabilità di ciascuno degli ex coniugi deve, pertanto, dirigersi verso la preminenza della funzione equilibratrice-perequativa dell’assegno di divorzio. Il principio di solidarietà, posto a base del riconoscimento del diritto, impone che l’accertamento relativo all’inadeguatezza dei mezzi ed all’incapacità di procurarseli per ragioni oggettive sia saldamente ancorato alle caratteristiche ed alla ripartizione dei ruoli endofamiliari. L’accertamento del giudice non è conseguenza di un’inesistente ultrattività dell’unione matrimoniale, definitivamente sciolta tanto da determinare una modifica irreversibile degli status personali degli ex coniugi, ma della norma regolatrice del diritto all’assegno, che conferisce rilievo alle scelte ed ai ruoli sulla base dei quali si è impostata la relazione coniugale e la vita familiare. Tale rilievo ha l’esclusiva funzione di accertare se la condizione di squilibrio economico patrimoniale sia da ricondurre eziologicamente alle determinazioni comuni ed ai ruoli endofamiliari, in relazione alla durata del matrimonio e all’età del richiedente. Ove la disparità abbia questa radice causale e sia accertato che lo squilibrio economico patrimoniale conseguente al divorzio derivi dal sacrificio di aspettative professionali e reddituali fondate sull’assunzione di un ruolo

468

consumato esclusivamente o prevalentemente all’interno della famiglia e dal conseguente contribuito fattivo alla formazione del patrimonio comune e a quello dell’altro coniuge, occorre tenere conto di questa caratteristica della vita familiare nella valutazione dell’inadeguatezza dei mezzi e dell’incapacità del coniuge richiedente di procurarseli per ragioni oggettive. Gli indicatori, contenuti nella prima parte dell’art. 5, comma 6, prefigurano una funzione perequativa e riequilibratrice dell’assegno di divorzio che permea il principio di solidarietà posto a base del diritto. Il giudizio di adeguatezza impone una valutazione composita e comparativa che trova nella prima parte della norma i parametri certi sui quali ancorarsi. La situazione economico-patrimoniale del richiedente costituisce il fondamento della valutazione di adeguatezza che, tuttavia, non va assunta come una premessa meramente fenomenica ed oggettiva, svincolata dalle cause che l’hanno prodotta, dovendo accertarsi se tali cause siano riconducibili agli indicatori delle caratteristiche della unione matrimoniale così come descritti nella prima parte dell’art. 5, comma 6, i quali, infine, assumono rilievo direttamente proporzionale alla durata del matrimonio. Solo mediante una puntuale ricomposizione del profilo soggettivo del richiedente che non trascuri l’incidenza della relazione matrimoniale sulla condizione attuale, la valutazione di adeguatezza può ritenersi effettivamente fondata sul principio di solidarietà che, come illustrato, poggia sul cardine costituzionale fondato della pari dignità dei coniugi. (artt. 2,3 e 29 Cost.). Il parametro dell’adeguatezza contiene in sè una funzione equilibratrice e non solo assistenziale-alimentare. Il rilievo del profilo perequativo non si fonda su alcuna suggestione criptoindissolubilista (l’espressione è stata usata nell’ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale che ha dato luogo alla sentenza n. 11 del 2015), ma esclusivamente sul rilievo che tale principio


Salvatore Patti

assume nella norma regolativa dell’assegno. La piena ed incondizionata reversibilità del vincolo coniugale non esclude il rilievo pregnante che questa scelta, unita alle determinazioni comuni assunte in ordine alla conduzione della vita familiare, può imprimere sulla costruzione del profilo personale ed economico-patrimoniale dei singoli coniugi, non potendosi trascurare che l’impegno all’interno della famiglia può condurre all’esclusione o limitazione di quello diretto alla costruzione di un percorso professionale-reddituale. Ne consegue che la funzione assistenziale dell’assegno di divorzio si compone di un contenuto perequativo-compensativo che discende direttamente dalla declinazione costituzionale del principio di solidarietà e che conduce al riconoscimento di un contributo che, partendo dalla comparazione delle condizioni economicopatrimoniali dei due coniugi, deve tener conto non soltanto del raggiungimento di un grado di autonomia economica tale da garantire l’autosufficienza, secondo un parametro astratto ma, in concreto, di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali ed economiche eventualmente sacrificate, in considerazione della durata del matrimonio e dell’età del richiedente. Il giudizio di adeguatezza ha, pertanto, anche un contenuto prognostico riguardante la concreta possibilità di recuperare il pregiudizio professionale ed economico derivante dall’assunzione di un impegno diverso. Sotto questo specifico profilo il fattore età del richiedente è di indubbio rilievo al fine di verificare la concreta possibilità di un adeguato ricollocamento sul mercato del lavoro. L’eliminazione della rigida distinzione tra criterio attributivo e criteri determinativi dell’assegno di divorzio e la conseguente inclusione, nell’accertamento cui il giudice è tenuto, di tutti gli indicatori contenuti nell’art. 5, comma 6 in posizione equiordinata, consente, in conclusione,

senza togliere rilevanza alla comparazione della situazione economico-patrimoniale delle parti, di escludere i rischi d’ingiustificato arricchimento derivanti dalla adozione di tale valutazione comparativa in via prevalente ed esclusiva, ma nello stesso tempo assicura tutela in chiave perequativa alle situazioni, molto frequenti, caratterizzate da una sensibile disparità di condizioni economicopatrimoniali ancorché non dettate dalla radicale mancanza di autosufficienza economica ma piuttosto da un dislivello reddituale conseguente alle comuni determinazioni assunte dalle parti nella conduzione della vita familiare. 11. IL QUADRO COMPARATISTICO EUROPEO ED EXTRAEUROPEO. La soluzione prospettata è largamente coerente con il quadro della legislazione dei paesi dell’Unione europea. Il confronto, pur non essendo la materia nè di competenza dell’Unione Europea nè oggetto di diversa disciplina convenzionale, non può essere eluso, in considerazione della natura dei diritti in gioco e della composizione del principio solidaristico ad essi sottesi. La comparazione con alcuni ordinamenti europei (in particolare quello francese e tedesco) evidenzia, in particolare, la natura specificamente perequativo-compensativa attribuita all’assegno di divorzio correlata alla previsione della temporaneità dell’obbligo in quanto prevalentemente finalizzato a colmare la disparità economico patrimoniale determinatasi con lo scioglimento del vincolo. Possono, tuttavia, porsi in luce alcuni principi comuni, posti in luce dai lavori svolti dalla Commissione Europea del diritto di famiglia (C.E.F.L.), sorta al fine di armonizzare i principi che regolano il diritto di famiglia in considerazione della competenza del diritto dell’Unione Europea in ordine alla giurisdizione, al riconoscimento ed alla circolazione delle decisioni in materia di scioglimento dell’unione coniugale e responsabilità genitoriale. Si è riscontrata, in particolare, la tendenziale eliminazione del divorzio

469


Giurisprudenza

per colpa che, anche all’interno del nostro ordinamento, trova riscontro nella progressiva riduzione dell’importanza del c.d. criterio risarcitorio fin dall’accertamento dell’addebito in sede di separazione; la natura consensuale del divorzio e la preminenza del principio di autoresponsabilità anche in sede di regolazione dell’assegno le cui caratteristiche sono da cogliere nell’ancoraggio ad un criterio perequativo-assistenziale in funzione di riequilibrio della posizione dell’ex coniuge più svantaggiato (sistema francese); nel favor verso un sistema di riequilibrio economicopatrimoniale realizzato con la ripartizione pregressa delle risorse e del patrimonio familiare cui consegue l’eccezionalità dell’assegno di divorzio (sistema tedesco) ed infine nella temporaneità della disposizione, in quanto finalizzata alla ricomposizione di un quadro di parità economico patrimoniale. Sia le linee di tendenza comuni che le differenze di regime giuridico sono ispirate dal medesimo obiettivo della pari dignità degli ex coniugi. In questa priorità si coglie l’esclusivo elemento di continuità tra i postulati costituzionali dell’unione matrimoniali e la finalità dell’assegno di divorzio. La conferma della centralità del principio di uguaglianza effettiva tra i coniugi anche alla luce dell’esame comparatistico delle legislazioni di paesi occidentali trova riscontro effettivo nel VII Protocollo addizionale alla Convenzione Europea dei Diritti Umani, nell’art. 5. Nella norma viene stabilito che: “I coniugi godono dell’uguaglianza di diritti e di responsabilità di carattere civile tra di essi e nelle loro relazioni con i loro figli riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e in caso di suo scioglimento. Il presente articolo non impedisce agli Stati di adottare le misure necessarie nell’interesse dei figli”. Il principio è un’evoluzione di quanto già contenuto nell’art. 16 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani proclamata il 10 dicembre 1948. Nell’articolo è indicato che uomini e donne han-

470

no eguali diritti riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e all’atto del suo scioglimento. Emerge, in conclusione, corrispondenza tra la collocazione dell’assegno di divorzio nell’alveo degli artt. 2, 3 e 29 Cost. con la conseguente preminenza della funzione perequativa ad esso attribuibile ed il quadro europeo e convenzionale di riferimento. Gli elementi che appaiono in contrasto con tale quadro, ovvero l’eccezionalità del ricorso all’assegno e la temporaneità dello stesso non scalfiscono la comune provenienza dal principio di parità effettiva. In particolare la mancanza di temporaneità trova puntuale correttivo nel meccanismo legislativo della revisione delle condizioni della sentenza di divorzio in presenza di fatti sopravvenuti mentre il riconoscimento dell’assegno per importi poco elevati ed in unzione perequativa riguarda una percentuale molto modesta delle controversie in tema di divorzio. L’attenzione deve rivolgersi, al fine di rendere effettiva la funzione perequativa dell’assegno al rigoroso accertamento probatorio dei fatti posti a base della disparità economico-patrimoniale conseguente allo scioglimento del vincolo, dovendo trovare giustificazione causale negli indicatori contenuti nella prima parte dell’art. 5, comma 6 ed in particolare nel contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e, conseguentemente, alla formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge. Di tale contributo la parte richiedente deve fornire la prova con ogni mezzo anche mediante presunzioni. Del superamento della disparità determinata dalle cause sopraindicate, la parte che chiede la riduzione o la eliminazione dell’assegno posto originariamente a suo carico, deve fornire la prova contraria. La sostanziale assenza di preclusioni, salvo l’allegazione di mutamenti di fatto, nel procedimento di revisione, rende reversibile e modificabile sine die la determinazione originaria in ordine all’assegno di divorzio, escludendo anche sotto tale


Salvatore Patti

profilo, i rischi della c.d. cripto indissolubilità. 12. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE. Si ritiene utile, prima di procedere alla decisione riguardante il primo motivo di ricorso, fornire un quadro sintetico conclusivo dei principi relativi alla individuazione dei criteri sulla base dei quali può essere riconosciuto il diritto all’assegno di divorzio. Si deve premettere una considerazione di carattere fattuale. La determinazione e l’attuazione della scelta di sciogliere l’unione matrimoniale, determinano un deterioramento complessivo nelle condizioni di vita del coniuge meno dotato di capacità reddituali, economiche e patrimoniali proprie. Il legislatore impone di accertare, preliminarmente, l’esistenza e l’entità dello squilibrio determinato dal divorzio mediante l’obbligo della produzione dei documenti fiscali dei redditi delle parti ed il potenziamento dei poteri istruttori officiosi attribuiti al giudice, nonostante la natura prevalentemente disponibile dei diritti in gioco. All’esito di tale preliminare e doveroso accertamento può venire già in evidenza il profilo strettamente assistenziale dell’assegno, qualora una sola delle parti non sia titolare di redditi propri e sia priva di redditi da lavoro. Possono, tuttavia, riscontrarsi più situazioni comparative caratterizzate da una sperequazione nella condizione economico-patrimoniale delle parti, di entità variabile. In entrambe le ipotesi, in caso di domanda di assegno da parte dell’ex coniuge economicamente debole, il parametro sulla base del quale deve essere fondato l’accertamento del diritto ha natura composita, dovendo l’inadeguatezza dei mezzi o l’incapacità di procurarli per ragioni oggettive essere desunta dalla valutazione, del tutto equiordinata degli indicatori contenuti nella prima parte dell’art. 5, comma 6, in quanto rivelatori della declinazione del principio di solidarietà, posto a base del giudizio relativistico e comparativo di adeguatezza. Pertanto, esclusa la

separazione e la graduazione nel rilievo e nella valutazione dei criteri attributivi e determinativi, l’adeguatezza assume un contenuto prevalentemente perequativo-compensativo che non può limitarsi nè a quello strettamente assistenziale nè a quello dettato dal raffronto oggettivo delle condizioni economico patrimoniali delle parti. Solo così viene in luce, in particolare, il valore assiologico, ampiamente sottolineato dalla dottrina, del principio di pari dignità che è alla base del principio solidaristico anche in relazione agli illustrati principi CEDU, dovendo procedersi all’effettiva valutazione del contributo fornito dal coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio comune e alla formazione del profilo economico patrimoniale dell’altra parte, anche in relazione alle potenzialità future. La natura e l’entità del sopraindicato contributo è frutto delle decisioni comuni, adottate in sede di costruzione della comunità familiare, riguardanti i ruoli endofamiliari in relazione all’assolvimento dei doveri indicati nell’art. 143 c.c.. Tali decisioni costituiscono l’espressione tipica dell’autodeterminazione e dell’autoresponsabilità sulla base delle quali si fonda, ex artt. 2 e 29 Cost. la scelta di unirsi e di sciogliersi dal matrimonio. Alla luce delle considerazioni svolte, ritiene il Collegio che debba essere prescelto un criterio integrato che si fondi sulla concretezza e molteplicità dei modelli familiari attuali. Se si assume come punto di partenza il profilo assistenziale, valorizzando l’elemento testuale dell’adeguatezza dei mezzi e della capacità (incapacità) di procurarseli, questo criterio deve essere calato nel “contesto sociale” del richiedente, un contesto composito formato da condizioni strettamente individuali e da situazioni che sono conseguenza della relazione coniugale, specie se di lunga durata e specie se caratterizzata da uno squilibrio nella realizzazione personale e professionale fuori nel nucleo familiare. Lo scioglimento del vincolo incide sullo status ma non cancella tutti gli effetti

471


Giurisprudenza

e le conseguenze delle scelte e delle modalità di realizzazione della vita familiare. Il profilo assistenziale deve, pertanto, essere contestualizzato con riferimento alla situazione effettiva nella quale s’inserisce la fase di vita post matrimoniale, in particolare in chiave perequativa-compensativa. Il criterio attributivo e quello determinativo, non sono più in netta separazione ma si coniugano nel cd. criterio assistenziale-compensativo. L’elemento contributivo-compensativo si coniuga senza difficoltà a quello assistenziale perché entrambi sono finalizzati a ristabilire una situazione di equilibrio che con lo scioglimento del vincolo era venuta a mancare. Il nuovo testo dell’art. 5 non preclude la formulazione di un giudizio di adeguatezza anche in relazione alle legittime aspettative reddituali conseguenti al contributo personale ed economico fornito da ciascun coniuge alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno ed a quello comune. L’adeguatezza dei mezzi deve, pertanto, essere valutata, non solo in relazione alla loro mancanza o insufficienza oggettiva ma anche in relazione a quel che si è contribuito a realizzare in funzione della vita familiare e che, sciolto il vincolo, produrrebbe effetti vantaggiosi unilateralmente per una sola parte. Il superamento della distinzione tra criterio attributivo e criteri determinativi dell’assegno di divorzio non determina, infine, un incremento ingiustificato della discrezionalità del giudice di merito, perché tale superamento non comporta la facoltà di fondare il riconoscimento del diritto soltanto su uno degli indicatori contenuti nell’incipit dell’art. 5, comma 6 essendone necessaria una valutazione integrata, incentrata sull’aspetto perequativo-compensativo, fondata sulla comparazione effettiva delle condizioni economico-patrimoniali alla luce delle cause che hanno determinato la situazione attuale di disparità. Inoltre è necessario procedere ad un accertamento probatorio rigoroso del rilievo causale degli indicatori sopraindicati sulla spe-

472

requazione determinatasi, ed, infine, la funzione equilibratrice dell’assegno, deve ribadirsi, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale ma soltanto al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla realizzazione della situazione comparativa attuale. In conclusione, alla pluralità di modelli familiari consegue una molteplicità di situazioni personali conseguenti allo scioglimento del vincolo. Il criterio individuato proprio per la sua natura composita ha l’elasticità necessaria per adeguarsi alle fattispecie concrete perché, a differenza di quelli che si sono in precedenza esaminati non ha quelle caratteristiche di generalità ed astrattezza variamente criticate in dottrina. 13. ACCOGLIMENTO DEL PRIMO MOTIVO E PRINCIPIO DI DIRITTO. Alla luce delle considerazioni svolte, deve essere accolto il primo motivo di ricorso. La sentenza impugnata si è fondata esclusivamente sul criterio dell’autosufficienza economica, escludendo dalla propria indagine l’accertamento dell’eventuale incidenza degli indicatori concorrenti contenuti nella L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, ed in particolare quello relativo al contributo fornito dalla richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla conseguente formazione del patrimonio comune e personale dell’altro ex coniuge. Al riguardo nel ricorso alle pagine 14 e 15 viene sottolineato l’omesso esame di tale criterio, unitamente a tutti quelli non riconducibili al profilo strettamente assistenziale dell’autosufficienza economica. Limitatamente a tale specifica violazione dell’art. 5, comma 6, pertanto, il motivo deve essere accolto essendo necessario integrare alla luce delle allegazioni fattuali della parte ricorrente ed in relazione alla comparazione della situazione economico patrimoniale delle parti e della intervenuta suddivisione del patrimonio familiare, se possa riconoscersi il diritto all’assegno diverso in funzione specificamente perequativo-


Salvatore Patti

compensativa, così come prospettato in ricorso. L’accoglimento del primo motivo determina l’assorbimento del secondo. Alla cassazione della sentenza impugnata consegue il rinvio alla Corte d’Appello di Bologna che dovrà attenersi al seguente principio di diritto: “Ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, dopo le modifiche introdotte con la L. n. 74 del 1987, il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi o comunque dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l’applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma i quali costituiscono il parametro di cui si deve tenere conto per la relativa attribuzio-

ne e determinazione, ed in particolare, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto”. P.Q.M. Accoglie il primo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione. Dichiara assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese processuali del presente giudizio alla Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione. (Omissis)

Assegno di divorzio: il «passo indietro» delle Sezioni Unite Sommario:

1. La «svolta» della prima Sezione in materia di assegno di divorzio. – 2. Le critiche rivolte alla sentenza «Lamorgese» e l’intervento delle Sezioni Unite. – 3. Il nuovo principio di diritto. – 4. Il modesto adeguamento rispetto all’evoluzione europea. – 5. L’eccessiva discrezionalità del giudice di merito e l’esigenza di un intervento del legislatore.

The critics that have been expressed towards the “Lamorgese” decision determined an intervention of the United Sections of the Italian Supreme Court, which by means of its sentence has made a “step backwards” compared to the innovative solution developed by the “Lamorgese” decision, imposing the compliance with the standards set forth by the law. Furthermore, despite the declared intention to adapt the Italian legal system to the prevailing solutions in Europe, this has not happened and also for this reason it seems desirable to regulate the matter by a new law.

473


Giurisprudenza

1. La «svolta» della prima Sezione in materia di assegno di divorzio.

Il consolidato orientamento della Corte suprema, in materia di assegno di divorzio, per molti anni impermeabile ad acute critiche della dottrina, soprattutto per quanto concerne il parametro del «tenore di vita matrimoniale» (addirittura potenziale)1, era stato travolto – come è noto – nel maggio 2017 da una sentenza della prima sezione2. La suddetta sentenza, ormai nota come «Lamorgese», dal nome del suo estensore, ha rappresentato un vero e proprio punto di rottura nella decennale storia dell’istituto soprattutto perché, raccogliendo diffuse e sentite istanze sociali, ha inteso offrire una disciplina moderna, idonea ad evitare la concessione di assegni divorzili quantificati secondo parametri, in primo luogo quello relativo al tenore di vita matrimoniale3, inconciliabili con l’attuale visione della famiglia, il frequente scioglimento del matrimonio e la formazione di una nuova famiglia. Tuttavia, come è emerso in numerosi commenti, alcune argomentazioni della sentenza «Lamorgese» non erano del tutto condivisibili, come pure il lodevole fine di porre la disciplina italiana al passo di quella riscontrabile in Europa non era stato perseguito con il dovuto rigore4, ma nel complesso la «svolta» operata dalla Cassazione era stata salutata con favore, proprio per l’evidente necessità di superare un orientamento giurisprudenziale insensibile all’evoluzione del rapporto matrimoniale, alla «sdrammatizzazione» del divorzio, alla successiva instaurazione di nuovi rapporti familiari5.

1

Particolarmente dure al riguardo le parole di G. Casaburi, “Quandoque bonus dormitat Homerus”. Per una specializzazione dei procedimenti di famiglia in Cassazione, in Foro it., 2017, I, 1206 s., il quale parla di «orientamenti tralatizi in tema di assegno di separazione e di divorzio, istituti trasformati, in una logica criptoindissolubilista, in rendite di posizione, determinate con riferimento a tenori di vita familiari cessati da decenni o neppure mai insorti». Ma v. anche, tra gli altri, E. Al Mureden, Il parametro del tenore di vita coniugale nel “diritto vivente” in materia di assegno divorzile tra persistente validità, dubbi di legittimità costituzionale ed esigenze di revisione, in Fam. e dir., 2014, 694. 2 Cass., 10 maggio 2017, n. 11504, in Foro it., 2017, I, 1859 con note di G. Casaburi, Tenore di vita ed assegno divorzile (e di separazione): c’è qualcosa di nuovo oggi in Cassazione, anzi d’antico; C. Bona, Il revirement sull’assegno divorzile e gli effetti sui rapporti pendenti; e A. Mondini, Sulla determinazione dell’assegno divorzile la sezione semplice decide «in autonomia». Le ricadute della pronuncia sui giudizi di attribuzione e sui ricorsi per revisione dell’assegno. La massima della sentenza è stata riprodotta in Foro it., 2017, I, 2707, con note di S. Patti, Assegno di divorzio: un passo verso l’Europa? e M. Bianca., Il nuovo orientamento in tema di assegno divorzile - Una storia incompiuta. V. altresì, tra gli altri, i commenti di C.M. Bianca, L’ultima sentenza della Cassazione in tema di assegno divorzile: ciao Europa?, in Giustizia civ.com, Editoriale, 9 giugno 2017; C. Rimini, Assegno di mantenimento e assegno divorzile: l’agonia del fondamento assistenziale, in Giur. it., 2017, 1799 ss.; A. Astone, Assegno post-matrimoniale ed autoresponsabilità degli ex coniugi, in Dir. famiglia, 2017, 1208 ss.; U. Roma, Assegno di divorzio: dal tenore di vita all’indipendenza economica, in Nuova giur. civ. comm., 2017, 1001 ss.; E. Al Mureden, L’assegno divorzile tra autoresponsabilità e solidarietà postconiugale, in Fam. e dir., 2017, 642 ss.; F. Danovi, Assegno di divorzio e irrilevanza del tenore di vita matrimoniale: il valore del precedente per i giudizi futuri e l’impatto sui divorzi già definiti, ivi, 655 ss. 3 Su cui si era già espressa criticamente Corte cost., 11 febbraio 2015, n. 11, in Fam. e dir., 2015, 538 ss., con nota di E. Al Mureden, Assegno divorzile, parametro del tenore di vita coniugale e principio di autoresponsabilità. 4 Per alcuni rilievi v. la citata nota di S. Patti, Assegno di divorzio: un passo verso l’Europa?, 2708 ss., nonché Id., Solidarietà e autosufficienza nella crisi del matrimonio, in Familia, 2017, 275 ss. 5 Fenomeni segnalati già da molti anni: cfr. M.A. Glendon, Abortion and Divorce in Western Law: American Failures, European Challenges, Harward - Cambridge - London, 1987, spec. 64 ss., 81 ss.

474


Salvatore Patti

Peraltro, le critiche erano state giustificate soprattutto da alcune sentenze di merito che – applicando il nuovo principio di diritto – erano pervenute a risultati molto sfavorevoli per il richiedente, forse evitabili alla luce di una «costruttiva» lettura della sentenza «Lamorgese»6. Una decisione delle Sezioni Unite, già sollecitata dalla Procura generale della Corte, appariva pertanto inevitabile e – ad avviso di chi scrive – doveva servire a confermare la «svolta», sia pure perfezionando la regola della autoresponsabilità e della indipendenza economica, in modo da evitare di passare da una tutela eccessiva del coniuge richiedente l’assegno ad una tutela in alcuni casi particolarmente ridotta non soddisfacente alla luce delle caratteristiche del singolo caso. Quasi superfluo osservare che nella complessa materia, proprio a causa del mutamento della concezione del rapporto matrimoniale e del suo scioglimento, da tempo avrebbe dovuto intervenire il legislatore. Le sentenze in esame rappresentano pertanto un tentativo – comunque lodevole – di adeguare alla moderna realtà sociale una norma per molti versi obsoleta (art. 5, comma 6, legge 1° dicembre 1970, n. 898)7. La Suprema Corte, in entrambe le occasioni, ha svolto una funzione sostanzialmente legislativa, in una situazione di inerzia e di disinteresse degli organi preposti al necessario aggiornamento dell’ordinamento giuridico italiano8. Al riguardo sembra utile svolgere alcune considerazioni. Mentre le scelte del legislatore, essendo il frutto di valutazioni politiche, possono essere anche «arbitrarie», le sentenze dei giudici necessitano di argomentazioni giuridiche e acquistano «validità» come diritto vivente, sulla base della qualità del ragionamento che le sorregge9. La giurisprudenza – in primo luogo quella di legittimità – è pertanto chiamata ad interpretare la norma tenendo conto delle indicazioni provenienti dal contesto sociale, usualmente recepite ed espresse dalla dottrina, e nella sua opera di incessante adattamento deve dimostrare continuità. Ciò non è avvenuto nel caso in esame, non essendo ammissibile, proprio per la funzione affidata alla Corte suprema, che in una materia particolarmente delicata, in quanto coinvolge un numero enorme di persone e riguarda la loro stessa esistenza, in un breve arco di tempo si susseguano decisioni profondamente diverse. Infatti, come si vedrà, nonostante lo sforzo delle Sezioni Unite di non smentire i principi affermati nella sentenza «Lamorgese», l’imperativo di integrare il criterio della autosufficienza economica con quello contributivo e perequativo ha in realtà determinato uno stravolgimento della decisione della prima Sezione.

6

V., ad es., Trib. Milano (ord.), 22 maggio 2017, in Foro it., Le banche dati, archivio merito ed extra, 2017, 1073. Per un recente commento, v. C. Rimini, Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio, art. 5, in Commentario del codice civile, diretto da E. Gabrielli, Della famiglia, a cura di L. Balestra, IV, Torino, 2010, 727. 8 Devono peraltro segnalarsi due proposte di legge: la n. 4605 presentata il 27 luglio 2017, e la n. 506 presentata il 12 aprile 2018, entrambe intitolate «Modifiche all’articolo 5 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, in materia di assegno spettante a seguito di scioglimento del matrimonio o dell’unione civile». 9 In tal senso, con particolare chiarezza, R. Zimmermann e G. Wagner, Vorwort: Perspektiven des Privatrechts, in AcP, 216 (2016), 6. Nella nostra dottrina, v. soprattutto N. Lipari, Il diritto civile tra legge e giudizio, Milano, 2017, 15 ss.; e, con riguardo all’argomentazione giurisprudenziale, A. Gentili, Il diritto come discorso, in Tratt. Iudica-Zatti, Milano, 2013, spec. 3-27; R. Guastini, Interpretare e argomentare, in Tratt. Cicu-Messineo-Mengoni-Schlesinger, Milano, 2011, 267 ss. 7

475


Giurisprudenza

2. Le critiche rivolte alla sentenza «Lamorgese» e l’intervento delle Sezioni Unite.

Per ben comprendere il significato della sentenza in esame10, occorre ricordare che per quasi trent’anni la giurisprudenza ha seguito l’orientamento introdotto con la nota decisione della Cassazione a Sezioni Unite del 199011, secondo cui l’assegno di divorzio – nonostante la molteplicità di parametri indicati dalla legge – ha natura assistenziale e deve essere concesso tutte le volte in cui il richiedente non dispone di mezzi sufficienti a mantenere il tenore di vita goduto durante la vita coniugale. Il suddetto orientamento ha spesso determinato la creazione di rendite vitalizie a favore dell’ex coniuge con conseguenti gravi difficoltà a carico dell’obbligato già per il fatto di dover provvedere (a partire dal momento della separazione) al finanziamento di due alloggi12. Il mutamento della concezione della famiglia e del matrimonio, che ha condotto, tra l’altro, alla possibilità di ottenere il divorzio senza un intervento del giudice (cfr. Legge 10 novembre 2014, n. 162)13, ha messo in luce l’inadeguatezza del risalente orientamento e – nell’inerzia del legislatore – la necessità di una svolta. Il nuovo indirizzo si è manifestato con la già ricordata sentenza Cass., 10 maggio 2017, n. 11504, che ha abbandonato il parametro del tenore di vita matrimoniale e si è basata sul principio di autosufficienza economica del richiedente. La sentenza, inoltre, aveva osservato la divisione in due fasi del procedimento, la prima attinente all’an del diritto, la seconda al quantum, escludendo che si configurasse un diritto all’assegno se il richiedente disponeva di «sufficienti» mezzi economici o comunque era in grado di procurarseli. Abbandonando il criterio del tenore di vita matrimoniale, secondo la prima Sezione, l’eventuale quantificazione dell’assegno doveva mirare a garantire (soltanto) ciò che è sufficiente per vivere, prontamente quantificato in alcune sentenze di merito in circa mille euro al mese14. Come può agevolmente comprendersi, il mutamento era radicale e si era determinata

10

Su cui v. i commenti di L. Balestra, L’assegno divorzile sotto la lente delle Sezioni Unite, in Giustizia civile.com, Editoriale del 23 luglio 2018; E. Al Mureden, Parità tra coniugi e funzione perequativa dell’assegno divorzile, ivi, Editoriale del 24 luglio 2018; M. Bianca, Le Sezioni Unite e i corsi e ricorsi giuridici in tema di assegno divorzile: una storia compiuta? (in corso di pubblicazione in Foro it.); C. Rimini, Il nuovo assegno di divorzio: la funzione compensativa e perequativa (in corso di pubblicazione in Giur. it.). 11 Cass., Sez. Un., 29 novembre 1990, n. 11490, in Foro it., 1991, I, 67 ss., con note di E. Quadri, Assegno di divorzio: la mediazione delle sezioni unite e V. Carbone, Urteildämmerung: una decisione crepuscolare (sull’assegno di divorzio). 12 Difficoltà da tempo messa in luce dalla più attenta dottrina: cfr. P. Zatti, I diritti e i doveri che nascono dal matrimonio e la separazione dei coniugi, in Trattato di diritto privato2, diretto da P. Rescigno, 3, Torino, 1996, 241, il quale parla della necessità di soddisfare separatamente i bisogni più «rigidi» della casa, di servizi relativi, ecc. In giurisprudenza, tra le più recenti, v. Cass., 9 giugno 2015, n. 11870, in Rep. Foro it., 2015, voce Matrimonio, n. 173; Cass., 3 aprile 2015, n. 6864, ibid., n. 175; Cass., 20 marzo 2014, n. 6562, in Foro it., 2014, I, 1496; Cass., 10 febbraio 2014, n. 2948, in Rep. Foro it., 2014, voce Matrimonio, n. 117. 13 V. amplius C. Rimini, Il nuovo divorzio, in Tratt. Cicu-Messineo-Mengoni-Schlesinger, Milano, 2015. 14 V. la già citata Trib. Milano (ord.), 22 maggio 2017.

476


Salvatore Patti

l’impressione di un passaggio da una tutela spesso eccessiva ad una inadeguata, poiché non sufficientemente attenta alle circostanze del singolo caso, in particolare all’età del richiedente, all’eventuale contributo offerto dallo stesso alla conduzione della vita familiare, alla durata del matrimonio e alla formazione del patrimonio familiare o di quello dell’altro coniuge. Tenendo conto delle suddette considerazioni alcune corti di merito non si erano adeguate al nuovo principio di diritto o comunque lo avevano applicato con significativi adattamenti15. Era parso pertanto auspicabile un intervento delle Sezioni Unite, che con la decisione in esame, pur confermando l’abbandono del parametro legato al tenore di vita matrimoniale, nonché la rilevanza del criterio dell’autosufficienza economica, hanno corretto la sentenza del maggio 2017 soprattutto a causa di una «valutazione incompleta, in quanto non radicata sui fattori oggettivi e interrelazioni che determinano la condizione complessiva degli ex coniugi dopo lo scioglimento del vincolo». Più concretamente si lamenta inoltre la mancata applicazione di alcuni parametri contenuti nell’art. 5, comma 6, della legge sul divorzio, che impongono, ai fini dell’attribuzione e della quantificazione dell’assegno, di tenere conto della durata del matrimonio e delle scelte di vita comune attuate al momento della determinazione dell’«indirizzo della vita familiare» (art. 144 c.c.)16, cioè delle decisioni che possono avere indotto un coniuge a sacrificare la propria vita professionale per dedicarsi alla famiglia e alla educazione dei figli. In altri termini, secondo le Sezioni Unite, alla luce della solidarietà postconiugale che trova fondamento nell’art. 29 Cost., l’assegno deve assolvere una funzione compensativa e «riequilibratrice», che permetta di riconoscere il ruolo e il contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla vita familiare, alla formazione del patrimonio e allo svolgimento dell’attività professionale dell’altro coniuge. Rimane ferma, e si tratta di un aspetto di centrale rilevanza, la ripartizione dell’onere della prova stabilita dalla sentenza del maggio 2017. Capovolgendo l’orientamento fino a quel momento seguito, la Corte di cassazione ha correttamente affermato che non spetta all’ex coniuge convenuto dimostrare che il richiedente ha rifiutato concrete occasioni di lavoro, ma a quest’ultimo provare che nonostante il suo impegno non ha la possibilità di svolgere un’attività lavorativa. Vedremo più avanti entro quali limiti può considerarsi ammissibile il rifiuto di attività lavorative ritenute poco idonee.

15

Cfr., ad esempio, App. Milano, 16 novembre 2017, in Foro it., 2017, I, 3732, con nota di richiami, e Trib. Udine, 1° giugno 2017, «www.ilfamiliarista.it». Per una pregevole rassegna delle sentenze successive alla «Lamorgese», v. M. Velletti, Quali criteri per la determinazione dell’assegno divorzile dopo Cass., 10 maggio 2017, n. 11504, in Foro it., 2018, I, 848 ss. 16 Ritiene questa formula «eccessivamente generica», M. Giorgianni, in Commentario alla riforma del diritto di famiglia, a cura di L. Carraro – G. Oppo – A. Trabucchi, I, 2, Padova, 1977, 747 s.

477


Giurisprudenza

3. Il nuovo principio di diritto. Il «passo indietro» della Corte di cassazione – anche per quanto concerne il superamento di una rigida distinzione tra (fase e) criterio attributivo dell’assegno (an) e (fase e) criteri determinativi del quantum – può essere per molti profili condiviso, ma appaiono necessarie alcune precisazioni. Al fine di evitare di ricadere negli eccessi causati dal parametro del tenore di vita matrimoniale occorre in primo luogo un’attenta valutazione delle situazioni concrete e delle decisioni prese nell’interesse della famiglia. La quantificazione dell’assegno non può essere la stessa nel caso del coniuge che per propria scelta ha rinunciato a proseguire un’attività lavorativa estremamente modesta e in quello del coniuge che in base ad un effettivo programma comune ha interrotto una carriera prestigiosa. Ancora, non possono essere trattati allo stesso modo il caso di chi, eventualmente scontento della propria attività lavorativa, ha preferito la vita familiare, spesso caratterizzata – come frequentemente avviene in Italia – dall’educazione di un unico figlio, e fattispecie di grave sacrificio in termini di lavoro svolto all’interno della famiglia. Al riguardo, dal punto di vista probatorio, conviene aggiungere che grava sul richiedente l’onere di dimostrare qual è il pregiudizio subito a seguito della decisione concernente l’indirizzo della vita familiare, nonché in che modo ha facilitato lo svolgimento della vita professionale del coniuge, ha contribuito al suo successo e alla formazione del patrimonio. In altri termini, si deve evitare di cadere in «automatismi» che ci riporterebbero sostanzialmente all’ormai inaccettabile orientamento giurisprudenziale che ha indotto alla «svolta» operata dalla prima Sezione con la sentenza «Lamorgese». Infine, pur se le Sezioni Unite non hanno approfondito la questione, per valutare le circostanze su cui si basa la richiesta dell’assegno, nell’ambito delle decisioni riguardanti l’indirizzo della vita familiare, non può trascurarsi il regime patrimoniale scelto dai coniugi. In molti casi, la decisione favorevole alla «comunione legale», con l’acquisto da parte del coniuge del 50% dei beni conseguiti durante la vita matrimoniale dall’altro coniuge, serve proprio a compensare i proventi che sarebbero derivati dall’interrotta attività lavorativa. Anche sotto quest’ultimo aspetto si determineranno – inevitabilmente – gravi incertezze. Uno dei rilievi che possono muoversi alle Sezioni Unite è quello di avere lasciato una eccessiva discrezionalità al giudice del merito. La sentenza, invero, mostra di condividere questa preoccupazione, ma già l’affermata necessità di utilizzare tutti i parametri contenuti nella norma sull’assegno di divorzio (assistenziale, compensativo, perequativo, ecc.) condurrà a decisioni molto variegate.

4. Il modesto adeguamento rispetto all’evoluzione europea. Ci si può chiedere, allora, se l’esigenza – segnalata nella sentenza in esame, come già nella «Lamorgese» – di adeguare in questa materia l’ordinamento italiano all’Europa, in

478


Salvatore Patti

particolare alla luce dell’evoluzione riscontrata in Francia e in Germania, sia stata effettivamente soddisfatta. La risposta, ad avviso di chi scrive, deve essere negativa. Basti pensare che nell’ordinamento italiano l’assegno di divorzio – se non interviene un nuovo matrimonio o una stabile convivenza – permane tendenzialmente per tutta la vita dell’avente diritto mentre in altri ordinamenti europei serve a superare le difficoltà di una fase iniziale, in genere di pochi anni. Inoltre, come emerge da quanto esposto, la determinazione del suo ammontare rimane affidata ad una valutazione del giudice eccessivamente discrezionale. Alla prevedibilità, almeno approssimativa, del quantum dell’assegno, riscontrabile in altri ordinamenti, si contrappone un’assoluta incertezza, dovuta alla concorrenza di molteplici parametri, tra cui quello legato alle possibilità economiche dell’ex coniuge obbligato. Da ciò, tra l’altro, deriveranno difficoltà nel tentativo di raggiungere l’accordo che rappresenta la base del divorzio «privatizzato» e un aumento del contenzioso giudiziale. Il tentativo, presente nella sentenza «Lamorgese» e ribadito nelle pagine finali di quella delle Sezioni Unite, di interpretare la norma giuridica tenendo conto delle soluzioni privilegiate in altri ordinamenti nonché dei Principi elaborati dalla Commissione europea per il diritto di famiglia è certamente apprezzabile, soprattutto in un’epoca caratterizzata da un crescente numero di matrimoni tra cittadini di diverse nazioni europee e, come ha insegnato Konrad Zweigert a metà del secolo scorso, metodologicamente corretto17. Gli ostacoli che tuttavia possono incontrarsi in questo percorso interpretativo risultano a volte difficilmente superabili. Nel caso in esame, per conseguire il fine suddetto, la sentenza «Lamorgese» aveva sostanzialmente cancellato alcuni dei parametri indicati dall’art. 5, comma 6, della legge sul divorzio e si era basata sul principio (europeo) dell’autoresponsabilità. Le Sezioni Unite hanno ritenuto incompleta la suddetta analisi della prima Sezione e hanno stabilito che occorre applicare gli altri parametri previsti dalla norma, in tal modo eliminando buona parte delle innovazioni apportate dalla sentenza «Lamorgese», poiché per la quantificazione dell’assegno i principi di autoresponsabilità e di indipendenza economica vengono «integrati» con quello perequativo e compensativo e quindi sostanzialmente disattesi. Si legge, infatti, che si deve «tener conto non soltanto del raggiungimento di un grado di autonomia economica tale da garantire l’autosufficienza, secondo un parametro astratto ma, in concreto, di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali ed economiche eventualmente sacrificate, in considerazione della durata del matrimonio e dell’età del richiedente». Pertanto, senza entrare nel merito circa la «giustezza» (uso volutamente il termine esseriano, che intende privilegiare la correttezza tecnica rispetto ad aspirazioni di giustizia

17

K. Zweigert, Rechtsvergleichung als universale Interpretationsmethode, in RabelsZ, 15 (1949-50), 5 ss. V. anche Marchesinis, The Destructive and Constructive Role of the Comparative Lawyer, ivi, 57 (1993), 438 ss.

479


Giurisprudenza

sostanziale) della soluzione dettata dalle Sezioni Unite, si avverte comunque un deciso allontanamento dalla sentenza «Lamorgese» e dal quadro europeo. In primo luogo, sia i principi europei del diritto di famiglia che le legislazioni di molti ordinamenti europei garantiscono (soltanto in alcuni casi ben determinati) un assegno di divorzio tendenzialmente limitato nel tempo, in quanto esso deve servire ad accompagnare l’ex coniuge più debole nel reinserimento nel mondo del lavoro. Nell’ordinamento italiano, viceversa, l’assegno di divorzio, a prescindere dalle ipotesi di nuovo matrimonio o convivenza stabile ed altri rari accadimenti, continua a rappresentare una rendita vitalizia. Inoltre, per valutare almeno gli aspetti più rilevanti, il richiamo all’indirizzo della vita familiare può risultare abbastanza vago e, se non applicato con il necessario rigore, può condurre a risultati molto diversi da quelli a cui pervengono in situazioni analoghe i giudici di altri paesi europei. Un esempio può servire a chiarire quanto affermato. Se in Italia una giovane donna si unisce in matrimonio e, d’accordo con il coniuge, rinuncia agli studi universitari, non intraprende un’attività lavorativa o interrompe quella iniziata, dopo un matrimonio di durata media (quindici o venti anni) riceve in genere un assegno di divorzio tendenzialmente «a vita» e commisurato tra l’altro alle possibilità economiche dell’obbligato. Decidendo la stessa fattispecie, il giudice tedesco dovrà anzitutto applicare la regola del c.d. ehebedingter Nachteil (o degli ehebedingten Unterhaltsbedürfnisse), cioè dello svantaggio (professionale) causato in concreto dal matrimonio18. Se, ad es., la signora, pur essendo in possesso dei requisiti per studiare medicina, d’accordo con il coniuge, ha rinunciato a iscriversi all’università o interrotto i suoi studi, ha diritto ad un assegno di un certo ammontare, mentre ha diritto a somme inferiori se ha rinunciato ad un corso di formazione professionale per diventare infermiera. Lo stesso accade se viene interrotta un’attività lavorativa. In ogni caso, l’assegno viene garantito per un limitato numero di anni, determinato anche in base alla durata del matrimonio, nel rispetto del principio dell’autoresponsabilità, secondo cui ciascun coniuge dopo il divorzio deve proseguire autonomamente il cammino della sua esistenza. In altri termini, come è stato bene precisato, non può pretendersi una solidarietà senza limiti19. A conferma di quanto esposto, sembra sufficiente richiamare la regola generale posta dal § 1569 BGB – la cui rubrica, dopo la riforma del 2007, recita «Principio della autoresponsabilità» (Selbstverantwortung) – secondo cui dopo il divorzio ciascun coniuge deve provvedere al proprio mantenimento. Dal § 1574 BGB discende l’obbligo di ciascun ex coniuge di svolgere un’“adeguata attività lavorativa”, cosicché la solidarietà postconiugale (nacheheliche Solidarität) sopravvive soltanto nei casi – definiti eccezionali – in cui circostanze specifiche determinano un insuperabile stato di bisogno della persona. Si precisa, tuttavia, che l’obbligo è configurabile «solange und soweit» (per il tempo e nella

18 19

Cfr. H.-J. Dose (Hrsg), Das Unterhaltsrecht in der familienrichterlichen Praxis, 9 ed., München, 2015, 1042 ss. N. Dethloff, Familienrecht, 32 ed., München, 2018, 187. Sul fondamento e i limiti della solidarietà in materia di mantenimento nei paesi europei, v. i saggi raccolti in D. Schwab/D. Henrich (Hrsg.), Familiäre Solidarität, Bielefeld, 1997.

480


Salvatore Patti

misura in cui) non sia possibile applicare la regola generale20. Molto significativo anche il principio 2.2 (intitolato «autosufficienza») elaborato dalla Commision on European Family Law, secondo cui «salvo quanto disposto dai Principi seguenti, dopo il divorzio ciascun coniuge provvede ai propri bisogni»21. In Francia, infine, la legge di riforma entrata in vigore nel 2005, stabilisce che «Le divorce met fin au devoir de secours entre époux» (art. 270 Code civil). La scelta di quell’ordinamento è stata favorevole ad una interruzione di ogni rapporto (economico) prevedendo – se sussistono determinati presupposti – soltanto il pagamento di una «prestation» che presenta un «caractére forfaitaire»22. Le decisioni dei nostri giudici saranno diverse da quelle dei giudici di altri paesi europei in innumerevoli altre ipotesi. Così, ad es., se si considera la norma del codice civile tedesco secondo cui la donna ha diritto ad un assegno di divorzio se ha un figlio minore di tre anni, fino a quando quest’ultimo non raggiunge l’età suddetta, non avendo alcun obbligo di lavorare in questo periodo di tempo23. Se invece svolge un’attività lavorativa, anche nella fase suddetta, del suo reddito deve tenersi conto. In conclusione, non può certo affermarsi che la sentenza delle Sezioni Unite, nonostante l’impegno, abbia contribuito ad avvicinare nella materia in esame l’ordinamento giuridico italiano a quelli degli altri paesi europei, pur espressamente richiamati. Di ciò, peraltro, deve anche farsi carico la dottrina, che evidentemente non è riuscita in questo caso a fornire indicazioni sicure ed univoche.

5. L’eccessiva discrezionalità del giudice di merito e l’esigenza di un intervento del legislatore.

In definitiva, se si dovesse formulare un giudizio sulla sentenza in esame, esso sarebbe almeno in parte positivo poiché si conferma l’abbandono del «tenore di vita matrimoniale» quale parametro per determinare l’ammontare dell’assegno, nonché la regola di ripartizione dell’onere della prova circa l’impossibilità di svolgere un’attività lavorativa, esattamente introdotta dalla sentenza «Lamorgese» e, soprattutto, si evitano soluzioni poco equilibrate alla luce delle circostanze della singola fattispecie. Per il resto, molto (forse troppo) rimane affidato alla saggezza e al «senso del giusto»24 dei giudici di merito, chiamati a trovare, caso per caso, una soluzione rispettosa dei princi-

20

W. Born, Das neue Unterhaltsrecht, in NJW, 2008, 5. In argomento si rinvia a S. Patti, I principi di diritto europeo della famiglia sul divorzio e il mantenimento tra ex coniugi, in Familia, 2005, 337 ss. 22 In argomento si rinvia a Patti, Solidarietà e autosufficienza nella crisi del matrimonio, cit., 280 ss. 23 Cfr. § 1570 BGB, rubricato «Unterhalt wegen Betreuung eines Kindes». 24 Cfr. M. Rehbihder, Il senso del giusto, in Riv. dir. civ., 1983, I, 1 ss. 21

481


Giurisprudenza

pi di solidarietà e di dignità più volte richiamati dalla Corte suprema, ma non indifferente alle esigenze di giustizia che, nella colpevole inerzia del legislatore, hanno spinto ad invocare l’intervento della Corte costituzionale e sollecitato il ripensamento della Corte di cassazione. Molto, si ribadisce, dipenderà dall’effettivo accertamento dei presupposti indicati dalle Sezioni Unite: non avere svolto alcuna attività lavorativa non significa di per sé avere contribuito, sia pure indirettamente, all’eventuale successo professionale del coniuge, né tanto meno la relativa scelta può considerarsi, senza un’adeguata dimostrazione, il frutto di una consapevole decisione dei coniugi sull’indirizzo della vita familiare. Viceversa, si corre il rischio di una sorta di «automatismo» se, come si legge in alcune sentenze, il giudice ritenga di dovere – e potere – rispettare «la necessità di equilibrare le fortune economiche dei coniugi rispetto agli sforzi e alle rinunce da ciascuno di essi effettuate a favore della famiglia, in modo tale che il coniuge più debole che al momento dello scioglimento del matrimonio non abbia redditi sufficienti a garantirgli l’indipendenza economica e non riesca a procurarseli incolpevolmente, ottenga un assegno divorzile che rappresenti anche una sorta di riconoscimento per l’attività svolta durante il matrimonio a favore del nucleo familiare»25. A ben vedere, la supposta «necessità di equilibrare le fortune economiche dei coniugi» non trova alcun fondamento nella legge, mentre «sforzi e rinunce» fatte dal richiedente l’assegno devono essere accertati caso per caso, senza peraltro trascurare quelli compiuti dall’obbligato per mantenere il nucleo familiare. Si rischia altrimenti di «importare» nell’ordinamento italiano quel potere di riequilibrare i patrimoni dei coniugi al momento del divorzio presente (in assenza di un regime patrimoniale) nell’ordinamento inglese26 e a volte richiamato nelle pagine della nostra dottrina, senza la necessaria distinzione tra una regola che riguarda la ripartizione dei beni conseguiti durante il matrimonio, a prescindere dalla situazione di bisogno di uno dei coniugi, e una regola che attiene al mantenimento postconiugale. Un’ultima considerazione, infine, circa il carattere «incolpevole» del mancato svolgimento di un’attività lavorativa dopo il divorzio da parte del richiedente l’assegno. Suscita infatti perplessità la costante affermazione giurisprudenziale secondo cui l’ex coniuge richiedente l’assegno che non svolge attività lavorativa può senz’altro rifiutare occupazioni non consone all’esperienza professionale precedentemente maturata o al titolo di studio conseguito. L’inevitabile corollario di questa «regola» – pur condivisibile in linea di principio – è che, ad es., una persona laureata troverà spesso conveniente evitare di svolgere un’attività lavorativa per cui non è richiesta una formazione universitaria, con la conse-

25

Cfr. Trib. Treviso, 26 gennaio 2018, in Familia, 2018, 35 ss., con approfondita nota di U. Roma, Alla ricerca dell’autosufficienza economica e del principio di eguaglianza dei coniugi al momento del divorzio. Con riferimento al caso concreto sottoposto al suo esame, la sentenza afferma peraltro che il mancato svolgimento di un’attività lavorativa da parte della ricorrente deve essere valutata quale «scelta personale… inidonea ad influire sulla determinazione dell’assegno divorzile». 26 In argomento v. D. Martiny, The partecipation on acquisitions regime, in Family Law and Culture in Europe. Developments, challenges and opportunities, a cura di K. Boele-Woelki, N. Dethloff, W. Gephart, Cambridge – Antwerp – Portland, 2014, 25 ss.

482


Salvatore Patti

guenza che le difficoltà del mercato del lavoro andranno a detrimento dell’obbligato che dovrà continuare a lavorare anche per mantenere l’ex coniuge, perfino se scontento della propria occupazione lavorativa, eventualmente non adeguata rispetto alla sua formazione e al suo titolo di studio. Si conferma, in definitiva, l’esigenza di un intervento del legislatore attento ai profondi mutamenti che nel mezzo secolo trascorso dall’introduzione del divorzio hanno interessato la famiglia, il matrimonio e il suo scioglimento. Non possono essere (tacitamente) delegate alla giurisprudenza le necessarie riforme dell’ordinamento giuridico. Deve essere il legislatore a stabilire se – conformemente al modello prevalente in Europa – sia opportuno attribuire maggiore rilevanza al principio di autoresponsabilità, un principio difficilmente conciliabile con alcuni dei parametri previsti dall’art. 5, comma 6, della legge sul divorzio, che rispondono ad una visione dello scioglimento del matrimonio ben diversa da quella che, come si riscontra soprattutto in Francia, tende a favorire una netta cesura tra passato e futuro. Salvatore Patti

483



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.