2020 5 Familia
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ISSN 1592-9930
amilia
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Il diritto della famiglia e delle successioni in Europa
Rivista bimestrale di Classe A dal 2016
settembre - ottobre 2020
D IRETTA DA SALVATORE PATTI Tommaso Auletta, Mirzia Bianca, Francesco Macario, Lucilla Gatt (vicedirettore), Fabio Padovini, Massimo Paradiso, Enrico Quadri, Carlo Rimini, Giovanni Maria Uda
www.rivistafamilia.it
IN EVIDENZA AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO: LA CAPACITÀ (RESIDUA) DEL BENEFICIARIO (PARERE PRO VERITATE) Salvatore Patti
POLIFUNZIONALITÀ DELL’ASSEGNO DI DIVORZIO E TUTELA DEL CONIUGE DEBOLE Valentina Di Gregorio
INTERPRETAZIONE E INTEGRAZIONE AB EXTRINSECO DELL’ATTO TESTAMENTARIO (NOTA A CASS. CIV., SEZ. II, 12 MARZO 2019, N. 7025) Luigi Nonne
Pacini
Indice Parte I Dottrina Valentina Di Gregorio, Polifunzionalità dell’assegno di divorzio e tutela del coniuge debole........... p. 537 Alfonso Contaldo, L’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza alla luce delle previsioni normative nazionali........................................................................................................................................» 551 Camilla Filauro, Il trust e il c.d. “Dopo di noi”: protezione delle persone affette da disabilità.............» 569 Parte II Giurisprudenza Giada Pipere, Procreazione assisitita eterologa e omogenitorialità: le Corti di merito a presidio del superiore interesse del minore (nota a Trib. Cagliari, sez. I, decreto 28 aprile 2020, n. 1146).............» 607 Luigi Nonne, Interpretazione e integrazione ab extrinseco dell’atto testamentario (nota a Cass. civ., sez. II, 12 marzo 2019, n. 7025)..................................................................................» 639 Parte III L’opinione Salvatore Patti, Amministrazione di sostegno: la capacità (residua) del beneficiario (parere pro veritate)..................................................................................................................................» 657
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Polifunzionalità dell’assegno di divorzio e tutela del coniuge debole* Sommario :
1. Il superamento del criterio del tenore di vita nella valutazione dell’adeguatezza dei mezzi. – 2. La rilevanza del ruolo endofamiliare svolto dal coniuge. – 3. Autodeterminazione dei coniugi e natura polifunzionale dell’assegno di divorzio. – 4. La valorizzazione dell’autonomia privata nella determinazione dell’assegno.
The recent United Sections of Italian Court of Cassation case law has highlighted the rebalancing and compensatory nature of the divorce spousal support by enhancing the contribution and the renunciations made for the management of the family by the weaker spouse and considering the economic conditions of the spouses before the marriage, instead of the previous standard of living. Since the divorce maintenance payments shouldn’t be aimed at giving compensation for damages or a penalty, the judge has to make an assessment also focused on the matrimonial property regime and on the spouses role in the family as parents, while the unpredictability of decisions could be reduced by preferentially recognizing the right to una tantum sum (especially in short-term marriages) with a legislative amendment and definitively admitting the validity of prenuptial agreements in contemplation of divorce.
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Il presente contributo è stato sottoposto a referaggio in forma anonima.
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1. Il superamento del criterio del tenore di vita nella valutazione dell’adeguatezza dei mezzi.
Una nota pronuncia della Cassazione del 2017 segna il tramonto del criterio del tenore di vita dei coniugi nel riconoscimento del diritto all’assegno di divorzio, introdotto nel 1990 con una serie di sentenze rese a Sezioni Unite1. L’indirizzo seguito dalla giurisprudenza per quasi un trentennio, come è noto, aveva rapportato l’inadeguatezza dei mezzi o l’impossibilità di procurarseli del coniuge richiedente di cui all’art.5, 6° comma, l. n° 898/1970, al “tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio o che poteva legittimamente e ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio stesso, fissate al momento del divorzio”, attraverso un doppio passaggio diretto dapprima a verificare l’esistenza del diritto con riguardo al tenore di vita precedente e successivamente a determinare il quantum, di cui il suddetto parametro costituiva il limite del tetto massimo2. In questo contesto, la natura essenzialmente assistenziale dell’assegno era fondata sul principio di solidarietà post-coniugale, destinato a riequilibrare le condizioni economiche dei coniugi nel caso di riscontrabile oggettiva debolezza economica di uno di essi3.
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Cass., 15.5.2017, n. 11504, con nota di S. Patti, Assegno di divorzio: un passo verso l’Europa?, in Foro it., 2017, I, 2707; Di Majo, Assistenza o riequilibrio negli effetti del divorzio? Giur. it., 2017, 1299; Rimini, Assegno di mantenimento e assegno divorzile: l’agonia del fondamento assistenziale, in Giur. it., 2019, 1796. Sulle questioni originate dalla pronuncia: S. Patti, La giurisprudenza in tema di assegno di divorzio e il diritto comparato, in Nuova giur. civ. comm., 2020, 454; M. Bianca, Il nuovo orientamento in tema di assegno divorzile. Una storia incompiuta, in Foro it., 2017, I, 2707, E. Quadri, I coniugi e l’assegno di divorzio tra conservazione del “tenore di vita” e “autoresponsabilità”: persone singole senza passato?, in Corr. giur., 2017, 885, Al Mureden, L’assegno divorzile tra autoresponsabilità e solidarietà post-coniugale, in Fam. e dir., 2017, 636. La Cassazione a Sezioni unite (29.11.1990, nn. 11489, 11490, 11491 e 11492, in Dejure), è intervenuta a seguito dell’inserimento del 6° comma nell’art. 5 della l. n. 898/1970, attuato con l. n. 74/1987 che ha condizionato l’obbligo del versamento al coniuge dell’assegno periodico alla mancanza di mezzi adeguati o all’impossibilità oggettiva di procurarseli (Cass. 2.3.1990, n. 1652, in Dir. fam., 1990, 437, aveva parametrato l’assegno al modello di vita “economicamente autonomo e dignitoso” e non al tenore di vita precedente). Cass. n° 11490/1990 è commentata in Giust. civ., 1990, I, 2798, da E. Quadri, Assegno di divorzio: la mediazione delle sezioni unite, in Foro it., 1991, I, 68 ss. e da V. Carbone, Urteildämmerung; una decisione crepuscolare (sull’assegno di divorzio), in Riv. dir. civ., 1991, 2, 221 ss., da C.M. Bianca, Natura e presupposto dell’assegno di divorzio: le sezioni unite della Cassazione hanno deciso. Sul criterio del tenore di vita inteso come tetto massimo, contrapposto nel minimo al diritto agli alimenti G. Gabrielli, L’assegno di divorzio in una recente sentenza della Cassazione, in Riv. dir. civ., 1990, II, 543. Così, Cass., sez. un., n°11490/1990. A favore del tenore di vita quale criterio per la determinazione dell’assegno di divorzio (e della sua natura assistenziale) C.M. Bianca, Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio, Sub art. 5, l. n. 989/1970, in Comm. dir. it. fam., a cura di Cian-Oppo-Trabucchi, Padova 1993, VI, 1, 338 ss.; Id., Diritto civile. La famiglia, Milano, 5. a ed., 2014, 297 ss.; Dogliotti, Più luci che ombre nella riforma del divorzio, in Giust. civ., 1987, II, 493; Id., Separazione e divorzio, Torino, 1995, 220 ss. Fondano la natura assistenziale dell’assegno sul principio di solidarietà post-coniugale: C.M. Bianca, Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio, cit., 337; Bruscuglia-Giusti, Commentario alla riforma del divorzio, Sub art. 5, Milano, 1987, 77-78; G. Ceccherini, I rapporti patrimoniali nella crisi della famiglia e nel fallimento, Milano, 1996, 324; Ferrando, Le conseguenze patrimoniali del divorzio tra autonomia e tutela, in Dir. Fam., 1998, 727; Id., Il matrimonio, in Tratt. dir. civ. comm. Cicu-Messineo, Milano, 2015, 106. In giurisprudenza: Cass. 12.10.2014, n° 21597, in Fam. e dir., 2014, 1136; Cass. 12.02.2013, n. 3398, in Foro it., 2013, I, 1464. Recentemente il principio è ribadito da Cass., 7.10.2019, n. 24935, in Foro it., 2019, 3486; Cass. 9.8.2019, n° 21228, in Dejure. Fondano la solidarietà post-coniugale sui principi di autodeterminazione e autoresponsabilità Cass., 13.2.2020, n. 3661, in Dejure, e Cass., 9.3.2020, n. 6519, entrambe in Ilfamiliarista.it. Sostiene da sempre la natura composita dell’assegno E. Quadri, La nuova legge sul divorzio, I, Profili patrimoniali, Napoli, 1988, 23 ss.; Id., La natura dell’assegno di divorzio dopo la riforma, in Foro it., 1989, I, 2513. Esprimono, ex aliis, riserve sul tenore di vita: Ferrando, Il matrimonio, cit., 108; Bonilini, L’assegno post-matrimoniale, in Lo
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L’intervento dirompente della Cassazione avvenuto con la sentenza n° 11504 del 2017, in una controversia con cospicui patrimoni in gioco, ha tentato di ridelineare le funzioni dell’assegno con l’obiettivo di cancellare la concezione patrimoniale del matrimonio come “sistemazione definitiva” e di sganciare definitivamente l’adeguatezza dei mezzi dal criterio del tenore di vita, per promuovere un’interpretazione volta a garantire il mantenimento di un’“esistenza dignitosa”, basato sul “principio di autoresponsabilità economica dei coniugi”. Nel confermare la distinzione del giudizio in due fasi (an e quantum), la Corte pone l’attenzione sulla persona del coniuge “debole” con l’obiettivo di valutare l’adeguatezza dei mezzi con un criterio basato sulla sua indipendenza o autosufficienza economica, compiendo un giudizio comparativo delle circostanze inerenti al rapporto matrimoniale. Qualche anno prima, l’intensificarsi del dibattito sul parametro del tenore di vita, accompagnato dai rilievi della dottrina che già aveva segnalato l’opportunità di prendere ispirazione dalle soluzioni accolte in altri ordinamenti europei, suggerendo una responsabilizzazione dei coniugi anche nella fase dello scioglimento del rapporto, aveva determinato l’intervento della Corte costituzionale che, nel respingere la questione di legittimità dell’art. 5, 6° comma, sollevata per contrasto con gli artt. 2, 3 e 29 Cost., sulla base dell’eccessiva tutela fornita al coniuge economicamente più debole, aveva confermato il criterio del tenore di vita come tetto massimo della misura dell’assegno purché bilanciato con gli altri indicatori previsti nella norma4. Sull’onda delle critiche mosse alla “misurabilità” dell’indipendenza economica, quale possibile fonte di un divario tra le condizioni patrimoniali degli ex coniugi e di una giurisprudenza di merito non uniforme, sono intervenute le Sezioni unite nel 2018 che, nel giustificare attraverso l’autodeterminazione e l’autoresponsabilità dei coniugi, il protrarsi del principio di solidarietà oltre la fase fisiologica del rapporto, hanno dettato un vademecum che prevede un’operazione articolata nell’accertamento del dislivello reddituale dei coniugi, nell’analisi delle relative cause, ricavabili dal “contesto sociale del richiedente” – id est il modello di relazione familiare e di condivisione delle scelte organizzative della famiglia
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svolgimento del matrimonio, a cura di Bonilini e Tommaseo, in Comm. Schlesinger, Milano, 2010, 585; Bonilini e Natale, L’assegno post matrimoniale, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da Bonilini, III, La separazione personale tra coniugi. Il divorzio. La rottura della convivenza more uxorio, Milano, 2016, 2917. Per un’interpretazione dell’adeguatezza che tiene conto, non tanto di un bisogno in senso tecnico, quanto delle esigenze di mantenimento del coniuge debole v. Macario, in Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio, a cura di N. Lipari, Sub art. 10, Padova, 1988, 103; Barbiera, Il divorzio dopo la seconda riforma, Bologna, 1988, 97; Alcaro, Note in tema di assegno divorzile. il “tenore di vita in costanza di matrimonio”, un’aporia interpretativa?, in Fam e dir., 2013, 1081 ss. Corte Cost., 11.2.2015, n. 11, in Fam. e dir., 2015, 537, con nota di Al Mureden, Assegno divorzile, parametro del tenore di vita coniugale e principio di autoresponsabilità. L’ordinanza di rimessione che pone in evidenza l’irragionevolezza del criterio che consente di prolungare all’infinito i vincoli economici del matrimonio è del Trib. Firenze, 22.3.2014, in Fam. e dir., 2014, 687, con nota di Sesta, Negoziazione assistita e obblighi di mantenimento nella crisi della coppia, in Fam. e dir., 2015, 302. In un ordinamento vicino al nostro, quello francese, ad esempio, la prestation compensatoire per il coniuge debole è contemplata nell’art. 270 del code civil che prevede il pagamento una tantum e solo in caso di impercorribilità di tale soluzione il pagamento di un assegno periodico con un limite di tempo, derogabile solo in casi eccezionali (artt. 275, 276). Sull’esigenza di responsabilizzazione: Ferrando, Il matrimonio, cit., 110 e S. Patti, Il diritto europeo della famiglia, in Ferrando, Fortino, Ruscello (a cura di), Famiglia e matrimonio, in Tratt. dir. fam., a cura di Zatti, I, 1, 2ª ed., Milano, 2011, 115.
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concordato dai coniugi al momento della formazione del vincolo – e in una quantificazione dell’assegno finalizzata ad assicurare un livello reddituale adeguato al contributo dato dal coniuge alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno, secondo una logica di perequazione e compensazione che sembra rivitalizzare l’interpretazione della natura “composita” dell’assegno che era stata offerta prima del 19905. La descritta valutazione, in cui i parametri indicati dalla Cassazione (che ricalcano il dettato legislativo di cui all’art. 5, 6° comma, l. div.) sono definiti “equiordinati”, prevede la verifica dell’esistenza di un rapporto causale tra lo squilibrio economico patrimoniale e i ruoli ricoperti da ciascuno dei coniugi all’interno della famiglia, i differenti apporti di tipo patrimoniale o personale, i sacrifici delle aspettative (professionali e reddituali) di un coniuge a favore dell’altro o affrontati per dedicarsi esclusivamente alla famiglia che divengono oggetto di prova in giudizio, tenuto conto delle potenziali capacità lavorative del coniuge alla fine del rapporto, della sua età e della durata del matrimonio6.
2. La rilevanza del ruolo endofamiliare svolto dal coniuge. Le decisioni successive alla sentenza n° 18287/2018, nell’uniformarsi alle direttive in essa contenute, impongono al coniuge che richiede l’assegno l’onere probatorio degli
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La vicenda riguarda un matrimonio di lunga durata, senza assegno di mantenimento in separazione, ma in presenza redditi di lavoro di entrambi i coniugi (benché di tenore diverso) e un accordo “diretto a riequilibrare” i loro patrimoni. Cass., sez. un., 11.7.2018, n. 18287, in Giur. it., 2018, 1843, con nota di Rimini, Il nuovo assegno di divorzio: la funzione compensativa e perequativa; in Foro it., 2018, I, 2703, con nota di M. Bianca, Le sezioni unite e i corsi e i ricorsi giuridici in tema di assegno divorzile: una storia compiuta?; in Fam. e dir., 2018, 971, con nota di E. Quadri, Il superamento della distinzione tra criteri attributivi e determinativi dell’assegno. A favore della natura polifunzionale dell’assegno, nel dibattito che ha preceduto la decisione: E. Quadri, La nuova legge sul divorzio, I, cit., 34; Tommasini, Il diritto all’assegno di divorzio: criteri di determinazione, in E. Quadri (a cura di), La riforma del divorzio, Napoli, 1989, 283. Tra le numerose posizioni critiche nei riguardi della posizione assunta dalla Cassazione nel 2017: Al Mureden, L’assegno divorzile tra autoresponsabilità e solidarietà post-coniugale, cit., 636 ss.; Rimini, Assegno divorzile e regime patrimoniale della famiglia: la ridistribuzione della ricchezza fra coniugi e le fragilità del sistema italiano, in Riv. dir. civ., 2020, 422. Prima della pronuncia delle Sezioni unite aderiscono all’orientamento espresso da Cass. n.11504/2017, tra le altre: Cass. 7.2.2018, n°3016, in Dirittoegiustizia.it; Cass., 7.2.2018, n. 3015, in Pluris, che in ossequio ai principi di cui alla sentenza del 2017, non consente la revisione dell’assegno in aumento al coniuge che ha abbandonato l’attività lavorativa; Cass. 26.1.2018, n. 2042 e 2043, in Fam. e dir., 2018, 321; Cass., 29.8.2017, n. 20525 e Cass., 27.7.2017, n. 18111, in Dejure. Tra i tribunali di merito: Trib. Avellino, 10.5.2018, Trib. Isernia, 9.12.2017, entrambe in Dejure. A favore di un’applicazione flessibile del criterio: App. Roma, 29.5.2018, in Redaz. Giuffré; App. Ancona, 12.4.2018, in Dejure; App. Napoli, 22.2.2018, in Fam. e dir., 2018, 360; Trib. Roma, 11.9.2017, in Dir. fam. pers., 2018, I, 527, che riconosce l’assegno al coniuge dedicatosi a lungo al governo della famiglia e all’ausilio dell’altro coniuge, anche se percettore di reddito. Trib. Forlì, 29.1.2018, in Dejure, secondo cui la transizione dal tenore di vita goduto in costanza di matrimonio al parametro dell’autosufficienza economica impone di tenere conto del ruolo sociale che l’ex coniuge ha raggiunto come persona singola con riguardo all’età, allo stato di salute, alla storia personale, al tipo di impiego e al patrimonio del coniuge richiedente. Prima della novella del 1987, la natura “composita” (assistenziale, risarcitoria e compensativa) dell’assegno è stata proclamata da Cass., sez. un., 26.4.1974, n. 1194, in Foro it., 1974, I, 1335 e Cass., 9.7.1974, n. 2008, in Giur. it., 1975, I, 1, 449. In dottrina sulla natura dell’assegno ante riforma, ex aliis, E. QUADRI, Rapporti patrimoniali nel divorzio, Napoli, 1986; Trabucchi, La funzione di assistenza nell’assegno di divorzio e l’assegno in corso di separazione, in Giur. it., 1982, I, 1, 43; G. Ceccherini, Natura e funzione dell’assegno al coniuge divorziato, in Foro it., 1977, V, 235; Zatti, La legge sul divorzio: contenuti e spunti problematici, in Riv. dir. civ., 1971, II, 30. Sesta, Attribuzione e determinazione dell’assegno divorzile: la rilevanza delle scelte di indirizzo della vita familiare, in Fam e dir., 2018, 987. Cass., 28.2.2020, n. 5603, in Dejure.
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apporti, dei sacrifici e delle rinunce con la dichiarata finalità di accertare il grado di partecipazione alla formazione del patrimonio familiare e personale, alla luce della funzione compensativa e perequativa dell’assegno delineata dalle Sezioni unite7. Conseguentemente, l’assegno è escluso o ridotto quando non sia stata data dimostrazione dell’impegno assunto all’interno della famiglia o delle rinunce sul piano lavorativo8, quando la mancanza di una prospettiva di lavoro o di carriera professionale derivi dalla carenza di iniziativa nel realizzare le proprie potenzialità professionali e reddituali o nel ricercare un’occupazione9, oppure quando, nel corso del matrimonio, il coniuge abbia già ricevuto dall’altro elargizioni patrimoniali, in termini di denaro o beni immobili, atte a compensare i sacrifici compiuti10. Tale approccio riduce la difficoltà di valutazione nelle vertenze aventi per oggetto rapporti matrimoniali senza figli e di breve durata11, nelle relazioni in cui il coniuge avente diritto ha formato una nuova famiglia con prole12 o in cui la disparità economica non è eccessiva, ma complica il quadro quando il coniuge richiedente ha svolto per lungo tempo un ruolo prevalentemente domestico13, ha esercitato un’attività lavorativa al di fuori della famiglia, occupandosi tuttavia, al contempo, dell’organizzazione della casa e dei figli, nei matrimoni di lunga durata in cui uno dei due abbia, per decisione comune, rinunciato a sviluppare la propria professionalità, nel caso di età matura del coniuge richiedente, oppure, sul versante del coniuge obbligato, nelle unioni in cui l’elevato livello reddituale sia preesistente al matrimonio o sia stato raggiunto indipendentemente dal contributo dell’altro14. L’ultimo aspetto citato, in particolare, è oggetto di due pronunce della Cassazione del 2019 che non è superfluo richiamare in quanto, nel negare l’assegno in circostanze di particolare agiatezza del coniuge che sarebbe stato tenuto al pagamento, sembrano perpetrare un contrasto interpretativo che è in realtà sconfessato dall’intento di valorizzare
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Cass., 29.1.2019, n.2480, in Dejure, considera tra i criteri valutabili anche la mancata richiesta dell’assegno in sede di separazione; Cass., 3.1.2019, n. 1882, in Fam. dir., 2019, 323, riconosce il contributo dato dal coniuge dedito alla cura del figlio autistico; Cass., 5.3.2019, n° 6386, in Foro it., 2019, I, 1181, con nota di Luccioli, nega il diritto per mancanza di prova del contributo dato alla conduzione della famiglia a seguito della riduzione del reddito del coniuge tenuto al pagamento. Appare disattendere l’indirizzo segnato, perpetrando il criterio del tenore di vita Cass., 14.2.2019, n. 4253, in Ilfamiliarista.it. 8 Cass., 7.10.2019, n. 24934, in Dejure; Cass., 17.4. 2019, n. 10782, in Foro it., 2019, I, 2338, con nota di Macario; Trib. Pavia, 23.7.2018, in Nuova giur. civ. comm., 2019, I, 530, con nota di Rimini; App. Bologna, 15.5.2019, in Fam. e dir., 2019, 1083, con nota di Al Mureden; App. Napoli, 10.1.2019, in Nuova giur. civ. comm., 2019, I, 530, con nota di Rimini; Trib. Treviso, 1.2.2019, in Nuova giur. civ. comm., 2019, I, 1017, con nota di Benanti. 9 Cass., 13.2.2020, n°3661, in Dejure, in cui la l’attività lavorativa era stata interrotta senza alcuna giustificazione e senza ricerca di altra occupazione; Cass., 18.10.2019, n. 26594, in Ilfamiliarista.it. 10 Cass., 30.8.2019, n. 21926, e Cass., 9.8.2019, n. 21234, cit.; Cass. 11.12.2019, n. 32398, in Dejure. 11 Cass. 7.5.2019, n. 12021, in Il familiarista.it; Cass., 19.6.2019, n. 16405, in Dir. fam. pers., 2019, I, 1172. 12 La formazione di una nuova famiglia da parte del coniuge tenuto al pagamento dell’assegno può determinare la riduzione o l’esclusione dell’assegno (Cass., 19.3.2014, n. 6289, in Fam. e dir., 2015, 537), mentre il caso opposto fa cessare il diritto all’assegno (Cass., 28.2.2020, n. 5606, in Guida al dir. 2020, 22, 85; Cass., 28.2.2019, n. 5974, in Dejure; Cass., 3.4.2015, n. 6855, con nota di Ferrando, Famiglia di fatto e assegno di divorzio. Il nuovo indirizzo della Corte di Cassazione, in Fam. e dir., 2015, 554). 13 Cass., 11.12.2019, n. 2398, in Dejure. 14 Cass., 30.8.2019, n. 21926, in Corr. giur., 2019, 1174 ss., con nota di E. Quadri; Cass., 9.8.2019, n. 21234, in Dejure.
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l’area di incidenza dell’autonomia privata in materia familiare e responsabilizzare i coniugi rispetto a quelle scelte sulla conduzione familiare che possono ripercuotersi anche sulla fase successiva allo scioglimento del matrimonio15. La sentenza n.21234 del 2019 sembra voler tracciare una linea di continuità tra l’indirizzo restrittivo adottato nel 2017 e quello adottato dalle Sezioni Unite nel confermare l’“imprescindibile finalità assistenziale dell’assegno”, ma l’argomentazione si sviluppa attraverso la rievocazione dei dicta dell’orientamento restrittivo ed è centrata sul concetto di “indipendenza o autosufficienza economica” da leggersi come “esigenza di vita dignitosa”16. Un alto livello reddituale, anche nel contesto di un matrimonio di lunga durata, non giustifica, secondo la Corte, l’imposizione di un obbligo sul coniuge più abbiente poiché suscita l’idea di un prelievo forzoso e di un trasferimento patrimoniale privo di causa. Con la finalità di escludere una quantificazione dell’assegno consistente in una acritica percentuale sul reddito del coniuge (come deciso in appello), alla funzione compensativa è assegnato un ruolo meramente eventuale e “concorrente”, con effetti correttivi, limitato ai casi in cui il coniuge ha partecipato alla formazione del patrimonio comune e dell’altro. La non autosufficienza economica e/o la necessità di ottenere un assegno periodico quale compensazione per il contributo dato durante la vita matrimoniale avrebbero comunque l’effetto di determinare un “parziale riequilibrio” delle condizioni patrimoniali che dovrebbe completarsi con la verifica dell’eventuale trasferimento di beni da un coniuge all’altro in costanza di matrimonio, nell’ambito dell’indagine sulla funzione “riequilibratrice” dell’assegno. L’ordinanza n.21926 del 2019, relativa al divorzio Berlusconi-Lario, caso “estremo” dal punto di vista delle ricchezze in gioco, uniformandosi ai principi espressi dalle Sezioni Unite, accerta, ai fini dell’adeguatezza dei mezzi e tramite l’esame comparativo delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, l’esistenza di una profonda disparità economica tra le parti. L’assegno viene negato sotto il profilo “strettamente assistenziale”, ma anche compensativo e perequativo, per mancanza di un rapporto di causalità tra il ruolo endofamiliare svolto da un coniuge e la formazione dell’ingente patrimonio dell’altro, sia per ragioni di agiatezza pregressa al matrimonio, “non influenzata dalla conduzione della vita familiare”, sia per essere stata già assolta la funzione compensativa dell’assegno grazie alle acquisizioni patrimoniali avvenute nel corso del matrimonio17. In ambedue le vicende riassunte l’assegno non è riconosciuto con un’argomentazione fondata sulla funzione compensativa dell’assegno, ritenuta già assolta nel corso della vita matrimoniale, ma solo
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Entrambe citt. nella nota precedente. Cass., 9.8.2019, n. 21234, in Fam e dir., 2019, 1080. 17 Trattandosi della domanda di revoca dell’assegno è affrontata nel caso anche la questione della ripetizione dell’indebito che i giudici negano in virtù dell’art.9, 1° comma, l. div., in virtù dell’efficacia ex nunc e non ex tunc delle modifiche del regime dei rapporti economico-patrimoniali conseguenti allo scioglimento del vincolo. 16
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l’ordinanza n. 21926/2019 dichiara di applicare i principi espressi nel precedente delle Sezioni Unite, dichiarando che, secondo i parametri di cui all’art. 5, 6° comma, l. div., non ricorrano i presupposti per un’ulteriore compensazione, mentre la sentenza n. 21234/2019, nell’individuare quale parametro l’esigenza di una vita dignitosa, sembra suffragare un indirizzo interpretativo fonte di possibile disomogeneità delle decisioni future. A ben vedere, entrambe le pronunce pervengono al risultato di escludere l’assegno quando la funzione assistenziale, nelle descritte componenti compensativa e perequativa, sia già stata soddisfatta in precedenza. Il richiamo al precedente del 2017 che la Corte, con la sentenza n°21234/2019, ritiene non sia stato superato, ma semplicemente corretto dalle Sezioni unite, è in realtà compiuto per evitare la rivitalizzazione del criterio del tenore di vita attraverso una quantificazione dell’assegno automatica, in percentuale sul reddito, priva di un concreto riferimento alle condizioni personali e patrimoniali complessive dei coniugi; la medesima conclusione si sarebbe potuta raggiungere con la comparazione delle loro condizioni patrimoniali che avrebbero rivelato quanto già significativamente percepito dal coniuge “debole” nel corso della vita coniugale. Nel giudizio sull’adeguatezza dei mezzi assumono dunque una posizione di rilievo sia il contributo dato alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di entrambi la cui rilevanza determina, secondo l’interpretazione data dalla giurisprudenza, il riconoscimento di valore al lavoro prestato in famiglia in chiave compensativa se non perfino retributiva, sia i trasferimenti di beni già avvenuti in costanza di matrimonio dal cui computo restano escluse le risorse economiche preesistenti al matrimonio. Tale indagine presuppone una verifica della capacità reddituale del coniuge “debole” determinata da scelte abdicative o riduttive, delle competenze, delle potenzialità professionali e della vita lavorativa precedente al matrimonio, che consente di far luce specularmente sui vantaggi conseguiti dall’altro coniuge (anche parzialmente) anche in termini di risparmio nelle attività di gestione domestica e familiare e di corrispondente maggiore remunerazione derivante dalla maggiore disponibilità di tempo destinata all’attività lavorativa. Il nuovo assetto redistributivo che dovrebbe trovare soddisfazione con l’attribuzione dell’assegno viene a delinearsi anche con il ricorso al criterio della durata del matrimonio con cui si conferisce il giusto rilievo ai sacrifici effettuati nel corso del tempo dal coniuge a favore della famiglia, evitando al contempo l’attribuzione di un reddito in virtù di un legame matrimoniale di modesta durata e con il richiamo all’elemento normativo delle “condizioni dei coniugi” che, nel considerare nella valutazione le condizioni di salute e dell’età del coniuge, permette di calibrare l’assegno quando le ragioni anagrafiche o di fragilità personale rappresentino un limite al reinserimento della persona nel mondo del lavoro18.
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Evoca figure come la rendita o l’assicurazione vitalizia Bonilini, L’assegno post-matrimoniale, cit., 595. Sul rischio di rendite parassitarie post-coniugali, Macario, Commento alla legge 6.3.1987, n. 74, Sub art. 10, in Nuove leggi civ. comm., 1987, 900.
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3. Autodeterminazione dei coniugi e natura polifunzionale dell’assegno di divorzio.
L’orientamento più recente, con l’eccezione di qualche pronuncia espressiva di una certa discontinuità per il rinvio al parametro dell’indipendenza economica, prosegue nel percorso tracciato dalle Sezioni unite nell’accertare l’adeguatezza dei mezzi con riferimento alle condizioni economico-patrimoniali delle parti, oltre che degli “investimenti” personali e patrimoniali compiuti dai coniugi nel dedicarsi alla realizzazione del progetto familiare, ribadendo la funzione compensativa e perequativa dell’assegno che la Cassazione ha dichiarato essere intrinseca alla natura assistenziale19. Nel seguire tale impostazione, deve tuttavia tenersi conto del fatto che, essendo le scelte concordate frutto dell’autonomia dei coniugi ed espressive del loro libero consenso, la condivisione di un programma di vita non può costituire il pretesto per legittimare un arricchimento fondato sull’esistenza del vincolo matrimoniale, degli apporti e delle rinunce, attraverso l’imposizione del pagamento di una somma calcolata includendo tutti i beni acquisiti dal coniuge dopo il matrimonio e trasferendo all’altro una parte del patrimonio, soprattutto quando il progetto matrimoniale svanisce in tempi relativamente brevi o consente al coniuge “debole”, se ancora idoneo dal punto di vista lavorativo, di riorganizzare comunque la propria vita in modo indipendente. L’assegno tutela il coniuge contro il rischio di condurre un’esistenza post matrimoniale priva del necessario sostegno economico, ma non può trasformare il dovere di assistenza ultra-matrimoniale, ricondotto agli artt. 2 e 29 Cost., in un mezzo per garantire – ad onta della funzione assistenziale – il precedente status economico avallando quella rendita parassitaria che il recente indirizzo vuole impedire, a meno di non voler attribuire all’assegno anche una valenza risarcitoria o sanzionatoria. Sotto questo profilo, una definizione della funzione dell’assegno in termini di riequilibrio e perequazione e non tanto di compensazione ne esprime meglio la natura, evocando la compensazione piuttosto una sorta di “retribuzione” o una “corrispettività” delle prestazioni dei coniugi in spregio dell’affectio coniugalis su cui dovrebbe fondarsi il legame matrimoniale e adombrando l’idea di una “restituzione” di indole risarcitoria non compatibile con il rilievo attribuito dalle Sezioni unite all’autodeterminazione e all’autoresponsabilità dei coniugi nella suddivisione dei ruoli endofamiliari, rilevante nel riconoscimento dell’assegno e in contrasto con il necessario accertamento di un danno patrimoniale o non patrimoniale derivante da una condotta illecita che resta soggetto alle regole della responsabilità civile oggi invocabili anche nel diritto di famiglia20.
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Cass., 7.10.2019, n. 24932 e 24934, in Dejure, l’ultima delle quali resa in un caso di condizioni economiche della famiglia non particolarmente elevate. 20 L’innovativa idea della compatibilità tra diritto di famiglia e responsabilità civile, ancorché nel rispetto delle regole che governano i due sistemi, successivamente accolta dalla giurisprudenza, è espressa nel 1984 da S. Patti, Famiglia e responsabilità civile, Milano,
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Se si volesse dare ingresso alla funzione risarcitoria potrebbe essere utilizzato il parametro delle ragioni della decisione che, invece, è disapplicato nei divorzi preceduti da separazione perché la responsabilità per il fallimento del matrimonio viene già giudicata in sede di separazione con addebito, mentre sul versante sanzionatorio, sia il tenore letterale dell’art. 5, sia il sistema di tutele rimediali applicabili in peculiari situazioni specificamente previste dalla legge (ad es. artt. 129-bis c.c. e 709-ter c.p.c.), inducono ad escludere la natura sanzionatoria dell’assegno21. Nella prospettiva riequilibratrice di cui sopra, il compito del giudice nella valutazione del diritto ad ottenere l’assegno e nella traduzione in un quantum può essere agevolato se il rapporto coniugale viene osservato da un punto di vista solidaristico e dinamico nel quadro delle norme che attribuiscono valore agli accordi sull’assetto globale della famiglia di cui all’art. 144 c.c., ma anche nel contesto degli artt. 159 e 162 c.c. che, generalmente ignorati nelle decisioni sull’assegno divorzile, possono essere utilmente invocati in questa fase, non essendo indifferente il regime patrimoniale della famiglia scelto rispetto alla ripartizione dei beni da attuarsi alla cessazione del rapporto. La comunione legale, ispirata ad una logica di favore per il coniuge debole, che oggi non rientra tra le preferenze dei giovani sposi, diversamente dalla separazione dei beni realizza già in parte una funzione di riequilibrio del dislivello reddituale; in tal caso, il riconoscimento dell’assegno, quando non si verta solo sui bisogni e sull’assistenza in senso stretto, ma anche sui sacrifici fatti o i torti subiti durante il matrimonio, potrebbe far riemergere una vena risarcitoria, appartenente ad un’interpretazione ritenuta superata22. Il giudice dovrebbe allora indagare sulla sistemazione degli aspetti patrimoniali nell’ambito del regime patrimoniale della famiglia e/o sulle elargizioni compiute da un coniuge all’altro, valutando in quale misura, ad esempio, nel caso di comunione legale, il riequilibrio possa (anche parzialmente) essere stato già raggiunto nel contesto dell’art. 177 c.c., valorizzando la partecipazione del coniuge a quanto realizzato nella vita matrimoniale attraverso la funzione “perequativo-compensativa” e non solo assistenziale dell’assegno quando il regime patrimoniale adottato non sia idoneo a raggiungere il suddetto risultato. Nell’ambito del progetto familiare concordato, inoltre, dovrebbe acquisire maggiore rilievo la funzione genitoriale svolta dai coniugi, alla quale la giurisprudenza attribuisce un ruolo modesto, richiamando in rare occasioni, quando si tratti di questioni inerenti l’assegno per il coniuge, gli artt. 147, 148 e 316-bis c.c., relativi all’impegno nella cura dei figli, sia nel caso di attività svolta dal coniuge/genitore esclusivamente all’interno della famiglia,
1984. Tra le prime decisioni in tal senso: Cass. 10 maggio 2005, n. 9801, in Foro it., 2005, 367 con nota di Sesta e di Facci; recentemente Cass., 7.3.2019, n. 6598, in Dir. fam., 2019, 600. 21 Critico Rimini, Il nuovo divorzio, in La crisi della famiglia, II, in Tratt. dir. civ. comm., diretto da Cicu-Messineo-Mengoni, continuato da Schlesinger, Milano, 2015, 134 ss., spec. 136. In giurisprudenza App. Napoli, 10.1.2019, in Ilfamiliarista.it, confina il criterio ai casi di divorzio non preceduto da separazione. Sul tema Longo, Il sistema sanzionatorio nel diritto di famiglia, Milano, 2018, spec. 61 ss. 22 Evidenzia l’opportunità di ampliare l’indagine, comprendendo il regime patrimoniale della famiglia e l’eventuale configurabilità di un’impresa familiare Balestra, L’assegno divorzile nella prospettiva delle Sezioni Unite, in Familia, 2019, 19.
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sia nel caso di assunzione di un ruolo anche sul fronte lavorativo. La durata del matrimonio e l’effettivo contributo offerto nella fase della crescita dei figli dovrebbero invece contribuire a delineare il profilo economico-patrimoniale della famiglia e di ciascuno dei due coniugi/genitori, con specifica valutazione delle rinunce resesi necessarie per dedicarsi in via esclusiva o concorrente alla prole e verifica della possibilità per il coniuge di ricostruire un percorso lavorativo corrispondente alle sue attese. È ragionevole infatti ritenere che il genitore che, ad esempio, ha scelto in accordo con l’altro di svolgere attività lavorativa part-time, partecipando anche economicamente ai bisogni familiari, occupandosi dei figli per il resto del tempo a sua disposizione e facendo affidamento sulla durata dell’unione matrimoniale, possa manifestare un’esigenza riequilibratrice diversa (ed eventualmente più forte) da quella sentita da chi ha concentrato la sua vita solo all’interno della famiglia.
4. La valorizzazione dell’autonomia privata nella determinazione dell’assegno.
Assicurare un adeguato livello di protezione in presenza di una disparità economica tra i coniugi, pur nell’osservanza dei criteri sopra descritti, richiede un’operazione di quantificazione che può essere fonte di imprevedibilità delle decisioni. Gli indicatori previsti dalla legge e declinati dalla Cassazione non sono facilmente traducibili in denaro e il giudizio si basa spesso su una valutazione prognostica delle opportunità per il coniuge di ricevere un contributo diretto a neutralizzare gli effetti negativi sul suo patrimonio derivanti dalle rinunce, indipendentemente da un’effettiva possibilità di ricollocamento sul mercato del lavoro che potrebbe essere escluso o ammesso per ragioni di età, per non aver la persona sviluppato una competenza professionale o, più facilmente, per ragioni oggettive di mercato. Sul piano della determinazione della somma periodica, le proposte formulate in dottrina contemplano l’utilizzo di metodi tabellari, l’applicazione dei criteri di liquidazione già elaborati nel danno da perdita di chance, il richiamo del parametro della retribuzione media per un’analoga attività di organizzazione domestica23. Quest’ultimo metodo non convince, non solo perché equipara il ruolo del coniuge a quello svolto da un lavoratore subordinato, ma anche perché non soddisfa l’esigenza perequativa ancorata alle condizioni degli ex coniugi richiamata nelle pronunce, con la conseguenza che la situazione del coniuge che ha rinunciato ad una carriera lavorativa basata su titoli di studio e professionali è conside-
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La difficoltà di rendere oggettiva è segnalata da Sesta, Attribuzione e determinazione dell’assegno divorzile: la rilevanza delle scelte di indirizzo della vita familiare, in Fam. e dir., 2018, 989 ss. che propone il ricorso ad un metodo tabellare o al criterio adottato in tema di perdita di chance. Sul parametro retributivo: Mondini, L’assegno di divorzio dopo la sentenza delle sezioni unite n° 18287/2018: indicazioni per il giudizio di merito, in Familia, 2018, 527 ss.
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rata equivalente a quella della persona che non possiede analoghe caratteristiche, mentre la Cassazione sembra voler riconoscere tale differenza, richiedendo la dimostrazione delle rinunce ad una carriera lavorativa. Il ricorso alla perdita di chance, benché idoneo a rappresentare la probabilità delle occasioni perdute e più facilmente adattabile alla situazione esaminata, introduce un meccanismo presuntivo che riproduce soluzioni proposte in tema di danno da rottura del legame matrimoniale espressive di una logica sanzionatoria non esplicitata nelle pronunce e che mal si concilia con la visione autonomistica che caratterizza il recente orientamento. Se dovesse adottarsi tale criterio, attualmente applicato soprattutto nel campo della responsabilità medica e del danno lavorativo, si rischierebbe di avallare il riconoscimento di una somma all’ex coniuge in virtù di una regola che non corrisponde al dettato normativo di cui agli artt. 2043 e 1223 c.c., in assenza della prova di un danno (e del nesso causale) che verrebbe ammesso su base probabilistica e attribuendo valore alla natura meramente patrimoniale della perdita che si può ipoteticamente rinvenire nella chance perduta, generando confusione sui contenuti di cui si compone la situazione giuridica soggettiva dell’ex coniuge24, oppure correndo il pericolo di ammettere un danno in re ipsa. Anche il metodo tabellare, che certamente è il più idoneo a garantire un’omogeneità delle pronunce sulla quantificazione, non convince appieno perché, mentre riduce i rischi di espansione della discrezionalità giudiziale, può dar luogo a valutazioni rigide e poco sensibili alle peculiarità della singola vicenda coniugale. Il riferimento, per ciascuno degli elementi presi in considerazione, ad un valore tabellare compreso tra un minimo e un massimo può essere utilizzato, a mio parere, solo procedendo contestualmente ad una “personalizzazione” del quantum su base equitativa che già in altri settori ha consentito di raggiungere obiettivi soddisfacenti sotto il profilo riparatorio, considerato che l’inquadramento entro schemi poco flessibili potrebbe condurre all’effetto opposto di appiattire situazioni che, invece, devono essere tenute distinte per storia familiare e condotta più o meno collaborativa dei coniugi25. La quantificazione deve pertanto essere fondata su un’indagine della situazione patrimoniale e personale dei coniugi e dei loro compiti all’interno della famiglia con esplicita indicazione dei parametri utilizzati. Sotto questo profilo, la redazione di linee guida, già adottate in alcuni Tribunali, mirate a rendere il più possibile uniforme il calcolo della somma dovuta a titolo di assegno, personalizzato in considerazione delle circostanze che l’autonomia privata dei coniugi ha delineato per il rapporto familiare potrebbe attenuare l’incertezza dell’esito del giudizio, pur riservando al giudice uno spazio di discrezionalità necessario ad adattare la determinazione del quantum al caso concreto.
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Dubbi in tal senso esprime E. Gabrielli, Il contratto, il torto e il danno da chance perduta: profili di un’ipostasi giurisprudenziale, in Judicium.it. 25 Sull’inesistenza di tale rischio: Cass., n. 18287/2018, cit., ma contra: RIMINI, Il nuovo assegno di divorzio: la funzione compensativa e perequativa, cit., 1860.
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Ai fini di mitigare l’imprevedibilità delle decisioni, potrebbe prospettarsi la corresponsione di un assegno periodico in un arco di tempo necessario a consentire al coniuge di riorganizzare la sua vita o di un assegno una tantum che è attualmente contemplato nei limiti dell’accordo delle parti e della valutazione di equità del tribunale (art. 5, 8° comma), ponendo così fine alla prosecuzione del rapporto sotto il profilo patrimoniale, giustificata dal principio di solidarietà, ma vissuta generalmente come una condanna. La soluzione potrebbe essere percorsa attraverso una modifica alla disciplina dell’art. 5, 8° comma, l. div., coerente con l’esperienza maturata in altri Paesi europei, che permetta al giudice di proporre e suggerire, in via primaria, il versamento dell’assegno in un’unica soluzione, anche mediante trasferimento di uno o più beni, previo accertamento della capacità economica del coniuge, con una valutazione compiuta secondo i criteri fissati dalla Cassazione e di cui al 6° comma dell’art. 5, soprattutto nei matrimoni di breve durata in cui l’esigenza assistenziale e compensativa è limitata e di imporre, solo in via residuale, qualora non sussistano le condizioni oggettive, il pagamento di un assegno periodico26. L’obiettivo compensativo-perequativo enunciato dalla giurisprudenza sarebbe realizzato con la liberazione dell’obbligato dal vincolo perpetuo sul piano economico e, nella prospettiva dell’autosufficienza economica vivificata nella sentenza n. 21234/2019, ne deriverebbe una responsabilizzazione del coniuge avente diritto il quale, investito del compito di provvedere all’impiego fruttuoso di quanto ricevuto, non sarebbe più favorito dall’ottenimento di un somma periodica che, ricordando una rendita vitalizia, sconta la difficile conciliabilità con lo scioglimento definitivo del rapporto coniugale. In questa prospettiva, il venir meno del diritto alla pensione di reversibilità non pare rappresentare un ostacolo27. Gli effetti positivi del raggiungimento di un accordo sulla sistemazione dei rapporti patrimoniali successivi al divorzio, oltre a porsi in linea con la tendenza affermatasi anche nel diritto di famiglia a risolvere le controversie in via non contenziosa e a concedere spazi all’autonomia privata, attestata dall’introduzione della negoziazione assistita e del divorzio c.d. “amministrativo” (artt. 6 e 12 l. n° 162/2014), potrebbero essere conseguiti se venisse definitivamente superata la ferma opposizione della giurisprudenza, contrastata da poche pronunce di segno opposto, al riconoscimento della validità degli accordi destinati a regolare il periodo successivo al divorzio. Anziché ostracizzati perché contrari ai principi di ordine pubblico di indisponibilità dello status, di inderogabilità dei diritti e doveri dei coniugi (art. 161 c.c.) e preclusivi dell’esercizio del diritto di difesa in giudizio (art. 24 Cost.), che appaiono peraltro affievolirsi ove l’accordo contempli per il coniuge debole un regime più favorevole del modello legale28, tali atti di autonomia, nella fase della crisi coniugale, potrebbero prevenire l’insorgere di un contenzioso attraverso una previsione anticipata dei trasferimenti, in forma
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Lo ricorda E. Quadri, C’è qualcosa di diverso oggi nell’assegno di divorzio, “anzi d’antico”, in Nuova giur. civ. comm., 2018, 1715 ss. Così la sentenza delle Sezioni unite della Cassazione 24.9.2018, n°22434, in Dejure. 28 Cass., 14.6.2000, n. 8109, in Notariato, 2001, 17 ss., con nota di Di Gregorio, Divorzio e accordi patrimoniali tra coniugi. 27
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periodica o una tantum, da attuare al momento della cessazione del vincolo, coerente con la finalità di tutela del coniuge debole che è sottesa alle decisioni contrarie all’ammissibilità degli accordi in vista del divorzio e posta a presidio della determinazione dei criteri di attribuzione dell’assegno divorzile29. Con il pagamento dell’assegno una tantum resta aperto il problema della revisione dell’assegno al variare in melius o in pejus delle condizioni del beneficiario, avendo la giurisprudenza posto un limite alla revisione dell’assegno ex art.9 l. div. solo quando i redditi o le sostanze dell’obbligato aumentano (e non quando diminuiscono) dopo il divorzio30; sotto questo profilo, se l’esigenza di riequilibrio cristallizza la valutazione delle condizioni patrimoniali dei coniugi al momento della cessazione del rapporto ed è compiuta sulla scorta delle modalità di attuazione del progetto familiare in costanza di matrimonio, l’eventuale cambiamento della capacità reddituale dell’obbligato non può che assumere una valenza neutra ed eliminare in radice ogni rischio di “ultrattività” del vincolo.
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Cass., 21.12.2012, n. 23713, in Foro it., 2013, I, 864. Mi si consenta di rinviare alle osservazioni a suo tempo svolte in Di Gregorio, Programmazione dei rapporti familiari e libertà di contrarre, Milano, 2003, 73 ss., 212 ss. 30 Cass.,18.3.1996, n. 2273, in Dir. fam., 1996, 1371.
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L’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza alla luce delle previsioni normative nazionali* Sommario : 1. L’assenza della autonomia finanziaria dell’Autorità garante per l’infanzia e la sua indipendenza. – 2. L’Autorità e le sue variegate competenze. – 3. L’Autorità ed i Garanti regionali per l’infanzia. – 4. Organizzazione ed attività dell’Ufficio dell’Autorità garante. – 5. L’Autorità garante come ombudsman che si richiama alla normativa italiana sul difensore civico.
The Authority for children and adolescents established by Law no. 112/2011, in order to ensure the full implementation and protection of the rights and interests of minors, in compliance with the provisions of the United Nations Convention on the Rights of the Child, as well as the European Convention on the Exercise of Children’s Rights. The competences of the Guarantor respond to the dictate of giving impetus to the implementation of international and specific standards and supervising its correct application, reporting to Parliament on its work at scheduled intervals, thereby getting closer to the model of the ombudsman rather than that of Independent administrative authorities.
1. L’assenza della autonomia finanziaria dell’Autorità garante per l’infanzia e la sua indipendenza.
Con la legge 12 luglio 2011, n. 112 si è provveduto ad istituire l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, al fine di assicurare in primis la piena attuazione e la tutela dei diritti e degli interessi delle persone di minore età, in conformità a quanto previsto dalle convenzioni internazionali, con particolare riferimento alla Convenzione sui diritti
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Il presente contributo è stato sottoposto a valutazione in forma anonima.
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del fanciullo, fatta a New York in sede ONU1 il 20 novembre 1989 e resa esecutiva dalla legge 27 maggio 1991, n. 176, alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n. 848, e alla Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, stipulata a Strasburgo il 25 gennaio 1996 e resa esecutiva dalla legge 20 marzo 2003, n. 77, nonché dal diritto dell’Unione europea e dalle norme costituzionali e legislative nazionali vigenti. L’Autorità in questione sembra però non avere le caratteristiche proprie dei modelli di Autorità amministrative indipendenti venutesi a creare in Europa a partire dagli anni Settanta dello scorso secolo. Infatti in quel periodo in Francia vi è stata l’istituzione di diverse autorités administratives indèpendantes2, nate come quelle similari (seppur in un diverso contesto amministrativo) in precedenza negli USA per finalità di protezione di diritti ed interessi rispetto ai cd. poteri forti, nella fase di passaggio da un’eccessiva regolamentazione amministrativa ad una meno incisiva regolazione3. In Gran Bretagna addirittura alle prime autorità indipendenti aventi un ruolo sostitutivo a quello giudiziario, si sono aggiunte autorità amministrative indipendenti, alle quali è stata affidata la titolarità di potestà normative e amministrative4. “Ciò è dipeso dal fatto che negli stati europei vi è stato un massiccio intervento dello Stato nell’economia e quando questo modello dirigistico è entrato in crisi, unitamente alla crisi dello Stato sociale, si è manifestata l’esigenza di una drastica riduzione della presenza pubblica nell’economia con l’introduzione, o il tentativo di introduzione di un modello neo-liberista, caratterizzato da un processo di privatizzazione dei settori economici in mano pubblica”5. Anche in Italia vi è stato l’erompere delle Autorità indipendenti6 negli ultimi quattro decenni per le crescenti critiche alla corruzione del potere politico e per il graduale processo di privatizzazione dei servizi pubblici, che ha richiesto l’affidamento di funzioni di regolazione ad autorità di settore, le cui caratteristiche principali sono la neutralità (intesa come indifferenza agli interessi in gioco), l’imparzialità (intesa come comportamento senza discriminazioni arbitrarie nei confronti dei soggetti destinatari dell’azione amministrativa)7
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È al Comitato Onu sui diritti del fanciullo che è demandato il controllo circa i diritti dell’infanzia, e nel General Comment (CRC/ GC/2002/2) del 13-31 gennaio 2003. Il Comitato, nel definire il ruolo delle istituzioni nazionali indipendenti per i diritti umani in materia di promozione e protezione dei diritti dell’infanzia, individuava nell’istituzione di ombudsman l’effettiva volontà politica di attuare i diritti dei bambini e degli adolescenti. Vedi M. Manetti, voce Autorità indipendenti (dir. Cost.), in Enc. giur., IV, Roma, 1997 3 (ad vocem), laddove evidenzia come la dottrina francese abbia tentato di giustificare l’esistenza di un’Autorità sottratte a vincoli gerarchici verso il Governo con l’individuazione di un nuovo modello di Amministrazione fondato sulla persuasione (soft power) anziché sull’autoritarietà (hard power). Vedi A. Predieri, L’erompere delle autorità amministrative indipendenti, Firenze, 1997, 62 ss. Sul modello statunitense e sulle differenze con quello della Gran Bretagna si rinvia a M. D’Alberti, voce Autorità indipendente (dir. Amm.), in Enc. giur., IV, Roma 1995, 5 (ad vocem). Vedi R. Chieppa, R. Giovagnoli, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2010, 242 Ancora A. Predieri, op. supra cit., 21 ss. Vedi V. Caianiello, Le autorità indipendenti tra potere politico e società civile, in Foro. amm., 1997, II, 368 ss.
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e indipendenza (intesa come combinazione dell’autonomia organizzatoria, contabile e finanziaria, ma altresì dei criteri di nomina dei componenti delle autorità e dell’assenza della possibilità che le funzioni neutrali siano assoggettate ai poteri di indirizzo e ad ingerenze di carattere politico). Inoltre nonostante l’istituzione di varie Autorità indipendenti, nel nostro ordinamento non vi è una disciplina organica del fenomeno, che ha avuto un suo riconoscimento indiretto dal legislatore con l’art. 2 comma 4 legge n. 59 del 1997 che ha escluso dal conferimento di funzioni e compiti dallo Stato alle Regioni e agli enti locali “i compiti di regolazione e controllo già attribuiti con legge statale ad apposite autorità indipendenti”8. Orbene il titolare dell’Autorità garante per l’infanzia9, avente comunque per previsione legislativa una indipendenza amministrativa ed assenza di vincoli di subordinazione gerarchica, deve essere scelto tra persone di notoria indipendenza, di indiscussa moralità e di specifiche e comprovate professionalità, competenza ed esperienza nel campo dei diritti delle persone di minore età10, nonché delle problematiche familiari ed educative di promozione e tutela delle persone di minore età, ed è nominato con determinazione adottata d’intesa dai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Il suo mandato, che dura quattro anni ed è rinnovabile per una sola volta, risulta incompatibile con attività professionali, imprenditoriali o di consulenza, ma anche con la posizione di amministratore o dipendente di enti pubblici o privati. Quindi per tutta la durata dell’incarico il titolare dell’Autorità garante non può esercitare, a pena di decadenza, alcuna attività professionale, imprenditoriale o di consulenza, non può essere amministratore o dipendente di enti pubblici o privati, né ricoprire altri uffici pubblici di qualsiasi natura o rivestire cariche elettive o incarichi in associazioni, organizzazioni non lucrative di utilità sociale, ordini professionali o comunque in organismi che svolgono attività nei settori dell’infanzia e dell’adolescenza11. Se dipendente pubblico, secondo l’ordinamento di appartenenza, è collocato fuori ruolo o in aspettativa senza assegni per tutta la durata del mandato. Riceve pertanto un’indennità di carica pari al trattamento economico annuo spettante a un Capo di Dipartimento della Presidenza del Consiglio dei ministri e comunque nei limiti della spesa autorizzata per l’istituzione. Il titolare dell’Autorità garante non può ovviamente ricoprire cariche o essere titolare di incarichi all’interno di partiti politici o di movimenti di ispirazione politica, per tutto il periodo del mandato.
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Cfr. R. Chieppa, R. Giovagnoli, op. supra cit., 241. Si vedano i saggi pubblicati in L. Strumendo (a cura di), Il Garante dell’infanzia e dell’adolescenza. Un sistema di garanzia nazionale nella prospettiva europea, Milano, 2007. 10 Vedi sulle misure di tutela amministrativa del minore A.C. Moro, Manuale di diritto minorile, Bologna, 3ª ed., 2008, 184 ss. 11 Norme similari sono previste altresì per coloro che vengono nominati dal Parlamento nelle Autorità amministrative indipendenti. Vedi al riguardo G. Amato, Autorità semi-indipendenti e autorità di garanzia, in Riv. trim. dir. pubbl., 1997, 645 ss.; S. Cassese, La nuova costituzione economica, Bari, 2000, 71; F. Merusi, M. Passaro, Le autorità indipendenti, Bologna, 2001, 62 ss. 9
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L’assenza di un’autonomia finanziaria dell’Autorità è ancora più palese nell’art. 5 della legge istitutiva, che istituisce e pone a supporto e comunque alle dipendenze dell’Organo monocratico l’Ufficio dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, composto ai sensi dell’articolo 9, comma 5-ter, d.lgs. 30 luglio 1999, n. 303. Le norme concernenti l’organizzazione dell’Ufficio dell’Autorità garante e il luogo dove ha sede l’Ufficio, nonché quelle dirette a disciplinare la gestione delle spese, sono state adottate con d.P.C.M. 20 luglio 2012, n. 168, su proposta dell’Autorità garante. Ferme restando l’autonomia organizzativa e l’indipendenza amministrativa dell’Autorità garante, la sede e i locali destinati all’Ufficio dell’Autorità medesima sono messi a disposizione dalla Presidenza del Consiglio dei ministri senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica12. Si rende così evidente che tutte le spese dell’Autorità comprese quelle per il suo Organo monocratico gravano su un apposito Fondo previsto all’uopo sul bilancio della Presidenza del Consiglio, talché l’autonomia finanziaria e contabile appare del tutto inesistente a differenza di quanto avviene per le Autorità amministrative indipendenti, che ne godono, per tutelare al meglio la loro indipedenza. Inoltre il non avere un ruolo autonomo per il suo personale, che pertanto deve essere preso in comando o in fuori ruolo dalle amministrazioni pubbliche, le pone in una dinamica di “relazione” con la P.A.
2. L’Autorità e le sue variegate competenze. Le competenze dell’Autorità garante rispondono al dettato di dare impulso all’attuazione di norme internazionali e specifiche e vigilando sulla sua corretta applicazione, relazionando a cadenze previste al Parlamento del suo operato. Pertanto gli sono state attribuite funzioni di impulso per l’attuazione della normativa e di garanzia per la buona amministrazione nel settore13, nonché funzioni di vigilanza effet-
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La formula senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica rappresenta una modalità per consentire autonomie di spesa che altrimenti potrebbero dar luogo ad un precipuo fondo nelle poste del bilancio dello Stato. 13 In particolare: a) promuove l’attuazione della Convenzione di New York e degli altri strumenti internazionali in materia di promozione e di tutela dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, nonché la piena applicazione della normativa europea e nazionale vigente in materia di promozione della tutela dell’infanzia e dell’adolescenza, ed altresì del diritto della persona di minore età ad essere accolta ed educata prioritariamente nella propria famiglia e, se necessario, in un altro ambito familiare di appoggio o sostitutivo; b) esercita le funzioni di cui all’art. 12 Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996 e resa esecutiva dalla legge 20 marzo 2003, n. 77, che prevede l’impegno degli stati aderenti di incoraggiare, tramite organi che esercitano, fra l’altro la promozione e l’esercizio dei diritti dei minori, attivandosi per : 1) proporre il rafforzamento dell’apparato legislativo relativo all’esercizio dei diritti dei minori; 2) formulare dei pareri sui disegni legislativi relativi all’esercizio dei diritti dei minori; 3) fornire informazioni generali sull’esercizio dei diritti dei minori ai mass media, al pubblico e alle persone od organi che si occupano delle problematiche relative ai minori; 4) rendersi edotti dell’opinione dei minori e fornire loro ogni informazione adeguata; c) collabora all’attività delle reti internazionali dei Garanti delle persone di minore età e all’attività di organizzazioni e di istituti internazionali di tutela e di promozione dei loro diritti e con le organizzazioni e istituti di tutela e di promozione dei diritti delle persone di minore età appartenenti ad altri Paesi.
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tuabili attraverso un’attività costante di monitoraggio14 sullo stato dell’arte rispetto ai propri settori, nonché di comunicazione istituzionale e sociale15. Inoltre svolge funzione di segnalazione, consultiva e pareristica rispetto alle materie di sua competenza, ed in particolare: a) esprime il proprio parere, tramite mezzi telematici, sul Piano nazionale di azione di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva, predisposto dall’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza previsto dall’art. 1 d.P.R. 14 maggio 2007 n. 103 entro venti giorni dal ricevimento della richiesta; in caso di decorrenza di tale termine senza che sia stato comunicato il parere o senza che l’organo adito abbia rappresentato esigenze istruttorie (comunicazione di interruzione per una sola volta ed entro quindici giorni dalla ricezione degli elementi istruttori da parte delle amministrazioni interessate) è nella competenza dell’Osservatorio di procedere indipendentemente dall’espressione del parere16; b) segnala al Governo, alle regioni o agli enti locali e territoriali interessati , negli ambiti di rispettiva competenza, tutte le iniziative opportune per assicurare la piena promozione e tutela dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, con particolare riferimento al diritto alla famiglia, all’educazione, all’istruzione, alla salute; c) segnala, in casi di emergenza, alle autorità giudiziarie e agli organi competenti la presenza di persone di minore età in stato di abbandono al fine della loro presa in carico da parte delle autorità competenti; d) esprime il proprio parere sul rapporto che il Governo presenta periodicamente al Comitato dei diritti del fanciullo ai sensi dell’art. 44 della Convenzione di New York, allegandolo allo stesso; e) formula osservazioni e proposte sull’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali relativi alle persone di minore età, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., e vigila in merito al rispetto dei livelli medesimi; f) può esprimere pareri al Governo sui disegni di legge del Governo medesimo, nonché sui progetti di legge all’esame delle Camere
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In particolare: a) assicura forme idonee di consultazione, comprese quelle delle persone di minore età e quelle delle associazioni familiari, con particolare riferimento alle associazioni operanti nel settore dell’affido e dell’adozione, nonché di collaborazione con tutte le organizzazioni e le reti internazionali, con gli organismi e gli istituti per la promozione e per la tutela dell’infanzia e dell’adolescenza operanti in Italia e negli altri Paesi, con le associazioni, con le organizzazioni non governative, con tutti gli altri soggetti privati operanti nell’ambito della tutela e della promozione dei diritti delle persone di minore età nonché con tutti i soggetti comunque interessati al raggiungimento delle finalità di tutela dei diritti e degli interessi delle persone di minore età; b) verifica che alle persone di minore età siano garantite pari opportunità nell’accesso alle cure e nell’esercizio del loro diritto alla salute e pari opportunità nell’accesso all’istruzione anche durante la degenza e nei periodi di cura. 15 In particolare: a) diffonde la conoscenza dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, promuovendo a livello nazionale, in collaborazione con gli enti e con le istituzioni che si occupano di persone di minore età, iniziative per la sensibilizzazione e la diffusione della cultura dell’infanzia e dell’adolescenza, finalizzata al riconoscimento dei minori come soggetti titolari di diritti; b) diffonde prassi o protocolli di intesa elaborati dalle amministrazioni dello Stato, dagli enti locali e territoriali, dagli ordini professionali o dalle amministrazioni delegate allo svolgimento delle attività socio-assistenziali, che abbiano per oggetto i diritti delle persone di minore età, anche tramite consultazioni periodiche con le autorità o le amministrazioni indicate; può altresì diffondere buone prassi sperimentate all’estero; c) favorisce lo sviluppo della cultura della mediazione e di ogni istituto atto a prevenire o risolvere con accordi conflitti che coinvolgano persone di minore età, stimolando la formazione degli operatori del settore; d) presenta alle Camere, entro il 30 aprile di ogni anno, sentita la Conferenza nazionale per la garanzia dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, una relazione sull’attività svolta con riferimento all’anno solare precedente. 16 Tali attività debbono essere espletate prima che lo stesso parere sia trasmesso alla Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza ai sensi dell’art. 1, comma 5, d.P.R. 14 maggio 2007 n. 103.
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e sugli atti normativi del Governo in materia di tutela dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza; g) può formulare osservazioni e proposte per la prevenzione e il contrasto degli abusi sull’infanzia e sull’adolescenza in relazione alle disposizioni della legge 11 agosto 2003, n. 228, recante misure contro la tratta delle persone, e della legge 6 febbraio 2006, n. 38, recante disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini17 e la pedopornografia anche a mezzo Internet18, nonché dei rischi di espianto di organi e di mutilazione genitale femminile, in conformità a quanto previsto dalla legge 9 gennaio 2006, n. 7, recante disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile . Si attiva sinergicamente anche con altre istituzioni per il monitoraggio delle problematiche in campo, ed in particolare: a) promuove, a livello nazionale, studi e ricerche (ed altresì può richiedere specifiche ricerche e indagini agli stessi seguenti organismi) sull’attuazione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, avvalendosi dei dati e delle informazioni dell’Osservatorio nazionale sulla famiglia, di cui all’articolo 1, comma 1250, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni, dell’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, previsto dagli art. 1 e 2, d.P.R. 14 maggio 2007, n. 103, del Centro nazionale di documentazione e di analisi per l’infanzia e l’adolescenza, previsto dal successivo art. 3, nonché dell’Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile, di cui all’art. 17, comma 1-bis, della legge 3 agosto 1998, n. 269; b) promuove le opportune sinergie con la Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza di cui all’art. 1 della legge 23 dicembre 1997, n. 451, e successive modificazioni, e si avvale delle relazioni presentate dalla medesima Commissione; c) segnala alla procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni situazioni di disagio delle persone di minore età, e alla Procura della Repubblica competente abusi che abbiano rilevanza penale o per i quali possano essere adottate iniziative di competenza della procura medesima; d) prende in esame, anche d’ufficio, situazioni generali e particolari delle quali è venuta a conoscenza in qualsiasi modo, in cui è possibile ravvisare la violazione, o il rischio di violazione, dei diritti delle persone di minore età, ivi comprese quelle riferibili ai mezzi di informazione, eventualmente segnalandole agli organismi cui è attribuito il potere di controllo o di sanzione. Tali competenze non possono ricondursi ad una sorta di enforcement che è stato attribuito in via generale all’AGCM ed ad altre autorità amministrative indipendenti: le trasversalità delle tutele discendono tanto dalla natura dell’Autorità cui la medesima è affidata (la stessa Agcm viene definitiva – del resto – quale Autorità a competenza trasversale, dotata, peraltro, di veri e propri poteri di adjudication, e cioè di accertamento in concreto della conformità o meno dei comportamenti delle imprese ai precetti generale e nell’eventuale
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Vedi L. Pomodoro, P. Giannino, P. Avallone, Manuale di diritto di famiglia e dei minori, Torino, 2009, 91 ss. Vedi C. Sarzana, Informatica, internet, diritto penale, Milano, 2003, 379 ss.
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applicazione di sanzioni), quanto dalle diverse configurazioni che i comportamenti, anche quelli riguardanti i minori (definizione volutamente generica e astratta), possono assumere a seconda dei casi. Ciò, dunque, può in astratto rappresentare quel “completamento di tutela” di cui si dava conto in precedenza; allo stesso modo, l’attribuzione all’Autorità garante per l’infanzia di tali competenze pone il problema di gestire e risolvere i conflitti che potrebbero sorgere circa l’applicabilità, al singolo caso, delle norme “trasversali” ovvero di quelle settoriali, con conseguenti sanzioni amministrative applicabili. Le competenze affidate dalla legge istitutiva all’Autorità garante per l’infanzia sono, tuttavia, molte e ricomprendono, oltre all’attuazione delle citate convenzioni sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, anche tutte quelle che la legge istitutiva elenca all’art. 3. Fra queste, devono in primis rammentarsi l’applicazione dell’art. 12 della Convenzione di Strasburgo e dunque la tutela del diritto all’informazione del minore19 ad all’ascolto del fanciullo nelle sedi giudiziarie, nonché il lavoro di rete consistente nella collaborazione con gli omologhi organismi presenti negli altri paesi (Enoc) e nelle regioni italiane (Garanti regionali) ed estrinsecantesi, altresì, nell’attività di raccordo con gli organismi e gli istituti che promuovono la tutela dell’infanzia, la pari opportunità, la garanzia di accesso alle cure, ivi compresa l’Autorità garante per la privacy per quanto riguarda la profilazione del minore in rete20. L’Autorità non ha solo compiti di ascolto ma anche di segnalazione, sia al Governo che alle competenti istituzioni delle iniziative opportune per assicurare la piena attuazione dei diritti dei minori in stato di abbandono, nonché all’autorità giudiziaria, nei casi di violazione degli stessi diritti. Proprio le segnalazioni ed il potere generico di indagine rappresentano aspetti qualificanti l’azione dell’Autorità, i cui compiti riflettono, in tal senso, la necessità di dare concreta applicazione alle Convenzioni internazionali, in virtù delle quali è stata creata. Sicuramente non minore importanza rivestono le funzioni consultive e, sebbene le tempistiche di penetrazione sociale delle tematiche trattate siano piuttosto lunghe e gli effetti nei confronti degli interessati meno diretti, ricadute importanti sono da ricollegare anche alla diffusione della conoscenza dei diritti dei minori, oltre che di una cultura dell’infanzia e dell’adolescenza. Dalla lettura dell’elencazione contenuta nell’art. 3 e negli altri articoli che disciplinano le competenze, emerge chiaramente come l’attuazione delle Convenzioni di New York e di Strasburgo rappresenti una dizione di carattere estremamente generico, che non risulta seguita sempre dall’individuazione delle specifiche attribuzioni attinenti ai singoli diritti oggetto di tutela, così da lasciare ampio margine di autodeterminazione esercitabile dall’Autorità in sede di programmazione. Quest’ultima, infatti, è chiamata a programmare
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Ci si permette di rinviare al nostro, La tutela del minore telespettatore: aspetti normativi ed autodisciplinari di un fenomeno in evoluzione, in Dir. fam. pers., 1994, 872 ss.; A. Spangaro, Minori e mass media. Vecchi e nuovi strumenti di tutela, Milano, 2011, 94 ss. 20 Vedi A. Astone, I dati personali dei minori in rete, Milano, 2019, 72 ss.
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adeguatamente le attività annuali, in modo tale da poter ottemperare quanto più ampiamente possibile ai compiti alla stessa spettanti a fronte delle scarse risorse a sua disposizione. La legge istitutiva attribuisce all’Autorità garante una serie di competenze espressamente elencate all’art. 3, lett. a)-p), che non si limitano all’attuazione delle anzidette Convenzioni e che spaziano dalla collaborazione con organizzazioni ed istituzioni a livello nazionale o internazionale per la promozione della tutela dei diritti dei minori, alla segnalazione alle autorità giudiziarie della presenza di minori in stato di abbandono, oggetto di abusi penalmente rilevanti, prendendo in esame le situazioni particolari delle quali sia venuta a conoscenza attraverso le segnalazioni . Rientrano fra le competenze dell’Autorità anche l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali relativi ai minori e le fondamentali funzioni nomofilattica e consultiva. Oltre a ciò, come in più occasioni segnalato dalla stessa Autorità garante per l’infanzia, nel silenzio della legge, è possibile riconoscere in capo alla stessa la facoltà di emanare raccomandazioni nei confronti dei soggetti, siano essi pubblici o privati, chiamati ad erogare servizi a favore dei minori ma, allo stato, non risulta attribuito alcun autonomo potere di irrogare autonomamente sanzioni sulla scorta dei risultati emersi dalle attività d’indagine o dalle ispezioni effettuate. L’Autorità si muove sui binari della moral suasion ed opera con strumenti definibili di soft law21. Proprio su questo piano, essa ha più volte sollecitato un intervento legislativo, volto a colmare la lacuna consistente nell’assenza di poteri interdittivi e/o sanzionatori, il quale renderebbe comunque peculiare la sua posizione rispetto agli omologhi organismi di garanzia presenti negli altri paesi (solo in alcuni dei quali, è bene precisare, essi sono dotati di specifiche competenze sanzionatorie, essendo, nella maggior parte dei casi, chiamati a svolgere compiti in tutto simili a quelli affidati all’Autorità garante italiana). L’anzidetta lacuna, peraltro, appare giustificabile in considerazione del fatto che l’Autorità garante, a differenza di altri organismi indipendenti, non è chiamata a comporre contrasti reali o potenziali fra diritti soggettivi o interessi legittimi delle parti, mentre potrebbe porsi in una situazione di conflittualità potenziale con le Autorità amministrative indipendenti di settore (in specie Agcom e Garante privacy). In generale però sulla problematica sovviene la giurisprudenza amministrativa; il Consiglio di Stato ha fornito alcune prime ulteriori “direttrici ermeneutiche”, tra cui l’applicazione del canone di specialità per risolvere le antinomie tra disciplina generale e settoriale, ove quest’ultima prevale (Cons. St., 29.11.2018, n. 6795). Un aspetto rimasto in secondo piano in questa sentenza è rappresentato dalle ipotesi di contestuale intervento su una medesima condotta, sia dell’Antitrust che di un’autorità di settore – chiamate ad accertare ed eventualmente sanzionare – la stessa
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Vedi G. Alpa, Autodisciplina e codici di condotta, in Soc. diritto, 1995, n. 2, 7 ss.; E. Mostacci, La soft law nel sistema delle fonti: uno studio comparato, Padova, 2008, 94 ss.
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condotta. Il tema è dirimente ai fini delle problematicità in termini di ne bis in idem che ne derivano. Più di recente, sempre il Consiglio di Stato ha risolto il tema del ne bis in idem in questi termini: «Se sussiste incompatibilità significa, per definizione, che non possa venire in rilievo il “medesimo fatto” e, quindi, si è fuori dal perimetro delle questioni problematiche poste dal concorso di norme e conseguentemente anche dal ne bis in idem. L’art. 19 ha dettato un criterio di risoluzione delle antinomie che assegna, in questo caso, soltanto all’Autorità di settore la competenza, con la conseguenza che non vi è alcuno spazio di intervento né contestuale né successivo di altri soggetti». Il potere dell’Autorità garante per l’infanzia è comunque penetrante potendo richiedere alle pubbliche amministrazioni, nonché a qualsiasi soggetto pubblico, compresi la Commissione per le adozioni internazionali di cui all’articolo della legge 4 maggio 1983, n. 184, e successive modificazioni, e il Comitato per i minori stranieri previsto dall’art. 33 Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, e a qualsiasi ente privato di fornire informazioni rilevanti ai fini della tutela delle persone di minore età22, nel rispetto della normativa sulla protezione dei dati personali. In tal senso l’Autorità garante può richiedere alle amministrazioni competenti di accedere a dati e informazioni, nonché di procedere a visite e ispezioni, nelle forme e con le modalità concordate con le medesime amministrazioni, presso strutture pubbliche o private ove siano presenti persone di minore età. Addirittura, previa autorizzazione del magistrato di sorveglianza per i minorenni o del giudice che procede, può effettuare visite nei luoghi di detenzione minorile di cui all’art. 8, comma 1°, d.lgs. 28 luglio 1989, n. 272.
3. L’Autorità ed i Garanti regionali per l’infanzia. L’art. 3 della legge istitutiva prevede che l’Autorità debba collaborare e coordinarsi con i Garanti regionali per l’infanzia, infatti deve: a) assicurare idonee forme di collaborazione con i Garanti regionali dell’infanzia e dell’adolescenza o con figure analoghe (laddove previste), che le regioni possono istituire con i medesimi requisiti di indipendenza, autonomia e competenza esclusiva in materia di infanzia e adolescenza previsti per l’Autorità garante; b) convocare la Conferenza nazionale per la garanzia dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza , che svolge i seguenti compiti: 1) promuove l’adozione di linee comuni di azione dei garanti regionali o di figure analoghe in materia di tutela dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, da attuare sul piano regionale e nazionale e da promuovere e sostenere nelle sedi internazionali; 2) individua forme di costante scambio di dati e di informazioni sulla condizione delle persone di minore età a livello nazionale e regionale.
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Un tale potere è comune peraltro ad organi amministrativi che non rientrano nelle Autorità amministrative indipendenti.
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In tal modo sembra comporsi l’attività amministrativa dell’Autorità nazionale con quella dei Garanti regionali, che vantano sicuramente una maggiore tradizione e conoscenza dei propri territori di competenza. Infatti l’istituzione dell’Autorità è avvenuta più tardi rispetto a quella dei Garanti regionali ed è andata a colmare una lacuna legislativa che un nutrito gruppo di Regioni aveva coperto, nei limiti delle loro competenze, istituendo delle figure preposte a tutelare i diritti dell’infanzia a livello locale Appaiono, pertanto, articolati i rapporti con le sedici regioni e le due province autonome che hanno adottato la legge istitutiva del Garante regionale dei diritti dei minori o di una figura analoga. Fra le prime regioni ad aver dato seguito alle disposizioni internazionali in materia di tutela dei diritti dei minori vi è il Veneto che ha optato per una scelta in parte differente rispetto al comune orientamento seguito, in prosieguo di tempo, dalle altre regioni che hanno previsto la collocazione del Garante regionale presso il Consiglio regionale, collocandolo presso la Giunta (stesso dicasi per le regioni Liguria, Molise ed Umbria). Dalla lettura delle leggi regionali istitutive emerge che gli organismi da esse individuati non sono tutti dotati di autonomia organizzativa e finanziaria, ricadendo più spesso nell’ambito organizzativo del Consiglio o della Giunta ed essendo tenuti, comunque, a presentare e far approvare una relazione programmatica sulle linee di azione per l’annualità considerata, sulla base della quale vengono loro conseguentemente attribuite le risorse finanziarie necessarie. Sul punto, è il caso di sottolineare che la collocazione organizzativa dei Garanti regionali, in special modo quella che vede il Garante incardinato presso la Giunta, non appare del tutto idonea ad assicurare l’autonomia e l’indipendenza che devono necessariamente caratterizzare l’azione di tali organismi23. Quasi per tutti gli organismi vale l’obbligo di presentare, almeno una volta l’anno (entro il 31 marzo), una relazione sull’attività svolta che dia conto delle risorse utilizzate. I Garanti regionali in molti casi svolgono anche altre attività, essendo impegnati in più settori del sociale. In ordine alla struttura organizzativa, in realtà, nella maggior parte dei casi questa è costituita da poche unità di personale al quale può essere affiancato, eventualmente, personale esterno, in rapporto di subordinazione funzionale con il Garante regionale. A tale ultimo riguardo, è prevista, in alcuni casi, la possibilità di adozione di apposite convenzioni con privati o altre pubbliche istituzioni per lo svolgimento di attività rientranti fra le competenze istituzionali del Garante regionale. Deve osservarsi, altresì, che le funzioni affidate al Garante regionale, sebbene non coincidano perfettamente nelle previsioni contenute nelle diverse leggi, tuttavia, ricalcano, per lo più, le finalità ed i compiti attribuiti dalle convenzioni internazionali all’organismo
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Vedi L. Fadiga, Il garante regionale per l’infanzia e l’adolescenza. Un attore non convenzionale nelle politiche sociali, in Minori giust., 2018, n. 3, 107 ss.
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centrale, declinandole a livello locale. Le attribuzioni, come vedremo puntualmente in seguito spaziano dal rapporto collaborativo con altre istituzioni a livello locale e nazionale per la promozione della cultura dell’infanzia e la diffusione della conoscenza dei diritti dei minori, alla vigilanza sulla programmazione televisiva e radiofonica, alla raccolta di segnalazioni di violazioni dei diritti dei minori, alla rappresentanza degli stessi diritti presso le istituzioni nazionali ed internazionali. Il Garante regionale, come accennato sopra, istituito per lo più presso i Consigli regionali, è organo monocratico dotato di piena autonomia e non è soggetto ad alcuna forma di controllo gerarchico o funzionale. L’incarico dura normalmente per un tempo massimo coincidente con la legislatura, ovvero al massimo cinque anni (in Toscana addirittura sei anni mentre in Veneto solo tre anni), ma, in alcuni casi, coincide con la durata in carica del Consiglio regionale e non è rinnovabile. Al riguardo, deve sottolinearsi che, pur essendo state adottate le leggi istitutive, per lungo tempo i Garanti non sono stati nominati24. La situazione evidenziata è apparsa quanto mai grave, particolarmente in considerazione della rilevanza delle tematiche trattate e soprattutto della necessità di assicurare prestazioni uniformi su tutto il territorio nazionale, interessato da un importante fenomeno migratorio che riguarda anche i minori stranieri non accompagnati25. Sul punto, deve precisarsi che l’Autorità garante è intervenuta in più occasioni per sollecitare le regioni inadempienti e che proprio in questo ambito andrebbe rafforzato l’esercizio dei poteri sostitutivi che, specialmente in settori così delicati come quello della tutela dei diritti dei minori, andrebbero esercitati ogni qual volta la mancata ottemperanza da parte degli enti territoriali competenti metta a rischio principi costituzionalmente tutelati come quello di uguaglianza. Ciò appare tanto più attuale alla luce delle recenti disposizioni introdotte dalla legge n. 47/2017, recante “Disposizioni in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati”. Una situazione analoga è stata registrata nelle regioni che, almeno inizialmente, avevano provveduto alla nomina dei Garanti regionali e che non hanno rinnovato gli incarichi o non hanno proceduto alle nuove nomine, anche in ragione delle difficoltà insorte a seguito dell’unificazione delle funzioni di garanzia a livello regionale svolte dal Garante e Difensore civico26 o da figure similari. A fronte di così tante competenze, le risorse finanziarie e strumentali a disposizione dei Garanti regionali appaiono generalmente assai scarse. Il che, pur dipendendo da scelte rientranti esclusivamente nelle competenze delle stesse regioni, dovrebbe far propendere per una migliore distribuzione fra centro e periferia delle funzioni e dei compiti, onde
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Vedi R. Pregliasco, Uno sguardo altrove: un confronto tra le autorità garanti regionali per l’infanzia e l’adolescenza e tra le autorità garanti in Europa, in Minori giust., 2018, n. 3, 88 ss. 25 Vedi al riguardo L. Miazzi, La condizione giuridica dei minori irregolari, con genitori o parenti irregolari, in P. Consorti (a cura di), Tutela dei diritti dei migranti, Pisa, 2009, 189 ss. 26 Vedi le comparazioni fra le normative regionali fatte da V. Galatro, Il difensore civico. Rassegna di casi pratici. Appendice di legislazione regionale, Napoli, 2006, 92 ss.
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evitare inutili duplicazioni e sovrapposizioni. Momento di confronto e di scambio di esperienze fra i Garanti regionali è rappresentato dalla Conferenza nazionale di garanzia, istituita, ai sensi dell’art. 3, comma 6, l. n. 112/2011, proprio al fine di assicurare idonee forme di collaborazione con i Garanti regionali dell’infanzia e dell’adolescenza. Essa è presieduta dal Garante nazionale, il quale ha l’iniziativa della convocazione che può essere indetta, in alternativa, dalla maggioranza dei Garanti regionali. Proprio nell’intento di dare attuazione al principio di sussidiarietà27, la Conferenza vede fra i suoi compiti principali l’adozione di linee di azione comuni da attuare a livello nazionale e/o locale, nonché l’individuazione di utili modalità di scambio di dati ed informazioni sulla condizione delle persone minori d’età, al fine di attivare forme di collaborazione che consentano ad organismi di così giovane istituzione e dotati di risorse assai scarse di poter portare avanti programmi operativi in più direzioni. Infine, deve sottolinearsi che, nonostante il meccanismo di voto preveda la necessaria unanimità dei componenti presenti per l’adozione delle decisioni e nonostante la difficoltà di un’assidua partecipazione all’assemblea da parte dei Garanti regionali, spesse volte occupati in altri settori del sociale, è stato possibile definire anche le linee guida relative alla formazione dei minori stranieri non accompagnati in attuazione dell’art. 11, l. n. 47/201728, nonché il modello di protocollo d’intesa tra presidenti dei tribunali per i minorenni e i Garanti delle regioni. A tale riguardo, si sottolinea, tenendo conto della circostanza che i Garanti regionali, nella maggior parte dei casi, hanno avviato le proprie attività a livello locale prima dell’istituzione dell’Autorità garante, con una distribuzione delle competenze non esattamente improntata ai criteri che attribuiscono compiti e relative responsabilità istituzionali sulla base della vicinanza dell’istituzione al cittadino utente29. Appare, in effetti, adeguata l’azione svolta a livello nazionale dall’Autorità per la diffusione della conoscenza dei diritti dei minori, nonché di una cultura dell’infanzia ed anche l’esercizio delle importantissime funzioni nomofilattica e consultiva. Come pure sembra adeguatamente calibrata su un’autorità centrale l’attribuzione di competenze relative alla vigilanza sulla programmazione televisiva e radiofonica che riguardano il bacino di utenza nazionale. Lo stesso dicasi per le attività celebrative della giornata nazionale dell’infanzia, istituita in forza dell’art. 1, l. 23 dicembre 1997, n. 451. Lo spazio attualmente attribuito all’attività, svolta a livello locale, di ascolto e raccolta delle segnalazioni in merito alle violazioni dei diritti dei minori ed alla stretta collaborazione con gli organi giudiziari per l’adozione dei conseguenti provvedimenti, non sembra particolarmente sviluppato, così come modesta appare l’incisività della funzione di vigilanza sull’assistenza prestata ai minori ricoverati presso strutture socio-assistenziali per la
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Sulla sussidiarietà nell’attività amministrativa in ambito sociale vedi A. Croci, La legislazione sociale e l’organizzazione dei servizi, Torino, 2008, 32 ss. 28 Così B. Triestina, I minori stranieri non accompagnati. Analisi ragionata della L. 7 aprile 2017, n. 47, Piacenza, 122 ss. 29 Vedi L. Fadiga, op. et loc supra cit.; E. Lamarque, I garanti comunali per l’infanzia e l’adolescenza, in Minori giust., 2018, n. 3, 117 ss.
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segnalazione alle autorità competenti di eventuali disfunzioni e criticità rilevabili a livello locale con maggiore puntualità. Le competenze che la legge istitutiva ha attribuito all’Autorità garante per l’infanzia sono in larga misura sovrapponibili a quelle dei Garanti regionali, già istituiti da specifiche leggi regionali ed operanti in sede locale nei settori della comunicazione, dell’ascolto, della diffusione della conoscenza dei diritti dei minori e di una cultura dell’infanzia nonché del rispetto degli stessi diritti. Al riguardo, è stata segnalata l’importanza di una riflessione sull’attuale assetto distributivo delle competenze fra centro e periferia, al fine di eliminare inutili duplicazioni ed antieconomiche sovrapposizioni, soprattutto in considerazione della scarsezza delle risorse messe in campo per la tutela dei diritti dei minori.
4. Organizzazione ed attività dell’Ufficio dell’Autorità garante.
L’art. 5 istituisce e pone a supporto e comunque alle dipendenze dell’Organo monocratico l’Ufficio dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, composto ai sensi dell’articolo 9, comma 5-ter, d.lgs. 30 luglio 1999, n. 303, da dipendenti del comparto Ministeri o appartenenti ad altre amministrazioni pubbliche, in posizione di comando obbligatorio, nel numero massimo di dieci unità30, di cui una di livello dirigenziale non generale, in possesso delle competenze e dei requisiti di professionalità necessari in relazione alle funzioni e alle caratteristiche di indipendenza e imparzialità dell’Autorità garante. I funzionari dell’Ufficio dell’Autorità garante sono vincolati dal segreto d’ufficio. Le norme concernenti l’organizzazione dell’Ufficio dell’Autorità garante e il luogo dove ha sede l’Ufficio, nonché quelle dirette a disciplinare la gestione delle spese, sono state adottate con d.P.C.M. 20 luglio 2012, n. 168, su proposta dell’Autorità garante. Ferme restando l’autonomia organizzativa e l’indipendenza amministrativa dell’Autorità garante, la sede e i locali destinati all’Ufficio dell’Autorità medesima sono messi a disposizione dalla Presidenza del Consiglio dei ministri senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. La struttura organizzativa dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza è stata modificata, per ragioni di razionalizzazione delle risorse, con decreto del Garante n. 33/2013 e risulta connotata da un modello basato su un unico ufficio di diretto supporto al Garante, a sua volta articolato in quattro aree organizzative (erano originariamente otto le aree individuate con decreto n. 2/2012). Dalla lettura dei citati decreti di organizzazione, è agevole constatare come la ristrutturazione sia consistita principalmente in un accorpamento delle competenze precedentemente distribuite fra un numero doppio di aree, rendendo eviden-
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Comunque, nei limiti delle risorse del fondo previsto all’uopo sul bilancio della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
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temente la struttura dell’ufficio, posto alle dirette dipendenze del Garante, più adeguata alle scarse risorse a disposizione dell’Autorità. In sede di riorganizzazione, si è ritenuto di eliminare la figura del portavoce del Garante, di nomina diretta e originariamente prevista con funzioni di supporto nei rapporti politico-istituzionali con gli organi di informazione, provvedendosi, al contempo, all’espunzione del relativo capitolo di spesa. Come risulta dalla struttura organizzativa dell’Autorità lo svolgimento delle attività rientranti nelle competenze istituzionali dell’organismo è affidato ad una sola Area (II-Diritti) delle complessive quattro in cui lo stesso risulta articolato. Ad esso chiunque può rivolgersi, anche attraverso numeri telefonici di pubblica utilità gratuiti, per la segnalazione di violazioni ovvero di situazioni di rischio di violazione dei diritti delle persone di minore età. Tuttavia le procedure e le modalità di presentazione delle suddette segnalazioni sono state stabilite con determinazione dell’Autorità garante, fatte salve le competenze dei servizi territoriali, ed hanno assicurato la semplicità delle forme di accesso all’Ufficio dell’Autorità garante, anche mediante strumenti telematici. Il Bilancio di spesa per l’organizzazione dell’Ufficio è posta a carico nell’ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, e pertanto il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
5. L’Autorità garante come ombudsman che si richiama alla normativa italiana sul difensore civico.
Si è appena iniziato a discutere sulla natura giuridica dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza: non è, infatti, pure e semplicemente un organo ispettivo con mera funzione d’informazione dell’Organo di parlamentare dal qual promana, degli Organi amministrativi competenti in materia o dell’Autorità giudiziaria, ma ha anche il compito di tutelare gli interessi individuali e collettivi coinvolti in procedimenti amministrativi che abbiano ad oggetto i diritti dei minori e degli adolescenti secondo i principi normativi in materia di accesso, partecipazione e trasparenza amministrativa. Tali diritti, infatti, non avrebbero altrimenti alcuna tutela nell’ipotesi sempre possibile di errate azioni od omissioni dell’Amministrazione. L’Autorità ha quindi anche la funzione poi di promuovere quelle soluzioni organizzative che consentano al minore di partecipare al corretto svolgimento dei procedimenti amministrativi che lo riguardassero. La sua figura pertanto come abbiamo visto non potendo essere ricompresa appieno (per una mancanza di completa autonomia anche finanziaria, ma soprattutto per la mancata previsione di competenze di enforcement a tutela dei minori) nelle Autorità amministrative indipendenti sembra pertanto ricondursi a quella dei Garanti per l’attuazione di particolari leggi, organismi già esistenti nel nostro ordinamento (pensiamo ad esempio al
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L’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza alla luce delle previsioni normative nazionali
Garante per l’editoria della legge n. 416/198131) e che la dottrina giuspubblicistica aveva già ricondotto all’ombudsman, un organo monocratico che esercitava le funzioni e i compiti assegnatigli dalla legge, con poteri autonomi di organizzazione32. Tali figure in qualche modo si richiamavano all’ombudsman svedese («delegato, rappresentante pubblico») designante un particolare istituto che, a tutela e garanzia del buon andamento dell’amministrazione nei confronti del cittadino, ha la funzione di accogliere reclami ed eventualmente suggerire soluzioni (non vincolanti) all’Amministrazione33. L’Autorità è un organo atipico estraneo alla Pubblica amministrazione posta a corredo dell’Esecutivo ed altresì agli Organi della giustizia, civile, amministrativa. Proprio in forza della mancata previsione costituzionale della figura dell’ombudsman tout court si potrebbe anche spingersi a ricollegarlo all’art. 97 Cost.34, in tema di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione. In tale ottica l’istituto del difensore civico35 sarebbe quello attualmente più assimilabile al Garante per l’infanzia e l’adolescenza e quindi avrebbe carattere bivalente; sul fronte della tutela del principio di imparzialità egli sarebbe un garante delle singole situazioni soggettive, soprattutto di quelli che non riescono ad accedere ai tradizionali strumenti di tutela. Sempre sotto questo profilo la figura sarebbe pertanto assimilata a quella del tutore del minore cittadino e/o residente nel singolo procedimento amministrativo. Sul fronte della tutela del principio del buon andamento della pubblica amministrazione l’Autorità, rilevando preventivamente sia le inefficienze in itinere sia le disfunzioni organizzative dell’amministrazione, svolgerebbe anche una funzione di vigilanza e controllo sul corretto esercizio del potere amministrativo avente ad oggetto diritti del minore e dell’adolescente. L’Autorità sarebbe quindi una sorta di precontrollore “non tecnico” del comportamento amministrativo chiamato a svolgere un’attività che si inserisce attivamente nel procedimento amministrativo riguardante il minore e/o l’adolescente, talvolta anche con effetti costitutivi della stessa fase del procedimento di formazione dell’atto amministrativo. Tale bivalenza a ben osservare altro non è che la partecipazione alla realizzazione preventiva del principio costituzionale del buon andamento e dell’imparzialità dell’azione della pubblica amministrazione. In tale prospettiva ben possiamo affermare che l’Autorità, assolvendo in primis in modo diretto ed immediato alla funzione di protezione
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Vedi A. Baldassarre, Libertà di stampa e diritto all’informazione nelle democrazie contemporanee, in Pol. dir., 1986, 579 ss.; F. Zanaroli, Aspetti del ruolo istituzionale del Garante per l’editoria, in Dir. soc., 1987, 203 ss.; A. Gentili, Controllo, concentrazione, gruppi nella legislazione editoriale, in Diritto inform., 1987, 419 ss.; G. Corasaniti, Trasparenza, pluralismo, interventi pubblici nella disciplina delle imprese editoriali, Padova 1988, 126 ss. 32 Vedi L. Mercuri, A. Vignudelli, P. Zanelli, La riforma dell’editoria, Venezia, 1982, 43 ss. 33 Fu introdotta in Svezia la Regerisform del 6 giugno 1809, nell’intento di creare un organo fiduciario del Parlamento, con il compito di controllare la legalità formale degli atti emanati dal potere esecutivo – allora nelle mani del sovrano – e di garantire il buon andamento della pubblica amministrazione. In origine era dotato di poteri di inchiesta, di messa in stato d’accusa dei funzionari ritenuti colpevoli e di segnalazione all’autorità competente di eventuali vizi formali degli atti. In seguito ha avuto vasta diffusione, se pur con caratteristiche e denominazioni differenti, in vari ordinamenti nazionali europei ed extraeuropei, con poteri però dimensionati rispetto a quelli iniziali e soprattutto adattato alle esigenze dei singoli ordinamenti nazionali. 34 Vedi A. Vignudelli, Aspetti giuspubblicistici della comunicazione pubblicitaria, Rimini, 1983, 121 ss.; Id., Il rapporto di consumo, Rimini, 1984, 72 ss. 35 Vedi le analisi di M. R. Ferragna, Il difensore civico. Ombudsmann, Soveria Mannelli, 1991, 35 ss.
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e valorizzazione della singola situazione soggettiva, successivamente concorra affinché il comportamento dell’amministrazione vada ad attuare i principi di imparzialità e del buon andamento favorendo così un’attività preventiva per ovviare (o almeno per non intasare) alla giustizia civile, penale, amministrativa. La sua attività è volta alla promozione ed alla integrazione e interoperabilità tra i servizi pubblici erogati dalle diverse amministrazioni in modo da garantire ai minori ed agli adolescenti il diritto a fruirne in maniera semplice e moderna, anche grazie all’opportunità di gestire i diversi strumenti informatico-giuridici di dialogo con le amministrazioni attraverso un’unica interfaccia. L’Autorità, nella previsione che ne ha fatta il legislatore nazionale, è un “tutore amministrativo” dei minori e degli adolescenti anche contro le inefficienze e le prevaricazioni della P.A. Ampio è poi il rinvio all’autonomia statutaria per la sua disciplina relativamente alle sue prerogative, ai mezzi nonché alla nomina ed incompatibilità e ai rapporti con l’Organo parlamentare. Possiamo, pertanto, considerare la funzione dell’Autorità, così come si è venuta a delineare nella prima fase di applicazione della legge, come una funzione di assistenza e di tutela degli interessi dei diritti sostanziali del minore e dell’adolescente. L’Autorità appare come un organo di controllo esterno della stessa amministrazione con la finalità di restituire ai minori ed agli adolescenti fiducia nell’attività amministrativa e, nel contempo, a garantire una loro tutela “alternativa” e addirittura “esclusiva e preventiva” rispetto ai tradizionali e costosi rimedi giurisdizionali ed amministrativi. Legittimati a promuovere l’intervento dell’Autorità sarebbero tutti i cittadini titolari di diritti soggettivi o anche interessi legittimi, sia singoli che associati, che abbiano un interesse nel procedimento e all’Autorità è riconosciuta la potestà di agire sia su impulso di parte che d’ufficio. Si è molto discusso se le trasformazioni del rapporto fra cittadini e amministrazione, operato con l’affermarsi della recente legislazione sulla responsabilità del procedimento amministrativo, sul diritto di accesso agli atti e ai documenti amministrativi, nonché la stessa prevista partecipazione dei soggetti interessati al procedimento36 e alle fasi costitutive del provvedimento, abbiano intaccato in qualche modo alcune ragioni di fondo dell’esistenza dell’istituto, richiedendone una rivisitazione. Quanto poi alla natura del suo controllo sull’operato degli uffici interessati dalla segnalazione secondo la dottrina prevalente siamo in presenza di un controllo “atipico” e per certi versi anche “debole”, posto che l’Autorità non ha alcuna concreta possibilità di annullare l’atto sottopostogli potendo solo invitare l’amministrazione ad eliminare i vizi riscontrati. Tuttavia nulla vieta che la funzione di controllo esercitata dall’Autorità divenga di legittimità e cada sull’esistenza di vizi dell’atto amministrativo quali l’incompetenza, la viola-
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Vedi M. Savino, Il FOIA italiano. La fine della trasparenza di Bertoldo, in Giorn. dir. amm., 2016, n. 5, 741 ss.; E. Carloni, Se questo è un FOIA. Il diritto a conoscere tra modelli e tradimenti, in Rassegna Astrid, 2016, n. 2, 32 ss.; C. Colapietro, La “terza generazione della trasparenza amministrativa. Dall’accesso documentale all’accesso generalizzato, passando per l’accesso civico, Napoli, 2016, 42 ss.
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zione di legge o l’eccesso di potere; anche se deve ritenersi esclusa ogni valutazione sul merito dell’atto oggetto del controllo. Potrebbe trovare applicazione in analogia l’art. 15, legge n. 340/2000, che innovando la normativa dell’accesso degli utenti agli atti amministrativi, ha attribuito al Difensore civico pregnanti poteri in materia, stabilendo anche le linee essenziali del procedimento di controllo37. È stabilito infatti che decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta di accesso agli atti, questa si intende respinta. In caso di rifiuto il richiedente può chiedere al difensore civico che sia riesaminata la determinazione dell’ente. Se il Difensore civico, e quindi in analogia l’Autorità garante, ritiene illegittimo il diniego, lo comunica a chi l’ha disposto. Se questi non emana il provvedimento confermativo motivato entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione in questione, l’accesso è senz’altro consentito. E tale interpretazione analogica sembra andare anche oltre le previsioni della legge 12 luglio 2011, n. 112. Si tenga presente comunque che all’Autorità non può essere riconosciuta tuttavia quella funzione di cui all’art. 17, comma 45, legge n. 12/1997 – poi trasfuso nell’art. 136 del Testo Unico degli Enti Locali – che ha attribuito al Difensore Civico Regionale38 il potere di nomina di un commissario ad acta, che provvede al posto di Comuni e Province, entro sessanta giorni dal conferimento dell’incarico, qualora tali enti ritardino od omettano di compiere gli atti obbligatori per legge, nonostante sia stato fissato un congruo termine entro il quale provvedervi. Si tratta di un potere sostitutivo molto penetrante, poiché consente al Difensore Civico Regionale di agire attivando un procedimento di recupero di una inefficienza già concretizzata, anche nei casi in cui l’Ente continui nella sua inerzia o nel suo atteggiamento illegittimo. Parimenti all’Autorità non può essere applicata in analogia la competenza di cui alla norma dettata all’art. 36, comma 2, legge 5 febbraio 1992, n. 10439 che ammette la possibilità di partecipazione del Difensore Civico al processo penale. La norma in definitiva, molto innovativa, autorizza il Difensore Civico a costituirsi parte civile nei procedimenti penali per i reati di atti osceni (art. 527 c.p.), e per i delitti dolosi contro la persona (Tit. XII c.p.) quando questi sono stati compiuti contro un soggetto portatore di handicap (e quindi nel caso dell’Autorità si sarebbe potuto interpretare nel caso di minori portatori di handicap). La ratio dell’emanazione di tutte queste norme ed in particolare quelle sull’accesso agli atti amministrativi è volta a raffreddare il flusso delle istanze rivolte in sede penale per le ipotesi di rifiuto o omissione dell’accesso agli atti di ufficio. Eppure una simile previsione ad hoc anche per l’Autorità garante per l’infanzia sarebbe stata quanto meno opportuna.
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Vedi S. Pignataro, La difesa civica nell’ordinamento italiano, Padova, 2002, 71 ss.; G. Mastropasqua, Il difensore civico. Profili sistematici ed operativi, Bari, 2004, 63 ss.; L. Lia, A. Lucchini, A. Gargatagli, Il difensore civico, Milano, 2007, 81 ss. 38 Vedi S. Piazza, Autorità amministrative e difensori civici. Profili giuridico-politologici, Bologna, 2000, 62 ss. 39 Vedi M. Sica, Il difensore civico nell’ordinamento regionale, Milano, 1993, 62 ss.; F. Verde, Il difensore civico, Padova, 1996, 71 ss.
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Il trust e il c.d. “dopo di noi”: protezione delle persone affette da disabilità* Sommario: 1. Introduzione: la legge 22 giugno 2016, n. 112 (c.d. “Dopo di Noi”). – 2. Il trust. – 2.1. Nozione. – 2.2. Il trust nell’ordinamento giuridico italiano: trust esterno e trust interno 2.3. Tipologie di trust: trust auto-dichiarato e trust di scopo. – 3. Il trust e i vincoli di destinazione di cui all’art. 2645-ter c.c.: analogie e differenze. – 4. Il trust e il c.d. contratto di affidamento fiduciario: analogie e differenze. – 5. Il trust e l’amministrazione di sostegno. – 5.1. I rapporti tra i due istituti e le ragioni dell’interesse per il trust – 5.2. L’istituzione del trust a favore del beneficiario di amministrazione di sostegno da parte dei parenti. – 5.2.1. Un ipotetico caso. – 5.2.2. Le possibili soluzioni: i fenomeni successori. – 5.2.3. (segue) Le possibili soluzioni: il trust. – 5.3. L’istituzione del trust a favore del beneficiario da parte dell’amministratore di sostegno con beni del beneficiario: il trust come alternativa alle misure di protezione? – 5.4. La legge sul “Dopo di Noi” – 5.4.1. Il trust – 5.4.2. Il contratto di affidamento fiduciario. – 6. Il trust nella legge “Dopo di Noi”. – 6.1.A quale tipo di trust ha inteso fare riferimento il legislatore? La meritevolezza degli interessi apre al trust in qualsiasi forma esso si presenti? – 6.2. La distinzione con i vincoli di destinazione di cui all’art. 2645-ter c.c. e il contratto di affidamento fiduciario. – 6.3. Le lacune della normativa. – 6.3.1. L’effetto traslativo. – 6.3.2. La limitazione alla responsabilità patrimoniale. – 6.3.3. La trascrizione. – 7. Conclusioni: l’Italia è ancora un Paese non trust ai sensi dell’art. 13 della Convenzione Aja?
The legal institution of trust, which has been developed in Courts of equity in common law jurisdiction, has been subject of uncertain applications in Italian legal system. Law 112/2016 has codified the trust as one of the legal institution which aims to protect the interests of disabled persons and offers the opportunity to retrace the debate that has developed around trusts and assets constitute under article 2645-ter of civil code. Italian Courts, indeed, moving from article 13 of the Convention on the law applicable to trusts and their recognition, for a long time have not recognized trusts instituted in Italy by an Italian resident and only regulated by a foreign law (so called internal trust). Law 112/2016 has
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Il presente contributo è stato sottoposto a valutazione in forma anonima.
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probably gone forward and leads to the question of whether Italy is still a no trust legal State under article 13 of the Convention on the law applicable to trusts and their recognition.
1. Introduzione: la legge 22 giugno 2016, n. 112 (c.d. “Dopo di Noi”).
L’entrata in vigore della legge 22 giugno 2016 n. 112 (come modificata per effetto del d.lgs. 3 luglio 2017 n. 117), c.d. “Dopo di Noi”, offre l’occasione di tornare a riflettere sul trust, istituto di conio anglosassone ampiamente diffuso anche nei sistemi giuridici di civil law grazie alla sua duttilità e all’affinità con istituti giuridici già noti ai sistemi giuridici continentali. Una premessa è d’obbligo: il legislatore della legge n. 112/2016 tratta del trust come se fosse un istituto già ampiamente riconosciuto e, soprattutto, disciplinato nel nostro ordinamento giuridico. Così invece non è: da anni dottrina e giurisprudenza si interrogano sulla portata della legge 16 ottobre 1989, n. 364 che ha ratificato e dato esecuzione in Italia alla Convenzione sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento, adottata a L’Aja il 1° luglio 1985, pervenendo a risultati non sempre omogenei. Dopo avere sinteticamente richiamato le principali novità introdotte con la legge 22 giugno 2016 n. 112, sarà pertanto necessario ricostruire i tratti fondamentali dell’istituto del trust e ripercorrere gli snodi fondamentali del dibattito dottrinale e giurisprudenziale circa il fondamento e la regolazione di tale istituto nel nostro ordinamento giuridico, passando poi ad esaminare le ricadute di tale dibattito sull’applicabilità del trust a protezione dei soggetti affetti da disabilità, al fine di mettere in luce la portata innovativa della disciplina in esame. Il legislatore ha espressamente previsto che tra gli scopi della legge in commento vi sia quello di agevolare la costituzione di trust, di vincoli di destinazione di cui all’articolo 2645-ter del codice civile e di fondi speciali, composti di beni sottoposti a vincolo di destinazione e disciplinati con contratto di affidamento fiduciario, in favore di persone con disabilità grave come definita dall’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (art. 1, co. 3, della l. n. 112/2016). Proprio al fine di agevolare la costituzione di tali vincoli, il successivo art. 6 ha previsto diversi benefici fiscali, tra i quali si segnalano l’esenzione dal pagamento dell’imposta sulle successioni e donazioni prevista dall’articolo 2, commi da 47 a 49, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, (convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, e successive modificazioni), l’applicazione ai trasferimenti di beni e di diritti delle imposte di registro, ipotecaria e catastale in misura fissa e l’esenzione dall’imposta di bollo di tutti gli atti, i documenti e le certificazioni posti in essere o richiesti dal trustee ovvero dal fiduciario del fondo speciale ovvero dal gestore del vincolo di destinazione. Infine, sempre nell’ottica di favorire un trattamento fiscale di favore, è previsto che in caso di conferimento di immobili e di diritti reali sugli stessi in trust ovvero di loro destinazione a fondi speciali, i Comuni possono stabilire, senza nuovi o maggiori
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oneri per la finanza pubblica, aliquote ridotte, franchigie o esenzioni dall’imposta municipale a loro dovuta a vantaggio dei soggetti passivi di cui all’art. 9, co. 1, d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23. Affinché la costituzione del vincolo in parola possa godere di tali esenzioni e agevolazioni fiscali occorre che lo stesso persegua come finalità esclusiva l’inclusione sociale, la cura e l’assistenza delle persone con disabilità grave in favore delle quali sono istituiti e che soddisfi otto requisiti: a) un onere di forma dell’atto, ovvero che l’istituzione del vincolo sia fatta per atto pubblico; b) una serie di requisiti di contenuto dell’atto-istitutivo del trust o del contratto di affidamento fiduciario ovvero costitutivo del vincolo di destinazione – che dovrà identificare in maniera chiara e univoca i soggetti coinvolti ed i rispettivi ruoli; descrivere la funzionalità e i bisogni specifici delle persone con disabilità grave, in favore delle quali sono istituiti ed indicare le attività assistenziali necessarie a garantirne la cura e la soddisfazione dei bisogni, comprese le attività da porre in essere per ridurre il rischio della loro istituzionalizzazione; c) sempre sul piano del contenuto, è previsto che gli atti in parola individuino, rispettivamente, gli obblighi del trustee o del fiduciario ovvero del gestore riguardo al progetto di vita e agli obiettivi di benessere che devono promuovere in favore delle persone con disabilità grave, adottando ogni misura idonea a salvaguardarne i diritti; tali atti devono inoltre indicare gli obblighi e le modalità di rendicontazione a carico del trustee o del fiduciario o del gestore; d) è stabilito che solo persone con grave disabilità possano essere beneficiari esclusivi del trust o del contratto di affidamento fiduciario o del vincolo di destinazione di cui all’art. 2645-ter c.c.; e) i beni, di qualsiasi natura, conferiti nel trust o nei fondi speciali ovvero i beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri gravati dal vincolo di destinazione di cui all’art. 2645-ter c.c. devono essere destinati esclusivamente alla realizzazione delle finalità assistenziali del trust o del fondo speciale o del vincolo di destinazione; f) come sesto requisito si prevede che sia indicato il soggetto preposto al controllo dell’adempimento delle obbligazioni poste a carico del trustee, del fiduciario o del gestore per tutta la durata dei relativi vincoli; g) è inoltre prescritto che tutti gli atti costitutivi indichino quale termine finale del vincolo la morte della persona con disabilità grave; h) infine gli atti istitutivi devono indicare il destinatario di eventuali risorse residue (dell’art. 6, co. 3, l. 112/2016). Prima di passare all’esame di quanto contemplato in particolare dagli artt. 1 e 6 della l. n. 112/2016 una notazione è d’obbligo: il legislatore del c.d. “Dopo di Noi” non ha dettato alcuna disposizione in tema di trascrizione degli atti istitutivi di trust o di fondi speciali a favore dei soggetti affetti da disabilità grave. Ove il vincolo venga costituito per il tramite di un atto di destinazione a norma dell’art. 2645-ter c.c. nulla quaestio, dal momento che il legislatore ha espressamente previsto la trascrizione di tali atti; ove, invece, il disponente intenda utilizzare lo schema del trust ovvero dei fondi speciali disciplinati mediante contratto di affidamento fiduciario sorgono, come si dirà in seguito, taluni problemi applicativi. Scopo del presente contributo è quello di comprendere, nel quadro dell’ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale sviluppatosi intorno ai patrimoni destinati, se la legge sul c.d. “Dopo di Noi” abbia portata limitata ai patrimoni destinati a persone affette da grave
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disabilità – riconoscendone piena validità nel nostro ordinamento e disciplinandone il trattamento fiscale di favore – ovvero se offra una risposta al dibattito dottrinale e giurisprudenziale in tema di trust. Al fine di rispondere a tale quesito è necessario tratteggiare gli elementi costitutivi del trust e raffrontarli con gli altri istituti menzionati dalla legge 112/2016 nell’ambito delle misure a tutela della disabilità, ovverosia i patrimoni destinati ai sensi dell’art. 2645-ter c.c. e il contratto di affidamento fiduciario.
2. Il trust. 2.1. Nozione.
Quando si parla di trust si fa riferimento a un istituto giuridico nato negli ordinamenti giuridici di common law e codificato nella Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985 sulla legge applicabile al trust e ratificata dall’Italia mediante la legge 16 ottobre 1989 n. 364. Ai sensi dell’art. 2 della Convenzione dell’Aja appena citata il trust è un rapporto giuridico in virtù del quale un soggetto – c.d. settlor – attribuisce a un altro soggetto – c.d. trustee –, mediante un atto unilaterale inter vivos o mortis causa, il potere-dovere di amministrare, gestire o disporre di determinati beni posti sotto il suo controllo nell’interesse di un soggetto – c.d. beneficiario – o per un fine specifico, con l’obbligo di rendere il conto della gestione. I beni conferiti in trust non entrano a fare parte del patrimonio del trustee ma formano una massa distinta, connotata da autonomia patrimoniale. In dottrina si è osservato come l’art. 2 della Convenzione dell’Aja – nonostante la portata apparentemente definitoria – non contenga una definizione di trust, ma regoli l’ambito di applicazione della Convenzione stessa nei confronti di tutti gli Stati aderenti che, al loro interno, ben potranno disciplinare il trust tenendo conto delle specificità del proprio ordinamento giuridico, a condizione che siano rispettati i contenuti minimi elencati all’interno dell’art. 2 citato1. Partendo dall’art. 2 della Convenzione dell’Aja è possibile mettere in luce gli elementi costitutivi del trust nel senso accolto dalla norma convenzionale. In primo luogo il settlor, colui che crea il trust, destinando uno o più dei suoi beni al perseguimento di un determinato scopo da lui stesso definito, trasferendo tali beni in capo a un soggetto tenuto ad amministrali, eventualmente nominando un protector, scegliendo i beneficiari ed indicando la legge applicabile ed il foro competente (art. 6 Conv. Aja).
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M. Lupoi, Il “controllo” in materia di trust autodichiarato e non, in Trusts, 2020, 121, il quale a tal fine richiama il punto n. 36 del Rapporto finale accluso alla Convenzione a norma del quale «L’art. 2 può sembrare una definizione del trust. In realtà, esso semplicemente cerca di indicare le caratteristiche che un istituto deve possedere - che si tratti di un trust di un Paese di Common law oppure di un analogo istituto di un altro Paese - per ricadere nel campo di applicazione della Convenzione».
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Quindi il trustee, l’amministratore dei beni destinati dal settlor; egli è tenuto ad agire nel rispetto di parametri di diligenza, rispondendo del suo operato esclusivamente nei confronti dei beneficiari; potrà delegare determinati professionisti per la gestione di particolari beni e potrà altresì agire in giudizio per la tutela dei beni destinati in trust (art. 11 Conv. Aja)2; il trustee risponderà personalmente della cattiva gestione dei beni ove non corrispondente alle disposizioni del trustee ovvero ove abbia agito in conflitto di interessi. In terzo luogo i beneficiari, categoria che ricomprende sia i beneficiari delle utilità dei beni in trust durante la vigenza dello stesso sia i beneficiari del residuo dei beni conferiti; i beneficiari non sono titolari di diritti attuali sui beni conferiti in trust ma, piuttosto, di una aspettativa giuridicamente rilevante; ne consegue che terzi interessati a fare valere diritti nei confronti del trust dovranno agire nei confronti del trustee3. In quarto luogo il protector, ossia il guardiano dei beni destinati, figura che può mancare e la cui nomina è rimessa alla discrezionalità del disponente; il guardiano dovrà vigilare sul rispetto del vincolo da parte del trustee. Il settlor può anche prevedere che per il compimento di determinati atti il trustee debba chiedere l’autorizzazione al protector e che il primo possa essere sostituito ove contravvenga alle indicazioni del secondo. In quinto luogo il trust fund, che è l’insieme dei beni destinati dal settlor, mobili o immobili, purché presenti. In sesto luogo la causa destinatoria ovvero lo scopo essenziale a cui il trust deve essere orientato, risultante dal programma definito dal trust (c.d. letter of wishes), scopo che non può porsi in contrasto con norme imperative, di ordine pubblico o con il buon costume4. Infine, la segregazione patrimoniale, che rappresenta l’effetto caratterizzante del trust, in virtù del quale il trustee diventa titolare di un diritto reale sui beni destinati nell’interesse altrui e tali beni non si confondono con il resto del suo patrimonio5.
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Cass. civ., 19 aprile 2018, n. 9637 in www.dejure.it, ha chiarito che i beneficiari non sono titolati di diritti attuali sui beni e, quindi, non possono nemmeno agire per la loro tutela in quanto privi di legittimazione ad agire, poiché «l’interesse alla corretta amministrazione del patrimonio in trust non integra una posizione di diritto soggettivo attuale in favore dei beneficiari ai quali siano attribuite dall’atto istitutivo soltanto facoltà, non connotate da realità, assoggettate a valutazioni discrezionali del trustee. Conseguentemente, deve escludersi che i beneficiari non titolari di diritti attuali sui beni siano legittimati passivi e litisconsorti necessari nell’azione revocatoria avente ad oggetto i beni in trust, spettando invece la legittimazione, oltre al debitore, al trustee, in quanto unico soggetto di riferimento nei rapporti con i terzi». Cass. civ., 19 aprile 2018, n. 9637, cit. alla nota n. 1. Si vedano al riguardo Cass. civ., 18 marzo 2015 n. 5322, e Trib. Milano, 16 giugno 2009 in Trusts, 2010, 533. Per una qualificazione del potere esercitato dal trustee sui beni conferiti in trust fund, si veda Cass. pen. sez. II, 3 dicembre 2014, n. 60672, in F.P. Olivieri, Il Trust. Manuale tecnico operativo, Milano, 2018, 225, secondo cui: «Il potere esercitato dal trustee sui beni in trust è riconducibile non al diritto di proprietà di cui all’art. 832 del codice civile, ma a una proprietà finalizzata e funzionale, che si esercita su un patrimonio separato ed autonomo ed è riconducibile al concetto generale di possesso penalmente rilevante di cui all’art. 646 del codice penale, ragion per cui il comportamento del trustee che stia per liquidare una polizza assicurativa per trasferirne il ricavato sul proprio conto bancario comporta una violazione del vincolo funzionale e quella interversione del possesso in proprietà che costituisce l’essenza del delitto di appropriazione indebita».
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2.2. Il trust nell’ordinamento giuridico italiano: trust esterno e trust interno.
La mancanza di una norma sostanziale che, quanto meno fino al 2016, disciplinasse compiutamente il trust ha fatto sì che intorno all’ammissibilità dell’istituto giuridico in commento sia sorto un copioso e articolato dibattito dottrinale e giurisprudenziale6. Il fulcro del dibattito è rappresentato dalla natura atipica del diritto costituito in capo al trustee: a volere ammettere che i beni costituiti in trust fund fuoriescano dalla sfera giuridica del settlor per entrare nella esclusiva disponibilità del trustee, quest’ultimo sarebbe titolare di un diritto reale dal contenuto atipico, in quanto non potrebbe godere e disporre pienamente dei beni nel senso specificato dall’art. 832 c.c. poiché dovrebbe amministrarli secondo le direttive del settlor e sarebbe sottoposto al controllo del guardiano – ove esistente – e, in ogni caso, dei beneficiari. Sotto tale profilo il trust contrasterebbe con il principio di tipicità dei diritti reali – che trova fondamento negli artt. 832 e 922 c.c., in virtù dei quali il diritto di proprietà ha un contenuto tipico e si può acquistare solo nei modi stabiliti dalla legge –, con le esigenze di tutela della certezza dei traffici giuridici – garantite dalle forme di pubblicità previste dall’ordinamento giuridico7 – e, infine, con il principio di tipicità delle limitazioni della responsabilità patrimoniale generica di cui all’art. 2740 co. 2 c.c. Per tali motivi l’Italia è stata storicamente considerata uno Stato “non trust” obbligata dalla ratifica della Convenzione dell’Aja a riconoscere esclusivamente i trusts i cui elementi più importanti siano collegati con uno Stato estero che riconosce e disciplina il trust (c.d. trust esterno). A norma dell’art. 13 della Convenzione dell’Aja, infatti, nessuno Stato aderente alla Convenzione è tenuto a riconoscere un trust i cui elementi più importanti, ad eccezione della legge da applicare, del luogo di amministrazione e della residenza abituale del trustee, sono più strettamente collegati a Stati che non prevedono il trust. Da un’attenta analisi della Convenzione dell’Aja, nondimeno, si evince come i redattori della Convenzione abbiano tenuto conto anche delle peculiarità dei sistemi giuridici di civil law. La configurazione del trust accolta nel testo originario dell’art. 2 della Convenzione dell’Aja era quella propria del diritto inglese che, a parte il caso del c.d. trust auto-dichiarato di cui si dirà infra, richiede il trasferimento dei beni al trustee. Nel corso
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In Italia la Convenzione dell’Aja del 1985 è stata ratificata con legge n. 364/1989. Si tratta, nello specifico, di una legge di diritto internazionale privato che, in quanto tale, contiene disposizioni volte a individuare la legge applicabile a fattispecie giuridiche connotate da elementi di internazionalità, mentre non si occupa di dettare norme sostanziali applicabili al trust. Per una ricostruzione dell’origine del trust e del dibattito dottrinale e giurisprudenziale con riferimento allo stesso, si veda F. Rota-G. Biasini, Il trust e gli istituti affini in Italia, Milano, 2007, 7 ss. In argomento, v. più diffusamente M. Lupoi, Trusts, II ed., Milano, 2001, cap. II e III, 23 ss.; nonché dello stesso Autore, La giurisprudenza italiana sui trust, IV ed., Milano, 2011, serie dei Quaderni della rivista “Trusts &(ampersand) attività fiduciarie”, n. 4. A norma dell’art. 12 della Conv. Aja il trustee ha facoltà di fare iscrivere in pubblici registri il vincolo a meno che ciò non sia vietato dalla legislazione dello Stato in cui tale registrazione deve avere luogo. Sul rapporto tra la (apparente) tipicità delle forme di pubblicità nel nostro ordinamento giuridico e la trascrivibilità del trust, si veda F. Gazzoni, Il cammello, il leone, il fanciullo e la trascrizione del trust, in Riv. not., 2002, 1107, nonché F. Gazzoni, Tentativo dell’impossibile (osservazioni di un giurista «non vivente» su trust e trascrizione, in Riv. not. 2001, 11.
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dell’elaborazione il requisito del trasferimento è stato sostituito con quello del porre sotto il controllo, probabilmente perché, come evidenziato da attenta dottrina, in tal modo sarebbero rientrati nella nozione convenzionale di trust istituti giuridici di matrice civilistica (quale l’istituto del mandato); in sostanza, si “annacquò” la struttura originaria del trust per ampliare i casi di applicazione della Convenzione al di fuori dei Paesi di common law8. Il disinteresse per la fase genetica del trust, d’altronde, emerge dall’art. 4 della Convenzione che non si occupa dei negozi in forza dei quali i beni sono stati trasferiti al trustee, ma dà per scontato che un soggetto, il trustee, possa disporne a vantaggio dei beneficiari o del fine del trust e quindi che ne abbia il controllo. Sono d’altronde cadute le principali obiezioni fondate sulla asserita incompatibilità del trust con i principi cardine del nostro ordinamento giuridico9. Partendo da tali presupposti la giurisprudenza maggioritaria, superando la tesi contraria sostenuta da altra parte della giurisprudenza e della dottrina10, da tempo riconosce piena validità ai trust c.d. interni, i cui elementi costitutivi – fatta eccezione per la legge regolatrice del vincolo – presentino il collegamento più stretto con uno Stato che non contempla l’istituto del trust11. Nel trust interno la legge straniera regolerà gli aspetti più importanti del trust, mentre sarà la legge italiana a disciplinare i negozi di trasferimento dei beni al trustee e l’attività del trustee. Sarà sempre la legge italiana a garantire la tutela dei diritti inderogabili dei creditori, dei legittimari, dei minori, degli incapaci e della famiglia, come espressamente previsto dall’art. 15 Conv. Aja. La distinzione tra trust interno e esterno, naturalmente, parte dal presupposto che l’Italia sia uno Stato non trust ai sensi del citato art. 13 Conv. Aja. Si avrà modo di vedere come a seguito della novella normativa che ha inserito nel corpo del codice civile l’art. 2645-ter
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Cfr. C. Jauffret Spinosi, La Convention de la Haye relative à la loi applicable au trust et à sa reconnaissance (1er juillet 1985), in Journal de droit international, 1987, 23; si veda, in particolare, 27, ove si legge «afin de ne pas effaroucher les pays romanistes». 9 Da tempo sono state superate le tesi che negavano l’ammissibilità della proprietà c.d. temporanea. Si leggano al riguardo A. Sacchi, La proprietà temporanea, Milano, 2005; N. Di Prisco, La proprietà temporanea, Napoli, 1979; E. Bilotti, Proprietà temporanea, usufrutto e tipicità delle situazioni di appartenenza, in Riv. Notariato, 2013, 1277; L. Genghini, Manuali Notarili - I diritti reali, vol. V, Padova, 2011, 152. 10 Per la giurisprudenza contraria all’ammissibilità di trust interni, sia consentito rinviare a Trib. Santa Maria Capua Vetere, 5 marzo 1999 e 25 marzo 1999; Trib. Napoli, 1° ottobre 2003; App. Napoli, 27 maggio 2004; Trib. Velletri, 29 luglio 2005, oltre al già menzionato provvedimento di Trib. Belluno, 25 settembre 2005. Per una ricostruzione della evoluzione giurisprudenziale in materia di trust interno, si veda G. Fanticini, Relazione generale sullo sviluppo della giurisprudenza civile italiana (prima parte), in Trusts e attività fiduciarie, 2015, 455. Tra i detrattori del trust interno in dottrina si vedano F. Fimmanò, La Cassazione ripudia il trust concorsuale (nota a Cass., 9 maggio 2014, n. 10105), in Fallimento, 2014, 1167 ss.; L. Gatt, Il trust interno: una questione ancora aperta, in Notariato, 2011, 280; V. Mariconda, Contrastanti decisioni sul trust interno: nuovi interventi a favore ma sono nettamente prevalenti gli argomenti contro l’ammissibilità (nota a Trib. Belluno, 25 settembre 2002, Trib. Bologna, 1° ottobre 2003, e Trib. Parma, 21 ottobre 2003), in Corriere giur., 2004, 57. Più di recente per la non riconoscibilità del trust interno cfr. Trib. Monza, 13.10.2015, in Trusts e attività fiduciarie, 2016, 393; Trib. Udine, 28 febbraio 2015, in Trusts e attività fiduciarie, 2015, 375. 11 Cfr. Cass. pen., 30 marzo 2011, n. 13276, in Trusts, 2011, 408, con commenti di M. Lupoi, ivi, 469 e di D. Amato, ivi p. 472. In giurisprudenza sul trust “sham” v. Trib. Reggio Emilia, 27 agosto 2011, in www.dejure.it.
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c.c. parte della dottrina abbia messo in discussione tale assunto12 e si tenterà, infine, di rispondere al quesito se tale assunto sia stato sconfessato dalla legge 112/2016. 2.3. Tipologie di trust: trust auto-dichiarato e trust di scopo.
Si parla di trust auto-dichiarato quando il settlor e il trustee coincidono: in questo caso il disponente non controlla l’operato del trustee, ma direttamente i beni in trust. Ciò che caratterizza tale peculiare tipologia di trust è la mancanza di trasferimento dei beni ad un soggetto diverso dal disponente e la valorizzazione dell’aspetto della destinazione dei beni al perseguimento di uno scopo determinato13. Nel nostro ordinamento giuridico uno dei principali ostacoli al riconoscimento del c.d. trust auto-dichiarato deriva dal fatto che un patrimonio separato può esistere a condizione che sia destinato a perseguire uno scopo determinato, collegato a un centro di interessi distinto e autonomo rispetto a quello del disponente e che escluda l’uso personale dei beni da parte del disponente stesso14. D’altronde, la Convenzione dell’Aja, almeno all’apparenza, mal si presta a includere questa tipologia di trust nel suo ambito applicativo, dal momento che elemento essenziale del rapporto giuridico a norma del citato art. 2 consiste nel “porre sotto il controllo di un trustee” i beni costituiti in trust fund. La giurisprudenza in passato era contraria alla ammissibilità di simile tipologia di trust, animata vuoi dalla preoccupazione di reprimere fenomeni di abuso del diritto e di violazione di norme imperative poste a tutela dei diritti dei creditori15, vuoi dalle criticità legate alla sua trascrivibilità in rapporto al principio della tassatività degli atti soggetti a trascrizione16. Più di recente la giurisprudenza, di legittimità prima e di merito poi, ha aperto le porte a tale istituto17. Eventuali abusi della segregazione patrimoniale possono infatti essere sanzionati mediante un penetrante controllo causale: è evidente che un simile schema
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Cfr. G. Petrelli. Destinazioni Patrimoniali e Trust, Milano, 2019. Per una panoramica dottrinale in materia di trust auto dichiarato, cfr. P. Manes, G. Errani, Trust autodichiarato e vincoli di destinazione: l’effetto segregativo, in Trusts, 2018, 477; A. Costa, Nullità del trust autodichiarato quale sahm trust (nota a Trib. Massa 12 aprile 2016) in Contratti, 2016, 861. Per una analisi dedicata al trust autodichiarato con riferimento a soggetti affetti da disabilità, si veda D. Muritano, Trust auto-dichiarato per provvedere ad un fratello con handicap, in Trusts, 2002, 473. 14 G. Petrelli. Destinazioni patrimoniali e Trust, cit., 98; A. Falzea, Introduzione e considerazioni conclusive, in Destinazione dei beni allo scopo, a cura del Consiglio Nazionale del Notariato, Milano, 2003, 28; L. Bigliazzi Geri, Patrimonio autonomo e separato, in Enc. dir., XXXII, Milano, 1982, 280. 15 V. Cass, nn. 3735 e 3886/2015; Trib. Bari, 23 maggio 2014, in Notariato, 2014, 390; Trib. Ravenna, 22 maggio 2014, in www.ilcaso. it; Trib. Reggio Emilia, 22 giugno 2012, in Trusts, 2013, 57; Trib. Trieste, 7 aprile 2007, in Nuova giur. civ. comm., 2007, I, 524; Trib. Reggio Emilia, 26 marzo 2007, in Riv. dir. civ., 2008, 451. 16 Come riportato da A. Di Landro, Il trust autodichiarato tra Convenzione dell’Aja e autonomia negoziale, in Trusts, 2018, 466, gran parte delle decisioni in materia hanno preso le mosse da precedenti rifiuti di Conservatori di registri immobiliari: cfr. Trib. Pisa, 22 dicembre 2001; Trib. Verona, 8 gennaio 2003; Trib. Napoli, 18 ottobre 2003; Trib. Parma, 21 ottobre 2003; App. Napoli, 27 maggio 2004 (tutte pubblicate in Trusts). 17 V. Cass., 26 ottobre 2016, n. 21614; App. Milano, 30 gennaio 2017, in Trusts, 2017, 399. La giurisprudenza che ha riconosciuto l’ammissibilità del trust auto-dichiarato ne ha anche ordinato la trascrizione (già in passato, Trib. Milano, 23 febbraio 2005, in Corr. mer., 2005, 667, con nota di S. Bartoli). 13
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negoziale potrà trovare ingresso nel nostro ordinamento giuridico solo ove lo scopo perseguito dal disponente non sia meramente segregativo, come tale elusivo delle norme poste a tutela degli interessi dei creditori, in primis l’art. 2740 c.c. Ove sia ravvisabile una causa concreta meritevole di tutela, non vi sono ragioni per negarne l’ammissibilità, dal momento che tale tipologia di trust ben si presta, come si vedrà infra, a soddisfare le esigenze di protezione dei beni appartenenti a soggetti affetti da disabilità18. Ove il settlor sia al contempo beneficiario delle utilità finali prodotte dai beni destinati si parlerà poi di trust di scopo. In tale tipologia di vincolo l’elemento predominante è rappresentato dal perseguimento di un fine specifico piuttosto che dal soddisfacimento degli interessi dei beneficiari finali19. Indici del riconoscimento di trust c.d. di scopo si rinvengono in leggi di Stati che disciplinano il trust, come Jersey. L’art. 10, par. 12 della Trustee ( Jersey) Law del 1984, infatti, prevede che tanto il settlor quanto il trustee possano anche essere beneficiari dei beni destinati in trust20.
3. Trust e vincoli di destinazione di cui all’art. 2645-ter c.c.:
analogie e differenze.
Con la legge 23 febbraio 2006 n. 51 (che ha convertito in legge il d.l. 30 dicembre 2005 n. 273) il legislatore ha disciplinato all’art. 2645-ter c.c. la trascrizione dei c.d. negozi di destinazione, per tali intendendosi gli atti in forma pubblica con cui beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri sono destinati, per un periodo non superiore a novanta anni o per la durata della vita della persona fisica beneficiaria, alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche ai sensi dell’articolo 1322, co. 2 c.c. La trascrivibilità di tali atti, per espressa disposizione normativa, è volta a garantirne l’opponibilità ai terzi. Mediante una norma apparentemente volta ad assicurare la trascrizione dei vincoli di destinazione e inserita nel titolo I libro VI del codice civile, il legislatore del 2005 ha dettato per la prima volta prescrizioni in merito alla forma, al contenuto e agli effetti dei negozi di destinazione. L’inquadramento normativo della fattispecie in disamina, tuttavia, ha dato vita a un vivace dibattito circa la portata della novella normativa, non essendo chiaro se
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Il genitore di un figlio portatore di handicap potrebbe decidere di destinare parte del proprio patrimonio al perseguimento delle esigenze di cura del figlio stesso al fine di garantire che anche alla sua morte tali beni continuino a essere destinati a tale scopo: in questo caso, il genitore sarebbe sia settlor che trustee mentre alla sua morte muterebbe la persona del trustee, sostituzione possibile giusta la centralità dello scopo perseguito mediante la costituzione del vincolo. 19 Sul trust di scopo si vedano: Lupoi, Trusts, cit., p. 206; S. Bartoli, Il trust, Milano, 2001, 271 ss.; S. Patti, I trust e figure affini in diritto civile. Analogie e differenze, in Vita not., 1998, 791 ss. 20 F.P. Olivieri, Il Trust. Manuale Tecnico Operativo, Milano, 2018, 30.
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le prescrizioni ivi dettate siano funzionali esclusivamente a garantire la trascrizione dei vincoli in parola o consentano di trarre argomenti a fondamento del riconoscimento nel nostro ordinamento giuridico del negozio di destinazione21. La questione non è di poco conto in quanto una risposta affermativa offrirebbe argomenti a sostegno della tesi di quanti hanno sostenuto che dal 2005 l’Italia abbia dato ingresso al trust22. Al fine di rispondere al quesito occorre, in primo luogo, mettere sinteticamente in luce le differenze tra il negozio in esame e il trust come tratteggiato nel paragrafo precedente: a) la forma: atto pubblico, mentre per il trust la forma è libera; b) l’atto di costituzione: a differenza del trust che può essere costituito solo mediante atto unilaterale, i vincoli di destinazione possono essere costituiti sia mediante contratto che mediante atto unilaterale. Si è discusso se al pari del trust, anche il vincolo di destinazione possa essere costituito mediante atto mortis causa. In senso positivo si è pronunciata parte della dottrina secondo la quale il difetto di coordinamento tra l’art. 2648 c.c. e l’art. 2645-ter c.c. sarebbe frutto di una mera svista del legislatore, motivo per il quale sono suscettibili di trascrizione anche gli atti di destinazione costituiti per testamento pubblico23. In senso contrario si è pronunciata la giurisprudenza di merito, facendo leva sul richiamo all’art. 1322 co. 2 c.c. che disciplina i rapporti contrattuali24; c) il trasferimento dei beni a un terzo fiduciario: al pari del trust può mancare25; d) i beni oggetto di destinazione: solo beni immobili o mobili registrati, mentre il fund trust può essere costituito anche da beni mobili26; e) la causa destinatoria: interessi meritevoli di tutela ai sensi dell’art. 1322, co. 2, c.c. Tale requisito non è espressamente previsto per il trust, nondimeno la Convenzione dell’Aja del 1985 impone al giudice nazionale di verificare la non contrarietà a norme imperative del vincolo e la stessa giurisprudenza interna effettua un controllo di tal fatta quando è chiamata a riconoscere un trust27;
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Per una ricostruzione del dibattito dottrinale sviluppatosi intorno alla norma in commento, si veda G. Petrelli. Destinazioni Patrimoniali e Trust, Milano, 2019, pp. 2 e 3. In giurisprudenza, per la tesi che nega che mediante l’introduzione dell’art. 2645 ter c.c. il legislatore abbia coniato una nuova tipologia negoziale, sia a causa del suo collocamento tra le norme sulla pubblicità, sia poiché mancano gli elementi per individuare la struttura del negozio, la sua natura, la sua causa e i suoi effetti. – circostanza che renderebbe necessario affiancare al vincolo di destinazione altra fattispecie negoziale (tipica o atipica) – si veda Trib. Reggio Emilia, 27 gennaio 2014 in www.dejure.it. 22 G. Petrelli. Destinazioni Patrimoniali e Trust, cit. 23 In tal senso cfr. Petrelli. Destinazioni Patrimoniali e Trust, cit., 2019, 7. 24 App. Roma, sez. III, 02.05.2019, n. 2838: «La costituzione di un vincolo di destinazione per testamento è inammissibile, perché l’art. 2645-ter cod. civ., non soltanto non contiene alcun richiamo al testamento, ma fa riferimento all’art. 1322, comma 2, cod. civ. che disciplina i rapporti a struttura contrattuale e non si applica agli atti mortis causa)». 25 G. Petrelli. Destinazioni Patrimoniali e Trust, cit., 2019, 8. 26 Per una interpretazione estensiva, v. Petrelli. Destinazioni Patrimoniali e Trust, cit., 21, secondo il quale il vincolo può avere ad oggetto anche beni mobili e diritto di credito i quali nondimeno saranno soggetti alle regole di pubblicità e di opponibilità ai terzi proprie delle rispettive discipline. 27 Cfr. P. Manes, G. Errani, Trust autodichiarato e vincoli di destinazione: l’effetto segregativo, in Trusts, cit. ove si richiamano in nota le pronunce in cui è stata ribadita la necessità della valutazione della causa concreta del trust: Cass. 9 maggio 2014, n. 10105, in Trusts, 2014, 585; Cass., sez. trib., 24 febbraio 2015 nn. 3735 e 3737 nonché Cass., sez. trib., 25 febbraio 2015 n. 3886 in Diritto e pratica tributaria, 2015, p. 688, con nota di Corasaniti; Cass. pen., 25 luglio 2017, n. 36801; Cass. pen., 20 febbraio 2017, n. 8041; Cass. pen., 7 marzo 2016, n.
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f) l’individuazione del beneficiario: elemento necessario del vincolo, a differenza del trust che può anche essere di scopo; g) la tutela degli interessi meritevoli di tutela: è rimessa sia il disponente sia a qualsiasi altro interessato, mentre nel trust solo il trustee può agire per tutelare gli interessi del trust per i beneficiari; h) la segregazione patrimoniale: è espressamente prevista dall’art. 2645-ter c.c.; i) disciplina tributaria: l’atto costitutivo del vincolo non ha valore patrimoniale né produce effetti traslativi ed è soggetto al pagamento di imposta di registro e ipotecaria in misura fissa (d.p.r. 26 aprile 1986 n. 131 e d.lgs. 31 ottobre 1990 n. 347), mentre la giurisprudenza ha ritenuto che sia soggetto al pagamento dell’imposta sulle donazioni a prescindere dal trasferimento della proprietà28. Parte della dottrina, facendo leva su tali distinzioni e, soprattutto, sulla asserita manca di qualsivoglia obbligazione fiduciaria nei vincoli di destinazione di cui all’art. 2645-ter c.c., ha rimarcato la non assimilabilità dei due istituti giuridici29. Altra dottrina, al contrario, ha affermato che a seguito dell’introduzione dell’art. 2645-ter c.c. l’Italia non è più un Paese “non trust” ai sensi dell’art. 13 Conv. Aja, considerato che vi è coincidenza tra i tratti essenziali del trust e gli effetti dallo stesso prodotti (in particolare la segregazione patrimoniale e l’opponibilità ai terzi) quali risultano dagli artt. 2 e 11 della Convenzione dell’Aja, e i vincoli di destinazione di cui all’art. 2645-ter c.c.: per assoggettare il trust alle norme di cui all’art. 2645-ter c.c. sarebbe sufficiente soddisfare i requisiti di cui agli artt. 6 e 7 Conv. Aja, ovverosia scegliere la legge italiana come legge applicabile alla fattispecie30. Tale interpretazione, a parere della dottrina ora citata, non è preclusa né dal riferimento contenuto nell’art. 2645-ter c.c. ai soli beni mobili registrati e immobili né dalla struttura contrattuale dell’atto di destinazione31. Il trust configurato a norma dell’art.
9229; Cass. pen., 16 aprile 2015, n. 15804. Nel merito, tra le decisioni più importanti si ricordano in particolare: Trib. Bologna, 9 gennaio 2014, in Trusts, 2014, 293; Trib. Cassino, 8 gennaio 2009, in Trusts, 2009, 419; Trib. Milano, 17 luglio 2009, in www.ilcaso.it, dove si afferma espressamente che la regola dell’art. 13 Conv. opererebbe proprio «laddove l’utilizzo del trust si ponga, in concreto, come elusione di norme imperative dell’ordinamento italiano, ossia laddove la causa in concreto perseguita dal disponente con il programma negoziale non sia comunque meritevole di tutela»; Trib. Milano, 16 giugno 2009, in questa Rivista, 2009, 533; Trib. Milano, 29 ottobre 2010, in Guida al dir., 2011, 75; Trib. Bologna, 16 giugno 2003, in questa Rivista, 2003, 580 e in Giur. it., 2004, 1191, nota di Monticelli, secondo la quale l’art. 13 si «pone nell’alveo dell’art. 1344 c.c.» e può vanificare gli effetti di quei trust che costituiscono una frode alla legge, «in quanto volti a creare situazioni in contrasto con l’ordinamento italiano». Cass. civ., 19 aprile 2018, n. 9637, nonché Cass. civ., 18 marzo 2015, n. 5322. 28 Cfr. Cass. trib. 24 febbraio 2015 n. 3735 e 3737 nonché Cass trib. 25 febbraio 2015 n. 3886 in Diritto e pratica tributaria, 2015, 688 con nota di Corasaniti. 29 M. Lupoi, Gli ‘atti di destinazione’ nel nuovo art. 2645-ter cod. civ. quale frammento di trust, in Riv. not., 2006, 467; più di recente lo stesso Autore ha ribadito la distinzione tra i due istituti giuridici in “Trust e vincoli di destinazione: qualcosa in comune?”, in Trusts, 2019, 327. 30 cfr. Petrelli, Destinazioni Patrimoniali e Trust, cit., 104; l’Autore si era già espresso in tal senso in un saggio pubblicato all’indomani dell’entrata in vigore dell’art. 2645-ter c.c. “La trascrizione degli atti di destinazione”, in Riv. dir. civ. 2006, 203 c.c. Nel medesimo senso si è pronunciata L. Gatt, Dal trust al trust. Storia di una chimera, Napoli, 2010, 73 ss. 31 Per Petrelli, Destinazioni Patrimoniali e Trust, cit., 119 e 121, i vincoli di destinazione possono avere ad oggetto anche beni diversi da quelli contemplati dalla norma e, specularmente, il trust può essere costituito anche mediante un atto a struttura contrattuale. Cfr. S. Bartoli, Considerazioni generali, in Bartoli-Muritano-Romano, Trust e atto di destinazione nelle successioni e donazioni, Milano, 2014, 57 ss., nonché, in merito alla struttura contrattuale del trust, R. Siclari, Il trust nella Convenzione dell’Aja del 1985: un nuovo modello negoziale, in Rass. dir. civ., 2000, 100.
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2645-ter c.c. non è un trust interno, bensì un trust italiano soggetto, come tale, alla legge italiana. A giudizio di chi scrive le evidenziate distinzioni tra il trust e i vincoli di cui all’art. 2645ter c.c. non giustificano una simile conclusione. La non assimilabilità dei due istituti, d’altronde, è suffragata dal legislatore del c.d. Dopo di Noi che ha dettato norme applicabili tanto ai vincoli istituiti ai sensi dell’art. 2645-ter c.c. quanto al trust – imponendo il rispetto di determinati requisiti di forma e di sostanza estranei all’uno e all’altro nella loro versione originaria (come l’individuazione di un gestore) in tal modo tenendo i due istituti distinti.
4. Trust e contratto di affidamento fiduciario: analogie e differenze.
In assenza di una definizione normativa, con l’espressione “contratto di affidamento fiduciario” la dottrina intende riferirsi ad un negozio necessariamente bilaterale, per l’appunto un contratto, per mezzo del quale un soggetto (affidante fiduciario) conviene con un altro (affidatario fiduciario) individuazione di posizioni soggettive (esistenti o future), c.d. “beni affidati”, e la loro destinazione a vantaggio di uno o più soggetti, detti beneficiari, in forza di un programma di destinazione, la cui attuazione è rimessa all’affidatario che a ciò si obbliga32. A differenza del trust si tratta di un contratto e non di un mero atto di destinazione (che implica un semplice collegamento di tipo funzionale tra il vincolo e l’effetto che con lo stesso si produce); inoltre tale contratto può avere ad oggetto non solo beni presenti ma anche futuri e interi patrimoni. Al pari del trust, mediante il contratto di affidamento fiduciario si realizza l’effetto segregativo tipico dei patrimoni separati e la fuoriuscita del bene dalla sfera giuridica dell’affidante secondo lo schema proprio della c.d. proprietà temporanea. Secondo parte della dottrina, infine, in entrambi gli istituti giuridici in commento il vincolo non riguarda i beni, ma il modo di gestirli: la gestione dei beni destinati deve avvenire, infatti, sulla base del programma che ne costituisce la causa; sotto tale profilo, il trust e il contratto di affidamento fiduciario sarebbero accomunati dalla dinamicità della gestione che sarebbe invece estranea ai vincoli di cui all’art. 2645-ter c.c. e che renderebbe sempre possibile nei primi e non nel secondo la sostituzione del gestore. Nei vincoli di destinazione di cui all’art. 2645-ter c.c. manca, infatti, l’affidamento fiduciario attraverso il quale si
32
Per una ricostruzione del dibattito dottrinale intorno alla categoria del c.d. contratto di affidamento fiduciario cfr. F. Azzarri, I negozi di destinazione patrimoniale in favore dei soggetti deboli: considerazioni in margine alla l. 22.06.2016, n. 112, in Nuova giur. civ. comm., 2016, 128; M. Lupoi, Istituzioni del diritto dei trust e degli affidamenti fiduciari, Padova, 243; nonché M. Lupoi, Il contratto di affidamento fiduciario, Milano, 2014.
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collegano i profili obbligatori a quelli reali: se l’affidatario non rispetta quanto previsto non potrà essere revocato semplicemente come un trustee, mancando tra l’altro un terzo come il guardiano nel trust al quale riconoscere il diritto di controllare l’operato del trustee, con potere diretto di revocarlo. La mancanza di dinamicità ha come conseguenza ulteriore il fatto che il vincolo non disciplina le situazioni intermedie o strumentali che possono verificarsi nell’ambito del programma (quali la vendita dei beni per necessità economiche impreviste dei beneficiari con surrogazione del denaro ricavato33). Il profilo causale è determinante sia nel trust – in quanto ne condiziona l’ammissibilità – sia nel contratto di affidamento fiduciario che, rientrando nella categoria dei c.d. contratti atipici, è ammissibile in quanto sorretto da una specifica causa concreta. A differenza del trust, il professionista chiamato a redigere un contratto di affidamento fiduciario ben potrà fare riferimento a schemi contrattuali tipici quale, p.e., il mandato senza rappresentanza, e adattarli alle esigenze del caso concreto34. A differenza del trust come inteso nei Paesi di common law, infine, il contratto di affidamento fiduciario si limita a individuare le parti del contratto, i beneficiari, la durata, il programma negoziale e la causa destinatoria, mentre il trasferimento dei beni dall’affidante all’affidatario si realizza per il tramite di un diverso negozio funzionalmente collegato al primo35.
5. Il trust e l’amministrazione di sostegno. 5.1. I rapporti tra i due istituti e le ragioni dell’interesse per il trust.
La possibilità garantita dal trust di vincolare la gestione di determinati beni al perseguimento di specifici interessi sta alla base dell’attenzione rivolta nei confronti di questo istituto nel campo delle misure di protezione delle persone affette da disabilità, in generale, e della amministrazione di sostegno, in particolare: esiste, infatti, una stretta connessione tra la necessità di proteggere determinati interessi e quella di gestire i beni mediante i quali i primi possono essere perseguiti. Le ragioni di interesse per il trust, più nello specifico, sono due: la necessità di gestire un patrimonio nell’interesse di un soggetto meritevole di protezione in quanto non in grado in tutto o in parte di provvedere autonomamente ai suoi interessi; la destinazione del patrimonio al soddisfacimento dei bisogni del beneficiario della misura di protezione
33
Trib. Lecco, 1° ottobre 2002, in Riv. Not., 2003, 448, secondo cui, se il Giudice Tutelare autorizza la vendita del bene non può imporre il reimpiego del prezzo ricavato perché su di esso non è trasferibile il vincolo. 34 M. Lupoi, L’affidamento fiduciario nella vita professionale, Milano, 2018, 5. 35 M. Lupoi, L’affidamento fiduciario nella vita professionale, cit., 48.
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anche nel tempo successivo alla morte del o dei soggetti che attualmente si prendono cura di lui. Si è già dato atto del dibattito sorto intorno alla riconoscibilità del c.d. trust interno e dell’apertura della ormai unanime giurisprudenza e dottrina al riguardo. Con specifico riferimento alle misure di protezione dei soggetti incapaci, l’art. 15 della Convenzione dell’Aja dispone che la Convenzione non ostacola l’applicazione delle disposizioni di legge previste dalle regole di conflitto del foro, allorché non si possa derogare a dette disposizioni mediante una manifestazione di volontà delle parti, come accade quando siano coinvolti interessi di minori e di incapaci. La giurisprudenza da anni si è mostrata aperta all’ammissibilità di vincoli costituiti sotto forma di trust a favore di soggetti sottoposti all’amministrazione di sostegno e svariati sono stati i contributi dottrinali sul tema36. Di seguito si tratteranno sinteticamente le situazioni che potrebbero presentarsi nella pratica e le soluzioni offerte da dottrina e giurisprudenza per poi verificare quale sia l’impatto della disciplina del c.d. “Dopo di noi” sullo stato dell’arte. 5.2. L’istituzione del Trust a favore del beneficiario di amministrazione di sostegno da parte dei parenti. 5.2.1. Un ipotetico caso.
Tommaso è un ragazzo di 25 anni affetto da una grave forma di sindrome di down – disabilità grave ai sensi dell’art. 3, c. 3, l. n. 104/1992 – che vive con i genitori e la sorella Vittoria in un appartamento di proprietà dei genitori nella misura del 50% ciascuno in regime di comunione legale dei beni. I genitori di Tommaso non sono proprietari di altri beni, lavorano e Vittoria è una studentessa di medicina. Tommaso percepisce la pensione di invalidità e l’indennità di accompagnamento da parte dell’Inps; al raggiungimento della maggiore età i genitori di Tommaso hanno promosso il giudizio per l’apertura di amministrazione di sostegno, indicando come amministratore di sostegno il padre, al fine di poterlo assistere nel compimento degli atti per i quali il figlio non è autonomo, come la gestione della pensione.
36
In giurisprudenza si vedano Trib. Rimini, 21 aprile 2009, in Trusts, 2009, 409; Trib. Genova, 17 giugno 2009, ivi, 2009, 531; Trib. Bologna, 11 maggio 2009, ivi, 2009, 543; Trib. Modena, sez. Sassuolo, 11 dicembre 2008, ivi, 2009, 177 nonché in Dir. fam., 2009, 1259 (con nota di S. Nardi); Trib. Bologna, 23 settembre 2008, in Trusts, 2008, 631. Si tratta di un tema ricco di implicazioni: per alcuni spunti dottrinali v. M. Delia, La protezione dei soggetti privi di autonomia nella procedura dell’Ads e nel trust, in Trusts, 2012, 591; G. Tucci, La tutela del figlio disabile tra nuove “fiducie” e/o “affidamenti fiduciari”, trust e clausole testamentarie tradizionali, in Trusts, 2011, 13; A. Di Sapio, I trust interni auto destinati: misura complementare o alternativa alle misure legali di protezione delle persone prive di autonomia, in Trusts, 2010, 20; M. Bucchi, G. Bertolini, Il trust come misura di protezione dell’incapace?, in Trusts, 2010, 35; A. Tonelli, A. Bulgarelli, Il trust di sostegno, in Trusts, 2010, 37; R. Riccio, Trust a vantaggio di un soggetto sottoposto a amministrazione di sostegno: il cammino del professionista, in Trusts, 2009, 676; A. Di Sapio, Trust e amministrazione di sostegno (atto primo), Trusts, 2009, 364 e 480; C. Carbone, Trust a tutela di soggetti deboli. Problemi e alternative nell’ambito della famiglia, in Vita not., 2009, 1089; A. Di Landro, La protezione dei soggetti deboli tra misure di protezione e atti di destinazione, in Trusts, 2009, 493.
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I genitori di Tommaso si prendono cura delle sue esigenze morali e materiali e durante il giorno lo accompagnano a un centro diurno dove il figlio svolge attività ricreative. I genitori vorrebbero assicurarsi che la cura di Tommaso sia garantita negli stessi termini anche per il tempo successivo alla loro morte e che, al contempo, siano garantiti i diritti per legge riservati ai successori necessari. I genitori sono altresì consapevoli del fatto che lasciare a Tommaso la quota dell’appartamento di loro proprietà a lui spettante per legge non avrebbe senso considerato che non avrebbe in ogni caso la capacità di gestirlo. 5.2.2. Le possibili soluzioni: i fenomeni successori.
Nella tutela della disabilità la lacuna più grande si manifesta proprio in ambito successorio. La rigidità della disciplina codicistica in tema di successioni mortis causa fino a un recente passato precludeva ai genitori e/o ai parenti di persone affette da disabilità di riservare agli stessi una particolare tutela per il tempo successivo alla propria scomparsa37. Un breve excursus della disciplina normativa consentirà di metterne in luce i limiti. Il solo istituto che si occupa espressamente del fenomeno successorio in relazione a persona affette da disabilità è quello della sostituzione fedecommissaria, disciplinato dall’art. 692 c.c., a norma del quale i genitori, gli ascendenti in linea retta o il coniuge dell’interdetto o del minore che, trovandosi in stato di abituale infermità, sarà probabilmente dichiarato interdetto al compimento della maggiore età, possono istituire rispettivamente il figlio, il discendente, o il coniuge con l’obbligo di conservare e restituire alla sua morte i beni anche costituenti la legittima, a favore della persona o degli enti che, sotto la vigilanza del tutore, hanno avuto cura dell’interdetto medesimo. Ove più siano i soggetti che si siano presi cura dell’interdetto prima della sua morte, i beni saranno loro attribuiti in proporzione al tempo di cura. La sostituzione, in ogni caso, sarà priva di effetto con riguardo al minore ove lo stesso non sia dichiarato interdetto ovvero non sia iniziato il relativo procedimento entro due anni dal compimento della maggiore età e con riguardo al soggetto già interdetto ove la misura sia revocata; sarà altresì inefficace ove sia violato l’obbligo di cura e assistenza gravante sui soggetti a ciò deputati. L’istituto in parola, già di per sé poco applicato e piuttosto farraginoso, ha visto ulteriormente limitato il proprio spazio applicativo a seguito dell’introduzione dell’istituto della amministrazione di sostegno, che ha determinato un progressivo superamento dell’interdizione, relegata ormai al rango di misura di protezione residuale38.
37
Sul punto, v. G. Tucci, La tutela del figlio disabile tra nuove “fiducie” e/o “affidamenti fiduciari”, trust e clausole testamentarie tradizionali, in Trusts, 2011, 13. 38 L’orientamento maggiormente diffuso in giurisprudenza è quello secondo il quale la distinzione tra le misure di protezione disciplinate dal codice civile è di tipo funzionale e impone al giudice di merito una valutazione in concreto circa le esigenze del destinatario della misura: in tal senso cfr. Cass. civ., sez. II, 4.03.2020, n. 6079, secondo la quale: «l’amministrazione di sostegno prevista dall’art. 3 della l. n. 6 del 2004 ha la finalità di offrire a chi si trovi nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi uno strumento di assistenza che ne sacrifichi nella minor misura possibile la capacità di agire, distinguendosi, con tale specifica funzione, dagli altri istituti a tutela degli incapaci, quali l’ interdizione e l’inabilitazione, non soppressi, ma solo modificati dalla stessa legge attraverso la novellazione degli artt. 414 e 427 del c.c. Rispetto ai predetti istituti, l’ambito di applicazione dell’amministrazione
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I limiti della sostituzione, pertanto, si manifestano soprattutto rispetto a quei soggetti deboli, come il disabile non autosufficiente, pienamente capaci di intendere e di volere. A norma dell’art. 692 c.c., infatti, l’istituito può essere soltanto l’interdetto o il minore che si trova in condizioni di abituale infermità mentale che prelude all’interdizione, mentre i secondi istituiti possono essere soltanto quelli indicati nello stesso art. 692 c.c., cioè la persona o gli enti che hanno avuto cura dell’interdetto medesimo, soggetti che possono anche mancare39. Una soluzione alternativa prospettata è quella del ricorso all’istituto del prelegato di cui all’art. 661 c.c.40. A parere di chi scrive tale soluzione espone a rischi troppo elevati, sia perché è troppo labile il confine con l’art. 692 c.c. sia perché manca un valido meccanismo di controllo rispetto all’attività dell’erede che sarebbe poi chiamato a succedere al disabile, controllo che invece può essere garantito tramite il trust. In ambito negoziale un istituto che potrebbe garantire al disabile una forma di protezione – e che presuppone la capacità totale o parziale dello stesso a concludere contratti o l’attribuzione del relativo potere all’amministratore di sostegno – è quello del contratto di vitalizio assistenziale, soluzione che tuttavia sconterebbe il limite della durata della vita non solo del beneficiario ma anche del soggetto deputato a curare i suoi interessi, in relazione al limite previsto dall’art. 692, c. 5, c.c. e del divieto dei patti successori. Discussa, infine, è la possibilità dei genitori di un figlio affetto da disabilità di vincolare tramite testamento l’amministrazione dei beni nell’interesse del figlio apponendo un vincolo ex art. 2645-ter c.c. In senso contrario si sono pronunciate una parte della dottrina e la giurisprudenza di merito secondo la quale il vincolo di cui all’art. 2645-ter c.c. potrebbe
di sostegno va individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma piuttosto alla maggiore idoneità di tale strumento ad adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa. Appartiene all’apprezzamento del giudice di merito la valutazione della conformità di tale misura alle suindicate esigenze, tenuto conto essenzialmente del tipo di attività che deve essere compiuta per conto del beneficiario e considerate anche la gravità e la durata della malattia, ovvero la natura e la durata dell’impedimento, nonché tutte le altre circostanze caratterizzanti la fattispecie»; in senso conforme, Cass. civ., sez. I, 11.09.2015, n. 17962, nonché Cass. civ., sez. I, 26 luglio 2013, n. 18171. 39 Sul punto, cfr. Tucci, La tutela del figlio disabile tra nuove “fiducie” e/o “affidamenti fiduciari”, trust e clausole testamentarie tradizionali, cit., 15. 40 Sul punto, cfr. Tucci, La tutela del figlio disabile tra nuove “fiducie” e/o “affidamenti fiduciari”, trust e clausole testamentarie tradizionali, cit., 16 ss.
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costituirsi solo per atto inter vivos41, mentre in senso favorevole si è espressa altra parte della dottrina42. 5.2.3. (segue) Le possibili soluzioni: il trust.
Nel quadro delineato nel precedente paragrafo è stato spontaneo per molti professionisti, notai in particolare, volgere lo sguardo all’istituto del trust. Mediante la costituzione di un trust, sia mediante un atto inter vivos che mediante testamento, infatti, i parenti del beneficiario di amministrazione di sostegno (settlor) potrebbero destinare una parte dei loro beni (trust fund) al beneficiario della misura (beneficiary) provvedendo loro stessi a gestire i beni (secondo lo schema del c.d. trust auto-dichiarato di protezione) ovvero rimettendone la gestione a un terzo, di regola un professionista ovvero una società di gestione (trustee). In questo caso il controllo circa la corretta amministrazione dei beni conferiti in trust sarebbe rimesso al Giudice Tutelare, il quale assumerebbe le vesti di protector qualificato, essendogli rimessa l’autorizzazione al compimento degli atti di straordinaria amministrazione e la decisione di sostituire il trustee ove venga meno ai suoi doveri ovvero compia atti gestionali non improntati a criteri di diligenza. I disponenti potranno prevedere che il trust abbia durata pari alla vita del beneficiario, in tal modo risolvendo i problemi successori e garantendo la continuità della situazione dagli stessi creata in vita. Ove gli stessi siano anche trustee potranno indicare nella c.d. letter of wishes il nominativo del soggetto chiamato a sostituirli e indicare le esigenze di cura del beneficiario come scopo del trust. Il ricorso al trust, d’altronde, consente agli interessati di evitare che l’incapace divenga titolare di diritti sui beni funzionali al soddisfacimento dei suoi bisogni, in quanto in ogni caso non sarebbe in grado di amministrarli. Al fine di comprendere meglio il meccanismo pare utile il riferimento a un caso trattato dal Tribunale di Pisa nel lontano 200143. Una signora con un fratello disabile ha ereditato un immobile dal padre, assumendosi l’obbligo (morale), che si sarebbe occupata del fratello consentendogli di continuare a vivere in quell’immobile. Quid iuris per il tempo
41
Sul punto cfr. App. Roma, sez. III, 02.05.2019, n. 2838: «La costituzione di un vincolo di destinazione per testamento è inammissibile, perché l’art. 2645-ter cod. civ., non soltanto non contiene alcun richiamo al testamento, ma fa riferimento all’art. 1322, comma 2, cod. civ. che disciplina i rapporti a struttura contrattuale e non si applica agli atti mortis causa». Per E. Moscati, Il testamento quale fonte di vincoli di destinazione, in Riv. dir. civ., 2015, 253 ss., possono essere costituiti vincoli ex art. 2645-ter c.c. mediante atto inter vivos che produca effetti alla morte del disponente; l’Autore evidenziato come per tale via sia garantita, mediante la trascrizione, l’opponibilità del vincolo tanto ai creditori del de cuius quanto a ai creditori personali dell’erede o del legatario destinatari dei beni gravati. Ove, invece, il vincolo sia costituito direttamente per testamento, la trascrizione dovrebbe avvenire nelle forme di cui all’art. 2648 c.c.; non sembra che possa procedersi a norma dell’art. 2645-ter c.c. che «si limita però a far riferimento a vincoli di destinazione che risultino da un atto in forma pubblica, non anche dalla complessa fattispecie (testamento + accettazione del creditore, legatario o beneficiario del modus + accettazione del debitore, erede o legatario) produttiva delle cc.dd. obbligazioni «testamentarie». Per l’inammissibilità della costituzione di un vincolo di destinazione mediante testamento cfr. M. Ieva, La trascrizione di atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni o ad altri enti o persone fisiche (art. 2645-ter c.c.) in funzione parasuccessoria, in Riv. not., 2009, 1289 ss. 42 Petrelli. Destinazioni Patrimoniali e Trust, cit., 7. 43 Trib. Pisa, 22 dicembre 2001, in Trusts, 2002, 241, nonché in Riv. not., 2002, 188.
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successivo alla sua morte? La signora non voleva lasciare il bene al fratello per testamento, poiché lo stesso non sarebbe stato in grado di gestirlo, e, in ogni caso, voleva assicurarsi che alla morte del fratello il bene fosse ereditato dal marito. Si è chiesta se non fosse preferibile disporre direttamente del bene a favore del marito, con onere a suo carico di occuparsi delle esigenze morali e materiali del fratello. Costituendo un trust la signora può destinare a sé stessa l’immobile ereditato dal padre (trust auto dichiarato: la signora è sia trustee che settlor) e prevedere che in caso di sua morte diventerà trustee il marito. Scopo del trust è quello di garantire assistenza al fratello e la durata è pari alla vita del beneficiario, ossia del fratello. Beneficiario finale del trust sarà il marito della signora. Il solo limite a tale configurazione deriva dalla necessità che siano rispettate le norme in materia di successione legittima: lo stesso art. 15 della Convenzione dell’Aja, infatti, prevede che si applichino le norme del foro (ovverosia dello Stato nel quale si invoca l’applicazione del trust) e non quelle della legge regolatrice del trust ogni volta che si tratti di applicare norme inderogabili di legge, tra l’altro in materia di devoluzione di beni successori ed in particolare di legittima. Per tale motivo sarebbe buona norma che prima di individuare i beni da includere nel trust fund i disponenti verifichino la consistenza del loro patrimonio e individuino la quota di legittima spettante al beneficiario. Anche nell’ipotesi in cui il trust sia costituito mediante atto inter vivos, infatti, come recentemente chiarito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, lo stesso deve qualificarsi come donazione: anche ove produca effetti successivamente alla morte del disponente, dal momento che l’evento morte è mero termine dell’attribuzione al beneficiario mentre il bene è uscito dal patrimonio del disponente quando questi era ancora in vita; al momento della morte del disponente, infatti, i suoi beni non sono caduti in successione44. Il trust, pertanto, così strutturato ben potrebbe soddisfare le esigenze dei genitori di Tommaso nel caso ipotetico esposto al precedente paragrafo 5.2.1. Nondimeno, prima della codificazione di tale istituto da parte del legislatore del c.d. “Dopo di Noi”, l’autorizzazione alla costituzione di un simile vincolo era esposta all’orientamento del singolo Giudice Tutelare investito del procedimento.
44
Cass., Sez. Un., 12 luglio 2019, n. 18831. Nel caso affrontato dalle Sezioni Unite in sede di regolamento di giurisdizione, un cittadino italiano deceduto poi in Italia in qualità di settlor aveva costituito un trust a cui aveva trasferito la proprietà di una società a lui facente capo e optato per l’applicazione delle legge neozelandese; era stata nominata quale trustee una società mentre beneficiarie in caso di decesso le due figlie, le quali con testamento pubblico erano anche state designate come sue eredi universali in parti eguali. Le Sezioni Unite, chiamate ad occuparsi della questione di giurisdizione sottesa alla fattispecie controversa dal momento che il de cuius aveva indicato come legge regolatrice la successione quella svizzera, hanno statuito che la questione relativa alla sorte dei beni in trust non costituiva una questione di diritto successorio dal momento che «Il “trust inter vivos”, con effetti “post mortem”, deve essere qualificato come donazione indiretta, rientrante, in quanto tale, nella categoria delle liberalità non donative ai sensi dell’art. 809 c.c., poiché l’attribuzione ai beneficiari del patrimonio che ne costituisce la dotazione avviene per atto del “trustee”, cui il disponente aveva trasferito la proprietà, sicché l’avvenuta fuoriuscita del “trust fund” dal patrimonio di quest’ultimo quando era ancora in vita esclude la natura “mortis causa” dell’operazione, nella quale l’evento morte rappresenta mero termine o condizione dell’attribuzione, senza penetrare nella giustificazione causale della stessa».
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5.3. L’istituzione del trust a favore del beneficiario da parte dell’amministratore di sostegno con beni del beneficiario: il trust come alternativa alle misure di protezione?
Già prima della legge c.d. “Dopo di Noi” alcuni Tribunali hanno ritenuto ammissibile nel nostro ordinamento giuridico il c.d. trust (interno) auto-destinato di protezione45. In tale tipologia di trust il disponente e il beneficiario coincidono: una persona soggetta ad amministrazione di sostegno conferisce – per il tramite dell’amministratore di sostegno – i propri beni in trust, rimettendo la gestione degli stessi a un professionista ovvero a una società a ciò deputata (p.e. una trust company esperta del settore, coperta da polizza assicurativa) (trustee), a seconda dell’entità del patrimonio. È preferibile che l’amministratore di sostegno e il trustee siano persone diverse al fine di evitare eventuali conflitti di interesse46. Scopo del trust è assicurare che il patrimonio del beneficiario della misura di sostegno sia destinato a esclusivo vantaggio del medesimo, al fine di soddisfarne le esigenze di vita, le aspirazioni e le legittime istanze per tutta la durata della sua vita; ove trustee sia una trust company guardiano sarà un commercialista impegnato nell’area della disabilità; è mantenuta la sorveglianza e la possibilità di intervento del giudice tutelare sull’attività del trust, nel caso sia necessario. Sotto questo profilo la tutela assicurata attraverso il trust è omogenea all’impianto di cura e di protezione tracciato dagli artt. 404 ss. c.c. Per tale ragione parte della dottrina si è interrogata sul rapporto tra il trust e l’amministrazione di sostegno, non già in chiave di concorrenza bensì di alternatività. Secondo tale ottica il trust potrebbe rappresentare non tanto un’ulteriore forma di tutela dell’incapace rispetto alla misura di protezione, bensì una forma alternativa a quelle legali47. Mediante la costituzione dei beni in trust si potrebbe garantirne la gestione senza ricorrere all’apertura della procedura di amministrazione di sostegno, nominando quale trustee un parente e quale protector un altro parente ovvero un terzo al quale sarà rimessa
45
Trib. Bologna, 11 maggio 2009: «Può essere autorizzato il conferimento di beni ereditari in trust, unico strumento adeguato per proteggere il beneficiario di amministrazione di sostegno (e il suo patrimonio) senza ridurne ulteriormente la capacità di agire (evita l’adozione di misure ablative più gravi quali l’interdizione, che risulterebbe troppo sbilanciata a favore della tutela del patrimonio e penalizzante per la persona del beneficiario, del quale occorre considerare i bisogni e le aspirazioni»; nello stesso senso cfr. Trib. Genova, 17 giugno 2009 in La giurisprudenza italiana sui trust, (Quaderni della Rivista Trusts e Attività Fiduciarie, n. 4), Milano, 2009, 13 ss., ed ivi richiami agli altri precedenti. 46 cfr. A. Di Sapio, Riflessioni su un provvedimento genovese, in Trusts 2019, 639; l’Autore richiama copiosa giurisprudenza di merito che si è occupata della questione risolvendola nel senso anzi citato nel testo, ovverosia nominando quale trustee sempre un soggetto distinto dall’amministratore di sostegno: Trib. Bologna, decreto 23 settembre 2008, che ha previsto la nomina quale trustee di una trust company; primo guardiano una persona diversa dall’amministratore di sostegno con potere per il G.T. di nominare il suo successore; Trib. Bologna, decreto 12 giugno 2013 che ha previsto la nomina a trustee di un professionista; guardiani l’amministratore di sostegno e un avvocato di fiducia del beneficiario. Con riferimento ai minori d’età cfr. Trib. Firenze, decreto 8 aprile 2004, ove è stata individuata quale trustee la sorella del minore; guardiani i genitori; Trib. Sondrio, decreto 28 novembre 2012 in cui è stata nominata trustee la figlia del tutore; guardiano un professionista; Trib. Milano, decreto 6 marzo 2013 in cui l’ufficio di trustee era da due trust company; guardiano la madre. Con riferimento a un interdetto si legga Trib. Ferrara, decreto 28 febbraio 2006 in cui il trustee è stato identificato con una persona non parente, ma convivente e guardiano la madre che era anche tutrice. 47 G. Tucci, La tutela del figlio disabile tra nuove “fiducie” e/o “affidamenti fiduciari”, trust e clausole testamentarie tradizionali, cit., 13.
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la sostituzione del trustee anche nell’ipotesi di premorienza al beneficiario. Per la tutela delle ragioni del beneficiario potrà agire lo stesso settlor e si potrebbero anche individuare beneficiari successivi dopo la morte del primo. Questa impostazione, a parere di chi scrive, non tiene adeguatamente in considerazione l’esigenza di gestire altri bisogni dell’interessato, come ad esempio la prestazione del consenso informato in ambito sanitario. Non va dimenticato, inoltre, che il trust, come si avrà modo di vedere infra, solleva taluni problemi sotto il profilo della tutela dei terzi. L’alternatività tra il trust e l’amministrazione di sostegno potrebbe, al più, offrire spunti di riflessione in tutti quei casi in cui la misura dell’amministrazione di sostegno possa apparire sproporzionata rispetto alle esigenze di gestione dell’interessato (ad esempio per i soggetti dipendenti da alcool o sostanze stupefacenti). 5.4. La legge sul “Dopo di Noi”.
Nella parte introduttiva del presente contributo abbiamo visto che mediante la legge n. 112/2016 il legislatore ha cercato di offrire una risposta alla tutela degli interessi delle persone affette da grave disabilità, risolvendo altresì alcune delle questioni di diritto successorio cui si è accennato nel precedente paragrafo. Sotto tale profilo va segnalata la disposizione contenuta nell’art. 6 comma 3 lett. h) l. 112/2016 nella misura in cui impone ai costituenti il vincolo fiduciario (sotto forma di trust, di fondo speciale ovvero di vincolo ai sensi dell’art. 2645-ter c.c.) di indicare nell’atto costituivo la destinazione dei beni residui alla morte del beneficiario, che rappresenta il termine di durata del vincolo. In tal modo il legislatore ha risolto in radice il problema della possibile violazione da parte degli atti costitutivi in parola del divieto di sostituzione fedecommissaria. Prima di pervenire ad alcune considerazioni conclusive circa la portata della novella, si tenterà di dare risposta al quesito esposto nel precedente paragrafo 5.2.1., analizzando le possibili soluzioni al problema posto dai genitori di Tommaso alla luce delle prime applicazioni pratiche della l. 112/2016 da parte della giurisprudenza di merito. 5.4.1. Il trust.
Tornando al caso di Tommaso, in seguito alla entrata in vigore della legge n. 112/2016, l’amministratore di sostegno, ovvero il padre, potrebbe decidere di costituire un trust nell’interesse del figlio utilizzando due schemi differenti ma tendenti al medesimo risultato. Il padre potrebbe, in primo luogo, costituire un trust per testamento, prevedendo che alla sua morte i beni integranti la quota legittima di Tommaso debbano essere destinati a un trust il cui trustee sia la figlia Vittoria, tenuta ad amministrarli nell’esclusivo interesse del fratello e con lo scopo di garantirgli assistenza morale e materiale per tutta la durata della sua vita; guardiano sarà la madre di Tommaso e, in caso di premorienza della stessa, un professionista individuato nell’atto di ultima volontà. La durata del trust sarà pari alla vita di Tommaso e alla sua morte i beni residui saranno destinati a Vittoria o, in caso di
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sua premorienza, ai suoi eventuali discendenti; in caso di mancanza di tali soggetti a una ONLUS che persegua come scopo la tutela dei disabili. Il padre di Tommaso potrebbe, altresì, costituire un trust avente il medesimo contenuto mediante un atto inter vivos, ossia mediante atto pubblico secondo il disposto dell’art. 6 l. 112/2016, prevedendo che gli effetti si producano immediatamente ovvero al tempo della sua morte. Anche in tale ipotesi il padre di Tommaso dovrà osservare le norme poste a tutela degli eredi legittimi, considerato che, come si è visto, la costituzione di trust rappresenta per il beneficiario una donazione indiretta. La giurisprudenza che per prima è stata chiamata ad applicare la legge 112/2016 conforta tale soluzione. Il Giudice Tutelare presso il Tribunale di Roma48 in un caso simile a quello di Tommaso ha autorizzato la costituzione di un trust definito secondo il seguente schema negoziale: l’amministratore di sostegno (in quel caso il padre del ragazzo affetto da disabilità) è stato autorizzato in qualità di settlor a destinare il diritto di nuda proprietà del 50% sulla casa familiare, con riserva in favore dei genitori del diritto di abitazione (c.d. trust fund); la casa è in comproprietà dei genitori e rappresenta la quota di legittima del figlio che gli sarà data in vita per mezzo dall’atto di donazione indiretta nel trust. Il trustee è stato individuato nella persona del fratello del ragazzo affetto da disabilità, mentre il primo guardiano nella persona del padre; dopo il padre, sarà guardiano la mamma e, dopo la mamma, la moglie del fratello. Il beneficiario unico del trust è il beneficiario della misura di amministrazione di sostegno, per la durata della sua vita che coincide con il termine finale del trust. Beneficiari del residuo sono il fratello e i suoi discendenti, nati entro il termine finale del trust; in mancanza di costoro una ONLUS. Nell’atto istitutivo i genitori hanno indicato in modo preciso lo scopo del trust, ovverosia le cure e l’assistenza desiderata per il figlio disabile e la finalità che il progetto debba tendere necessariamente all’inclusione sociale dello stesso e alla sua autonomia, per mezzo di un allegato modificabile nel tempo, denominato “Progetto di Vita”. L’atto istitutivo del trust ha individuato gli obblighi a carico del trustee, fra cui quelli di rendicontazione annuale al Guardiano e all’amministratore di sostegno. In tal modo anche il Giudice Tutelare è messo nella condizione di sorvegliare l’attività del trustee e del guardiano e si realizza un collegamento tra l’attività dell’amministratore di sostegno e quella del trustee. Si è così costituito un patrimonio unitario a vantaggio del solo figlio disabile che potrà ricavarne ogni utilità, diretta o indiretta, per mezzo della gestione ad opera del trustee.
48
Trib. Roma, 10.10.2017, n. 12647 in Trusts, 2018, 5, 538, con nota di F. Romana Lupoi, Un trust secondo la legge n. 112 autorizzato dal G.T., nella stessa rivista alla successiva, 564.
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In tal modo qualora le condizioni di vita e di salute del figlio, nel tempo, non dovessero più consentirgli di vivere nella sua casa il trustee potrà, ad esempio, locare (o finanche vendere), la casa e con il ricavato far fronte alle spese mediche necessarie per il disabile. Mediante la costituzione di un trust i genitori di Tommaso, in ultima analisi, conseguono i seguenti vantaggi: 1) garantiscono l’assistenza morale e materiale al figlio anche per il tempo successivo alla sua morte; 2) beneficiano della tassazione agevolata garantita dall’osservanza dal rispetto delle norme di forma e di sostanza di cui all’art. 6 della l. 112/2016; 3) rispettano le norme in materia di successione, potendo disporre dei beni sia per il tempo successivo alla propria morte che a quella del figlio senza incorrere nei limiti di cui all’art. 692 c.c.; 4) evitano l’intestazione di beni a Tommaso che non potrebbe disporne liberamente stante il suo stato di incapacità senza ledere i diritti per legge riservati ai legittimari. 5.4.2. Il contratto di affidamento fiduciario.
Si è visto come accanto al trust la legge 112/2016 abbia previsto la possibilità di costituire dei fondi speciali a tutela di soggetti affetti da disabilità, regolati mediante la conclusione di un contratto di affidamento fiduciario. Il caso di Tommaso, potrebbe ricevere una diversa soluzione. Principiando dalla possibile struttura del contratto di affidamento fiduciario, la stessa è stata definita dall’Autore49 che ha elaborato tale schema negoziale nel modo seguente: 1) ragioni e finalità; 2) dati di base: individuazione dell’affidante fiduciario, del garante, dei beni destinati e dei destinatari del fondo; 3) programma dell’affidamento: indicazione delle finalità specifiche a tutela del disabile, della durata del vincolo, dell’individuazione dei destinatari dei beni residui; successione nell’ufficio di garante, individuazione delle azioni contrattuali e dei soggetti legittimati; 4) tutela del programma di affidamento: amministrazione dei beni, contabilità e rendiconto, compenso e spese dell’affidante, rivalsa; 5) disposizioni generali: definizioni, prestazioni di consenso e espressione di pareri, giurisdizione e modificazione del contratto. I genitori di Tommaso potrebbero pertanto costituire un fondo speciale per la tutela di Tommaso, contenente i beni a lui destinati in via successoria e necessari per garantire le sue esigenze di vita, regolandolo mediante la conclusone di un contratto tra l’affidante fiduciario (i genitori di Tommaso) e l’affidatario (la sorella di Tommaso). In tale contratto le parti dovranno indicare la durata, pari alla vita di Tommaso, il o i soggetti destinatari dei beni residui (Vittoria, i suoi discendenti o una ONLUS), individuare il garante (p.e. individuandolo in un professionista di fiducia) e i soggetti legittimati a fare valere eventuali inadempimenti dia dell’affidatario che del garante. Potranno altresì prevedere che
49
Lupoi, Il contratto di affidamento fiduciario, Milano, 2014.
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l’affidatario sia tenuto a sottoporre al vaglio del Giudice Tutelare la gestione del fondo con cadenza annuale. La prima giurisprudenza di merito che si è pronunciata al riguardo50 ha autorizzato la stipulazione di un contratto di affidamento fiduciario nell’interesse di un beneficiario di amministrazione di sostegno articolato nel modo seguente. La madre di Davide, ragazzo sottoposto ad amministrazione di sostegno in quanto affetto da autismo, disabilità grave ai sensi dell’art. 3, co. 3, l. n. 104/1992, decide di lasciare l’unico bene di sua proprietà (la casa familiare) per testamento al coniuge, pretermettendo integralmente il figlio, con onere per il primo di disporre dei beni relitti in favore del figlio Davide. Accettata l’eredità della moglie, il padre ha quindi chiesto al Giudice Tutelare la nomina di un curatore speciale che nell’interesse di Davide rinunciasse alla impugnazione del testamento per lesione della quota legittima e, contestualmente, ha concluso con un garante un contratto di affidamento fiduciario, in virtù del quale i beni lasciati dalla moglie sarebbero stati costituiti in un fondo affidato al fiduciario (il padre stesso) sotto il controllo del garante e amministrati sulla base di un programma volto a perseguire la finalità perseguita dalla madre, ovverosia la cura degli interessi morali e materiali di Davide per tutta la durata della sua vita. Tale schema negoziale è stato accolto favorevolmente dal Giudice Tutelare il quale ha richiamato in tema di affidamento fiduciario sia l’elaborazione dottrinale sia la legge n. 112/2016. Nel caso di Tommaso la questione è complicata dalla presenza della sorella Vittoria quale ulteriore erede legittimaria. Si potrebbe, tuttavia, ovviare al problema prevedendo che la madre di Tommaso disponga per testamento a favore del marito e della figlia Vittoria, con pretermissione del solo Tommaso; quanto al contratto di affidamento fiduciario la presenza della sorella consentirebbe al padre di prevedere la successione a lui di Vittoria quale fiduciaria dei beni da lui lasciati a Tommaso per il tempo successivo alla propria morte e, altresì, quale beneficiaria di eventuali beni lasciati a Tommaso in conformità a quanto indicato dall’art. 6 co. 3 lett. h) l. 112/2016. Il beneficiario, tanto nel contratto di affidamento fiduciario quanto nel trust, non diventerà titolare dei beni destinati i quali, al contrario, potranno essere “consumati” nel suo interesse durante il corso della sua vita al fine di realizzare il programma stabilito dal disponente.
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Trib. Genova, 30 novembre 2016, in Trusts, 2017, 409. Il caso affrontato dal Giudice Tutelare del Tribunale di Genova è stato ricostruito e analizzato da Lupoi, L’affidamento fiduciario nella vita professionale, cit., 109 ss.
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6. Il trust nella legge “Dopo Di Noi”. Si è detto nella parte introduttiva del presente contributo che la legge c.d. “Dopo di Noi” è volta a superare i limiti della normativa vigente, sebbene si concentri prevalentemente sui profili fiscali – prevedendo l’esenzione dal pagamento di alcune imposte – e di vincoli alla finanza pubblica, collocandosi le misure ivi contemplate nell’ambito dei c.d. Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). Per quanto riguarda la struttura del trust, l’art. 6 della legge 112/2016 introduce taluni requisiti di forma e di sostanza estranei all’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale di cui si è dato conto nei precedenti paragrafi e sviluppatasi avendo come modello il trust di diritto inglese. In primo luogo la forma: mentre tradizionalmente si riteneva che la forma del trust fosse libera, la legge 112/2016 ha imposto la forma dell’atto pubblico. In secondo luogo il legislatore ha istituzionalizzato la figura del guardiano, meramente eventuale nel trust di common law. In terzo luogo, occorre indicare la durata del vincolo, necessariamente coincidente con la vita del beneficiario. In quarto luogo, la norma ha cristallizzato la distinzione tra beneficiari intermedi e finali del trust fund, prevedendo la necessaria indicazione dei soggetti ai quali devolvere i beni destinati per il tempo successivo alla morte del beneficiario intermedio (ossi il soggetto affetto da disabilità grave). Il legislatore del “Dopo di Noi”, infine, ha raccolto le preoccupazioni di quanti si sono mostrati ostili al trust animati dal timore che la segregazione patrimoniale fosse un mero artificio per eludere le norme poste a tutela dei creditori. Sotto tale aspetto ha limitato l’accesso a tale istituto e ai relativi benefici fiscali ai soli soggetti affetti da disabilità grave, i cui interessi dovranno essere espressamente indicati nell’atto unitamente al programma necessario per il loro soddisfacimento (letter of wishes). Il legislatore, come si avrà modo di vedere, non ha colto l’occasione per fornire i tanto attesi chiarimenti in merito alla trascrivibilità del trust e all’effetto segregativo della destinazione patrimoniale. La normativa in oggetto, nondimeno, offre numerosi spunti di riflessione per rimeditare il rapporto tra il trust e l’ordinamento giuridico italiano, dei quali si tenterà di dare conto nei paragrafi che seguono. 6.1. A quale tipo di trust ha inteso fare riferimento il legislatore? La meritevolezza degli interessi apre al trust in qualsiasi forma esso si presenti?
Il primo interrogativo al quale occorre fornire una risposta è quello del tipo di trust che può essere costituito a norma della legge 112/2016. Alla luce di quanto si è detto nei paragrafi che precedono non pare che vi siano dubbi circa l’estensione della normativa in oggetto anche al c.d. trust interno, nel quale il solo
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elemento di internazionalità sia rappresentato dalla legge regolatrice del vincolo, ormai pacificamente riconosciuto dalla prevalente giurisprudenza di legittimità. I soggetti interessati, pertanto, potranno costituire un trust avente ad oggetto beni situati in Italia e gestiti interamente da soggetti aventi la propria residenza in tale Stato, individuando quale unico elemento di estraneità la legge regolatrice del vincolo fiduciario, ovverosia quella di uno Stato che espressamente disciplina il trust. Nello spettro applicativo della l. n. 112/2016 di certo rientra non solo il trust etero-destinato – nel quale i beni vincolati al perseguimento del programma gestorio appartengano a un soggetto distinto tanto dal trustee quanto dal beneficiario – ma anche il c.d. trust auto-destinato, nel quale i beni costituiti in trust fund appartengano al beneficiario stesso e siano vincolati allo scopo di garantirne una gestione funzionale al perseguimento degli interessi morali e materiali della persona affetta da disabilità grave. Il legislatore della l. n. 112/2016 sembra avere recepito, rafforzandole, le conclusioni a cui erano pervenute la dottrina e la giurisprudenza sopra richiamata in punto di ammissibilità del trust auto-dichiarato51. Per l’orientamento sopra richiamato condizione di ammissibilità di tale trust è che la separazione patrimoniale sia l’effetto e non la causa della destinazione dei beni: la (auto)destinazione, in altri termini, in tanto è lecita in quanto la stessa persegua interessi meritevoli di tutela, ovverosia non contraria a norme imperative, ordine pubblico e buon costume52. Il legislatore del “Dopo di Noi” ha ristretto il concetto di interessi meritevoli di tutela, limitandoli alle sole esigenze di assistenza delle persone affette da disabilità grave. Il fine perseguito tramite la costituzione del trust auto-destinato, in ultima analisi, deve essere il medesimo di quello al quale sono tese le misure di protezione previste dall’ordinamento giuridico (in particolare dall’amministrazione di sostegno). La l. 112/2016 solleva allora un interrogativo di portata più generale: la meritevolezza degli interessi apre al trust in qualsiasi forma esso si presenti? La dottrina già prima del 2016 si era interrogata sulla portata di tale interrogativo che ne porta con sé un altro: sottoporre i trusts al controllo di meritevolezza implica che gli stessi siano da considerare negozi atipici? ovvero si tratta di un controllo che implicitamente o esplicitamente, pervade di sé anche il campo dei contratti tipici53? Autorevole dottrina ha evidenziato come tale impostazione sposti il dibattito dal piano del trust interno a quello del trust di diritto italiano54: impregiudicati gli elementi essenziali
51
A. Di Sapio, I trust interni auto destinati: misura complementare o alternativa alle misure legali di protezione delle persone prive di autonomia, in Trusts, 2010, 1, 20; con specifico riferimento a una pronuncia che aveva ammesso la costituzione di un trust autodichiarato volto a garantire l’assistenza sanitaria e riabilitativa di due minori inabili cfr. Comm. Trib. Lazio, 6 giugno 2014, in Trusts, 2015, 87. 52 Sulla nozione di interessi meritevoli di tutela a norma dell’art. 1322 c.c., si vedano R. Sacco, Altri elementi della fattispecie, in Trattato di diritto civile diretto, di R. Sacco e G. De Nova, Il contratto, vol. 3, Torino, 2004, tomo I, 831, segnatamente 848 ss. 53 R. Sacco, in R. Sacco-G. De Nova, Il contratto, in Sacco (diretto da), Trattato di diritto civile, Torino, 2004, tomo I, 849. 54 M. Lupoi, Trusts, Milano, 2001, 547.
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del trust indicati dall’art. 2 Conv. Aja, i privati potrebbero modulare il negozio di destinazione secondo le esigenze del caso concreto, eventualmente combinando più negozi tipici disciplinati dall’ordinamento giuridico. Una recente pronuncia di legittimità si è, invece, discostata da tale impostazione, censurando la sentenza di merito impugnata che aveva ritenuto necessario sottoporre il trust al vaglio di meritevolezza in quanto valutato alla stregua di un contratto atipico; si legge infatti nella sentenza citata che la valutazione (astratta) della meritevolezza di tutela “è stata compiuta, una volta per tutte, dal legislatore. La L. 16 ottobre 1989, n. 364 (Ratifica ed esecuzione della convenzione sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento, adottata a L’Aja il 1 luglio 1985), infatti, riconoscendo piena validità alla citata convenzione dell’Aja, ha dato cittadinanza nel nostro ordinamento, se così si può dire, all’istituto in oggetto, per cui non è necessario che il giudice provveda di volta in volta a valutare se il singolo contratto risponda al giudizio previsto dal citato art. 1322 c.c.”55. Tale impostazione, naturalmente, presuppone che il trust sottoposto al controllo giurisdizionale sia stato costituito a norma della Convenzione dell’Aja e regolato da una legge straniera. Ma quid iuris nelle ipotesi in cui sia lo stesso legislatore ad avere qualificato gli interessi in funzione dei quali è istituito il trust come accade nella legge “Dopo di Noi”? Si tratta di contratti tipici? Si torna allora all’interrogativo di partenza: la previsione del trust nella legge sul “Dopo di Noi”, che, a differenza della legge 16 ottobre 1989 n. 364 che ha ratificato la Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985 sulla legge applicabile al trust, non è norma di diritto internazionale privato, ma di diritto sostanziale, ha condotto al superamento della impostazione tradizionale secondo la quale l’Italia sarebbe un Paese non trust e ha aperto al c.d. trust italiano? La risposta al quesito passa necessariamente per l’esame della legge 112/2016, o meglio delle sue lacune. 6.2. La distinzione con i vincoli di destinazione di cui all’art. 2645-ter c.c. e il contratto di affidamento fiduciario.
La legge 112/2016 ha previsto che i tre istituti ivi contemplati a tutela delle persone affette da disabilità debbano rispettare i medesimi requisiti di forma e di sostanza al fine di godere delle agevolazioni fiscali dalla stessa previste, nondimeno gli stessi sono connotati
55
Cass. civ., sez. III, 19.04.2018, n. 9637, in Trusts, 2018, 504 ove si legge che «la valutazione (astratta) della meritevolezza di tutela è stata compiuta, una volta per tutte, dal legislatore. La L. 16 ottobre 1989, n. 364 (Ratifica ed esecuzione della convenzione sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento, adottata a L’Aja il 1 luglio 1985), infatti, riconoscendo piena validità alla citata convenzione dell’Aja, ha dato cittadinanza nel nostro ordinamento, se così si può dire, all’istituto in oggetto, per cui non è necessario che il giudice provveda di volta in volta a valutare se il singolo contratto risponda al giudizio previsto dal citato art. 1322 c.c.».
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da differenze che orienteranno la scelta dei beneficiari per l’uno piuttosto che per l’altro dei patrimoni destinati ivi contemplati. Per quanto riguarda la distinzione con i vincoli di destinazione di cui all’art. 2645-ter c.c., nel silenzio dell’art. 6 della l. 112/2016 sul punto, mentre il trust è costituito mediante atto unilaterale, i vincoli di destinazione possono essere costituiti sia mediante contratto che mediante atto unilaterale. Il trust, inoltre, può essere costituito sia per atto inter vivos che mortis causa, mentre, come si è visto nel precedente paragrafo 3, è discusso se anche il vincolo di destinazione possa essere costituito mediante testamento. In senso positivo si è pronunciata parte della dottrina, secondo la quale gli atti di destinazione costituiti per testamento pubblico potrebbero essere trascritti sulla base del combinato disposto degli artt. 2648 c.c. e 2645-ter c.c.56. In senso contrario si è pronunciata la giurisprudenza di merito, secondo la quale il rinvio dell’art. 2645 ter c.c. all’art. 1322 c.c. depone a favore della applicabilità dell’istituto in parola ai soli rapporti contrattuali57. Un’altra differenza tra il trust e i vincoli di destinazione di cui all’art. 2645-ter c.c. riguarda l’oggetto: mentre possono essere destinati al trust fund beni di qualsiasi tipo, possono costituire oggetto del vincolo di destinazione di cui all’art. 2645-ter c.c. solo beni immobili o mobili registrati a norma dell’art. 6 comma 3 lett. e) l. 112/2016. Sono più marcate le distinzioni tra il trust e i fondi regolati per il tramite del contratto di affidamento fiduciario. Mentre il trust ha struttura unilaterale, il contratto di affidamento fiduciario, in quanto contratto, ha necessariamente struttura bilaterale. Né è ipotizzabile il ricorso al contratto con obbligazioni del solo proponente a norma dell’art. 1333 c.c., considerato che l’affidatario fiduciario assume delle obbligazioni relative alla gestione e alla conservazione dei beni destinati nei confronti dei beneficiari intermedi e finali dei fondi stessi. Da tale distinzione discendono due corollari. Il primo, è che i fondi speciali regolati mediante contratto di affidamento fiduciario non possono essere istituiti mediante atto mortis causa. Il secondo è che non è ipotizzabile alcuna forma di auto-dichiarazione, a differenza del trust che può anche essere auto-dichiarato. Tratteggiate le più marcate distinzioni tra il trust e gli altri patrimoni destinati contemplati dalla legge 112/2016 è ora possibile esaminare le lacune della normativa in commento.
56 57
In tal senso cfr. Petrelli. Destinazioni Patrimoniali e Trust, cit., 2019, 7 Cfr. App. Roma, sez. III, 02.05.2019, n. 2838: «La costituzione di un vincolo di destinazione per testamento è inammissibile, perché l’art. 2645-ter cod. civ., non soltanto non contiene alcun richiamo al testamento, ma fa riferimento all’art. 1322, comma 2, cod. civ. che disciplina i rapporti a struttura contrattuale e non si applica agli atti mortis causa)».
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6.3. Le lacune della normativa. 6.3.1. L’effetto traslativo.
L’art. 6 della l. n. 112/2016 dispone espressamente che i trust costituiti osservando le prescrizioni di forma e di sostanza previste dalla medesima disposizione di legge sono soggetti a un regime fiscale di favore, precisamente sono esenti dall’imposta sulle successioni e donazioni e ai trasferimenti di beni e di diritti in favore dei trust ovvero dei fondi speciali o dei vincoli di destinazione di cui all’articolo 2645-ter c.c., le imposte di registro, ipotecaria e catastale si applicano in misura fissa. Tali previsioni di carattere fiscale costituiscono un interessante spunto di riflessione in merito alla natura del diritto costituito in capo al trustee. Sebbene l’impiego del termine “trasferimenti” e la previsione espressa di esenzione dal pagamento delle imposte sulle successioni e donazioni58 potrebbe far propendere per la qualificazione del diritto in capo al trustee come diritto reale – una proprietà temporanea limitata alla durata del trust o al perseguimento dello scopo stabilito nel relativo programma – la circostanza che il legislatore abbia previsto il pagamento delle imposte di registro, ipotecaria e catastale in misura fissa sembra deporre in senso contrario. Già da tempo la giurisprudenza tributaria si è orientata nel senso di escludere l’assoggettamento del conferimento di beni in trust al pagamento (da parte del settlor) dell’imposta proporzionale del 3% di cui all’art. 9 della Tariffa allegata al d.p.r. n. 131/1986, in quanto tale trasferimento nella sostanza non costituisce un’operazione patrimoniale ma piuttosto un atto gestorio. Il conferimento in parola sconta il pagamento delle imposte ipotecarie e catastali in misura fissa proprio in quanto non è produttivo di un effetto traslativo definitivo; solo gli effetti traslativi finali sono soggetti all’imposta proporzionale59. Ad avviso della scrivente il legislatore non ha, tuttavia, inteso prendere posizione in merito all’annoso dibattito dottrinale e giurisprudenziale di cui si è dato conto sinteticamente nel presente lavoro, essendosi piuttosto preoccupato di assoggettare i vincoli di destinazione costituiti a favore di persone disabili a un trattamento fiscale di favore, in linea con l’orientamento della giurisprudenza tributaria sviluppatasi in materia di trust con riferimento alle imposte di successione e donazione.
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Mediante tale previsione il legislatore ha inteso espressamente distinguere i trust costituiti a favore di soggetti affetti da disabilità grave dagli altri trust che, secondo il prevalente indirizzo interpretativo della giurisprudenza di legittimità, sono soggetti al pagamento dell’imposta sulle successioni e donazioni in misura proporzionale in quanto mediante gli stessi viene costituito un vincolo di destinazione che di per sé costituisce il presupposto della imposizione indipendentemente dalla successiva attuazione della destinazione impressa ai beni conferiti (cfr. Cass. civ. sezione tributaria ord. 18 marzo 2015, n. 5322, in Olivieri, Il Trust. Manuale tecnico operativo, cit., 239. 59 In tal senso cfr. Cass. civ., sez. trib., 18 gennaio 2018, n. 975, in Olivieri, Il Trust. Manuale tecnico operativo, cit., 229; ivi si veda anche Cass. civ., sez. trib., 26 ottobre 2016, n. 21614, che ha affermato il medesimo principio di diritto con riferimento al trust c.d. auto-dichiarato, nel quale manca, a maggior ragione, l’effetto traslativo dal momento che i beni restano in capo al settlor/trustee; in tal caso l’imposta proporzionale sarà a carico dei beneficiari di tale donazione indiretta realizzatasi per effetto della segregazione del patrimonio.
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Neppure alla previsione del pagamento in misura fissa delle imposte catastali e ipotecarie deve essere accordata particolare rilevanza, considerato che in tal senso era già orientata la giurisprudenza tributaria di legittimità. Tale impostazione potrebbe, piuttosto, confermare che ciò che caratterizza il trust, al pari degli altri vincoli di destinazione, non è tanto il diritto costituito in capo al trustee, quanto piuttosto il vincolo di gestione che il disponente imprime sui beni conferiti o vincolati, in linea con quanto previsto dall’art. 2 della Convenzione dell’Aja che richiede quale requisito minimo perché possa parlarsi di trust il “porre sotto controllo”, non anche il trasferimento dei beni al trustee. Se si adotta tale prospettiva si riescono a superare le preclusioni all’ingresso del trust nel nostro ordinamento giuridico legate, in primo luogo, al principio di tipicità dei diritti reali: nessun trasferimento reale e nessun diritto di proprietà atipico viene costituito in capo al trustee. Si riescono, altresì, a superare eventuali resistenze all’ammissibilità di trust auto-dichiarati, dal momento che né il legislatore convenzionale né quello nazionale impongono che i beni destinati siano trasferiti a un soggetto diverso dal disponente. 6.3.2. La limitazione alla responsabilità patrimoniale.
Ai sensi dell’art. 2 co. 2 lett. a) della Convenzione dell’Aja tra le caratteristiche essenziali del trust vi è quella per cui i beni destinati al trust fund costituiscono una massa distinta e non fanno parte del patrimonio del trustee. Mediante simile previsione il legislatore convenzionale ha inteso limitare la responsabilità patrimoniale del trustee rispetto al trust fund evitando che tali beni siano assoggettabili all’azione esecutiva dei suoi creditori personali. La l. n. 112/2016 non ha previsto espressamente alcuna separazione patrimoniale per i beni destinati e, di conseguenza, diversamente da quanto indicato nell’art. 2645-ter c.c., non ha limitato l’assoggettabilità a esecuzione forzata dei beni destinati al disabile per i soli debiti sorti per il perseguimento del programma di destinazione. La prima dottrina chiamata a occuparsi della questione, che chi scrive condivide pienamente, l’ha risolta in senso positivo, affermando che se è vero che le ipotesi di limitazione della responsabilità patrimoniale generica di cui all’art. 2740, co. 2 c.c. sono tipiche, è anche vero che la previsione di un patrimonio vincolato al perseguimento di una finalità esclusiva che deve essere espressamente indicata nell’atto pubblico istitutivo del trust, sarebbe svuotata di significato ove tale patrimonio si confondesse con il patrimonio generale del trustee e potesse essere aggredito da tutti i suoi creditori. La previsione per legge di un patrimonio destinato, in ultima analisi, dovrebbe rientrare tra i casi previsti dalla legge di separazione patrimoniale ai fini di cui all’art. 2740 co. 2 c.c.60.
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Al riguardo si veda G. Amore, Criticità sistematiche e rilevanza normativa del trust nella “legge sul dopo di noi”, in Nuove leggi civ. comm., 2017, 1197 ss. secondo cui la novella può senz’altro ricondursi nell’alveo di tale disposizione, in quanto fonte di una “nuova” fattispecie tipica di separazione patrimoniale (trust) per la realizzazione di finalità predeterminate dal legislatore
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Ne consegue che la mancata previsione di una limitazione alla responsabilità patrimoniale in relazione ai beni costituiti in trust fund non rappresenta una lacuna normativa in quanto è implicita nella destinazione vincolata dei beni stessi. 6.3.3. La trascrizione.
Il problema della tutela dei terzi è certamente uno dei più avvertiti da chi è chiamato a occuparsi di vincoli di destinazione, in generale, e di trust, in particolare: se può darsi per pacifica la limitazione di responsabilità patrimoniale connessa alla segregazione del patrimonio vincolato prevista per legge, altro è vedere se e come tale limitazione possa essere portata a conoscenza dei terzi in modo tale che ne sia assicurata l’opponibilità. Si è visto come secondo parte della dottrina l’art. 2645-ter c.c. rappresenti la chiave di volta per dare ingresso alla figura del trust in Italia, con conseguente possibilità di trascrivere il trasferimento dei beni al trustee a norma di quella disposizione di legge61. Si è visto anche come tale soluzione sia difficilmente percorribile alla luce della l. n. 112/2016 che ha espressamente tenuto distinti i vincoli costituiti sotto forma di trust da quelli costituiti a norma dell’art. 2645-ter c.c. La l. 112/2016 non ha affrontato la questione relativa alla trascrizione dei vincoli di destinazione ivi contemplati, questione che se può dirsi superflua rispetto ai vincoli costituiti a norma dell’art. 2645-ter c.c. non lo è con riferimento a quelli inerenti al trust e ai fondi speciali regolati con contratto di affidamento fiduciario. Torna allora l’annoso dibattito, già affrontato in dottrina, circa la possibilità di trascrivere gli atti costituivi di trusts alla luce del (criticato) principio di tipicità degli atti soggetti a trascrizione62. La dottrina che si è occupata della questione l’ha affrontata partendo da tre assunti: 1) dando per scontato l’effetto traslativo dei beni in capo al trustee, che è l’effetto tipico del trust di diritto inglese; 2) tenendo conto dell’impostazione su base personale del nostro sistema di trascrizione – tale per cui la ricerca dei vincoli si fa indicando il soggetto titolare e non il bene; 3) richiamando la giurisprudenza della Corte di Cassazione secondo la quale non sono ammissibili trascrizioni a favore di entità prive di soggettività giuridica63.
(assistenza, cura e protezione di persone con disabilità grave). Un atto negoziale avente ad oggetto la scomposizione del proprio patrimonio all’esclusivo fine di produrre una limitazione di responsabilità e sottrarre i beni ai propri creditori non va confuso con l’atto dispositivo (trust) col quale il disponente operi un’attribuzione di determinati beni in vista della realizzazione di un preciso scopo, giudicato dall’ordinamento meritevole di tutela, con conseguente modifica della propria sfera patrimoniale ed esposizione del creditore all’eventus damni. In quest’ultimo caso, diversamente dal primo, nell’eventualità in cui si configuri una lesione o pregiudizio della sfera del creditore, il rimedio in concreto operante non sarebbe la nullità del trust, bensì l’azione revocatoria ex artt. 2901 ss. c.c. 61 Cfr. Petrelli. Destinazioni Patrimoniali e Trust, cit., ivi diffusamente. 62 Si veda sul punto F. Gazzoni, La trascrizione immobiliare I, in Comm. cod. civ. diretto da Schlesinger, Milano, 1998, 627 ss. Sul rapporto tra la (apparente) tipicità delle forme di pubblicità nel nostro ordinamento giuridico e la trascrivibilità del trust cfr. F. Gazzoni, Il cammello, il leone, il fanciullo e la trascrizione del trust, in Riv. not., 5, 2002, 1107, nonché F. Gazzoni, Tentativo dell’impossibile. Osservazioni di un giurista «non vivente» su trust e trascrizione, in Riv. not., 1, 2001, 11. 63 Cfr. Cass. civ., sez. III, 27.01.2017, n. 2043 e Cass. civ., sez. I, 22.12.2015, n. 25800, in www.dejure.it.
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Stando alla dottrina richiamata, non vi sarebbero ostacoli a trascrivere il trust facendo applicazione delle norme di cui agli artt. 2643 ss. c.c.: il trustee dovrebbe trascrivere l’acquisto a proprio favore contro il settlor, al fine di prevalere nei confronti del settlor stesso e dei creditori del medesimo che trascrivano il pignoramento in un momento successivo alla costituzione del vincolo; l’esistenza del trust dovrebbe indicarsi nel quadro D della nota di trascrizione, recante tutte le informazioni utili per i terzi64. Analoga soluzione è stata proposta con specifico riferimento al contratto di affidamento fiduciario: l’atto di trasferimento potrebbe essere trascritto contro il disponente e a favore dell’affidatario; nel quadro D dovrebbe indicarsi l’esistenza di un contratto di affidamento fiduciario e nel quadro A l’esistenza di una condizione risolutiva per l’ipotesi del mancato perseguimento dello scopo, con contestuale indicazione del soggetto deputato ad accertare tale mancato perseguimento65. La giurisprudenza è stata a più riprese chiamata a pronunciarsi, specialmente nell’ambito di giudizi di opposizione all’esecuzione, in merito alla opponibilità ai terzi di trust nel cui ambito fossero fatti confluire beni sottoposti a pignoramento. A parte un precedente nel quale l’opponibilità ai terzi dell’atto costitutivo del trust è stata affermata sulla base dell’avvenuta costituzione dello stesso mediante atto avente data certa anteriore alla trascrizione del pignoramento66, la giurisprudenza di merito ha fondato l’opponibilità del trust sulla base della sua avvenuta trascrizione a norma dell’art. 2643 c.c.67. La giurisprudenza di merito ha anche riconosciuto la possibilità di trascrivere un trust auto-dichiarato eseguendo la trascrizione contro il disponente e a favore del trust68. La giurisprudenza, in linea generale, ha affrontato apoditticamente il problema della trascrizione del trust, equiparando tutti i vincoli di destinazione e osservando che l’atto di destinazione – essendo di per sé idoneo a sottrarre determinati beni all’azione esecutiva
64
Sul punto cfr. M. Lupoi, Lettera a un notaio curioso di trust, in Riv. not., 3, 1996, 343, nonché Gli “atti di destinazione’ nel nuovo art. 2645-ter c.c. quale frammento di trust, in Riv. not., 2, 2006, 467. 65 In tal senso si è espresso Lupoi, L’affidamento Fiduciario nella vita professionale, cit., 165 ss. 66 Cfr. Trib. Aosta, 21.11.2017, in Trusts, 2018, 413, che rinviene la ratio della opponibilità ai terzi di un trust costituito anteriormente alla trascrizione del pignoramento nell’art. 11 della Convenzione dell’Aja del 1985. Tale norma, in particolare, prevede testualmente che: «Un trust costituito in conformità alla legge specificata al precedente capitolo dovrà essere riconosciuto come trust. Tale riconoscimento implica quanto meno che i beni del trust siano separati dal patrimonio personale del trustee, che il trustee abbia le capacità di agire in giudizio ed essere citato in giudizio, o di comparire in qualità di trustee davanti a un notaio o altra persona che rappresenti un’autorità pubblica. Qualora la legge applicabile al trust lo richieda, o lo preveda, tale riconoscimento implicherà, in particolare: a) che i creditori personali del trustee non possano sequestrare i beni del trust; b) che i beni del trust siano separati dal patrimonio del trustee in caso di insolvenza di quest’ultimo o di sua bancarotta; c) che i beni del trust non facciano parte del regime matrimoniale o della successione dei beni del trustee; d) che la rivendicazione dei beni del trust sia permessa qualora il trustee, in violazione degli obblighi derivanti dal trust, abbia confuso i beni del trust con i suoi e gli obblighi di un terzo possessore dei beni del trust rimangono soggetti alla legge fissata dalle regole di conflitto del foro». 67 Cfr. ex plurimis Trib. Milano, 10.06.2014 in Trusts, 2016, 151; Trib. Rimini, 28.11.2013, in Trusts, 2015, 197 e Trib. Latina, 18.12.2017, in Trusts, 2018, 411. 68 App. Venezia, 10.07.2014, in Trusts, 2015, 183; in senso conforme Trib. Torino, 10.02.2011, in Notariato, 2011, 408.
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dei creditori – produce effetti connotati dal carattere della realità ed è come tale suscettibile di trascrizione69. Tale impostazione sconta, tuttavia, una serie di limiti. In primo luogo, anche a voler ammettere che il trustee acquisti la proprietà dei beni trasferiti dal settlor, tale diritto non ha un contenuto equivalente a quello tratteggiato dall’art. 832 c.c., considerato che il trustee non ha il potere di godere e disporre liberamente dei beni e che i destinatari finali dei beni trasferiti sono i beneficiari che, parimenti, dovrebbero essere indicati nella nota di trascrizione. In secondo luogo, la trascrizione contro il settlor e a favore del trustee non garantisce alcuna tutela dei beni costituiti in trust rispetto alle possibili azioni esecutive esperite da parte dei creditori del trustee: il quadro D della nota di trascrizione, infatti, ha un’efficacia pubblicitaria molto ridotta, se non nulla. È discutibile che possa da solo bastare a generare pubblicità circa la separazione nell’ambito del patrimonio del trustee e, quindi, essere opponibile a suoi creditori70.
69
Cass. civ., sez. III, 15 novembre 2019, n. 29727, secondo la quale «L’atto di costituzione del vincolo sui propri beni ai sensi dell’art. 2645-ter c.c., benché non determini il trasferimento della loro proprietà né la costituzione su di essi di diritti reali in senso proprio, è comunque idoneo a sottrarre i beni vincolati all’azione esecutiva dei creditori, ha effetti connotati dal carattere della “realità” in senso ampio, essendo oggetto di trascrizione, ed è conseguentemente idoneo a pregiudicare le ragioni creditorie, come nelle analoghe (anche se non identiche) situazioni della costituzione del fondo patrimoniale e della costituzione e dotazione di beni in “trust”» 70 Tali limiti non erano stati colti dalla prima giurisprudenza chiamata a occuparsi della questione: «verrà trascritto l’atto di trasferimento ed esso costituirà il veicolo per introdurre nei registri anche menzione del regolamento del trust, risultato del quale ci si accontenterà» (Trib. Pisa, decr. 22 dicembre 2001), richiamata da F. Gazzoni, Il cammello, il leone, il fanciullo e la trascrizione del trust, cit. Circa le ricadute della impostazione volta a fare supino riferimento all’art. 2643 c.c. l’autore ora citato ha osservato «È bene chiarire, innanzi tutto, che sicuramente il trustee ha l’onere di trascrivere il proprio acquisto della proprietà, invocando l’art. 2643 n. 1 c.c. e pertanto ai fini di cui all’art. 2644 c.c. Egli infatti acquista la proprietà di cui all’art. 832 c.c. Questa trascrizione, dunque, protegge il trustee, nel senso che lo fa prevalere, ove prioritaria e salvo, se del caso, gli ulteriori sviluppi, nei confronti di altri aventi causa dal settlor, che abbia avuto un ripensamento. Essa, poi, lo farà prevalere ex art. 2914 n. 1 c.c. nei confronti dei creditori del settlor che abbiano trascritto il pignoramento in un momento successivo, salva peraltro l’azione revocatoria del trasferimento, la quale è, nel caso di specie, di esito scontato, in presenza di periculum damni, dovendosi applicare i principi validi per gli atti gratuiti, con conseguente irrilevanza della partecipatio fraudis (art. 2901 n. 2 c.c.). Infine detta trascrizione varrà ai fini della continuità, per permettere a colui che, tra più aventi causa dal trustee, trascriva per primo, di prevalere, senza doversi accontentare dell’effetto di prenotazione (art. 2650 c.c.). Come si vede fin qui non viene in questione il problema della separazione dei patrimoni e dunque del conflitto con i creditori personali del trustee che intendano aggredire il bene trasferito dal settlor. Questa vicenda nulla ha a che vedere con l’art. 2643 n. 1 c.c. e quindi con l’art. 2644 c.c., perché va semmai ricompresa nell’ambito di quei conflitti risolti dall’art. 2915 c.c., tra i quali si situano, ad esempio, quelli che nascono dal fondo patrimoniale e dalla cessio bonorum. La riprova è nel fatto che il vincolo derivante dalla cessione dei beni ai creditori è disciplinato, quanto alla trascrizione, dall’art. 2649 c.c., mentre quello che nasce con il fondo patrimoniale non si oppone con la trascrizione ex art. 2644 c.c., ma nemmeno con quella ex art. 2647 c.c., quanto piuttosto con l’annotazione ex art. 162 comma 4 c.c., ad onta della mancata modifica dell’art. 2915 c.c. (…)come ho già detto in altre occasioni, questa norma prevede bensì l’atipicità degli atti trascrivibili, nel senso che se ne possono trascrivere di diversi rispetto a quelli elencati all’art. 2643 c.c., ma sempre che vi sia identità di effetti. Poiché si insiste a sostenere il contrario, mi vedo costretto a riprodurre l’art. 2645 c.c., come si fa nei manuali di diritto privato destinati agli studenti del primo anno di giurisprudenza: «Deve del pari rendersi pubblico, agli effetti previsti dall’articolo precedente, ogni altro atto o provvedimento che produce in relazione a beni immobili o a diritti immobiliari taluno degli effetti dei contratti menzionati nell’art. 2643...». Non dunque effetti analoghi, ma identici. Ed è ovvio che sia così, perché si dovrà poi applicare a questi atti atipici la stessa disciplina degli atti tipici ex art. 2643 c.c. e cioè quella prevista dall’art. 2644 c.c. Può allora anche dirsi che la trascrizione non è un sistema chiuso, ma nel senso che la chiusura riguarda gli effetti e non gli atti. La riprova è nel fatto che tutti gli esempi di c.d. atipicità che gli approssimativi studiosi della trascrizione esibiscono, quali, ad esempio, i vincoli condominiali, le convenzioni edilizie, il provvedimento di sequestro giudiziale e quant’altro, quando sono trascrivibili, lo sono perché perfettamente riconducibili ad uno degli effetti di cui all’art. 2643 c.c. Ma anche ammesso e non concesso che non sia così, l’effetto analogo dovrebbe sempre situarsi all’interno dell’art. 2643 c.c. e quindi del conflitto regolato dall’art. 2644
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In terzo luogo, quando affidante e affidatario coincidono, come accade nel trust autodichiarato, manca l’effetto traslativo dei beni. In tal caso la trascrizione a favore del trust desta perplessità, considerato che la stessa giurisprudenza di legittimità è costante nel negare che il trust sia dotato di soggettività giuridica71. In quarto luogo, il trust a differenza dei vincoli costituiti a norma dell’art. 2645-ter c.c., può avere ad oggetto tanto beni immobili e mobili registrati quanto beni mobili (si pensi alla destinazione in trust di un fondo titoli o di una polizza di investimento). Anche in questa ipotesi il disponente ha interesse a che i beni non siano aggrediti dai creditori personali del trustee. Si torna allora al punto di partenza: se il legislatore ha sentito il bisogno di disciplinare espressamente la trascrizione degli atti che non producono alcun effetto traslativo ma un mero effetto segregativo – come nel caso degli atti di destinazione di cui all’art. 2645-ter c.c. e del fondo patrimoniale – quid iuris del trust, specialmente se auto-dichiarato. L’interrogativo resta aperto e non è di semplice soluzione. Lo stesso legislatore convenzionale, d’altronde, come si vedrà infra, ha previsto che l’iscrizione del trust in pubblici registri sia facoltativa, ritenendo i profili pubblicitari non determinanti ai fini della costituzione del vincolo. Una soluzione percorribile – idonea a evitare gli impasse di cui precede – è quella di ritenere il trust opponibile ai terzi in quanto costituito mediante atto (pubblico) dotato di data certa anteriore al pignoramento. Nel momento in cui si dà ingresso al trust interno o di diritto italiano nel nostro ordinamento, in mancanza di una norma in materia di trascrizione, non resta infatti che riconoscere questo principio, anche se rivoluzionario per il nostro sistema di pubblicità immobiliare. Solo in tal modo è garantita l’effettività della segregazione patrimoniale dei beni destinati, specialmente nelle ipotesi in cui il trust abbia ad oggetto al contempo beni immobili (o mobili registrati) e beni mobili.
7. Conclusioni: l’Italia è ancora un Paese non trust ai sensi dell’art. 13 della Convenzione Aja?
L’analisi svolta nel presente lavoro ha consentito di mettere in luce i principali elementi di novità introdotti dalla c.d. legge “Dopo di Noi” e la portata della normativa in commento su istituti giuridici di incerta applicazione pratica, con i quali tuttavia il legislatore ha mostrato una confidenza tutt’altro che scontata.
c.c. e si è detto e chiarito che nel caso di separazione dei beni si è del tutto al di fuori di tali ipotesi, sicché, comunque si rigiri la questione, il tentativo di violentare l’art. 2643 n. 1 c.c. inserendovi surrettiziamente il richiamo all’acquisto del trustee si rivela per quel che esso è e cioè un’esibizione di disinvoltura, per non dire altro». 71 Cfr. in tal senso App. Trieste, 30.07.2014, n. 61 in www.dejure.it secondo la quale “La pubblicità del trust può avvenire unicamente mediante trascrizione in favore del trustee, perché il trust non ha alcuna autonoma personalità giuridica e soggettività giuridica.”
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Da un lato, infatti, il legislatore ha parlato di trust e di contratto di affidamento fiduciario senza apparentemente porsi il problema della mancata definizione normativa di tali istituti e delle sporadiche applicazioni che sono state fatte soprattutto del secondo dei due istituti menzionati. Dall’altro, ne ha definito i requisiti di forma e di sostanza e ha codificato ex lege una presunzione circa la meritevolezza degli interessi perseguiti ogni qual volta siano in linea con la tutela di persone affette da disabilità. Resta aperto un ampio spazio per l’interpretazione. I principali interrogativi ai quali offrire risposta sono due, ovverosia se al di fuori dell’ambito della tutela delle persone affette da disabilità operi la normativa ordinaria e se la l. 112/2016 abbia codificato un trust di diritto italiano. A parere di chi scrive la risposta a entrambi gli interrogativi è affermativa. Quanto al primo quesito, la previsione di un regime fiscale di favore e il riferimento all’istituto già codificato dall’art. 2645-ter c.c. costituiscono altrettanti indici del fatto che il legislatore ha inteso riservare la tutela ivi contemplata ai soli atti destinatori volti al perseguimento di un programma avente ad oggetto la tutela della disabilità nel senso specificato dal “Dopo di Noi”, a meno di non ritenere, con riferimento ai vincoli di destinazione di cui all’art. 2645-ter c.c., che la norma in oggetto contempli solo profili pubblicitari e di tutela dei terzi e che la legge in questione sia pertanto volta a definirne anche i profili sostanziali. Il legislatore del “Dopo di Noi”, infatti, ha previsto che l’accesso ai benefici fiscali ivi contemplati sia subordinato al rispetto di una serie di requisiti ulteriori rispetto a quelli previsti dall’art. 2645-ter c.c. Quanto al secondo interrogativo, la risposta passa necessariamente attraverso l’esame degli artt. 2 e 8 della Convenzione dell’Aja e delle lacune della l. 112/2016 come sopra evidenziate. Si è visto che a norma dell’art. 2 della Convenzione dell’Aja non si può parlare di trust se non ricorrono contemporaneamente i seguenti presupposti: 1) che il settlor abbia posto sotto il controllo del trustee determinati beni con il poteredovere di amministrarli e gestirli con l’obbligo di rendere il conto della gestione; 2) che tale vincolo sia costituito nell’interesse di un beneficiario o per un fine specifico; 3) che i beni conferiti in trust formino una massa distinta nel patrimonio del trustee, connotata da autonomia patrimoniale. Si è già messo in luce come la Convenzione dell’Aja non ha fornito alcuna definizione del trust ma ha semplicemente indicato i requisiti indefettibili che un atto di destinazione (o auto-destinatorio) deve possedere per potere essere qualificato come trust in tutti gli Stati aderenti alla Convenzione. Il legislatore del c.d. “Dopo di Noi” non si è limitato a menzionare il trust, ma ha anche indicato all’art. 6 i requisiti che lo stesso deve possedere al fine di rientrare nell’ambito applicativo della legge n. 112/2016. Più nello specifico, la legge 112/2016 ha espressamente previsto che i trust costituiti ai sensi di tale disposizione normativa prevedano il trasferimento dei beni al gestore e che
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nell’atto costitutivo siano indicati espressamente sia il nominativo del o dei beneficiari sia la finalità per la quale è istituito il vincolo. Non è stata espressamente prevista la segregazione patrimoniale dei beni destinati nel patrimonio del gestore, nondimeno si è visto come l’effetto segregativo sia conseguenza automatica della destinazione del patrimonio al perseguimento della finalità contemplata dalla legge. Sono, pertanto, soddisfatti i tre requisiti fondamentali perché si possa parlare di trust nel senso richiesto dalla Convenzione dell’Aja che l’Italia ha ratificato. Né la mancata previsione della facoltà di trascrivere i vincoli di destinazione costituisce di per sé un ostacolo al riconoscimento di un trust di diritto italiano costituito a norma dell’art. 6 legge 112/2016. A norma dell’art. 12 della Conv. Aja del 1985, infatti, il trustee ha facoltà di fare iscrivere in pubblici registri il vincolo, a meno che ciò non sia vietato dalla legislazione dello Stato in cui tale registrazione deve avere luogo. L’iscrizione in pubblici registri del vincolo, pertanto, non costituisce un requisito essenziale affinché si possa parlare di trust nel senso declinato nella Convenzione dell’Aja, né infatti è menzionato all’interno del citato art. 2 ove tali requisiti sono indicati. Il successivo art. 8 dispone che la legge scelta dal costituente o quella che presenta il collegamento più stretto con il trust ne regola la validità, l’interpretazione, gli effetti e l’amministrazione. La legge di cui precede, in particolare, dovrà regolamentare: a) la nomina, le dimissioni e la revoca del trustee, la capacità particolare di esercitare le mansioni di trustee e la trasmissione delle funzioni di trustee; b) i diritti e gli obblighi dei trustees tra di loro; c) il diritto del trustee di delegare, in tutto o in parte, l’esecuzione dei suoi obblighi o l’esercizio dei suoi poteri; d) i poteri del trustee di amministrare o disporre dei beni del trust, di darli in garanzia e di acquisire nuovi beni; e) i poteri del trustee di effettuare investimenti; f) le restrizioni relative alla durata del trust ed ai poteri di accantonare gli introiti del trust; g) i rapporti tra il trustee ed i beneficiari, ivi compresa la responsabilità personale del trustee verso i beneficiari; h) la modifica o la cessazione del trust; i) la ripartizione dei beni del trust; j) l’obbligo del trustee di render conto della sua gestione. La legge 112/2016 disciplina alcuni di tali aspetti: 1) la nomina del trustee, che deve essere espressamente indicata nell’atto costituivo; 2) i poteri del trustee, che devono essere specificati nell’atto costitutivo; 3) la limitazione della durata del vincolo e la destinazione dei beni residui alla scadenza; 4) la nomina di un guardiano che vigili sull’andamento dell’amministrazione e intraprenda nelle necessarie azioni a tutela dei beneficiari. Risultano, di conseguenza, soddisfatti i requisiti indicati alle lettere a), d), f), g), i) e j) del citato art. 8 della Convenzione dell’Aja. La mancata indicazione delle ulteriori previsioni di quell’articolo nel corpo dell’art. 6 legge 112/2016, a giudizio di chi scrive, non preclude di per sé la possibilità di qualificare in termini di trust di diritto italiano il vincolo costituito a norma della legge sul “Dopo di Noi”. Anche nel trust interno, infatti, si è visto che è la legge italiana a disciplinare i negozi di trasferimento dei beni al trustee e l’attività del trustee, così come è sempre la legge
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italiana a garantire la tutela dei diritti inderogabili dei creditori, dei legittimari, dei minori, degli incapaci e della famiglia, come espressamente previsto dall’art. 15 Conv. Aja. La legge sul “Dopo di Noi”, inoltre, prevedendo espressamente tra i requisiti dell’atto istitutivo l’indicazione del soggetto preposto al controllo delle obbligazioni risultanti dal vincolo, disciplina anche la fase c.d. patologica del trust; rispetto a tale fase, in ogni caso, per quanto non disciplinato, potranno applicarsi al trust i principi già elaborati dalla giurisprudenza interna con riferimento, p.e., alla sostituzione del trustee per morte, sopravvenuta incapacità o responsabilità da mala gestio. Per quanto non espressamente previsto dalla legge 112/2016 soccorreranno le corrispondenti disposizioni di diritto italiano e l’elaborazione giurisprudenziale sviluppatasi sul punto. La legge c.d. “Dopo di Noi”, in conclusione, contiene tutti gli elementi affinché, con specifico riferimento all’ambito della tutela delle persone affette da disabilità, possa parlarsi di trust di diritto italiano. Chi intende costituire un trust a norma della disposizione normativa in commento non sarà tenuto a fare riferimento a una legge straniera – come accadrebbe ove si limitasse l’ambito di applicazione della legge 112/2016 al solo trust interno – ma può direttamente fare ricorso al “Dopo di Noi”, rispettando i requisiti di forma e di sostanza previsti da quella normativa. Diversamente opinando sarebbe frustata la ratio di semplificazione posta dal legislatore a fondamento della legge 112/2016, ovverosia quella di garantire alle persone affette da disabilità l’accesso a strumenti di segregazione del loro patrimonio, quale che ne sia l’entità, che ne consentano l’amministrazione “controllata” e il trapasso generazionale. Né le medesime finalità possono essere perseguite mediante la costituzione di vincoli a norma dell’art. 2645-ter c.c., considerato che anche nella legge 112/2016 il ricorso a tale strumento è limitato ai soli beni immobili e mobili registrati, con conseguente impossibilità di destinare al soggetto affetto da disabilità un pacchetto titoli o un conto corrente. Tale conclusione non consente di risolvere, a monte, il problema se al di fuori di quello specifico ambito rappresentato dalla tutela delle persone affette da disabilità, sia consentito di parlare di trust di diritto italiano. Frammenti di trust si rivengono in molteplici istituti giuridici già noti al nostro ordinamento giuridico: patrimoni destinati a uno specifico affare ai sensi dell’art. 2447-bis c.c.; atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela a norma dell’art. 2645-ter c.c.; il riconoscimento ormai pacifico di ipotesi proprietà temporanea. La segregazione patrimoniale, si è visto, è essa stessa connessa alle previsioni normative di patrimoni destinati e il controllo circa la meritevolezza degli interessi perseguiti dal disponente a norma dell’art. 1322 c. 2 c.c. consente si per sé di evitare che tale strumento negoziale sia piegato a scopi illeciti o elusivi di norme imperative. Tanto il trust interno quanto il trust italiano, infatti, devono perseguire interessi meritevoli di tutela e non contrastare con norme imperative, il primo a norma dell’art. 15 Conv. Aja, il secondo a norma dell’art. 1322 comma 2 c.c. Allo stato tuttavia, ad avviso della scrivente, non è possibile costituire un trust interamente regolato dal diritto italiano al di fuori dello specifico ambito della legge 112/2016.
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La legge sul c.d. “Dopo di Noi”, infatti, è la sola ad avere dettato norme sostanziali per il trust e la precisione con la quale il legislatore ne ha definito l’ambito di applicazione esclude a monte la possibilità di estenderne la portata a settori diversi dalla tutela delle persone affetta da disabilità. Restano nondimeno aperti gli spazi per l’interpretazione: con il presente lavoro si sono ripercorsi i sentieri interrotti solcati dall’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale in materia di trust e le ripercussioni che la legge 112/2016 ha avuto su tale dibattito, nella consapevolezza che la ricerca non sempre consente di rinvenire risposte certe ma, sempre più spesso, elabora nuove domande.
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Giurisprudenza Trib. Cagliari, sez. I, decreto 28 aprile 2020, n. 1146; Tamponi Presidente – Gana Relatore Filiazione – Omogenitorialità – Azione di rettifica (ex art. 95 e 96 D.P.R. n. 396/2000) – Riconoscimento del minore – Procreazione medicalmente assistita – Fecondazione eterologa – Consenso (ex art. 6, L. n. 40/2004) – Prevalenza della volontaria assunzione della responsabilità procreativa – Interesse superiore del minore al riconoscimento della genitorialità e alla continuità dello status filiationis Il divieto di accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (P.M.A.) per coppie di individui dello stesso sesso non si pone in contrasto con la possibilità di ricorrere all’adozione o alla trascrizione dell’atto formato all’estero dopo la nascita; ciò in quanto, se prima della nascita, il legislatore può discrezionalmente limitare l’accesso alle tecniche di P.M.A., una volta che la nascita si è verificata, deve essere tutelato l’interesse del nato alla conservazione e al consolidamento delle relazioni familiari già instaurate.
(Omissis) Motivi
della decisione
che l’Ufficiale dello Stato civile di Cagliari non ha osservato tali norme e, conseguentemente,
Con ricorso depositato il 13/4/2019 il MI-
l’impugnazione del relativo atto si è resa neces-
NISTERO DELL’INTERNO e la PREFETTURA di
saria per la tutela dell’ordine pubblico e dell’uni-
CAGLIARI hanno adito il Tribunale di Cagliari,
formità nell’accertamento della genitorialità.
convenendo in giudizio il Comune di Cagliari, e (omissis), e hanno chiesto la disapplicazione dell’atto dell’Ufficiale dello Stato Civile del Comune di Cagliari con il quale, in data (omissis), è stata ricevuta e annotata la dichiarazione mediante la quale (omissis) ha riconosciuto, quale suo figlio naturale, il minore (omissis), nato a (omissis). A sostegno della domanda le amministrazioni ricorrenti hanno esposto: - che il minore è già stato riconosciuto da (omissis), madre partoriente;
Quanto premesso, le amministrazioni ricorrenti hanno concluso come in epigrafe. Con comparsa di costituzione e risposta del 31/5/2019 si è costituito in giudizio il Comune di Cagliari che, pur rimettendosi alla valutazione di questo Tribunale in ordine alla legittimità del proprio operato, ha esposto: - in data 5/3/2019, il Vice Sindaco del Comune di Cagliari ha disposto l’annotazione del riconoscimento di (omissis) già figlio di (omissis), da parte di (omissis). - tale annotazione è stata disposta con il supporto dell’orientamento prevalente formatosi nel-
- che con gli artt. 30 e 43 del D.P.R. n. 396/2000
la giurisprudenza di merito in relazione a casi
il legislatore ha stabilito che nell’atto di nascita
analoghi, dalla cui lettura emerge il convincimen-
devono essere indicati la madre partoriente e il
to degli interpreti circa l’esistenza di un nuovo
padre biologico, previa verifica della condizione
tipo di genitorialità nell’ordinamento giuridico,
di padre o di madre in capo al soggetto che ren-
ossia la genitorialità intenzionale, fondata sul
de la dichiarazione;
consenso reso dai soggetti che fanno ricorso alla
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Giurisprudenza
procreazione medicalmente assistita, disciplinata
non è consentita alcuna differenza di trattamento
dalla L. n. 40/2004;
tra coppie in base al loro orientamento sessuale,
- nell’ambito di tale legge, il legislatore ha stabilito che la volontà di una coppia di ricorrere
posto che si risolverebbe in una compromissione del superiore interesse del minore;
alla procreazione medicalmente assistita (di se-
- che, peraltro, se può essere trascritto l’atto
guito PMA) determina l’attribuzione al nato dello
di nascita formato all’estero in cui risultano due
status di figlio di entrambi i membri della coppia,
madri, come riconosciuto dalla Corte di Cassa-
in virtù del consenso dagli stessi prestato nel mo-
zione, precludere la formazione di analogo at-
mento in cui hanno deciso di accedere a tali tec-
to all’interno dell’ordinamento si risolverebbe in
niche e delle specifiche conseguenze che dallo
una discriminazione di trattamento in ragione del
stesso normativamente derivano;
luogo di nascita del figlio della coppia;
- che, più nel dettaglio, il consenso reso dalla
- che l’individuazione del padre e della ma-
coppia ha carattere irrevocabile, preclude qual-
dre, quali soggetti legittimati al riconoscimen-
siasi azione di disconoscimento di paternità o
to, deve essere interpretata nel senso che non
la mancata indicazione del nominativo materno
è escluso che la dichiarazione sia resa da due
nell’atto di nascita;
madri, trattandosi di una congiunzione “e” volta
- che con tale impostazione normativa è sta-
a individuare le categorie di legittimati. Quanto
ta parificata la genitorialità intenzionale a quella
premesso, il Comune di Cagliari ha concluso co-
biologica, prescindendo dal rapporto genetico
me in epigrafe.
eventualmente esistente tra il nato e la coppia che ha fatto ricorso alla PMA;
Con comparsa di costituzione e risposta del 3/6/2019 si sono costituite in giudizio e (omis-
- che la stessa Corte di Cassazione, con la
sis), in proprio e quali esercenti la responsabilità
sentenza n. 19599/2016, ha escluso il contrasto
genitoriale su (omissis), le quali preliminarmente
con l’ordine pubblico, idoneo a precludere la tra-
hanno eccepito l’inammissibilità del ricorso per
scrizione in Italia, di un atto di nascita straniero,
carenza di legittimazione attiva delle amministra-
valido in base alla legge in vigore nello Stato in
zioni ricorrenti. Queste ultime, infatti, hanno so-
cui è stato formato, da cui risulti la nascita di un
stanzialmente chiesto la rettifica ai sensi dell’art.
figlio da due madri (entrambe geneticamente le-
95 del D.P.R. n. 396/2000 di un atto dello Stato
gate al nato), in virtù del ricorso ad una tecnica di
civile; tuttavia, si tratta di domanda che può esse-
procreazione non riconosciuta dall’ordinamento
re proposta esclusivamente dai soggetti titolari di
interno;
diritti soggettivi correlati all’atto impugnato e dal
- in particolare, la Corte di Cassazione ha
Procuratore della Repubblica, chiamato a tutelare
chiarito che l’impianto normativo della legge n.
l’interesse pubblico con riferimento al rapporto
40/2004, che preclude l’accesso alle tecniche ivi
sostanziale oggetto della domanda di rettifica,
disciplinate a coppie formate da individui dello
ferma restando la possibilità di intervento di ogni
stesso sesso, costituisce una delle modalità di re-
altro soggetto che vi abbia interesse. Con riferi-
golazione della materia discrezionalmente indivi-
mento al merito della causa, le resistenti hanno
duabili dal legislatore, ma non rappresenta una
esposto:
soluzione costituzionalmente obbligata;
- di avere avviato una stabile relazione senti-
- che le unioni tra individui dello stesso sesso,
mentale dal 2014, iniziando a convivere dal 2017;
disciplinate dalla legge n. 76/2016, costituiscono
- di avere elaborato un progetto condiviso
formazioni sociali costituzionalmente rilevanti, e
di genitorialità facendo ricorso in Germania al-
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Giada Pipere
la PMA di tipo eterologo, accessibile in tale Stato anche alle coppie formate da individui dello stesso sesso, prestando il proprio consenso il 17/11/2017 e, per l’effetto, manifestando la volontà di assumere congiuntamente la responsabilità genitoriale del nascituro; - che la gravidanza è stata portata avanti da (omissis) mentre il (omissis) la (omissis) ha riconosciuto come proprio figlio (omissis); - che la giurisprudenza di merito ha già riconosciuto la legittimità di un atto di nascita, relativo a minori nati in Italia, nell’ambito di progetti di genitorialità portati avanti tramite l’accesso all’estero a tecniche di PMA, che rechi l’indicazione di due madri (si vedano Tribunale di Bologna decreto n. 6864 del 5/7/2018; Tribunale di Pistoia decreto n. 2196 del 5/7/2018; Corte d’Appello di Firenze decreto del 19/4/2019, Tribunale di Genova decreto del 3/12/2018); - alla base di tale orientamento della giurisprudenza di merito si pone il convincimento per il quale l’art. 8 della legge n. 40/2004, con il quale è attribuita la responsabilità genitoriale del nato ai membri della coppia che hanno prestato il consenso alla PMA, trova applicazione anche quando coppie di individui dello stesso sesso hanno fatto ricorso all’estero a pratiche di PMA non consentite dall’ordinamento interno; - che tale affermazione si giustifica, in primo luogo, da un punto di vista letterale, atteso che la norma è scritta quale norma generale sull’attribuzione della responsabilità genitoriale che prescinde dal rispetto dei requisiti soggettivi di accesso alla PMA (di cui agli artt. 5 e 6 della legge n. 40’2004) e, in questi termini, era stata interpretata anche dalla Corte Costituzionale, a giudizio della quale l’art. 8 era in grado di disciplinare anche le fattispecie di ricorso alla PMA eterologa prima che la stessa fosse consentita anche nel nostro ordinamento; - in secondo luogo, tale convincimento è avvalorato dal rilievo per il quale pur essendo
possibile che manchi il legame biologico tra un membro (o entrambi i membri) della coppia e il nato, è il loro consenso, manifestato anche con atti concludenti, e la conseguente assunzione di responsabilità che hanno determinato l’evento della nascita; - che l’impianto normativo, complessivamente inteso, rende evidente la volontà del legislatore di bilanciare contrapposti interessi riconoscendo preminenza al superiore interesse del minore all’instaurazione del rapporto genitoriale con entrambi i soggetti che, con il loro consenso, ne hanno determinato la nascita; - che tale bilanciamento sia stato effettuato dal legislatore ordinario è reso evidente dalla previsione, nell’ipotesi di ricorso alle tecniche di PMA in violazione delle norme che regolano l’accesso (ad es. sotto il profilo soggettivo) di precetti a sanzione imperfetta, che garantiscono la permanenza degli effetti giuridici di una condotta contra legem; - ciò è dimostrato dal dato letterale dell’art. 9 della legge n. 40/2004: tale norma, che disciplina attualmente le fattispecie di ricorso alla fecondazione eterologa in casi non consentiti anche dopo la pronuncia n. 162/2014 della Corte Costituzionale, prevede che non possano essere proposte dai membri della coppia né l’azione di disconoscimento, né la richiesta di non essere menzionata nell’atto di nascita e che il donatore di gameti non acquista alcun rapporto parentale con il nato; - allo stesso modo, l’art. 12 della legge n. 40/2004 non ha previsto, nel caso di ricorso alla PMA da parte di coppie di soggetti dello stesso sesso, alcuna deroga all’applicazione dell’art. 8, limitandosi a stabilire una sanzione amministrativa a carico di chi applichi loro tali tecniche; - che la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13000/2019 resa in materia di fecondazione assistita post mortem, ha confermato, al fine di salvaguardare i diritti fondamentali del minore
609
Giurisprudenza
e l’interesse ad acquisire certezza in ordine alla
namente con la signora (omissis) (e con la sua
propria discendenza bigenitoriale, l’indifferenza
famiglia di origine) e che contribuiscono a defi-
dell’art. 8 della 1. n. 40/2004 al rispetto dei requi-
nirne l’identità personale;
siti di cui agli artt. 4 e 5 della stessa legge;
- che tale superiore interesse, alla luce di
- conseguentemente, è evidente la prevalen-
quanto affermato dalla giurisprudenza di legitti-
za del principio volontaristico e di responsabi-
mità nelle pronunce nn. 19599/2016, 14878/2017,
lità procreativa sul dato fattuale della violazione
12193/2019, incontra il suo limite nella violazio-
delle norme che legittimano l’accesso alla PMA
ne del divieto di maternità surrogata, fattispecie
e tale affermazione deve essere ritenuta valida
sanzionata penalmente in quanto lesiva di altro
anche quando la violazione riguarda il requisito
interesse di rango costituzionale, ossia la dignità
della diversità di sesso fra coloro che accedono
umana: in mancanza di tale violazione, a fronte
alla PMA;
della quale l’interesse del minore deve essere tu-
- che non si possono trarre indicazioni contrarie dagli artt. 30 e 46 del D.P.R. n. 396/2000, come erroneamente sostenuto dalle amministrazioni ricorrenti, dato che l’art. 30 prevede che i genitori possano rendere la dichiarazione di nascita e non individua, quali legittimati, il padre e la madre, mentre l’art. 43 non prevede a carico dell’Ufficiale dello Stato civile alcun obbligo di verificare la condizione di paternità o di maternità; - che, in buona sostanza, bisogna prendere atto dell’esistenza nell’ordinamento di un modello di genitorialità che prescinde dal dato genetico biologico sul quale è improntato il sistema codicistico, essendo invece fondato sul consenso prestato dalla coppia all’atto di intraprendere la PMA e che prescinde dal suo orientamento sessuale; - che non può assumere rilevanza la differenza contenutistica tra il consenso reso in Germa-
telato mediante l’adozione speciale, non possono essere individuati ostacoli idonei a precludere il riconoscimento da parte di entrambe le madri. Quanto premesso, le resistenti hanno concluso come in epigrafe. All’udienza del 4/6/2019 il Tribunale ha concesso un termine alle parti al fine di prendere posizione in ordine al difetto di legittimazione attiva delle amministrazioni ricorrenti. Alla successiva udienza del 17/9/2019 il Tribunale ha concesso un termine al Pubblico Ministero, presente all’udienza, al fine di consentirgli di costituirsi in giudizio e di prendere posizione su quanto dedotto dalle parti. Con comparsa di costituzione del 13/1/2020 il Pubblico Ministero si è costituito in giudizio evidenziando, preliminarmente, sia la legittima-
nia e quello previsto dalla legge italiana, posto
zione attiva delle amministrazioni ricorrenti alla
che la mancata raccolta del consenso nei termi-
proposizione del ricorso, sia l’infondatezza della
ni previsti dalla legge è sanzionata, dallo stes-
relativa eccezione delle resistenti a seguito del
so complesso normativo, esclusivamente tramite
proprio intervento in causa, formulato a soste-
sanzioni amministrative e non già con la deroga
gno del ricorso. In ordine al merito della causa, il
agli effetti che discendono automaticamente dal
Pubblico Ministero ha esposto:
consenso reso dalla coppia al percorso di PMA;
- che la L. n. 40/2004 ha disciplinato l’accesso
- che il superiore interesse del minore deve
alla PMA riconoscendola quale strumento con il
essere il criterio cardine di ogni decisione giudi-
quale favorire la soluzione dei problemi ripro-
ziale relativa alla condizione di un minore e, nel
duttivi derivanti dalla sterilità o infertilità umana
caso di specie, impone di non privare il minore
e quando non ci siano altri metodi terapeutici
(omissis) dei rapporti familiari che vive quotidia-
efficaci;
610
Giada Pipere
- che l’accesso alla PMA è consentito soltanto
è ben diversa dall’infertilità che fisiologicamen-
alle coppie di maggiorenni viventi di sesso diver-
te contraddistingue coppie formate da individui
so, coniugate o conviventi, in età potenzialmente
dello stesso sesso, senza che ciò implichi il di-
fertile;
sconoscimento della rilevanza costituzionale di
- che (omissis) e (omissis) hanno fatto ricorso
tali unioni;
in Germania alla PMA di tipo eterologo prestan-
- che tali conclusioni non sono inficiate dagli
do un consenso privo di efficacia nell’ordinamen-
orientamenti giurisprudenziali che hanno ricono-
to interno, dovendo lo stesso essere inquadrato
sciuto la trascrivibilità degli atti di nascita formati
nell’ambito di una fattispecie vietata dalla legge
all’estero, e recanti l’indicazione di due madri, o
n. 40/2004 sotto il profilo soggettivo (non sus-
la possibilità di ricorrere all’adozione, dato che
sistendo la diversità di sesso tra i membri della
il divieto di accedere alla PMA per coppie del-
coppia) e sotto il profilo oggettivo, dato che si è
lo stesso sesso si colloca prima della nascita del
trattato di una fecondazione di tipo eterologo po-
minore, in un momento in cui il legislatore può
sta in essere al di fuori dei casi in cui è consentita
valutare quali siano, in base al suo giudizio, le
dalla legge italiana;
condizioni migliori in cui favorire la sua nascita.
- che la sentenza della Cassazione n. 19599/2016. con la quale è stata ammessa la tra-
Quanto premesso, il Pubblico Ministero ha concluso come in epigrafe.
scrizione dell’atto di nascita formato all’estero e
All’udienza del 28/1/2020 le parti hanno insi-
recante l’indicazione di due madri, si è basata sul
stito nelle rispettive conclusioni e il Tribunale si è
fatto che entrambe le madri avessero un legame
riservato sulla decisione della causa, istruita con
biologico con il nato;
produzioni documentali.
- che la Corte Costituzionale, con la senten-
Le domande di rettifica dell’atto di nascita di
za n. 221/2019 ha confermato la ragionevolezza
(omissis) non sono fondate e vanno respinte se-
dell’impianto normativo della legge n. 40/2004
condo le argomentazioni che saranno ora espo-
nella parte in cui ha escluso che coppie formate
ste.
da individui dello stesso sesso possano accedere
Preliminarmente, quanto all’eccezione di di-
alla PMA: infatti, l’accesso alla PMA è stato disci-
fetto di legittimazione attiva delle amministrazio-
plinato dal legislatore ordinario a fini terapeutici,
ni ricorrenti si osserva quanto segue.
prevedendo specifici requisiti di ammissione, ed
La domanda proposta dalle amministrazioni
escludendo quindi che tali tecniche siano uno
ricorrenti, tesa ad ottenere la disapplicazione di
strumento per l’attuazione di un ipotizzato diritto
un atto dello Stato civile deve essere più pro-
alla genitorialità da riconoscere in modo indif-
priamente intesa, a giudizio di questo Tribunale,
ferenziato; nell’ambito della sua discrezionalità,
quale domanda volta ad ottenere la rettifica di
ha proseguito la Consulta, il legislatore ben può
tale atto ai sensi degli artt. 95 e 96 del D.P.R.
delineare un modello con cui esprimere la sua
n. 396/2000. Si tratta di un’azione finalizzata ad
preferenza per la nascita all’interno di un nucleo
eliminare una difformità tra la situazione di fatto
familiare composto da un uomo e da una donna,
quale è o dovrebbe essere secondo la previsione
scelta non superabile dalla stessa Corte a meno
di legge e quella risultante dai registri dello Sta-
di non invadere il nucleo di discrezionalità riser-
to civile; la legittimazione a proporre tale azio-
vato al potere legislativo;
ne è riconosciuta a chi si ritenga leso dall’attività
- che, inoltre, l’infertilità patologica alla qua-
dell’Ufficiale dello Stato civile, in quanto titolare
le la legge n. 40/2004 ha inteso porre rimedio
di diritti soggettivi connessi con l’atto che è stato
611
Giurisprudenza
formato e al Pubblico Ministero, autorità legittimata all’azione qualora sia necessario tutelare interessi di livello sovraindividuale. In tale quadro, si osserva che nella formazione degli atti dello Stato civile il Sindaco agisce come organo periferico della Amministrazione statale, dalla quale dipende ed alla quale sono pertanto imputabili gli atti da lui compiuti nella predetta veste, è pur vero che si tratta di “un’attività amministrativa funzionale ad assicurare il regolare svolgimento del servizio e l’unità d’indirizzo nell’interpretazione di disposizioni dalla cui applicazione discendono effetti determinanti per la tutela dei diritti sia personali che patrimoniali”. Si tratta, essenzialmente, di un’attività amministrativa vincolata nell’interesse individuale nello svolgimento della quale l’amministrazione statale non agisce in qualità di parte, non dovendo coordinare l’interesse individuale con alcun interesse pubblico, essendo invece tenuta a garantire che le disposizioni di legge, relative alla tenuta dei pubblici registri, vengano correttamente e uniformemente applicate nell’ordinamento, garantendo la funzione strettamente pubblicitaria dei registri dello Stato civile (si veda su tali aspetti Corte di Cassazione n. 12193/2019). Ciò non toglie, tuttavia, che nel caso concreto l’amministrazione statale possa essere titolare di un autonomo e attuale interesse, tale da legittimare l’intervento nel giudizio di rettificazione degli atti dello Stato civile, da altri regolarmente instaurato. Appare corretto quindi affermare, in conformità con l’insegnamento della Corte di Cassazione da ultimo richiamato, che le amministrazioni ricorrenti siano quantomeno titolari del potere di intervenire nel presente procedimento e, in questo senso, devono essere qualificate le domande da esse proposte in causa. Ciò in quanto il Pubblico Ministero, titolare della legittimazione attiva ex lege, si è costituito in giudizio proponendo, a sua volta, la domanda di rettifica dell’atto dello Stato civile e quindi riproponendo alla cogni-
612
zione del Tribunale l’intera vicenda fattuale già oggetto dell’atto introduttivo del Ministero degli Interni e della Prefettura di Cagliari. Ne consegue che a fronte della domanda di rettifica dell’atto dello Stato civile, proposta dal Pubblico Ministero, soggetto titolare della legittimazione attiva ad introdurre il presente giudizio, il Tribunale può giungere ad una pronuncia sul merito della causa, con riferimento alle domande di quest’ultimo e in ordine a quanto affermato in giudizio dalle amministrazioni titolari del potere di intervento. Ciò posto, il Tribunale osserva come oggetto del presente giudizio sia l’accertamento della corrispondenza tra quanto risulta dall’atto dello Stato civile del Comune di Cagliari, nel quale è stata inclusa (omissis) quale genitore di (omissis) e la realtà fattuale quale è alla luce della applicazione della legge che la disciplina. In questa logica, deve essere verificato se il dato positivo vigente, come interpretato dal diritto vivente, consente di affermare che dal consenso prestato ad un progetto di genitorialità condivisa da parte di una coppia di donne sentimentalmente legate, e quindi dalla consapevole assunzione della responsabilità procreativa da parte di entrambe, derivi comunque l’applicabilità del complesso di norme che la legge n. 40/2004 pone a tutela del nato, inclusa l’instaurazione del rapporto di filiazione con entrambi i genitori di intenzione, nonostante la violazione delle norme che regolano i requisiti soggettivi di accesso alla PMA. Ebbene, si tratta di una fattispecie che è stata recentemente esaminata da vari giudici di merito ed efficacemente analizzata, sotto il profilo del dato normativo rilevante, da parte della Corte d’Appello di Trento con il decreto del 16 gennaio 2020; la chiarezza di tale analisi rende opportuno riproporla nell’odierno provvedimento al fine di individuare la disciplina in tema di filiazione applicabile al minore nato in Italia da fecondazione eterologa praticata all’estero nell’ambito di una
Giada Pipere
coppia omosessuale, ricostruendo quindi il dato normativo applicabile alla realtà fattuale considerata nell’atto di nascita oggetto del presente giudizio. Procedendo in tal senso, così si legge nel provvedimento della Corte d’Appello di Trento: “Va premesso che il nostro ordinamento non prevede un modello di genitorialità fondato esclusivamente sul legame biologico tra il genitore e il nato. L’evoluzione scientifico-tecnologica e l’evoluzione dei costumi e della cultura comporta oggi la possibilità di riconoscere tre diversi tipi di genitorialità (e quindi di costituzione dello status filiationis): quella da procreazione naturale, quella da adozione legittimante (ex lege n. 184/1983) e quella da procreazione medicalmente assistita (di seguito PMA, legge 40’2004). Solo la prima è fondata sul dato biologico-genetico, mentre nelle altre due, definite come forme di genitorialità sociale e affettiva, prevale l’aspetto volontaristico, ferma l’identità di status ex art. 315 c.c. Senza dubbio la filiazione giuridica non coincide con la discendenza o l’appartenenza genetica: tanto si ricava dall’art. 30, comma 4, Cost. (le norme di rango primario fissano i limiti alla ricerca della paternità con disposizioni tipiche e di stretta interpretazione, ispirate alla salvaguardia dei diritti fondamentali, cfr. Corte Cost. n. 70/1965); dal diritto riconosciuto alla madre di evitare l’attribuzione dello status mediante la scelta di non indicazione della maternità nell’atto di nascita (art. 30, comma primo, D.P.R. n. 396 2000 che introduce il cd. “parto in anonimato”), con scissione ex lege della genitorialità naturale da quella giuridica; dalla previsione di termini decadenziali, tranne che per il minore, all’esperimento delle azioni ablative (artt. 241 e 263 c.c. novellati nel 2013). Con la legge n. 40/2004 è stata introdotta in Italia la prima regolamentazione organica della procreazione medicalmente assistita, il cui fulcro
risiede, in particolare, negli artt. 6,8 e 9 secondo i quali il nato da PMA (omologa o eterologa) ha lo stato di figlio (nato nel matrimonio o fuori da esso) della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime. In capo di PMA eterologa (prima vietata in modo assoluto e a seguito della sentenza Corte Cost. n. 162/2014, consentita per la coppia cui sia stata diagnosticata sterilità o infertilità assolute e irreversibili) il coniuge o il convivente che ha dato il suo consenso alla pratica non può disconoscere il figlio o esercitare l’impugnativa per difetto di veridicità e la madre non può esercitare la facoltà di non essere nominata nell’atto di nascita; il donatore di gameti non acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato, non può far valere nei suoi confronti alcun diritto, né essere titolare di obblighi (art. 9 legge n. 40/2004). Quindi la previsione dell’unicità di status, di cui all’art. 8 della legge n. 40/2004, e il rilievo della filiazione intenzionale, espresso dall’art. 9, evidenziano l’insussistenza della coincidenza tra verità biologica e verità legale e determinano il sorgere di tutele nei confronti del nato, non solo in relazione ai “…doveri previsti per la sua formazione, in particolare dagli artt. 30 e 31 della Costituzione, ma ancor prima, in base all’art. 2 Cost., ai suoi diritti nei confronti di chi sia liberamente impegnato ad accoglierlo, assumendone le relative responsabilità...”. Nell’attuale ordinamento positivo esistente una genitorialità biologica di chi fornisce i gameti maschili o femminili e una genitorialità affettiva e psicologica di chi in primis ha accettato di essere genitore di un bambino (già nato, come nel caso dell’adozione) di crescerlo, educarlo, mantenerlo, istruirlo, assumendo il processo mentale e affettivo dell’essere genitori. La disciplina della pratica della nascita a seguito di fecondazione assistita è un sistema diverso e autonomo rispetto al modello previsto dal codice civile (cfr. sent. Corte di Cassazione
613
Giurisprudenza
n. 13000/2019) e regola un rapporto familiare
L’art. 8 della legge citata prevede, senza ulte-
nuovo per la sua genesi rispetto al concetto tra-
riori distinzioni o limitazioni, che “i nati a seguito
dizionale di famiglia, prevedendo il rilievo del
dell’applicazione delle tecniche di procreazio-
consenso validamente prestato in un progetto di
ne medicalmente assistita hanno lo stato di figli
genitorialità condivisa come momento centrale,
legittimi o di figli riconosciuti della coppia che
distintivo e caratterizzante il riconoscimento del-
ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche
lo status di figlio del nato (art. 6 della legge).
medesime ai sensi dell’art. 6”. Deve ritenersi or-
Invero, la Corte di legittimità ha ripetutamente
mai pacifico che nel nostro ordinamento anche
affermato la necessità di tutelare il diritto fonda-
le unioni omosessuali rientrano nella nozione di
mentale del nato alla conservazione dello status
coppia, da intendersi come una formazione so-
filiationis legittimamente acquisito all’estero nei
ciale protetta ai sensi dell’art. 2 Cost.
confronti della madre genetica e alla continuità dei rapporti affettivi “diritto insito nel sistema”, tanto che, come ricorda la stessa Cassazione, il legislatore “di ciò ben consapevole ha previsto che, in caso di ricorso a tecniche (allora vietate) di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo il coniuge o convivente consenziente non possa esercitare l’azione di disconoscimento della paternità, nè impugnare il riconoscimento per difetto di veridicità (cfr. Corte di Cassazione sent. n. 19599/20162). Dunque, compresa l’ipotesi di ricorso a una tecnica vietata (fecondazione eterologa, art. 9), la legge n, 40 2004 ha comunque voluto garantire l’esistenza del rapporto di filiazione ed evitare qualsiasi rilievo giuridico al rapporto con il donatore, qualsiasi interferenza, conferendo al nato una tutela addirittura più forte di quella as-
A questo punto, è necessario verificare se nel sistema normativo vigente si possano evincere principi di ordine pubblico che ostino al riconoscimento dello status di figlio al nato in Italia da tecniche di fecondazione eterologa nell’ambito di un progetto genitoriale riferito a coppia omosessuale. Come osservato dalla giurisprudenza di merito, “la chiave di lettura è fornita dati l’art. 8 della legge n. 40 che assurge a criterio di soluzione del conflitto tra l’esigenza di garantire stabilità e certezza dello status dell’individuo procreato e la previsione di divieti e la comminazione di sanzioni in capo ai titolari delle altre posizioni giuridiche coinvolte (protagonisti del progetto genitoriale, terzi partecipi all’atto procreativo in via genetica o in via di contributo professionale)”. La norma, infatti, secondo la Corte di Cassazione (sentenza n. 13000/2019) esprime l’assoluta cen-
sicurata all’interno della famiglia, come discipli-
tralità del consenso come fattore determinante la
nata dal c.c.(...). Alle conclusioni sopra esposte
genitorialità in relazione ai nati a seguito dell’ap-
in punto di status nessun rilievo contrario può
plicazione delle tecniche di PMA. La norma non
derivare dalla condizione giuridica della coppia:
contiene alcun richiamo ai suoi precedenti artt. 4
l’art. 5 della legge n. 40/2004 consente l’acces-
e 5, con i quali si definiscono i confini soggettivi
so alla PMA non soltanto alle coppie coniugate,
dell’accesso alla PMA, così dimostrando una si-
ma anche alle coppie solo conviventi. La man-
cura preminenza della tutela del nascituro, sotto
canza nella nozione normativa di conviventi di
il profilo del conseguimento della certezza dello
qualsivoglia indicazione in ordine al genere dei
status filiationis, rispetto all’interesse, pure perse-
componenti depone a favore della possibilità di
guito dal legislatore, di regolare rigidamente l’ac-
considerare ricomprese nella medesima anche le
cesso a tale diversa modalità procreativa. Questo
coppie stesso sesso.
si evince anche dalla considerazione che l’art. 8 è
614
Giada Pipere
collocato nel Capo III della legge n. 40 in modo autonomo da un punto di vista sistematico e appresta tutela al figlio senza alcun richiamo né alle norme sui divieti, espressi dall’art. 5, né agli effetti della violazione di essi (ivi compresa, quindi la violazione della prescrizione dell’eterosessualità della coppia), in una prospettiva di salvaguardia dei diritti del concepito e del futuro nato, indipendentemente dalle condizioni di accesso alle pratiche considerate: tale previsione esprime un principio fondamentale e generale, rispetto al quale le altre disposizioni cedono il passo. Del resto, “stabilire un rapporto necessario tra interesse del minore alla conservazione dello status e modalità della procreazione significherebbe sovrapporre acriticamente all’interesse del minore il mero disfavore dell’ordinamento verso talune tecniche o pratiche di PMA” realizzando all’evidenza un’operazione contrastante con il best interest of the child, cioè alla stabilità dello status acquisito con la nascita, anche se non corrispondente alla verità biologica. Nel lavoro interpretativo, teso a realizzare il miglior bilanciamento degli interessi convergenti e confliggenti, anche questa Corte deve illuminare e conformare le proprie valutazioni in modo da attribuire preminenza all’interesse dell’incolpevole nato, operazione metodologica imposta sia dalle fonti sovranazionali (art. 23 del Regolamento CE 2201/2003; Convenzione sui diritti dei fanciulli del 25 gennaio 1996; art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000) sia dall’ordinamento interno. In questo, l’interesse morale e materiale del minore (la cui tutela è già implicita nell’art. 30 Così., comma primo, sul diritto dovere dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli) ha assunto carattere di piena centralità dopo la riforma attuata con la legge 19 maggio 1975, n. 151, la disciplina dell’adozione e l’affidamento dei figli minori, come modificata dalla legge 28 marzo 2001, n. 149, novelle normative che hanno intro-
dotto forme di tutela dei diritti del minore sempre più incisive. Il riconoscimento e la tutela del preminente interesse del minore traspaiono anche dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale che, nella sentenza n. 205 2015, ricorda: “… la giurisprudenza di questa Corte ha contribuito a definire i multiformi contenuti (...) l’interesse del minore, che trascende le implicazioni meramente biologiche del rapporto con la madre, reclama una tutela efficace di tutte le esigenze connesse a un compiuto e armonico sviluppo della personalità...Proprio per questa nuova pienezza di significato, che trae ispirazione e coerenza dai precetti costituzionali, l’interesse del minore non può patire discriminazioni arbitrarie (...)”. L’insieme delle fonti normative citate, come interpretate anche dalla giurisprudenza internazionale, sanciscono, in tema di rapporti familiari, la prevalenza del diritto del minore ad una relazione di genitorialità certa, come espressamente riconosciuto nell’art. 8, paragrafo primo, della Convenzione di New York sul diritto del fanciullo a presenziare la propria identità, ivi compresa la sua nazionalità, il suo nome e le sue relazioni familiari, così come riconosciute dalla legge, senza ingerenze illegali, oltre ad essere strettamente connesso con il diritto alla vita privata e all’identità non solo fisica, ma anche personale e sociale del minore. L’interesse del figlio, come nel caso in esame, è quello di acquisire rapidamente la stabilità della propria discendenza bi-genitoriale (con il corollario del rapporto di parentela con il ramo della madre intenzionale e tutti i conseguenti diritti ereditari), elemento di primaria rilevanza nella costruzione della propria identità familiare e sociale derivante dall’essere nato nell’ambito di un progetto di genitorialità realizzato mediante PMA effettuata all’estero, come evincibile sia dagli artt. 2 e 30 Cost., secondo i quali il nato ha diritto oltre che di crescere nell’ambito della propria famiglia, anche di avere certezza della propria provenienza (secondo il codice civile biologica,
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secondo la legge 40 fondata sul consenso ad un progetto di genitorialità), rivelandosi tale provenienza come uno degli aspetti in cui si manifesta la sua identità personale. L’ordinamento nazionale già ammette la possibilità di circolazione dello status (in quanto non in violazione dell’ordine pubblico), rispetto alla partner della partoriente priva di legame genetico con il figlio in ipotesi di fecondazione eterologa avvenuta all’estero come riconosciuto dalla Suprema Corte in una decisione riguardante la rettifica, a seguito della modifica apportata dall’ufficiale di Stato civile straniero, dell’atto di nascita di minore formato all’estero e già trascritto (cfr. Cassazione sentenza n. 14878 2017), valorizzando l’attenuazione dell’essenzialità del legame biologico tra il nascituro e gli aspiranti genitori, quale risulta dopo la pronuncia della Corte Costituzionale n. 162/2014 sul divieto di ricorso a tecniche di PMA di tipo eterologo. Con la richiamata pronuncia n. 19599/2016, che ha trovato conferma in altre successive e nessuna pronuncia in dissenso, la Corte di Cassazione ha affermato i seguenti principi di diritto “il riconoscimento e la trascrizione nei registri dello Stato civile in Italia di un atto straniero, validamente formato in Spagna, nel quale risulti la nascita di un figlio da due donne, in particolare da una donna italiana (indicata come madre B) che ha donato l’ovulo a una donna spagnola (indicata come madre A) che l’ha partorito, nell’ambito di un progetto genitoriale realizzato dalla coppia, coniugata in quel paese, non contrastano con l’ordine pubblico per il solo fatto che il legislatore nazionale non preveda o vieti il verificarsi di simili fattispecie sul territorio italiano, dovendosi avere riguardo al principio, di rilevanza costituzionale primaria, dell’interesse superiore del minore, che si sostanzia nel suo diritto alla continuità dello status filiationis, validamente acquisito all’estero (nella specie, in un altro paese della UE)” e ancora che “l’atto di nascita straniero (valido, nella specie, sulla base di
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una legge in vigore in un altro paese della UE) da cui risulti la nascita di un figlio da due madri (per avere l’una donato l’ovulo e l’altra partorito) non contrasta di per sè con l’ordine pubblico per il fatto che la tecnica procreativa utilizzata non sia riconosciuta nell’ordinamento italiano dalla legge n. 40 2004, la quale rappresenta una delle possibili modalità di attuazione del potere regolatorio attribuito al legislatore ordinario su una materia, pur eticamente sensibile e di rilevanza costituzionale, sulla quale le scelte legislative non sono costituzionalmente obbligate”. Anche l’art. 9 della legge n. 40/2004, successivamente all’intervento della Corte Costituzionale con la sentenza n. 162/2014 (che ha dichiarato incostituzionale il divieto assoluto di fecondazione eterologa di cui all’art. 4, comma terzo, legge citata), conferma che per il legislatore ordinario la discendenza genetica non è principio fondante il riconoscimento della genitorialità. La questione della genitorialità delle coppie omosessuali è stata di recente oggetto di nuovo approfondimento dalle SSUU della Suprema Corte (in tema di riconoscimento dell’efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero) che hanno affermato che la compatibilità con l’ordine pubblico, richiesta dalla legge n. 218/1995, art 6 e ss., deve essere valutata alla stregua non sono dei principi fondamentali della nostra Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali, ma anche del modo in cui gli stessi si sono incarnati nella disciplina ordinaria e dei singoli istituti, nonchè dell’interpretazione fornita dalla giurisprudenza costituzionale e ordinari, la cui opera di sintesi e ricomposizione dà forma a quel diritto vivente dal quale non può prescindersi nella ricostruzione della nozione di ordine pubblico, quale insieme dei valori fondanti dell’ordinamento in un determinato momento storico (Cass. civ. SS.UU. sent. n. 12193/2019). Conseguentemente la Corte ha ritenuto che il riconoscimento dell’efficacia del provvedimento giurisdizionale stranie-
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ro con cui sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero mediante il ricorso alla maternità surrogata e il genitore di intenzione munito della cittadinanza italiana, trova ostacolo nel divieto della surrogazione di maternità, previsto dall’art. 12, comma 6, L. n. 40/2004, qualificabile come principio di ordine pubblico, in quanto posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità umana della gestante e l’istituto dell’adozione, valori non irragionevolmente ritenuti prevalenti: il nato “ha il diritto fondamentale che deve essere tutelato, alla conservazione dello status filiationis legittimamente acquisito all’estero... tale interesse è destinato ad affievolirsi in caso di ricorso alla surrogazione di maternità, in cui il divieto nell’ottica fatta propria dal giudice delle leggi viene a configurarsi come l’anello necessario di congiunzione tra la disciplina della PMA e quella generale della filiazione, segnando il limite oltre il quale cessa di agire il principio di autoresponsabilità fondato sul consenso prestato alla predetta pratica e torna ad operare il favor veritatis, che giustifica la prevalenza dell’identità genetica e biologica”. Questo è, tuttavia, l’unico limite finora affermato dal giudice nomofilattico all’operatività del principio preminente di tutela dello status di figlio nato da tecniche di PMA, che in ogni altra ipotesi di violazione delle regole di accesso alle pratiche di fecondazione assistita resta impregiudicato per effetto di chiara scelta legislativa rinvenibile nella formulazione dell’art. 8 e nel sistema sanzionatorio attenuato di cui agli artt. 5 e 12, comma 2 e 8 della stessa legge”. Ebbene, la ricostruzione sistematica fornita dalla Corte d’Appello di Trento, (e. in precedenza, in termini sostanzialmente omogenei anche dalle Corti d’Appello di Firenze del 19/4/2019 e di Perugia del 21/11/2019) appare assolutamente condivisibile ed è intendimento di questo Collegio dare seguito a tale orientamento nella regolazione del caso oggetto del presente giudizio, riconoscendo prevalenza alla tutela dell’interesse
dell’incolpevole nato alla conservazione di uno status già acquisito a seguito della nascita (e del consenso prestato da coloro che hanno fatto ricorso alla PMA), scindendo tale profilo dalla valutazione di liceità o illiceità della tecnica di PMA concretamente utilizzata. Invero, è del tutto convincente l’affermazione per la quale la legge n. 40/2004 ha delineato un nuovo tipo di genitorialità, denominata intenzionale, non più basata sul legame biologico/genetico tra i genitori e il nato (legame peraltro assente anche nella terza forma di genitorialità che l’ordinamento conosce, ossia quella derivante dal ricorso all’istituto dell’adozione), quanto piuttosto sul consenso reso dalle parti che vi si sottopongono e che manifestano la volontà di assumere la responsabilità della procreazione. Si tratta di un’affermazione che di per sè rende non condivisibili le argomentazioni svolte sia dal Pubblico Ministero, sia dal Ministero dell’Interno e dalla Prefettura di Cagliari in ordine all’imprescindibilità del legame biologico tra il nato e colui che intende affermare il suo ruolo di genitore. Da un lato, infatti, tale affermazione non tiene in debito conto le caratteristiche intrinseche della PMA, dato che la stessa può prescindere dal legame genetico con entrambi i componenti della coppia: dall’altro, si pone in contrasto con quanto già affermato anche dalla Corte di Cassazione allorquando, nella pronuncia n. 14878/2017, ha negato rilievo dirimente all’assenza di legame biologico/genetico tra il genitore di intenzione e il nato, al fine di riconoscere effetti nel nostro ordinamento a un atto di nascita, formato all’estero, con l’indicazione di entrambi i membri della coppia (nel caso di specie, due donne) quali genitori del nato. A ben vedere, si tratta di un nuovo modello di genitorialità, disciplinato dal legislatore ordinario compiendo delle valutazioni, in ordine ai requisiti soggettivi di accesso e alle pratiche di PMA che possono essere erogate, che non costituiscono
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una soluzione costituzionalmente obbligata, ma il risultato di una scelta discrezionale sindacabile dalla Corte Costituzionale nei limiti in cui la stessa risulti essere irragionevole o discriminatoria. Nella consapevolezza della delicatezza della tematica, della rilevanza delle valutazioni etiche e sociali dalle quali la stessa è pervasa e delle differenze nella legislazione dei vari Stati dell’Unione Europea, il legislatore italiano ha ritenuto di dover mantenere in ogni caso fermo lo statuto delle garanzie e delle tutele da riconoscere al nato, evitando altresì di sanzionare il ricorso a pratiche di PMA non espressamente consentite, se non tramite sanzioni di tipo amministrativo a carico degli operatori sanitari. Ed in questa logica si spiega la formulazione letteralmente generale e onnicomprensiva dell’art. 8 della legge n. 40/2004 ai sensi del quale i nati a seguito dell’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere a tali tecniche, senza alcun riferimento al necessario rispetto dei requisiti soggettivi o oggettivi di accesso alla PMA. Allo stesso modo, trova una spiegazione la previsione nell’art. 12 della stessa legge per la quale il ricorso alla PMA da parte di coppie di individui dello stesso sesso, quindi in violazione dei requisiti soggettivi di accesso alla PMA, è punito con una sanzione amministrativa pecuniaria applicata agli operatori sanitari che hanno provveduto, ma non è prevista alcuna deroga all’applicazione dell’art. 8 e dell’art. 9, che esclude l’azione di disconoscimento da parte del padre o la richiesta di anonimato da parte della madre. Ne consegue che è proprio alla luce del dato positivo che non si può condividere quanto sostenuto dal Ministero degli Interni e dalla Prefettura di Cagliari in merito al fatto che gli artt. 30 e 43 del D.P.R. n. 396/2000, nel disciplinare la formazione dell’atto di nascita e il riconoscimen-
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to del figlio, presupporrebbero necessariamente la diversità di sesso dei genitori. Infatti, anche tali norme devono essere interpretate in modo sistematico e coerente con il dato positivo sopra analizzato che esclude qualsiasi conseguenza, in ordine all’instaurazione del rapporto di filiazione ai sensi dell’art. 8 della legge n. 40/2004 in ragione della violazione dei requisiti soggettivi di accesso alla PMA, sub specie della diversità di sesso tra i componenti della coppia. Invero, il diritto vivente, elaborato dalla stessa Corte di Cassazione, ha ripetutamente evidenziato la necessità di interpretare il sistema normativo di cui alla legge n. 40/2004 assumendo quale criterio guida la prevalenza dell’interesse del nato alla conservazione dello status filiations, acquisito ai sensi dell’art. 8 della legge 40, anche qualora la fattispecie concreta si ponga in contrasto con le disposizioni della stessa legge in materia di requisiti di accesso alla PMA. Ciò è stato affermato chiaramente in materia di fecondazione eterologa, in data anteriore alla pronuncia della Corte Costituzionale del 2014 che l’ha reintrodotta nel sistema, e di fecondazione post mortem. In questo quadro, l’irrilevanza della violazione dei requisiti soggettivi od oggettivi di accesso alla PMA, rispetto alla prioritaria tutela del preminente interesse dell’incolpevole nato, deve quindi essere estesa anche alla fattispecie analoga in cui la violazione riguarda la mancanza del requisito della diversità di sesso tra i componenti della coppia che hanno fatto ricorso a tali tecniche. Invero, si tratta di una fattispecie concreta speciale rispetto al genere (violazione dei requisiti soggettivi), non suscettibile di un trattamento differenziato (che sarebbe del tutto irragionevole e contrastante, fra le altre cose, con gli artt. 2,3 Cost., 8 e 14 della Cedu) e che, peraltro, lo stesso legislatore ha disciplinato nell’art. 12 della legge n. 40/2004 prevedendo non già una deroga all’instaurazione dello status filiationis in base all’art.
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8 della stessa legge, ma solamente una sanzione amministrativa pecuniaria a carico dell’operatore sanitario. Diversamente opinando, si perverrebbe al risultato paradossale di applicare un trattamento differenziato al minore, nato nell’ambito di una coppia di donne che ha fatto ricorso alla PMA, a seconda che l’evento nascita si sia verificato nel territorio italiano oppure all’estero e sia stata successivamente chiesta la sua trascrizione. Alla luce di tutte le considerazioni sinora svolte, si è individuato il dato normativo di riferimento con il quale accertare se vi sia corrispondenza tra l’atto di nascita, oggetto della domanda di rettifica, e la realtà fattuale di riferimento. Peraltro, l’interpretazione sinora fornita delle norme che dovranno essere utilizzate per fornire una risposta alla domanda di rettifica non appare inficiata da quanto affermato dalla Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 7668/2020. I giudici di legittimità, infatti, si sono pronunciati su una fattispecie analoga, in cui una coppia di donne, che aveva fatto ricorso all’estero alla PMA, ha impugnato il rifiuto dell’Ufficiale dello Stato civile di procedere alla formazione dell’atto di nascita con l’indicazione della madre biologica e della madre intenzionale, la quale aveva dato il proprio consenso alla PMA. La Corte di Cassazione ha ritenuto che la pronuncia della Corte d’Appello di Venezia, che ha rigettato il gravame contro la decisione del Tribunale di Treviso, abbia fatto corretta applicazione del divieto per le coppie formate da persone dello stesso sesso di accedere alla PMA, divieto che si pone in coerenza con l’impianto normativo (cfr. D.P.R. n. 396 del 2000, art. 30, comma 1; D.P.R. 17 luglio 2015, art. 1, comma 1, lett, che ha sostituito l’art. 7, comma 1, lett. a, del D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223) costruito, a giudizio della Corte, in modo tale da far si che soltanto una persona possa essere indicata come madre nell’atto di nascita in virtù di un rapporto di filiazione che
presupporrebbe tuttora il legame biologico e genetico tra i genitori e il nato. Tale impianto normativo, al quale deve conformarsi qualsiasi atto di nascita formatosi all’interno dell’ordinamento, è stato confermato anche dalla Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 221/2019, ha escluso la configurabilità di un diritto alla genitorialità che si estenda sino alla libera scelta del “quomodo’’ della stessa, ossia fino alla possibilità di accedere liberamente alla procreazione basata su metodi diversi da quello naturale. A tale esclusione la Corte Costituzionale è giunta, secondo i giudici di legittimità, evidenziando come la PMA sia stata configurata dal legislatore ordinario quale strumento per far fronte a una patologica e altrimenti non superabile infertilità o sterilità umana, con la previsione di limitazioni di ordine soggettivo per accedervi, finalizzata a garantire che chi fa ricorso alla PMA riproduca poi il modello di famiglia caratterizzato dalla presenza di una madre e di un padre. Nè tali conclusioni, a giudizio della Corte di legittimità, possono essere inficiate dai precedenti con i quali la stessa Corte di Cassazione ha consentito l’adozione di minori da parte di coppie omosessuali (cfr. Cass. n. 12962 del 2016) e la trascrizione in Italia di atti di nascita formati all’estero con l’indicazione del rapporto di filiazione nei confronti di due donne (cfr. Cass. n. 19599 del 2016, n. 14878 del 2017). Ciò in quanto la PMA è finalizzata a generare un figlio non ancora venuto ad esistenza, obiettivo rispetto al quale il legislatore ha posto limitazioni non costituzionalmente illegittime; l’adozione, invece, è volta a dare una famiglia ad un minore che ne è formalmente privo e rispetto al quale emerge l’esigenza di tutelare le relazione affettive già instaurate, mentre il riconoscimento in Italia di atti stranieri dichiarativi del rapporto di filiazione da due donne dello stesso sesso può essere ammesso perché da valutare con il diverso
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parametro rappresentato dall’assenza di contrasto con norme di ordine pubblico. Ebbene, a fronte di tale pronuncia della Corte di Cassazione, è convincimento di questo Tribunale che il dialogo tra giudici di merito e di legittimità debba proseguire e non già arrestarsi. Invero, l’attuale epoca è stata efficacemente definita della postmodernità giuridica, caratterizzata dalla elasticità e fattualità, in cui primeggia la figura dell’interprete costantemente chiamato a raffrontare il piano mutevole dei fatti che gli vengono sottoposti con gli esiti dell’attività interpretativa cui si è giunti, dando vita ad una discussione corale e in costante divenire in cui si deve dare una piena risposta ad ogni esigenza di tutela, non arrestando la propria attività ermeneutica prima che la stessa arrivi ad un approdo sufficientemente saldo. In questa logica, si condivide l’opinione per la quale la nomofilachia deve essere intesa non come un valore assoluto, ma metodologico, che non è funzionale alla mera conservazione di un orientamento giurisprudenziale, ma al raggiungimento di un esito interpretativo che sia in grado di rispondere pienamente, ma per necessità in via solamente provvisoria, ad ogni mutevole esigenza emergente dalla prassi, in modo coerente e ordinato rispetto a tutti i dati interpretativi che possono essere tratti dal sistema e dal diritto vivente. Ed è proprio nel rispetto della funzione nomofilattica della Corte di Cassazione che questo Tribunale ritiene di dover svolgere un ragionamento ulteriore, anche a seguito della pronuncia da ultimo esaminata, al fine di sollecitare una prosecuzione del dibattito tra gli interpreti che possa permettere di arrivare ad un approdo solido, idoneo a dare una risposta alle diverse sollecitazioni già emerse nella presente materia (si pensi alle plurime pronunce dei giudici di merito che, con un’ampia e condivisibile ricostruzione del dato normativo, si sono orientati in senso diametralmente opposto), e che riporti a coerenza il
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diritto vivente espresso dalla stessa giurisprudenza di legittimità. Ma procedendo, prima di tutto, ad un’analisi dell’argomentazione utilizzata dalla Corte, questo Tribunale ritiene che pur essendo stato riproposto il nucleo centrale del ragionamento della Corte Costituzionale, che ha escluso l’illegittimità costituzionale del divieto di accesso alla PMA da parte di coppie di individui dello stesso sesso, ciò che deve essere esaminato non è già la ragionevolezza di tale divieto, cogente nel sistema, quanto piuttosto quale tutela debba riconoscersi a colui che è nato nell’ambito di una coppia che abbia fatto ricorso alla PMA, con un progetto di genitorialità condivisa, in una fattispecie vietata dall’ordinamento in quanto carente dei requisiti di cui agli artt. 4 e ss. della legge n. 40/2004. D’altra parte, ciò di cui si discute è l’ammissibilità di un atto di riconoscimento che rechi l’indicazione di due madri, atto che per quanto formato con la dichiarazione del genitore (biologico o intenzionale, come nel caso di specie) non svolge la sua primaria funzione in ordine all’affermazione di un diritto fondamentale alla genitorialità quanto, piuttosto, è diretto a garantire in favore del nato l’instaurazione del rapporto di filiazione, in uno con la piena consapevolezza da parte di quest’ultimo della propria identità e dell’ambito familiare e parentale di riferimento. Conseguentemente, è il concreto interesse del minore o “best interest of child” della normativa sovranazionale (si vedano l’art. 23 del Regolamento CE 2201/2003, la Convenzione sui diritti del fanciullo di New York del 20 novembre 1989, la Convenzione Europea sui diritti dei fanciulli del 25/1/1996 e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea) a dover essere considerato il criterio guida in ogni decisione che lo riguarda, che può essere contemperato soltanto con interessi di analogo rilievo. Sul punto, sono state le stesse Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, con la pronuncia
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n. 12193/2019, ad affermare che il principio di prevalenza dell’interesse del minore può diventare recessivo soltanto a fronte di diritti altrettanto fondamentali individuati come inderogabili dal legislatore o ricostruibili come tali dall’interprete: nel caso esaminato nella pronuncia citata, la Corte di Cassazione ha individuato nella violazione del divieto di maternità surrogata, assistito da sanzionale penale, e posto a presidio della dignità umana, l’unico limite alla prevalenza dell’interesse del nato alla conservazione dello status filiationis già acquisito, con la conseguenza che deve essere esclusa la possibilità di trascrivere in Italia un atto di nascita redatto all’estero e che rechi l’indicazione, quali genitori, di coloro che hanno fatto ricorso alla maternità surrogata. In un simile caso, infatti, l’interesse del minore alla conservazione dello status filiationis, acquisito all’estero, non può prevalere sull’interesse, anche pubblico, all’affermazione della verità biologica, a causa del disvalore attribuito dall’ordinamento alla fattispecie di maternità surrogata. Il divieto di maternità surrogata, pertanto, è stato individuato dalle stesse Sezioni Unite citate come “l’anello necessario di congiunzione tra la disciplina della procreazione medicalmente assistita e quella generale della filiazione, segnando il limite oltre il quale cessa di agire il principio di autoresponsabilità fondato sul consenso prestato alla predetta pratica, e torna ad operare il favor veritatis, che giustifica la prevalenza dell’identità genetica e biologica” (si veda Corte di Cassazione n. 12193/2019), con la necessaria conseguenza che al di fuori di tale limitata ipotesi, deve tornare ad operare il principio di prevalenza dell’interesse del nato alla conservazione di uno status filiationis già acquisito con l’evento nascita e formalizzato, nel caso sottoposto a questo Tribunale, nell’atto formato dall’Ufficiale dello Stato civile del Comune di Cagliari. Si tratta di un interesse volto a garantire la certezza del nato in ordine alla propria discendenza
bi-genitoriale nell’ambito di un progetto di genitorialità condivisa in cui, in assenza del consenso di entrambi i soggetti indicati nell’atto di nascita, egli non sarebbe potuto nascere: tale certezza, a sua volta, determina l’istaurazione di rapporti parentali, di diritti ereditari e costituisce l’elemento primario nella costruzione dell’identità familiare e sociale del nato. Si è pertanto arrivati a delineare un primo profilo di criticità nella sentenza n. 7668/2020 della Corte di Cassazione. Infatti, nel ragionamento svolto dai giudici di legittimità, la tutela dell’interesse del nato alla conservazione di uno status già acquisito non sembra avere trovato adeguato spazio, né è emersa una sua comparazione con interessi fondamentali di analogo rilievo, carenza riscontrabile peraltro anche nelle argomentazioni svolte dal Pubblico Ministero nel presente giudizio. Ciò in evidente distonia con quanto affermato dalle Sezioni Unite Civili della stessa Corte di Cassazione nella sentenza che si è lungamente esaminata che, in maniera condivisibile, ha delineato il percorso che l’interprete è tenuto a seguire nella difficile individuazione dei parametri normativi di riferimento nell’esame di casi analoghi a quello oggetto del presente giudizio. Ma, a ben vedere, è la stessa Corte Costituzionale, nella pronuncia n. 221/2019, ad avere scolpito tale principio guida, nella parte in cui ha affermato che il divieto di accesso alla PMA per coppie di individui dello stesso sesso non si pone in contrasto con la possibilità di ricorrere all’adozione o alla trascrizione dell’atto formato all’estero dopo la nascita: ciò in quanto se prima della nascita, il legislatore può discrezionalmente limitare l’accesso alla PMA, da intendersi quale tecnica per porre rimedio a una infertilità patologica nell’ambito della conservazione di un modello di famiglia ritenuto preferibile, una volta che la nascita si è verificata, deve essere tutelato
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l’interesse del nato alla conservazione e al consolidamento delle relazioni familiari già instaurate. Emerge, quindi, all’evidenza nella progressione del ragionamento decisorio seguito dal Giudice delle Leggi, una comparazione ed un bilanciamento tra due interessi di rango primario, all’esito del quale viene specificato in quali termini e con quali limiti trova prevalente tutela quello “dell’incolpevole nato”, ossia quello del figlio di acquisire la stabilità della propria discendenza bigenitoriale. Se quanto finora affermato è corretto, allora appare doveroso mutare la prospettiva di analisi rispetto a quella assunta da ultimo dalla Corte di Cassazione e analizzare la fattispecie concreta non già alla sola luce del divieto di accesso alla PMA da parte di coppie di individui dello stesso sesso, quanto piuttosto nell’ottica del bilanciamento di tale primo parametro con quello dell’interesse del minore alla conservazione di uno status filiationis già acquisito. In tale prospettiva, si ritiene che la tutela del nato non possa subire compromissioni derivanti dalla valutazione di illiceità o illegittimità in Italia della tecnica di PMA alla quale la coppia di genitori ha fatto ricorso all’estero. Su questo aspetto, si ha il conforto di quanto già affermato sia dalla Corte di Cassazione, sia dalla Corte Costituzionale. Giova, sul punto, riportare un passaggio particolarmente significativo della pronuncia n. 13000/2019 della Corte di Cassazione, avente ad oggetto un’ipotesi di fecondazione assistita post mortem, non consentita dalla legge n. 40/2004 e realizzata al di fuori dei confini nazionali. Nella pronuncia citata, i giudici di legittimità hanno affermato che «qualsivoglia considerazione riguardante la valutazione in termini di illiceità illegittimità, in Italia, della tecnica di P.M.A. in precedenza specificamente richiamata, oltre che, eventualmente, delle condotte di coloro che ne consentono l’accesso o l’applicazione, non po-
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trebbe certamente riflettersi, in negativo, sul nato e sull’intero complesso dei diritti a lui riconoscibili. In altre parole, la circostanza che si sia fatto ricorso all’estero a P.M.A. non espressamente disciplinata (o addirittura non consentita) nel nostro ordinamento non esclude, ma anzi impone, nel preminente interesse dal nato, l’applicazione di tutte le disposizioni che riguardano lo stato del figlio venuto al mondo all’esito di tale percorso, come, peraltro, affermato, con chiarezza, della Corte EDU nelle due sentenze “gemelle” Mennesson c. Francia (26 giugno 2014, ric. n. 65192/11) e Labassee e. Francia (26 giugno 2014, rie. n. 65941/11), oltre che sancito anche dalla Corte Costituzionale fin dalla sentenza n. 347 del 1998, che (ancor prima del sopravvenire della L. n. 40 del 2004) sottolineò la necessità di distinguere tra la disciplina di accesso alle tecniche di P.M.A. e la doverosa, e preminente, tutela giuridica del nato, significativamente collegata alla dignità dello stesso. Già in quella sede ci si preoccupò “... di tutelare anche la persona nata a seguito di fecondazione assistita, venendo inevitabilmente in gioco plurime esigenze costituzionali. Preminenti in proposito sono le garanzie per il nuovo nato (...), non solo in relazione ai diritti e ai doveri previsti per la sua formazione, in particolare dagli artt. 30 e 31 Cost., ma ancor prima – in base all’art. 2 Cost. – ai suoi diritti nei confronti di chi si sia liberamente impegnato ad accoglierlo assumendone le relative responsabilità: diritti che è compito del legislatore specificare...” (cfr: C. Cost. n. 347 del 1998)». Si tratta di un’impostazione ravvisabile anche nella giurisprudenza costituzionale, se solo si considera che nella pronuncia n. 162/2014 la Consulta ha chiaramente affermato l’applicabilità delle norme a tutela del nato (e, segnatamente, dell’art. 8 della 1. n. 40/2004 che gli attribuisce lo status di figlio della coppia che ha fatto ricorso alla PMA e delle norme che escludono l’azione di disconoscimento o la richiesta materna di ano-
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nimato) anche a coloro che sono nati da PMA di tipo eterologo, allorquando, si badi, tale pratica era all’epoca vietata. E ciò in ragione, innanzitutto, della formulazione letterale dell’art. 8 della legge n. 40/2004, norma che il legislatore ha reso applicabile ai “nati a seguito dell’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita”, con una dizione generale senza alcuna distinzione relativamente alla species di tecnica utilizzata. Appare quindi nuovamente evidente la distonia tra la pronuncia n. 7668/2020 della Corte di Cassazione e il quadro interpretativo a poco a poco ricostruito, con la conseguente necessità di sollecitare ancora un ampliamento del percorso interpretativo prima di ritenere che sia stato effettivamente raggiunto un saldo e coerente approdo ermeneutico da parte della giurisprudenza di legittimità. Alla stregua delle criticità sopra evidenziate nell’argomentazione della recente sentenza della Corte di Cassazione n. 7668 del 2020 ed alla ricostruzione complessiva dell’istituto fondato sia su dati normativi nazionali che sovranazionali, sia sulla loro interpretazione resa nei precedenti (a detta sentenza) della stessa Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale, è convincimento di questo Tribunale che permangano spazi ermeneutici per dare seguito all’orientamento interpretativo già diffuso nelle Corti di merito (si vedano le già citate pronunce delle Corti d’Appello di Firenze del 19/4/2019, di Perugia del 21/11/2019 e di Trento del 16/1/2020), applicandolo per la decisione sulla domanda di rettifica dell’atto dello Stato civile formulata dal Pubblico Ministero e dalle amministrazioni presenti in causa. Sul punto, si ricorda che il giudizio di rettifica attiene alla corrispondenza tra il fatto, quale è nella realtà (o quale dovrebbe essere nell’esatta applicazione della legge) e quale risulta dall’atto dello Stato civile. In linea generale, si osserva che le dichiarazioni rese dinanzi all’Ufficiale del-
lo Stato civile hanno la funzione di dare pubblica notizia di certi eventi (si pensi alla nascita o alla morte di un individuo) oppure può trattarsi di dichiarazioni che sono autonomamente idonee a produrre effetti. Tra queste ultime deve essere ricompresa la dichiarazione di riconoscimento della filiazione nata fuori del matrimonio, a fronte della quale l’Ufficiale dovrà rifiutarsi di riceverla se in contrasto con l’ordinamento o con l’ordine pubblico. Ne consegue che, alla luce di quanto finora esposto in ordine all’attuale assetto ordinamentale, l’operato dell’Ufficiale dello Stato civile del Comune di Cagliari deve essere considerato corretto: consentendo alla inclusione nell’atto di nascita di (omissis) di un secondo genitore di sesso femminile non ha determinato alcuna discrasia tra il fatto indicato nell’atto e la realtà fattuale, in base alla legge alla stessa applicabile. Come già detto, infatti, la legge n. 40/2004, come interpretata dal diritto vivente, consente di individuare anche (omissis) quale genitore intenzionale del minore, in ragione del consenso dalla medesima prestata al progetto di genitorialità condiviso, alla consapevole assunzione della responsabilità procreativa e alla applicabilità del complesso di norme che la stessa legge pone a tutela del nato anche nell’ipotesi, come quella in esame, di violazione dei requisiti di accesso alla PMA. In questa prospettiva, vi è piena corrispondenza tra quanto risulta dall’atto dello Stato civile e la realtà fattuale, quale è alla luce della applicazione della legge che la disciplina. Pertanto, devono essere rigettate le domande di rettifica formulate dal Pubblico Ministero, dal Ministero degli Interni e dalla Prefettura di Cagliari. La novità delle problematiche trattate giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese di lite. P.Q.M.
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Il Tribunale, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione: 1. rigetta il ricorso del Pubblico Ministero e le domande proposte dal Ministero degli Interni e dalla Prefettura di Cagliari;
2. compensa integralmente le spese di lite. Così deciso in Cagliari, nella camera di consiglio della Sezione Civile del Tribunale, in data 31/3/2020.
Procreazione assistita eterologa e omogenitorialità: le Corti di merito a presidio del superiore interesse del minore Sommario :
1. Il caso. Trib. Cagliari, sez. I, decreto 28 aprile 2020, n. 1146. – 2. La legittimazione ad agire. – 3. Le Corti di merito a presidio del best interest of the child. – 4. Il ruolo del giudice in relazione al drammatico dilemma dell’omogenitorialità.
The Author provides a comment on the decree issued by the ordinary Court of Cagliari on April 28th 2020, n. 1146 with which is dismissing the applications for rectification, proposed by the Ministry of the Interior, the Prefecture and the Prosecutor, as the work of the Civil Status Officer of Cagliari who allowed the drawing up of the birth certificate of a child, born in Italy following PMA abroad, with same-sex parents indication, has been considered as satisfactory.
1. Il caso. Trib. Cagliari, sez. I, decreto 28 aprile 2020, n. 1146.
Il provvedimento in esame – discostandosi dall’atteggiamento di chiusura recentemente assunto della giurisprudenza di legittimità1 – ha considerato corretto l’operato dell’Ufficiale
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Cass. civ, sez. I, 3 aprile 2020, n. 7668, in Dejure.
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dello Stato Civile che ha consentito l’inclusione nell’atto di nascita del minore, già riconosciuto dalla madre partoriente, di un secondo genitore di sesso femminile (cd. genitore d’intenzione). In estrema sintesi, la questione riguarda un giudizio instaurato dal Ministero dell’Interno e dalla Prefettura teso ad ottenere la rettificazione dell’atto dell’Ufficiale dello Stato Civile con il quale è stata ricevuta e annotata la dichiarazione mediante la quale una delle convenute ha riconosciuto come proprio figlio naturale il minore, nato in Italia a seguito di procreazione medicalmente assistita (p.m.a.) eseguita all’estero, frutto di un progetto di genitorialità condivisa con la compagna dello stesso sesso (cd. madre partoriente). Nel convenire in giudizio le due donne ed il Comune, le Amministrazioni ricorrenti ponevano a fondamento della propria istanza l’esigenza di presidiare l’ordine pubblico e l’uniformità nell’accertamento della genitorialità, resasi necessaria – sempre a parere delle ricorrenti – a seguito dell’inosservanza da parte dell’Ufficiale dello Stato Civile degli artt. 30 e 43 del DPR n. 396/2000. Si costituivano in giudizio, pertanto, sia il Comune sia le due donne. Il Comune, pur rimettendosi alla valutazione del Tribunale in ordine alla legittimità del proprio operato, evidenziava di aver disposto l’annotazione del riconoscimento del minore da parte della cd. madre di intenzione in ragione del prevalente orientamento formatosi nella giurisprudenza di merito, nonché sulla scorta di quanto previsto dalla L. 40/2004 sulla p.m.a. in punto di attribuzione al nato a seguito di tali tecniche dello status di figlio di entrambi i membri della coppia. Le due donne, invece, oltre ad eccepire in via preliminare l’inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione attiva delle Amministrazioni ricorrenti, domandavano in via subordinata il rigetto del ricorso avversario poiché infondato in fatto e in diritto. Le resistenti, richiamando quell’Autorevole giurisprudenza di merito che ha riconosciuto la legittimità dell’atto di nascita recante l’indicazione di due genitori del medesimo sesso, sostenevano l’applicabilità degli artt. 8 e 9 della L. 40/2004 nonché il principio volontaristico e di responsabilità procreativa insiti nella disciplina del consenso informato, ritenendoli prevalenti sul dato fattuale. Si costituiva, infine, il Pubblico Ministero domandando, in via preliminare, il riconoscimento della piena legittimazione ad agire dei ricorrenti e, in via principale, l’accoglimento del ricorso. Il Tribunale di Cagliari, a seguito di una decisiva ricostruzione del dato normativo applicabile, ha rigettato le istanze di rettifica formulate dal Pubblico Ministero, dal Ministro degli Interni e dalla Prefettura e individuato la resistente quale genitore intenzionale del minore, in virtù della responsabilità procreativa assunta dalla medesima attraverso il consenso prestato alle tecniche in questione.
2. La legittimazione ad agire. Come di consueto nel contesto di tali giudizi, anche nell’esaminando provvedimento il preludio dell’iter motivazionale viene dedicato alla questione – di particolare importanza – legata ai distinti profili della legittimazione e dei poteri del Pubblico Ministero e del Mi-
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nistero dell’Interno2. Nel qualificare, più propriamente, le domande delle Amministrazioni quali istanze dirette all’ottenimento della rettifica dell’atto dell’Ufficiale dello Stato Civile ai sensi degli artt. 95 e 96 del DPR n. 396/2000, il Tribunale di Cagliari conferisce risposta, in via preliminare, alle impegnative e delicate questioni emerse in tema di legittimazione ad agire3. Senza alcuna pretesa di esaminare nel dettaglio l’evoluzione giurisprudenziale dalla quale è conseguito l’ampliamento della platea di soggetti legittimati a partecipare al giudizio in questione, cercheremo di ripercorrere, nell’economia delle presenti riflessioni, gli snodi essenziali che hanno condotto il Tribunale a riconoscere alle ricorrenti Amministrazioni la titolarità del potere di intervento nel procedimento e a qualificare in tale senso le domande da esse proposte. Come ribadito nell’esaminando provvedimento, il fine ultimo dell’azione di rettificazione è quello di accertare che sul registro dello stato civile figuri «una storia diversa dalla storia vera»4, una discrasia tra quanto attestato nel registro di stato civile e la realtà materiale5 qual è o dovrebbe essere secondo la previsione di legge, per giungere, se così fosse, ad espungerla6. Sulla base dell’implicito presupposto che gli adempimenti degli Uffici dello Stato Civile siano atti dovuti nell’interesse di colui che li richiede, il procedimento in questione consente a quest’ultimo di agire in giudizio qualora la formazione di tali atti vadano a tangere la situazione di diritto soggettivo all’atto stesso correlata7. Benché la generale formulazione dell’art. 95 del testo normativo in questione abbia permesso, in varie occasioni, di ritenere quali legittimati passivi anche soggetti diversi dai titolari del diritto leso (come familiari)8, tuttavia, per quanto attiene ai soggetti pubblici, la giurisprudenza9 ha per lungo tempo ristretto tale legittimazione esclusivamente all’Ufficio di Procura10, il quale – titolare della legittimazione attiva ex lege a tutela degli interessi sovraindividuali – può promuovere il procedimento in ogni tempo (art. 95 co. 2). Recentemente, tuttavia, l’atteggiamento della giurisprudenza non pare più rispondere al succitato orientamento. Specie le recenti pronunce di merito11, come nel caso di quella
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S. Izzo, «From status to contract»: la trascrizione dei provvedimenti stranieri dichiarativi dello status del figlio d’intenzione, in GenIUS, 2019, II, 58. 3 U. Salanitro, Ordine pubblico internazionale, filiazione omosessuale e surrogazione di maternità, in Nuova giur. civ. comm., 2019, 4, 738. 4 F. Carnelutti, Rettificazione del sesso, in Riv. dir. proc., 1962, 494. 5 A. Attardi, Atti dello stato civile, in Enc. dir. IV, Milano, 1959, 95. 6 Cass. civ., sez. I, 15 maggio 2019, n. 13000, in Dejure; Cass. civ., sez. I, 2 ottobre 2009, in Giust. civ., 2010, I, 927. 7 S. Izzo, «From status to contract»: la trascrizione dei provvedimenti stranieri dichiarativi dello status del figlio d’intenzione, cit., 56. 8 M. Stella Richter-V. Sgroi, Delle persone e della famiglia, in Commentario cod. civ., Torino, 1967, 155; G. Ferrando, Filiazione naturale, in Trattato di dir. priv., diretto da P. Rescigno, 4, III, Torino, 1982, 124; G. Amadio, Sulla legittimazione ad impugnare il riconoscimento del figlio naturale per difetto di veridicità, in Fam. dir., 1996, 131. 9 Cass. civ., sez. I, 12 marzo 2018, n. 5894, in Dejure; Cass. civ., sez. I, 14 maggio 2018, n. 11696, in Dejure. 10 Trib. Milano, sez. IX, 29 aprile 2015, in Il Caso.it. 11 App. Trento, decr. 16 gennaio 2020, in GenIUS; App. Bari, 3 febbraio 2020, in Pluris, App. Perugia, decr. 7 agosto 2018, in GenIUS.
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odierna, parafrasando l’insegnamento tramandatoci dalla Suprema Corte12 si sono spinte sino a riconoscere in capo al Ministero dell’Intero la titolarità di un autonomo e attuale «interesse alla corretta e all’uniforme applicazione delle disposizioni in materia di tenuta dei registri», legittimando in tal modo – ma a vario titolo – la sua partecipazione in giudizio, nonché quella dello stesso Sindaco. Tale posizione fa perno sull’interconnessione tra l’attività svolta dal Sindaco, che nell’esercizio delle funzioni di Ufficiale dello Stato Civile agisce come organo periferico dell’Amministrazione statale dell’Interno, dalla quale dipende13, e l’Amministrazione statale, competente a garantire che le disposizioni di legge in materia di pubblici registri vengano puntualmente applicate nell’ordinamento a presidio della funzione strettamente pubblicitaria dei registri dello Stato Civile. Sulla scorta di tali assunti, ed in ragione degli “effetti determinanti per la tutela dei diritti sia personali che patrimoniali” che dall’applicazione dei dettami in questione derivano, anche il Collegio cagliaritano ha ritenuto di dover considerare la stessa Amministrazione quale “portatrice” del succitato interesse, al cui soddisfacimento l’attività amministrativa da questa svolta dev’essere funzionalizzata e dal quale se ne fa discendere, ulteriormente, l’inclusione della stessa nel novero degli “interessati”14. Ciò posto, se un punto debole nel ragionamento condotto in motivazione vi è, esso non attiene alle premesse ma, semmai, alle conseguenze. Invero, considerata l’instaurazione del giudizio da parte delle amministrazioni competenti, lo snodo critico pare potersi rinvenire nella scelta del Tribunale di conferire alle stesse una veste che non pare corrispondere a quella effettivamente assunta nel presente giudizio, benché a fondamento di tale attribuzione venga posta la riproposizione dell’intera vicenda fattuale – oggetto dell’atto introduttivo – da parte del Pubblico Ministero, ritenuto il soggetto legittimato ad introdurre il giudizio. Il busillis della catalogazione dell’autorità amministrativa statale nell’area dei legittimati ad intervenire piuttosto che ad agire, a nostro sommesso avviso, non è che il portato della vexata quaestio, di natura ermeneutica, circa il ruolo svolto sul piano processuale dall’interesse di cui è stata riconosciuta portatrice l’amministrazione statale15, i cui risvolti pratici, specie in giudizi di tale natura, si rendono piuttosto evidenti. Sul punto, invero, si oscilla tra l’idea che la titolarità di un “interesse” non comporti un’aprioristica attribuzione della legittimazione ad agire16, con conseguente inammissibilità del ricorso delle amministrazioni competenti17, e il conferimento al peculiare interesse in questione della qualità di fonte di un’autonoma legittimazione ad impugnare del Ministero
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Cass. Civ., Sez. Un., 8 maggio 2019, n. 12193, in Pluris. Cass. civ., sez. III, 6 agosto 2004, n. 15199 in Dejure; Cass. civ., sez. I, 14 febbraio 2000, n. 1599, in Dejure; Cass. civ., sez. I, ord. 29 aprile 2020, n. 8325 in Dejure. 14 U. Salanitro, Ordine pubblico internazionale, filiazione omosessuale e surrogazione di maternità, in Nuova giur. civ. comm., cit., 738. 15 G. Amadio, Sulla legittimazione ad impugnare il riconoscimento del figlio naturale per difetto di veridicità, cit., 132. 16 G. Amadio, Sulla legittimazione ad impugnare il riconoscimento del figlio naturale per difetto di veridicità, cit., 131. 17 Trib. Milano, sez. IX, 29 aprile 2015, in Il Caso.it. 13
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dell’Interno18, pur in assenza di una sua pregressa qualità di parte19 e indipendentemente dalla successiva riproposizione delle medesime istanze ad opera del Pubblico Ministero. Stante quanto poc’anzi rilevato, dunque, non stupisce come l’impossibilità di individuare con certezza la dimensione processuale di tale peculiare interesse, e i poteri che dallo stesso discendono, comporti, a cascata, una serie di problemi circa la definizione della veste processuale dell’amministrazione ricorrente20. Ad ogni modo, sia nelle ipotesi che l’hanno preceduta che in quella odierna, non pare potersi dubitare del nobile intento della giurisprudenza di merito di adeguare inidonee strutture processuali alla tutela di delicate situazioni sostanziali, le quali, specie nell’ambito di tali circostanze, fanno capo a minori21.
3. Le Corti di merito a presidio del best interest of the child. La vicenda che ha impegnato il Tribunale di Cagliari può certo definirsi peculiare rispetto al genere. Invero, nel caso in esame il minore generato a seguito di p.m.a. è nato in Italia e ivi riconosciuto sia dalla madre partoriente sia da quella cd. d’intenzione, così risultando, per lo Stato italiano, figlio di due donne conviventi. Ricostruito il dato normativo alla luce delle più recenti pronunce in materia22, il provvedimento risponde al quesito concernente la possibilità di far derivare dal consenso prestato ad un progetto di genitorialità condivisa da parte di una coppia di donne sentimentalmente legate, l’applicazione di quanto previsto a tutela del nato dalla L.40/2004, malgrado la violazione del requisito soggettivo dell’eterosessualità della coppia (art. 5). Il responso è positivo e, discostandosi dall’orientamento recentemente assunto dalla Suprema Corte23, il Tribunale individua la convenuta quale genitrice d’intenzione del minore, così affermando la corrispondenza tra quanto risulta dall’atto dello Stato civile e la realtà fattuale. Attraverso una lettura in chiave sistematica ed evolutiva degli artt. 8, 9 e 12 della l. 40/2004, la pronuncia in esame opera una ponderazione tra la violazione del divieto di accesso alle tecniche per le coppie same sex e la tutela dell’interesse dell’incolpevole nato alla conservazione di uno status già acquisito, facendo pendere l’ago della bilancia a favore di quest’ultimo. Stante gli snodi sui quali si articola la motivazione, non v’è dubbio che l’applicazione degli stessi sia avvenu-
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App. Perugia, decr. 7 agosto 2018, in GenIUS; Cass. civ., sez. I, ord.11 novembre 2019, n. 29071; Cass. civ., Sez. Un., 8 maggio 2019, n. 12193, in Pluris. 19 App. Trento, decr. 16 gennaio 2020, in GenIUS. 20 Stante l’apertura verso un inedito ruolo processuale conferito all’autonomo e attuale interesse di cui è stata riconosciuta titolare l’amministrazione centrale, a nostro sommesso avviso, non sarebbe andato errato il Tribunale nel caso in cui avesse prospettato un’estensione eccezionale della legittimazione ad agire in primo grado non dissimile da quella riconosciuta, ad es. da App. Trento, decr. 16 gennaio 2020. 21 S. Izzo, «From status to contract»: la trascrizione dei provvedimenti stranieri dichiarativi dello status del figlio d’intenzione, cit., 58. 22 App. Trento, decr. 16 gennaio 2020, in GenIUS. 23 Cass. civ., sez. I, 3 aprile 2020, n. 7668, in Dejure; Cass. civ., sez. I, 22 aprile 2020, n. 8029, in Dejure.
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ta alla luce delle innovazioni introdotte dai reiterati interventi della Consulta sulla Legge, nonché del profondo mutamento paradigmatico impresso dalla L. 76/201624 (regolamentazione delle unioni civili e delle convivenze same sex), in virtù di una prospettiva non solo coincidente con i principi dettati in materia dalla giurisprudenza nazionale25 ed europea26, ma altresì riguardosa nei confronti della stessa collocazione dei dettami27. Lo sguardo proteso, più che alla ragionevolezza del divieto, alle possibili tutele riconoscibili al minore, si ritiene abbia permesso al provvedimento di scongiurare il rischio che dalla violazione di un requisito soggettivo derivasse un downgrading delle condizioni del nato28, così assicurando a quest’ultimo la piena tutela del suo diritto al riconoscimento della genitorialità29. Si ritiene, dunque, che la pronuncia si ponga in un’ottica di totale superamento del tralatizio orientamento per cui consensus non facit filios30, permettendo così di apprezzare un impiego costituzionalmente orientato delle norme in questione, specie in riferimento a quanto previsto dagli artt. 2 e 30 della Costituzione, in tal modo garantendo al minore il diritto «ad instaurare relazioni affettive durature con un genitore (diritto alla genitorialità), o meglio ancora con entrambi i genitori (diritto alla bigenitorialità)»31. Sulla scorta di quella che pare essere la linea interpretativa adottata, il Tribunale ha ritenuto che le generali disposizioni succitate non conferiscano dirimente rilievo al legame biologico/genetico tra genitore d’intenzione e nato, e che tantomeno discriminino la condizione di quest’ultimo in ragione della diversità di genere dei membri della coppia32, in tal modo discostandosi dalla logica sanzionatoria recentemente adottata dalla Suprema Corte33 e dalla Consulta34. Pare evidente, invero, che attraverso l’adozione di una tale ottica, le recenti pronunce abbiano permesso alle conseguenze della condotta dei genitori di riversarsi sulla sfera dei figli – nati a seguito dell’applicazione delle tecniche in questione – giungendo al paradossale risultato che il genitore d’intenzione non potesse essere indicato nell’atto di nascita, sulla scorta di un’inconfigurabilità di un diritto alla genitorialità esteso sino alla libera scelta del “quomodo” della stessa. Ad ogni modo, considerato il responso, pare piuttosto
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M. Gattuso, Un bambino e le sue mamme: dall’invisibilità al riconoscimento ex art. 8 legge 4, in www.questionegiustizia.it, 2018. Corte cost., 10 giugno 2014, n. 162, in Dejure; Trib. Bologna, decr. 6 luglio 2018, in www.articolo29.it; Trib. Pistoia, decr. 5 luglio 2018 in www.articolo29.it; Trib. Genova 16 novembre 201, in www.articolo29.it; Cass. civ., sez. I, ord. 29 aprile 2020, n. 8325, in Dejure. 26 Corte EDU, sentenze 26 giugno 2014, Menneson c. Francia e Labassee c. Francia in Dejure; Corte EDU, 10 aprile 2019, ric. P16-2018001-Advisory Opinion, in Nuova giur. civ. comm., 2019, 757. 27 Gli artt. 8 e 9, L. n. 40/2004, sono inseriti nel Capo III recante «Disposizioni concernenti la tutela del nascituro». 28 Cass. civ., sez. I, 15 maggio 2019, n. 13000, in Dejure; Cass. civ., sez. I, 30 settembre 2016, n. 19599, in Dejure; Cass. civ., sez. I, ord. 29 aprile 2020, n. 8325, in Dejure. 29 M. Gattuso, Un bambino e le sue mamme: dall’invisibilità al riconoscimento ex art. 8 legge 4, cit., 2018. 30 S. Patti, Lacune “sopravvenute”, presunzioni e finzioni: la difficile ricerca di una norma per l’inseminazione artificiale eterologa, in Nuova giur. civ. comm., 2000, 347. 31 A. Sassi, Accertamento e titolarità nel sistema della filiazione, in Tratt. di diritto civile, diretto da Rodolfo Sacco, Torino, 2015, 42. 32 G. Buffone-M. Gattuso-M.M. Winkler, Le nuove leggi civili. Unione civile e convivenza. Commento alla l. 20 maggio 2016, n. 76 aggiornato ai dd. Lgs. 19 gennaio 2017, nn. 5, 6, 7 e al d.m. 27 febbraio 2017, Milano, 2017, 293. 33 Cass. civ, sez. I, 3 aprile 2020, n. 7668, in Dejure. 34 Corte cost., 23 ottobre 2019, n. 221, in Resp. civ. prev., II, 2020, 439, con nota di R. Fadda, Il conflitto assiologico nella legge n. 40/2004 tra morale kantiana e diritto alla procreazione. 25
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evidente che il Collegio non abbia trovato convincimento in tali soluzioni, propendendo, come già rilevato, per quell’ottica – adottata altresì dalle succitate decisioni europee in materia – di assoluta preminenza dell’interesse dell’incolpevole nato, anche sotto il profilo della sua identità personale e sociale, a salvaguardia dei rapporti dallo stesso instaurati con entrambe le figure genitoriali same sex e in una prospettiva di totale ammonimento nei confronti delle discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale dei genitori, in ragione della protezione assicurata a tali legami da parte dell’art. 8 della Convenzione35. Inappropriato pare, dunque, ad avviso del Tribunale, quanto assunto dai ricorrenti in ordine al carattere dirimente della diversità di sesso dei genitori e del legame genetico tra questi ultimi e il nato ai fini del suo riconoscimento. A nostro modesto avviso, non pare potersi ritenere del tutto illogico considerare che attraverso l’accoglimento di tale ultima alternativa non solo si giungerebbe a discriminare i nati da p.m.a. eterologa in ragione del luogo di nascita e della struttura familiare che desidera ospitarli, ma si creerebbe altresì una discrasia con quanto previsto in materia di adozione legittimante. Nella consapevolezza che la p.m.a. e l’adozione rispondano ad esigenze diverse, non può tuttavia negarsi che quest’ultima leghi imprescindibilmente il rapporto di filiazione alla volontà dei genitori d’adozione di accogliere il minore36. Il legislatore, invero, conferisce a tale manifestazione di volontà un rilievo talmente dirompente che ne fa discendere l’instaurazione di un rapporto di filiazione giuridica tra soggetti non legati da vincoli genetici, al quale consegue, a sua volta, l’estinzione di qualsiasi legame tra l’adottato e il nucleo familiare d’origine37. Siffatta rilevanza, spiegandosi in ragione del particolare interesse del minore al mantenimento delle relazioni affettive già di fatto instaurate e consolidate, pare porsi come anello di congiunzione tra il soddisfacimento di tale ultimo interesse e il fine riconosciuto all’istituto dell’adozione, qual è quello di conferire in via definitiva un nucleo familiare al bambino che ne sia privo38. Ci domandiamo, a questo punto, come potrebbe spiegarsi che, in virtù dell’interesse del minore, possano recidersi i rapporti con la famiglia d’origine (nell’adozione) ma non possano conservarsi quelli instaurati con il genitore d’intenzione (nella p.m.a nel caso di una coppia same sex), considerato, peraltro, che quando trattasi di p.m.a., il rapporto che si instaura tra genitore d’intenzione e nato può, comunque, dirsi “originario”39, visto che – in ragione di quanto previsto dagli artt. 8 e 9 della Legge – tra quest’ultimo e il donatore di gameti non si instaura alcun tipo di rapporto40. Nondimeno, posto che l’art. 12 della legge 40/2004 non prevede quale sanzione alla violazione del
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A. Schillaci, Omosessualità, eguaglianza, diritti, Roma, 2014, 160. G. Ferrando, Autonomia delle persone e intervento pubblico nella riproduzione assistita. Illegittimo il divieto di fecondazione eterologa, in Nuova giur. civ. comm., 2014, II, 403 ss. 37 M.A. Iannicelli, L’adozione, in S. Patti-M.G. Cubeddu (a cura di), Diritto della famiglia, Milano, 2011, 876. 38 Corte cost., 23 ottobre 2019, n. 221, in Resp. civ. prev., II, 2020, 439. 39 R. Baiocco-A. Busacca-B. De Filippis, Unioni civili e genitorialità: le nuove frontiere della giurisprudenza, Milano, 2018, 273. 40 M.G. Cubeddu Wiedemann-P. Corder, Diritto di famiglia. Formulario commentato. Profili sostanziali e processuali, II, Milanofiori Assago, 2016, 1318. 36
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divieto la perdita dello status da parte del minore ma una sanzione di tipo amministrativo a carico di coloro che praticano tali tecniche, la negazione di una condizione giuridica pienamente tutelata al nato, in conseguenza della sua violazione – pel quale non è nemmeno previsto alcun tipo di rimprovero in capo al trasgressore – non può che rappresentare un epilogo insoddisfacente. Ciò rilevato, l’impiego che di recente si è fatto di tale divieto può sicuramente fornirci qualche considerevole indizio al fine di comprendere i motivi che si frappongono alla conservazione dei rapporti instauratisi tra il minore e il cd. genitore sociale. Infatti, la sua applicazione è stata considerata corretta quand’anche finalizzata ad impedire che l’atto di nascita del minore recasse l’indicazione di due genitori dello stesso sesso, sulla scorta, oltreché di un’asserita necessità di assicurare al minore le migliori condizioni “di partenza”41, della “funzione” delle tecniche in questione.42 L’impostazione, tuttavia, non pare trovare ampio consenso43 per due ordini di ragioni. In primo luogo, come pure ha efficacemente rilevato il Tribunale, se concepita in tali termini si rischia di attribuire alla finalità di assicurare la riproduzione di un modello di famiglia caratterizzato dalla presenza di un padre ed una madre44 un’importanza preminente rispetto a quella dovuta all’interesse dell’incolpevole nato. Inoltre, benché da un lato appaia del tutto evidente come l’evoluzione del concetto di genitorialità non tenga il passo con l’evoluzione dei modelli familiari giuridicamente rilevanti45, dall’altra il conferimento di un tale peso a siffatta finalità garantista potrebbe intendersi come una svalutazione – in un’ottica discriminante – delle realtà familiari che si discostano dal modello di coppia formata da un uomo e una donna. In secondo luogo, il raffronto tra il modello adottivo e quello della p.m.a. eterologa può sicuramente suggerirci che nonostante a quest’ultima sia riconosciuta la finalità di consentire ad una coppia di soddisfare il proprio desiderio di divenire genitori46, in entrambi i casi il rapporto di filiazione non può che ritenersi fondato sulla volontà legittimamente manifestata della coppia, la quale è espressione di valori insiti in quest’ultima quali “accoglienza, amore, responsabilità”47 e senza la quale – nel caso della p.m.a. – il minore non sarebbe nemmeno potuto nascere. Tale ultimo assunto, ha conferito alla pronuncia in esame il giusto margine per rilevare che benché il Legislatore ponga dei limiti all’accesso alla p.m.a., funzionali o meno al succitato fine, una volta venuto ad esistenza il minore, il suo interesse alla conservazione e al consolidamento delle relazioni familiari già instaurate deve assumere preminente rilevanza, al pari di quello del minore
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G. Ferrando, I diritti dei bambini smarriti tra formule e modelli, in Questionegiustizia.it, 2020. Cass. civ, sez. I, 3 aprile 2020, n. 7668, in Dejure. 43 G. Ferrando, I diritti dei bambini smarriti tra formule e modelli, cit., 2020. 44 G. Ferrando, I diritti dei bambini smarriti tra formule e modelli, cit., 2020; M. Gattuso, Un bambino e le sue mamme: dall’invisibilità al riconoscimento ex art. 8 legge 4, cit., 2020. 45 R. Fadda, Il conflitto assiologico nella legge n. 40/2004 tra morale kantiana e diritto alla procreazione, in Resp. civ. prev., II, 2020, 439 ss. 46 Corte cost., 23 ottobre 2019, n. 221, in Resp. civ. prev., II, 2020, 439 ss. 47 G. Ferrando, Autonomia delle persone e intervento pubblico nella riproduzione assistita. Illegittimo il divieto di fecondazione eterologa, in Nuova giur. civ. comm., 2014, II, 403 ss. 42
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nell’ambito di un procedimento di adozione. Nell’ambito di siffatte vicende, dunque, ciò che pare rilevare in particolar modo non è tanto la libertà degli adulti di generare, quanto il diritto del figlio al riconoscimento della genitorialità, annoverato a pieno titolo tra i diritti della personalità48. Se quanto finora esaminato non è privo di logica, dunque, non paiono potersi operare dei distinguo in relazione alle posizioni facenti capo ai minori, né in ragione del nucleo familiare che li ha desiderati né sulla base delle modalità in cui questi sono nati. Ciò posto, e specie alla luce dell’introduzione dello status unico di figlio da parte della recente Riforma, pare ragionevole propendere per il riconoscimento ad ogni minore dello status di figlio pleno iure, affinché possa sempre essergli garantita l’instaurazione del rapporto di filiazione nell’ambito familiare e parentale di riferimento. Ci sembra doveroso aggiungere che a favore delle pregevoli argomentazioni profilate dal Tribunale militi, altresì, l’impostazione fortemente garantista del plesso normativo nei confronti dell’embrione, il quale consente di elargire la massima tutela a quest’ultimo, perfino a discapito, nel caso di conflitto di interessi, dei diritti fondamentali dei singoli soggetti coinvolti49. Unico limite che il provvedimento pone all’interesse del minore alla conservazione dello status filiationis – in richiamo a quanto sostenuto dalle stesse Sezioni Unite50 – è la violazione del divieto di maternità surrogata, in ragione della qualifica di principio di ordine pubblico51 conferita allo stesso e del disvalore attribuito dall’ordinamento a tale pratica. Stante l’iter logico argomentativo seguito nell’esaminanda motivazione, non pare potersi dubitare che siffatto “limite” si riferisca in via esclusiva all’intento di emarginare tale fenomeno e non anche discriminare i minori che a seguito ne nascono. Ciò malgrado, appare innegabile che tale linea di demarcazione sconti il peso delle evidenti disparità che dalla stessa derivano. Invero, uno dei pilastri sui quali la stessa si fonda è proprio la capacità dei genitori di trasmettere o meno al nato il proprio patrimonio genetico; se questa vi è – ritiene la Cassazione – allora si ammette la possibilità di riconoscere lo status al nato. Operando in tal senso, tuttavia, si giungerebbe, inevitabilmente a operare una differenziazione tra coppie eteroaffettive e omoaffettive, con ripercussioni, a cascata, sulla condizione giuridica del minore. A seguire un tale ragionamento, dunque, si verrebbe a considerare il provvedimento straniero, che riconosce al minore lo stato di figlio dei due
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M. Gattuso, Un bambino e le sue mamme: dall’invisibilità al riconoscimento ex art. 8 legge 4, cit., 2018. F. Gallo, Procreazione medicalmente assistita e ‘Legge 40/04’: evoluzione per via giurisprudenziale delle regole giuridiche tra corti nazionali, europee e internazionali, in G. Baldini (a cura di), Persone e famiglia nell’era del biodiritto. Verso un diritto comune europeo per la bioetica, Firenze, 2015, 3. 50 Cass. civ., Sez. Un., 8 maggio 2019, n. 12193, in Pluris. 51 V. Barba, Ordine pubblico e gestazione per sostituzione. Nota a Cass. Sez. Un. 12193/2019, in GenIUS, II, 2019, rammenta la distinzione operata dalle Sezioni Unite tra ordine pubblico interno e ordine pubblico internazionale, e si concentra sul contenuto di quest’ultimo. L’A. contesta l’idea che il miglior interesse del minore possa essere limitato dell’ordine pubblico internazionale, dal momento che “l’ultimo e il primo debbono compenetrarsi e non giustapporsi”. Contesta, altresì, l’idea della S.C. secondo cui non sia possibile un bilanciamento tra ordine pubblico e il miglior interesse del minore nonché l’idea che la g.p.a. sia aprioristicamente contraria all’ordine pubblico internazionale, stante la delicatezza delle situazioni soggettive sottese, le quali senz’altro esigono una meticolosa valutazione dei singoli interessi, soprattutto quando la g.p.a. sia condotta in ragione di uno spirito solidaristico. 49
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componenti della coppia che ha fatto accesso a tali tecniche, efficace in Italia solo nel caso in cui questi ultimi siano, oltre che genitori d’intenzione, anche genetici52, condannando il minore nato nell’ambito di una coppia formata da due padri ad una tutela depotenziata, qual è quella prevista dall’art. l’art. 44, comma 1, lett. d) della legge 184/1983, ossia l’adozione speciale. Sul punto, non può che esprimersi una certa preoccupazione, specie se si riflette sul rischio insito in tale limite e rappresentato dalla possibilità che dalla sua adozione ne possa conseguire la nascita di una nuova “categoria” di figli, così riportando ad emersione quanto dal nostro ordinamento espunto attraverso la riforma del 201253, ovvero la distinzione tra figli di serie A e figli di serie B54. Si conclude osservando, dunque, che benché se ne possa evincere l’intento sotteso, il richiamo a tale limite non può che definirsi distonico rispetto alle restanti motivazioni, dalle quali appare evidente il notevole impegno del provvedimento di elargire tutela all’incolpevole nato.
4. Il ruolo del giudice in relazione al drammatico dilemma dell’omogenitorialità.
Nel trarre i migliori insegnamenti dall’adeguata analisi condotta da precedenti pronunce in materia55, il provvedimento de quo lascia trasparire l’assunzione di una logica protesa alla tutela del best interest of the child, ad oggi inteso come principio sistematico organizzatore di tutto il diritto minorile e – si potrebbe senz’altro dire – dell’intero diritto di famiglia.56 Nell’economia delle presenti riflessioni, si ritiene di dover ribadire che negli ultimi decenni il panorama familiare ha subito una forte evoluzione, dovuta, in particolare, all’insorgere di nuove realtà familiari57 e all’avvento del progresso in ambito scientifico e tecnologico, in ragione del quale i limiti entro i quali si sono storicamente inquadrati i fatti naturali – fra i quali la stessa procreazione – sono andati superati. Invero, non v’è chi non veda come l’innovazione in tali campi abbia conferito all’uomo inedite facoltà di scelta e di disposizione del proprio corpo, tali da incidere su quello che viene definito come a– priori giuridico sul quale un tempo si ordinavano le relazioni intersoggettive58. Di tale no-
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V. Barba, Ordine pubblico e gestazione per sostituzione. Nota a Cass. Sez. Un. 12193/2019, cit., 22. G.M. Uda, La filiazione legittima, in S. Patti . M.G. Cubeddu (a cura di), Diritto della famiglia, cit., 746. 54 V. Caredda, La responsabilità genitoriale: spunti di riflessione, Dir. fam. pers., 2015, 1424 ss. 55 App. Bari, 3 febbraio 2020, in Pluris; App. Perugia, decr. 7 agosto 2018, in GenIUS; App. Bari, 3 febbraio 2020, in Pluris; Cass. civ., sez. I, 15 giugno 2017, n. 14878, in GenIUS; Cass. civ, sez. I, 15 maggio 2019, n.13000, in Dejure. 56 V. Scalisi, Il superiore interesse del minore ovvero il fatto come diritto, in Riv. dir. civ., II, 2018, 407; V. Pocar-P. Ronfani, La famiglia e il diritto, Bari, 2008, 177. 57 R. Fadda, Il conflitto assiologico nella legge n. 40/2004 tra morale kantiana e diritto alla procreazione, cit., 439 ss. 58 G. Baldini, Biodiritto: tra progresso scientifico, superamento del paradigma naturalistico ed esigenza di nuovi criteri ordinanti, in G. 53
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tevole impatto si ritiene possa rinvenirsi la prova nello stesso sradicamento di quello che un tempo era il requisito necessario – e unanimemente accolto – ai fini della costituzione del rapporto di filiazione, ovvero l’atto sessuale. Requisiti quali l’apporto sia genetico sia funzionale dell’individuo imponevano, inevitabilmente, la diversità di sesso dei genitori59, ed escludevano dalla possibilità di perseguire un progetto di genitorialità condivisa non solo le coppie same sex, ma altresì quelle affette da malattie genetiche trasmissibili al feto, da grave sterilità o infertilità60. Come opportunamente rilevato in motivazione, tali assunti sono stati posti in crisi dalle nuove tecniche di p.m.a. eterologa61 (l. 40/2004), le quali, slegando il rapporto di filiazione dal legame biologico, hanno reso possibile accostare alla genitorialità naturale e adottiva (ex lege n. 184/83) la genitorialità cd. intenzionale62, che rinviene il fondamento di tale relazione, non nei succitati presupposti ma nell’atto di consenso prestato dal genitore d’intenzione nelle varie fasi applicative delle tecniche in questione63 (art. 6 L. 40/2004). Le criticità insorgono – e il caso in esame ne è la riprova – quando si cerchi di svincolare la filiazione dall’orientamento sessuale degli aspiranti genitori64 che, se omosessuali, a causa del dettato degli artt. 5 e 12, si vedono costretti a migrare verso Stati maggiormente permissivi, al fine di ottenere, nel rispetto della lex loci, ciò che in Italia è loro precluso65. A causa del carattere sanzionatorio e limitativo della legge n. 40 del 200466, alcun rimedio è stato possibile porre a tale prassi – comunemente nota come “turismo procreativo”67 o “viaggio dei diritti”68 – ciò comportando, nonostante la riscrittura del testo legislativo ad opera della giurisprudenza ordinaria, costituzionale ed europea, l’insorgenza di situazioni claudicanti nel caso in cui le coppie in questione decidano di far ritorno nello Stato italiano. Appare sempre più evidente, infatti, come lo stampo rigido del plesso normativo non consenta loro la piena esplicazione della propria libertà di autodeterminazione nella tra-
Baldini (a cura di), Persone e famiglia nell’era del biodiritto. Verso un diritto comune europeo per la bioetica, cit., 13. T. Auletta, Diritto di famiglia, Torino, 2018, 317. 60 G. Ferrando, Diritto di famiglia, Bologna, 2017, 323. 61 Corte cost., 10 giugno 2014, n. 162, in Fam. e dir., 2014, 753. 62 M. Dogliotti, La legge sulla procreazione medicalmente assistita: problemi vecchi e nuovi, in Fam. e dir., 2004, 117. 63 A. Trabucchi, Fecondazione artificiale e legittimità dei figli, in Giur. it., 1957, I, 217 e Id., Inseminazione artificiale, in Noviss. dig. it., VIII, Torino, 1962, p. 732, sosteneva l’inapplicabilità della disciplina del disconoscimento di paternità al coniuge che aveva prestato il proprio consenso, negando, al contempo, che tra il donatore e il nato da p.m.a. eterologa si instaurasse un rapporto di filiazione. 64 R. Fadda, Il conflitto assiologico nella legge n. 40/2004 tra morale kantiana e diritto alla procreazione, cit., p. 439 ss, rileva che: «Il problema della genitorialità della coppia same sex è particolarmente avvertito a causa della continua tensione tra un legislatore ostile nei confronti del genitore omosessuale e le esigenze della realtà sociale recepite dall’evoluzione giurisprudenziale che ne accoglie le istanze». 65 Cass. civ., Sez. Un., 8 maggio 2019, n. 12193, in Giur.it., 2020, 3, 543, con nota di A. Valongo, Gestazione per altri e ordine pubblico internazionale – la c.d. “filiazione omogenitoriale” al vaglio delle sezioni unite della cassazione. 66 M. Sesta, Manuale di diritto di famiglia, Milano, 2019, 398. 67 A. Bellelli, La procreazione medicalmente assistita, in S. Patti-M.G. Cubeddu (a cura di), Diritto della famiglia, Milano, 2011, 861. 68 E. Dolcini, Fecondazione assistita e diritto penale, Milano, 2008, 64 e 131 ss. 59
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smissione della vita umana69, così come innovata dal progresso scientifico e tecnologico70. Tali condizioni aprono la strada ad una serie di problematiche concernenti la determinazione dello status filiationis in virtù della legge italiana, il cui esame, a nostro sommesso avviso, impone all’interprete di assumere una prospettiva che attiene unicamente all’interesse superiore del minore. Che sia stata questa l’ottica adottata dalla decisione non vi sono dubbi, come non ve ne sono sul fatto che l’operatore del diritto non sia certo nuovo a queste criticità. Invero, se da una parte il progresso scientifico conferisce l’opportunità di superare le antiche incertezze, dall’altra induce l’interprete ad interrogarsi su nuove questioni, la cui risoluzione presuppone la riproposizione di interrogativi, per certi versi già affrontati71. Di quanto poc’anzi rilevato si ha dimostrazione nel dibattito scaturito agli albori della L. 40/2004 in merito allo status di figlio nato a seguito di p.m.a. di tipo eterologo, al tempo vietata anche per le coppie eterosessuali. Si rammenta, invero, che secondo quanto previsto dall’art. 8, i figli nati nell’ambito di p.m.a. conseguono automaticamente lo stato, mentre ai sensi dell’art. 9, lo stesso non è contestabile per coloro che abbiano prestato il proprio consenso all’applicazione di tecniche di p.m.a. eterologa72 (malgrado taluni ritengano sia contestabile da parte del figlio)73. Stanti i distinguo operati dalla Legge in riferimento ai figli nati da pratica omologa e eterologa, il quesito che si era posto constava nel comprendere se questi conseguissero tutti, nelle medesime modalità, lo status di figlio74. Sul punto, infatti, se da un lato v’era chi desumeva dall’art. 9, co. 1°, L. n. 40/2004 una volontà del Legislatore di estendere anche al caso di nascita da p.m.a. eterologa la disciplina contenuta nell’art. 8 della Legge, ove riferita all’attribuzione automatica dello status filiationis75, dall’altro v’era pure chi, all’opposto, tale volontà la negava76. Ciononostante, appare piuttosto evidente
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Trib. Palermo, 8 gennaio 1999, in Fam. e dir., 1999, p. 52 ss. con nota di G. Cassano, Diritto di procreare e diritto del figlio alla doppia figura genitoriale nella inseminazione artificiale post mortem; e in Dir. fam. pers., 1999, I, 226 ss. 70 G. Baldini, Biodiritto: tra progresso scientifico, superamento del paradigma naturalistico ed esigenza di nuovi criteri ordinanti, in G. Baldini (a cura di), Persone e famiglia nell’era del biodiritto. Verso un diritto comune europeo per la bioetica, cit., 13. 71 S. Patti, Verità e stato giuridico della persona, in Riv. dir. civ., I, 1988, 232. 72 V. Caredda, Stato dei figli e violazione dei divieti nella legge sulla procreazione medicalmente assistita, in Familia, 2005, I, p. 269; G.M. Uda, La fecondazione artificiale umana, in AA.VV., Nuovi temi di diritto privato. Casi e materiali, a cura di V. Ricciuto, Napoli, 1999, 69 ss. 73 T. Auletta, Diritto di famiglia, cit., 323. 74 V. Caredda, Stato dei figli e violazione dei divieti nella legge sulla procreazione medicalmente assistita, cit., 269, osservava al riguardo: «Lo stato dei figli nati da fecondazione omologa consentita e quello dei figli nati da fecondazione eterologa vietata è assolutamente uguale? La legge si esprime in termini molto diversi a proposito delle due “categorie” di figli. I figli nati da pratica omologa “conseguono lo stato”, mentre per quelli nati da pratica eterologa coloro che hanno acconsentito non possono contestare lo stato». 75 R. Villani, La procreazione medicalmente assistita in Italia: profili civilistici, in Trattato di Biodiritto, diretto da S. Rodotà-P. Zatti, II, Milano, 2011, 1529; S. Patti, Inseminazione eterologa e venire contra factum proprium, in Nuova. giur. civ. comm., 2000, II, 13 ss. 76 G. Oppo, Procreazione assistita e sorte del nascituro, in Riv. dir. civ., 2005, I, 103, osservava che: «i nati da procreazione eterologa non hanno stato di figli legittimi o riconosciuti dai genitori biologici ma o lo stato (presunto) di figli legittimi della coppia di coniugati (salvo disconoscimento da parte del coniuge che non abbia dato l’assenso) o nessuno stato nei rapporti con i genitori “non conviventi” (salvo il divieto di anonimato della madre e salvo il volontario riconoscimento come figlio naturale); e ciò benché lo stato di nato da procreazione assistita sia registrato ai sensi dell’art. 11 che non distingue (giustamente) tra procreazione omologa ed eterologa».
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che, malgrado la contraddittorietà dell’art. 977, tale previsione abbia soppiantato il favor veritatis con l’affermazione di un prevalente principio del favor minoris, – composto, a sua volta, da un favor stabilitatis e affectionis – in virtù del quale è divenuto possibile preservare lo status acquisito dal minore nonché la piena tutela del suo diritto alla stabilità delle relazioni familiari78. Ciò è stato realizzato attraverso l’esclusione della possibilità di emersione della verità genetica79, in un’ottica i cui limiti erano rappresentati dal principio di autoresponsabilità nella procreazione80 e del superiore interesse del minore. In tale panorama si era inserita la stessa Corte Costituzionale attraverso una storica sentenza81, con la quale aveva sancito in via definitiva la caducazione del divieto di p.m.a. eterologa. In siffatta occasione la Consulta, nell’inquadrare il diritto alla procreazione all’interno della tutela costituzionale della famiglia, rilevò il contrasto tra il divieto di accedere alla p.m.a. eterologa con il diritto – che a tutti deve essere egualmente garantito – di «diventare genitori e di formare una famiglia che abbia anche dei figli», in quanto modalità di espressione del diritto all’autodeterminazione individuale. Sottolineò, inoltre, come «il progetto di formazione di una famiglia caratterizzata dalla presenza di figli, anche indipendentemente dal dato genetico, è favorevolmente considerata dall’ordinamento giuridico, in applicazione di principi costituzionali, come dimostra la regolamentazione dell’istituto dell’adozione». Sulla scorta di tali premesse la Consulta, non solo giunse a dichiarare inammissibile ogni limite all’esercizio del diritto a procreare, «a meno che lo stesso non sia l’unico mezzo per tutelare altri interessi di rango costituzionale» ma rilevò altresì che «l’impossibilità di formare una famiglia con figli insieme al proprio partner, mediante il ricorso alla PMA di tipo eterologo, possa incidere negativamente, in misura anche rilevante, sulla salute della coppia». Ciò posto, si rileva come nell’affrontare l’odierna questione il Tribunale pare aver fatto uso dell’insegnamento ereditato dall’orientamento a cui poc’anzi si è fatto riferimento, così distinguendosi dagli ultimi arresti in materia. Invero, il giudice ha ritenuto di fare propria quella visione che ravvisa nel consenso prestato alle tecniche il mezzo per soddisfare la necessità di responsabilizzare la coppia sia in prospettiva terapeutica (nella logica del consenso individuale al trattamento sanitario)82 sia in quella generativa83, respingendo,
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Secondo M. Moretti, La procreazione medicalmente assistita, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da G. Bonilini e G. Cattaneo, III, Torino, 2007, p. 283, «si ha la sensazione di una, per così dire “tacita accettazione” della tecnica riproduttiva vietata, come se si fosse dovuto “vietare”, ma, nel contempo, si avesse la consapevolezza che, in ogni caso e nonostante il divieto, il ricorso alla procreazione eterologa avrebbe continuato ad esservi». Ha parlato, altresì, di legge «palesemente contraddittoria», M. Sesta, La procreazione medicalmente assistita, in Tratt. dir. priv. Bessone, IV, ed. III, Torino, 1999, 356. 78 A. Cordiano, Il principio di autoresponsabilità nei rapporti familiari, Torino, 2018, 123. 79 Art. 9, co. 3°, L. 40/2004 prevede, invero, che: «In caso di applicazione di tecniche di tipo eterologo in violazione del divieto di cui all’articolo 4, comma 3, il donatore di gameti non acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non può far valere nei suoi confronti alcun diritto né essere titolare di obblighi». 80 V. Caredda, Scambio di embrioni e titolo di paternità e maternità, in <www.giustiziacivile.com>. 81 Corte cost., 10 giugno 2014, n. 162, in Dejure. 82 V. Roppo, Il contratto, Milano, 2011, 7. 83 U. Salanitro, Art. 4 – Accesso alle tecniche, in Commentario del Codice civile. Della famiglia. Leggi collegate, a cura di L. Balestra e
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attraverso la valorizzazione di quest’ultimo profilo, le argomentazioni svolte dal Pubblico Ministero e dalle Amministrazioni in ordine all’imprescindibilità del legame biologico tra il nato e colui che intende esserne genitore. Invero, come pure efficacemente rilevato da esperta dottrina84, l’espressione di una volontà congiunta da parte dei componenti della coppia, oltre a ritenersi modalità di espressione della personalità e forma di esercizio del diritto alla salute, deve considerarsi costitutiva del rapporto di filiazione85, in quanto atto di impegno sostitutivo della procreazione86. In tale prospettiva, dunque, il provvedimento richiama il consenso nella sua accezione di assunzione di un’autoresponsabilità per la procreazione87, in un’ottica di prevalenza della verità giuridica su quella naturale88. La soluzione proposta dalla decisione, evidentemente frutto di un giudizio riferito all’integralità del contesto e fondato sul bilanciamento degli interessi sottesi, pare espressione di una visione ordinamentale del diritto89, la quale necessariamente implica l’uscita da consolidati schemi categoriali per lasciar spazio alla dialettica tra l’enunciato e la situazione concreta sulla quale la sua applicazione è destinata ad incidere90. Siffatta metodologia non pare rendersi opinabile, specie in ipotesi come quella in questione che, delicate quanto complesse, sono in grado di interrogare profondamente la coscienza individuale e collettiva, rendendo oltremodo necessaria un’accurata riflessione su quali siano le modalità più confacenti alla realizzazione degli interessi sottesi. Come confermatoci dall’esaminanda vicenda, dunque, nell’era moderna il giudice si trova a dover fare i conti con nuove modalità d’essere della realtà umana e sociale, le quali, traducendosi necessariamente in modelli comportamentali concreti che necessitano di una tutela, richiedono allo stesso l’adozione di una tecnica interpretativa tale da amalgamare insieme contesti e testi normativi, nonché formalismi con condotte fattuali, con lo sguardo sempre rivolto al quadro sovranazionale91 e giurisprudenziale, in modo da operare un’applicazione del dato normativo vigente così come conformato dal cd. diritto vivente92. In definitiva, a nostro sommesso avviso, la prospettiva assunta dal Tribunale gli ha permesso di farsi promotore di un dialogo tra Corti di
diretto da E. Gabrielli, Milano, 2010, 550. G. Ferrando, Introduzione. Biotecnologie e diritto, in G. Baldini (a cura di), Persone e famiglia nell’era del biodiritto. Verso un diritto comune europeo per la bioetica, cit., 5; M. Bianca, L’unicità dello stato di figlio, in C.M. Bianca (a cura di), La riforma della filiazione, Padova, 2015, 20. 85 U. Salanitro, Art. 4 – Accesso alle tecniche, in Commentario del Codice civile. Della famiglia. Leggi collegate, a cura di L. Balestra e diretto da E. Gabrielli, op. cit., p. 550. 86 V. Caredda, La responsabilità genitoriale: spunti di riflessione, in Dir. fam. pers., I, 2015, 1424 ss. 87 V. Caredda, Scambio di embrioni e titolo di paternità e maternità, cit. 88 S. Patti, Verità e stato giuridico della persona, cit., 237, nel rilevare l’inversione di tendenza rispetto alle scelte operate in materia di filiazione della legge di riforma del diritto di famiglia del 1975, osservava: «adesso si privilegia una verità giuridica che consapevolmente si distacca dalla realtà, al fine di favorire l’armonia della famiglia e la persona del nato». 89 N. Lipari, Diritto civile e ragione, Milano, 2019, 172. 90 N. Lipari, Diritto civile e ragione, cit., 215. 91 Art. 23, Regolamento CE 2201/2003; Convenzione sui diritti del fanciullo di New York del 20 novembre 1989; Convenzione Europea sui diritti dei fanciulli del 25 gennaio 1996; Carta dei diritti fondamentali dell’UE. 92 N. Lipari, Diritto civile e ragione, cit., p. 226; R. Fadda, Il conflitto assiologico nella legge n. 40/2004 tra morale kantiana e diritto alla procreazione, cit, 439 ss. 84
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merito e legittimitĂ , finalizzato al raggiungimento di un esito interpretativo sufficientemente saldo e coerente rispetto ai dati che possono essere tratti dal sistema e dal diritto vivente, cosĂŹ da poter conferire risposta in modo logico e ordinato ad ogni esigenza di tutela. Giada Pipere
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Giurisprudenza Cass. civ., sez. II, 12 marzo 2019, n. 7025; Gorjan Presidente – Bertuzzi Estensore Testamento – Interpretazione – Integrazione – Modus Nell’interpretazione del testamento deve aversi riguardo alla volontà espressa dal testatore nella scheda testamentaria, potendosi ricorrere ad elementi estrinseci solo per risolvere parole o espressioni dubbie al solo scopo di ricostruire l’effettiva intenzione del suo autore, mentre rimane precluso all’interprete avvalersi di tali dati estrinseci per giungere al risultato di attribuire alla disposizione testamentaria un contenuto nuovo, in quanto non espresso nel testamento.
nidoneità della lettera del 1943, in quanto non
(Omissis) Svolgimento
del processo
L.G., L.E. e L.F., premesso di essere eredi di La. Ed. e L.L., convennero dinanzi al Tribunale di Napoli l’Arcidiocesi di Napoli e L.M.P., quale
autografa, ad integrare quanto disposto nel testamento del 1941. Si costituì in giudizio L.M.P., aderendo alla domanda degli attori.
altra erede, esponendo che con testamento del
Esaurita l’istruttoria, il giudice adito, con sen-
21.12.1941 L.M., deceduta il 30.10.1943, aveva
tenza n. 9223 del 2006, dispose la risoluzione del-
nominato eredi universali La. Ed. e L.M. ed asse-
la disposizione testamentaria per inadempimento
gnato a titolo di legato a favore dell’arcivescovo
dell’onere in essa previsto.
di Napoli alcuni immobili, tra cui quello in cui
L’Arcidiocesi di Napoli appellò la decisione,
abitava, “per fini di culto e di religione”; che con
deducendo che gli attori non avevano fornito
la successiva missiva datata 1943 ed inviata alla
prova della loro legittimazione attiva, cioè di es-
Curia la testatrice aveva vergato la seguente di-
sere eredi, e che il giudice di primo grado aveva
chiarazione: “Specifico cosa io voglio dire con le
errato sia nell’attribuire alla lettera del 1943 un
parole del mio testamento per opera di culto e di
valore interpretativo del contenuto del testamen-
religione: che l’appartamento da me abitato sia
to che nel ritenere verificatosi l’inadempimento
ricovero dei sacerdoti poveri e che le rendite degli
dell’onere.
altri appartamenti, di quarti e quartini uniti alle
Si costituirono distintamente in giudizio L.G.
rendite dei quartini a palazzo (Omissis) servirà
e L.M.P. chiedendo la conferma della sentenza
per il mantenimento dei poveri sacerdoti ricove-
impugnata e proponendo il primo anche appel-
rati”; che dal 1997, dopo che l’appartamento as-
lo incidentale avverso la statuizione che aveva
segnato era stato gestito da suore per la cura di
disatteso le domande, dallo stesso formulate in
preti poveri, esso era stato trasformato in diversi
corso di causa, di condanna della parte conve-
mini locali affittati a terzi; che tale nuova destina-
nuta alla riduzione in pristino dell’immobile e di
zione contravveniva all’onere imposto dalla testa-
risarcimento dei danni con riguardo al bene che
trice. Ciò esposto, con atto di citazione notificato
assumeva essere stato venduto prima dell’intro-
il 9.11.1998 chiesero che fosse disposta la risolu-
duzione del giudizio.
zione della disposizione testamentaria di legato
Il medesimo appellato eccepì inoltre l’inam-
per inadempimento del modus in essa contenuto.
missibilità dell’appello principale, notificato a L.F.
L’Arcidiocesi di Napoli si oppose alla doman-
presso il suo difensore, nonostante che lo stes-
da, contestando la violazione denunziata e l’i-
so fosse deceduto nel corso del giudizio di pri-
639
Giurisprudenza
mo grado. Con ordinanza del 18.1.2008 la Corte
quanto qui interessa, ritenendo che fosse infonda-
d’appello dispose l’integrazione del contraddit-
ta l’eccezione di difetto di prova della legittimazio-
torio “nei confronti di tutte le parli del giudizio
ne attiva dei L., tenuto conto che la loro qualità di
di primo grado non costituitesi in appello”. Alla
eredi non era mai stata contestata nel giudizio di
udienza successiva del 18.7.2008 si costituì quale
primo grado e doveva pertanto considerarsi fatto
erede di L.F. D.F.T. eccependo l’inammissibilità
incontroverso, che fosse corretto il ragionamento
dell’appello per mancata ottemperanza all’ordine
del Tribunale laddove aveva ritenuto, al fine di ri-
di integrazione del contraddittorio, attesa la man-
costruire la volontà della scheda testamentaria di
cata notifica dell’atto a S.E., madre del de cuius
L.M., di utilizzare e valorizzare la lettera del 1943
L.F. La Arcidiocesi eccepì a sua volta l’estinzione
dalla stessa inviata alla Curia, ove ella spiegava
del giudizio di primo grado, per non essere stato
cosa intendesse con la locuzione “fini di culto e di
il processo riassunto nel termine di sei mesi dalla
religione” apposta al legato, che altresì fosse cor-
comunicazione del decesso di L.F.
retta la qualificazione di tale clausola come modus
Con sentenza non definitiva n. 1109 del
e che infine risultasse provato che la legataria non
5.4.2011 la Corte rigettò entrambe le eccezioni
vi aveva adempiuto, avendo trasformato l’apparta-
e con ordinanza in pari data fissò l’udienza per
mento in mini alloggi che aveva poi locato a terzi.
l’integrazione del contraddittorio nei confronti di
Per la cassazione di questa decisione, con atto
S.E. Con la suddetta sentenza, per quanto qui in-
notificato il 16.7.2014, ricorre, affidandosi a sette
teressa, la Corte affermò che la mancata notifica
motivi, la Arcidiocesi di Napoli.
dell’atto di appello alla S. trovava causa nel testamento olografo di L.F. depositato dalla D.F. all’u-
[…] Motivi
dienza del 31.5.2007, che aveva nominato qua-
[…]
le suo unico erede universale la D.F. medesima,
Passando all’esame del ricorso principale pro-
mentre la S. aveva assunto la qualità di erede solo
della decisione
posto dalla Arcidiocesi di Napoli, […].
in forza del successivo atto del 18.7.2000, con
Il quarto motivo di ricorso, denunziando vio-
cui ella aveva fatto valere la sua qualità di legit-
lazione e falsa applicazione degli artt. 587 e 1362
timaria ed in forza del quale, con adesione della
c.c., censura la sentenza impugnata per avere ri-
D.F., le erano stati attribuiti alcuni beni. Poiché
tenuto “corretto il ragionamento del primo giudi-
tuttavia quest’ultimo atto era stato depositato sol-
ce sul carattere interpretativo della volontà testa-
tanto in data 11.6.2008, dopo la notifica dell’atto
mentaria della lettera del 1943, per cui il motivo
di integrazione del contraddittorio, avvenuta il
determinante del legato in favore dell’Arcidioce-
21.4.2008, la Corte ritenne che la mancata notifi-
si non erano le semplici e generiche finalità di
ca dello stesso alla S. costituiva un errore scusa-
religione e di culto, ma le precise disposizioni
bile da parte della Arcidiocesi, tale da giustificare
contenute nella successiva missiva circa la de-
l’accoglimento della sua istanza di rimessione in
stinazione precipua ad alloggio dei preti poveri
termini ai fini dell’adempimento richiesto.
dell’appartamento padronale, dove aveva sempre
L’atto di integrazione del contraddittorio ven-
abitato la testatrice, sacerdoti per il cui sostenta-
ne quindi notificato a S.E., che rimase contumace.
mento dovevano essere adoperati i ricavi delle
Con sentenza n. 3676 del 22.10.2013 la Cor-
locazioni degli altri quartini oggetto del mede-
te di appello di Napoli decise la causa rigettando
simo legato”. Sostiene la ricorrente che tale con-
l’appello principale e quello incidentale. La Cor-
clusione è contraria al principio secondo cui i
te pervenne al rigetto dell’appello principale, per
documenti estranei al testamento possono essere
640
Luigi Nonne
utilizzati per interpretare la volontà del de cuius,
svolgendo le sue considerazioni su un terreno
ma mai per integrarla, tenuto conto che la lettera
apparentemente interpretativo, ha nel concre-
del 1943 non era autografa ma dattiloscritta e che
to utilizzato la missiva scritta dalla testatrice nel
in forza della sua considerazione la disposizione
1943 non già per chiarire cosa ella intendesse con
testamentaria, che conteneva un legato semplice,
la dicitura “a fini di culto e di religione” apposta
è stata trasformata in un legato modale.
al legato, ma per attribuire ad essa un contenuto
Il mezzo è fondato.
particolare e specifico, vale a dire che l’apparta-
Questa Corte ha più volte affermato che l’in-
mento da lei abitato doveva essere destinato ad
terpretazione del testamento si caratterizzata, ri-
ospitare preti poveri e il reddito degli altri beni
spetto a quella contrattuale, da una più pene-
fosse destinato al loro sostentamento. Il risultato
trante ricerca, al di là della mera dichiarazione,
dell’interpretazione è così consistito in un’opera-
della volontà del testatore, la quale, alla stregua
zione diretta non già a ricostruire la volontà della
dell’art. 1362 c.c., va individuata sulla base dell’e-
testatrice come espressa nel testamento, ma ad
same globale della scheda testamentaria, e non
integrarla, attribuendole un significato non certo
di ciascuna singola disposizione, e che al fine di
in antitesi ma comunque nuovo rispetto ad esso,
superare eventuali dubbi sull’effettivo significato
dal momento che non vi era espresso.
di parole ed espressioni usate dal testatore deve
L’operazione di integrazione della volontà
farsi riferimento anche ad elementi estrinseci alla
della testatrice in forza della lettera del 1943 ri-
scheda stessa, come la cultura. la mentalità, le
sultava preclusa dalla natura e caratteristiche di
abitudini espressive e l’ambiente di vita del testa-
tale missiva, che pacificamente era dattiloscritta
tore medesimo, di modo che il giudice del me-
e quindi non olografa, sicché essa non aveva i
rito, il cui accertamento è insindacabile in sede
requisiti di forma per potere avere un’efficacia
di legittimità se immune da vizi logici e giuridici,
integrativa del testamento.
nella doverosa ricerca di detta volontà, può attri-
Gli altri motivi di ricorso, che investono la
buire alle parole usate dal testatore un significato
questione esaminata con il presente motivo e
diverso da quello tecnico e letterale, quando si
quella dell’inadempimento accertato a carico del-
manifesti evidente, nella valutazione complessiva
la Arcidiocesi, si dichiarano assorbiti.
dell’atto, che esse siano state adoperate in senso
La sentenza va quindi cassata in relazione al
diverso, purché non contrastante e antitetico, e
motivo accolto e la causa rinviata ad altra Sezio-
si prestino ad esprimere in modo più adeguato e
ne della Corte di appello di Napoli che si ade-
coerente la reale intenzione del de cuius (Cass. n.
guerà al seguente principio di diritto: nell’inter-
10075 del 2018; Cass. n. 12861 del 1993; Cass. n.
pretazione del testamento deve aversi riguardo
12861 del 1986). Il rispetto dei criteri ermeneutici
alla volontà espressa dal testatore nella scheda
che mirano a ricostruire l’effettiva volontà del te-
testamentaria, potendosi ricorrere ad elementi
statore come espressa nel testamento impedisce
estrinseci solo per risolvere parole o espressioni
tuttavia qualsiasi operazione che porti ad integra-
dubbie al solo scopo di ricostruire l’effettiva in-
re, sulla base dei suddetti elementi valutativi, ab
tenzione del suo autore, mentre rimane precluso
extrinseco tale volontà, attribuendo ad essa con-
all’interprete avvalersi di tali dati estrinseci per
tenuti inespressi ovvero diversi da quelli risultanti
giungere al risultato di attribuire alla disposizione
dalla dichiarazione stessa.
testamentaria un contenuto nuovo, in quanto non
Nel caso di specie la Corte territoriale non si è attenuta a tali principi, dal momento che, pur
espresso nel testamento. […].
641
Giurisprudenza
Interpretazione e integrazione ab extrinseco dell’atto testamentario* Sommario : 1. La fattispecie concreta. – 2. L’interpretazione dei negozî mortis causa e il controverso rapporto con la disciplina contrattuale. – 3. La problematica distinzione tra mezzo ermeneutico e strumento di integrazione del testamento. – 4. Considerazioni conclusive.
Since Court of Cassation case law tends to apply contract interpretation rules to testamentary wills, decision no. 7025/2019 of the Court of Cassation provides an opportunity to go through scholars’ opinions on interpretation of mortis causa deeds and to select – within the context of the analysis of the relevant will – the proper meaning to give to the words of the testator in connection with the incorporation by integration of such will in case of gaps in the text. However, decision no. 7025/2019 shows certain shortcomings in the underlying reasoning. It fails to effectively endow with an interpretative value the acts of the testator lacking the formal requirements needed for validly integrating or amending the deed. Indeed, despite not complying with the requirements set under the law, such acts can shed a useful light in order to investigate the will of the testator.
1. La fattispecie concreta. Il caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte concerne la redazione di un testamento olografo con cui la disponente attribuisce a titolo di legato alla Curia di Napoli, in persona dell’allora Arcivescovo, taluni immobili, tra i quali la propria abitazione, per fini di culto e religione. All’atto la testatrice fa seguire una missiva dattiloscritta e firmata, indirizzata alla beneficiaria, ove specifica il significato da attribuirsi, nella propria rappresentazione volitiva mortis causa, alle finalità per le quali i beni relitti dovrebbero impiegarsi, circoscrivendone i possibili usi. La controversia sorge nel momento in cui, dopo avere dato séguito per oltre un cinquantennio alla voluntas testatoris, espressa non in forma olografa nella succitata missiva, l’immobile che costituiva l’abitazione della de cuius viene suddiviso dalla Curia in mini-locali, i quali sono poi concessi in locazione a soggetti terzi, con modalità e per scopi diversi da quanto richiesto nell’atto non olografo. Gli eredi della defunta, sul presupposto dell’inadempimento del modus che limitava la disposizione attributiva, chiedono la *
Il presente contributo è stato sottoposto a valutazione in forma anonima.
642
Luigi Nonne
risoluzione di quest’ultima. La legataria resiste con l’eccepire la nullità della clausola modale apposta al legato, in quanto non rispettosa dei requisiti di forma previsti nell’art. 602, 1° co., c.c., sostenendo di conseguenza la natura di legato semplice della disposizione a suo favore. Tale prospettazione è stata avallata dalla Suprema Corte, che enuncia il principio di diritto in base al quale si può ricorrere ad elementi estrinseci solo per risolvere parole o espressioni dubbie e all’unico scopo di ricostruire l’effettiva intenzione del suo autore, mentre rimane precluso all’interprete avvalersi di tali dati estrinseci per giungere al risultato di attribuire alla disposizione testamentaria un contenuto nuovo, in quanto non espresso nel testamento. La fattispecie concreta e l’iter logico seguito dalla Cassazione pongono taluni problemi e implicano argomenti che, seppure oggetto di una stratificazione di arresti giurisprudenziali inerenti alla sistematica del diritto testamentario, esigono di essere ripercorsi in una diversa prospettiva, ciò che non ha mancato di sottolineare la più recente dottrina.
2. L’interpretazione dei negozî mortis causa e il controverso rapporto con la disciplina contrattuale.
È agevole constatare come le indagini sull’ermeneutica testamentaria1 muovano dalla premessa che, rispetto a quanto previsto per il contratto, la disciplina del testamento non offre un comparabile complesso di regole interpretative idonee a guidare logicamente, cronologicamente e sistematicamente l’interprete2. Stante, allora, l’assenza di norme generali sull’interpretazione del testamento, si attribuisce all’operatore il cómpito di ricostruirle sulla base delle peculiarità che caratterizzano l’atto mortis causa a confronto con quelli inter vivos3. In effetti, secondo un classico insegnamento, il c.d. punto di rilevanza ermeneutica4 per i negozî a causa di morte si colloca in un contesto diverso rispetto alla materia contrattuale, dovendosi riservare un trattamento adatto alle relative caratteristiche
1
2
3 4
La quale, secondo M. Allara, Principi di diritto testamentario, Torino 1957, 173, consiste nell’attività di accertamento dell’oggetto, in senso ristretto, del negozio testamentario; tale oggetto va inteso, seguendo la prospettiva della dichiarazione, come risultato della volontà dichiarata, mentre, nell’ottica della volontà, esso è il risultato che il privato vuole conseguire con la confezione del negozio. Per C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano2, vol. II, Milano, 1952, 483-508 (nn. 683-704), alla p. 483 (n. 683), l’interpretazione del testamento consiste nella determinazione del significato e del contenuto delle dichiarazioni di volontà del testatore in esso racchiuse, costituendo, altresì, un presupposto per l’esecuzione del medesimo. La constatazione si rinviene in E. Betti, Teoria generale del negozio giuridico, rist. corretta della II edizione (terza ristampa del 1960), Napoli, 1994, 356-363, alla p. 356 [le cui riflessioni in merito si rinvengono anche in Id., Interpretazione della legge e degli atti giuridici (Teoria generale e dogmatica) 2, Milano, 1971, 423-430]. Il rilievo, peraltro, è consueto nella migliore trattatistica; cfr. M.C. Tatarano, Il testamento, in Tratt dir. civ. Cons. Naz. Notariato, diretto da P. Perlingieri, sez. VIII, Successioni per causa di morte, 4, Napoli, 2003, 91-102, alla p. 91. M. Allara, Principi di diritto testamentario, cit., 177-178, indica l’art. 625 c.c. come unica norma generale che tratta dell’interpretazione testamentaria, mentre nel titolo III del libro II possono rinvenirsi plurime norme interpretative particolari (per una puntuale esemplificazione delle medesime si v. C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano2, cit., 484-485). Secondo l’insegnamento di A. Cicu, Testamento2, Milano, 1951, 119-121, alla p. 120. E. Betti, Teoria generale del negozio giuridico, cit., 326-332, discorre difatti di «un punto di rilevanza per il trattamento interpretativo – punto di rilevanza ermeneutica –, che il giurista interprete deve ricercare in una sede la quale è diversa secondo la struttura richiesta per l’efficacia giuridica del negozio» (corsivi dell’autore).
643
Giurisprudenza
non solo in virtù dell’unilateralità dell’atto o della gratuità della causa, ma soprattutto con riguardo alla natura mortis causa della disposizione, la quale è destinata a creare un rapporto successorio tra defunto ed erede istituito o legatario5. In questa prospettiva, lo stesso concetto di norma interpretativa subisce delle declinazioni differenti a seconda del fatto che l’accento sia posto sul risultato del processo ermeneutico o sui mezzi di cui l’operatore si avvale quando vi provvede6. Difatti, sul presupposto che la volontà testamentaria dovrebbe essere oggetto di ricerca in modo più penetrante rispetto a quanto consentito in materia contrattuale7, secondo il brocardo per cui in testamento voluntas testantis magis spectanda est, è necessario identificare i criterî mediante i quali è possibile ricostruirne compiutamente i tratti8. Le massime giurisprudenziali da tempo impongono tralatiziamente9 il ricorso all’art. 1362 c.c.10, con gli opportuni adattamenti, per l’interpretazione del testamento11, corredando questa indicazione dei riferimenti all’ambiente, alla cultura e alla personalità o mentalità del testatore12. In tale contesto, si è opportunamente precisato che l’interpretazione testamentaria ha senz’altro natura psicologica, ma essa deve comunque basarsi prevalen-
5
Così E. Betti, Teoria generale del negozio giuridico, cit., 359-360 (ma si v. anche le pp. 329-331). Ciò che, a seconda dell’ottica prescelta, conduce a risultati sistematici profondamente diversi; cfr. sul punto F. Ziccardi, Le norme interpretative speciali, Milano 1972, 81-153, alle pp. 134-135, nota 221. 7 G. Baralis, L’interpretazione del testamento, in Trattato succ. don. Rescigno2, vol. I, Padova, 2010, 989-1026, spec. 1003-1012, dà conto delle implicazioni relativo all’uso del metodo lessicale-psicologico per ricostruire la volontà del testatore, ossia il «fatto coscienziale» che si esprime nello scritto testamentario. Si vedano in tema, a titolo riassuntivo delle tendenze dottrinali e giurisprudenziali, F. Treggiari, Interpretazione del testamento e ricerca della volontà, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2001, 911-937, spec. 914-921; T. Bonamini, Volontà del testatore e principi di interpretazione del testamento, in Fam. e dir., 2014, 1079-1091 (nota a Cass, 30 maggio 2014, n. 12242, ivi, 1077-1079). L’interpretazione giudiziale come strumento volto ad attribuire la più ampia efficacia alla volontà del testatore, nell’ottica del rispetto dovuto al de cuius, è tratteggiata (alquanto enfaticamente) da C. Bahurel, Les volontés de morts. Vouloir pour le temps où l’on ne sera plus, LGDJ Lextenso Éditions, Issy-les-Moulineaux Cedex, 2014, pp. 83-99 (nn. 113-132). G. Bonilini, voce Testamento, in Dig. disc. priv., sez. civ., vol. XIX, Torino, 1999, 338-371, spec. 370-371, precisa che, nelle ipotesi in cui persista un considerevole dubbio, è preferibile ritenere che la disposizione testamentaria sia improduttiva di effetti, lasciando operare la successione legittima. Anche là dove l’interpretazione del testamento non lasci àdito a dubbî circa la volontà del testatore, non può farsi ricorso al principio di conservazione nelle sue diverse declinazioni al fine di attribuire comunque efficacia all’atto; cfr. in tal senso Cass., 22 aprile 2002, n. 5871, in Riv. not., 2003, 1038-1043, con nota di S. Vocaturo, La volontà del de cuius prevale sul principio di conservazione del testamento ad ogni costo, ivi, 1043-1045. 8 M. Allara, Principi di diritto testamentario, cit., 176-177, nega peraltro che l’interpretazione del testamento abbia un campo ed un’esplicazione più vasta rispetto ai negozî inter vivos, vigendo anche in quell’àmbito i medesimi principî di determinazione della fattispecie negoziale. 9 S. Deplano, L’interpretazione delle disposizioni testamentarie secondo un’innovata prospettiva d’indagine, in C. Cicero-G. Perlingieri (a cura di), Liber amicorum per Bruno Troisi, t. I, Napoli, 2017, 395-406, alla p. 400, nota condivisibilmente che sul punto «i repertori di legittimità danno conto di una stanca riproposizione di massime, del tutto simili tra loro, benché relative a fattispecie assai differenti». 10 Vigorosamente difeso da C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano2, cit., 489-490 (n. 687), secondo il quale nei testamenti per analogia e in applicazione della norma suindicata si deve indagare l’intenzione del testatore e avere riguardo al suo comportamento, anteriore e posteriore alla confezione dell’atto (in questa prospettiva, quindi, si deve tenere conto delle dichiarazioni non formali e degli atti compiuti dal testatore antecedenti e susseguenti alla redazione del testamento). 11 Atteggiamento giurisprudenziale risalente e bene espresso nelle pagine di P. Rescigno, Interpretazione del testamento, Napoli, 1978 (rist. inalt. di Napoli, 1952), 19-20. 12 Cfr. G. Bonilini, voce Testamento, cit., 371. Si v. in una particolare prospettiva A. Casazza, La vaghezza formale intensionale delle disposizioni testamentarie: i meri consigli, le implicature logiche e la multimodalità espressiva, in Riv. dir. priv., 2019, 255-284, spec. 277282. 6
644
Luigi Nonne
temente sul dato letterale, inteso con l’ausilio del dato logico-sintattico13. In particolare, il metodo lessicale-psicologico si articola in un processo dialettico che muove dal testo della scheda, letto e inteso in prima approssimazione sulla base del senso ordinario delle parole e poi reinterpretato nell’ottica degli usi linguistici particolari al de cuius14. Una volta accertati ad opera dell’interprete l’ambiente individuale di vita del testatore, le sue vicende personali (che comprendono abitudini e stili di vita) nonché i motivi e i fini precedenti e concomitanti rispetto alla determinazione volitiva da chiarire15, si procederà ad un raffronto tra la psicologia individuale del de cuius così ricostruita e il senso ricavabile dall’interpretazione letterale, corretta in base agli usi linguistici particolari. L’esito di un simile processo dialettico, allora, consisterà o nella conferma del senso dell’interpretazione letterale come sopra configurata alla luce dei risultati dell’interpretazione psicologica, ovvero nella scelta di quella tra le possibili interpretazioni letterali che si riveli maggiormente coerente con i suddetti risultati16. Escludendo il ricorso al concetto di negozio giuridico per fondare l’applicabilità diretta delle norme sull’interpretazione del contratto al testamento17, è nota, e si prospetta in termini ormai esausti, la polarizzazione delle opinioni18 che, con riferimento a queste norme,
13
Così F. Ziccardi, Le norme interpretative speciali, cit., 145. Cfr. A. Musatti, De verborum significatione (in tema di interpretazione di testamenti), in Foro it., 1949, I, cc. 705-709, in nota a Cass., 23 luglio 1948, n. 1214, ivi, cc. 705-710. 15 Secondo movenze e metodi risalenti nel tempo e bene illustrati nella pagina di H. Dernburg, L’interpretazione dei testamenti, in Rass. dir. civ., 1997, 703-713, spec. 705-706. Cfr. inoltre R. Calvo, L’interpretazione e l’integrazione della volontà, in R. Calvo - G. Perlingieri, Diritto delle successioni e delle donazioni, t. II2, Napoli, 2015, 1039-1053, spec. 1043-1047, la cui trattazione dell’ermeneutica testamentaria si fonda sul basilare principio di personalità del testamento e sul rilievo che, in materia testamentaria, non sussistono quegli interessi antagonistici i quali giustificano i pesi e contrappesi da cui è sorretto il meccanismo contrattuale, rilevando per contro, nel contesto de quo, l’attuazione della sola volontà del disponente. 16 Per questa descrizione si v. assai chiaramente G. Baralis, L’interpretazione del testamento, cit., 1005-1006. Un’applicazione concreta di tale prospettiva mi pare sia stata effettuata da Cass., 15 ottobre 2018, n. 25698, in questa rivista, 2019, 779-784, con nota di F.P. Patti, Interpretazione e conservazione degli effetti del testamento, ivi, 785-792, il quale sottolinea a tal proposito la coerenza tra la conservazione degli effetti testamentarî e l’attuazione dell’effettiva volontà del de cuius (cfr. in part. le pp. 789-792). 17 È il senso della revisione che P. Rescigno, Interpretazione del testamento, cit., passim e 181-211, ha condotto della teoria unitaria del negozio (e si v., riassuntivamente, le pp. 209-211, ove a supporto delle conclusioni raggiunte sono indicate la diversa soluzione per il contratto e per il testamento del problema del linguaggio, il diverso valore del principio conservativo, la rilevanza del motivo nel testamento e l’inammissibilità della convalida da parte del testatore). Strenuo assertore della non negozialità dell’atto testamentario, com’è noto, è N. Lipari, Autonomia privata e testamento, Milano, 1970, il quale chiarisce che la categoria del negozio giuridico non sorge come né costituisce un momento di passaggio per il procedimento analogico, al più rilevando come strumento di applicazione diretta di una normativa formalmente dettata per il contratto in funzione di una determinata ricostruzione tipologica del dato sociale (così a p. 5, nota 5, ove, proseguendo alle pp. 6 e 7, si dà conto della necessità di valutare se conservi o meno utilità un concetto di negozio come momento di mediazione tra il dato sociale del testamento, quale determinazione volitiva del privato che dispone per il tempo successivo alla propria morte, e la disciplina che il sistema giuridico costruisce con riguardo a tale dato). Recentemente G. Perlingieri, Invalidità delle disposizioni «mortis causa» e unitarietà della disciplina degli atti di autonomia, in Diritto delle successioni e della famiglia, 2016, 119-148, alla p. 120, ha peraltro evidenziato come molteplici questioni successorie debbano essere necessariamente risolte tenendo conto dei principî e delle regole presenti nella teoria generale del negozio e dell’obbligazione. 18 Un’esposizione assai efficace delle ricostruzioni (non solo) dottrinali sul tema dell’interpretazione testamentaria si rinviene in R. Carleo, L’interpretazione del testamento, in Trattato dir. succ. don. Bonilini, vol. II, La successione testamentaria, Milano, 2009, 1475-1537. Cfr., inoltre, l’ampia rassegna critica di U. Vincenti, L’interpretazione della volontà testamentaria, in Id. (a cura di), La ricostruzione della volontà testamentaria, Padova, 2005, 399-456. 14
645
Giurisprudenza
ne prospettano alternativamente il richiamo analogico19, o ne fondano l’estensione sul criterio di compatibilità in virtù del quale l’art. 1324 c.c. istituisce un nesso disciplinare tra contratto e atti unilaterali aventi contenuto patrimoniale (seppure nella dizione letterale della norma si precisi che, ai fini della sua applicazione, essi debbano avere efficacia inter vivos)20. Non sono mancate, inoltre, ricostruzioni lato sensu intermedie, che, partendo dalla necessità di isolare, nel procedimento analogico, il principio desumibile dalla norma a cui ci si riporta, ritengono che l’accertamento dell’identità di ratio si risolva nel procedere ad una verifica di concreta compatibilità – nel medesimo senso dell’art. 1324 c.c. – a fronte del caso specifico21. Peraltro, si è esattamente fatto notare che l’interpretazione del testamento, anche se effettuata mediante il ricorso a regole di interpretazione soggettiva od oggettiva22 ritratte dalla disciplina contrattuale23, presenta comunque carattere speciale, in quanto si discosta,
19
Secondo C. Grassetti, Interpretazione dei negozi giuridici “mortis causa„ (Diritto civile), in Noviss. dig. it., vol. VIII, pp. 907-909, spec. p. 908, l’applicazione analogica dell’art. 1362, 1° co., c.c. riguarda la prevalenza della intenzione sulla lettera, mentre essa è da escludere con riferimento al 2° co., atteso che difetta in questa ipotesi l’identità di ratio (l’autore è peraltro possibilista sulla rilevanza del comportamento del disponente anteriore o successivo alla redazione della scheda testamentaria, oltre che di elementi di interpretazione comunque desumibili aliunde e idonei a chiarire l’ambiguità della dichiarazione). N. Lipari, Autonomia privata e testamento, cit., 327-329, concorda con l’applicazione analogica da accertarsi sulla base dell’esame di ciascuno degli artt. 1362-1371 c.c., rilevando, peraltro, che tale procedimento costituisce un limite concreto alla rilevanza pratica del riferimento negoziale. Per l’estensione al testamento delle norme ermeneutiche contrattuali come analogia legis cfr. G. Giampiccolo, Il contenuto atipico del testamento. Contributo ad una teoria dell’atto di ultima volontà, Napoli, 2010 (rist. inalt. di Milano, 1954), 169-170; F. Ziccardi, Le norme interpretative speciali, cit., 82-83, in particolare per quanto riguarda le norme di interpretazione soggettiva e, principalmente, l’art. 1362 c.c.; (ma vedi infra in merito alla complessiva posizione di questo autore); M.C. Tatarano, Il testamento, cit., 94, la quale afferma la compatibilità delle norme sull’interpretazione dei contratti rispetto ai problemi posti dal testamento quando esse siano coerenti con i caratteri della unilateralità, esclusività, personalità e formalità del medesimo, nonché con l’esigenza di massimo rispetto della volontà del testatore. In giurisprudenza cfr. Cass., 6 dicembre 1978, n. 5775, in Giust. civ., 1979, I, 200-204, sulla inapplicabilità per analogia delle norme in materia di donazioni (segnatamente, l’art. 770 c.c.) alle liberalità testamentarie. 20 Così C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano2, cit., alle pp. 488-489 (n. 686), il quale, peraltro, curiosamente lega le due diverse tecniche dell’applicazione analogica e dell’estensione per compatibilità, argomentando che le norme sull’interpretazione del contratto, in virtù dell’art. 1324 c.c., «sono anche applicabili, per analogia, in quanto compatibili, all’interpretazione dei testamenti, che sono anche essi atti unilaterali di contenuto normalmente patrimoniale, sia pure a causa di morte». Una severa critica a tale impostazione si rinviene in N. Lipari, Autonomia privata e testamento, cit., 327-328, nota 85. Cfr. anche P. Rescigno, Interpretazione del testamento, cit., 19, secondo il quale il procedimento da seguire, analogo a quello imposto espressamente dalla legge ai sensi dell’art. 1324 c.c., deve basarsi sulla compatibilità con la natura del testamento. Si v. inoltre F. Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile9, Napoli, 2012 (rist. di Napoli, 1966), 233-236, spec. 233. S. Pagliantini, Causa e motivi del regolamento testamentario, Napoli, 2000, 185-190, seppure nel diverso àmbito della possibile applicazione al testamento delle norme contrattuali in tema di invalidità, valorizza a questo fine il ricorso all’art. 1324 c.c.; tale norma, nel pensiero dell’autore, esemplificherebbe un procedimento operativo in base al quale, stante un regime normativo, organico ed unitario, comune ai contratti e agli atti unilaterali tra vivi, la previsione di una disciplina comune si giustifica per l’appartenenza delle due species al medesimo genus negoziale, ricorrendosi al canone della compatibilità per escludere l’applicazione di quelle disposizioni in materia di contratto che contraddicano alla tipologia degli atti unilaterali. Sulla scorta di un siffatto corpus normativo, proprio del negozio, non vi sarebbero ostacoli ad un’applicazione analogica della normativa contrattuale al testamento (ma vedasi sul punto supra nota 17). 21 In quest’ottica si muove M. Bin, La diseredazione. Contributo allo studio del contenuto del testamento, Torino, 1966, 180-185, spec. 182. 22 Su queste ultime cfr. G. Oppo, Profili dell’interpretazione oggettiva del negozio giuridico, in Scritti giuridici, vol. III, Obbligazioni e negozio giuridico, Padova, 1992 (rist. di Bologna, 1943), 137-153, la cui analisi si incentra in particolare modo sul favor testamenti rinvenuto nell’art. 1367 c.c. e sul favor debitoris di cui all’art. 1371 c.c. 23 Cfr. P. Rescigno, Interpretazione del testamento, cit., 19-24, secondo il quale la verifica puntuale circa l’applicabilità delle norme interpretative contrattuali in materia testamentaria costituisce un esito della difficoltà a risolvere il problema dell’interpretazione,
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più o meno sensibilmente, dall’ermeneutica generale che rinviene la sua sedes materiae nella suddetta disciplina24. È altresì acquisita allo stato della dottrina l’ottica che, invece, prescinde dai riferimenti al contratto e ricava le medesime regole di interpretazione testamentaria declamate dalla giurisprudenza non in base al richiamo dell’art. 1362 c.c.25, ma mediante la valorizzazione delle previsioni, come l’art. 588, comma 2° e l’art. 625 c.c.26, le quali costituiscono indice univoco della necessità di indagare, al di là del senso letterale delle parole, l’effettiva e concreta volontà manifestata dal de cuius nella sua pianificazione successoria27. In specie, l’art. 588, 2° co., c.c. prescriverebbe un approfondimento dell’aspetto psicologico e volontaristico della dichiarazione28 di intensità superiore rispetto al canone di ricerca della in-
che conduce, allora, ad uno sforzo sistematico meno impegnativo della revisione della teoria del negozio. Si v. inoltre G. Baralis, L’interpretazione del testamento, cit., 992-1003, il quale, nell’ipotizzare il ricorso analogico agli artt. 1362-1371, esclude per ciascuna di tali previsioni l’applicabilità al testamento; contra P. Costanzo, L’interpretazione del testamento attraverso le norme sulla interpretazione del contratto, in Giust. civ., 1994, I, 3185-3199 (in nota a Cass., 28 dicembre 1993, n. 12861, 3183-3185), spec. 3190, note 21 e 23 (una replica, sostanzialmente fondata su argomenti ad personam, in G. Baralis, op. cit., 1002, nota 52). 24 Così F. Ziccardi, Le norme interpretative speciali, cit., 85. Cfr. in questa prospettiva G. Perlingieri, La revocazione delle disposizioni testamentarie e la modernità del pensiero di Mario Allara. Natura della revoca, disciplina applicabile e criterio di incompatibilità oggettiva, in Rass. dir. civ., 2013, 739-796, spec. 759-760, il quale, nel ripercorrere la problematica applicazione dell’art. 1362 c.c. al testamento e alla relativa revoca, con particolare riguardo agli elementi extratestuali richiamati nella suddetta previsione, fa notare come, a differenza del contratto, in cui il ricorso a dati estrinseci è automatico e immediato in vista della tutela dell’affidamento, in presenza di una o più disposizioni testamentarie tale ricorso è possibile ma non immediato e diretto, poiché esso dipende dalla presenza nel testo negoziale di indizî ed elementi tali da giustificare il riferimento al c.d. contesto situazionale (ossia, alle circostanze nelle quali l’atto è stato realizzato). 25 Richiamo che, peraltro, si estende alla totalità delle regole della c.d. interpretazione soggettiva (quindi anche agli artt. 1363 sull’interpretazione sistematica, 1364 per l’interpretazione restrittiva e 1365 in materia di interpretazione estensiva). A tali norme, in particolare, è stato attribuito un àmbito di utilizzazione generale (potendosi, cioè, farvi ricorso per interpretare ogni testamento e tutto il testamento), a differenza di previsioni come gli artt. 1368 e 1369 c.c., le quali si presentano come contributi solo parziali alla ricostruzione ermeneutica testamentaria, in quanto la prima presuppone la presenza di regole interpretative di natura consuetudinaria, mentre l’altra si riferisce solo ad alcune clausole e non al complesso dell’atto. Così F. Ziccardi, Le norme interpretative speciali, cit., 94-95. 26 Si v. E. Perego, Interpretazione del testamento e norme sull’interpretazione dei contratti, in Foro pad., 1970, I, cc. 547-556 (il quale prende spunto da Cass., 5 febbraio 1969, n. 368), spec. cc. 549-552, che, proprio con riferimento alle previsioni di cui agli artt. 588, 2° co., e 625 c.c., ne afferma la piena corrispondenza con le regole che devono presiedere alla interpretazione del testamento, risultando così fuori luogo l’abituale richiamo all’art. 1362 c.c. Cfr. inoltre Id., Favor legis e testamento, Milano, 1970, 150-160, ove le norme in discorso, esaminate nella prospettiva del favor testamenti, sono ritenute estranee alla medesima. Difatti, sia l’art. 588, 2° co., c.c., consentendo l’accertamento di una volontà contrastante con la formula attraverso la quale è stata espressa, come anche l’art. 625 c.c., enunciando un principio – ossia il fatto che l’errore sull’identità della persona o sull’oggetto sia suscettibile di correzione – ammesso in via generale dalla teoria del negozio giuridico, non si giustificano nei termini di un particolare favore per la volontà testamentaria. 27 È il senso dell’indagine, ampia e assai avveduta sotto il profilo della teoria generale dell’interpretazione (non solo giuridica), di G. Baralis, L’interpretazione del testamento, cit., il quale, premessa la definizione del testamento in termini volontaristici contenuta nell’art. 587 c.c., indica, tra le norme rilevanti, oltre agli artt. 588, 2° co., e 625 c.c., anche gli artt. 734, 2° co., 624, 2° co., 626, 628, 647, 3° co., 648, 651, 652, 656 (pp. 989-990). 28 E. Betti, Teoria generale del negozio giuridico, cit., 357, rileva che, sotto il profilo metodologico, l’interpretazione in base all’art. 588, 2° co., c.c. è tendenzialmente individuale, poiché deve ricercare nelle espressioni e nei comportamenti il significato più aderente al modo di vedere personale del disponente, quale si desume, oltre che dalla sua cultura e dalle relative abitudini, anche dalle circostanze accidentali del caso concreto. Si v. inoltre L. Mengoni, L’istituzione di erede «ex re certa» secondo l’art. 588, comma 2°, c.c., in Riv. trim. dir. proc. civ., 1948, 740-768, spec. 758-759, ove l’Autore sposa l’idea del ricorso a qualunque mezzo di prova consentito in materia testamentaria per sciogliere il dubbio circa la natura della disposizione (se, allora, a titolo universale o particolare). Secondo G. Amadio, L’oggetto della disposizione testamentaria, in Trattato succ. don. Rescigno2, cit., 961-988, spec. 966-970, l’art. 588, 2° co., c.c., costituisce una norma interpretativa speciale, in relazione alla quale il legislatore prescrive l’approfondimento dell’indagine volontaristica, finalizzandola secondo un modello di interpretazione teleologica a scopo prefissato, estraneo alla libertà dei fini del canone esegetico di cui all’art. 1362, 1° co., c.c.
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tenzione dei contraenti che suggerisce la ratio dell’art. 1362 c.c.29; quanto all’art. 625 c.c.30, ad esso si attribuisce il cómpito di indicare come comprendere (ossia, come interpretare) un’espressione del testatore che, altrimenti, non avrebbe alcun significato31. In entrambe le ipotesi normative suindicate i mezzi ai quali può attingere l’operatore chiamato ad attribuire un senso alla disposizione del de cuius sono rinvenibili anche al di fuori del contesto testamentario32. Le massime giurisprudenziali, seguendo questa impostazione, sono sostanzialmente mentitorie, in quanto il richiamo all’art. 1362 c.c. è privo di una reale valenza prescrittiva, trattandosi, per contro, di fare uso delle regole ermeneutiche ricavabili dal complesso della disciplina testamentaria (il che, peraltro, non sarebbe meno fondato sotto il profilo sistematico della costruzione di una norma ermeneutica, la quale esigerebbe, in base alla
Per una rilettura del capoverso dell’art. 588 c.c. come norma sull’interpretazione, si v. V. Barba, Istituzione ex re certa e divisione fatta dal testatore, in Riv. dir. civ., 2012, 53-103, spec. 55-61. Cfr. inoltre Cass., 26 ottobre 1972, n. 3282, in Foro. pad., 1974, I, cc. 126-131, con nota di F. Prandi, Interpretazione del testamento, rilevanza dei motivi e institutio ex re certa, cc. 125-130, e, recentemente, Cass., 5 marzo 2020, n. 6125 (ord.), in Familia, 2020, 351-354, con nota di F. Meglio, Sui rapporti tra erede ex re certa e legatario: la scheda testamentaria quale caput et fundamentum dell’ermeneutica, ivi, pp. 355-366. Per la giurisprudenza di merito si v. Trib. Cagliari, 22 maggio 2001, in Riv. giur. sarda, 2002, 391-393, con nota di C. Cicero, L’interpretazione del testamento tra norme interpretative speciali e norme sull’interpretazione del contratto, 393-396. 29 In tal senso F. Ziccardi, Le norme interpretative speciali, cit., 100, che, con specifico riguardo all’utilizzo del materiale extratestuale per identificare la natura della disposizione testamentaria ai fini della norma in questione, rileva come l’individuazione di un lascito di quota risultante da un lascito di res certa sulla base del solo contesto testamentario appaia decisamente problematica. 30 La relativa previsione era già contenuta nell’art. 836 del c.c. abr. del 1865; cfr. L. Cosattini, Divergenza fra dichiarazione e volontà nella disposizione testamentaria, in Riv. dir. civ., 1937, 403-463, alle pp. 447-451 (capo III). In giurisprudenza, per una casistica particolare, si v. B. Grazzini, Quando il chiamato all’eredità ha un omonimo. Determinabilità dell’istituito e questioni di ermeneutica testamentaria, in Fam. e dir., 2013, 977-982 (nota a Cass., 11 aprile 2013, n. 8899). V. Pietrobon, L’errore nella dottrina del negozio giuridico, Padova 1963, 474-481, spec. 478-479, esclude che l’art. 625 c.c. costituisca, nell’àmbito dell’interpretazione, un indice dell’accoglimento in materia testamentaria del principio volontaristico, in quanto la possibilità di ricercare la volontà del testatore altrimenti rispetto al contenuto dell’atto non è diversa da ciò che si riscontra nell’art. 1362 c.c., là dove la comune intenzione può essere identificata non solo mediante la comune dichiarazione, ma anche con riferimento alle circostanze, pure comuni, che hanno preceduto o accompagnato quest’ultima. Cfr. inoltre la recente indagine di A. Venturelli, L’indicazione falsa o erronea nell’esecuzione della volontà testamentaria, Torino, 2020, 265-278, spec. 270-271, ove si connette la regola ermeneutica evocata dall’art. 625 c.c. ai principî ricavabili dagli artt. 1362, 1363 e 1367 c.c., così giustificandone indirettamente l’applicazione analogica. 31 F. Ziccardi, Le norme interpretative speciali, cit., p. 109, il quale, inoltre, specifica che partecipano della medesima funzione gli artt. 651 e 652 c.c., anche se i dati estranei ai fini di tali norme ai quali fare ricorso per chiarire la disposizione testamentaria, a differenza di quanto prescrive la più aperta disposizione di cui all’art. 625, sono limitati. Secondo G. Baralis, L’interpretazione del testamento, cit., 1022-1023, l’art. 625 c.c. costituirebbe la norma cardine in materia di ermeneutica testamentaria, suscettibile inoltre di interpretazione estensiva. 32 L. Ferri, L’autonomia privata, Milano, 1959, 141-148, spec. 144-146, osserva peraltro che l’art. 625 c.c., nell’autorizzare l’interprete ad accertare anche altrimenti rispetto al testo il punto di imputazione soggettivo dell’attribuzione testamentaria, presuppone anzitutto un’interpretazione sistematica del testamento al fine di colmare la lacuna derivante dall’errore ostativo in cui è incorso il disponente; anche là dove si debba poi prescindere dalla dichiarazione testamentaria, insufficiente a tale scopo, per ricercare in dati estrinseci la volontà del testatore, questa non può essere intesa in senso soggettivo, come “volontà reale”, ma pur sempre va indagata la “volontà negoziale”, all’esito di una ricostruzione del contenuto (del senso) del negozio. Peraltro, l’interpretazione extratestuale può palesarsi anche come obbligatoria, e non meramente eventuale come si verifica per le norme indicate nel testo, là dove, ad esempio nell’art. 682 c.c. in tema di revoca del testamento per incompatibilità con altro atto mortis causa posteriore, si attribuisca rilevanza ermeneutica diretta ad elementi peculiari estranei alla scheda da interpretare, con una contemporanea limitazione del dato extratestuale rilevante (il testamento incompatibile) e con un particolare scopo (la revoca per incompatibilità) impresso all’operazione ermeneutica. Per questo rilievo si veda F. Ziccardi, Le norme interpretative speciali, cit., 149, ove opportune esemplificazioni. La stessa norma, comunque, può giustificare un’indagine interpretativa di particolare complessità, là dove la volontà testamentaria debba essere ricercata in più documenti non incompatibili ma complementari, come rileva assai efficacemente G. Bonilini, voce Testamento, cit., 371.
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citata disposizione contrattuale, molteplici adattamenti idonei a mutarne la consistenza tanto profondamente, per risultare coerente alle peculiarità del testamento, da dare luogo ad una previsione del tutto nuova)33. Tuttavia, dell’art. 588, 2° co., c.c. si è negata la natura interpretativa34, in base al rilievo che il disposto di tale norma impone esclusivamente di valutare il dato per cui i beni devoluti dal testatore sono intesi come frazione dell’asse35, ovvero se ne è circoscritta la funzione alla disciplina della fattispecie interpretativa avente ad oggetto un’eventuale institutio ex re certa36. Anche dell’art. 625 c.c. si è esclusa la natura di norma ermeneutica, in quanto la funzione correttiva che essa esplica è estranea al concetto di interpretazione37. Non è mancato chi, rinnovando una prospettiva risalentemente accolta38, ha configurato gli artt. 1362-1371 c.c., pur riconoscendone la natura normativa, come meri epifenomeni di regole logiche, pertanto liberamente transitabili in ámbiti differenti da quelli in cui li ha collocati il legislatore, e ciò a prescindere dai requisiti dell’applicazione analogica indicati negli artt. 12, 2° co., e 14 disp. prel. c.c. In particolare, l’applicazione delle previsioni relative all’ermeneutica contrattuale nel campo testamentario dovrebbe condursi non tanto sul piano dei nessi e della compatibilità fra la formulazione letterale della regola interpretativa e le peculiarità dell’atto mortis causa, quanto piuttosto fra queste ultime e il canone logico originario desumibile dalla suddetta regola39. In una diversa ottica, infine, si collocano quanti ritengono che, una volta indicata come oggetto dell’indagine interpretativa la disposizione di ultima volontà e dato conto che quest’ultima mira a chiarire, essendone influenzata, la funzione e gli interessi meritevoli di tutela che connotano la singola clausola testamentaria, l’interprete, lungi dall’incentrare l’analisi in via esclusiva sulle singole regole ermeneutiche dettate per il contratto, per vagliarne l’applicazione al testamento40, è tenuto ad identificare lo statuto normativo di
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In termini generali sia consentito rinviare al mio Le disposizioni rafforzative della volontà testamentaria, Napoli, 2018, 22-23, dove ho evidenziato come l’opzione più sicura sotto il profilo della compatibilità con il sistema consista nella ricerca, tra le pieghe della disciplina testamentaria, di modelli qualificatorî che possano dare conto della peculiare configurazione assunta dalla volontà del testatore nelle relative disposizioni. Ne consegue che solo qualora una siffatta indagine non conducesse a risultati proficui, soccorrerebbe, là dove coerente alla ratio legis che informa lo strumento testamentario, la disciplina contrattuale. 34 Secondo N. Lipari, Autonomia privata e testamento, cit., 337-338, è da escludere che l’art. 588, 2° co., autorizzi l’indagine interpretativa su un contenuto negoziale, in quanto, ai fini della relativa operatività, rileva la corrispondenza tra un contenuto tipico e l’astratta categoria di effetti che l’ordinamento vi ricollega. 35 In questi termini Cass., 31 dicembre 2018, n. 13868, con nota adesiva di G. De Donno, Interpretazione del testamento e institutio ex re certa, in www.giustiziacivile.com, appr. 21 febbraio 2019, 1-17. 36 Così ancóra F. Ziccardi, Le norme interpretative speciali, cit., 103. 37 È l’esito dello studio di L. Mengoni, Interpretazione del negozio e teoria del linguaggio (note sull’art. 625 c.c.), in Jus, 1989, 3-15, spec. 7-11. Si v. anche N. Lipari, Autonomia privata e testamento, cit., 339-340, secondo il quale, con riferimento alla suddetta norma, deve escludersi la diretta applicabilità delle regole sull’interpretazione, trattandosi, nel caso di specie, di rilevanza attribuita ad una «volontà» astratta e non della misura in cui quest’ultima risulti calata nel contesto dell’atto. 38 Cfr. F. Carresi, Il contratto, in Trattato di diritto civile e commerciale Cicu-Messineo, vol. XXI, t. 2, Milano, 1987, 517-522, spec. 520. 39 In tal senso F. Ziccardi, Le norme interpretative speciali, cit., 85-86 e, più recentemente, riprendendone le riflessioni, P. Costanzo, L’interpretazione del testamento attraverso le norme sulla interpretazione del contratto, cit., 3193-3194. 40 Cfr. sul punto C. Grassetti, Interpretazione dei negozi giuridici “mortis causa” (Diritto civile), cit., 908, là dove pone l’accento sulla necessità di analizzare ogni singola disposizione inerente all’ermeneutica contrattuale, al fine di saggiarne l’applicabilità analogica per il testamento.
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una singola successione, dettata dal singolo testatore mediante una o più disposizioni. Di quest’ultime, pertanto, occorrerà individuare la specifica natura e funzione, al fine di ricostruirne il regime disciplinare41. Facendo applicazione di tale avviso metodologico, allora, là dove, ad esempio, la forma testamentaria prescelta dal disponente sia quella dell’olografo, l’approccio soggettivo dovrà essere più intensamente condotto, atteso che, per contro, il testamento pubblico, per il vaglio tecnico notarile che lo contraddistingue, potrà sottoporsi ad un’indagine maggiormente attenta ai profili oggettivi della dichiarazione42.
3. La problematica distinzione tra mezzo ermeneutico e strumento di integrazione del testamento.
Il problema affrontato in questa sede esige poi di verificare l’ammissibilità e i limiti del ricorso ad elementi estranei al documento testamentario per chiarire il senso della volontà manifestata dal de cuius43. Dati estrinseci rispetto alla scheda testamentaria, tramite i quali può più puntualmente definirsi il significato delle disposizioni in essa contenute, sono la cultura, la mentalità, le abitudini espressive e l’ambiente di vita del testatore, che svolgono il cómpito, partendo da un univoco addentellato testuale44, di consentire il pieno svolgimento del pensiero del de cuius. È pacifico, secondo quanto affermato anche nella sentenza in esame, che il ricorso ad atti o circostanze ulteriori e diversi rispetto al testamento è severamente precluso quando mediante essi si tenda ad inserirvi elementi non risultanti dalla scheda (ad esempio, una condizione o, come nel caso di specie, un modus), ovvero per validarne i contenuti invalidi o viceversa45. Tuttavia, ci si chiede se sia possibile tramite tali dati attribuire alla disposizione testamentaria un significato diverso da quello risultante dal testamento (da intendersi allora, come senso precipuamente letterale), ovvero anche estendere o ridurre tale significato46.
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Così S. Deplano, L’interpretazione delle disposizioni testamentarie secondo un’innovata prospettiva d’indagine, cit., 406. Come sottolinea A. G. Cianci, voce Interpretazione del testamento, in S. Patti-P. Sirena, Diritto civile. Famiglia successioni e proprietà, Milano, 2008, 424-426, alla p. 426. 43 Cfr. L. Ferri, L’autonomia privata, cit., 141, il quale, nell’ottica di evidenziare la coincidenza tra volontà del testatore e significato delle tavole testamentarie come oggetto di ricerca dell’interprete, sottolinea che la natura di negozio formale dell’atto mortis causa implica, come unica funzione attribuibile agli elementi estrinseci rispetto alla dichiarazione scritta, quella di agevolare l’interpretazione di quanto contenuto nell’atto. Cfr. anche, per una chiara indicazione in tal senso, F. Meglio, Sui rapporti tra erede ex re certa e legatario: la scheda testamentaria quale caput et fundamentum dell’ermeneutica, cit., 366. 44 L’espressione, assai nota, si rinviene in E. Betti, Teoria generale del negozio giuridico, cit., 357, ove, per i fini ermeneutici del testamento, si precisa per l’appunto la necessità di riferirsi a «circostanze esteriormente riconoscibili, nella cerchia sociale del disponente, mercé illazioni dettate dalla comune esperienza». 45 Così, molto chiaramente, F. Ziccardi, Le norme interpretative speciali, cit., 108. 46 Secondo C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano2, cit., 503-504 (n. 700), in tutte le ipotesi sopra menzionate dovrebbe negarsi il riferimento ai dati estrinseci. 42
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Anche sotto questo profilo si registra un contrasto tra chi afferma che il ricorso ad elementi estrinseci sia ammesso solo là dove si tratti di sciogliere talune ambiguità espressive47 e quanti, per contro, ritengono che il materiale extratestamentario debba comunque indagarsi anche là dove la volontà del testatore risulti apparentemente non ambigua48. I fautori del secondo indirizzo, in particolare, ritengono necessario distinguere il problema della solennità della dichiarazione, richiesta dagli artt. 601 e 606 c.c., da quello inerente alla prova che una certa volontà è stata solennemente dichiarata. Con riferimento a quest’ultimo punto, si è ipotizzato il ricorso all’applicazione analogica dell’art. 2724 c.c., concernente il principio di prova per iscritto; difatti, se il principio di prova per iscritto rileva nell’ipotesi in cui la legge esige la formalità probatoria di una determinata dichiarazione, in modo che questa possa essere integrata da altri strumenti di prova, allora, anche quando la legge richiede che la prova risulti dall’atto scritto testamentario, nel momento in cui questo sussiste ma permane oscuro o ambiguo, potrà ricorrersi a prove diverse per integrare la volontà, la quale, comunque, è stata formalmente dichiarata. Ne consegue che: i) è possibile il ricorso a elementi estrinseci al testamento volti a chiarire il significato della volontà dichiarata dal testatore, pur se questa appaia chiara; ii) argomenti interpretativi possono essere desunti anche da dichiarazioni di volontà del testatore estranee al testamento, così da fare prevalere uno tra i possibili significati delle espressioni alle quali è ricorso il de cuius; iii) i criterî di interpretazione del testamento possono essere gerarchicamente ordinati, limitando anzitutto l’indagine extratestamentaria alla ricerca del significato che il testatore attribuiva ai termini usati, per cui solo qualora questa indagine risulti insufficiente per ricostruire la disposizione di ultima volontà si potrà trarre argomento da altre manifestazioni volitive del disponente49. Quanto ora esposto consente di evocare la distinzione tra procedimento interpretativo e integrazione degli effetti testamentarî50, in relazione alla quale è discusso il ruolo della c.d. interpretazione integrativa51; essa, in effetti, si colloca in una zona grigia ove l’assenza
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Si v. F.S. Azzariti-G. Martinez-G. Azzariti, Successioni per causa di morte e donazioni7, Padova, 1979, 409-412, in part. 411, per i quali, facendo applicazione dell’art. 625 c.c., è indubbiamente possibile, analogamente a quanto si verifica per gli atti inter vivos, ricorrere ad elementi extratestuali al solo scopo di rimuovere ambiguità e incertezze nella ricostruzione della voluntas testatoris, quando essa non può desumersi con sicurezza dalle espressioni adoperate nel testamento. Anche A. Cicu, Testamento2, cit., 119, pare supportare questa lettura, precisando che «non v’è d’altra parte ragione di non tenere conto di ogni elemento estraneo allo scritto per chiarire lo scritto». 48 Per questa opinione rinvio a P. Trimarchi, Interpretazione del testamento mediante elementi ad esso estranei, in Giur. it., 1956, I, 1, cc. 445-450, alla c. 450 (in nota a Cass., 5 marzo 1955, n. 652, ivi, cc. 446-452). Cfr. altresì, recentemente, G. Musolino, L’interpretazione del testamento fra norme generali sul negozio giuridico e criteri estrinseci alla scheda testamentaria, in Riv. not., 2019, II, 430-437 (nota a Cass., 7 maggio 2018, n. 10882, ivi, 425-430). Decisamente persuasive sul punto le documentate notazioni di A. Venturelli, L’indicazione falsa o erronea nell’esecuzione della volontà testamentaria, cit., 74-95, il quale argomenta diffusamente l’utilizzabilità del materiale extratestuale anche in assenza di ambiguità od oscurità espressive della scheda testamentaria. 49 Così P. Trimarchi, Interpretazione del testamento mediante elementi ad esso estranei, cit., c. 450. 50 Pur se taluni si riferiscono indifferentemente all’interpretazione e all’integrazione (condotta su base oggettiva); così A. Cicu, Testamento2, cit., 119. 51 Con ciò che ne consegue sul piano dell’efficacia: cfr. M. Allara, Principi di diritto testamentario, cit., 184-185, ove si osserva che la presenza di una norma interpretativa presuppone la mancata corrispondenza tra gli effetti della disposizione testamentaria e la dichiarazione negoziale, mentre là dove si rinvenisse una norma integrativa questa si giustifica per la mancata corrispondenza tra
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(parziale) e la (conseguente) ambiguità della volizione trovano un punto di svolta nello sviluppo della intentio testatoris, che non ha rinvenuto nella formula negoziale l’occasione del suo pieno svolgimento52, ovvero, volendosene fornire una nozione più strettamente legata al contesto di origine – la ergänzende Testamentsauslegung di matrice tedesca – che non ha previsto in tale formula i meccanismi di adattamento a sopravvenienze suscettibili di alterare la situazione di fatto posta a base delle disposizioni mortis causa53. Più puntualmente, il presupposto di un’integrazione del testamento è la parziale indeterminatezza della voluntas testatoris, la quale, si insegna, va riguardata sia sotto il profilo strettamente volitivo, sia con riferimento alla dichiarazione con cui si manifesta. Si è allora articolata una distinzione tra: i) funzione interpretativa della legge, che, a fronte di una dichiarazione incompleta ma in presenza di una volontà priva di lacune, elimina le incertezze sugli effetti della disposizione testamentaria; ii) funzione integrativa in senso stretto, per cui, se all’assenza effettiva della dichiarazione corrisponde in via ipotetica la mancata volontà, il legislatore interviene in via additiva inserendo gli elementi mancanti e consentendo l’efficacia dell’atto; iii) funzione integrativa in senso lato, o interpretazione integrativa, là dove, all’assenza di dichiarazione e volontà attuali, corrisponda l’esistenza di tali elementi in via ipotetica, in modo che, se il testatore avesse conosciuto o previsto lo stato di fatto contemplato dalla norma, avrebbe disposto secondo quanto da essa indicato54. Un ruolo dialettico in questa sistematica può essere attribuito agli artt. 628, da un lato, e 629, 630 e 631 c.c., dall’altro lato55. Con riferimento all’art. 628 c.c., in materia di nullità della disposizione a favore di persona che sia indicata in modo da non potere essere determinata56, questo costituisce, nella duplicità delle fattispecie che disciplina, un paradigma efficacemente descrittivo delle diverse ipotesi di interpretazione e integrazione.
i suddetti effetti e, al contempo, gli elementi dichiarativo e volitivo. Quando, invece, la previsione di legge esplica una funzione di interpretazione integrativa, agli effetti non corrispondono gli elementi dichiarativo e volitivo attuali del negozio. 52 Cfr. A. Trabucchi, Il rispetto del testo nell’interpretazione degli atti di ultima volontà, in Scritti giuridici in onore di Francesco Carnelutti, vol. III Diritto privato, Padova 1950, 687-709, alla p. 703. 53 Si v. A. Venturelli, L’indicazione falsa o erronea nell’esecuzione della volontà testamentaria, cit., 96-108, il quale, nel disegnare i limiti dell’interpretazione integrativa in materia testamentaria con puntuale ricostruzione dei diversi indirizzi dottrinali, osserva perspicuamente che, se il presupposto dal quale deve necessariamente prendere le mosse un’attività ermeneutica con funzione integrativa è dato dalle lacune rinvenibili nel precetto negoziale, ciò si pone in contraddizione con l’indagine interpretativa, poiché là dove vi è una lacuna manca l’oggetto dell’interpretazione. Ne consegue che l’espressione “interpretazione integrativa” è fuorviante e pericolosa, poiché può confondere piani dell’analisi giuridica che dovrebbero mantenersi nettamente distinti (così in part. la p. 102). 54 Per questa tripartizione si v. M. Allara, Principi di diritto testamentario, cit., 181-184, spec. 182-183, il quale, peraltro, sottolinea opportunamente come lo schema in oggetto, seppure chiaro sul piano delle formule dottrinarie, lo è assai meno sotto il profilo pratico, trattandosi di accertare se l’efficacia disposta dalla norma corrisponda o meno alla volizione non dichiarata o ipotetica del testatore. 55 Ne esclude la natura interpretativa N. Lipari, Autonomia privata e testamento, cit., 340-342. 56 Cfr. sul punto A. Giordano Mondello, Il testamento per relazione. Contributo alla teoria del negozio per relationem, Milano, 1966, 145-146, il quale distingue, nell’àmbito della norma, tra relatio determinativa, che rinvia alla fonte esterna per la individuazione del designato, e relatio meramente esplicativa, là dove il mezzo estrinseco svolge la funzione di chiarire all’esterno un’individuazione perfettamente operata dal testatore; si v. anche, più recentemente, M. Grondona, Le disposizioni a favore di persona incerta e il problema della trasparenza testamentaria, in S. Pagliantini e A.M. Benedetti, Profili sull’invalidità e la caducità delle disposizioni testamentarie. Saggi, Napoli, 2013, 157-178, spec. 159-173, ove un’ampia e ragionata casistica in merito agli artt. 628, 629 e 630 c.c.
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Là dove, difatti, la norma preveda la determinazione da parte del testatore, essa si risolve in una scelta compiuta da quest’ultimo che, risultando dal testo, ha i caratteri della completezza, senza che ciò sia precluso dal ricorso, per individuarne i contorni, a mezzi extratestuali; l’uso di tali mezzi, in effetti, è compatibile sia con il formalismo del negozio sia con la immediata determinazione del contenuto dell’effetto. Ne consegue, anzitutto, che l’àmbito della determinazione coincide con l’àmbito della interpretazione del negozio e, inoltre, che l’esito della determinazione può essere dichiarato con segni facenti rinvio a circostanze estrinseche, i cui caratteri non ripugnano né al formalismo testamentario né allo stesso concetto di determinazione57. Diversamente, nel caso di indicazione, il disponente rinvia ad altra fonte determinativa, diversa dal testamento ma da questo predisposta. Il ricorso all’esterno, pertanto, non riguarda il mezzo per interpretare ma un evento ulteriore, necessario per completare il testo che si palesa insufficiente in ordine al contenuto dell’effetto. La dialettica tra fonte negoziale indicativa e fonte esterna determinativa si risolve nell’integrazione dell’atto testamentario da parte di quest’ultima ai fini della produzione dell’effetto, sì che entrambe costituiranno oggetto di analisi ermeneutica58. In tale ultimo caso, peraltro, l’integrazione non avviene per previsione di legge, ma nell’àmbito della stessa voluntas testatoris, la quale, lungi dall’essere insufficiente, si rivela lacunosa nella dichiarazione ma completa nel contenuto; conseguentemente, essa sfugge alla tripartizione sopra illustrata in virtù dei suoi caratteri extralegali (nel senso che, pur menzionato dal legislatore, il congegno integrativo è rimesso al disponente, senza che la norma svolga alcun ruolo nel colmare eventuali lacune delle relative previsioni). Per quanto concerne gli artt. 629, 630 e 631 c.c., relativi, rispettivamente, alla qualifica formale delle disposizioni generiche a favore dell’anima come oneri gravanti sull’erede o sul legatario, all’individuazione del concreto beneficiario delle disposizioni generiche a favore dei poveri e, infine, al titolare dell’arbitrium tra i potenziali legatarî designati per relationem dal testatore, essi sono ricondotti all’integrazione del testamento in senso proprio, ossia nel senso con cui l’espressione è utilizzata, nella disciplina del contratto, dall’art. 1374 c.c. Tale conclusione, in specie, non si giustifica in virtù del fatto che le succitate disposizioni contribuiscono a rendere efficace la manifestazione dell’autonomia privata del testatore, ma in quanto, a tale scopo e pur sulla base di differenti presupposti, esse si sostanziano in una forma di intervento dell’autorità pubblica sugli effetti di un atto privato analoga a quello operato dalla norma sull’integrazione contrattuale (e dalle regole specifiche ad essa ricollegabili)59.
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Si tratta della nota e suggestiva ricostruzione di N. Irti, Disposizione testamentaria rimessa all’arbitrio altrui. Problemi generali, Milano, 1967, 189-197, in part. 189-193. 58 N. Irti, Disposizione testamentaria rimessa all’arbitrio altrui. Problemi generali, cit., 194-197, il quale precisa che la indicazione (o posizione del congegno determinativo) completa la struttura del negozio, per cui, oltre a non esservi coincidenza tra quest’ultimo e la fonte determinativa, tale fonte rientra in una categoria dogmatica autonoma (si v., riassuntivamente, la p. 197). 59 Tale perspicuo ragionamento è svolto da F. Ziccardi, Le norme interpretative speciali, cit., 128.
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Ne consegue che il fenomeno integrativo, con l’eccezione di quanto detto in merito all’art. 628 c.c., viene ricostruito con precipuo riguardo al completamento di disposizioni lacunose tramite previsioni di legge, mentre la c.d. integrazione volontaria ad opera del testatore si sostanzia, per la massima parte, in una modifica delle clausole mediante testamenti successivi60: difatti, pur se astrattamente possibile, è assai infrequente che l’ereditando precisi in séguito quanto previamente indicato nella propria pianificazione successoria al solo fine di escludere l’applicazione di norme suppletive predisposte a tale scopo61.
4. Considerazioni conclusive. Sulla base del quadro teorico delineato in precedenza, va rilevato che, nel caso di specie, il ragionamento prospettato dalla Suprema Corte è solo parzialmente corretto sotto il profilo sistematico. Difatti, pur se indubbiamente il rispetto del formalismo testamentario62 impedisce che la missiva della testatrice possa integrare il contenuto del testamento63, tuttavia tale missiva, nonostante sia priva di valore integrativo, riveste comunque una preminente rilevanza ermeneutica64 circa il riferimento ai fini di religione e di culto che, espressi nella forma richiesta dalla legge, costituiscono senz’altro motivo unico e determinante della disposizione65 a favore della Curia arcivescovile. Il primo problema concreto da porsi è la qualificazione del lascito, se questo, cioè, costituisca un legato semplice ovvero una disposizione a titolo particolare connotata da un modus vincolante per il be-
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Si pensi, attingendo l’esemplificazione dal caso in esame, all’ipotesi in cui si trasforma in modale il legato che era stato predisposto come libero. 61 Ad esempio, per attribuire lui stesso all’onerato la facoltà di scelta nel legato alternativo o generico, evitando l’operare degli artt. 664, 1° co., e 665 c.c. 62 Il raccordo tra forma e interpretazione in materia testamentaria è criticamente illustrato da G. Cian, Forma solenne e interpretazione del negozio, Padova, 1969, 150-156, ove si afferma che il significato di una dichiarazione testamentaria, in linea generale, è rivelato dai termini che la costituiscono in relazione all’ambiente e alle abitudini espressive del testatore, palesandosi pertanto in senso obbiettivo. Tuttavia, su tale significato, prevarrà, se non intenzionale, il divergente intendimento soggettivo del de cuius, là dove sia accertato con sicurezza (p. 156). Cfr., inoltre, G. Baralis, L’interpretazione del testamento, cit., 1012-1026, con puntuale illustrazione delle ricadute applicative ascrivibili al rapporto tra le esigenze di forma e il ricorso ad elementi extratestuali per accertare il contenuto della dichiarazione testamentaria. 63 A. Trabucchi, Il rispetto del testo nell’interpretazione degli atti di ultima volontà, cit., 701, precisa che la stessa interpretazione autentica del testatore contenuta in un atto che non sia testamento non ha valore vincolante per l’interprete, il quale è chiamato ad indagare non sulla volontà del defunto ma su quella che il medesimo abbia espresso in un determinato atto. Nel caso di specie merita però sottolineare come la missiva della testatrice abbia fatto riferimento alla volontà manifestata nell’atto testamentario, cronologicamente assai contiguo rispetto alla successiva precisazione semantica, il che appare rilevante, come suggerito nel testo, se non ai fini integrativi, almeno sotto il profilo ermeneutico. 64 M. Allara, Principi di diritto testamentario, cit., nel fare riferimento all’art. 625 c.c., evidenzia che gli elementi estranei al documento testamentario possono consistere in testamenti precedenti, precedenti progetti di testamento (valorizzando l’elemento storico dell’interpretazione antiletterale del negozio), testamenti posteriori, invalidi e revocati. 65 Sul motivo nel testamento e sulle relative implicazioni disciplinari si v., tra molti, oltre a S. Pagliantini, Causa e motivi del regolamento testamentario, cit., 166-180, anche M. Bessone, “Causa” e “motivo” nella disciplina del testamento, in Giur. it., 1972, I, 1, cc. 730-738 (nota a Cass., 7 luglio 1971, n. 2123, ivi, cc. 729-740), nonché F. Santi, Note in tema di errore sul motivo nelle disposizioni testamentarie, in Jus, 1977, 79-116.
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neficiario. Nella prospettiva della ricorrente, poi accolta dalla Cassazione, la qualificazione corretta è la prima, sul presupposto che il modus fosse contenuto nella lettera non olografa, mentre il generico fine di religione o di culto, sarebbe – desumendo tale conseguenza dal ragionamento, invero alquanto contenuto, della Corte – un mero ossequio alla natura istituzionale di tali scopi per l’ente designato; questo, come arcidiocesi, è una persona giuridica di diritto ecclesiastico che, ai sensi dell’art. 2, 1° co., l. n. 222 del 20 maggio 1985, ha per definizione di legge un fine essenziale di religione o di culto66. In sintesi, secondo l’ottica accolta nella sentenza in esame, attribuire un complesso di beni ad un ente che istituzionalmente persegue fini specifici ribadendo tali fini come motivo determinante del lascito non varrebbe a limitare la suddetta attribuzione in virtù di un onere modale, sì che il beneficiario potrebbe servirsi dei relativi cespiti secondo le modalità e per gli scopi da questo ritenuti più opportuni. Tale conclusione non è sostenibile nel caso esaminato dalla Suprema Corte, in quanto la valenza ermeneutica della missiva non olografa – la quale deve qualificarsi come atto testamentario nullo per difetto di forma – permette di circoscrivere, tra i varî significati dell’espressione “per fini di culto e di religione” (significati che, sostanzialmente, sono: “solo per fini di culto e di religione”, ovvero “anche per fini di culto e di religione”), quello più ristretto, essendo allora escluse modalità d’uso dei beni legati diverse da quelle specificamente consentite. In più semplici parole, la legataria potrebbe disporre dei beni attribuitile anche senza l’osservanza delle specifiche istruzioni contenute nella lettera dattiloscritta, purché per scopi rientranti nella dizione, invero ampia, dei fini di culto e di religione. Al contempo e conseguentemente, non sarebbe ammesso, proprio in quanto non compreso nei suddetti fini, un atto dispositivo, com’è quello in esame, consistente nella locazione a terzi degli immobili oggetto del lascito, che ha mosso la censura dei resistenti avverso la beneficiaria nei termini del mancato rispetto del vincolo modale. Il modus, allora, in virtù del mezzo ermeneutico estrinseco qui valorizzato, si caratterizza in senso negativo, come esclusione di determinate condotte, più che in senso positivo, come imposizione di comportamenti specifici. Le condizioni di rilevanza, ai fini del giudizio di inadempimento dell’obbligazione modale67, del comportamento contraddittorio tenuto dalla convenuta, la quale per circa mezzo secolo ha dato puntuale esecuzione alle istruzioni contenute nella missiva non olografa concernenti le modalità d’uso dei beni legàti, salvo poi eccepirne la nullità per difetto di forma, non possono derivarsi dall’applicazione al testamento della norma sulla buona fede interpretativa nel campo contrattuale68. Poiché, allora, i problemi apparentemente evocati dalla
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Sul punto rinvio a F. Finocchiaro, Diritto ecclesiastico11, a cura di A. Bettetini e G. Lo Castro, Bologna, 2012 (ma rist. 2016), 265-268, per i requisiti necessarî al riconoscimento degli enti della Chiesa cattolica, e pp. 291-293, per lo statuto giuridico delle diocesi. 67 Sull’adempimento dell’onere costituente il motivo unico determinante della disposizione attributiva rinvio a quanto ho prospettato in Le disposizioni rafforzative della volontà testamentaria, cit., 113-115 (ove, errata corrige, il riferimento all’art. 647, 3° co., c.c. nella p. 113 deve invece intendersi come relativo all’art. 648, 2° co., c.c.). 68 Contrario all’applicazione, in modo sostanzialmente apodittico, A. Cicu, Testamento2, cit., p. 129. Favorevole, ma con motivazioni alquanto generiche, C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano2, cit., 491-493 (n. 690), secondo il quale l’art. 1366 c.c.
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buona fede nel testamento costituiscono, in realtà, problemi di validità dell’atto, puntualmente risolti da apposite regole, anche in questa evenienza potrebbe ricorrersi a previsioni presupponenti l’invalidità dell’atto. Il riferimento, segnatamente, è all’art. 590 c.c.69, il quale, nell’attribuire alla spontanea esecuzione di disposizioni nulle del de cuius da parte di eredi o legatarî un effetto preclusivo per la declaratoria della relativa invalidità, può senz’altro applicarsi all’onere modale accessorio rispetto all’attribuzione a titolo particolare. I requisiti di applicazione della norma, in effetti, sono compiutamente integrati dalla fattispecie in esame, anche sotto il profilo soggettivo, non essendo concepibile l’ignoranza del beneficiario circa l’invalidità di un atto testamentario privo della relativa forma ad substantiam (il che, per l’appunto, integra la conoscenza della causa di nullità in capo al confermante). Purtuttavia, anche là dove non si ritenesse di argomentare in base all’art. 590 c.c., i fini di culto e di religione sopra indicati sono comunque di per sé bastevoli a configurare una previsione modale, al cui inadempimento sarebbe dovuto seguire, ai sensi dell’art. 648, 2° co., c.c., la risoluzione della disposizione attributiva e la conseguente devoluzione agli eredi universali del cespite, peraltro privo del peso in quanto solo il legatario designato avrebbe potuto dare puntuale attuazione al perseguimento degli scopi indicati dalla testatrice70. Luigi Nonne
contiene l’applicazione di un principio generale vigente per tutti i negozî giuridici. Secondo P. Rescigno, Interpretazione del testamento, cit., 22-23, la norma è riferibile al solo contratto e concerne solo in parte il problema interpretativo. G. Giampiccolo, Il contenuto atipico del testamento. Contributo ad una teoria dell’atto di ultima volontà, cit., p. 169, esclude il ricorso alla buona fede nel campo testamentario in quanto il relativo canone sarebbe contraddicente alla natura del negozio. Discorre di certissima inapplicabilità dell’art. 1366 c.c. alla materia testamentaria, non rilevando in essa il principio dell’affidamento, F. Ziccardi, Le norme interpretative speciali, cit., 89. Il tentativo più argomentato di fondare un’applicazione dell’art. 1366 c.c. alla materia testamentaria svincolata dal principio dell’affidamento si deve a L. Bigliazzi Geri, Il testamento, I Profilo negoziale dell’atto, Milano, 1976, 191-203. G. Baralis, L’interpretazione del testamento, cit., 998, ritiene applicabile il principio di buona fede al settore testamentario purché lo si intenda come correttivo dello strictum ius, mentre, allorché lo si definisca in termini di ragionevolezza, il suddetto principio non potrà valere genericamente, perché prima deve chiarirsi la mentalità e la personalità del testatore e solo successivamente, alla stregua di quanto individuato, potrà presumersi la ragionevolezza o meno di un certo esito interpretativo. Cfr. inoltre, riassuntivamente, G. Visalli, L’interpretazione del testamento e l’art. 1366, in Vita not., 1999, III, 210-215 (CCX-CCXV); N. Proto, Verso una interpretazione di buona fede del testamento?, in Riv. not., 1985, 1004-1006, in nota a Cass., 22 gennaio 1985 n. 252, ivi, 1001-1004, in base alla quale il ricorso alle norme ermeneutiche contrattuali per l’interpretazione del testamento è ammissibile solo qualora dal tenore letterale dell’atto non sia possibile ricostruire in modo certo e determinato la volontà del disponente (là dove, allora, potrebbe intervenire l’applicazione ermeneutica della buona fede). Per un’analisi della contraddizione “interna” all’atto testamentario (ossia tra le relative clausole) e del ruolo che in essa esplica la buona fede ex art. 1366 c.c. rinvio al saggio di G. Petti, Clausole contraddittorie del contratto e del testamento tra conservazione e interpretazione di buona fede, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2010, 419-447, spec. 441-443, il quale ritiene applicabile la norma in discorso al testamento valorizzando il carattere di regola finale che ad essa si addice (prescindendo, in ciò, dalla sua collocazione topografica). Si v., infine, P. Costanzo, L’interpretazione del testamento attraverso le norme sulla interpretazione del contratto, cit., 3196, che fa opportunamente notare come la direttiva rivolta all’interprete di intendere secondo buona fede necessiterebbe di uscire dal vago e di sostanziarsi in indicazioni concrete e puntuali. 69 Cfr. in tema, ex plurimis, l’ampia indagine di B. Toti, La rilevanza delle cause di invalidità nell’applicazione dell’art. 590 c.c., in Riv. dir. civ., 1995, I, 215-269 (parte I) e 435-477 (parte II), spec. 219-229, ove un’efficace ricostruzione delle diverse tesi circa l’àmbito applicativo della previsione in esame. 70 In questa ipotesi, difatti, troverebbe applicazione al caso di specie l’art. 677, 2° e 3° co., c.c., in combinato disposto, in quanto l’obbligazione gravante sulla Curia legataria avrebbe natura personale. Sui caratteri della norma rinvio al mio Le disposizioni rafforzative della volontà testamentaria, cit., 93-96.
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Opinione di Salvatore Patti Amministrazione di sostegno: la capacità (residua) del beneficiario (parere pro veritate)
(Omissis) Sono stato incaricato di redigere un parere pro-veritate in tema di amministrazione di sostegno. In particolare, dopo una introduzione sulla natura dell’istituto, mi è stato chiesto di chiarire se la rappresentanza e la difesa del beneficiario in un procedimento penale spetti alla difesa nominata dall’amministratore di sostegno (di seguito, «AdS»), ovvero vi sia la possibilità per il benficiario di intervenire personalmente nel giudizio stesso.
I. Fatti. I fatti antecedenti la nomina dell’AdS (avvenuta il 1° febbraio 2019) possono essere desunti dalla documentazione a me inviata, in particolare dalla richiesta di rinvio a giudizio della PM _______ del 2 luglio 2019, nel procedimento penale che vede il Sig. ________ imputato per circonvenzione di incapace ai danni della Sig.ra ________, indicata come persona offesa. Specificamente, negli anni 2013-2017 l’imputato, il Sig.______, ha indotto la Sig.ra _______ (quasi novantenne all’epoca dei fatti) a compiere numerosi atti di disposizione del suo patrimonio (mobiliare, societario ed immobiliare) in favore dell’imputato stesso e, in parte, anche dei genitori di quest’ultimo. Tra l’altro, la Sig.ra ______ ha nominato il Sig. ______ quale amministratore unico di alcune sue società, ha venduto immobili appartenenti ad una di esse, rendendola, di fatto, inoperativa, ha acquistato automobili di lusso che ha poi rivenduto, trasferendo il ricavato anche sul conto corrente dei genitori dell’imputato. Inoltre, il Sig. ______ ha effettuato cospicui bonifici in suo favore tramite le società di cui era stato nominato amministratore unico e/o legale rappresentante. La Sig.ra _______ ha, inoltre, effettuato diversi bonifici e prelievi a mezzo contante e dazioni «a scopo di liberalità» in favore dell’imputato. Ancora, il Sig. _______ ha fatto allontanare la Sig.ra _______ dai suoi familiari al punto che la stessa ha revocato a suo figlio, il Sig._______, il comodato d’uso gratuito relativo ad una villetta. Il danno patrimoniale ammonta a circa _________ euro. Alla luce di queste circostanze, nel 2017 il figlio della Sig.ra _______ ha presentato ricorso innanzi al Giudice Tutelare di Roma al fine di far nominare un AdS per sua madre. Nonostante l’opposizione di quest’ultima, dopo l’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio (CTU), il Giudice Tutelare, con decreto del 1° febbraio 2019 (di seguito, il «Decreto di nomina»), ha nominato ___________ (successivamente sostituito da _______) quale AdS della Sig.ra ________. Il Decreto di nomina, molto sintetico nell’individuazione dell’oggetto dell’amministrazione di sostegno, lascia soltanto un’attività definita “di ordinaria amministrazione”, nell’ambito della gestione della casa, alla Sig.ra ______ (v. infra). La Sig.ra _______ ha proposto appello avverso suddetto decreto; la Corte d’Appello di Roma (con decisione del 26 settembre 2019) ha confermato l’istituzione dell’AdS, soprattutto alla luce della CTU espletata, che ha evidenziato come l’amministrata presenti tratti di ossessività e compulsività, nonché aspetti paranoidei che – tra l’altro – la portano all’esaltazione della persona del Sig. _______. Il 21 marzo 2019 la Sig.ra ______ ha nominato quale suo difensore di fiducia nel procedimento penale l’Avv. ________. La procura risulta essere conferita ex art 101 c.p.p. e non ai sensi dell’artt. 76-122
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Opinione di Salvatore Patti
c.p.p. (costituzione parte civile). Il Giudice Tutelare, con decreto del 6 novembre 2019 ha espressamente autorizzato l’AdS a costituirsi parte civile nell’esclusivo interesse della Sig.ra ______ e a nominare l’Avv. ______ quale difensore. Successivamente, con decreto del 21 dicembre 2019, il Giudice Tutelare ha ulteriormente ampliato i poteri dell’Ads, nel senso di autorizzarlo a rappresentare e «difendere l’amministrata nei giudizi penali, civili a amministrativi pendenti», conferire mandato difensivo ad un avvocato di fiducia, richiedere ed ottenere presso l´ Agenzia delle Entrate gli atti e documenti relativi alla Sig.ra _______, nonché richiedere agli istituti bancari, presso i quali l’amministrata è titolare di conti corrente e/o deposito titoli, i documenti necessari «a verificare uscite di danaro in favore della s.r.l. _______ o di terzi soggetti». Emerge dalla lettura dell’atto di costituzione di parte civile presentato dall’AdS e dall’Avv. ______ che l’intervento della Sig.ra_______, mediante il legale da lei nominato, nel procedimento penale mira a difendere l’operato del Sig.______, negando la sua responsabilità dei fatti addebitatigli che le hanno causato un notevole danno patrimoniale. La Sig.ra _______, per mezzo dell’Avv.______, in data 28 novembre 2019 ha presentato un’istanza al Giudice delle indagini preliminari dolendosi del fatto che la stessa (i) fosse stata domiciliata presso l’AdS, nonostante avesse già nominato il suo difensore, e (ii) non avesse ricevuto la notifica della fissazione dell’udienza preliminare. Ha chiesto, pertanto, che questa udienza venisse fissata nuovamente. Con decreto dello stesso giorno il Giudice delle indagini preliminari ha accolto l’istanza e ha fissato una nuova udienza al 13 febbraio 2020. A questa udienza, il Giudice delle indagini preliminari ha preso atto della costituzione di parte civile dell’AdS e ha rinviato nuovamente l’udienza al 14 maggio 2020 (per assenza della persona del Sostituto procuratore).
II. Premessa. L’istituto dell’amministrazione di sostegno è stato inserito nel codice civile (nel 2004) al fine di ovviare alla inadeguatezza degli istituti della inabilitazione e della interdizione per la protezione giuridica dei sofferenti psichici. Dal testo normativo si ricava la definizione secondo cui l’amministrazione di sostegno è l’istituto volto ad assicurare assistenza giuridica alla persona che a causa di menomazioni o infermità fisiche o psichiche è nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi. La legge non ha abrogato gli istituti della inabilitazione e della interdizione, che tuttavia trovano da tempo rara applicazione. In particolare, si preferisce nominare un amministratore di sostegno anche nelle ipotesi di gravi malattie psichiche al fine di lasciare alla persona un minimo di capacità giuridica con riferimento agli atti necessari a soddisfare le esigenze della vita quotidiana (art. 409, comma 2, c.c.).
III. I limiti della capacità del beneficiario dell’amministrazione di sostegno.
La questione centrale in tema di amministrazione di sostegno, nell’ambito della quale si sollevano i dubbi circa la legittimità o meno dell’operato della Sig.ra _______, riguarda il permanere della capacità della persona con riguardo agli atti non contemplati nel decreto di nomina dell’AdS. Una parte della dottrina, basandosi sul tenore letterale dell’art. 409, comma 1, c.c., secondo cui «il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva
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o l’assistenza necessaria dell’amministratore di sostegno», ha sostenuto che il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti non indicati nel decreto di nomina dell’AdS. In altri termini, la nomina dell’AdS non inciderebbe sulla capacità della persona, che resterebbe «piena» se non per gli atti specificamente indicati dal giudice tutelare. Ad avviso di chi scrive, la suddetta affermazione deve essere corretta – anche alla luce di una interpretazione sistematica della normativa – nel senso che il beneficiario conserva in astratto la capacità per tutti gli atti non indicati nel decreto, a condizione che essi non presentino caratteristiche tali da richiedere, come recita la norma, «la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore di sostegno». Presentandosi, quindi, la esigenza del compimento di un atto che non rientra tra quelli espressamente consentiti, sarà necessario il ricorso al giudice tutelare che valuterà se occorra la rappresentanza esclusiva o l’assistenza del beneficiario per il compimento dell’atto (fino a quel momento) non preso in considerazione. In altre parole, in base alla natura dell’atto e alla possibilità di pregiudizio che il suo compimento potrebbe determinare, il giudice tutelare deve di volta in volta stabilire se il beneficiario possa compiere o meno atti non previsti nel decreto di nomina, tranne che rientrino in quelli «necessari a soddisfare esigenze della propria vita quotidiana» (art. 409, comma 2, c.c.). A favore della suddetta interpretazione dell’art. 409 c.c. rileva la circostanza che nella formulazione originaria (il testo di legge approvato dal Senato in data 21 dicembre 2001), la norma prevedeva che il beneficiario conservasse la capacità di agire per tutti gli atti non compresi nell’«oggetto dell’amministrazione»; una formula che avrebbe potuto rafforzare la tesi secondo cui il beneficiario dovrebbe considerarsi capace per tutti gli atti non contemplati nel decreto del giudice tutelare. La formulazione della norma vigente prescinde invece dall’«oggetto dell’amministrazione» e determina un riferimento agli atti, per i quali – se non presi in esame nel decreto – occorre, come accaduto nel caso in esame, un nuovo intervento del giudice tutelare al fine di accertare se essi richiedano la rappresentanza esclusiva o l’assistenza dell’AdS. In tal senso, appare molto efficace la definizione dell’amministrazione di sostegno come un «contenitore», che di volta in volta può essere riempito con svariati provvedimenti. D’altra parte, come è noto, il giudice tutelare deve attenersi al principio del minor sacrificio possibile della capacità di agire del beneficiario. Dal suddetto principio deriva che nel decreto iniziale vengono affidati all’AdS, nelle due forme possibili, di rappresentanza esclusiva o di assistenza necessaria, soltanto gli atti per i quali in concreto si presenta l’esigenza di tutela, lasciando ovviamente impregiudicata la possibilità di integrazioni divenute successivamente necessarie. Si spiega pertanto l’affermazione secondo cui: «il giudice tutelare ha il potere di integrare, in ogni tempo e anche d’ufficio, le decisioni assunte con il decreto di apertura»1, posto che l’indicazione degli atti attribuiti ai poteri di gestione dell’AdS è necessariamente provvisoria e variabile in ogni tempo. Peraltro, se è certo, ad esempio, che il beneficiario può compiere i c.d. atti della vita quotidiana, per i quali conserva la capacità di agire, come espressamente prevede la legge (art. 409, comma 2 c.c.), con pari sicurezza – già in base alla logica – deve ritenersi che il beneficiario non possa compiere atti che presentano analoga gravità e rischio di quelli per cui espressamente il decreto ha previsto la rappresentanza esclusiva o l’assistenza dell’AdS, con il controllo del giudice tutelare. Si consideri che se il decreto di nomina dovesse contenere l’elencazione di tutti gli atti dei quali astrattamente si potrebbe ipotizzare il compimento, a parte la lunghezza dell’atto e le sue inevitabili lacune, il provvedimento equivarrebbe sostanzialmente ad una interdizione.
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F. Tommaseo, La disciplina processuale dell’amministrazione di sostegno, in S. Patti (a cura di), L’amministrazione di sostegno, Milano, 2005, 181 s.
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In tal senso si afferma correttamente che l’istituto dell’amministrazione di sostegno può essere paragonato ad un «abito su misura», che presenta caratteri di elasticità. Abito su misura perché l’istituto piuttosto che determinare uno «stato» uguale per tutti i soggetti destinatari del provvedimento – come avviene nel caso dell’interdizione – viene modellato alla luce delle circostanze e delle peculiarità della fattispecie avuto riguardo alla persona del beneficiario. Inoltre, movendo dal principio di non limitare la capacità della persona se non risulta indispensabile, il decreto di nomina si limita ad elencare gli atti per cui (in quel momento) appare necessario l’intervento dell’AdS, e precisa quelli che può compiere il beneficiario senza bisogno di assistenza, senza decidere su circostanze che non presentano concreta rilevanza o non sono attuali. Lo strumento è, quindi, “elastico” perché suscettibile di adattamenti alla luce delle esigenze di tutela che man mano si presentano. L’«astratto» permanere della capacità in capo al beneficiario dell’amministrazione di sostegno non significa pertanto che qualsiasi atto possa essere senz’altro posto in essere da quest’ultimo in quanto non compreso nell’elenco contenuto nel decreto. Se così fosse si giungerebbe all’assurdo risultato che il beneficiario potrebbe validamente compiere atti ancor più gravi e pregiudizievoli di quelli per cui la sua capacità è stata espressamente limitata. Deve quindi affermarsi che per gli atti non indicati dal giudice tutelare – che richiedono un grado di capacità analoga a quelli per i quali è stata disposta l’amministrazione di sostegno o, d’altra parte, che richiedono un grado di capacità maggiore di quelli per i quali è espressamente stabilito che possono essere compiuti dal beneficiario – occorre una ulteriore decisione dello stesso giudice. L’atto eventualmente compiuto dal beneficiario prima della suddetta decisione deve considerarsi invalido se il giudice prevede per il suo compimento l’intervento dell’AdS. In definitiva, come è stato esattamente osservato, la regola di cui all’art. 409, comma 1, c.c. «non può conferire capacità di intendere e di volere a chi ne sia, di fatto, privo»2.
IV. Il Decreto di nomina dell’AdS. L’art. 405 c.c. dispone che il decreto di nomina debba contenere l’indicazione 1) delle generalità della persona beneficiaria e dell’amministratore di sostegno; 2) della durata dell’incarico, che può essere anche a tempo indeterminato; 3) dell’oggetto dell’incarico e degli atti che l’amministratore di sostegno ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario; 4) degli atti che il beneficiario può compiere solo con l’assistenza dell’amministratore di sostegno; 5) dei limiti, anche periodici, delle spese che l’amministratore di sostegno può sostenere con utilizzo delle somme di cui il beneficiario ha o può avere la disponibilità; 6) della periodicità con cui l’amministratore di sostegno deve riferire al giudice circa l’attività svolta e le condizioni di vita personale e sociale del beneficiario. Nonostante il dettato della norma suddetta, nel presente caso il Giudice Tutelare nulla ha disposto circa gli atti che il beneficiario, la Sig.ra ______, potrebbe compiere con l’assistenza dell’AdS. Per ciò che concerne, invece, gli atti che l’AdS può compiere in nome e per conto del beneficiario, essi non sono
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F. Anelli, Il nuovo sistema delle misure di protezione delle persone prive di autonomia, in Studi in onore di Piero Schlesinger, Milano, Tomo V, 4219.
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Sull’efficacia nell’ordinamento italiano di un matrimonio canonico stipulato all’estero (parere pro veritate)
elencati in modo dettagliato, ma si fa riferimento ad una o più categorie di atti. Questa formulazione è da considerarsi ammissibile dal momento che è possibile addivenire ad una determinazione dei poteri dell’AdS e della sfera di autodeterminazione lasciata al beneficiario. Precisamente, il Giudice Tutelare ha disposto che: «in ordine agli atti di ordinaria amministrazione, (quali la assunzione di badanti, il pagamento dei consumi inerenti l’abitazione della _______, il pagamento di spese mediche connesse alla/e patologia di cui la stessa soffre (es. apparato cardio circolatorio), ________ possa provvedere in autonomia in quanto assistita e curata da una rete medica, infermieristica e di supporto (badanti, collaboratrici domestiche, autisti) idonea a salvaguardare la sua salute ed i suoi interessi personali». Dal tipo di atti lasciati all’autonomia della Sig.ra _____ si evince che essi sono limitati alla gestione della casa dove abita (pagamento dei consumi, assunzione di badanti) e alle spese mediche. E ciò in quanto, precisa il Giudice Tutelare, la stessa è affiancata da uno staff di supporto. L’oggetto dell’amministrazione di sostegno è specificato come segue: «[…] 3. autorizza l’amministratore di sostegno a compiere, con poteri di rappresentanza esclusiva e salvo l’obbligo di rendiconto, gli atti indicati di seguito; […]; 5. dispone che l’incarico abbia il seguente oggetto: 1) ricognizione del patrimonio immobiliare e societario relativo alle società in premessa indicate; 2) gestione del detto patrimonio e delle società (compimento delle attività previste dalla legge in ordine al buon andamento delle società, tra cui, a mero titolo esemplificativo, sostituzione di _______ con l’avv. prof. _____ [Avv. _______, ndr] nella carica di Presidente del Consiglio di Amministrazione, e di tutte le cariche rivestite dalla stessa amministranda; sostituzione della compagine societaria con soggetti designati dall’Amministratore di sostegno […]». Occorre fare riferimento anche alle motivazioni, contenute nel Decreto di nomina, in base alle quali il Giudice Tutelare ha ritenuto necessaria la nomina di un AdS per la Sig.ra ______. In particolare, è stato messo in luce: «[…] che, dalla audizione dell’amministranda, svoltasi con la partecipazione del Pubblico Ministero presso il Tribunale di Roma, la _______ è apparsa lucida, rispondendo in modo preciso alle domande svolte all’Ufficio in ordine ai dati anagrafici, alla situazione familiare, - che ha definito non rosea, stante il conflitto con il figlio ricorrente-, mostrando la volontà di rivedere soprattutto il nipote […]; rilevato inoltre che, in ordine al patrimonio mobiliare, la _______ non ha inteso rispondere alla domanda del Giudice Tutelare inerente l’ammontare del patrimonio in denaro; rilevato altresì che la stessa ha evidenziato grandissima fiducia nei confronti del_______, affermando che si tratta di persona gentile, affettuosa, premurosa, un uomo appassionato di vetture di grossa cilindrata e, per tali motivi, in grado di avvicinare la stessa attrice ai ricordi del passato […]; rilevato che la amministranda, in relazione alle domande poste dal P.M. e relative al patrimonio immobiliare, con specifico riguardo alle società suddette, ha fornito risposte non esaurienti, talvolta confuse, non ricordando alcun dato relativo ai ricavi, ai costi ed al rendimento effettivo di dette società, richiamandosi sempre al buon operato del ________, e ribadendo la fiducia verso quest’ultimo, anche per il settore societario, nel caso di specie particolarmente complesso (valore delle opere dell’attrice) e cospicuo (per l’attività svolta come attrice, fotografa, scultrice); ritenuto che, come evidenziato dal C.T.U., la _______ non soffre di alcuna patologia neurologica né psichiatrica, presenta tratti di ossessività/compulsività, laddove il tratto ossessivo è rappresentato dalla rigidità, dall’autocontrollo, dettato dalla paura di non riuscire a mantenere i risultati ottenuti nel suo passato d’attrice; ed il tratto paranoideo è costituito dalle cd. idee dominanti, estrinsecatesi nella esaltazione del _______ come unica persona in grado di occuparsi di lei e del suo patrimonio; […]». Il Decreto di nomina deve essere letto insieme alla consulenza tecnica d’ufficio espletata in sede penale, la quale ha accertato «una condizione di deficienza psichica, in ragione degli aspetti personologici descritti, aspetti che possono aver reso la donna suggestibile e vulnerabile […] la commistione di questi tratti […] determina un indebolimento della corretta percezione della realtà e della capacità di rapportarsi ad essa, tale da configurare una condizione di deficienza psichica, ovvero di uno stato di vulnerabilità e di menomazione del potere di critica, in grado di rendere possibile l’altrui opera di
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suggestione […]. L’imperiosità del carattere e dei modi può farla apparire ai suoi stessi occhi ancora indipendente e autonoma, mentre al contrario il suo status è connotato da una forte dipendenza, se non di vera e propria sudditanza». Riassumendo, il Giudice Tutelare ha autorizzato l’AdS a compiere, con poteri di rappresentanza esclusiva, tutti gli atti inerenti al patrimonio della Sig.ra ______, ovvero tutte le attività che – di fatto – esulano dalla gestione quotidiana della sua vita personale (per la quale la stessa dispone, come visto, di uno staff che il Giudice Tutelare ritiene fondamentale per lasciare questa categoria di atti alla sua autonomia). Peraltro, la Legge n. 6 del 2004 (introduttiva dell’istituto dell’amministrazione di sostegno) – al contrario del Decreto di nomina – non differenzia tra atti di ordinaria o straordinaria amministrazione (salvo in uno degli articoli riformati che riguardano l’interdizione e l’inabilitazione). Un decreto di nomina dell’amministratore che non elenchi i singoli atti affidati alla competenza esclusiva dell’AdS e quelli per i quali sia necessaria la sua assistenza, ma si limiti ad una distinzione tra atti di ordinaria e atti di straordinaria amministrazione, stravolgerebbe l’intento che il legislatore si era posto con la legge sull’amministrazione di sostegno3. Nel presente caso, il Decreto di nomina, da un lato, elenca alcuni atti, definiti dal Giudice Tutelare come «di ordinaria amministrazione», lasciati alla disponibilità della Sig.ra ______; di contro, non definisce di «straordinaria amministrazione» quelli affidati all’AdS in veste di rappresentante esclusivo e che sono inerenti alla gestione patrimoniale e societaria. Gli atti che rispettivamente l’AdS e il beneficiario possono compiere sono indicati in modo esemplificativo, individuando meramente un ambito (la «casa» per la Sig.ra ______, il «patrimonio» per l’AdS) nel quale gli stessi sono autorizzati ad operare. Come visto al § III, il beneficiario rimane «astrattamente» capace per tutto quanto non espressamente affidato all’AdS. Non essendo possibile prevedere quali esigenze di tutela si presenteranno in futuro, l’AdS deve di volta in volta rivolgersi al giudice tutelare, e prima di una decisione da parte di quest’ultimo il beneficiario e lo stesso AdS non possono validamente compiere atti concernenti la nuova situazione. Pertanto, correttamente l’AdS della Sig.ra _______ ha atteso l’integrazione del Decreto di nomina del 6 novembre 2019 per costituirsi parte civile nell’interesse della Sig.ra ______ nel procedimento penale.
V. La capacità del beneficiario di amministrazione di
sostegno di intervenire autonomamente in un procedimento nel quale l’AdS si è costituito parte civile nel suo interesse. Da quanto sin qui esposto appare possibile pervenire alla conclusione secondo cui tutto ciò che non rientra nella gestione della casa di abitazione esula dall’autonomia della beneficiaria. Nel caso di specie, la Sig.ra _______ ha nominato un suo difensore d’ufficio quando la stessa era già beneficiaria dell’amministrazione di sostegno, ma prima che il Giudice Tutelare avesse conferito esplicitamente il potere all’AdS di costituirsi in giudizio come parte civile nell’interesse della sua amministrata. Al riguardo, è stato ritenuto in giurisprudenza che «le persone interdette, inabilitate […] beneficiarie
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In senso critico circa l’utilità del riferimento ad atti di ordinaria e straordinaria amministrazione nella materia in esame, a differenza di quanto accade nel caso della inabilitazione, v. Roppo, Amministrazione di sostegno: gli atti compiuti “in violazione di legge”, in S. Patti (a cura di), L’amministrazione di sostegno, Milano, 2005, 156; S. Patti, L’amministrazione di sostegno: continuità ed innovazione, ivi, 220.
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Amministrazione di sostegno: la capacità (residua) del beneficiario (parere pro veritate)
di amministrazione di sostegno, poiché sono prive, totalmente o parzialmente, della capacità di agire – sono destinatarie di misure di protezione e possono porre in essere atti giuridicamente rilevanti soltanto se rappresentati, assistiti e autorizzati nelle forme e secondo le modalità previste dalla legge. La necessità di rappresentanza, assistenza, autorizzazione sorge anche nel caso in cui l’interessato abbia esigenza di stare in giudizio (quale, convenuto, per resistere ad una azione da altri proposta nei suoi confronti; quale attore, per promuovere un’azione a tutela dei propri diritti e/o interessi; ma anche quale interveniente ovvero quale chiamato in causa)» (Cass. civ., 6 dicembre 2019, n. 31984). Da questa decisione (come anche da Cass. civ., 6 marzo 2019, n. 6518) si trae il principio secondo cui il soggetto nominato per tutelare la persona destinataria di misure di protezione è autorizzato a compiere le attività necessarie valutando l’interesse e il rischio economico per quest’ultima, e ciò vale sia per il tutore che per l’amministratore di sostegno, in quanto quest’ultimo opera a difesa degli interessi economici della persona che è priva della capacità di agire (e, quindi, della capacità processuale) in relazione a quegli atti, individuati dal provvedimento di nomina dell’amministratore di sostegno, o successivamente, che richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria di quest’ultimo (artt. 405, comma 3, nn. 3 e 4, ed art. 409 c.c.). Con riguardo al ruolo dell’AdS nel processo penale nel caso di persona (beneficiaria) offesa da reato, la giurisprudenza risulta scarna. Da un lato, la Suprema Corte ha escluso che all’AdS spetti semplicemente la rappresentanza della persona offesa e, dall’altro, ha precisato che suoi i poteri devono essere stabiliti dal decreto di nomina o, in ogni caso, (successivamente) dal Giudice Tutelare. È stato negato che l’amministratore di sostegno possa intervenire nell’interesse dell’imputato ma, posto il diverso ruolo della persona offesa nel procedimento penale, l’intervento dell’AdS deve considerarsi ammissibile. Inoltre, avendo riguardo alla disciplina civilistica (che, come risulta da Cass. pen., 21 dicembre 2016, n. 2661, rileva anche nel procedimento penale), all’AdS è affidata la rappresentanza sostanziale che assume rilievo nel processo, nel senso che l’AdS, in virtù del disposto dell’art. 75, comma 2 c.p.c., ha il potere processuale funzionale alla tutela delle situazioni sostanziali per le quali gli è stato conferito il potere rappresentativo. Ne consegue che «in relazione agli atti che l’amministratore di sostegno è autorizzato a compiere in nome e per conto del beneficiario, quest’ultimo non può stare in giudizio se non rappresentato dall’amministratore» (Cass. civ., 6 marzo 2019, n. 6518). Deve pertanto osservarsi che la decisione del Giudice penale, di differire l’udienza per mancanza di notifica della fissazione al difensore della Sig.ra ______ non appare condivisibile ove afferma che «considerato che la p.o., pur sottoposta ad amministrazione di sostegno ha nominato difensore di fiducia […] che sicuramente tale atto risulta valido, sulla base di quanto emerge dal decreto di nomina dell’amministratore di sostegno del 31.1.19 (RG 17/18109), nel quale viene dato atto che _________ possa provvedere in autonomia quanto agli atti di ordinaria amministrazione». Il Giudice penale non ha tenuto conto che, a prescindere dall’ammissibilità della differenziazione tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, gli atti lasciati all’autonomia della Sig.ra ______ attengono esclusivamente alla gestione della sua abitazione e della sua salute (pagamento spese mediche), e ciò solo in quanto dispone di uno staff di supporto. In definitiva, la sua autonomia è ridotta perfino per tale categoria di atti. Se anche «astrattamente» il beneficiario dell’amministrazione di sostegno resta «capace» per quanto non previsto dal Decreto di nomina, alla luce della elencazione esemplificativa effettuata dal Giudice Tutelare si deve giungere alla conclusione che sono esclusi, dalla sua autonomia, tutti quegli atti che, esulando dalla cura della propria persona e, limitatamente ad alcuni aspetti, dell’abitazione, possano in qualche modo avere risvolti sul suo patrimonio. In ogni caso, anche il Giudice penale avrebbe dovuto attendere la decisione del Giudice Tutelare dal momento che, come visto, nulla è previsto circa la capacità processuale della Sig.ra _______. In ogni caso, conferendo il Giudice Tutelare la rappresentanza esclusiva all’AdS nell’ambito economico/societario/patrimoniale deve ritenersi esclusa qualsiasi legittima possibilità di decisione dell’amministrata in questi ambiti. Ammettendo l’intervento autonomo della Sig.ra ________, il Giudice penale ha compiuto una ingerenza nella sfera dalla legge riservata al Giudice Tutelare.
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VI. Conclusioni. Da quanto esposto si desume che, avendo anche riguardo all’integrazione del Decreto di nomina avvenuta il 6 novembre 2019, non vi era e non sussiste alcuna possibilità per la Sig.ra ______ di intervenire nel procedimento penale per “difendere” l’operato del Sig. _____. Invero, l’AdS è da solo preposto alla tutela dei suoi interessi patrimoniali (categoria di atti individuata dal Decreto di nomina) avendo in quell’ambito la rappresentanza esclusiva della Sig.ra _______. Appare evidente che la costituzione di parte civile mira proprio alla tutela degli interessi economici (e non solo) dell’amministrata. Questi interessi verrebbero irrimediabilmente lesi qualora la Sig.ra _______ intervenisse autonomamente. Si è visto che la CTU ha individuato tratti di «sudditanza» della Sig.ra _______ nei confronti del Sig. _______, che la porterebbero a sacrificare i propri interessi patrimoniali (motivo principale per cui è stato nominato un AdS) anche nel procedimento penale. Alla luce di quanto esposto è opinione di chi scrive che non possa essere ammesso un intervento «autonomo» della Sig.ra ______, per la quale si è costituito l’AdS, unico preposto alla tutela dei suoi interessi. Salvatore Patti
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