Diritto penale della globalizzazione 1/2020

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1 • gennaio-marzo 2020

Rivista trimestrale 1 • gennaio-marzo 2020

Il diritto penale

globalizzazione della

Il diritto penale della globalizzazione

Diretta da: Ranieri Razzante e Giovanni Tartaglia Polcini

In evidenza: La misura della corruzione: come andare oltre l’approccio della percezione, sostenendo la reputazione del Paese e la capacità di attrarre investimenti: commento alla Risoluzione n. 8/10 Alfredo Durante Mangoni La Risoluzione n. 8/6 della VIII COSP della UNCAC in materia di corruzione internazionale: una nuova attenzione al lato nascosto del reato…? Lorenzo Salazar Il contributo dell’Autorità Nazionale Anticorruzione in sede di CoSP 8 ANAC e il suo ruolo nella “rete delle reti” di Autorità per la prevenzione della corruzione Nicoletta Parisi e Francesco Clementucci Sport e corruzione nel mondo: una nuova realtà e le prospettive future. Il ruolo dell’Italia come “good practictioner” Lorenzo Aureli

ISSN 2532-8433



Indice

IN EVIDENZA A cura di Giovanni Tartaglia Polcini, Corona virus e corruzione: più li controlli, più li rendi percepibili.............................................................................................................................................p. 3

Editoriale Adelmo Manna e Andrea De Lia, I Principi di legalità, offensività e colpevolezza in prospettiva europea................................................................................................................................................»

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SPECIALE La Conferenza degli Stati Parte delle Nazioni Unite nell’ambito della Convenzione UNCAC tenutasi ad Abu Dhabi dal 16 al 20 dicembre 2019. Alfredo Durante Mangoni, La misura della corruzione: come andare oltre l’approccio della percezione, sostenendo la reputazione del Paese e la capacità di attrarre investimenti: commento alla Risoluzione n.8/10........................................................................................................................»

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Lorenzo Salazar, La Risoluzione n.8/6 della VIII COSP della UNCAC in materia di corruzione internazionale: una nuova attenzione al lato nascosto del reato…?................................................»

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Nicoletta Parisi e Francesco Clementucci, Il contributo dell’Autorità Nazionale Anticorruzione in sede di CoSP 8 ANAC e il suo ruolo nella “rete delle reti” di Autorità per la prevenzione della corruzione.... »

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Lorenzo Aureli, Sport e corruzione nel mondo: una nuova realtà e le prospettive future. Il ruolo dell’Italia come “good practictioner”...................................................................................................»

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Giurisprudenza Giurisprudenza nazionale CESARE auGuSTO Placanica, L’apertura di luoghi di culto e la tutela dell’identità della musulmana, garanzie necessarie della libertà religiosa in Italia......................................................»

33

Giurisprudenza nazionale Marilisa De Nigris, Cass. Penale Sent. SS.UU. n. 8545/2020. Art.416 bis c.p. e dolo intenzionale: precisazioni della SC in merito al presupposto volitivo del dolo.........................................................»

41

Giurisprudenza internazionale Alessia Strigini, L’obbligo di non-refoulement può essere esteso anche ai “rifugiati climatici”: la pronuncia del Comitato dei diritti umani delle Nazioni Unite..........................................................»

45

Giurisprudenza europea Andrea Racca, Sent. Corte Europea dei Diritti dell’Uomo 16 gennaio 2020. Ricorso n.59347/1. Magosso e Brindani contro Italia. - Ancora in tema di libertà di espressione...................................»

49

Giurisprudenza europea Antonio De Lucia, Corte Giustizia Europea, sent. 3 marzo 2020, causa C-717/18, X (Mandat d’arrêt européen – Double incrimination) - Limiti di applicabilità del MAE. Precisazioni della Corte Europea......................................................................................................................................»

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Indice

Osservatorio Osservatorio normativo Alessandro Quattrocchi, Il diritto penale ai tempi dell’emergenza covid-19......................................»

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Osservatorio internazionale Nikita Micieli de Biase, Corte Penale Internazionale 5 marzo 2020 ICC-02/17-138. Corte di Appello: via libera alle indagini sui crimini internazionali in Afghanistan.....................................»

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Osservatorio europeo Alessandro Parrotta, Covid-19: tra emergenza internazionale e garanzie di operatività parlamentare.......................................................................................................................................»

79

Osservatorio nazionale Marco Petillo, La prescrizione del reato..............................................................................................»

83

Focus Ylenia Parziale, Emergenza Coronavirus e sistema carcerario: le disposizioni del Decreto “Cura Italia” e i successivi aggiornamenti normativi...................................................................................» 93 Giorgio Malfatti di Monte Tretto, Covid-19 e le conseguenze economiche........................................» 99 Marianna Marzano e Micol Gallo Curcio, Le Minacce ibride...............................................................» 103

Appendice Resolution to be recommended by the Conference of the States Parties to the United Nations Convention against Corruption for adoption by the General Assembly .........................................» 107

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In

evidenza

Il coronavirus e la corruzione: più li controlli, più li rendi percepibili Con il presente contributo non intendiamo sottovalutare la drammatica situazione relativa alla pandemia in corso riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, denominata “coronavirus”, né fomentare le più volte richiamate teorie cd. “complottiste” relative alle sue origini. Rivolgiamo profondo rispetto nei confronti di chi sta vivendo questa drammatica esperienza, perché colpito dal virus e perché costretto all’isolamento, al distanziamento sociale e alla quarantena preventiva, così come profondo è il nostro rispetto per i medici, sanitari, donne e uomini delle forze dell’ordine e della protezione civile che quotidianamente e a ritmi serrati ed incessanti dedicano la loro professionalità ed il loro coraggio al Paese in emergenza. È una bella prova della nostra Italia che ci inorgoglisce. Non intendiamo giudicare la linea del Governo centrale o della Governance delle Regioni, quotidianamente impegnati ad acquisire dati utili per disporre le misure adeguate ad evitare il diffondersi dell’epidemia, non sta a noi, non in questo momento. È doveroso, però, un parallelismo con la corruzione. È evidente che come avviene per i fenomeni criminali anche per una epidemia come quella che stiamo vivendo si deve agire indiscriminatamente nella massima trasparenza e comunicarne fin nei minimi particolari i dati e le statistiche, anche se drammatici, la sicurezza dei cittadini e la sicurezza nazionale lo impongono. Nondimeno, in riferimento all’origine geografica del virus ed alla sua diffusione, apprendere che il nostro Paese si è posizionato, all’inizio della diffusione del virus, al terzo posto per il numero dei contagi registrati, dopo Cina e Corea del Sud, con notevoli conseguenze scaturite sul piano macroeconomico e di mobilità internazionale lascia davvero perplessi. Proprio su questo aspetto intendiamo attirare l’attenzione, quello cioè dello storytelling. Sosteniamo una tesi non dissimile da quanto già prospettato in materia di corruzione. Partendo dall’assunto secondo cui più si combatte la corruzione, più la si rende percepibile1, non accettiamo gli indici di percezione della corruzione come base per una comparazione tra i Paesi e ne chiediamo un superamento. Anche le Nazioni Unite hanno accolto quella linea ricostruttiva con l’approvazione della Risoluzione sulla Misurazione della corruzione2.

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LA CORRUZIONE TRA REALTÀ E RAPPRESENTAZIONE Ovvero: come si può alterare la reputazione di un Paese, Ricerca diretta da Giovanni Tartaglia Polcini, Collana EURISPES, Edizioni Minerva, Bologna 2018. 2 Conference of the States Parties to the Union Nations Conventions against Corruption, 19 dicembre 2019, Abu Dhabi 16-20 dicembre 2019.


In evidenza

Nonostante le differenze tra i due fenomeni, l’epidemia di coronavirus e la corruzione endemica, sono accomunate da un elemento fondamentale, la percezione, in quanto riteniamo che l’Italia, a differenza degli altri Paesi europei ed extraeuropei, ha svolto controlli in misura maggiore rispetto agli altri, generando una “detection” di casi di gran lunga superiore (il numero dei tamponi somministrati è un dato oggettivo e non percepito). Il sensazionalismo della stampa, sempre attenta ad informare, ma anche ad esaltare i dati come quelli in esame, e le decisioni forti e determinate sul piano governativo centrale e regionale, hanno fatto il resto. La verità, dal punto di vista dei sociologi e dei ricercatori è evidentemente un’altra. Il virus è circolato su tanti aerei prima dell’adozione di misure restrittive disposte in ogni Stato. Tanti erano asintomatici e tali restano in Italia ed all’estero. Moltissimi all’estero hanno l’influenza e vanno in ospedale, ma non sottoposti al tampone e dunque non censiti. Nessuno accetta volentieri lo storytelling negativo sul piano reputazionale. In altri termini, l’avere portato alla luce l’esistenza di casi di coronavirus, probabilmente non superiori a quelli di altri paesi, soltanto ben delineati ed evidenziati per le grandi capacità del nostro Servizio Sanitario Nazionale (a fronte di Paesi che nemmeno lo hanno), non può e non deve rivelarsi un elemento negativo per il nostro sistema. In assenza di una strategia comune e di regole comuni sul piano internazionale, si espone il Paese sul piano della reputazione con ricadute economiche immediate ed indirette di portata enorme. In materia di lotta alla corruzione avevamo sostenuto che non può misurarsi un fenomeno sociale e criminologico, senza tenere nella dovuta considerazione i mezzi e gli strumenti di prevenzione e contrasto approntati dal sistema ordinamentale. Un paradosso insopportabile, ma come possiamo reagire? Senza misure accurate e affidabili non solo diventa difficile cogliere l’estensione e l’ordine di grandezza del fenomeno, ma anche indirizzare strategie d’intervento istituzionale e politico di contrasto efficaci. E non si tratta di tutelare solo l’interesse del Paese. Per assurdo subiamo uno storytelling negativo e riceviamo quotidianamente ulteriori fonti di contagio da chi non fa detection come noi. Ergo, un level playing field in questo settore, come nella lotta ai fenomeni criminali, si imporrebbe e noi dovremmo pretenderlo. Dovremmo cioè chiedere di fare controlli secondo standards internazionali comuni che dovrebbero essere uguali e non inferiori ai nostri. di Giovanni Tartaglia Polcini

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Editoriale

I Principi di legalità, offensività e colpevolezza in prospettiva europea*

Sommario: 1. Introduzione. - 2. Il principio di legalità: i modelli relativi al caso “Taricco” e a quello “Contrada”. 3. Il principio di colpevolezza: ancora sul caso “Contrada”. – 4. Il principio di offensività. – 5. Conclusioni.

1. Introduzione. Lo studioso del diritto penale fino a qualche anno fa si confrontava esclusivamente con due parametri: la legge ordinaria e la norma costituzionale, anche alla luce dell’interpretazione resane dalla Consulta; negli ultimi anni, invece, è emersa una progressiva sensibilità dell’interprete rispetto al sistema giuridico sovranazionale, e dunque alla “norma europea” e al formante giurisprudenziale europeo derivante dalle Corti di riferimento (Corte EDU e Corte di Giustizia, nell’alveo delle rispettive competenze). Tale interesse ha generato un effetto positivo da un lato ed un effetto negativo dall’altro: quello positivo è rappresentato dal fatto che il sistema giuridico sovrannazionale consente, talora, l’attribuzione al singolo di alcuni diritti in forme diverse e talora più ampie rispetto al sistema interno, tanto da poter condurre ad un’espansione della sfera dell’individuo, e ad un maggiore garantismo1. L’effetto negativo, invece, è rappresentato, innanzitutto, dal disorientamento che coinvolge l’interprete, in quanto il sistema penale è ormai diventato “multilivello”, con ogni consequenziale effetto di complicazione nell’interpretazione e nell’applicazione dello ius criminale. Non a caso, uno dei più attenti studiosi del diritto penale ha intitolato un lavoro monografico “Il giudice nel labirinto”2; si tratta di un’opera che, in estrema sintesi, mette bene in evidenza che la magistratura si trova molto spesso in difficoltà a causa dell’irrompere sulla scena nostrana della normativa europea e dell’interpretazione che a questa attribuiscono le Corti. E ciò in ragione dei problemi di adattamento e compenetrazione tra sistemi oggettivamente diversi, e del fatto che le Corti europee non “ragionano” esattamente come il giurista italiano: si è in presenza di tradizioni giuridiche totalmente diverse, e il processo di omogeneizzazione tra i due sistemi, quello “europeo” e quello interno, è tutt’altro che semplice.

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Il contributo è frutto della collaborazione tra i due Autori; tuttavia i paragrafi 1-5 sono da attribuire ad Adelmo Manna, e i paragrafi da 2 a 4 ad Andrea De Lia. 1 Sulla nozione di “garantismo penale” vd. Ferrajoli, Il paradigma garantista. Filosofia e critica del diritto penale, Napoli, 2016. L’A., notoriamente, è peraltro fermo oppositore della giurisprudenza “giuscreativa”, attraverso il richiamo delle nozioni di “conoscere” e “interpretare”. 2 Manes, Il giudice nel labirinto. Profili delle intersezioni tra diritto penale e fonti sovrannazionali, Roma, 2012; vd. anche Sotis, Il diritto senza codice: uno studio sul sistema penale europeo vigente, Milano, 2007.


Editoriale

Il quadro si complica, poi, per il fatto che viviamo ormai una stagione nefasta sotto il profilo dei principi generali, tanto che uno studioso della levatura di Giovannangelo De Francesco ha parlato, in un interessantissimo contributo, di un “crepuscolo dei dogmi”3, di un momento di decadimento dei principi in un’ottica globalizzata e di finalismo spicciolo: “l’epoca della post-modernità”. Questa crisi del diritto, della post-modernità si riscontra quindi in tutti i principi di riferimento: rispetto al principio di legalità, di offensività e a quello di colpevolezza, che ovviamente costituiscono i parametri fondamentali nel nostro sistema interno.

2. Il principio di legalità: i modelli relativi al caso “Taricco” e a quello “Contrada”. Un esempio sicuramente emblematico di tale decadimento è rappresentato dalla vicenda “Taricco”, definita da alcuni come una vera e propria “saga”, e che ha originato un complesso dialogo tra le Corti, ed in particolare, tra la Corte costituzionale e la Corte di Giustizia, che ruotava attorno all’applicazione dell’art. 325 TFUE, che impone agli Stati membri l’adozione di misure efficaci finalizzate al contrasto degli illeciti che ledono gli interessi finanziari dell’Unione. La questione, come noto, era stata innescata da frodi carosello in materia IVA, e ha costretto la Corte costituzionale a paventare l’azionamento dei c.d. “contro-limiti”, a fronte di un delicato bilanciamento tra esigenze di tutela di interessi pubblici e di osservanza del diritto europeo, da un lato, e rispetto dell’art. 25 Cost., del principio di legalità e dei suoi corollari dall’altro4. In sintesi, la vicenda “Taricco” dimostra proprio come diversi siano gli approcci delle Corti sovrannazionali rispetto a quelle nazionali, per cui è necessario trovare un punto di raccordo che renda in qualche modo compatibile l’impostazione “europea” con quella interna, ed è questa forse la più emblematica espressione del “giudice nel labirinto”. Un altro esempio è poi quello originato dal noto caso “Contrada” deciso dalla Corte EDU, IV Sezione con sentenza del 14 aprile 2015, con la quale (in estrema sintesi) la Corte di Strasburgo si è soffermata sulla fattispecie del concorso esterno nell’associazione a delinquere di stampo mafioso, e quindi sul combinato disposto degli artt. 110 e 416-bis c.p. In particolare, affermandosi che questa figura delittuosa è di matrice giurisprudenziale (anche perché l’art. 110 c.p., finisce con il rivelarsi una sorta di “clausola vuota” – ed in contrasto con i principi di eguaglianza e ragionevolezza – e l’art. 416-bis c.p. consente ancora interpretazione assai difformi tra loro), ed essendosi essa consolidata attraverso il formante giurisprudenziale interno soltanto a partire dalla metà dagli anni 90’ e dalla pronuncia delle Sezioni Unite “Demitry” (poi seguita da altre), e quindi dopo la realizzazione delle condotte contestate all’imputato, essa non avrebbe potuto trovare applicazione rispetto all’applicant senza violazione del principio della c.d. “foreseeability”5.

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De Francesco G.A., Crepuscolo di dogmi? Appunti sparsi su di una problematica “moderna”, 11 luglio 2017, in www.lalegislazionepenale.eu. Vd. anche Id., Invito al diritto penale, Bologna, 2019. 4 Sull’affaire “Taricco” vd. Cupelli, La Corte costituzionale chiude il caso Taricco e apre a un diritto penale europeo “certo”, 4 giugno 2018, in www.penalecontemporaneo.it. 5 Su questi temi vd. Viganò, Strasburgo ha deciso, la causa è finita: la Cassazione chiude il caso Contrada, 26 settembre 2017, in www.penalecontemporaneo.it.

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Si tratta di una decisione particolarmente avversata dalla magistratura nostrana, tanto che di recente si è pronunciata la Cassazione a Sezioni Unite6 sul controverso tema dell’applicabilità dei principi generali espressi dalla sentenza della Corte europea in ordine ai “fratelli minori” di Contrada, e cioè a soggetti che si sono trovati nelle medesime condizioni, e quindi in ordine all’efficacia “panprocessuale” del dictum europeo. Se allora rispetto al caso “Contrada” la giurisprudenza si è dovuta adeguare alla decisione definitiva della Corte EDU rispetto al singolo applicant (anche in ossequio al principio sancito dall’art. 46 della Convenzione), la suprema Corte ha, invece, negato l’applicabilità generalizzata di tali principi, rilevando che la figura delittuosa del concorso esterno non sarebbe in realtà una figura di origine giurisprudenziale, come rilevato dal Giudice europeo, ma ricavabile dal diritto positivo. Il tutto, puntualizzando che l’efficacia della sentenza Contrada del 2015 sarebbe limitata in quanto non proveniente dalla Grande Camera, non costituendo quella che viene definita “pronuncia pilota” (cioè quella pronuncia attraverso la quale per la prima volta la Corte si arresta su un tema generale, esprimendo volutamente dei principi genarli estendibili a tutta la casistica rientrante in quella macrocategoria) né frutto di una giurisprudenza consolidata7. Si è allora al cospetto di una soluzione opinabile e idonea ad innescare un nuovo dialogo tra le Corti. Per il vero la Corte di Cassazione in alcune occasioni ha disatteso i pronunciamenti generali della Corte EDU sul presupposto che l’adesione del giudice interno sarebbe limitata soltanto ad alcune, particolari tipologie di pronunce; tale soluzione8 non è però da tutti condivisa, ed ha generato anche una risposta indiretta della Corte EDU, con un pronunciamento recente, la sentenza “G.I.E.M.”9. Nell’occasione, in particolare, la Corte di Strasburgo ha affermato che il giudice interno non sarebbe affatto legittimato a sindacare su quando la decisione della Corte EDU assuma efficacia panprocessuale o meno, perché tutte le sentenze da essa promananti rivestirebbero la medesima efficacia vincolante, laddove ovviamente si esprimessero su contenuti e principi a carattere generale. Il caso “Contrada”, dunque, è particolarmente sintomatico delle difficoltà affrontate dagli operatori del diritto e di integrazione tra sistemi diversi; per di più tale pronunciamento è stato oggetto di critiche anche in ragione della manifesta apertura a una giurisprudenza c.d. “giuscreativa” (o “giurisprudenza fonte”) poiché la Corte, seppur indirettamente, avrebbe autorizzato, secondo alcuni, la creazione di fattispecie criminose da parte della giurisprudenza. Logica, questa, preclusa nel nostro ordinamento per l’effetto del principio di legalità ex 25 Cost., e dal suo corollario di tassatività (che è monito notoriamente riferito al giudice).

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Cass., Sez. Un., 3 marzo 2020, n. 5844, reperibile anche sul sito web www.giurisprudenzapenale.it. Il tutto esprimendo la seguente massima: «i principi affermati dalla sentenza della Corte EDU del 14 aprile 2015, Contrada c. Italia, non si estendono nei confronti di coloro che, estranei a quel giudizio, si trovino nella medesima posizione quanto alla prevedibilità della condanna per il reato di concorso esterno in associazione a delinquere di tipo mafioso, in quanto la sentenza non è una “sentenza pilota” e non può considerarsi espressione di una giurisprudenza europea consolidata». 8 Condivisa anche, in alcune occasioni, dalla Consulta. Vd. Corte cost., 23 luglio 2015, n. 187; Corte cost., 26 marzo 2015, n. 49; Corte cost., 18 luglio 2013, n. 210. 9 Corte EDU, Grande Camera, 28 giugno 2018, G.I.E.M. e alt. c. Italia. 7

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3. Il principio di colpevolezza: ancora sul caso “Contrada”. Al di là dell’apertura mostrata dalla Corte rispetto a proiezioni nomopoietiche dell’attività giurisdizionale, che trovano le proprie radici nel fatto che la Corte europea “ragiona” più in un’ottica di common piuttosto che di civil law10, l’altro nodo della sentenza Contrada è rappresentato dal fatto che in essa si ribadisce l’estensione del principio della foreseeability, cioè della prevedibilità (già enucleato in un precedente pronunciamento molto importante che è rappresentato dalla sentenza “De Tommaso”, in tema di misure di prevenzione)11. La foreseeability12, a primo acchito, appare assumere alcuni tratti del principio di legalità e di quello di colpevolezza: la norma incriminatrice deve provenire da una fonte “qualificata” (fosse anche la giurisprudenza), ed essa deve essere “vigente” prima del fatto commesso, tanto che i consociati possano essere posti in condizione di orientare il proprio comportamento nella prospettiva delle conseguenze giuridiche che derivano dalla violazione del precetto. Vi è però una netta differenza tra il principio della foreseeability e quello di colpevolezza accolto nel nostro ordinamento, sol che si ponga mente alla famosa sentenza di cui fu relatore il compianto Prof. Renato Dell’Andro, cioè la n. 364 che ha manipolato l’art. 5 del codice penale dell’1988 (cui va aggiunta la n. 1085 dello stesso anno sul furto d’uso). In quell’occasione, più in particolare, la Corte ha stabilito che in caso di oscurità del precetto determinata dal contrasto giurisprudenziale il consociato dovrebbe astenersi dall’agire per motivi prudenziali, versando altrimenti in responsabilità; di contro, a ben vedere, la sentenza Contrada ha sancito un principio diverso, affermando che in caso di contrasto giurisprudenziale (quello in atto, perlomeno secondo la Corte EDU, al momento in cui l’applicant aveva realizzato le condotte contestate) mancherebbe la prevedibilità della conseguenza giuridica correlata all’illecito, con ogni consequenziale effetto in termini di “colpevolezza”. Al di là di tale, non secondario, elemento di disallineamento rispetto al principio di colpevolezza, in accezione normativa13, vi è che il diritto e la giurisprudenza europea, sotto altri versi, mostrano un’ampia apertura rispetto a forme di ascrizione di tipo oggettivo, laddove

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Come è noto, i sistemi di common law (in disparte dai processi di codificazione che stanno interessando anche i Paesi che tradizionalmente aderiscono a tale modello) hanno un’apertura notevole alla c.d. giurisprudenza giuscreativa, inammissibile nel sistema interno per l’effetto del principio di legalità (anche se esso è continuamente sotto scacco per l’effetto dell’interpretazione e dell’analogia poiché l’interpretazione viene costituzionalmente orientata o condotta secondo criteri “teleologici” o “sistematici”, ma molto spesso nasconde una vera e propria interpretazione in malam partem, come dimostrano, ad esempio, gli orientamenti giurisprudenziali intervenuti sulla perdurante rilevanza della distrazione nel contesto del delitto di peculato; sul falso c.d. “valutativo” nel rinnovato contesto delle false comunicazioni sociali; sulla figura di millantato credito, nella formulazione vigente fino alla riforma “spazzacorrotti”, estesa a ipotesi diverse da quella “tradizionale”, che è rappresentata da una forma particolare di truffa; sul c.d. “disastro innominato”, etc.). Sull’argomento vd. anche Donini, An impossible exchange? Prove di dialogo tra civil e common lawyers su legalità, morale e teoria del reato, in Stile, Manacorda e Mongillo (a cura di), Civil law e common law: quale “grammatica” per il diritto penale?, Napoli, 2018, pp. 115 ss. Vd. anche Id., Europeismo giudiziario e scienza penale, Milano, 2011, passim. 11 Sul quale vd. Manna, Misure di prevenzione e diritto penale; una relazione difficile, Pisa, 2019. 12 Su questo tema vd. anche Pomanti, La “riconoscibilità” della norma penale, Napoli, 2019. 13 Sul quale sia tollerato il rinvio a De Lia, La perdurante rilevanza penale dell’omesso versamento dell’assegno di mantenimento in favore dei figli nati fuori dal matrimonio. Brevi note a margine della sentenza della Corte costituzionale n. 189/2019, 7 settembre 2019, in www.forumcostituzionale.it.

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giustificate dalla necessità, da parte del legislatore dei Paesi “membri”, di tutelare interessi primari e laddove l’incriminazione di talune condotte non comporti l’effetto di compromettere le libertà riconosciute dal sistema giuridico sovrannazionale. Sicché, sotto tale diverso angolo prospettico, che restituisce l’immagine di diritti fondamentali che potrebbero assumere una “diversa consistenza” in relazione ad esigenze individuate dallo Stato, il “modello europeo” sembra molto meno avanzato e garantista rispetto a quello interno, prodotto di un lungo percorso di elaborazione da parte della giurisprudenza, anche costituzionale, e della dottrina.

4. Il principio di offensività. Anche per quanto riguarda il principio di offensività, che è ricavato (almeno secondo alcuni orientamenti) dall’art. 25 Cost. e dal concetto di “fatto” (nonché dell’art. 27 comma 3 Cost.)14, si riscontrano notevoli problemi di omogeneizzazione: con le varie direttive che stanno affastellando il nostro panorama giuridico vengono veicolate delle logiche che sono difficilmente conciliabili con i nostri principi cardine15. Ci si riferisce al fatto che molto spesso, ad esempio, le direttive impongono agli Stati membri la criminalizzazione16 anche della mera istigazione a delinquere (o meglio a realizzare determinate fattispecie), al di fuori dunque dall’ipotesi di concorso morale, che nel nostro sistema interno presenta dei problemi proprio in chiave di offensività. Si pensi, inoltre, alle questioni sollevate dall’introduzione nel nostro sistema giuridico dalla fattispecie di pedopornografia virtuale, di matrice per l’appunto europea, che genera delle problematiche sotto questo aspetto17, così come le forme di anticipazione della risposta penale nell’ambito della più recente legislazione contro il terrorismo. Sempre per esemplificare, vi è da sottolineare l’introduzione di alcune fattispecie molto dubbie sotto il profilo tecnico, come l’indebita percezione18, che si va ad affiancare ad altre figure come la truffa aggravata ai danni dello Stato, da una parte, e la malversazione, dall’altra, creando un “triangolo” di difficile approccio per l’operatore del diritto; ma si ponga mente anche all’attuale unificazione tra le fattispecie di millantato credito e di traffico di influenze illecite19. Detta unificazione, che è il prodotto delle raccomandazioni provenienti dall’Europa, solleva questioni sotto il profilo del rispetto del principio di ragionevolezza e di offensività in quanto attualmente sono state parificate due fattispecie: il millantato credito, che è sostanzialmente

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Vd. Bricola, Teoria generale del reato, voce in Novissimo Digesto Italiano, vol. XIX, Torino, 1974, pp. 7 ss. Su questi temi si veda anche il contributo di Masarone, Il “diritto penale europeo” al vaglio dell’offensività: fondamento ed esiti, 21 marzo 2019, in www.archiviopenale.it. 16 Sull’argomento vd. anche Paonessa, Gli obblighi di tutela penale. La discrezionalità legislativa nella cornice dei vincoli costituzionali e comunitari, Pisa, 2009. 17 Vd. per approfondimenti B. Scarcella, La pedopornografia virtuale e la lotta “al nemico” in rete. Il discrimine tra diritto penale del fatto e diritto penale dell’autore, in Cadoppi, Canestrari, Manna e Papa (a cura di), Cybercrime, Milano, 2019, pp. 545 ss. 18 Vd. M. Romano, Art. 316-ter c.p., in I delitti contro la pubblica amministrazione. I delitti dei pubblici ufficiali, Milano, 2013, pp. 82 ss. 19 Operata, anche questa, attraverso la l. 9 gennaio 2019, n. 3 (la “spazzacorrotti”). 15

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una truffa ai danni del privato, e il traffico di influenze illecite, che è invece una condotta prodromica (ascrivibile a chi può effettivamente esercitare un’influenza sul soggetto qualificato) ai reati di corruzione. Senza che si possa sottacere il problema dell’attuale incriminazione del terzo, cioè del soggetto che si interfaccia con il millantatore, che in base alle indicazioni dell’Europa, e oggi in base al testo normativo interno, risulta punibile, con buona pace del principio di offensività20. Detto principio, del resto, è un prodotto intellettuale della scienza penalistica italiana, e in Europa, nei sistemi giuridici più avanzati (Spagna, Francia, Germania), esso ha avuto un’evoluzione molto più rallentata21; così come si può notare che se da un lato la Corte EDU riconosce, già a partire dalla famosa sentenza Salabiaku c. Francia del 1988, un’ampia discrezionalità in capo al legislatore interno nelle scelte di criminalizzazione22, dall’altro il diritto positivo europeo – come attesta l’accoglimento, in materia di ambiente e di responsabilità da prodotto, del principio di precauzione23 – mostra che il principio di offensività, per lo meno “in accezione forte”, abbia avuto finora una scarsa penetrazione in Europa, anche perché pure in Italia alla fine è prevalsa una concezione “debole” a partire dalla sentenza n. 333 del 1991 della Corte costituzionale in tema di stupefacenti, che ha sostanzialmente identificato l’offensività con l’eguaglianza/ragionevolezza, così “salvando” anche le figure di pericolo astratto/presunto, a condizione della possibilità di individuazione di una precisa ratio legis.

5. Conclusioni. In conclusione si deve allora rilevare che in tema di rapporti tra diritto “europeo” e diritto penale interno si è al cospetto di un working in progress e il confronto deve alimentare l’attività tanto degli studiosi, quanto degli operatori per cercare di trovare il bandolo della matassa e l’uscita dal c.d. “labirinto”. Ovvio che l’europeismo abbia aperto nuovi scenari, e che costituisca un motore per ripensare il sistema punitivo intorno a temi centrali, come ad esempio in ordine la finalità della sanzione criminale, alla valorizzazione del ruolo della vittima anche in sede processuale (con conseguenti riflessi anche in ordine ai meccanismi premiali post-delictum in correlazione a condotte riparatorie), il trattamento carcerario, etc.

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Su questi temi vd. Gambardella, Il grande assente della nuova “legge spazzacorrotti”: il microsistema delle fattispecie di corruzione, in Cass. Pen., 2019, pp. 44 ss. 21 Su questi temi vd. diffusamente Manes, Il principio di offensività nel diritto penale. Canone di politica criminale, criterio ermeneutico, parametro di ragionevolezza, Torino, 2005. Vd. per i paesi anglosassoni il principio del c.d. “harm to others”, e l’opera di Feinberg, Moral limits of the criminal law, New York – Oxford, 1984 – 1988. 22 Detta pronuncia ha stabilito che «in principle the Contracting States remain free to apply the criminal law to an act where it is not carried out in the normal exercise of one of the rights protected under the Convention and, accordingly, to define the constituent elements of the resulting offence. In particular, and again in principle, the Contracting States may, under certain conditions, penalise a simple or objective fact as such, irrespective of whether it results from criminal intent or from negligence. Examples of such offences may be found in the laws of the Contracting States» (il corsivo è nostro). 23 Su questo tema vd. di recente Fornasari, Offensività: beni e tecniche di tutela, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2018, pp. 1514 ss.

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Altrettanto ovvio è, però, che la crisi del “testo scritto”, del giuspositivismo, che è conseguente all’estensione dei poteri di interpretazione della legge ad opera della magistratura, e che finisce con l’avallare la coltivazione di esigenze di politica criminale in sede giudiziaria, l’apertura a forme di responsabilità sine culpa, e a norme incriminatrici che anticipano la risposta dell’ordinamento sotto il profilo dell’offesa, o che addirittura erigono beni giuridici ex nihilo, autolegittimandosi, rappresentano degli orizzonti niente affatto auspicabili. Insomma, non è vero che “l’erba del vicino è sempre più verde”… di Adelmo Manna e Andrea De Lia

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Speciale La Conferenza degli Stati Parte delle Nazioni Unite nell’ambito della Convenzione UNCAC tenutasi ad Abu Dhabi dal 16 al 20 dicembre 2019.

La misura della corruzione: come andare oltre l’approccio della percezione, sostenendo la reputazione del Paese e la capacità di attrarre investimenti: commento alla Risoluzione n.8/10 I temi della legalità, della giustizia, della trasparenza e dell’accountability – incluso quello della lotta alla corruzione – aventi rilievo anzitutto per i singoli ordinamenti nazionali ma da tempo presenti sotto più forme in varie sedi multilaterali, sono confluiti di recente in un approccio più vasto alla dinamica dello sviluppo globale improntata alla sostenibilità. L’obiettivo di edificare società orientate a principi di legalità e stato di diritto, contrastando comportamenti incompatibili con esse - come la corruzione - si è arricchito di nuove valenze e finalizzazioni circa lo stato di salute del sistema economico e sociale, il rispetto dei diritti umani nell’attività d’impresa e - aspetto sempre più rilevante in un mondo interconnesso – del credito e della reputazione di ogni ordinamento verso l’esterno. Anche l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, fornendo un’articolazione convenzionale degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile e rimarcando le interconnessioni tra i vari target, ha assegnato un peso di grande rilievo alla lotta alla corruzione (SDG 16.5). L’Obiettivo 16, definito cross cutting, trasversale più di ogni altro Obiettivo, pone complessi e delicati problemi di misurazione anche nel target concernente la riduzione della corruzione e si ricollega a prassi e meccanismi internazionali (OCSE, Consiglio d’Europa, Convenzioni ad hoc come la United Nations Convention Against Corruption UNCAC, etc.) preesistenti ad Agenda 2030 e costruite sull’apporto di qualificate istituzioni del settore (UNODC, World Bank, la stessa OCSE). La misurazione della corruzione è un tema assurto a maggior evidenza nel dibattito pubblico, anche al di là dei progressi - costanti, ma non decisivi - segnati negli ultimi anni dall’Italia nella classifica del Corruption Perceptions’ Index (CPI) di Transparency International, a cui anche numerosi Organismi multilaterali fanno riferimento. Inoltre, l’accessibilità dei dati e la diffusione della capacità statistica ne estende il ricorso anche al di fuori del perimetro delle Organizzazioni Internazionali presso centri di ricerca e analisi comunque assai influenti. Il CPI in effetti è uno strumento datato, creato a metà degli anni ’90 quando la consapevolezza della corruzione e la necessità di combatterla, se non di prevenirla, erano scarsamente diffusi sia presso i soggetti istituzionali, sia presso le imprese e financo la società civile. La sua logica è pertanto intrinsecamente estranea alla nuova era dello sviluppo sostenibile. La corruzione è un fenomeno diffuso e complesso sia negli aspetti definitori, sia nelle fasi di rilevazione e misurazione. Oggi è divenuta “liquida” e tende a nascondersi dietro forme nuove e modalità diverse in singoli Paesi e sul piano internazionale, ma pur sempre misurabili


Speciale

con metodo scientifico. Le reti della criminalità organizzata la utilizzano per infiltrarsi nella pubblica amministrazione e nell’economia. Prendere coscienza delle attuali manifestazioni della corruzione in un’economia globalizzata significa respingere semplicistiche ricostruzioni che non colgono esattamente i termini della minaccia. Un’adeguata comprensione delle cause e degli effetti - raggiungibile solo con rilevazioni accurate - è decisiva sia per realizzare un contrasto efficace, sia per offrire una rappresentazione veritiera dei livelli di corruzione presenti in un Paese. L’ottava Conferenza degli Stati Parte della Convenzione delle Nazioni Unite contro la Corruzione (UNCAC), riunitasi ad Abu Dhabi dal 16 al 20 dicembre 2019, ha adottato proprio su proposta italiana un’innovativa Risoluzione sulla misurazione della corruzione (Risoluzione 8/10 UNCAC1. Per la prima volta in un foro globale si è certificata la necessità di disporre di indici più completi rispetto a quelli, meramente percettivi, attualmente in uso per misurare la corruzione; e si è indicato l’obiettivo di definire un quadro statistico armonizzato a livello internazionale in grado di offrire una lettura del fenomeno scientificamente corretta e affidabile. La Risoluzione pertanto promuove una metodologia che fonda le misure anche su indicatori oggettivi e statistici di fonte amministrativa o di natura esperienziale diretta - sia a livello domestico che d’impresa - aderenti alla logica dell’SDG 16.5, su indicatori di rischio e vulnerabilità capaci di far emergere situazioni o eventi patologici ai quali associare un rischio di corruzione più alto (red flags), oltre che coerenti con i presìdi di prevenzione e di contrasto penale tipici di ciascun ordinamento giuridico. L’elevato numero di Stati che hanno co-sponsorizzato la Risoluzione (Messico, Giappone, Russia, UE a nome dei 28 Stati membri, Stati Uniti, Australia, Brasile, Colombia, Perù e Mauritius) sembra indicare la consapevolezza nella comunità internazionale che occorre mutare prospettiva. La Risoluzione risponde non soltanto all’ottica di difesa dell’interesse nazionale o di una realtà geografica, fornendo una proiezione del sistema italiano di contrasto più affidabile e aderente alla realtà, ma ha anche un valore aggiunto per lo sviluppo della Rule of law globale e la creazione di un terreno di gioco equo e paritario per le imprese. La Risoluzione 8/10 è il punto di arrivo di un’iniziativa di diplomazia giuridica anticorruzione intrapresa nel 2017. Si era infatti evidenziato, in un seminario della Presidenza italiana G7, le conseguenze paradossali alle quali un Paese può trovarsi esposto a seguito dell’adozione di un approccio esclusivamente percettivo e dell’uso a fini di rating delle relative comparazioni: quanto più si perseguono fenomeni corruttivi sul piano della prevenzione e le fattispecie di reato sul piano della repressione, tanto maggiore è la percezione pubblica del fenomeno. Valutare un Paese come corrotto - o anche più o meno corrotto di quanto realmente non sia - può avere un impatto macroeconomico indiretto. Un approccio percettivo nella misurazione della corruzione - influenzato da fattori personali, culturali ed ambientali, come il livello di attenzione e il tipo di esposizione che i media dedicano ai casi di corruzione - genera ricadute significative sul piano economico e determina l’attribuzione di un valore di rating al Paese e alle sue imprese. Un sistema definito meno affidabile, poiché percepito come permeato da corruzione, è meno appetibile sia per gli investimenti esteri sia per la dinamica economica interna e subisce un effetto moltiplicatore di tendenza sui propri tratti distintivi.

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https://www.unodc.org/documents/treaties/UNCAC/COSP/session8/Advance_unedited_resolutions_final.pdf, pag. 36-39).

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La misura della corruzione: come andare oltre l’approccio della percezione

Risulta quindi paradossale che nel CPI l’Italia risulti sopravanzata da Paesi, anche europei, dove i giornalisti che indagano su episodi di corruzione rischiano la propria vita. La partecipazione italiana ai fori multilaterali competenti ha condotto ad una posizione profilata sul punto, dotata di un robusto retroterra scientifico culminato nel c.d. “Paradosso di Trocadero”2 ed in alcune ricerche note anche sul piano internazionale (EURISPES: La corruzione tra realtà e rappresentazione. Ovvero come si può alterare la reputazione di un Paese3). Siamo stati Paese pioniere dell’esercizio anche sul piano della metodologia statistica (indagine ISTAT sulla sicurezza delle famiglie 2015-2016, ora in fase di seconda edizione). Nel caso dell’indagine sulle famiglie4, le indicazioni risultanti dalle esperienze personali di corruzione sono molto più contenute di quelle provenienti dalle percezioni generali della rilevazione Eurobarometro. Accanto all’esperienza diretta delle vittime della corruzione, una più realistica valutazione del fenomeno dovrebbe considerare altri elementi oggettivi, di natura ordinamentale, quali i mezzi e gli strumenti di prevenzione e contrasto approntati dal quadro istituzionale e normativo: così nel caso italiano, l’indipendenza e autonomia dell’Autorità Nazionale Anticorruzione che si è aggiunta, sul piano preventivo, a quella di rilievo costituzionale della Magistratura (sia inquirente/requirente, che giudicante) sul piano repressivo, assicurano una capacità reattiva al fenomeno della corruzione. Queste connotazioni vanno dunque considerate parametri ineludibili per valutare l’affidabilità di un sistema Paese; ma a fronte dell’impatto negativo degli indici percettivi, esse passano in secondo piano nelle valutazioni internazionali peer to peer. Senza ovviamente negare l’esistenza di una corruzione ampia ed estesa anche nel nostro Paese, si deve riconoscere che la capacità italiana di contrasto e controllo ha l’effetto di disvelare, più che altrove, il malaffare. È indicativo come altri ordinamenti (ad es. la Francia con la Legge Sapin II, ma vi sono altri casi) ispirino il disegno dei propri strumenti di lotta alla corruzione al sistema italiano. La diplomazia giuridica italiana ha così posto il tema della misurazione nell’agenda anticorruzione e ha contribuito a modificare i termini del dibattito internazionale in materia. In ambito G20, su iniziativa italiana, l’Anti-Corruption Action Plan 2019-2021 adottato al Vertice di Buenos Aires (dicembre 2018) ha posto l’obiettivo di valutare “additional reliable tools” ovvero un possibile “cruscotto” multidimensionale di misurazione della corruzione e di analisi comparativa dei sistemi giuridici e giudiziari dei Paesi, sulla base delle metodologie concordate nei fori multilaterali competenti per il contrasto alla corruzione. Anche tra le Organizzazioni internazionali (ad es., FMI, OCSE, Commissione Europea) si sta diffondendo il tentativo di integrare all’interno dei rapporti Paese considerazioni e analisi sui sistemi nazionali di lotta alla corruzione, atteso l’impatto che il fenomeno esercita sull’economia.

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Il Paradosso di Trocadero, Rivista “Il Diritto penale della globalizzazione”, di Giovanni Tartaglia Polcini, Pacini editore, 22 ottobre 2017. 3 La corruzione tra realtà e rappresentazione. Ovvero come si può alterare la reputazione di un Paese. Ricerca condotta da Giovanni Tartaglia Polcini, Collana Eurispes, Ed. Minerva, Bologna 2018. 4 https://www.istat.it/it/archivio/204379

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Questo sviluppo può essere accolto con favore in linea generale. Si presta tuttavia a dubbi e perplessità quando si fa uso di indicatori sulla corruzione che non hanno fatto oggetto di un’analisi preliminare delle caratteristiche metodologiche degli indici di terze parti, sulle modalità di rilevazione, sull’interpretazione da attribuire agli score illustrati nei grafici (si pensi ancora all’utilizzo di Eurobarometro), sulla presenza di eventuali limiti di natura comparativa, su eventuali controlli di robustezza dei dati, sui criteri che conducono alla specifica selezione degli indicatori prescelti. In questa ottica, un anno e mezzo fa, sono state sollevate queste obiezioni metodologiche all’utilizzo del CPI in sede di commento al draft della Survey OCSE sull’Italia. Gli aspetti metodologici sull’analisi della corruzione sono stati affrontati anche dal FMI, che ha avviato l’esame della corruzione nei Rapporti ex Art. IV - tramite l’utilizzo dei framework AML/CTF del GAFI e OCSE Anti-bribery Convention - e ha sviluppato linee guida per l’uso degli indicatori di terze parti. Nell’ultimo anno sono emerse numerose conferme della presa d’atto dei limiti dell’approccio percettivo da parte di alcune Organizzazioni internazionali: così il Segretariato OCSE, che per primo ha previsto di inserire una trattazione sistematica, ancorché sintetica, del tema della corruzione nell’ambito delle Surveys economiche. Dopo una proposta iniziale che prevedeva soprattutto l’utilizzo di indicatori percettivi, il Segretariato sulla spinta del Comitato EDRC (Economic Development and Review Committee) ha riconosciuto l’esigenza di un dialogo più ampio al fine di pervenire a un framework di analisi condiviso che includa anche e soprattutto una misurazione esperienziale e oggettiva del fenomeno. A livello tecnico si sono svolti due seminari, in febbraio e a giugno che hanno sostanzialmente accolto le tesi italiane. Uno sviluppo di particolare significato a sostegno dell’impostazione italiana è costituito dal Rapporto annuale 2018 del GRECO, presentato nel giugno 2019 in occasione del ventennale della pertinente Convenzione del Consiglio d’Europa5. Il Rapporto mette in guardia sul fatto che la percezione pubblica di modesti livelli di corruzione in taluni Paesi può condurre a sottostimare la necessità di misure di contrasto. Il Rapporto evidenzia, in particolare, come alcuni Paesi, in cima alla classifica del CPI, non sono compliant con le Raccomandazioni loro rivolte nel quadro della valutazione sul grado di attuazione delle Convenzioni del Consiglio d’Europa, in materia civile e penale, sulla lotta alla corruzione. L’opposto di quanto accade per l’Italia. La mancata coerenza tra la graduatoria del CPI e il grado di rispetto degli standard anticorruzione è stata peraltro rilevata anche dalla società civile organizzata, proprio da Transparency International nel suo rapporto “Exporting corruption - assessing enforcement of the OECD antibribery Convention”, del settembre 2018. Dal suo canto l’UNODC, che già alcuni anni fa aveva osservato come nel caso dei Paesi dei Balcani fosse molto scarsa la correlazione tra esperienze e percezione della corruzione, ha messo a punto una metodologia statistica (Manual on Corruption Surveys)6 a disposizione

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https://www.greco.services/downloads/news-publikationen/annual-report/Annual-Report-GrECo-Group-2018. pdf) 6 https://www.unodc.org/documents/data-and-analysis/Crime-statistics/CorruptionManual_2018_web.pdf)

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La misura della corruzione: come andare oltre l’approccio della percezione

dei Paesi che vogliano realizzare rilevazioni oggettive del fenomeno. Lo studio ha visto un qualificato contributo dell’ISTAT e dell’omologo ente messicano INEGI, entrambi dotati di elevata specializzazione a livello globale sulle rilevazioni concernenti i reati, la presenza della criminalità e l’economia sommersa. Vi sono, dunque, ampi margini di miglioramento per le attuali tecniche di misurazione della corruzione in grado di riscrivere le graduatorie più diffuse sul piano globale, con effetti rilevanti sui rating delle singole economie nazionali, sulla reputazione e competitività dei sistemi e sulla loro capacità di attirare investimenti. Appare quindi opportuno proseguire, sul piano multilaterale, lo sforzo per approfondire la comprensione di approcci alla misurazione della corruzione alternativi al paradigma percettivo e per incoraggiare lo sviluppo di un set di indicatori affidabili e condivisi, in grado di sostenere una realistica comparazione tra Paesi. Questo impegno potrà giovarsi della collaborazione tra istituzioni, società civile, università e ricerca e settore privato. Tale sforzo, attraverso la progressiva composizione di dashboard (“cruscotto”) e panieri di indicatori non solo percettivi - e, per ciò stesso, più attenti ai dati ordinamentali – può legittimamente accompagnare e sostenere una diversa narrativa del sistema istituzionale ed economico italiano, in cui la realtà si imponga sulla rappresentazione artificiosa e sostanzialmente fuorviante, invertendo la rotta della narrativa (storytelling) su un elevato grado di corruzione e di impunità nel nostro Paese. Ai fini della compiuta realizzazione di nuovi parametri di misurazione della corruzione, assumerà particolare importanza la presentazione dei dati statistici e dei risultati dell’attività giudiziaria condotta in Italia (dati su condanne, confische, detenzioni, prescrizioni) secondo parametri effettivamente comparabili a livello internazionale, come richiesto dalla Risoluzione UNCAC in parola. La Risoluzione, dunque, non è solo un traguardo raggiunto, ma è divenuta concreto punto di partenza di una rinnovata azione diplomatica, già in corso quest’anno (co-presidenza dell’Anti-Corruption Working Group del G20 a Presidenza Saudita, Presidenza italiana nel 2021) allo scopo di raccogliere buone prassi nazionali di misurazione della corruzione e di approvare, sotto nostra Presidenza, una vera e propria Guida del G20 alla misurazione. Un nuovo paradigma della misura della corruzione, a quasi trent’anni dal lancio del CPI, diverrebbe in questo modo - più che una semplice buona prassi - un contributo concreto alla sostenibilità e alla misurabilità dei suoi progressi; e ciò su impulso italiano e con l’avallo determinante del principale foro economico globale. La proposta metodologica, peraltro, si presta in prospettiva ad un’applicazione robusta anche in settori distinti e ben più ampi e rilevanti rispetto a quello della lotta alla corruzione: senza misure accurate e affidabili non solo diventa difficile cogliere l’estensione e l’ordine di grandezza dei fenomeni, ma anche effettuare una trasparente e corretta comparazione tra sistemi ed indirizzare strategie d’intervento istituzionale e politico di sviluppo sostenibile.

Alfredo Durante Mangoni

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La risoluzione n.8/6 della VIII COSP della UNCAC1 in materia di corruzione internazionale:1una nuova attenzione al lato nascosto del reato…? All’esito della sua ottava sessione, tenutasi in Abu Dhabi dal 16 al 20 dicembre 2019, la Conferenza degli Stati Parte (“COSP”) alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la Corruzione2 (“UNCAC”) ha adottato una serie di rilevanti risoluzioni orientate ad affrontare diverse tematiche, ognuna delle quali in qualche misura collegata ai diversi aspetti coperti dalla Convenzione: dalla cooperazione internazionale e l’asset recovery all’integrità nel settore pubblico, dallo Sport alla prevenzione del fenomeno corruttivo od alla sua misurazione od ancora alla prevenzione ed alla lotta ai fenomeni di corruzione collegati ai reati ambientali. Presentata dagli Stati Uniti, la Risoluzione 8/6 (intitolata “Implementation of international obligations to prevent and combat bribery as defined under the UN Convention against Corruption”) è l’unica, tra le diverse approvate, vocata ad affrontare specificamente il tema della corruzione internazionale. Oggetto specifico dell’obbligo di incriminazione previsto dall’art. 16 della UNCAC (“Corruzione di pubblici ufficiali stranieri e di funzionari di organizzazioni internazionali pubbliche”)3 nel quadro del Titolo III della Convenzione, dedicato agli aspetti repressivi del fenomeno, il divieto di porre in essere condotte di corruzione internazionale si colloca nel solco dei divieti di analogo tenore imposti - pur nella diversità della portata precettiva e dell’ambito di applicazione - dai principali strumenti anticorruzione già in precedenza adottati. Tra questi

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Risoluzione 8/6 adottata alla “Eighth session of the Conference of the States Parties to the United Nations Convention against Corruption”, Abu Dhabi, 16-20 December 2019; https://www.unodc.org/unodc/en/frontpage/2019/ December/anti-corruption-conference-concludes-with-important-decisions-on-practical-steps-to-prevent-and-fightthis-crime.html?ref=fs3 2 https://www.unodc.org/documents/treaties/UNCAC/Publications/Convention/08-50026_E.pdf 3 “Article 16. Bribery of foreign public officials and officials of public international organizations 1. Each State Party shall adopt such legislative and other measures as may be necessary to establish as a criminal offence, when committed intentionally, the promise, offering or giving to a foreign public official or an official of a public international organization, directly or indirectly, of an undue advantage, for the official himself or herself or another person or entity, in order that the official act or refrain from acting in the exercise of his or her official duties, in order to obtain or retain business or other undue advantage in relation to the conduct of international business. 2. Each State Party shall consider adopting such legislative and other measures as may be necessary to establish as a criminal offence, when committed intentionally, the solicitation or acceptance by a foreign public official or an official of a public international organization, directly or indirectly, of an undue advantage, for the official himself or herself or another person or entity, in order that the official act or refrain from acting in the exercise of his or her official duties.”


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in particolare la Convenzione dell’OCSE del 1997 sulla corruzione nelle transazioni di affari internazionali4, la pressoché coeva Convenzione dell’Unione europea contro la corruzione5 e la Convenzione penale del Consiglio d’Europa contro la corruzione del 19996. La disposizione della UNCAC ripete il proprio focus (“…in order to obtain or retain business or other undue advantage in relation to the conduct of international business.”) dalla convenzione OCSE del 1997, dedicata alla sola corruzione attiva commessa nel quadro di un’attività commerciale e sostanzialmente disinteressata all’incriminazione della condotta passiva della corruzione internazionale. A sua volta la Convenzione penale del Consiglio d’Europa, che pure prevede un generale obbligo di incriminazione per la corruzione internazionale attiva e passiva, finisce con il prevedere al riguardo un regime differenziato in quanto, in forza del suo art. 37, ogni Stato parte può dichiarare di riservarsi il diritto di non incriminare le condotte di corruzione internazionale passiva. Sulla scia di tali precedenti, l’art. 16 dell’UNCAC è stato dotato di efficacia pienamente vincolante soltanto nel suo primo paragrafo. Il profilo inerente al lato passivo della condotta, quello inerente al lato della “domanda” ed alle condotte poste in essere da un pubblico ufficiale straniero o da un funzionario di un’organizzazione internazionale pubblica, oggetto del secondo paragrafo dell’articolo, rimane infatti in background, confinato al novero delle clausole della convenzione che si limitano ad incitare gli Stati parte a semplicemente “considerare” la possibilità di adottare disposizioni incriminatrici in materia. Si viene in tal modo a stabilire, al pari di numerose altre disposizioni della Convenzione (per limitarsi al solo Capitolo III, si pensi anche agli artt. da 18 a 22, 24, da 30 a 33, 37 e 39), una mera obbligazione “di mezzo” e non “di risultato”. L’art. 26 dell’UNCAC estende poi la portata di tali disposizioni anche alle persone giuridiche, stabilendo un obbligo di prevederne la responsabilità per le violazioni introdotte in attuazione delle disposizioni della Convenzione, e finisce ovviamente con il risentire della medesima limitata efficacia vincolante in relazione alle condotte passive di corruzione internazionale. Su tali presupposti, la risoluzione inizialmente presentata alla COSP da parte della delegazione statunitense concentrava la propria attenzione sull’invito rivolto agli Stati parte ad intensificare i propri sforzi di incriminazione tanto sul lato della corruzione attiva quanto anche su quello della corruzione passiva, così domestica come internazionale. In tal modo finiva con il venire ad essere interessato non soltanto l’oramai tradizionale “supply side” della corruzione internazionale, ma veniva incluso nell’alveo di attenzione anche il c.d. “flip side”, vale a dire quello della domanda7. L’iniziale formulazione della proposta focalizzava inoltre l’attenzione anche sugli aspetti legati alla detection, alla responsabilità delle persone giuridiche, alla corruzione tra privati ed al rispetto delle obbligazioni in materia di cooperazione internazionale.

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OECD Convention on Combating Bribery of Foreign Public Officials in International Business Transactions, http://www.oecd.org/daf/anti-bribery/ConvCombatBribery_ENG.pdf 5 Atto del Consiglio del 26 maggio 1997che stabilisce, sulla base dell’articolo K.3, paragrafo 2, lettera c) del trattato sull’Unione europea la convenzione relativa alla lotta contro la corruzione nella quale sono coinvolti funzionari delle Comunità europee o degli Stati membri dell’Unione europea, GUUE C 195 del 25 giugno 1997, p. 1 6 STE n° 173, Convenzione penale sulla corruzione, https://www.coe.int/it/web/conventions/full-list/-/conventions/treaty/173 7 Cfr. What Happens to the Public Officials on the Receiving End?, OECD (2018), https://www.oecd.org/corruption/Foreign-Bribery-Enforcement-What-Happens-to-the-Public-Officials-on-the-Receiving-End.pdf

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La risoluzione n.8/6 della VIII COSP della UNCAC in materia di corruzione internazionale

Nel progresso dei lavori, sviluppatisi per l’intera durata della Conferenza, e in ragione delle richieste di modifiche e di aggiunte formulate soprattutto dalle delegazioni di Paesi esterni al c.d. blocco occidentale, il focus della risoluzione è progressivamente venuto ad estendersi anche ad atri aspetti non originariamente coperti dalla proposta iniziale. Gli emendamenti proposti hanno in particolare interessato il preambolo del documento, all’interno del quale sono stati introdotti diversi richiami al rispetto della sovranità e della integrità territoriale dei diversi Stati parte. Ciò è dovuto al tentativo di utilizzare il veicolo della Risoluzione in esame al fine di sottolineare un punto di dissenso, rinvenibile soprattutto nei punti preambolari nn. 5 e 6, nei confronti del sempre più frequente ricorso da parte di alcuni Stati parte ad una applicazione extraterritoriale della propria legislazione antibribery. In primis tra questi, pur senza mai essere menzionati nel testo, gli Stati Uniti e, sia pur in misura minore, a seguito della recente adozione della nuova legislazione in materia di corruzione internazionale, anche il Regno Unito. Facendo uso della vis espansiva della propria consolidata legislazione in materia (il Foreign Corrupt Practices Act – FCPA8 del 1977) e dei propri ampli criteri di giurisdizione, gli USA hanno infatti frequentemente promosso investigazioni nei confronti di soggetti ritenuti autori di condotte di corruzione internazionale commesse al di fuori del territorio statunitense, molte delle quali concluse con onerose procedure di transazione (“Out of Courts settlements”) con il Dipartimento della Giustizia americano (Differed Prosecution Agreements - DPA o Non Prosecution Agreements - NPA). In tal senso la risoluzione, nel suo testo finale, sottolinea in particolare che “nulla nella Convenzione autorizza uno Stato parte ad avviare nel territorio di un altro Stato parte l’esercizio della propria giurisdizione o di funzioni che sono esclusivamente riservate all’autorità di altri Stati…”. Nella sua parte dispositiva la risoluzione 8/6 mantiene comunque la sostanza dell’impianto originario e nei suoi diversi paragrafi si diffonde sugli aspetti relativi all’effettivo enforcement dell’art. 16 della Convenzione ed all’espansione del suo ambito di applicazione. Per ciò che riguarda l’incriminazione, e riprendendo il filo del discorso sopra anticipato, appare da segnalare l’interesse posto nel punto 1, al di là dei tipici profili della corruzione “attiva”, anche agli aspetti legati al versante passivo della corruzione (“…including the solicitation and acceptance of bribes by a national public official, and to strengthen their efforts to effectively enforce those laws”) con il chiaro intento di riequilibrare almeno in parte la già segnalata disparità che è dato attualmente ritrovare all’interno della UNCAC per ciò che riguarda il trattamento del supply e del demand side in materia di corruzione internazionale. Il messaggio che emerge nella sostanza è quello rivolto a tutti gli Stati parte di implementare effettivamente la Convenzione anche per ciò che riguarda la richiesta o la sollecitazione di tangenti da parte dei propri funzionari o di altri pubblici ufficiali, sanzionando quindi efficacemente tali condotte. L’ovvio ancorché implicito corollario di tale indicazione appare quello di porre anche in capo agli Stati di nazionalità dei funzionari o degli amministratori che accettino o sollecitino il pagamento di una tangente la responsabilità di perseguire e sanzionare efficacemente gli stessi, rinforzando in tal modo quell’obbligazione “attenuata” che si è vista figurare nel linguaggio convenzionale all’interno del secondo paragrafo dell’articolo 16. Ciò trova conferma anche al punto 5 della risoluzione dove si ritorna sulla necessità di criminalizzare l’intera gamma delle condotte di corruzione, necessità ulteriormente evocata anche al punto 6 dove, sempre ai fini di una efficace criminalizzazione delle condotte suddette, viene sotto-

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https://www.justice.gov/criminal-fraud/foreign-corrupt-practices-act

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lineata l’importanza a tal fine della cooperazione internazionale. Il punto 11 della risoluzione completa il quadro che precede, rivolgendo l’incitamento alle autorità di law enforcement ad investigare attivamente anche le condotte di sollecitazione e di accettazione di tangenti da parte dei propri pubblici ufficiali. Il punto 2 del documento incita poi alla piena e completa attuazione dell’art. 26 dell’UNCAC, relativo alla responsabilità delle persone giuridiche, ponendo anche in questo caso, in coerenza con l’oggetto della risoluzione, l’accento sugli aspetti legati alla corruzione internazionale ed all’efficace sanzione della stessa. Il punto 3 si occupa invece degli aspetti legati alla prevenzione della corruzione che vede coinvolto il settore privato, inclusa la corruzione di funzionari nazionali, stranieri od internazionali, sottolineando l’importanza di una adeguata regolamentazione degli aspetti legati alla corretta tenuta della contabilità ed all’auditing. Il punto 8 della risoluzione rivolge l’attenzione agli aspetti sanzionatori associando ad essi il ricorso alle già sopra richiamate procedure alternative (“…alternative legal mechanisms and non-trial resolutions, including settlements;”) le quali sono oggetto anche del successivo punto 9, dove gli Stati che fanno uso di esse (leggi in particolare gli USA) sono invitati a cooperare con gli altri Stati parte al fine di migliorare la condivisione delle informazioni su tale tipo di procedure. Il punto 13 ritorna sulla questione, incoraggiando questa volta alla condivisione dell’informazione sugli esiti delle procedure di settlements, rendendo gli stessi pubblici. Tale richiesta appare del resto in linea con gli orientamenti che in tal senso promanano da diverse istanze internazionali9 che invitano ad una maggiore trasparenza e accountability circa le ragioni che conducono a concludere tale tipo di procedure le quali, nonostante gli obblighi di criminalizzare e sanzionare efficacemente le condotte ad esse sottese, vengono di frequente a collocarsi al di fuori di ogni quadro di natura propriamente giudiziaria. Da sottolineare che anche tali aspetti non figuravano nel testo della proposta originaria ma sono stati introdotti in corso d’opera su proposta della delegazione nigeriana, con l’evidente proposito di incitare a mettere in comune ed in qualche modo “collettivizzare” i risultati di procedimenti altrimenti destinati, per loro stessa natura, a rimanere confinati negli assai ristretti perimetri delle istanze extragiudiziarie di trattazione degli stessi. Diversi paragrafi della risoluzione, dal 14 in poi, toccano gli aspetti legati alla cooperazione internazionale, sottolineandone l’importanza (p. 14), incitando a prevedere adeguate regole in materia di giurisdizione che consentano l’efficace repressione delle condotte di corruzione internazionale anche coordinando i diversi interventi e prevenendo possibili conflitti di giurisdizione (p. 15), incoraggiando (anche in questo caso su proposta additiva della Nigeria) alla restituzione dei proventi confiscati verso i Paesi di commissione dei fatti attraverso meccanismi di asset recovery (p. 16, materia quest’ultima oggetto peraltro anche di altra risoluzione10 approvata dalla COSP), ed ancora incoraggiando a considerare le disposizioni della UNCAC come costituenti una idonea e sufficiente base legale per poter procedere all’estradizione in relazione ai reati di corruzione (p. 17). Di rilievo anche l’invito rivolto nel paragrafo 19 a far ricorso alla trasmissione spontanea di informazioni in relazione ai casi di corruzione internazionale, in linea con la possibilità aperta dal disposto dell’art. 46.4 dell’UNCAC.

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Cfr. Resolving Foreign Bribery Cases with Non-Trial Resolutions: Settlements and Non-Trial Agreements by Parties to the Anti-Bribery Convention, OECD (2019), https://www.oecd.org/corruption/Resolving-Foreign-Bribery-Caseswith-Non-Trial-Resolutions.htm 10 Vedi Risoluzione 8/1

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La risoluzione n.8/6 della VIII COSP della UNCAC in materia di corruzione internazionale

Il ricorso alle tecniche speciali di investigazione per investigare le condotte di corruzione internazionale viene incoraggiato al paragrafo 18, in particolare attraverso il ricorso alla conclusione di accordi od intese bilaterali o multilaterali (che dovranno comunque risultare anch’essi rispettosi del principio di sovranità protetto dall’art. 4 dell’UNCAC). I numerosi aspetti a diverso titolo legati alla protezione degli informatori ed alla cooperazione con il settore privato sono oggetto dell’ultimo gruppo di paragrafi della risoluzione. Gli stati parte vengono infatti fortemente incoraggiati a sensibilizzare il private sector, anche prevedendo appropriati incentivi al riguardo, circa la necessità di introdurre ed attuare adeguati programmi interni di compliance (p. 22) nonché a cooperare pienamente con le autorità nazionali nel quadro delle eventuali indagini in materia di corruzione internazionale (p. 23). Il paragrafo 21 raccomanda invece di predisporre efficaci meccanismi di protezione del whistleblowing, prevedendo sistemi confidenziali di denunzia delle condotte illecite in materia, nonché dei diversi soggetti che, a qualsiasi titolo, collaborino con la Giustizia in qualità di testimoni, esperti o vittime. Lo scambio di buone pratiche, già incoraggiato nel paragrafo 24, viene anche posto al centro del paragrafo conclusivo avente ad oggetto i seguiti da offrire alla risoluzione. A tale riguardo si prevede che l’Implementation Review Group (IRG) dell’UNCAC dovrà includere nei propri lavori a venire un monitoraggio delle buone pratiche e delle lezioni apprese dagli Stati parte nel corso delle indagini sinora condotte in materia di corruzione internazionale, con specifico riferimento anche ai temi delle condotte di sollecitazione di tangenti e del rafforzamento della cooperazione internazionale in materia. Quali in concreto i risultati ed i seguiti della risoluzione 8/6 sulla Bribery…? È da ritenere che la stessa, alla pari peraltro di numerosi analoghi strumenti non vincolanti in precedenza adottati dagli organismi delle Nazioni Unite, sia destinata a venire dimenticata già all’indomani della conclusione del pur faticoso negoziato che ha condotto alla sua approvazione od invece potrà risultare foriera di effettivi sviluppi sul piano concreto? Se non è facile offrire oggi, soprattutto in ragione delle sopravvenute emergenze sanitarie legate al COVID-19, un definito scenario a venire, deve tuttavia registrarsi la già avvenuta comunicazione a tutti gli Stati parte alla Convenzione di una richiesta11 del Segretariato dell’UNODC relativa all’invio, entro un mese dal ricevimento, di informazioni sulle misure prese per rafforzare l’attuazione degli articoli 15 e 16 della Convenzione nonché su quelle adottate ai fini del rafforzamento delle indagini in materia, incluse quelle relative alle condotte di richiesta di tangenti (“… including solicitation…”), e della cooperazione con le autorità di indagine e con il settore privato. Se molto potrebbe forse osservarsi quanto all’opportunità di una richiesta formulata con tale carattere di urgenza proprio nel pieno dell’emergenza Coronavirus, essa testimonia comunque della esistenza di una forte volontà – che non appare arduo immaginare si appoggi anche sul sostegno statunitense - di predisporre una prima panoramica relativa alle buone pratiche ed alle misure adottate in materia dagli Stati da sottoporre all’attenzione dell’Implementation Review Group già alla sua prossima riunione, attualmente ancora prevista per il mese di giugno 2020 in Vienna. Nell’attesa dei risultati che verranno offerti dal già avviato esercizio di monitoraggio, la risoluzione si segnala comunque sotto diversi aspetti dei quali, in questa sede, ci si limita a far solo cenno non essendovi ancora stato tempo sufficiente per maturare sulla stessa una

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Lettera del 16 marzo 2020, Ref. CU 2020/DTA/CEB/CSS

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Speciale

valutazione compiuta anche in relazione all’intero complesso delle risoluzioni adottate dalla COSP del 2019. Ove la lettura sin qui offerta della risoluzione 8/6 appaia tuttavia condivisibile, la volontà di promuovere attraverso la stessa un riequilibrio dell’attenzione - sin qui concentrata essenzialmente sul versante dell’offerta (vale a dire sui soggetti e sui Paesi considerati “ricchi” e potenzialmente esportatori di corruzione) - nella direzione del sinora relativamente negletto “flip side”, vale a dire il versante della domanda, appare meritevole di speciale menzione. Attraverso di essa sembra infatti palesarsi l’intento di perseguire una maggiore responsabilizzazione delle autorità di quei Paesi dove le tangenti vengono accettate o sollecitate e sulle quali incomberà procedere ad una più efficace ed effettiva repressione di tali condotte di corruzione internazionale “passiva” in relazione alle quali la UNCAC, al paragrafo 2 dell’art. 16, prevede una obbligazione dotata della attenuata portata vincolante già sopra descritta. Quanto precede appare ulteriormente dimostrato dalla già avvenuta presentazione davanti il Congresso degli Stati Uniti di un progetto di legge significativamente denominato ‘‘Countering Russian and Other Overseas Kleptocracy Act” (the ‘‘CROOK Act’’) e finalizzato per l’appunto a fornire da parte del Governo statunitense sostegno finanziario alle politiche anticorruzione di altri Stati anche facendo ricorso a fondi provenienti dalle sanzioni applicate ai sensi del FCPA. Il tentativo, ove risultasse foriero di effetti concreti, avrebbe di certo il merito di espandere complessivamente l’efficacia del dispositivo globale anticorruzione, obbligando in sostanza i Paesi dai quali origina la domanda ad agire in maniera più incisiva al proprio interno; esso potrebbe tuttavia non apparire del tutto neutro sotto il profilo politico, imponendo a questi ultimi una maggiore assunzione di responsabilità di fronte ad una tipologia di infrazioni sinora invece considerata, sia pur non necessariamente a ragione, come appannaggio pressoché esclusivo dell’Occidente industrializzato. D’altra parte i già evidenziati inserimenti operati nel corso del negoziato, proprio su richiesta di delegazioni non certo appartenenti a tale gruppo di Paesi, possono rivendicare il merito di aver operato un riequilibrio nella portata della risoluzione accendendo un faro di attenzione su alcuni aspetti, quale quello dell’esercizio extraterritoriale della giurisdizione da parte di alcuni Stati, di sicura rilevanza concreta ancorché non riferibili al contenuto di alcuna precisa disposizione dell’UNCAC al di fuori della generica copertura offerta dall’articolo 4 alla protezione della sovranità nazionale. Il risultato finale appare dunque quello di una risoluzione dotata di sicura rilevanza e di un sostanziale equilibrio al suo interno, la quale mantiene tuttavia i limiti propri di uno strumento di soft-law. In quanto tale essa, pur mantenendo la propria valenza politica, non è dotata di immediata cogenza e, soprattutto, non è destinata ad entrare a far parte del corpus di norme oggetto di monitoraggio diretto da parte dell’Implementation Review Group nell’ambito dei suoi cicli di valutazione, monitoraggio limitato al solo testo della sola Convenzione12. Sarà tuttavia interessante rivolgere in futuro lo sguardo ai risultati (ed all’uso che sarà fatto degli stessi) del monitoraggio recentemente avviato dal Segretariato dell’UNODC sull’implementazione degli articoli della Convenzione in materia di incriminazione della corruzione anche al fine di comprendere se esista una reale volontà politica dei suoi Stati parte di rivolgere effettiva attenzione al “flip side” della corruzione internazionale. Lorenzo Salazar

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Ai sensi della Risoluzione 3/1 della COSP che ha introdotto il meccanismo di Peer Review.

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Speciale

Il contributo dell’Autorità Nazionale Anticorruzione in sede di CoSP 8 ANAC e il suo ruolo nella “rete delle reti” di Autorità per la prevenzione della corruzione Sommario: 1. Il mandato dell’Autorità Nazionale Anticorruzione – 2. Le interlocuzioni di ANAC con la rete delle Corti dei conti – 3. I side-events. In particolare: le iniziative internazionali per la prevenzione della corruzione – 4. (segue) La mappatura delle autorità nazionali di prevenzione della corruzione – 5. Gli sviluppi ulteriori.

1. Il mandato dell’Autorità Nazionale Anticorruzione La legge n.190/2012, nell’istituire un’autorità nazionale per la prevenzione della corruzione in adempimento dell’art. 6 della United Nations Convention against Corruption (UNCAC), le ha assegnato un rilevante ruolo anche nella vita di relazione internazionale stabilendo che essa «collabora con i paritetici organismi stranieri, con le organizzazioni regionali e internazionali competenti» (art. 1, co. 2, lett. a). La centralità della norma emerge con tutta evidenza se si osserva che essa è situata in apertura della disposizione che stabilisce quali competenze ANAC debba esercitare, significando così che tutte queste devono essere assolte tanto nell’ambiente domestico tanto in quello internazionale, con gli strumenti (giuridici e/o diplomatici) appropriati. È questa una responsabilità che, nei quasi sei anni trascorsi dalla sua istituzione, ANAC ha assolto, nella consapevolezza di dover contribuire con tutte le altre istituzioni nazionali a elaborare, applicare e perseguire politiche di prevenzione della corruzione efficaci e coordinate, tali da favorire anche la partecipazione della società civile, facendo propri i principi dello Stato di diritto, di buona gestione degli affari e dei beni pubblici, di integrità, di trasparenza e di responsabilità, come richiesto dall’art. 5 UNCAC. Nell’esercizio di queste competenze l’Autorità ha fatto parte della delegazione d’Italia in sede di Conferenza degli Stati parte (CoSP) di UNCAC, che si è celebrata fra il 16 e il 19 dicembre scorsi ad Abu Dhabi. In questa sede ANAC è stata coinvolta in numerose iniziative e, in modo propositivo, ha anche favorito alcune occasioni di cooperazione internazionale. La delegazione dell’Autorità era composta dal Consigliere Nicoletta Parisi, anche in qualità di past President dell’International Network of Corruption Prevention Agencies (NCPA)1, e dal Dottor Francesco Clementucci, esperto in ANAC per lo sviluppo della rete NCPA.

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www.coe.int/en/web/corruption/ncpa-network


Speciale

2. Le interlocuzioni di ANAC con la rete delle Corti dei conti Si può, in primo luogo, valorizzare l’importante sede di cooperazione che ha preceduto l’apertura ufficiale della CoSP, con un’intensa tre-giorni di dialogo intessuto a vari livelli fra la rete internazionale delle Corti dei conti (INTOSAI) e le autorità di prevenzione della corruzione (ACAs), in sede di pre-CoSP dunque. L’incontro – al quale ANAC ha partecipato - si situa concettualmente entro l’ambito coperto dall’art. 1, lett. c), UNCAC, il quale stabilisce che scopo della Convenzione è anche quello di promuovere l’integrità, la responsabilità e la corretta gestione degli affari e delle proprietà pubbliche. Le Supreme Audit Institutions (SAIs), da parte loro, hanno anche responsabilità ai sensi dell’Agenda 2030, in particolare entro l’obiettivo di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goal - SDG) n. 16, in relazione al processo di pianificazione strategica, e più specificamente entro gli obiettivi 16.5 (riduzione sostanziale della corruzione in tutte le forme) e 16.6 (sviluppo di istituzioni efficaci, responsabili e trasparenti a tutti i livelli). Nella prima giornata si è tenuto un incontro ristretto del gruppo direttivo di SAIs e ACAs, per valutare come rafforzare l’efficacia della collaborazione reciproca. In questa sede – prendendo a fondamento gli articoli 9 e 10 UNCAC - si è discusso della possibile sinergia reciproca fra i due circuiti di autorità nazionali. In particolare, questa sessione preliminare di lavori ha permesso di concludere che gli appalti pubblici sono un’area di convergenza delle rispettive competenze e attività. Al fine di facilitare il processo di avvicinamento è stato firmato un protocollo d’intesa tra l’United Nations Office on Drugs and Crime (UNODC) e INTOSAI indirizzato a creare uno spazio di cooperazione permanente tra SAIs e ACAs. In questa prima giornata si è anche dato seguito all’obiettivo di presentare ai lavori della plenaria CoSP8 una risoluzione in quest’ultima direzione. A conclusione dei lavori, il Gruppo direttivo ha sviluppato un cronoprogramma che, a partire dal 2020, indica attività di collaborazione, organizzate per tipologia, compiti, risultati attesi, programmi e responsabilità. Sarà dunque valorizzata la collaborazione tramite: seminari congiunti indirizzati a massimizzare la disseminazione e condivisione delle conoscenze; progetti di ricerca volti a raccogliere ed elaborare buone pratiche nonché sviluppare norme e standard rafforzati; attività congiunte di formazione e di sviluppo delle capacità per sostenere la diffusione delle migliori pratiche A questa prima sessione ristretta di lavori sono seguite due giornate di dibattito (14 e 15 dicembre 2019) indirizzate a esplorare sinergie e opportunità a lungo termine per migliorare la collaborazione reciproca ai fini di un’efficace rilevazione e prevenzione della corruzione. Il successo del dibattito si deve anche all’eccellente regia della SAI degli Emirati Arabi, in qualità di reggente della Presidenza temporanea della rete INTOSAI. Nell’intervento di apertura l’istituzione ha tenuto a sottolineare l’importanza delle misure preventive, quali la promozione della responsabilità attraverso verifiche finanziarie annuali, nonché la valutazione delle strutture di controllo interno. Il continuo monitoraggio dei sistemi di accertamento interno, lo stimolo al miglioramento e il riscontro dell’applicazione delle raccomandazioni appena menzionate rappresentano, a parere di questa istituzione, gli elementi principali di un ambiente olistico di controllo volto a prevenire frodi corruttive. ANAC ha contribuito al dibattito - a fianco della delegazione italiana della Corte dei conti - con due diversi interventi del Consigliere Parisi: il primo (14 dicembre) in qualità di past President di NCPA, il secondo (15 dicembre) in qualità di componente del Consiglio di ANAC. Nella prima occasione è stata richiesta di illustrare le modalità e gli strumenti del proprio impegno nella vita di relazione internazionale; nella seconda di indicare – a partire dalle vicende che sul piano fattuale e normativo hanno dato origine all’istituzione in Italia di un’autorità di prevenzione della cor26


Il contributo dell’Autorità Nazionale Anticorruzione in sede di CoSP 8

ruzione indipendente ai sensi dell’art. 6 UNCAC – le buone pratiche nel settore degli appalti pubblici. Attenzione particolare è stata posta su istituti, procedure e strumenti quali: la vigilanza collaborativa (nata dall’esigenza di presidiare gli appalti per l’apertura di EXPO 2015, che ha dato vita a una buona pratica internazionale riconosciuta e promossa dall’OCSE); il cd. “commissariamento del ramo d’impresa” come presidio per conservare, monitorare e supportare appalti pubblici particolarmente significativi già infiltrati o a rischio infiltrazione di condotte di corruzione; la competenza consultiva espressa attraverso il cd. “precontenzioso” (ex art.211 del Codice dei contratti pubblici del 2016); la legittimazione attiva di ANAC a ricorrere al giudice amministrativo “nell’interesse della legge” (ex art. 211 bis e ter dello stesso Codice); la competenza di regolazione; il monitoraggio del mercato tramite anche l’elaborazione di costi standard e di prezzi di riferimento; l’attività messa in campo nel settore della misurazione del rischio corruttivo e dell’efficacia delle misure di prevenzione della corruzione, che occupa l’Autorità fin dalla Presidenza italiana del G7 del 2017. Al proposito, in collaborazione con altre istituzioni nazionali (ad esempio ISTAT e Ministero della Giustizia) e internazionali (OCSE), ANAC sta sviluppando un progetto che, attraverso la ricerca di dati statistici, con un alto grado di rappresentatività territoriale, ha l’obiettivo, da una parte, di definire una serie di indicatori di misurazione del rischio corruttivo e, dall’altra, di rilevare l’efficacia delle azioni di prevenzione della corruzione. L’obiettivo ultimo è quello di stabilire una metodologia europea per una oggettiva misurazione del rischio di corruzione, da affiancare a indicatori esperienziali e di percezione. Gli altri partecipanti istituzionali all’evento sono stati la GIZ (agenzia di sviluppo internazionale tedesca), la Banca Mondiale, AFROSAI, le ACAs di Sri Lanka, Indonesia e Serbia, oltre alle SAIs di Oman, Cile, Mozambico, Uganda, Ecuador, Austria, Egitto, Ungheria, Perù ed Emirati Arabi Uniti. Dal dibattito di queste istituzioni è emersa la consapevolezza del loro ruolo nel migliorare la trasparenza e accrescere la responsabilità generale, per sostenere un ambiente che limiti le possibilità di atti corruttivi, volano di un rinnovato buon governo.

3.I side-events. In particolare: le iniziative internazionali per la prevenzione della corruzione Durante la sessione CoSP8 l’Autorità Nazionale Anticorruzione ha organizzato il primo (in senso cronologico) evento a margine di essa, dedicato a “Le iniziative internazionali per la prevenzione della corruzione”2, sostenuto dall’Agence française anticorruption (AFA). Questo evento ha visto la partecipazione del Ministro brasiliano per la finanza pubblica Dottor Rosario, il Consigliere Parisi (per ANAC), il Dottor Duchaine (Direttore generale dell’Agenzia anticorruzione francese – AFA nonché Presidente in carica dal NCPA), il Dottor Ben Kaifal (Capo della Commissione anticorruzione in Sierra Leone e Presidente della rete delle istituzioni nazionali anticorruzione in Africa occidentale - NACIWA), il Dottor Schlagenhauf (Vice Segretario generale presso l’OCSE); la Dottoressa Sarkis (Capo del Dipartimento anticorruzione del Ministero della Funzione pubblica del Libano, nonché membro della rete araba di istituzioni nazionali anticorruzione ACINET) e il Dottor Hamid (Direttore esecutivo dell’Istituto di revisione contabile degli Emirati Arabi Uniti, membro dell’Organizzazione internazionale delle istituzioni superiori di controllo - INTOSAI). L’evento è stato moderato dal Dottor Clementucci (responsabile del progetto della rete NCPA presso ANAC).

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https://www.unodc.org/documents/treaties/UNCAC/COSP/session8/SpecialEvents/ANAC_it_Flyer_Side_Event

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Speciale

Il dibattito si è articolato intorno al valore aggiunto che deriva dalla presenza e dall’attività di reti (universali e regionali) di autorità di prevenzione della corruzione. Ciascun relatore ha illustrato il ruolo e le funzioni della Rete di appartenenza, l’importanza di rilevare e condividere buone pratiche in materia, nonché di rafforzare una più stretta collaborazione tecnica non solo tra le agenzie di prevenzione della corruzione, ma anche fra le reti esistenti. L’evento ha altresì avuto lo scopo di sensibilizzare i numerosi astanti sulle esistenti reti fra autorità per la prevenzione della corruzione e di enfatizzare l’esigenza – sottesa anche alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione - di accrescere e accelerare la condivisione delle conoscenze, attraverso la diffusione di linee guida tecniche, anche in funzione di rendere più facile l’adempimento delle obbligazioni convenzionali e delle raccomandazioni che emergono a seguito degli esercizi di peer review, nonché di stabilire opportunità di più stretta collaborazione fra sistemi regionali di prevenzione della corruzione. In questa occasione è stato illustrato da parte di ANAC il ruolo di NCPA, nato da un’intuizione del past President della stessa Autorità, il Dottor Raffaele Cantone, espressa già nel 2016, in sede di audizione nell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, condivisa inizialmente con le agenzie di prevenzione della corruzione di Francia e Serbia, sostenuta poi dal Consiglio d’Europa e dalla Presidenza croata del GrECO. L’iniziativa si è concretizzata a Šibenik, Croazia (durante una sessione plenaria del GrECO), con la firma della Dichiarazione fondativa, il 18 ottobre 20183. Questa iniziativa – che conta oggi ventiquattro autorità nazionali, vuole valorizzare l’impronta preventiva del contrasto alla corruzione, nella convinzione che una rete di autorità nazionali esclusivamente dedicate ad essa fosse necessaria, alla luce di quanto richiedono strumenti internazionali, principalmente UNCAC. La presentazione - ad Abu Dhabi in sede CoSP8 – ai numerosissimi partecipanti alla Conferenza di questa giovane ma già forte Rete si è rivelata utile per stabilire nuovi contatti e partenariati con altre simili iniziative regionali, in adempimento di quanto prescrive l’art. 5 UNCAC, che al proprio par. 4 chiede che agli Stati Parti di «collaborate with each other and with relevant international and regional organizations in promoting and developing the measures referred to in this article». In quanto organo di una Parte contraente, anche ad ANAC incombe l’obbligo di contribuire all’adempimento di questa norma convenzionale. L’Autorità ha preso coscienza, nel caso, del proprio compito e ha promosso la fondazione di una rete focalizzata, appunto, solo sulla prevenzione della corruzione, con compiti operativi, aperta a tutte le entità statali e, allo stesso tempo, rispettosa delle identità nazionali e regionali, in grado di stimolare pratiche virtuose in materia. Scopo del NCPA è infatti quello di unire gli sforzi delle autorità che vi partecipano per migliorare la raccolta, la gestione e lo scambio sistematico di informazioni tra di esse; sostenere i membri nel potenziamento delle capacità e nella promozione dell’indipendenza operativa; riconoscere e promuovere le norme internazionali e nazionali esistenti per la prevenzione della corruzione; infine incoraggiare, ispirare e collaborare con altre iniziative regionali per la promozione dell’integrità. L’evento ha avuto, dunque, anche l’obiettivo di tessere rapporti con altre reti, valorizzando il ruolo di NCPA come “rete delle reti” in materia di contrasto alla corruzione tramite la leva della prevenzione. Questi primi contatti si son concretizzati a inizio aprile 2020 con l’adesione alla NCPA della rete anticorruzione dell’Africa orientale (in inglese EAAACA4).

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https://www.coe.int/en/web/corruption/ncpa-network https://eaaaca.com/

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Il contributo dell’Autorità Nazionale Anticorruzione in sede di CoSP 8

4. (segue) La mappatura delle autorità nazionali di prevenzione della corruzione Un’altra occasione di collaborazione internazionale assai stimolante è stata rappresentata dall’evento a margine, organizzato da AFA col sostegno di ANAC, dedicato alla mappatura mondiale delle autorità nazionali anticorruzione, nate in adempimento di obblighi convenzionali internazionali. Ad esso hanno contribuito anche le autorità di Egitto, Vietnam, Burkina Faso, insieme ad OCSE e Consiglio d’Europa. Sono infatti intervenuti il Dottor Sticker (rappresentante permanente della Francia presso le organizzazioni internazionali a Vienna), il Dottor Schlagenhauf (Vice Segretario generale dell’OCSE), il Dottor Mrcela (Presidente del GrECO), la Dottoressa Strobel-Shaw (Capo del Dipartimento Corruzione e Crimini economici della UNODC, nonché Segretario UNCAC), il Dottor Brunet (Rappresentante speciale francese per la lotta contro i crimini transnazionali), il Dottor Duchaine (Direttore dell’AFA), la Dottoressa Colares (Capo delle relazioni internazionali dell’Ufficio del Controllore generale del Brasile), il Dottor. Taufik (esperto in cooperazione presso la Commissione per l’eliminazione della corruzione dell’Indonesia). ANAC vi ha preso parte come relatore (Consigliere Parisi), illustrando il ruolo che l’Autorità ricopre nell’ordinamento italiano in materia di codici di comportamento delle amministrazioni pubbliche. L’evento ha organizzato il dibattito partendo dal presupposto che, malgrado il crescente numero di autorità e agenzie anticorruzione e al di là delle apparenti somiglianze e dei principi condivisi, esse sono intrinsecamente diverse. È stata dunque concentrata l’attenzione sui diversi modelli nazionali di adempimento dell’art. 6 UNCAC, per meglio comprendere le esigenze specifiche, identificare le sfide comuni ed esplorare concrete strade per la cooperazione inter-istituzionale. A tal fine, AFA, in collaborazione con il Gruppo di Stati contro la corruzione (GrECO) del Consiglio d’Europa, l’OCSE e la Rete delle autorità di prevenzione della corruzione (NCPA), ha proceduto alla mappatura globale delle autorità nazionali incaricate di prevenire e reprimere la corruzione. Le relazioni presentate nel corso dell’evento hanno fornito una più chiara raffigurazione del quadro delle diverse e molto varie esperienze presenti nel panorama internazionale. AFA ha presentato il proprio rapporto di mappatura compiuto nell’anno precedente alla CoSP8: esso comprende le risposte di centosettantun agenzie anticorruzione di centoquattordici Paesi. Il rapporto ha permesso di rilevare fra l’altro che il 63% delle agenzie ha poteri investigativi, il 48% ha potere sanzionatorio, principalmente amministrativo. L’89% delle agenzie intervistate si dedica a sviluppare strategie anticorruzione, il 39% gestisce sistemi di dichiarazioni patrimoniali, il 75% appartiene a sistemi nazionali che hanno codici di condotta vincolanti; il 56% effettua analisi di rischio corruttivo, e oltre il 95% desidera scambiare le migliori pratiche tra pari.

5. Gli sviluppi ulteriori La partecipazione di ANAC alla delegazione diplomatica di Italia nella CoSP8 ha avuto anche altri esiti, in particolare sul piano delle relazioni bilaterali che dal 2014 essa intesse con autorità omologhe o con istituzioni ed enti di Stati stranieri interessati a conoscere il modello italiano di prevenzione della corruzione e il ruolo che in esso ANAC ricopre. L’evento ha infatti rappresentato un’eccezionale opportunità per ANAC d’incontrare agenzie incaricate negli Stati di appartenenza della prevenzione della corruzione e altre istituzioni nazionali, creando nuovi rapporti o rinsaldando relazioni istituzionali preesistenti, terreno imprescindibile per lo sviluppo di competenze e il rafforzamento di modalità collaborative degli adempimenti internazionali e domestici. 29


Speciale

La delegazione di ANAC ha potuto incontrare organi paritetici provenienti dalla Grecia, ed è stata anche aperta una linea di collaborazione assai interessante con Paesi del “vicinato europeo”: al preesistente rapporto con la Tunisia si sono aggiunti i contatti con Algeria, Autorità palestinese ed Egitto. Anche i Paesi del vicino Oriente hanno chiesto un’interlocuzione sul modello italiano e, in particolare, sul ruolo di ANAC nella strategia di prevenzione della corruzione: Qatar, Kuwait e Arabia Saudita hanno chiesto (e ottenuto) incontri bilaterali. L’interesse manifestato in quella sede si è tradotto (nei primi mesi del 2020) nella richiesta di stipulazione di protocolli bilaterali di intesa con ANAC5 e di richieste o firma di adesione a NCPA6. Conclusivamente, l’evento tenutosi ad Abu Dhabi ha rappresentato un’altra occasione per esprimere lo spirito di collaborazione inter-istituzionale che negli anni si è radicato fra ANAC e altre istituzioni nazionali, quali in particolare il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e la Corte dei conti. Nicoletta Parisi

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Francesco Clementucci

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Sono stati approvati dal Consiglio dell’ANAC i testi dei protocolli con l’Azerbaijan, il Qatar e l’Autorità palestinese. 6 Hanno aderito alla rete NCPA gli organi anticorruzione dell’Autorità Palestinese e la neo-nata autorità di trasparenza della Grecia, cui si aggiunge, in qualità di osservatore, l’ufficio per la prevenzione e la lotta alla corruzione della regione Baleari. L’Egitto ha espresso forte interesse all’adesione. 7 N. Parisi è Consigliere dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) e già Professore ordinario di Diritto internazionale, Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Catania; F. Clementucci è esperto internazionale in integrità e Senior Advisor presso l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC).

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Speciale

Sport e corruzione nel mondo: una nuova realtà e le prospettive future. Il ruolo dell’Italia come “good practictioner” Lo sport è un’invenzione antica, quasi sempiterna, che si perde nelle pagine della storia umana, eppure mai come oggi il fenomeno sportivo è stato percepito come elemento fondamentale per le società umane, essendo diventato un fattore innegabile sviluppo sociale ed economico. Alle spalle dell’impatto positivo che ha avuto la crescita del numero, del seguito, e della partecipazione ai più svariati fenomeni sportivi, si annida tutta una serie di pratiche e avvenimenti che costituiscono il “lato oscuro dello sport”. In particolare, negli ultimi decenni la crescita esponenziale dei flussi di denaro che circolano al suo interno ha favorito la crescita di fenomeni di corruzione, doping, tangenti legate all’assegnazione di grandi eventi sportivi e alla costruzione delle grandi opere ad essi legate, scommesse illegali, violenze negli stadi e via dicendo. Già a partire dagli anni ’80 emersero in Italia una serie di gravi scandali legati alla pratica del “match-fixing”, a cui si aggiunse il grande scalpore generato dalla squalifica per doping dal Giro d’Italia di Marco Pantani e la sua successiva morte per una presunta overdose. Si registrarono, inoltre, un aumento inquietante delle violenze negli stadi e casi eclatanti di infiltrazioni del crimine organizzato all’interno dei fan club delle varie squadre calcistiche di vertice e dilettantistiche. Gli scandali legati al match-fixing del 2006 che videro, tra le varie sanzioni, la punitiva retrocessione in serie B della Juventus, squarciarono definitivamente il velo di Maya che celava una serie di fenomeni non più tollerabili, per altro amplificatisi grazie allo sviluppo di tecnologie sempre nuove. Prendendo atto del marcio che si era progressivamente annidato nel mondo sportivo a causa della legislazione troppo permissiva e dell’assenza di controlli, gli organi legislativi e giurisdizionali del paese si mossero già alla fine degli anni 90 e, tramite anni di battaglie portate avanti dal connubio tra legislazione e law enforcing, l’Italia può oggi offrire a livello mondiale un’importante serie di good practices da cui attingere e, come si vedrà, da condividere. Guardando al di là dei confini nazionali, il continente che ha sviluppato il maggior numero di strumenti e di iniziative volte al contrasto dei fenomeni corruttivi e manipolatori in ambito sportivo risulta essere l’Europa, in particolar modo tramite la Convenzione di Magglingen/Macolin sulla Manipolazione delle Competizioni Sportive del Consiglio d’Europa. Il Trattato, entrato in vigore il 1settembre 2019, risulta essere il primo strumento internazionale vincolante atto a contrastare ogni forma di manipolazione sportiva, armonizzando le legislazioni interne degli stati ratificanti e rendendo la lotta al crimine organizzato maggiormente concertata.


Speciale

Seppur la Convenzione sia l’unico trattato vincolante in materia e sia anche limitata da un punto di vista geografico, negli ultimi anni l’attenzione internazionale sullo sport è cresciuta in maniera esponenziale, soprattutto grazie a incontri e negoziati in cui l’Italia è stata parte attiva, a testimonianza del nostro forte interesse sul tema. Prima in ordine di tempo è la Risoluzione 7/8 sul rapporto tra Sport e Corruzione, adottata il 10 Novembre 2017 dalla COSP7 dell’UNCAC e sponsorizzata dall’Italia, attraverso la quale per la prima volta all’interno del sistema delle Nazioni Unite è stato riconosciuto il deprecabile rapporto che si crea tra sport e corruzione. Essa ha permesso di indirizzare in forma chiara e specifica le politiche interne dei singoli stati in tema di criminalizzazione di pratiche scorrette all’interno dei propri sistemi giuridici, in virtù del ruolo chiave che lo sport ricopre all’interno di tutte comunità umane nello sviluppo della vita sociale. Testimonianza del rinvigorito interesse per il tema si può ritrovare poi già nei mesi successivi, nel momento in cui l’Italia propone e realizza la stesura di due paragrafi preambolari su sport e corruzione (22 e 23) all’interno della Risoluzione 73/190 sulla corruzione adottata a New York dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il riconoscimento all’interno del forum internazionale per eccellenza del fatto che lo sport debba essere incluso nella più generale lotta alla corruzione rappresenta una grande vittoria per la comunità sportiva nel suo insieme. Proprio con la finalità di dar seguito ai tali grandi successi di diplomazia giuridica è stata in seguito co-sponsorizzata dall’Italia, con sponsor principale della Federazione Russa, la Risoluzione 8/4 “Safeguarding Sport from Corruption”. Approvata nel Dicembre 2019 all’interno della COSP 8 UNODC ad Abu Dhabi, la Risoluzione presenta numerosi elementi innovativi che allargano ulteriormente il campo d’interesse della comunità internazionale, trai quali spiccano il contrasto all’infiltrazione della criminalità organizzata all’interno del mondo sportivo, fattore estremamente transnazionale, ed il riconoscimento del ruolo ricoperto dalla società civile. Viene suggerito infatti di incrementare, come empiricamente accaduto in Italia, la cooperazione con attori quali le organizzazioni non governative, le università, le società sportive e gli atleti stessi. Preso dunque atto dell’accresciuto interesse a livello internazionale sul tema, la vera sfida consisterà nel dare seguito a tali sforzi evitando che rimangano lettera morta. A tal fine l’Italia si troverà lottare ancora una volta in prima fila, sia per convinzione, sia per contingenze internazionali. L’ormai assodato impegno del nostro paese nei confronti dello sport è stato infatti ulteriormente rilanciato dall’opportunità concessaci dall’Arabia Saudita, attuale paese ospitante del G20, di co-presiedere le riunioni del G20 Anti Corruption Working Group nel 2020. Tale occasione è particolarmente importante in previsione della nostra presidenza del G20 e dell’ACWG nell’anno successivo, il 2021, per la prima volta nella storia. Tale occasione andrà carpita e sfruttata con decisione per ideare congiuntamente una risoluzione ancor più avanzata, soffermandosi in particolare su campi non trattati in precedenza quali la maggior tutela degli sportivi che fungono da informatori, tramite per esempio piattaforme di complaining ad essi dedicate, istituendo poi auspicabilmente un sistema di peer review o di autovalutazione in modo da valutare in forma appropriata i progressi dei singoli paesi. Se ciò avrà successo, la strada verso uno sport pulito e libero da infiltrazioni esterne sarà finalmente spianata e la comunità internazionale potrà col tempo raggiungere un successo socialmente ed economicamente da non sottovalutare. Lorenzo Aureli

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Giurisprudenza

nazionale

Sent. Corte Costituzionale n.254/2019 Decisione del 22/10/2019 Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale Albo degli imam, Albo delle moschee, Globalizzazione, Laicità, Legge Regionale, Libertà religiosa, Piano delle attrezzature religiose, Pace Massima della sentenza 254/2019 “La libertà religiosa garantita dall’art. 19 della Costituzione comprende anche la libertà di culto e con essa, il diritto di disporre di spazi adeguati per poterla concretamente esercitare. Pertanto, quando disciplina l’uso del territorio, il legislatore deve tener conto della necessità di dare risposta a questa esigenza e non può comunque ostacolare l’insediamento di attrezzature religiose”

Il testo integrale della sentenza è accessibile sul sito della rivista

L’apertura di luoghi di culto e la tutela dell’identità della minoranza musulmana, garanzie necessarie della libertà religiosa in Italia Sommario: 1. Introduzione – 2. La sentenza 254/2019 della Corte Costituzionale- 3. Alcune considerazioni sulla sentenza – 4. I precedenti Giurisprudenziali relativi a leggi della Regione Lombardia – 5. Il contesto ordinamentale generale relativo all’apertura di luoghi di culto – 6. La prevista istituzione del registro pubblico delle Moschee e dell’Albo Nazionale degli Imam. 6.1. Alcune riflessioni introduttive. 6.2. Il merito delle questioni che le proposte di legge comportano – 7. Conclusioni

1. Introduzione. Il tema della libertà di religione è di stringente attualità, nel dibattito politico-giuridico del nostro paese, oltre che di quelli del Mediterraneo e del Vicino Oriente. Un anno fa Papa Francesco e il Grande Imam hanno firmato ad Abu Dhabi, capitale degli Emirati Arabi Uniti, il “Documento della fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune”. La possibilità di professare il proprio credo in forma individuale o collettiva è presupposto della pace, mediante l’integrazione tra persone e gruppi, che convivono in uno stesso contesto sociale e territoriale. Il presente scritto intende evidenziare le garanzie che l’ordinamento giuridico in Italia appresta a questo diritto fondamentale (enunciato e riconosciuto dall’art. 19 della Costituzione Repubblicana), indicando quali siano le criticità che la sua attuazione incontra. Si commenterà, pertanto, una recente sentenza della Corte Costituzionale (nr. 254/2019) relativa ad una legge


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della Regione Lombardia sulla apertura di luoghi di culto. Questi ultimi costituiscono lo strumento indispensabile, per poter professare la propria credenza. Rilevanti per la presente discussione sono altresì due progetti di legge, presentati nella scorsa legislatura, relativi all’apertura di Moschee e alla formazione, sul territorio nazionale, degli Imam. Le confessioni diverse dalla cattolica, che è quella della maggioranza degli italiani, hanno il diritto di veder rispettata la loro identità culturale, oltre che di formare autonomamente e senza interferenze statuali i loro leader religiosi. Il principio costituzionale democratico importa che si garantiscano e si rispettino i diritti delle minoranze, al fine di assicurare il reciproco dialogo tra le componenti del corpo sociale.

2. La sentenza nr. 254/2019 della Corte Costituzionale. Il giudizio della Corte ha avuto ad oggetto l’art. 72 comma 2 della Legge della Regione Lombardia nr. 12 del 2005, che stabiliva l’obbligatorietà del Piano per le Attrezzature Religiose, in cui dovevano essere previsti i nuovi insediamenti destinati a luoghi di culto. Il giudizio ha parimenti riguardato l’art 72 comma 5, della predetta Legge Regionale novellata nel 2015 (L.R.n.2), in cui si affermava l’obbligo che il PAR venisse approvato congiuntamente al Piano Generale del Territorio o anche singolarmente, ma comunque entro 18 mesi dalla entrata in vigore della legge. La Corte afferma che la libertà religiosa è un diritto inviolabile e che tenuto conto dei propri precedenti giurisprudenziali la Repubblica deve tutelare il pluralismo delle religioni nella sua massima espansione, previsto da una norma costituzionale primaria (art. 19), come stabilito dalle proprie sentenze 203-1989, 440-1995, 329-1997, 508-2000, 63-2016, 67-2017.1 Subordinando l’art. 72 comma 2, l’installazione di qualunque attrezzatura religiosa alla sua ricomprensione nel PAR, si realizza una disposizione che ha carattere di assolutezza, relativa anche a quelle di minima incidenza urbanistica, come le piccole sale di preghiera. Essa è discriminatoria rispetto a opere di urbanizzazione che invece hanno un impatto rilevante, come palestre e ospedali, che non avendo destinazione religiosa, non debbono essere inserite nel PAR. La necessità della approvazione del PAR unitamente al PGT (ex art.72 comma 5), afferma la sentenza, rende le limitazioni ancor più stringenti, poiché l’approvazione di questi atti di governo del territorio dipende esclusivamente dalla volontà politica, ed è pertanto incerta quanto all’ an e al quo modo, e impedisce di utilizzare lo strumento della variante per costruire nuovi edifici di culto. Un Comune può anche decidere di non adottare mai nè il PGT, nè il PAR. La circostanza di aver stabilito la necessità di quest’ultimo strumento è conseguente a finalità non urbanistiche, ma di limitazione e controllo degli insediamenti religiosi, mentre il libero esercizio del culto è un aspetto essenziale della libertà religiosa costituzionalmente tutelata. Da ciò la Corte fa discendere la declaratoria di incostituzionalità delle due norme oggetto di scrutinio2, mediante la tecnica della interpretativa di rigetto, assumendo nel conflitto multicul-

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Michele M. Porcelluzzi: In difesa della libertà religiosa: la Corte Costituzionale e la legge lombarda sull’edilizia di culto in Diritti Comparati-Comparare i diritti fondamentali in Europa, 19 Dicembre 2019, Rivista- on line 2 Vedi anche Giuseppe Tropea: Edilizia di culto: un importante passo avanti verso la “laicità positiva”. Nota a Corte Cost. n. 254/2019 in Giustizia Insieme, Martedì 24 dicembre 2019, Rivista on-line

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turale un approccio più garantista. La Consulta interviene direttamente nella politica regionale in materia, non rinviando alle successive scelte amministrative, effettuando un sindacato di ragionevolezza e proporzionalità delle norme rispetto allo scopo perseguito.

3. Alcune considerazioni sulla sentenza. La sentenza consente di fare alcune riflessioni sul diritto di cui si discute3, che incontra dei limiti impliciti, per cui è necessario che le giurisdizioni valutino la legittimità degli stessi. Il concetto da ultimo menzionato è insito a quello di diritto; l’apertura di luoghi di culto importa che si valutino tutti gli interessi, anche confliggenti che sono presenti e ad esso ineriscono. Se il parametro giuridico del bilanciamento è costituito dal diritto oggettivo delle Corti sovranazionali, l’operazione è apparentemente meno complessa e lo è anche l’attività dell’interprete, perché le Carte internazionali prevedono una molteplicità di scopi legittimi, in modo esplicito, che lo conformano e lo definiscono (vedi ad esempio art. 9 comma secondo della CEDU). Il Giudice Nazionale si trova comunque in una posizione non dissimile, perché ne deve valutare la meritevolezza e la necessarietà, altrimenti, non ricorrendo questi due presupposti, la limitazione diventa incostituzionale. E dunque la norma dell’art. 72 comma secondo, della Legge Regionale Lombarda, secondo cui senza il PAR non è possibile aprire nuovi luoghi di culto, non è né necessaria né meritevole, poiché costituisce un ostacolo ingiustificabile alla espressione del culto. Sono ammessi solo quei limiti necessari al governo del territorio, che non comportino l’esclusione o la eccessiva compressione della possibilità di esercitarlo. Il reale obiettivo della previsione del PAR e dell’inserimento dell’edificio (anche di piccole dimensioni come la sala di preghiera) in esso, è quello di ridurre gli insediamenti religiosi e di influenzarne la possibilità di apertura a fini di controllo dell’ordine pubblico. Ma le Regioni non hanno competenza nella materia, pertanto il fine non è legittimo. Il sistema di governance pluricentrico presente nel nostro ordinamento, ha aggravato il problema del rispetto della libertà religiosa.4 Il riparto di competenze ha comportato che il legislatore regionale esorbitasse da quelle sue proprie. Le Regioni devono assicurare lo sviluppo armonico dei centri abitati, ma non possono introdurre norme limitatrici di questo primario diritto. Non si può consentire alle Regioni l’integrale programmazione della localizzazione e del dimensionamento delle attrezzature religiose, perché di fatto ciò determinerebbe un eccesso, rispetto agli scopi tipici della disciplina dell’assetto della disciplina del territorio comunale, producendo effetti simili all’autorizzazione governativa all’apertura di luoghi di culto, prevista dall’art. 1 del r.d.nr. 289 del 1930 (norme per l’attuazione della legge sui culti ammessi), dichiarata incostituzionale con sentenza della Corte del 18 novembre 1958 nr. 59. L’autore da ultimo citato sottolinea che “il legislatore regionale, nell’esercizio delle competenze non può perseguire finalità che esorbitino dai compiti della Regione, come quando impone requisiti differenziati, e più stringenti, per le sole confessioni per le quali non sia stata stipulata e approvata con legge una Intesa”5.

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Vedi Natascia Marchei: La Corte Costituzionale sugli edifici di culto tra limiti alla libertà religiosa e interventi positivi, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, fascicolo nr. 5 del 2020, Rivista on-line. 4 Germana Carobene in La cosiddetta normativa “anti moschee” tra politiche di governance e tutela della libertà di culto in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, nr 4 del 2020, Rivista on-line 5 Germana Carobene in op. ult.cit.pag.27

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4. I precedenti Giurisprudenziali relativi a leggi della Regione Lombardia. Già nel 2015 era intervenuta una legge Regionale lombarda (L.R. nr. 2), che aveva introdotto modifiche sostanziali agli art. 70-73 della L. R. del 2005 relativa alla apertura di nuovi edifici di culto e di attrezzature destinate ai “servizi religiosi”. I destinatari erano stati individuati negli enti istituzionalmente competenti in materia di culto della Chiesa Cattolica e delle Confessioni con le quali lo Stato aveva concluso una Intesa, approvata con legge. Si prevedeva, inoltre, che tali disposizioni venissero applicate a quelle che avessero una presenza diffusa, organizzata e consistente nel Comune nel quale veniva richiesto l’intervento urbanistico e di cui gli statuti esprimevano il carattere religioso delle loro finalità (art. 1,2 bis). Gli enti di tali Confessioni dovevano “stipulare una convenzione a fini urbanistici con il Comune interessato” (art.1,2 ter). Con sentenza del 2016, la Corte Costituzionale aveva dichiarato la parziale illegittimità di queste norme ribadendo che il diritto di culto è strettamente connesso alla libertà di religione e che il principio di laicità dello Stato non vuol dire indifferenza di fronte all’esperienza religiosa, ma sua salvaguardia in regime di pluralismo confessionale e culturale (vedi la sentenza della Corte Costituzionale nr. 63 del 24 marzo 2016).6 Questa decisione ribadisce che non è “consentito al legislatore regionale, all’interno di una legge sul governo del territorio, introdurre disposizioni che ostacolino o compromettano la libertà di religione. Aggiunge la Corte Costituzionale “quando tale libertà e il suo esercizio vengono in rilievo, la tutela giuridica deve abbracciare allo stesso modo l’esperienza religiosa di tutti, nella sua dimensione individuale e comunitaria indipendentemente dai diversi contenuti di fede; né in senso contrario varrebbero considerazioni in merito alla diffusione delle diverse confessioni, giacchè la condizione di minoranza di alcune confessioni non può giustificare un minor livello di protezione della loro libertà religiosa, rispetto a quella delle Confessioni più diffuse” (analoghi contenuti ha la coeva sentenza della Corte nr. 52 dello stesso anno).

5. Il contesto ordinamentale generale relativo all’apertura di luoghi di culto. Una pregevole ricostruzione storica del regime giuridico dei luoghi di culto è stata proposta da Paolo Cavana7. Se ne indicano qui di seguito i tratti salienti. Nel nostro ordinamento gli edifici religiosi sono rivolti all’esercizio del ministero, mentre le canoniche e gli altri beni accessori hanno regime pertinenziale, secondo le categorie del vigente codice civile. Costituiscono cespiti esenti fiscalmente e possono rappresentare beni culturali, garantiti da norme e unilaterali e pattizie. Come si diceva, quelli cattolici ed ebraici sono destinati all’esercizio pastorale e la cessazione della loro funzione è rimessa all’Autorità Ecclesiastica. Storicamente con la legislazione eversiva dei beni della Chiesa Cattolica se ne era stabilito il vincolo di destinazione al culto, ma si determinò anche la loro dispersione. Su di ciò incisero anche le leggi razziali del 1938. Attualmente per evitare pregiudizi alla libertà di esercizio dei culti, molti edifici sono di proprietà dello Stato. A questo fine la legislazione generale prevede che

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Francesca Oliosi in La Corte Costituzionale e la legge regionale lombarda: cronaca di una morte annunciata o di un’opportunità mancata? in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, nr.33 del 24 ottobre 2016. Rivista on-line 7 Paolo Cavana, in Libertà di religione e spazi per il culto tra consolidate tutele e nuove comunità religiose in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, nr 20 del 2019, Rivista on-line.

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non possano essere oggetto di provvedimenti ablatori, come l’espropriazione, (solo per gravi ragioni e previo accordo con l’autorità religiosa, vedi art. 5 della L. 121 del 1985) e la forza pubblica non vi può accedere, se non previo avviso alla predetta autorità. Inoltre, non possono costituire oggetto di esecuzione forzata. Per le Confessioni prive di Intesa esiste solo la garanzia della inespropriabilità. Per la costruzione di nuovi edifici di culto per la Chiesa Cattolica vi è la garanzia che in sede di pianificazione urbanistica “l’autorità civile terrà conto delle esigenze religiose della popolazione, fatte presenti dalle competenti autorità ecclesiastiche” (vedi art. 5, terzo comma, legge n. 121 del 1985).Valgono, inoltre, i principi generali della legislazione urbanistica, che ne evidenzia la funzione sociale realizzando la possibilità di esercizio di questa libertà, diritto garantito costituzionalmente. Costituiscono “opere di urbanizzazione secondaria”, ed entrano a far parte dei piani regolatori, secondo standards urbanistici fissati dalla legislazione regionale.

6. La prevista istituzione del Registro pubblico delle Moschee e dell’Albo nazionale degli Imam. 6.1. Alcune riflessioni introduttive. Alcune riflessioni si impongono alla luce di due proposte di legge (c.2976 e c.3421), presentate nella precedente legislatura, sulla possibile istituzione di un registro delle Moschee e di un Albo nazionale degli Imam; gli articolati sono simili quanto a contenuto. La questione attiene al rispetto della identità religiosa della minoranza musulmana in Italia. Un pluralismo ragionevole fa i conti con le diversità, rifiuta qualsiasi ipotesi di chiusura verso l’esterno. Un legislatore lungimirante si preoccupa di riequilibrare le condizioni di fatto, tra i gruppi sociali.8 Il pluralismo religioso va protetto e sviluppato tramite strumenti di moderazione, mitezza e fraternità. Il tema della libertà religiosa va calato nella realtà del multiculturalismo che accompagna i processi di globalizzazione. La religione genera comunità epistemiche che trascendono gli apparati pubblici, pur rappresentando gli interessi dei singoli appartenenti ad esse, ed è strumento di legami sociali. Al contempo occorre realizzare un legame effettivo tra appartenenza ad una fede, sia pure minoritaria ed esercizio della cittadinanza. Gli individui vanno però considerati indipendentemente dalle loro credenze religiose e i loro retaggi culturali secondo un principio di uguale libertà davanti alla legge (art. 2 e 3 Cost.).

6.2. Il merito delle questioni che le proposte di legge comportano. L’attività religiosa non può essere sottoposta a restrizioni e incontra solo i limiti generali previsti dalla legge. Questo principio va maggiormente osservato se la Confessione è priva di Intesa. L’Islam ha per sua natura carattere comunitario e a-gerarchico. L’ Imam guida la preghiera e la comunità, ma non è un ministro del culto in senso gerarchico. Chiunque ne può svolgere

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Gianfranco Macrì in La libertà religiosa, i diritti delle comunità islamiche. Alcune considerazioni critiche su due progetti di legge in materia di moschee e di imam, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, nr.5 del 2018, Rivista on-line

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la funzioni.9 La proposta, in materia di istituzione dell’Albo delle moschee, prevede all’art. 2 che non vi possa essere Imam se la Moschea di appartenenza non è iscritta nel registro. Inoltre, il Prefetto ha il potere di controllare gli Imam e revocare la iscrizione della Moschea all’Albo (art.6). Si prevede anche un obbligo per i ministri di culto di iscrizione. (art.7). Quest’ultima norma istituisce anche l’Albo nazionale degli Imam, ai fini dello svolgimento della relativa funzione. Il ministro del culto dovrebbe avere “un sufficiente livello di istruzione, preparazione e competenza ed esperienza, coerenti con il profilo da ricoprire, secondo i criteri di valutazione stabiliti dalla Commissione per l’Albo degli Imam di cui all’articolo”. L’attestato di idoneità sulla ricorrenza di tali qualità dovrebbe essere rilasciato da una Commissione istituita presso il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca che sarebbe “competente per tutte le questioni concernenti la formazione e la tenuta dell’Albo”. La proposta premia la creazione di figure di Imam senza riferimenti ai paesi di origine da cui provengono i fedeli. L’Islam italiano è infatti caratterizzato da una pluralità di comunità di fedeli di credenza sunnita, provenienti dai paesi del Nord-Africa e costituite da migranti di natura economica, venuti nel nostro paese per migliorare le condizioni di vita proprie e delle loro famiglie; trattasi per lo più di musulmani di prima generazione. Ci si deve chiedere se questi Imam autoctoni, creati in forza dei percorsi securitari, che attengono anche alla loro formazione e istruzione, sarebbero accettati dalle comunità presenti sul territorio. Se ne può dubitare, poichè sarebbero visti con diffidenza, in quanto sganciati dai gruppi sociali di cui sono espressione, che sono invece legati ai paesi musulmani da cui originano. La mancanza attuale di una Intesa fa di questa Confessione, un soggetto particolarmente vulnerabile perché esiste una minaccia alla sua autonomia. Non vi è dubbio, che il prevedere il “patentino” per l’Islam italiano, rilasciato dall’autorità amministrativa, integra questa condizione. La proposta, se approvata con legge del Parlamento, dovrebbe essere dichiarata incostituzionale, perché il sistema di garanzia della libertà religiosa deve necessariamente, in mancanza della regolazione normativo-pattizia, essere sbilanciato a favore dell’Islam. D’altronde la natura a-gerarchica di questa credenza non permette di realizzare una unica Intesa ai sensi dell’art. 8 Cost. Il Prof. Ciro Sbailò, nel testo della audizione che ha reso al Parlamento sui due progetti di legge, propone di concluderne non una, ma una pluralità, con ognuno dei gruppi presenti in Italia. Questa alternativa consentirebbe da un lato di attenuare la competizione fra le varie organizzazioni e comunità islamiche, dall’altro valorizzerebbe l’autonomia e le peculiarità di ciascuna di esse. Inoltre, i ministri del culto andrebbero formati tenendo conto di percorsi culturali, stabiliti in accordo con le autorità religiose e politiche dei singoli paesi da cui i credenti provengono. Ciò consentirebbe alle comunità di credenti, presenti in Italia, di riconoscere come proprie le guide spirituali loro offerte. Si faccia l’esempio del Marocco dove il Re è anche al vertice dell’autorità religiosa, capo di tutti i credenti. In quel Paese esistono alcune importanti scuole di formazione degli Imam, controllate dal Governo, “potrebbe essere, dunque credibile, concordare con il Governo marocchino, l’arrivo in Italia di

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Vedi Ciro Sbailò in Testo dell’audizione resa il 14 novembre 2017 innanzi alla prima Commissione (Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni), nel corso dell’esame delle proposte di legge c. 2976 e c.3421 recanti disposizioni in materia di istituzione del registro pubblico delle moschee e dell’albo nazionale degli imam in Osservatorio Costituzionale della Rivista della Associazione Italiana dei Costituzionalisti, fasc. 3/2017 del 17 novembre 2017, Rivista on-line

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L’apertura di luoghi di culto e la tutela dell’identità della minoranza musulmana

Imam accreditati, che aiutino il governo italiano a contrastare il fenomeno degli Imam-fai da te, in particolare per quel che riguarda l’immigrazione marocchina”.10

7. Conclusioni. Le due vicende descritte dimostrano che la fede religiosa è elemento ineliminabile nelle società moderne. Essa dà senso e scopo alla vicenda umana; il suo esercizio è necessario al normale svolgimento della vita delle persone. Lo Stato deve assicurare e garantire la possibilità di soddisfacimento di questo bisogno incomprimibile, riconoscendo alla sua libera manifestazione, il valore di diritto soggettivo pubblico. Le migrazioni e i processi di globalizzazione hanno portato alla coesistenza di più fedi di cui vanno tutelate e rispettate l’autonomia, nell’ambito delle specificità culturali dei gruppi sociali che le manifestano, indipendentemente dalla loro consistenza sociale e numerica. L’ integrazione reciproca tra credenze rafforza la funzione e il valore dello Stato. La Repubblica Italiana garantisce questo diritto all’art. 19 della sua legge fondamentale. La apertura di edifici di culto e l’ordinata gestione di quelli esistenti sono necessari all’esercizio delle libertà di cui si discute. È compito primario dello Stato, inteso anche nella sua declinazione autonomistica e regionale, assicurare l’esplicarsi del diritto alla libertà religiosa, che non può incontrare che i limiti derivanti dalla necessità di assicurare la normale gestione del territorio. Non possono essere rilevanti finalità esorbitanti da questo scopo, individuate in forza di esigenze contingenti dalle forze politiche che prevalgono sul piano istituzionale in momenti particolari. Cesare Augusto Placanica

Bibliografia R. Bin, Diritti e Argomenti. Il bilanciamento degli interessi nella giurisprudenza costituzionale, Milano, Giuffrè, 2012. E. Camassa, I beni culturali di interesse religioso, Principio di collaborazione e pluralità di ordinamenti, Giappichelli, Torino, 2013. C. Cardia, Edifici di culto e nuove religioni, in Dir. eccl. I,2008/1-2. M. Cartabia, I principi di ragionevolezza e proporzionalità nella giurisprudenza costituzionale italiana (in http://www.cortecostituzionale.it/documenti). M. Croce, L’edilizia di culto dopo la sentenza n.63/2016: esigenze di libertà, ragionevoli limitazioni e riparto di competenze fra Stato e Regioni, in Forum di Quaderni Costituzionali (in htpp://www.forumcostituzionale.it/wordpress/wp-content/uploads/2016/04_croce.pdf). M. Toscano, Il fattore religioso nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Itinerari giurisprudenziali, Edizioni ETS, Pisa, 2018

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In Ciro Sbailò op. ult.cit. pag.11.

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nazionale

Cass. Penale Sent. SS.UU. n. 8545/2020 Art. 416-bis co.1 c.p., art. 118 c.p, dolo intenzionale e dolo specifico, dolo eventuale, principio di offensività L’aggravante di agevolazione mafiosa, ex art. 416-bis c.p. ha natura soggettiva ed è caratterizzata dal dolo intenzionale; nel reato concorsuale si applica al concorrente non animato da tale scopo, che risulti consapevole dell’altrui finalità.

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Cass. Penale Sent. SS.UU. n. 8545/2020 Art.416 bis c.p. e dolo intenzionale: precisazioni della SC in merito al presupposto volitivo del dolo Con la Pronuncia in esame le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno affermato che: «l’aggravante agevolatrice dell’attività mafiosa prevista dall’art. 416-bis cod. pen. ha natura soggettiva ed è caratterizzata da dolo intenzionale e nel reato concorsuale si applica al concorrente non animato da tale scopo, che risulti consapevole dell’altrui finalità». Alla Suprema Corte era stata posta la questione di diritto tendente a comprendere se l’aggravante speciale, già prevista dal D.L. n. 152 del 1991, art. 7, e successivamente riportata nell’art. 416-bis c.p., comma 1, abbia natura oggettiva interessando le modalità dell’azione, oppure abbia natura soggettiva con riguardo alla direzione della volontà. Dunque alle SS.UU chiamate a definire la questione summenzionata si pone un interrogativo dovuto dalla contrapposizione di due orientamenti in materia. Secondo un primo orientamento tale circostanza è integrata da un atteggiamento di tipo psicologico dell’agente, che richiama i motivi a delinquere ed è riconducibile alle circostanze indicate nell’art. 118 c.p.: quindi non estensibile ai concorrenti nel reato. L’aggravante di natura soggettiva sarebbe perfezionata da un chiaro atteggiamento psicologico deducibile in termini di dolo specifico: ossia l’agente, oltre alla coscienza e alla volontà del fatto materiale integrante l’elemento oggettivo del reato base, agisce per un fine particolare, quello di agevolare l’attività dell’associazione di tipo mafioso, la cui realizzazione non è necessaria per l’integrazione dell’aggravante. Secondo altro orientamento, l’aggravante sarebbe integrata da un elemento obiettivo, le modalità dell’azione, e quindi riconducibile alle circostanze di natura oggettiva ai sensi dell’art. 70 c.p., non contemplate dall’art. 118 c.p., con conseguente estensibilità ai concorrenti, ai sensi dell’art. 59 c.p., comma 2, purché conosciuta e conoscibile.


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Tuttavia, non è sufficiente un atteggiamento riconducibile all’ignoranza incolpevole. L’ignoranza incolpevole può essere sufficiente ai fini dell’estensione della circostanza ai concorrenti nel reato, ma non per l’integrazione dell’aggravante, per la quale sembra richiesta la sussistenza, in capo ad almeno uno dei concorrenti, o del dolo specifico o della consapevolezza della funzionalizzazione della condotta all’agevolazione dell’associazione di tipo mafioso. Si rileva quindi che, anche la classificazione della circostanza quale oggettiva non si sottrare alla necessità di verifica dell’elemento psicologico caratterizzante la finalizzazione della condotta. Quindi, in entrambe le chiavi di lettura si conferisce rilievo, nel primo caso, ad una ricaduta oggettiva dell’aspirazione dell’agente, e nel secondo ad una direzione di volontà, che comunque deve accompagnare l’utilità potenziale ed astratta del risultato per la compagine illecita, sotto l’aspetto della previsione dell’agente. Ritiene il Collegio che il dato testuale imponga la qualificazione della circostanza nell’ambito di quelle di natura soggettiva, inerenti al motivo a delinquere. In concreto, per giustificare l’aggravamento sanzionatorio all’ordinario elemento psicologico che caratterizza il reato si deve aggiungere la rilevanza della finalità specifica. Quel che innegabilmente la disposizione richiede, per consentire l’applicazione dell’aggravante, è la presenza del dolo specifico o intenzionale in uno dei partecipi. Quindi, qualora si rinvengano elementi di fatto suscettibili di dimostrare che l’intento dell’agente sia stato riconosciuto dal concorrente, e tale consapevolezza non lo abbia dissuaso dalla collaborazione, non vi è ragione per escludere l’estensione della sua applicazione, posto che lo specifico motivo a delinquere viene in tal modo reso oggettivo sulla base degli specifici elementi rivelatori che, per quanto detto, per assicurare il rispetto del principio di offensività devono accompagnarne la configurazione. In definitiva, là dove l’elemento interno proprio di uno degli autori sia stato conosciuto anche dal concorrente che non condivida tale fine, quest’ultimo viene a far parte della rappresentazione ed è quindi oggetto del suo dolo diretto ove il concorrente garantisce la sua collaborazione nella consapevolezza della condizione inerente al compartecipe. Quanto esposto induce a ritenere che il concorrente nel reato, che non condivida con il coautore la finalità agevolativa, ben può rispondere del reato aggravato quando sia consapevole della finalità del compartecipe, secondo la previsione generale dell’art. 59 c.p., comma 2, che attribuisce all’autore del reato gli effetti delle circostanze aggravanti da lui conosciute. Tale disposizione è applicabile al concorrente ex art. 110 c.p., atteso che l’impostazione monistica del reato plurisoggettivo impone l’equivalenza degli apporti causali alla consumazione dell’azione concorsuale, cosi che la realizzazione della singola parte dell’azione, convergente verso il fine, consente di attribuire al partecipe l’intera condotta illecita, che rimane unitaria. In tal caso per il coautore del reato, non coinvolto nella finalità agevolatrice, è sufficiente il dolo diretto, che comprende anche le forme di dolo eventuale. La funzionalizzazione della condotta all’agevolazione mafiosa da parte del compartecipe, in definitiva, deve essere oggetto di rappresentazione, non di volizione, aspetto limitato agli elementi costitutivi del reato, e non può caratterizzarsi dal mero sospetto, poiché in tal caso si porrebbe a carico dell’agente un onere informativo di difficile praticabilità concreta. A tal riguardo occorre accertare se il compartecipe è in grado di cogliere la finalità avuta di mira dal partecipe, condizione che può verificarsi sia a seguito della estrinsecazione espressa da parte dell’agente delle proprie finalità, o per effetto della manifestazione dei suoi elementi concreti, quali particolari rapporti del partecipe con l’associazione illecita territoriale, o di altri elementi di fatto che emergano dalle prove assunte. In presenza di tali dati dimostrativi, non potrebbe negarsi che l’agente, cui si riferisce l’art. 59 c.p., comma 2, concetto che comprende chiunque dia il suo contributo alla realizzazione dell’illecito, e quindi anche il compartecipe, si sia rappresentato la finalità tipizzante la fattispecie aggravata, e pur, non agendo personalmente a tal

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Art.416 bis c.p. e dolo intenzionale: precisazioni della SC in merito al presupposto volitivo del dolo

fine, abbia assicurato il suo apporto al perfezionamento dell’azione illecita, nelle forme volute dai concorrenti. L’aggravante «tende ad evitare effetti emulativi connessi all’esistenza del gruppo illecito», creando «una sorta di cordone di contenimento, con il proposito di colpire tutte le aree che, attraverso le modalità della condotta, o attraverso la consapevole agevolazione, producano l’effetto del rafforzamento, se non concretamente della compagine, del pericolo della sua espansione, con la forza che le è tipica e la tacitazione di tutte le forze sociali che dovrebbero ad essa resistere». La soluzione offerta dalle Sezioni unite è compendiata nel principio di diritto secondo cui l’aggravante «ha natura soggettiva ed è caratterizzata da dolo intenzionale; nel reato concorsuale si applica al concorrente non animato da tale scopo, che risulti consapevole dell’altrui finalità». In altri termini, la Corte ritiene che la particolare natura “soggettiva” dell’aggravante non consente di ritenere sufficiente un coefficiente colposo di imputazione della circostanza ai correi (§ 12). Venuta meno, dunque, l’imputabilità della circostanza a titolo di mera colpa, le Sezioni Unite concludono – con un’affermazione tanto perentoria quanto ambigua – che «per il coautore del reato, non coinvolto nella finalità agevolatrice, è sufficiente il dolo diretto, che comprende anche le forme di dolo eventuale». (§ 12) A ciò si aggiungono due ulteriori precisazioni, anch’esse in realtà non del tutto perspicue. La Corte afferma infatti che “La funzionalizzazione della condotta all’agevolazione mafiosa da parte del compartecipe in definitiva deve essere oggetto di rappresentazione, non di volizione, aspetto limitato agli elementi costitutivi del reato, e non può caratterizzarsi dal mero sospetto, poiché in tal caso si porrebbe a carico dell’agente un onere informativo di difficile praticabilità concreta»; e che «occorre accertare se il compartecipe è in grado di cogliere la finalità avuta di mira dal partecipe, condizione che può verificarsi sia a seguito della estrinsecazione espressa da parte dell’agente delle proprie finalità, o per effetto della manifestazione dei suoi elementi concreti, quali particolari rapporti del partecipe con l’associazione illecita territoriale, o di altri elementi di fatto che emergano dalle prove assunte» (§ 12). In conclusione, viene formulato il principio di diritto che già abbiamo riportato in premessa. «L’aggravante agevolatrice dell’attività mafiosa prevista dall’art. 416-bis 1 c.p. ha natura soggettiva ed è caratterizzata da dolo intenzionale; nel reato concorsuale si applica al concorrente non animato da tale scopo, che risulti consapevole dell’altrui finalità» (§ 13). Pertanto, rilevata l’avvenuta verifica probatoria della consapevolezza da parte del ricorrente della finalità che ha animato la condotta dei coimputati, la Corte perviene al rigetto del ricorso. Marilisa De Nigris

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International Covenant on Civil and Political Rights Advance Unedited version: CCPR/ C/127/D/2728/2016 7 January 2020. Human Rights Committee. Views adopted by the Committee under article 5 (4) of the Optional Protocol, concerning communication No. 2728/2016 Diritti umani, Nazioni Unite, (obbligo di) non-refoulement rifugiati climatici/climate refugees, status di rifugiato The author of the communication is I. T., a national of the Republic of Kiribati born in the 1970s. His application for refugee status in New Zealand was rejected. He claims that the State party violated his right to life under the Covenant, by removing him to Kiribati in September 2015. The Optional Protocol entered into force for the State party on 26 August 1989. The author is represented by counsel. On 16 February 2016, pursuant to rule 92 of its rules of procedure, the Committee, acting through its Special Rapporteur on new communications and interim measures, decided not to request the State party to refrain from removing the author to the Republic of Kiribati while the communication was under consideration by the Committee.

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L’obbligo di non-refoulement può essere esteso anche ai “rifugiati climatici”: la pronuncia del Comitato dei diritti umani delle Nazioni Unite Il collegamento tra cambiamenti climatici e mobilità umana è complesso. Si sa che i cambiamenti climatici influenzano la frequenza, l’intensità, la durata e la localizzazione tanto di eventi naturali improvvisi (come forti tempeste o inondazioni), quanto dei processi più lenti (si pensi, ad esempio, all’innalzamento del livello dei mari o alla desertificazione), e dei pericoli a essi collegati, che spesso inducono gli individui colpiti a spostarsi, sia entro i confini del proprio Paese, che fuori. Non vi è, allo stato attuale, alcun accordo a livello internazionale sulla protezione da garantire a quelle persone che, spinte dai cambiamenti climatici e dai loro effetti negativi, sono costrette a oltrepassare i confini del proprio Stato e trasferirsi altrove. Certamente non rientrano nella definizione data nella Convenzione relativa allo status dei rifugiati del 1951, che, ai sensi dell’art., 1 individua come rifugiato “chiunque, nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato” ovvero “ chiun-


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que, essendo apolide e trovandosi fuori del suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi”1. In una recentissima pronuncia, il Comitato dei diritti umani delle Nazioni Unite si è espresso sull’argomento e ha riconosciuto la possibilità di accordare anche ai “rifugiati climatici” una protezione analoga a quella conseguente allo status di rifugiato, in particolare in relazione all’obbligo di non-refoulement da parte dello Stato di arrivo. Si tratta della prima decisione adottata da un organo delle Nazioni Unite sul ricorso di un richiedente asilo per motivi dovuti ai cambiamenti climatici. Il caso è quello di I. T., un cittadino della Repubblica di Kiribati, emigrato in Nuova Zelanda nel 2007 a causa degli effetti dei cambiamenti climatici e dell’innalzamento del livello del mare. La vita sull’isola di Tarawa, dove viveva insieme alla sua famiglia, era infatti diventata precaria: l’acqua potabile scarseggiava e i terreni abitabili andavano erodendosi, provocando crisi abitative e dispute territoriali, con numerose vittime. Scaduto il suo permesso di soggiorno nel 2013, T. aveva fatto ricorso al Tribunale per l’immigrazione e la protezione internazionale della Nuova Zelanda, per vedersi riconosciuto lo status di rifugiato, cercando una tutela nei termini della Convenzione del 1951, sostenendo che, a causa dell’innalzamento del livello del mare, insieme ai cambiamenti climatici, il suo contesto abitativo era gravemente compromesso. Il tribunale adìto in primo grado non riteneva T. un rifugiato nei termini individuati dalla Convenzione sullo status dei rifugiati del 1951, dal momento che gli effetti dei cambiamenti climatici sul suo livello di vita non integravano l’elemento della persecuzione, requisito espressamente previsto dall’art. 1 di quella. In particolare, il tribunale osservava che, sulla base di quanto prodotto a sostegno della domanda, il richiedente non avrebbe corso un rischio reale di persecuzione qualora avesse fatto ritorno nel proprio Paese d’origine, non essendovi, nello specifico, alcuna prova del fatto che, in futuro, avrebbe potuto concretamente subire un danno fisico serio a seguito di dispute territoriali, che non avrebbe avuto accesso ad acqua potabile e che le condizioni ambientali sarebbero state tanto gravi, da mettere a serio rischio la sua vita. Insoddisfatto, T. impugnava la decisione davanti all’Alta Corte della Nuova Zelanda,2 che, pur riconoscendo lo stretto collegamento tra migrazione e cambiamenti climatici e il fatto che la definizione di rifugiato possa essere estesa anche a coloro che sono costretti a emigrare per questo motivo, non riteneva comunque applicabile al caso sottopostole il regime di cui alla Convenzione sullo status dei rifugiati e riconfermava, quindi, la decisione in primo grado. Parimenti, la Suprema Corte riconosceva come l’innalzamento del livello delle acque dell’Oceano Pacifico avesse effetti collaterali negativi su abitazioni, coltivazioni e forniture di acqua potabile nella Repubblica di Kiribati, ma comunque non riteneva questi elementi sufficienti per riconoscere al richiedente lo status di rifugiato. Nel 2015, T. veniva dunque rimpatriato. Esperiti tutti gli strumenti a livello locale, nel 2015 avanzava una comunicazione al Comitato dei diritti umani delle Nazioni Unite, accusando la Nuova Zelanda di aver violato il suo diritto alla vita, sancito dall’art. 6 dell’International Covenant on civil and political rights,3 perché,

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Convenzione relativa allo status dei rifugiati, Ginevra, 28 luglio 1951, art. 1. L’Alta Corte della Nuova Zelanda è l’unica corte con giurisdizione generale nel Paese e può essere adita sia in prima istanza, sia in appello. 3 A/RES/2200ª (XXI), 16 dicembre 1966, International Covenant on civil and political rights. L’art. 6.1 stabilisce 2

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essendo stata rigettata la sua richiesta per il riconoscimento dello status di rifugiato, il Paese ne aveva disposto il rimpatrio. La vicenda giudiziaria di T. è giunta al proprio epilogo nel mese di gennaio 2020, quando il Comitato dei diritti umani, ritenuta la comunicazione ammissibile, ha pubblicato le proprie considerazioni sul caso. 4 T. sosteneva, in sintesi, che, con il rimpatrio forzato, la Nuova Zelanda avesse violato l’art. 6 del Covenant, ponendo a rischio la sua vita, e non avesse valutato in maniera corretta i rischi derivanti da tale scelta. Il Comitato parte dalla considerazione che il divieto di estradizione, deportazione o trasferimento di qualsiasi tipo, ai sensi e per l’effetto dell’art. 6, ha una portata più ampia del principio di non-refoulement posto dalle norme sui rifugiati, dovendosi estendere anche a individui che non hanno diritto a tale status. Per questo motivo, gli Stati firmatari devono garantire a tutti i richiedenti asilo, che abbiano dimostrato il rischio di una violazione del proprio diritto alla vita nel loro Paese di origine, lo status di rifugiati, ovvero altri status diversamente individuati, ma che possano comunque proteggerli dal rimpatrio. In effetti, la possibilità di una tutela per gli individui costretti emigrare al di fuori dei propri confini statali a causa degli effetti negativi dei cambiamenti climatici, entro i termini degli articoli 6 e 7 del Covenant, e quindi il relativo obbligo di non-refoulement, è stata individuata in astratto anche dal Comitato dei diritti umani delle Nazioni Unite, in un report del 2018 sulle lacune a livello di protezione dei diritti umani nell’ambito degli spostamenti a livello internazionale provocati dagli effetti negativi dei cambiamenti climatici e sulle misure da adottare per colmarle. Nei termini del report, gli articoli 6 e 7 dell’International Covenant on Civil and Political Rights “guarantee the rights to life and freedom from cruel, inhuman or degrading treatment or punishment. States must not return a migrant who may face these situations, or other serious human rights violations. They should consider measures to admit persons from and/or refrain from returning persons to areas adversely affected by climate change. States are bound by the fundamental principle of non-refoulement to ensure appropriate protection for any persons subject to their jurisdiction or effective control. That means they should refrain from returning persons to an area where there is a high likelihood that climate change-related risks threaten human rights”5. Basandosi anche sulla pregressa giurisprudenza dei tribunali dei sistemi regionali di tutela dei diritti umani,6 il Comitato riconosce espressamente come il degrado ambientale, i cambiamenti climatici e lo sviluppo non sostenibile costituiscano, attualmente, alcune delle più gravi minacce al godimento delle generazioni presenti e future del diritto alla vita, in maniera diretta e indiretta, compromettendo il benessere individuale.

che “Every human being has the inherent right to life. This right shall be protected by law. No one shall be arbitrarily deprived of his life”. 4 Teitiota c. New Zealand (CCPR/C/127/D/2728/2016), 7 gennaio 2020. 5 A/HRC/38/21, Addressing human rights protection gaps in the context of migration and displacement of persons across international borders resulting from the adverse effects of climate change and supporting the adaptation and mitigation plans of developing countries to bridge the protection gaps, 23 aprile 2018, par. 45. 6 Cfr. Corte interamericana dei diritti umani, Opinión Consultiva OC-23/17, 15 novembre 2017; Corte EDU, Cordella e altri c. Italia, 24 gennaio 2019, par. 157; M. Özel and others v. Turkey, 2 maggio 2016 parr. 170 e 171; Budayeva and others v. Russia, 20 marzo 2008; Öneryildiz v. Turkey, 30 novembre 2004.

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Nelle sue considerazioni, il Comitato fa un ulteriore passo in avanti, affermando che “without robust national and international efforts, the effects of climate change in receiving states may expose individuals to a violation of their rights under article 6 and 7 of the Covenant, thereby triggering the non-refoulement obligations of sending states”7. Vi è, dunque, un riconoscimento espresso della possibilità di far valere l’obbligo di nonrefoulement, a carico dello Stato accogliente, anche nel caso di individui il cui diritto alla vita sia minacciato, nel Paese di origine, dagli effetti dei cambiamenti climatici. Alla luce, però, degli elementi posti alla base della comunicazione di T., il Comitato dei diritti umani rigetta il ricorso. L’attore, sostiene il Comitato, non sarebbe stato in grado di provare l’arbitrarietà o l’erroneità della decisione del tribunale locale rispetto al fatto che egli corresse o meno il rischio concreto, personale e ragionevole di subire una minaccia al proprio diritto alla vita, a seguito di atti risultanti dal sovraffollamento o dalle lotte per la terra, una volta fatto ritorno nel suo Paese d’origine. Nonostante il rigetto, la comunicazione del Comitato dei diritti umani è di indubbia rilevanza, poiché riconosce la concreta possibilità che i cambiamenti climatici, e in particolare gli effetti negativi di questi, vengano posti a fondamento dell’obbligo di non-refoulement da parte dello Stato ricevente. Nelle proprie argomentazioni, il Comitato chiarisce che per questo tipo di richiedenti asilo non vi è la necessità di provare il danno grave derivante dal rimpatrio: i pregiudizi derivanti dai cambiamenti climatici possono, infatti, essere causati da eventi improvvisi, come forti tempeste o inondazioni, ovvero da processi lenti, come l’innalzamento del livello dei mari, l’erosione, la salinizzazione delle acque dolci; entrambe queste categorie possono indurre gli individui ad attraversare i confini alla ricerca di protezione dai pericoli dovuti ai cambiamenti climatici. Il Comitato, inoltre, pone l’accento sul ruolo di assistenza della Comunità internazionale ai Paesi più duramente colpiti dai cambiamenti climatici. Senza grandi sforzi a livello nazionale e internazionale, gli effetti dei mutamenti climatici nello Stato di provenienza del richiedente asilo potrebbero essere tali da far sorgere a carico dello Stato in cui la richiesta è avanzata un obbligo di non-refoulement, anche prima che si verifichi un’effettiva lesione del suo diritto alla vita, provocata appunto dagli effetti dei cambiamenti climatici nel Paese di origine. In altre parole, l’obbligo di non-refoulement, in questi casi, potrebbe scattare anche prima della concreta lesione del diritto alla vita, sulla sola previsione che le condizioni di vita nello Stato di appartenenza del richiedente asilo diventeranno incompatibili con la fruizione di tale diritto, a causa dei cambiamenti climatici. Alessia Strigini

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Teitiota c. New Zealand, cit., par. 9.11.

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Corte Europea Diritti dell’Uomo, Sez. I, sent. 16 gennaio 2020 Magosso-Brindiani c/ Italia, Ricorso 59347/11. Diritto di espressione – libertà di stampa – diffamazione a mezzo stampa – proporzionalità della pena – Art. 10 CEDU La Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia per aver violato il diritto alla libertà d’espressione di due giornalisti, ritenendo che il reato di diffamazione non si realizzi se il giornalista riporta dichiarazioni di terzi secondo le regole professionali.

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Sent. Corte Europea dei Diritti dell’Uomo 16 gennaio 2020. Ricorso n.59347/1. Magosso e Brindani contro Italia. Ancora in tema di libertà di espressione Sommario: 1. Introduzione; 2. Il fatto storico; 3. La vicenda processuale; 4. La CEDU e la violazione dell’art. 10 della convenzione; 5. Conclusioni.

1. Introduzione. A distanza di pochi mesi dalla precedente sentenza del 7 marzo 20191, la Corte Europea dei diritti dell’uomo infligge all’Italia un’altra condanna, in ordine ad un ricorso presentato da due giornalisti italiani in censura di un lungo iter processuale, che li aveva riconosciuti definitivamente colpevoli per diffamazione a mezzo stampa, aggravata per fatti determinati. I Giudici di Strasburgo hanno, infatti, ritenuto non necessaria l’ingerenza dello Stato italiano sul diritto di libertà di espressione, tanto più nei casi, come quello di specie, in cui si verifichi, che l’operatore ha trattato la notizia secondo le regole professionali. La recentissima pronuncia della CEDU conferma quindi nuovamente, quanto la Commissione di Venezia2 già nel 2013

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CEDU, Sent. 7 marzo 2019, Sallusti c. Italia, Ricorso n. 22350/13. Opinion n. 715/2013, 9 novembre 2013, in http://www.assembly.coe.int. On 9 November 2013 the Venice Commission, in Opinion no. 715/2013 (“Opinion on the Legislation on Defamation of Italy”) observed that a reform of the legislation on defamation was ongoing (see paragraph 30 above): the amendments proposed envisaged, inter 2


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aveva rilevato, ovvero che la legge italiana in materia di reati di diffamazione non risulta ad oggi conforme alle previsioni dell’art. 10 CEDU. La Corte rammenta infatti, che sebbene i giornalisti fossero stati condannati alla sola pena della multa, tuttavia una sanzione penale resta una severa repressione e, in quanto tale, rischia di avere un effetto particolarmente dissuasivo sull’esercizio della libertà di espressione3.

2. Il fatto storico. Il fatto oggetto di report giornalistico riguarda l’omicidio del giornalista Walter Tobagi del 28 maggio 1980 operato da un gruppo terroristico di estrema sinistra chiamato «Brigata 28 marzo», di cui il leader fu arrestato pochi mesi a seguito dell’omicidio, decidendo successivamente di collaborare con la giustizia e permettere così l’arresto di tutti gli altri membri del gruppo criminale. Nel giugno 1983, l’allora presidente del Consiglio, Bettino Craxi, dichiarò pubblicamente che, pochi mesi prima della morte di Walter Tobagi, i Carabinieri di Milano avevano ricevuto delle rivelazioni da parte di un informatore. Qualche mese dopo, in risposta ad una interpellanza parlamentare, l’allora Ministro dell’Interno rese pubblico un rapporto del 13 dicembre 1979, scritto dal brigadiere D.C., in cui si parlava del progetto di sequestrare o assassinare il giornalista. Nel mese di giugno 2004 su un noto settimanale italiano veniva pubblicato un articolo, che a distanza di ventiquattro anni riportava alla cronaca il fatto criminoso, intitolato «Tobagi poteva essere salvato», accompagnato dai seguenti sottotitoli: «Sull’assassinio del giornalista del “Corriere”, mi dissero: stai zitto!»; con in esclusiva il racconto del sottufficiale dei Carabinieri che, sei mesi prima del delitto, aveva svelato il piano, facendo i nomi dei terroristi. Nel suo articolo, il giornalista riportava che secondo le dichiarazioni dell’ex carabiniere dei Carabinieri della sezione antiterrorismo di Milano, pochi mesi prima dell’omicidio, il brigadiere D.C. aveva ottenuto delle rivelazioni da parte di un informatore su un possibile progetto di attentato a Walter Tobagi e riferendo ciò ai propri superiori, questi gli avevano ordinato di scrivere un rapporto anonimo. Il giornalista riportava, poi, anche le affermazioni di un altro ex ufficiale dei Carabinieri, il generale N.B., aiutante del generale Dalla Chiesa, che riferendo dell’accaduto direttamente al generale, costui ammetteva che altri alti gerarchi dell’Arma lo avevano volutamente tenuto lontano dalle attività investigative di quel caso. L’articolo veniva così ritenuto diffamante, in quanto: «Il giornalista Walter Tobagi è stato ammazzato mentre si batteva per scongiurare il bavaglio della loggia massonica «P2», mentre tentava di far luce sui misteri del caso «Aldo Moro». Da un estratto dell’articolo oggetto di contestazione, riportava precisamente: «Oggi, a distanza di anni, è giusto riconoscerlo e ristabilire la verità: l’autocritica è una medicina utile, anche in un corpo sano».

alia, limitation of the use of criminal provisions, abolition of imprisonment as a possible penalty and an upper limit for fines, lacking in Article 595 §§ 3 and 4 of the Criminal Code (repealed by the Bill). The Venice Commission was of the opinion that (high fines posed “a threat with almost as much chilling effect as imprisonment”) but also recalled that this was to be regarded as “a remarkable improvement, in accordance with the Council of Europe calls for lighter sanctions for defamation”. 3 CEDU, Sent. 31 maggio 2016, Nadtoka c. Russia, Ricorso n. 38010/05.

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Ritornando al fatto storico, che la Corte europea ha ampiamente ricapitolato, al fine di motivare l’insussistenza del criterio di proporzionalità nel reato inflitto da parte dei Giudici interni: nel gennaio 1979, il Brigadiere D.C. nelle sue consuete attività di servizio agganciava un noto criminale in odore di terrorismo, denominato «Il Postino». Le sue rivelazioni consentivano di arrestare decine di brigatisti anche di primissimo piano, facendo trovare covi, esplosivi, armi, persino mitragliatrici. Nell’intervista rilasciata al settimanale il Brigadiere ricorda che: «Con il passare del tempo, «il Postino» diventa un informatore-collaboratore di enorme importanza e credibilità, poi, a fine 1979, mi dice che c’è un piano per assassinare il giornalista Walter Tobagi. Fa anche i nomi degli esecutori. Sapevamo di un piano analogo che avevano organizzato quelli di Prima Linea, tuttavia il Postino riferiva di tutt’altri personaggi. Pensavo di riferire quelle clamorose rivelazioni al mio superiore diretto, il capitato A., ma si era appena dimesso dall’Arma. Ne ho parlato al capitano R. e, quando ritornò da una trasferta a Roma, al capitano B. Mi venne ordinato di scrivere un rapporto anonimo, noi dell’Antiterrorismo non potevamo firmare rapporti per evitare di deporre nei processi in tribunale. Mi aspettavo di entrare in azione da un momento all’altro. (…) A maggio 1980 hanno sparato a una gamba al giornalista [G.P.] Pensavo che gli uomini dell’Antiterrorisno domandassero a G.P. l’identikit degli attentatori che aveva visto in faccia. Non lo fecero. Da quegli identikit si sarebbe potuto risalire al gruppo «28 marzo». La conferma venne pochi giorni dopo, il 28 maggio, (...) M.B. uccise Walter Tobagi. Io ero incaricato di fare intercettazioni telefoniche: con grande stupore mi accorsi che, soltanto una settimana dopo il delitto, avevano messo sotto controllo proprio i personaggi che avevo indicato sei mesi prima. A settembre fermano [M.B]. Decide di parlare. Fa arrestare centinaia di brigatisti. Intanto io finisco al confine con la Svizzera: trasferimento “precauzionale”, ottima formula per non dire “punitivo”. Tre anni dopo [nel 1983], quando ormai il processo a M.B. e complici è finito, si viene a sapere ufficialmente della mia premonitrice informativa: la rende nota l’allora ministro dell’Interno Oscar Luigi Scalfaro, dopo che l’aveva pubblicata a stralci il quotidiano [del partito socialista] L’Avanti! Mi chiamano d’urgenza a Roma, al Comando generale dell’Arma. Trovo i capitani [A.R.] e [U.B.]. Ci riceve il generale [G.R.]. Mi domanda: “Hai dato tu il documento riservato su Tobagi all’’Avanti!, vero?”. “No, signor generale”. E poi: “A chi hai consegnato materialmente il rapporto?” Rispondo: “Ai qui presenti capitani: ho comunicato anche i nomi dei terroristi, che avevo segnato nei miei appunti riservati”. Il generale [G.R.] mi ha ordinato di mantenere il massimo segreto su quell’incontro»4.

3. La vicenda processuale. La vicenda processuale nasce da una denuncia-querela, da parte del Capitano A.R. e della sorella del Capitano U.B., nei confronti del ex Brigadiere, del giornalista che materialmente aveva firmato l’articolo e del direttore responsabile della testata per omessa vigilanza in merito all’articolo contestato. Il 22 marzo 2006 infatti il giudice per le indagini preliminari rinvia a giudizio i giornalisti indagati dinanzi al Tribunale di Monza per il reato di diffamazione a mezzo stampa, aggravata dall’attribuzione di fatti determinati. Mentre il brigadiere sottoposto ad altro procedimento penale, per i medesimi fatti, veniva condannato dal Tribunale di Monza in data

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Il testo dell’intervista operata dal giornalista viene interamente riportato nelle motivazioni della sentenza in commento.

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22 settembre 2008 al pagamento di una multa di 1.000 € e al risarcimento del danno morale subito da A.R. e dalla sorella di U.B. Dopo un’articolata istruttoria dibattimentale, con sentenza del 20 settembre 2007, depositata il 18 dicembre 2007, il Tribunale di Monza dichiarava il giornalista, autore dell’articolo e il direttore responsabile, colpevoli di diffamazione a mezzo stampa, condannandoli rispettivamente ad una multa di 1.000 € al primo e di 300 € al secondo, oltre al pagamento di 120.000 € al capitano A.R. e 90.000 € alla sorella di U.B. per danni morali e 20.000 € per la refusione delle spese legali sostenute dalle parti civili, ordinando infine la pubblicazione di un estratto della sentenza sul settimanale Gente e sul quotidiano Corriere della Sera. Nelle motivazioni della sentenza di prime cure di legge infatti che il Giudice ha ritenuto che: «(...) La gravità delle offese è indubbia e la portata diffamatoria particolarmente grave, in considerazione del ruolo ricoperto dalle p.p.o.o., alti ufficiali dell’Arma dei Carabinieri, per i quali il servizio dello Stato, l’onestà e la moralità rappresentano valori fondamentali. Non può ritenersi sussistente, nel caso di specie, l’invocata scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca. (…) In particolare, i fatti narrati: devono rivestire un oggettivo interesse per l’opinione pubblica (principio della pertinenza); devono essere esposti in modo corretto ed obiettivo (principio della continenza); e, soprattutto, devono essere veri, cioè rigorosamente corrispondenti a fatti realmente accaduti (principio della verità). Quanto al limite della cosiddetta continenza (…), nel caso di specie innanzitutto il carattere volutamente scandalistico dell’articolo, che esordisce con la foto del povero giornalista ucciso, la cruda sintesi del suo contenuto riportata nei titoli e nei sottotitoli, e la narrazione che non lascia (…) spazio a ipotesi alternative, sono tutti elementi che sicuramente trascendono i caratteri di un’informazione serena ed obiettiva. (…). Inoltre l’accostamento delle vicende oggetto dell’imputazione, relative specificamente al ruolo dei generali A.R. e U.B. (…) ad altre vicende estranee al delitto Tobagi ed improntate nel comune sentire da valenza negativa quali quelle dei carabinieri coinvolti nella loggia massonica P2, (…) è dotato di autonoma attitudine diffamatoria nei confronti delle odierne persone offese»5. Il giornalista e il direttore, ritenendo ingiusta la sentenza nei Loro confronti, propongono così impugnazione alla Corte d’Appello di Milano, chiedendo di riunire il loro processo con quello a carico del brigadiere. Nel loro ricorso affermano, invocando l’esercizio del diritto di cronaca, che il Tribunale avesse ignorato gli elementi che provavano che le dichiarazioni di D.C. risultavano da loro verificate. Sostenevano che, alla luce degli elementi oggettivi esaminati, avevano potuto concludere in buona fede che le dichiarazioni di D.C. potessero essere credibili e corrispondere ad una «verità putativa». I ricorrenti elencavano poi le verifiche effettuate, sottolineando che il primo, in quanto giornalista che lavorava nello stesso gruppo editoriale di Walter Tobagi, sarebbe stato un testimone privilegiato degli eventi, così il direttore del quotidiano di Walter Tobagi gli avrebbe chiesto, a seguito dell’omicidio, di indagare e di contattare le sue fonti tra i carabinieri per verificare le confidenze, che aveva ricevuto dal generale Dalla Chiesa, secondo cui l’autore dell’omicidio era già noto alle forze dell’ordine. Grazie ai suoi contatti nei carabinieri, il primo ricorrente fu l’unico giornalista, dopo l’arresto di M.B. e pochi giorni prima della sua confessione, a pubblicare un articolo che indicava costui come proba-

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Tribunale di Monza, sentenza 20 settembre 2007. Il Giudice nella sentenza effettua il discostamento tra il fatto storico, come ricostruito e il contenuto dell’articolo sulla base dell’informativa di P.g. operata dal brigadiere D.C. nel 1979 ritenuta di per sé generica e non precisamente attendibile, anche se peraltro citata dal Ministro Interno.

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bile autore dell’omicidio e che l’attività investigativa continuava nella zona di Varese, lì dove «il Postino» era attivo. A questo proposito, i ricorrenti aggiungevano che, secondo la versione ufficiale, gli inquirenti avevano dichiarato che, prima della confessione di M.B., non avevano alcuna prova contro quest’ultimo. I ricorrenti indicavano inoltre che, pochi giorni prima del delitto, i carabinieri avevano chiesto l’autorizzazione a mettere sotto intercettazione quattro linee telefoniche, tra cui quella utilizzata da M.B. e dalla sua convivente e quelle di altri due membri del gruppo terroristico «Brigata 28 marzo». All’epoca, il primo ricorrente incontrò il capitano U.B., che gli aveva parlato della «pista M.B.» e di una perizia calligrafica realizzata su un documento manoscritto redatto da M.B. Secondo i ricorrenti, il fatto che, tra i vari gruppi e organizzazioni terroristiche attive all’epoca, i carabinieri avessero potuto puntare i loro sforzi su M.B. e sui suoi complici così rapidamente, faceva ragionevolmente pensare che la versione di D.C. fosse credibile e che i carabinieri disponessero di altri elementi sconosciuti al pubblico. Tuttavia, con sentenza del 3 novembre 2009, depositata il 30 dicembre 2009, la Corte d’appello di Milano respingeva il ricorso, ritenendo che: «(...) l’articolo è di indiscutibile contenuto diffamatorio, suggerendo nella sostanza ai lettori la conclusione di una dolosa inattività da parte di due ufficiali (…) si ritiene di dover innanzi tutto rilevare come nella specie sia stato violato il principio di verità dei fatti narrati (...) Tobagi era già da tempo indicato come uno dei possibili obiettivi da colpire (…) e risulta del tutto generica l’informazione fornita il 13 dicembre 1979 da D.C(…) e comunque presentata come una illazione, una congettura del «Postino», così come è altresì pienamente comprovato che l’omicidio fu progettato dopo il marzo 1980 (…). Il dato è confortato anche dalla pronuncia della corte d’assise d’appello [resa nell’ambito del processo sull’omicidio di Tobagi] (…) [D.C.] ha spacciato per veri fatti che sono falsi (...)». La Corte d’appello di Milano confermava quindi la sentenza di primo grado, anche nel risarcimento del danno, ritenendo in ordine all’articolo censurato che: «si deve rilevare non solo la non veridicità del contenuto dell’articolo e il mancato controllo della notizia pubblicata, ma anche la sua scelta di non informare della pubblicazione i soggetti coinvolti e la sua evidente volontà di comunicare fatti e circostanze “scandalistici” come l’unica verità certa, cioè la sola possibile ricostruzione dei fatti, senza dare neppure conto ai lettori di altra verità accertata giudizialmente in via definitiva, che pure era a conoscenza dello stesso giornalista». Gli imputati promuovevano così ricorso per Cassazione, sostenendo di aver adempiuto all’obbligo di verificare la veridicità delle affermazioni dell’ex brigadiere, ma soprattutto che la loro ricostruzione presentava fatti nuovi in ordine all’omicidio di Walter Tobagi, degni di essere conosciuti dal pubblico. La valutazione della Corte d’appello di Milano si era erroneamente basata su fatti asseritamente accertati nel corso di altri processi6, senza tuttavia prendere in considerazione alcuni dati oggettivi relativi alle indagini del 1980. Tuttavia con sentenza del 23 novembre 2010, depositata il 28 marzo 2011, la Corte di Cassazione respingeva il ricorso, confermando quindi la condanna al pagamento della somma provvisionale in favore delle parti civili, oltre alle spese processuali, motivando che: «Questa ricostruzione dei fatti - intrinsecamente screditanti, dal significato immorale sul piano umano, sleale sul piano istituzionale, criminoso sul piano giuridico - ha avuto come prima fonte storica nelle dichiarazioni dell’ex brigadiere, ha avuto come strumento di diffusione nella persona del primo ricorrente, che l’ha

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Il processo volto a individuare le responsabilità di «Tobagi» e quello, archiviato, volto a determinare chi, nel 1983, avesse informato il Presidente del Consiglio Craxi del rapporto di D.C.

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condivisa e le ha dato ampio rilievo, ed è stata pubblicata sul settimanale, il cui direttore ha omesso il preventivo controllo richiesto dalla legge. (...) Quanto al giornalista, ha diffuso la notizia di evidente forza diffamatoria, in danno di [A.R.] e della memoria di [U.B.], con modalità dimostrative della sua volontà di ledere gli ufficiali dell’Arma, espressa mediante l’assoluta omissione di controllo sulla veridicità delle pesanti accuse. Tale controllo (…) doveva e poteva sicuramente essere effettuato [dal primo ricorrente] interpellando gli interessati e le fonti istituzionali (…), attesa la prorompente forza (…) delle affermazioni fatte (…) in danno di ufficiali delle forze dell’ordine, presentati ai cittadini come concorrenti nell’omicidio di matrice terroristica (…)»7. La Corte di Cassazione ha peraltro ritenuto che «(...) l’aver riportato «alla lettera» nel testo dell’intervista le dichiarazioni del soggetto intervistato, qualora esse abbiano oggettivamente contenuto ingiurioso o diffamatorio, non integra di per sé la scriminante del diritto di cronaca. Il giornalista che assuma una posizione imparziale può tuttavia essere scriminato in forza dell’esercizio del diritto di cronaca quando il fatto in sé dell’intervista, in relazione alla qualità dei soggetti coinvolti, alla materia in discussione e al più generale contesto dell’intervista presenti profili di interesse pubblico all’informazione, tali da prevalere sulla posizione soggettiva del singolo. In tal caso, il giornalista potrà essere scriminato anche se riporterà espressioni offensive pronunciate dall’intervistato all’indirizzo di altri, quando, ad esempio, per le rilevanti cariche pubbliche ricoperte dai soggetti coinvolti nella vicenda o per la loro indiscussa notorietà in un determinato ambiente, l’intervista assuma il carattere di un evento di pubblico interesse, come tale non suscettibile di censura alcuna da parte dell’intervistatore (…)»8.

4. La CEDU e la violazione dell’art. 10 della convenzione. La questione non poteva poi non approdare anche in sede europea, ove i Giudici di Strasburgo, ricevuto il ricorso, hanno in primis osservato che le parti non hanno mai messo in discussione il fatto, che la condanna dei ricorrenti avesse costituito un’ingerenza nel diritto di questi ultimi alla libertà di espressione, come espressamente sancito dall’articolo 10 della Convenzione9. L’esercizio di questa libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposta alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni, che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, all’integrità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario.

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Cass. penale Sez. V, n. 12659 del 23 novembre 2010. Cass. civ. Sez. III Sent. n. 10686 del 24 aprile 2008. 9 CEDU, sent. Kapsis e Danikas c. Grecia, Ricorso n. 52137/12, 19 gennaio 2017; CEDU, sent. Belpietro c. Italia, Ricorso n. 43612/10, 24 settembre 2013. La Corte osserva che tale ingerenza era «prevista dalla legge», nella fattispecie gli articoli 57 e 595 del CP e l’articolo 13 della legge sulla stampa (paragrafi 25 e 26 supra), e perseguiva uno scopo legittimo, ossia la «protezione dei diritti altrui» (Pedersen e Baadsgaard c. Danimarca, n. 49017/99, § 67, CEDU 2004-XI), e più in particolare la reputazione di A.R. e U.B., ex ufficiali dei carabinieri. 8

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Sent. Corte Europea dei Diritti dell’Uomo 16 gennaio 2020. Ricorso n.59347/1. Magosso e Brindani contro Italia

Tuttavia, i ricorrenti rammentano che lo scopo delle impugnazioni non era accertare se le dichiarazioni di D.C. fossero vere, ma determinare se il giornalista avesse il diritto/dovere di informare l’opinione pubblica, e se l’opinione pubblica avesse il diritto di essere informata, e se i motivi addotti dai giudici nazionali fossero pertinenti e sufficienti per giustificare la loro condanna. Essi affermano che, nel corso del procedimento interno, non si era mai tenuto conto né degli accertamenti effettuati, che stabilivano secondo loro l’attendibilità della loro fonte e delle sue dichiarazioni, né della loro buona fede nella presentazione di una versione dei fatti che essi dicevano essere attendibile ed alternativa rispetto a quella che i tribunali avevano stabilito nel «processo Tobagi». Peraltro la condanna dei giornalisti ha avuto in Italia ampio eco mediatico, soprattutto nel settore dell’informazione rivendicando una violazione alla libertà di stampa: è stata presentata al governo una interrogazione parlamentare; due comunicati stampa, uno del Consiglio Nazionale dell’ordine dei giornalisti e l’altro della Federazione nazionale della stampa italiana («la FNSI»). I ricorrenti hanno infine criticato l’effetto combinato delle sanzioni pecuniarie penali, dell’importo della provvisionale sul risarcimento danni accordata alle parti civili e della somma che sono stati condannati a pagare per le spese processuali, in quanto tale somma sarebbe irragionevolmente sproporzionata e contraria alla giurisprudenza della Corte, oltre a non essere adeguata rispetto alla loro situazione economica. D’altra parte il Governo italiano convenuto ha ritenuto che i ricorrenti fossero colpevoli del reato ascritto, poiché nell’articolo controverso avevano proposto una sola versione dei fatti come se fosse l’unica verità possibile, in palese contrasto con la deontologia della professione. Secondo l’avvocatura italiana, il racconto dei fatti proposto dagli interessati, criticato anche per il tono utilizzato, è stato contraddetto dalla stessa descrizione dei fatti operata dai Tribunali interni basandosi principalmente sulla ricostruzione effettuata durante il «processo Tobagi», soprattutto dalla Corte d’assise di Milano nella sua sentenza del 28 novembre 1983. In particolare, la versione proposta dall’articolo sarebbe stata contraddetta da M.B., autore del reato, e dal «Postino», informatore di D.C., e smentita da una serie di altri fatti accertati nel corso del processo originario. Infine, secondo il governo convenuto, i Tribunali hanno stabilito che D.C. non aveva menzionato i nomi dei terroristi nel suo rapporto e che la sua dichiarazione a proposito delle altre note di servizio era semplicemente il frutto della sua strategia difensiva. La Corte osserva, tuttavia, che i fatti esposti nell’articolo in contestazione riguardano sicuramente un argomento di interesse generale10 contribuendo al dibattito pubblico su fatti controversi11 della storia italiana contemporanea, ossia l’omicidio di un famoso giornalista, Walter Tobagi, da parte di un gruppo terroristico durante gli «anni di piombo» e l’influenza della loggia massonica «P2» sulle istituzioni. Alla funzione della stampa che consiste nel diffondere informazioni e idee su questioni di interesse pubblico si aggiunge infatti il diritto per il pubblico di riceverne12. Ciò premesso, la Corte osserva che, nel caso di specie, il ragionamento dei Tribunali nazionali non dimostra che questa considerazione sia stata ritenuta pertinente, né che abbia influito sull’esame della causa, insistendo sul carattere «scandalistico» dell’articolo senza bilanciare sufficientemente i diversi valori e interessi in conflitto.

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CEDU, sent. Thorgeir Thorgeirson c. Islanda, 25 giugno 1992, ricorso n. 13778/88. CEDU, sent. Orban e altri c. Francia, 15 gennaio 2009, ricorso n. 20985/05. 12 CEDU, sent. Observer e Guardian c. Regno Unito, 26 novembre 1991 e CEDU, sent. Dupuis e altri c. Francia, 7 giugno 2007, ricorso n. 1914/02. 11

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Per quanto riguarda lo status delle persone interessate dalle affermazioni in contestazione, rileva che A.R. e U.B. erano due ufficiali dei carabinieri della sezione antiterrorismo di Milano, direttamente coinvolta nell’indagine relativa alla morte di Walter Tobagi. Le dichiarazioni riprodotte nell’articolo contestato riguardavano, tuttavia, l’attività professionale dei due uomini, e non aspetti della loro vita privata. La Corte europea infatti rammenta che, sebbene non si possa ritenere che i funzionari dello Stato si espongono consapevolmente ad un attento controllo dei loro fatti alla stregua dei politici13, i limiti della critica nei confronti dei funzionari che agiscono in qualità di personaggi pubblici nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali sono più ampi rispetto ai semplici privati cittadini14. Nella fattispecie, la Corte osserva che i Tribunali nazionali hanno basato la loro valutazione del danno sulla reputazione dei due ufficiali, senza considerare che gli imperativi di protezione dei funzionari devono, anche, essere bilanciati con gli interessi della libertà di stampa o della libera discussione di questioni di interesse generale. Alla valutazione dei Giudici di Strasburgo pare infatti che l’articolo in esame non fosse di per sé offensivo o ingiurioso e che il suo contenuto non consistesse in attacchi personali diretti specificamente ai due ufficiali in questione15. A questo proposito, si osserverà che i ricorrenti si erano ben premurati di indicare che la reputazione dei carabinieri non era in discussione e che lo scopo dell’articolo era solo «ristabilire la verità» ed interrogarsi sul funzionamento del corpo dei Carabinieri durante gli «anni di piombo». Peraltro le dichiarazioni dell’intervista di D.C. non sono state riscritte o rimaneggiate dai giornalisti e la Corte non riscontra elementi che abbiano superato i limiti di esagerazione generalmente ammessi16. Per quanto riguarda i servizi stampa basati su colloqui, la Corte rammenta che è opportuno distinguere le dichiarazioni fatte dallo stesso giornalista da quelle che costituiscono citazioni di terzi. Infatti, sanzionare un giornalista per aver contribuito alla diffusione di dichiarazioni fatte da un terzo durante un colloquio ostacolerebbe gravemente il contributo della stampa sui dibattiti di interesse generale e sarebbe ammissibile solo in presenza di motivi particolarmente seri17. Nella fattispecie, la CEDU considera che i Tribunali interni non hanno operato una distinzione tra le affermazioni fatte dal primo ricorrente e quelle di D.C., poiché hanno ritenuto che l’articolo avesse un carattere diffamatorio e hanno dichiarato che il primo ricorrente era corresponsabile del delitto di diffamazione in quanto aveva «aderito alla tesi della dolosa inattività dei carabinieri», dimostrando così la volontà di nuocere a degli ufficiali del corpo dei carabinieri; sottraendosi al proprio dovere «di controllare la veridicità di queste gravi accuse», mentre il direttore responsabile era stato considerato responsabile di omissione per non aver proceduto a un controllo prima della diffusione di affermazioni potenzialmente diffamatorie. In tal guisa, la Corte rammenta che, quando i giornalisti riprendono delle dichiarazioni fatte da una terza persona, il criterio da applicare consiste nel chiedersi, non se tali giornalisti possano dimostrare la veridicità delle dichiarazioni in questione, ma se abbiano agito in buona fede e si siano conformati all’obbligo che normalmente hanno di verificare una dichiarazione fattuale fondandosi su una base reale sufficientemente precisa ed affidabile che possa essere

13

Busuioc c. Moldavia, n. 61513/00, § 60, 21 dicembre 2004, CEDU, sent. Mamère c. Francia, Ricorso n. 12697/03. CEDU, sent. Medžlis Islamske Zajednice Brčko e altri c Bosnia Erzegovina, 27 giugno 2017, ricorso n. 17224/11; CEDU, sent. Mariapori c. Finlandia, 6 luglio 2010 ricorso n. 37751/07. 15 CEDU, sent. Radobuljac c. Croazia, 28 giugno 2016 ricorso n. 51000/11. 16 CEDU, Sent. Gawęda c. Polonia, ricorso n. 26229/95; CEDU, sent. Stoll c. Svizzera, ricorso n. 69698/01. 17 CEDU, sent. Novaya Gazeta e Milashina c. Russia, 3 ottobre 2017, ricorso n. 45083/06. 14

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considerata proporzionata alla natura e alla forza di quanto affermano, sapendo che più l’affermazione è seria, più la base fattuale deve essere solida. Da questo punto di vista i ricorrenti hanno fornito un numero consistente di documenti e di elementi di fatto, che dimostrano i controlli effettuati e permettono di considerare la versione dei fatti riportata nell’articolo come attendibile. Tali controlli hanno trovato successivamente, durante il processo, un sostegno nelle dichiarazioni fatte sotto giuramento da D.C. per quanto riguarda l’esistenza di altre note trasmesse da quest’ultimo ai suoi superiori e recanti i nomi dei terroristi, così come nel documento trasmesso al generale N.B. e prodotto da quest’ultimo. La Corte europea conclude, pertanto, precisando che il grado di precisione richiesto per stabilire la fondatezza di un’accusa in materia penale da parte di un Tribunale è difficilmente paragonabile a quello che un giornalista dovrebbe osservare quando si esprime su un argomento di interesse pubblico18.

5. Conclusioni. In conclusione, la Corte europea per i diritti dell’uomo ha ritenuto che i Tribunali nazionali, anche considerando che le affermazioni di D.C. potessero ritenersi false e in contraddizione con la «verità che era stata definitivamente accertata dai tribunali» sull’omicidio di Walter Tobagi, non hanno tuttavia fornito motivi pertinenti e sufficienti per poter scartare le informazioni ricevute. Le verifiche effettuate dai ricorrenti, come ampiamente documentate in seno al procedimento interno, dimostrano il risultato di un lavoro di investigazione serio e consistente, pertanto una condotta professionale ampiamente conforme alla deontologia e alla Legge professionale. I Giudici europei ribaltano, quindi, le considerazioni di tre precedenti gradi di giudizio, affermando come il ripresentare un caso di cronaca nera riferibile ad un particolare momento storico dell’Italia, quello del c.d. «regime di piombo», da una diversa prospettiva rispetto a quella ricostruita nei processi giudiziari dell’epoca, non può costituire di per sé reato di diffamazione, ma semmai l’esercizio di un diritto specificatamente tutelato in sede europea. Sebbene le condanne del Giudice di prime cure, afflitte al giornalista e al direttore responsabile, erano limitate alla sola multa, essa si pone comunque in contrasto al criterio di proporzionalità, poiché produce comunque quel “chilling effect”, che mina il diritto all’informazione, andando ad incidere sulla libertà dell’operatore del settore, che rimane sì condizionato dal timore di subire procedimenti, per aver prestato alle cronache verità magari scomode, ma la cui diffusione rappresenta l’esercizio di libertà democratiche. I Giudici di Strasburgo, a pochi mesi dalla precedente condanna del 7 marzo 2019 (Sallusti c/Italia) riconfermano quindi l’Italia responsabile di non aver un adeguato disposto in materia di repressività del reato diffamazione a mezzo stampa, ritenendo lo stesso art. 3 della L. n.47/1948 sia eccessivo nelle previsioni sanzionatorie, tanto da costituire un’ingiustificata ed indiretta limitazione alla libertà di espressione, come sancita dall’art. 10 CEDU. Sebbene da anni il settore dell’informazione invochi a gran voce una riforma in materia, questa tuttavia pare non trovare unanime consenso in seno al Legislatore italiano: il DDL Costa, approvato dalla Camera nel 2013, è stato successivamente modificato dal Senato (29.10.2014), ancora modificato dalla Camera il 24.6.2015. Nella XVII Legislatura, al 18.10.17 risultava in corso d’esame presso la commissione Giustizia del Senato (come DDL S 1119–b). Anche nell’attuale legislatu-

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CEDU, sent. Cojocaru c. Romania, 10 febbraio 2015 sent. 32104/06.

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ra si registrano diversi disegni di legge, uno dei quali (Caliendo S.812) presentato al Senato il 20 settembre 2018 e attualmente all’esame della commissione Giustizia, un altro (Verini C.416) presentato alla Camera dei Deputati il 27 marzo 2018 e assegnato alla commissione Giustizia della Camera il 28 settembre 2018: entrambi prevedono l’abolizione della pena detentiva per la diffamazione, anche per le ipotesi più gravi, quale la diffamazione a mezzo stampa con “attribuzione di un fatto determinato falso, la cui diffusione sia avvenuta con la consapevolezza della falsità”, tuttavia ad oggi nulla di certo è all’orrizzonte. Andrea Racca

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europea

Corte Giustizia. Europea, sent. 3 marzo 2020, causa C-717/18, X (Mandat d’arrêt européen – Double incrimination) Doppia incriminazione, mandato di arresto europeo MAE, principio di certezza del diritto Con la pronuncia in esame la Grande Sezione della Corte di Giustizia dell’UE (C-717/18, pubblicata in data 3 marzo) si è pronunciata sui rapporti tra la successione di leggi penali nel tempo e i presupposti di esecuzione del mandato d’arresto europeo.

Il testo integrale della sentenza è accessibile sul sito della rivista

Corte Giustizia Europea, sent. 3 marzo 2020, causa C-717/18, X (Mandat d’arrêt européen – Double incrimination) - Limiti di applicabilità del MAE. Precisazioni della Corte Europea. La domanda giudiziale proposta alla Corte d’appello di Gand (Belgio) era diretta a far sì che la Corte si pronunciasse sullo stabilire se la soglia di pena che consente di prescindere dal controllo di “doppia incriminazione” ai fini dell’esecuzione del MAE debba essere verificato con riferimento alla disciplina vigente al momento del fatto o a quello di emissione del MAE – quando, come nel caso di specie, sia sopravvenuta, in tempi brevi, una modifica normativa con effetti peggiorativi. In particolare, il caso in esame riguarda la vicenda di una persona che, negli anni 20122013, aveva composto, registrato e diffuso online canzoni rap in relazione alle quali era stato condannato, nel 2017, dall’Audiencia Nacional di Madrid con sentenza, poi, divenuta definitiva nel 2018 alle pene di due anni di detenzione per apologia del terrorismo e per denigrazione delle vittime di tali fatti (artt. 578 e 579 c.p.); ad un anno di detenzione per diffamazione della Corona (art. 490, c. 3, c.p.) e sei mesi di detenzione per il reato di minaccia (art. 169, c. 2, c.p.). In relazione all’oggetto della controversia, la giurisdizione belga, sospeso il procedimento, lo ha sottoposto, poi, alla Corte di giustizia con alcuni quesiti inerenti all’esatta interpretazione dell’art. 2, par. 2 chiedendo essenzialmente se questa disposizione consenta che lo scrutinio circa la soglia dei tre anni sia effettuata secondo la legge penale vigente al momento dell’emissione del MAE e non in base a quella applicata nel processo, specie qualora tale nuova legge preveda un trattamento più severo per il medesimo reato. Dalle conclusioni dell’avvocato generale Bobek, del 26 novembre 2019, è chiaramente emerso che si può far riferimento alla legge applicata ai fatti e, quindi, nel processo (opzione sostenuta dalla difesa del signore, nonché dalla Commissione e come detto dall’Avvocato generale); e che, se le


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norme in tema di esecuzione sono governate, nel loro susseguirsi, dal noto principio per cui tempus regit actum, allora è possibile riferirsi ai parametri vigenti all’emissione del MAE (tesi preferita dai governi intervenuti, sia belga sia spagnolo, sia dal rappresentante della Procura generale belga). Inoltre, non avrebbe senso, ad avviso dell’avvocato generale, richiedere all’autorità emittente l’indicazione di dati che si riferiscano in parte alla legge applicabile e in parte, invece, alla normazione sopravvenuta, dovendosi ritenere la prima quella rilevante ai fini del MAE. Quindi, non possono essere condivise – ad avviso dell’avvocato generale – le valutazioni in senso contrario dei governi intervenuti. Un simile approccio può essere oggetto di ulteriori elementi di divergenza dovuti al fatto che la domanda sul MAE si fonda (anche) sul necessario rispetto dei diritti fondamentali e delle garanzie procedurali di cui il ricercato gode. L’esigenza di assicurare efficacia nella consegna non è un valore assoluto, soggiace, evidentemente, a talune limitazioni, tra cui quelle relative alla protezione del soggetto interessato dal provvedimento e ancora, non può mescolarsi l’efficacia del caso concreto con quella dell’intero strumento cooperativo. La Corte di Giustizia, al fine di far fronte alla questione proposta ha dato vita ad una interpretazione sistematica tendente a valorizzare il fatto che debba farsi riferimento alla pena che può essere inflitta oppure che è stata concretamente inflitta in base alla legge vigente al tempo del fatto; legge che, secondo i Giudici europei, è anche quella più facilmente verificabile dall’autorità preposta all’esecuzione, poiché contenuta tra le informazioni di corredo al singolo mandato d’arresto, nel rispetto così del principio di certezza del diritto e delle finalità di cooperazione semplificata che ispirano la disciplina del MAE. La Grande Sezione in particolare ha evidenziato che l’articolo 2, paragrafo 2, della decisione quadro relativa al mandato d’arresto europeo rileva che, al fine di verificare se il reato per il quale è stato emesso un mandato d’arresto europeo sia punito dallo Stato membro emittente con una pena o una misura di sicurezza privative della libertà di durata massima non inferiore a tre anni, come definita dalla legge di tale Stato membro, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione, a dire della Corte, deve prendere in considerazione la legge di detto Stato membro nella versione applicabile ai fatti che hanno dato luogo al procedimento nell’ambito del quale è stato emesso il mandato d’arresto europeo, e non nella versione in vigore al momento dell’emissione di tale mandato d’arresto. L’ attività di verifica appare necessaria in quanto, ai sensi della disposizione in oggetto, l’esecuzione di mandati d’arresto europei emessi per determinati reati puniti con una pena o una misura di sicurezza privative della libertà di durata massima non inferiore a tre anni non può essere subordinata al controllo della doppia incriminazione del fatto, o alla condizione che tali reati siano puniti anche dalla legge dello Stato membro di esecuzione. In specie, quindi, nel 2017, la Corte centrale Spagnola ha emesso una condanna nei confronti di un individuo relativamente a fatti commessi nel 2012 e nel 2013, configuranti il reato di apologia del terrorismo e di umiliazione delle vittime di quest’ultimo, previsto dall’articolo 578 del codice penale spagnolo nel testo vigente al momento dei fatti stessi. A fronte di ciò la Magistratura iberica infliggeva la pena detentiva massima di due anni derivante da tale versione della disposizione penale spagnola. Tuttavia, nel 2015, tale disposizione è stata modificata e prevede oramai una pena detentiva di durata massima di tre anni. Poiché il signore in questione aveva lasciato la Spagna trasferendosi in Belgio, l’Audiencia Nacional (Corte centrale) ha emesso, nel 2018, un c.d. MAE nei suoi confronti per il reato di «terrorismo», che figura nell’elenco dei reati oggetto della soppressione del controllo della doppia incriminazione del fatto. La Corte d’appello di Gand, Belgio, investito dell’appello nell’ambito della procedura di esecuzione di tale mandato d’arresto, ha deciso di proporre rinvio pregiudiziale dinanzi alla Corte a causa dei dubbi che nutriva riguardo alla versione dell’articolo 578 del codice penale spagnolo da prendere in 60


Corte Giustizia Europea, sent. 3 marzo 2020, causa C-717/18, X

considerazione per stabilire se sia soddisfatto, nel caso di specie, il presupposto che esige una pena privativa della libertà di durata massima non inferiore a tre anni. La Corte di giustizia ha dunque condiviso la posizione espressa dall’avvocato generale affermando che per i requisiti cui fa cenno l’art. 2, par. 2, le domande sono da riferirsi alla legge applicabile «ai fatti che hanno dato luogo al procedimento», ovvero quella in concreto impiegata dal giudice per irrogare e commisurare la pena. Antonio De Lucia

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Osservatorio

normativo

Il diritto penale ai tempi dell’emergenza covid-19. Alessandro Quattrocchi

Sommario: 1. Premessa – 2. L’avvicendamento della normativa emergenziale: dal D.L. n. 6/2020 ai D.P.C.M. – 3. La discussa fonte delle misure di contenimento – 4. L’inosservanza delle misure di contenimento nella vigenza del D.L. n. 6/2020 – 5. Il reato di epidemia – 6. I reati conseguenti alla falsa attestazione – 7. Il ripensato assetto della normativa emergenziale: il D.L. n. 19/2020 – 8. La nuova contravvenzione di cui all’art. 4, co. 6, D.L. n. 19/2020 – 9. Questioni di diritto intertemporale – 10. Considerazioni conclusive.

1. Premessa. La recente emergenza epidemiologica da diffusione del Covid-19 (c.d. coronavirus) è stata fronteggiata dall’ordinamento nazionale con l’adozione di provvedimenti normativi di fonte primaria (Decreti Legge, stante la ricorrenza dei presupposti di straordinaria necessità ed urgenza di cui all’art. 77 Cost.) e secondaria (decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, d’ora in avanti D.P.C.M.). Con detti provvedimenti, in particolare, sono state previste e regolamentate le misure di contenimento destinate a persone ed esercenti attività imprenditoriali al fine di limitare e gestire l’espansione del contagio, dapprima su aree geografiche circoscritte, poi sull’intero territorio nazionale. Dette misure incidono, limitandole, su libertà costituzionalmente (e convenzionalmente) rilevanti dell’individuo, quali quelle di circolazione, riunione, iniziativa economica, le quali sono state sensibilmente compresse, salve deroghe espresse1; inoltre, a presidio di tali limitazioni, sono state poste fattispecie incriminatrici ad hoc, non sempre contraddistinte da particolare nitore, che porranno agli operatori del diritto non poche sfide interpretative.

1

Come accade emblematicamente “per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute”; cfr. art. 1, co. 1, lett. a), del D.P.C.M. 8 marzo 2020. Quanto alle situazioni di necessità, trattasi di impellenze relative al fabbisogno primario della persona o ad attività comunque da reputarsi imprescindibili per il menage personale e familiare (si pensi, ad esempio, alla fruizione dei servizi bancari o assicurativi); di recente, inoltre, è stato previsto che gli spostamenti da un comune all’altro possano avvenire solo per motivi di salute, motivi di lavoro e per assoluta urgenza.


Osservatorio normativo

2. L’avvicendamento della normativa emergenziale: dal D.L. n. 6/2020 ai D.P.C.M. Volendo tratteggiare, in ordine cronologico, le misure sin qui adottate, può osservarsi come il D.L. n. 6 del 23 febbraio 2020 (recante “Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19”, convertito tempestivamente dalla L. n. 13/2020) abbia costituito la fonte normativa primaria, contenente misure di contenimento e di gestione dell’emergenza epidemiologica, teleologicamente orientate a fronteggiare il connesso pericolo di grave pregiudizio per la salute pubblica. Le misure previste, come correttamente osservato dai primi commentatori della normativa emergenziale2, si sono originariamente distinte in tipiche ed atipiche. Segnatamente, le misure tipiche da principio adottate hanno riguardato i comuni delle primigenie “zone rosse” 3 e sono quelle di seguito elencate: • il divieto di allontanamento e quello di accesso ai Comune o alle aree “focolaio”; • il corrispondente divieto di accesso agli stessi Comuni o aree “focolaio”; • la sospensione di manifestazioni, eventi (anche culturali, ludici, sportivi o religiosi) e di ogni forma di riunione in luogo pubblico o privato; • la chiusura dei servizi educativi dell’infanzia, delle scuole di ogni ordine e grado e delle università; • la sospensione dei viaggi di istruzione, gemellaggi e scambi culturali; • la sospensione dell’apertura al pubblico dei musei; • la sospensione delle attività degli uffici pubblici, fatta salva l’erogazione dei servizi essenziali e di pubblica utilità, secondo le modalità fissate da appositi decreti prefettizi; • la sospensione delle procedure concorsuali pubbliche e private; • la chiusura di tutte le attività commerciali, a eccezione di quelle di pubblica utilità, dei servizi pubblici essenziali e dei negozi di vendita di beni di prima necessità; • l’obbligo di accedere ai servizi pubblici essenziali e agli esercizi commerciali di cui sopra indossando dispositivi di protezione individuale e osservando le cautele prescritte dalle Asl; • la sospensione dei servizi del trasporto di merci e di persone, salvo specifiche deroghe; • la sospensione delle attività imprenditoriali, con l’esclusione dei servizi essenziali e salvo specifiche deroghe; • la sospensione delle attività lavorative per lavoratori residenti o domiciliati nelle aree della “zona rossa”. Tali misure sono state concretamente implementate con una fonte di rango secondario, il coevo D.P.C.M. del 23 febbraio 2020; fonte cui lo stesso D.L. n. 6/2020, con l’art. 3, affida tale compito precipuo. In seguito, esercitando la facoltà di adozione di “ulteriori misure di contenimento e gestione dell’emergenza, al fine di prevenire la diffusione dell’epidemia da COVID-19” (art. 2 D.L. n. 6/2020), quindi atipiche per la normativa di rango primario, il D.P.C.M. dell’1 marzo 2020

2

Così A. Natalini, In fuga dal virus: cosa rischia chi viola la “zona rossa”, in Guida al diritto, n. 14 del 2020, pp. 69 e ss. 3 Così il D.P.C.M. del 23 febbraio 2020, di attuazione del coevo D.L. n. 6/2020, che qualifica come c.d. “zone rosse”, ovvero “aree di contenimento rafforzato”, i comuni lombardi di Codogno, Castiglione d’Adda, Casalpusterlengo, Fombio, Maleo, Somaglia, Bertonico, Terranova dei Passerini, Castelgerundo e San Fiorano.

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Il diritto penale ai tempi dell’emergenza covid-19

(di recepimento e proroga del D.P.C.M. del 23 febbraio 2020) ha individuato aggiuntive misure precauzionali, estendendone l’ambito di applicazione territoriale4. Con l’aggravarsi della situazione epidemiologica e l’incremento dei casi di contagio sul territorio nazionale, il successivo D.P.C.M. dell’8 marzo 2020 ha introdotto “ulteriori misure” maggiormente stringenti5, che sono state precipitosamente estese all’intero Paese con il susseguente D.P.C.M. del 9 marzo 20206, anche a causa degli irresponsabili tentativi di fuga dalle aree interessate, ingenerati dalla indebita circolazione delle bozze dei testi dei citati decreti, che hanno determinato reazioni estreme nei consociati, tali da sovvertire la stessa ratio delle adottate misure di contenimento. Si impone dunque, ineluttabile, il tema delle conseguenze penali connesse alla violazione delle stringenti misure di contenimento così sinteticamente tratteggiate.

3. La discussa fonte delle misure di contenimento. Non meno preliminari appaiono delle notazioni concernenti la fonte normativa delle adottate misure di contenimento dell’emergenza epidemiologica. Come già rilevato, si tratta di una serie di decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, emanati in attuazione di quanto previsto dall’art. 3, co. 1, del citato D.L. n. 6/2020, il quale demanda ai D.P.C.M. la concreta introduzione delle misure di contenimento dell’epidemia, sia tipiche (art. 1) sia, come visto ut supra, atipiche (art. 2). Di talché, i menzionati D.P.C.M., avvicendatisi in rapida successione come già rilevato7, hanno costantemente richiamato il D.L. n. 6/2020. Ciò nonostante, da più parti, in dottrina8, si è osservata la dubbia tenuta costituzionale di tale veste giuridica di rango secondario, per una pluralità di ordini di ragioni. Innanzitutto, nell’impianto del D.L. n. 6/2020, la decretazione del Presidente del Consiglio dei Ministri era pensata per l’adozione di misure su base locale (le cc.dd. “zone rosse”) e non già estese sull’intero territorio nazionale.

Si tratta di misure concernenti tanto le “zone rosse” strettamente intese (individuate nei comuni di cui all’allegato 1 dello stesso D.P.C.M. 1 marzo 2020, cioè gli originari comuni lombardi cui si aggiunge il comune veneto di Vò); quanto di misure relative ad ulteriori aree del territorio nazionale, denominate “zona arancione” (province di Bergamo, Lodi, Piacenza e Cremona di cui all’allegato 3 del D.P.C.M. 1 marzo 2020) e “zona gialla” (regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, nonché province di Pesato e Urbino e Savona di cui all’allegato n. 2 D.P.C.M. 1 marzo 2020); venivano infine prescritte, altresì, misure concernenti il restante territorio nazionale, considerato “zona verde”, evocando così cromaticamente l’intensità decrescente del pericolo di contagio. In termini, A. Natalini, op. ult. cit., p. 71. 5 Il D.P.C.M. dell’8 marzo 2020 ha infatti esteso l’ambito territoriale delle misure originariamente previste nel D.P.C.M. dell’1 marzo 2020 estendendo la “zona arancione” all’intera regione Lombardia ed a quattordici province del nord Italia (Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell’Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso e Venezia) 6 “Allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19 le misure di cui all’art. 1 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2020 sono estese all’intero territorio nazionale”; così l’art. 1, co. 1, del D.P.C.M. del 9 marzo 2020. 7 Per l’elenco completo della normativa, si rinvia al sito web istituzionale http://www.salute.gov.it/portale/nuovocoronavirus/archivioNormativaNuovoCoronavirus.jsp. 8 G.L. Gatta, Coronavirus, limitazione di diritti e libertà fondamentali, e diritto penale: un deficit di legalità da rimediare, in Sist. Pen., 16.3.2020. 4

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In secondo luogo, l’art. 2 del D.L. n. 6/2020, nell’ammettere l’adozione di misure di contenimento ulteriori ed atipiche, pone in essere una delega “in bianco” in potenziale conflitto con la riserva di legge che la Costituzione prevede quale condizione e garanzia in ipotesi di limitazione di esercizio di libertà fondamentali, in particolare quelle di cui agli artt. 16 e 41 Cost. (rispettivamente, libertà di circolazione e libertà di iniziativa economica). Conflitto individuato, segnatamente, nel D.P.C.M. dell’11 marzo 2020, che ha sospeso svariate attività commerciali e professionali, senza limitarsi ad attuare, con normazione di dettaglio, quanto astrattamente previsto dal D.L. n. 6/2020 e così finendo, di fatto, per eludere, la citata riserva di legge. Tuttavia, trattandosi di misure per definizione stessa eccezionali, che trovano la propria ragion d’essere nello stato di emergenza sanitaria, conclamato non solo a livello domestico dal Governo italiano ma altresì a livello globale dall’Organizzazione Mondiale della Sanità con la recente dichiarazione di pandemia9, gli straordinari poteri di intervento del Governo, esercitati con l’agile fonte normativa del D.P.C.M. che ben si attaglia alle stringenti tempistiche dell’urgenza, devono ritenersi costituzionalmente legittimi, specie ove se ne consideri l’espressa parametrazione temporale al tempo strettamente necessario a fronteggiare la crisi10.

4. L’inosservanza delle misure di contenimento nella vigenza del D.L. n. 6/2020. Venendo ai profili squisitamente penalistici del diritto dell’emergenza di cui si sono finora delineati i fondamentali tratti costitutivi, l’art. 3 del D.L. n. 6/2020, rubricato “Attuazione delle misure di contenimento”, al comma 4, prevede una clausola sanzionatoria a tutela dell’osservanza delle misure di contenimento sopra cennate. In particolare, e “salvo che il fatto non costituisca più grave reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è punito ai sensi dell’articolo 650 del codice penale”. Viene così incriminata, a titolo contravvenzionale, qualunque inosservanza delle misure contenitive, tipiche o atipiche, nei termini precisati dai D.P.C.M. attuativi. Data la varietà di limitazioni e prescrizioni riconducibili al D.L. n. 6/2020, risultano suscettibili di rilievo penale – senza pretesa di esaustività – le seguenti condotte: • l’elusione ai divieti di allontanamento dalla “zona rossa” (ora l’intero territorio nazionale), in assenza di comprovati motivi di lavoro, di salute o di situazioni di necessità (da autocertificare in caso di controllo, con conseguente possibilità di incorrere nei reati di falso di cui agli artt. 483 e 495 c.p., circa i quali si rinvia al prosieguo); • l’elusione della misura sanitaria della “quarantena” con sorveglianza attiva applicata dall’autorità sanitaria a carico di quanti abbiano avuto contatti ravvicinati con persone affette dal virus (violazione che può dar luogo anche al più grave reato di epidemia, in merito al quale si rinvia al prosieguo);

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World Health Organization, WHO Director-General’s opening remarks at the media briefing on COVID-19, 11 marzo 2020, in https://www.who.int/dg/speeches/detail/who-director-general-s-opening-remarks-at-the-mediabriefing-on-covid-19—11-march-2020. 10 A. Natalini, op. ult. cit., p. 72.

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• la violazione dell’obbligo di “autodenuncia” alla autorità sanitaria territorialmente competente, previsto ex lege (e reiterato in talune ordinanze regionali) a carico di chi abbia fatto ingresso da zone a rischio epidemiologico; • la violazione dell’obbligo di chiusura delle attività commerciali. • Si tratta, come acutamente rilevato in dottrina11, di un reato a “geometrie variabili”, potendo la condotta inosservante suscettibile di rimprovero penale declinarsi diversamente, in ragione della misura contenitiva violata, perfezionando una fattispecie di reato commissiva (ed istantanea) ovvero omissiva (eventualmente in permanenza). Non si manca di rilevare come tassatività e determinatezza dell’incriminazione rimangono affidate alle previsioni di rango secondario, aventi portata integratrice, di cui ai D.P.C.M., destinate a fare corpo con il precetto penale. La fattispecie incriminatrice, per l’effetto, ha una tipicità particolarmente estesa, atteso che il rinvio all’art. 650 c.p. deve intendersi effettuato quoad poenam e non anche quoad factum. In tal senso, giova rilevare che il precetto in commento si pone in rapporto di specialità rispetto alla contravvenzione codicistica, che punisce generalmente ed a titolo di “inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità” quanti non osservino “un provvedimento legalmente dato dall’Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o d’ordine pubblico o d’igiene”; diversamente, l’art. 3, co. 4, D.L. n. 6/2020 punisce esclusivamente l’inosservanza delle “misure di contenimento”, così ritagliando una più circoscritta area di rilevanza penale. L’inosservanza, integrante la condotta tipica, può essere totale o parziale, essendo declinata, con la terminologia del D.L., in termini, invero generici, di “mancato rispetto”. Oggetto della condotta, poi, sono le vieppiù citate misure contenitive, tipiche ed atipiche, all’evidenza quali specifiche tipologie di provvedimenti “legalmente dati dall’Autorità”, in ipotesi quella governativa. Com’è noto, l’art. 650 c.p. costituisce, secondo l’opzione ermeneutica maggioritaria, il paradigma delle norme penali in bianco12, vale a dire quel modello di integrazione della norma penale incriminatrice che affida alla fonte secondaria la determinazione della condotta concretamente punibile, nel senso che è il provvedimento amministrativo (cui la norma penale in bianco rinvia) a individuare la regola di comportamento da osservare in concreto13. Il reato di cui all’art. 3, co. 4, D.L. n. 6/2020, mutuando struttura e natura dell’art. 650 c.p., costituisce a propria volta una norma penale in bianco, essendo il suo precetto destinato

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Ivi, p. 72. E invero, mentre parte della dottrina considera l’art. 650 c.p. come il prototipo di “norma penale in bianco” (cfr. ad es. G. Fiandaca-E. Musco, Diritto penale. Parte generale, Torino, 2018, p. 58; F. Mantovani, Diritto penale. Parte generale, Padova, 2009, p. 48; Pagliaro, Principi di diritto penale. Parte generale, Milano, 2003, p. 57), altra parte della dottrina nega, all’opposto, che l’art. 650 c.p. configuri una “norma penale in bianco” e sottolinea come, in realtà, si tratti di una norma incriminatrice contenente un elemento normativo, vale a dire il concetto di “provvedimento legalmente dato dall’Autorità per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica o d’ordine pubblico o d’igiene” (in tale ultimo senso cfr., ad es., M. Romano, Repressione della condotta antisindacale, Milano 1974, p. 157 s.; G. Marinucci-E. Dolcini, Corso di diritto penale, Milano, 2001 p. 109 s. e p. 139). 13 Cass. Pen., Sez. 1, n. 8529 del 24.6.1996, secondo cui “L’art. 650 cod. pen. contiene una norma penale in bianco che, con la sua forza sanzionatoria, è diretta a soddisfare l’interesse della pubblica Amministrazione ad ottenere dal privato cittadino una certa prestazione o comunque un certo comportamento”. 12

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ad essere etero-integrato dai D.P.C.M. pro tempore adottati per fronteggiare l’emergenza sanitaria14. Lo stesso reato mutua dall’art. 650 c.p. la cornice edittale, da un lato, e la natura contravvenzionale, dall’altro lato. Si tratta, dunque, di un reato bagatellare, punito con la pena dell’arresto fino a tre mesi o, in alternativa, con l’ammenda sino ad euro 206,00, che ammette la definizione della vicenda processuale mediante oblazione (art. 162 bis c.p.)15, di cui è senz’altro consentito dubitare della concreta efficacia deterrente.

5. Il reato di epidemia. L’articolo 3, co. 4, D.L. n. 6/2020, punisce il fatto come appena tratteggiato con la pena di cui all’art. 650 c.p., salvo che esso non costituisca più grave reato. Si tratta di una tipica clausola di riserva, che connota in termini di sussidiarietà la contravvenzione, destinata ad operare solo ove non sia possibile sussumere il fatto in un più grave titolo di reato. In tale prospettiva, vengono senz’altro in considerazione l’art. 438 c.p., che cristallizza la fattispecie delittuosa dolosa di epidemia, e l’art. 452 c.p., che ne estende la portata sotto il profilo dell’elemento soggettivo tipizzando la fattispecie incriminatrice di epidemia colposa. Il delitto di epidemia apre il capo II del titolo VI del codice, dei delitti contro l’incolumità pubblica, in ipotesi declinata quale salute pubblica. Nel caso di specie, la tutela della salute pubblica esprime l’esigenza che il contagio di malattie infettive, che abbia già interessato un certo numero di individui, non ne colpisca altri in modo da incrinare la sicurezza delle condizioni di salute della collettività. E ciò in considerazione della rilevanza costituzionale del diritto alla salute (art. 32 Cost.). Trattasi di reato di evento a forma vincolata, in quanto la condotta delittuosa consiste nel cagionare un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni16, ove per epidemia deve in-

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È appena il caso di rammentare che, con la sentenza n. 168 del 1971, richiamata dalla successiva ordinanza di manifesta infondatezza n. 11 del 1977, la Corte costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 650 c.p., sollevata in relazione all’art. 25, co. 2, Cost., rilevando che “il principio di legalità non è violato quando sia una legge dello Stato - non importa se proprio la medesima legge o un’altra legge - a indicare con sufficiente specificazione i presupposti, i caratteri, il contenuto e i limiti dei provvedimenti dell’autorità non legislativa alla trasgressione dei quali deve seguire la pena” e quando, inoltre, la sufficiente specificità della norma presupposta sia sindacabile, insieme alla corrispondenza del provvedimento alle prescrizioni della norma stessa, da parte del giudice penale. 15 Il contravventore potrà, cioè, estinguere il reato chiedendo di essere ammesso a pagare, a titolo di oblazione, prima dell’apertura del dibattimento, ovvero prima del decreto penale di condanna, una somma corrispondente alla metà del massimo dell’ammenda, nel caso di specie euro 103,00, oltre le spese del procedimento. 16 Si è precisato, nella giurisprudenza di merito, che la fattispecie incrimina chi cagioni l’epidemia mediante diffusione di germi patogeni di cui abbia il possesso, anche “in vivo” (per esempio, animali da laboratorio), escludendo per converso che una persona affetta da malattia contagiosa abbia il possesso dei germi che la affliggono (cfr. Trib. Bolzano, 13.3.1979). Interpretazione che, ove condivisa, escludere giocoforza la sussumibilità dei fatti che ci occupano nel reato in commento.

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tendersi una particolare malattia infettiva che colpisce gruppi rilevanti della popolazione, per poi attenuarsi più o meno rapidamente dopo aver compiuto il suo ciclo. Al riguardo, la giurisprudenza ha indicato come elementi dell’epidemia (intesa, come appena rilevato, quale malattia contagiosa che colpisce ad un tempo stesso gli abitanti di una città o di una regione): il carattere contagioso del morbo; la rapidità della diffusione e la durata limitata del fenomeno; il numero elevato delle persone colpite, tale da destare un notevole allarme sociale e correlativo pericolo per un numero indeterminato e notevole di persone; un’estensione territoriale di una certa ampiezza, sì che risulti interessato un territorio abbastanza vasto da meritare il nome di regione e, di conseguenza, una comunità abbastanza numerosa da meritare il nome di popolazione17. L’art. 452 c.p., come anticipato, estende l’area del penalmente rilevante alla manifestazione colposa del fatto previsto e punito dall’art. 438 c.p.. In considerazione della primaria rilevanza del bene giuridico tutelato, quindi, il legislatore ha esteso il rimprovero penale anche all’ipotesi in cui l’epidemia venga commessa con il diverso coefficiente psicologico della colpa. Elemento soggettivo, quello colposo, la cui importanza è del resto enormemente cresciuta in epoca moderna, in ragione dei rischi legati all’industrializzazione, alla globalizzazione e ad ulteriori aspetti della c.d. “società del rischio”, ove le situazioni di pericolo e le attività “tipicamente pericolose” si sono moltiplicate esponenzialmente e, specularmente, si è accresciuto il novero degli eventi lesivi causati involontariamente18. È, peraltro, agile constatare la piena sussumibilità dell’emergenza sanitaria in atto nel paradigma della tratteggiata “società del rischio”, quale manifestazione estrema di pericoli inediti alla cui diffusione hanno contribuito le specifiche declinazioni della modernità, ove distanze chilometriche in passato insormontabili oggi sono facilmente azzerabili attraverso i viaggi aerei intercontinentali, che hanno consentito al Covid-19 di raggiungere, ad oggi, ogni regione del globo terrestre. Si apprezza, in tale prospettiva teleologica, la potenzialità propria del reato colposo, in virtù della sua attitudine ad apprestare tutela penale a fattispecie concrete rivelatrici di un grave vulnus ai diritti fondamentali dell’individuo, in ipotesi quello alla salute. Volendo adesso rapportare tali sintetiche coordinate ermeneutiche al contesto attuale, la casistica di specie – peraltro verificatasi in concreto – è quella del soggetto, risultato positivo al tampone e posto in “quarantena fiduciaria”, che violi il divieto di allontanamento dalla propria abitazione ed entrando in contatto con altri soggetti li contagi; ovvero del soggetto “asintomatico” posto in “isolamento domiciliare” che, alla comparsa della prima sintomatologia, anziché allertare gli operatori sanitari rimanendo nella propria dimora (come prescritto art. 2, co. 5, D.P.C.M. dell’1 marzo 2020), si rechi al pronto soccorso e ne contagi personale ed utenza. In casi siffatti, se la diffusione è idonea a cagionare un’epidemia – ove la spiccata diffusività sia in grado di contagiare, nel medesimo tempo e nello stesso luogo, una moltitudine di destinatari, recando con sé, in ragione della capacità di ulteriore espansione e di agevole propagazione, il pericolo di infettare una porzione ancor più vasta di popolazione – sussistono i presupposti per contestare al trasgressore i reati di cui agli artt. 438 e 452 c.p.19.

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Cfr. Trib. Bolzano, 13.3.1979 e Trib. Savona, 6.2.2008. Cfr. D. Pulitanò, Diritto penale, Torino, 2014, p. 330. Così Cass. Pen., Sez. 1, n. 48014 del 30.10.2019, in Ced, rv. 277791.

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Osservatorio normativo

6. I reati conseguenti alla falsa attestazione. Al fine di consentire i controlli del rispetto delle misure di contenimento del contagio da Covid-19 sopra illustrate, è stato generalizzato l’utilizzo dello strumento dell’autocertificazione (recte, dichiarazione sostitutiva di certificazioni di cui all’art. 46 del D.P.R. n. 445/2000), attraverso la quale il singolo può giustificare, alle forze dell’ordine preposte al controllo del rispetto delle cennate prescrizioni contenitive, le ragioni del proprio spostamento20, entro il ristretto ventaglio di opzioni normativamente ammesse: a) comprovate esigenze lavorative; b) assoluta urgenza (“per trasferimenti in comune diverso”, come previsto dall’art. 1, co. 1, lett. b), del D.P.C.M. del 22 marzo 2020); c) situazione di necessità (per spostamenti all’interno dello stesso comune o che rivestono carattere di quotidianità o che, comunque, siano effettuati abitualmente in ragione della brevità delle distanze da percorrere); d) motivi di salute. Lo strumento autocertificativo, dapprima in vigore per le circoscritte aree territoriali destinatarie delle prime misure di contenimento, con l’estensione di queste ultime all’intero Paese, è divenuto di fatto applicabile agli spostamenti di tutte le persone fisiche sul territorio nazionale: una platea di sessanta milioni di potenziali “autocertificatori”21. Per l’effetto, la violazione delle disposizioni limitative del contagio, oltre a integrare la contravvenzione (bagatellare) di cui all’art. 3, co. 4, D.L. n. 6/2020, laddove “scortata” da autocertificazione falsa, integra altresì il reato (ben più grave e di natura delittuosa) di cui all’art. 483 c.p. (in riferimento all’art. 76 D.P.R. n. 445/2000, che punisce a norma del codice penale quanti rilascino mendaci dichiarazioni sostitutive di certificazioni o di atto notorio)22. Non ricorrerebbe, invece, il più grave delitto di cui all’art. 495 c.p., che punisce (con pena edittale più grave dell’art. 483 c.p.) chiunque dichiari o attesti falsamente al pubblico ufficiale “l’identità, lo stato o altre qualità della propria (...) persona”; delitto, quello di cui all’art. 495 c.p., pur espressamente richiamato dai modelli di autocertificazione diffusi dal Ministero dell’Interno. E invero, come esattamente rilevato nei primi commenti alla materia23, l’articolo 495 c.p. ricorre solo nel caso in cui il singolo renda al pubblico agente dichiarazioni che incidono sull’accertamento dei connotati della propria persona, integrativi o sostitutivi dell’identità o dello status del dichiarante, ovvero sul controllo di situazioni di fatto cui l’ordinamento collega effetti giuridici, quali presupposti o condizioni di legittimazione nei rapporti intersoggettivi, destinati ad essere riprodotti in un atto fidefacente idoneo a documentarli24.

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Si allude alla direttiva, diretta ai prefetti, che il Ministro dell’Interno, in attuazione del D.P.C.M. dell’8 marzo 2020, ha adottato in data 9 marzo 2020, concernente l’attuazione dei controlli nelle “aree a contenimento rafforzato”, poi estesi all’intero Paese. 21 Così A. Natalini, Nuovo modello, delitto più grave di falsa attestazione, in Guida al diritto, n. 15 del 2020, p. 14. 22 Cfr., ex multis, Cass. Pen., Sez. 5, n. 3701 del 19.9.2018, in Ced, rv. 275106. 23 Cfr.. A. Natalini, Il mendacio in autocertificazioni: cosa rischia chi dichiara il falso, in Guida al Diritto, n. 14 del 2020, p. 77. 24 Cass. Pen., Sez. 5, n. 44111 del 26.9.2019, in Ced, rv. 277846.

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Il diritto penale ai tempi dell’emergenza covid-19

La fattispecie incriminatrice di cui all’art. 495 c.p., infatti, è posta a presidio dei contrassegni identitari della persona fisica; mentre la falsità concernente le ragioni per cui si fuoriesce di casa non riguarda tali elementi (identità, stato o qualità della persona fisica)25. Va nondimeno aggiunto che, con il susseguirsi della normativa emergenziale, lo stesso modello di autocertificazione, diffuso dal Ministero dell’Interno, ha subito numerosi avvicendamenti e modificazioni, nel tentativo di stare al passo con le misure di contenimento della pandemia progressivamente adottate. La più recente formulazione della dichiarazione sostitutiva, infatti, prevede che il dichiarante auto-certifichi: 1) di non essere sottoposto alla misura della quarantena e di non essere risultato positivo al virus; 2) del luogo di inizio dello spostamento e di quello di destinazione; 3) di essere a conoscenza delle misure di contenimento del contagio vigenti e concernenti lo spostamento delle persone fisiche all’interno di tutto il territorio nazionale; 4) di essere a conoscenza di eventuali ulteriori limitazioni previste con provvedimenti dei Presidenti di Regione; 5) di essere a conoscenza delle sanzioni previste in ipotesi di inottemperanza delle predette misure di contenimento. Segue, poi, la specificazione delle ragioni che hanno determinato lo spostamento, come illustrate sopra. È evidente, dunque, come il contenuto dell’autocertificazione sia stato esteso ad elementi concernenti qualità e status della persona fisica, sub specie di stato di salute: il non versare nelle condizioni di divieto assoluto di mobilità, derivante dall’applicazione della misura della quarantena ovvero dalla testata positività al virus. Per l’effetto, il relativo mendacio sarà sussumibile nell’art. 495 c.p., con tutte le conseguenze del caso (tra le quali, la possibilità di trarre il trasgressore in arresto in flagranza). Residuano dubbi, da più parte segnalati26, circa l’intrapresa strada dei delitti di falso (artt. 483 e 495 c.p.), la quale sarebbe sbarrata dal principio del nemo tenetur se detegere, in virtù del quale nessuno può essere obbligato ad affermare la propria responsabilità. Sicché, colui il quale stia violando le misure di contenimento dell’epidemia (commettendo la contravvenzione di cui all’art. 3, co. 4, D.L. n. 6/2020), non porrebbe in essere un ulteriore reato nel dichiarare il falso, atteso che l’obbligo di dire il vero non si applica a chi abbia commesso un fatto costituente reato.

7. Il ripensato assetto della normativa emergenziale: il D.L. n. 19/2020. Nella congerie della normativa emergenziale così delineata, il Governo italiano ha posto in essere un tentativo di profondo riassetto con il D.L. n. 19 del 25 marzo 2020, recante “Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19”.

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Chi, ad esempio, autocertifichi di essere uscito di casa per portare la spesa ai genitori anziani, avendoli in realtà già persi entrambi, mente senz’altro, ma non certo sulla propria identità, sul proprio stato o sulle proprie qualità. 26 A. Natalini, op. ult. cit., p. 17; G.L. Gatta, op. ult. cit..

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Osservatorio normativo

Si tratta di un intervento riordinatore che ha ricomposto e coordinato il quadro normativo complesso, rapidamente stratificatosi (e conseguentemente complicatosi) già all’indomani del D.L. n. 6/2020, anche per il concorrente intervento dei provvedimenti regionali27. L’art. 5 del D.L. n. 19/2020, in particolare, abroga lo stesso D.L. n. 6/2020 (salvo talune disposizioni di rilievo marginale), così di fatto rimpiazzandosi a quello che sino ad allora aveva costituito l’architrave della disciplina emergenziale. I principi cardine scanditi dal nuovo testo legislativo sono i seguenti: 1) la potenziale estensione delle misure di contenimento del virus all’intero territorio nazionale, così recuperando il difetto “genetico” dei D.P.C.M. adottati sulla scorta del D.L. n. 6/2020, nato come provvedimento volto a disciplinare misure di estensione territorialmente circoscritte alle originarie “zone rosse”; 2) il carattere tassativo delle misure limitative, ora tutte tipiche ed elencate all’art. 2 del testo normativo, al netto di qualsiasi “clausola in bianco” dai confini mobili e dalla potenziale conflittualità con il principio di riserva di legge (con riferimento alle misure contenitive destinate a comprimere diritti fondamentali che ne sono assistiti, quali la libertà di circolazione ex art. 16 Cost. e la libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost.); 3) l’adeguatezza specifica e la proporzionalità al rischio effettivo, su base locale o nazionale, quali criteri legittimanti l’adozione delle misure limitative per periodi predeterminati, ciascuno di durata non superiore a trenta giorni, reiterabili e modificabili anche più volte, fino al 31 luglio 2020 (termine dello stato di emergenza dichiarato il 31 gennaio 2020) e con possibilità di modularne l’applicazione in aumento ovvero in diminuzione secondo l’andamento epidemiologico del virus; 4) il carattere preminente della competenza statale nell’adozione delle misure limitative, adottate di regola con D.P.C.M., sentiti i (o su proposta dei) Presidenti delle Regioni interessate, ovvero del Presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome (nel caso di misure che riguardino l’intero territorio nazionale)28. Venendo ai profili squisitamente penalistici della novella, è stata abrogata la contravvenzione di cui all’art. 3, co. 4, D.L. n. 6/2020, il che ha posto una pietra tombale sulle critiche (talora fondate) circa la sostanziale inutilità di una fattispecie incriminatrice, contravvenzionale e bagatellare di tal fatta, in relazione al contrasto alla grave emergenza sanitaria. A fronte dei numeri elevati di contravventori deferiti all’autorità giudiziaria, resi gradualmente pubblici dal Ministero degli Interno, il Governo ha così virato verso la strada dell’illecito amministrativo. Facendo un passo indietro rispetto all’opzione penale, quindi, a presidio

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Sulle problematiche derivante dalla normativa regionale, cfr. C. Ruga Riva, La violazione delle ordinanze regionali e sindacali in materia di coronavirus: profili penali, in Sist. pen., 24.3.2020. 28 È confermata la previsione che attribuisce al Ministro della Salute il potere di adottare le misure limitative con ordinanza, ai sensi dell’art. 32, L. n. 833/1978 (istitutiva del Servizio Sanitario Mazionale) solo “nelle more” dell’adozione dei D.P.C.M. e “nei casi di estrema necessità e urgenza”. Viene parimenti affermata la competenza eccezionale delle regioni attribuita per introdurre in via d’urgenza misure limitative, tra quelle tipizzate dall’art. 1 del D.L., e solo nelle more dell’adozione dei D.P.C.M., con efficacia limitata fino a tale momento. Inoltre, viene introdotto il divieto per i sindaci di adottare, a pena di inefficacia, ordinanze contingibili e urgenti dirette a fronteggiare l’emergenza in contrasto con le misure statali o che siano relative ad attività non di loro competenza ovvero relative ad attività produttive o di rilevanza strategica per l’economia nazionale.

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Il diritto penale ai tempi dell’emergenza covid-19

dell’osservanza delle misure contenitive dell’emergenza è stato posto un illecito amministrativo punitivo di nuova foggia. In particolare, l’art. 4, co. 1, D.L. n. 19/2020 punisce l’inosservanza delle misure indicate dall’art. 1, co. 2, del medesimo testo di legge, adottate dal Presidente del Consiglio dei Ministri (art. 2, co. 1) ovvero dai Presidenti delle Regioni (art. 3). La sanzione amministrativa pecuniaria va da euro 400,00 ad euro 3.000,00, ed è raddoppiata in caso di reiterazione della “medesima disposizione”. L’espressione si presta a una duplice interpretazione: una estensiva, che ravvisa la reiterazione in ipotesi di violazione dell’art. 4, co. 1, quale che sia la misura di contenimento inosservata; l’altra restrittiva, che riferisce il concetto di “disposizione” alla misura di contenimento e, pertanto, interpreta la reiterazione come una sorta di recidiva specifica29. Per la violazione di alcune misure, relative ad attività commerciali, professionali e d’impresa, è prevista inoltre la sanzione amministrativa accessoria della chiusura dell’esercizio o dell’attività da giorni 5 a 30 e, in ipotesi di reiterazione, la sanzione accessoria della chiusura accessoria è applicata nella misura massima pari a giorni 30. Tale sanzione, peraltro, può essere applicata in via cautelare e provvisoria, nell’immediatezza del fatto, per la durata massima di giorni 5, ove sia necessario ad impedire la prosecuzione o reiterazione della violazione. È prevista, inoltre, una sorta di circostanza aggravante, qualora il mancato rispetto delle misure di contenimento avvenga mediante l’utilizzo di un veicolo: nel caso prospettato, le sanzioni sono aumentate fino a un terzo. La competenza ad irrogare le sanzioni per le violazioni delle misure disposte con D.P.C.M. è attribuita al prefetto; quella relativa alle sanzioni per le misure disposte dai Presidenti di Regione viene, invece, attribuita alle Regioni stesse. La disciplina applicabile per l’accertamento delle violazioni, per espressa previsione del D.L. n. 19/2020, è quella generale di cui alla L. n. 689/1981 (recante “Modifiche al sistema penale”, che unitamente ad un importante intervento di depenalizzazione, ha compiutamente disciplinato la materia dell’illecito amministrativo divenendone il testo legislativo di riferimento)30. Quanto ai connotati dell’illecito amministrativo, è da ritenere applicabile la regola generale di cui all’art. 3, co. 1, della citata L. n. 689/1981: per l’effetto, l’illecito può essere integrato tanto con dolo quanto con colpa. Il rimprovero dell’agente presuppone la conoscenza o quanto meno la conoscibilità della misura inosservata, cioè del provvedimento che la dispone; di talché, l’errore incolpevole sul fatto escluderà la responsabilità (art. 3, co. 2, L. n. 689/1981). La responsabilità sarà parimenti esclusa, ai sensi dell’art. 4, L. n. 689/1981, allorché il fatto venga commesso per stato di necessità; inoltre, potranno venire in rilievo, quali cause di giustificazione del fatto, la legittima difesa, l’adempimento di un dovere e l’esercizio di una facoltà legittima. Non è applicabile, viceversa, l’art. 9, L. n. 689/1981, secondo cui, quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, si applica la disposizione speciale.

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Cfr. G.L. Gatta, Un rinnovato assetto del diritto dell’emergenza COVID-19, più aderente ai principi costituzionali, e un nuovo approccio al problema sanzionatorio: luci ed ombre nel d.l. 25 marzo 2020, n. 19, in Sist. Pen., 26.3.2020. 30 Merita menzione, infine, la previsione dell’art. 4, co. 3, D.L. n. 19/2020, che prevede il pagamento della sanzione amministrativa in misura ridotta, previo rinvio alla disciplina del codice della strada di cui agli artt.. 202, co. 1, 2 e 2.1. Per l’effetto, ferme le eventuali sanzioni amministrative accessorie, entro 60 giorni dalla contestazione o dalla notificazione è possibile pagare la sanzione pecuniaria nell’ammontare minimo di euro 400,00; se il pagamento avviene entro giorni 5, la misura della sanzione è ridotta del 30%, conseguentemente riducendosi ad euro 280,00.

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Osservatorio normativo

E ciò in quanto l’art. 4, co. 1, D.L. n. 19/2020 si apre con la clausola di riserva “salvo che il fatto costituisca reato”: per l’effetto, ove l’inosservanza delle misure di contenimento integri un reato, l’illecito amministrativo non potrà trovare applicazione. Viceversa, l’illecito amministrativo potrà ben concorrere con i reati configurabili a fronte della commissione di fatti diversi e connessi all’inosservanza delle misure di contenimento (si pensi all’epidemia ed ai reati di falso sopra richiamati). Il legislatore, peraltro, ha espressamente escluso l’applicabilità dell’art. 650 c.p. e di “ogni altra disposizione di legge attributiva di poteri per ragioni di sanità” (si pensi all’art. 260 R.D. n. 1265/1934, che sanziona con reato contravvenzionale “chiunque non osserva un ordine legalmente dato per impedire l’invasione o la diffusione di una malattia infettiva dell’uomo”, rispolverato in relazione alla pandemia in atto da talune Procure della Repubblica).

8. La nuova contravvenzione di cui all’art. 4, co. 6, D.L. n. 19/2020. La depenalizzazione compiuta dal D.L. n. 19/2020 non è stata assoluta. È stata infatti introdotta, con l’art. 4, co. 6, una nuova figura di reato, volta a prevenire e reprimere l’inosservanza di una precipua misura contenitiva del contagio, che per la sua intrinseca natura giustifica un diverso trattamento sanzionatorio di maggior rigore. Si tratta della violazione del “divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone sottoposte alla misura della quarantena perché risultate positive al virus”, di cui all’art. 2, co. 1, lett. e), D.L. n. 19/2020 (da non confondere con la c.d. “quarantena precauzionale” di cui alla lett. d, relativa a quanti abbiano avuto contatti stretti con soggetti risultati positivi al Covid-19 o che sono rientrati dall’estero). Il legislatore, per certi versi impenitente, ha individuato la sanzione attraverso un ennesimo rinvio quoad poenam, questa volta all’art. 260 R.D. n. 1265/1934, come modificato dall’art. 4, co. 7, del D.L. n. 19/2020, che ne ha inasprito il trattamento sanzionatorio (arresto da mesi 3 a mesi 18 e l’ammenda da euro 500,00 ad euro 5.000,00). Si tratta pur sempre di un reato contravvenzionale; tuttavia, la comminatoria cumulativa di pena detentiva e pena pecuniaria esclude l’estinzione del reato a mezzo oblazione. Inoltre, trattandosi di contravvenzione, potrà essere commessa con qualsivoglia coefficiente psicologico (doloso o colposo), il tentativo non risulterà punibile e la recidiva non configurabile. Come fondatamente rilevato nelle prime letture “a caldo” del novum normativo31, trattasi di un reato di pericolo per la salute pubblica, configurato nella forma del reato di pericolo astratto: il pericolo, cioè, è presunto laddove il soggetto positivo al virus si allontani dal luogo di isolamento; presunzione supportata da evidenze scientifiche conclamate. Non spetterà quindi al giudice l’accertamento, in concreto, del pericolo cagionato da quella persona allontanandosi dalla propria abitazione, tale valutazione essendo stata compiuta, a monte, dal legislatore penale. Da ultimo, con riferimento ai rapporti della fattispecie incriminatrice in commento con altre figure di reato, la contravvenzione di nuovo conio trova applicazione, salvo che il fatto integri un delitto colposo contro la salute pubblica (art. 452 c.p., che rinviando all’art. 438 c.p. include l’epidemia) o comunque un più grave reato (doloso o colposo che sia).

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G.L. Gatta, op. ult. cit..

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Segnatamente, avuto riguardo al delitto di epidemia, la novella contravvenzione si pone in un rapporto di progressione criminosa, sotto il profilo dell’entità del pericolo cagionato alla salute pubblica: l’epidemia colposa (punita con la reclusione da 1 a 5 anni) sarà configurabile, in luogo della contravvenzione in esame, ove si accerti che la condotta dell’agente abbia cagionato il contagio di una o più persone e la connessa possibilità di ulteriore propagazione del virus rispetto a un numero indeterminato di persone.

9. Questioni di diritto intertemporale. L’abrogazione della contravvenzione di cui all’art. 3, co. 4, D.L. n. 6/2020 pone, inevitabile, la questione del destino che attende i fatti commessi sotto il suo vigore. La scelta legislativa, che abdica all’opzione penale (sollevandone il già stremato sistema dai numeri esosi di procedimenti che ne sarebbero scaturiti; basti pensare che nel report settimanale concernente il “Monitoraggio dei servizi di controllo inerente le misure urgenti per il contenimento della diffusione del virus COVID-19” divulgato dal Ministero dell’Interno, nella sola settimana 28 marzo-3 aprile 2020, su un controllo di n. 1.561.527 di individui, ben n. 47.447 sono stati sanzionati ex art. 4 D.L. n. 19/2020, n. 668 denunciati ex art. 495 c.p. e n. 205 denunciati ex art. 4, co. 6, D.L. n. 19/202032), sembra quindi muovere nel senso di una depenalizzazione tout court, da sussumere sotto l’egida dell’abolitio criminis di cui all’art. 2, co. 2, c.p. Mentre è pacificamente da scartare la possibilità di applicare retroattivamente, ai fatti pregressi, la contravvenzione di cui all’art. 2, co. 1, lett. e), D.L. n. 19/2020, in relazione alla quale il principio di irretroattività della norma penale incriminatrice è saldamente costituzionalizzato (art. 25 Cost.), dubbi si pongono in merito all’applicabilità “ora per allora” della sanzione amministrativa di cui all’art. 4, co. 1, D.L. n. 19/2020 ai fatti pregressi. Da una parte, infatti, si pone il nitido disposto dell’art. 1, L. n. 689/1981, che traspone il principio di legalità in subiecta materia, statuendo che “nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione”. Dall’altra parte, però, l’art. 4, co. 8, D.L. n. 19/2020, introducendo una norma transitoria, espressamente dichiara applicabili retroattivamente le nuove sanzioni amministrative, nei seguenti termini “le disposizioni del presente articolo che sostituiscono sanzioni penali con sanzioni amministrative si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto, ma in tali casi le sanzioni amministrative sono applicate nella misura minima ridotta alla metà”33. La questione deve essere risolta alla luce delle sentenze della Corte costituzionale34, che hanno esteso la guarentigia costituzionale del principio di irretroattività, non solo ex art.

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Cfr. https://www.interno.gov.it/it/coronavirus-i-dati-dei-servizi-controllo. La disposizione afferma altresì, che “Si applicano in quanto compatibili le disposizioni degli articoli 101 e 102 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507”. Il richiamo degli artt. 101 e 102 della legge di depenalizzazione del 1999 è operato ai fini della disciplina della trasmissione degli atti all’autorità amministrativa competente, da parte dell’autorità giudiziaria. 34 Cfr. Corte cost., sent. nn. 196/2010 e 223/2018. 33

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Osservatorio normativo

25, co. 2, Cost., ma altresì ex art. 117, co. 1, Cost., in relazione all’art. 7 CEDU, alle disposizioni che introducono o inaspriscono sanzioni amministrative punitive. Sicché, in maniera aderente ai principi di diritto formulati dalla Consulta, la disciplina dell’art. 4, co. 8, D.L. n. 19/2020 non comporta una punizione dell’agente più severa di quella al quale lo stesso avrebbe soggiaciuto sulla scorta della legge vigente al tempo del fatto, in quanto prevedibile in detto momento. Trattasi, di fatti, di sanzione amministrativa pecuniaria, non superiore al massimo dell’ammenda prevista per l’art. 650 c.p.. Conseguirebbe, allora, la legittimità costituzionale della disposizione. È appena il caso di rilevare che il termine del 31 luglio 2020, di cui all’art. 1, co. 1, D.L. n. 19/2020 non è il dies ad quem di vigenza delle disposizioni, in ipotesi penali, di cui al medesimo testo normativo, bensì dello stato di emergenza dichiarato in data 31 gennaio 2020 dal Consiglio dei Ministri con delibera ad hoc. Maturato tale termine, quindi, non cesserà il vigore della disciplina emergenziale, in particolare penale, sin qui analizzata, la quale, peraltro, in quanto legge penale eccezionale, sarebbe assistita da ultrattività anche in ipotesi di espressa abrogazione ex art. 2, co. 5, c.p..

10. Considerazioni conclusive. La normativa emergenziale sin qui analizzata e, segnatamente, il D.L. n. 19/2020 di riordino complessivo della materia, ha indubbi pregi, primo tra tutti quello di munire di base legale le misure di contenimento del contagio su scala nazionale e, allo stesso tempo, di rimodulare la rilevanza penale delle relative violazioni. L’abbandono dell’iniziale opzione penale per perseguire le condotte inosservanti (almeno in parte), peraltro, non si traduce di certo in un mitigamento del disvalore e del conseguente rimprovero; le sanzioni amministrative descritte, infatti, hanno un’incidenza ed un’effettività, nel caso di specie, ben maggiore rispetto a quelle penali, in special modo sotto il profilo della tempestività della relativa applicazione e, conseguentemente, dell’effetto deterrente. Se un rilievo critico si vuole proprio muovere, esso concerne la sostanziale assenza di una disciplina legale della c.d. “quarantena”, che il D.L. n. 19/2020 prevede all’art. 2, co. 1, lett. e), senza tuttavia precisarne tempi, modi e, soprattutto, procedure applicative, a dispetto delle conseguenze limitative della libertà personale che ne scaturiscono ed a discapito del disposto dell’art. 13 Cost. (che prevede, al riguardo, tanto una riserva di legge quanto una riserva di giurisdizione). Ad ogni buon conto, posto che il fine perseguito dalla normativa emergenziale in commento è senz’altro quello, superindividuale e nodale, di tutela della salute, qualsivoglia osservazione non può che essere svolta con intento costruttivo, nella prospettiva che, in sede di conversione del D.L. n. 19/2020, il legislatore possa avere l’occasione di ovviare ad eventuali lacune. Rimane, infine, l’auspicio che le misure sanzionatorie, comunque declinate e graduate, possano essere relegate ad extrema ratio di portata sussidiaria e che il senso civico e l’autoresponsabilità di ciascun consociato possano essere sufficienti a consentire il fattivo contenimento della gravissima ed inedita emergenza epidemiologica in atto.

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internazionale

Corte Penale Internazionale 5 marzo 2020 ICC-02/17-138. Corte di Appello: via libera alle indagini sui crimini internazionali in Afghanistan. Nikita Micieli de Biase Il 5 marzo scorso, la Camera di appello della Corte penale internazionale (CPI) ha deciso con voto unanime di autorizzare il Procuratore, Fatou Bensouda, a condurre indagini sui presunti crimini di guerra e contro l’umanità commessi in Afghanistan che rientrano, in base agli art. 7 e 8 dello Statuto della CPI, sotto la giurisdizione della Corte (ICC-02/17-138). Il giudizio della Camera di appello ha riformato la decisione presa dalla Camera Preliminare il 12 aprile 2019, la quale aveva rigettato, infatti, la richiesta del Procuratore datata 20 novembre 2017 a procedere con le indagini sulla situazione in Afghanistan (ICC-02/17) con la motivazione che tale indagine non rientrava negli interessi della giustizia internazionale1. Il Procuratore, attivando la cd. procedura di appello di cui all’art. 15 dello Statuto di Roma, ha richiesto l’autorizzazione alla Corte (ICC-02/17-33) a procedere con le indagini sulla base di numerose indicazioni che le sono pervenute da vittime e testimoni dei presunti crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi in territorio afgano nel periodo che va dal 1° maggio 2003 alla fine del combattimento. La giurisdizione sui crimini contestati deriva dall’adesione allo Statuto della CPI da parte dell’Afghanistan il 10 febbraio 2003 con il deposito dello strumento di adesione, entrato in vigore il 1° maggio 2003. Gli Stati Uniti con le dichiarazioni del Segretario di Stato Mike Pompeo, Dipartimento di Stato, ha aspramente criticato la decisione della CPI definita organo politico mascherato come organo giurisdizionale. Pompeo ha sottolineato, inoltre, che gli Stati Uniti non sono parte della CPI e che ogni loro azione sarà diretta a proteggere i cittadini statunitensi appartenenti all’esercito e alla CIA dalla CPI definita come strumento di vendette politiche2. La richiesta del 2017 del Procuratore sottolineava l’efferatezza dei crimini commessi in territorio afgano con particolare riguardo sia ai crimini di guerra che ai crimini contro l’umanità, fra i quali sono compresi l’omicidio, le privazioni arbitrarie della libertà personale, le persecuzioni basate su ragioni politiche e di genere. La gravità di tutte le fattispecie criminose individuate deriva dall’allegazione di fatti che si inseriscono nel contesto generale di attacchi contro i civili, soggetti non attivi nei conflitti armati e, di conseguenza, non possono essere destinatari di attacchi armati, come prescritto dal diritto internazionale umanitario, sono soggetti contro cui non si possono in alcun modo sferrare attacchi armati. Questione che ha suscitato aspre critiche, è rappresentato dall’individuazione degli soggetti sottoposti alle indagini oggetto di richiesta di autorizzazione. L’organo inquirente afferma non

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La decisione è consultabile al seguente link: https://www.icc-cpi.int/CourtRecords/CR2020_00828.PDF Le dichiarazioni sono contenute nel seguente link: https://www.state.gov/icc-decision-on-afghanistan/


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solo il coinvolgimento dei Talebani riconoscendo lo status di gruppo terroristico che controllava in concreto buona parte del territorio afghano3 durante il periodo del conflitto, ma anche la responsabilità delle truppe afghane insieme ad altri soggetti come l’esercito e l’intelligence degli Stati Uniti, stato che non è parte dello Statuto della CPI. Più in dettaglio, la Camera di appello, capovolgendo la decisione della Camera Preliminare, sostiene che l’indagine è nell’interesse della giustizia penale internazionale che la Camera Preliminare ha errato nella valutazione dell’interesse della giustizia come requisito positivo. Smentendo cinque precedenti 4 della Camera Preliminare che hanno esercitato un giudizio collegando gli articoli 155 par. 1 e 4 e 53 par. 16 dello Statuto, la Camera di Appello ritiene errato un’interpretazione dell’art. 15 par. 4 vincolata alle condizioni richieste dall’art. 53 comma 1 in quanto la prima norma disciplina i poteri del Procuratore prevedendo il potere d’ufficio di avviare l’indagine, mentre l’art. 53 par. 1 concerne il potere di indagine attivato su richiesta di uno Stato parte o del Consiglio di Sicurezza. La Camera di Appello evidenzia, inoltre, che le citate norme rappresentano il bilanciamento del potere discrezionale del procuratore ad avviare un’indagine e l’estensione di un sindacato giurisdizionale sui limiti di tale potere. L’art. 15 non richiede l’interesse della giustizia o un rinvio all’art. 53, ma è sufficiente che il caso rientri in base ad un giudizio di verosimiglianza nella giurisdizione della CPI non richiedendo requisiti ulteriori. Il Procuratore è tenuto ad indicare se i crimini commessi o che si stanno realizzando rientrano nella giurisdizione della CPI ed allegare le circostanze di fatto alla base dell’accusa. In questa fase preliminare di indagine non è richiesta un’analisi dettagliata dei fatti in quanto il Procuratore non ha l’opportunità di raccogliere prove ed accertare i fatti non essendo avviata un’attività investigativa ed essendo limitati i suoi poteri. Non è tenuto a notificare la richiesta di autorizzazione allo Stato dei presunti responsabili che non può partecipare in questa fase. La Camera Preliminare non effettua, quindi, un giudizio di revisione sulla richiesta del procuratore ma verifica la sussistenza dei presupposti per l’autorizzazione di cui all’art- 15 par. 4 dello Statuto. Ad avviso dell’organo di appello, il procuratore deve valutare se ci sono ragioni di valutare che un’investigazione potrebbe non essere funzionale ad interessi di giustizia. Non è necessario affermare che un’attività investigative sarebbe negli interessi di giustizia, come statuito dalla Camera Preliminare attraverso una motivazione speculativa e ridondante senza considerare la gravità dei crimini e gli interessi delle vittime come, invece, puntualmente indicati dal Procuratore.

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In particolare si vuole accertare le azioni dell’Afghan National Police, della Afghan Local Police, della Afghan National Border Police e del National Directorate for Security. 4 Si menziona il caso “Situation in the Republic of Kenya” ICC-01/09-19. 5 Ai sensi del par. 1 il Procuratore può iniziare le indagini di propria iniziativa sulla base di informazioni relative ai crimini di competenza della Corte. Il successivo par. 4 dispone che se la Camera Preliminare, dopo aver esaminato la richiesta e gli elementi giustificativi che l’accompagnano, ritiene che vi sia un ragionevole fondamento per avviare indagini e che il caso appaia ricadere nella competenza della Corte, essa dà la sua autorizzazione senza pregiudizio per le successive decisioni della Corte in materia di competenza e di procedibilità. 6 La norma prevede che il Procuratore, dopo aver valutato le informazioni sottoposte alla sua conoscenza, apre un’inchiesta a meno che non determini la mancanza di un ragionevole fondamento per un’azione giudiziaria in forza del presente Statuto. Per decidere di aprire un’inchiesta, il Procuratore esamina: a) se le informazioni in suo possesso forniscono un ragionevole fondamento per supporre che un reato di competenza della Corte è stato o sta per essere commesso; b) se il caso è o sarebbe procedibile secondo l’articolo 17; c) se, in considerazione della gravità del reato e degli interessi delle vittime, vi sono motivi gravi di ritenere che un’inchiesta non favorirebbe gli interessi della giustizia. Se determina che non v’è un ragionevole fondamento per un’azione giudiziaria e se la sua determinazione è unicamente fondata sul capoverso c), il Procuratore ne informa la Camera preliminare.

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europeo

COVID-19: tra emergenza internazionale e garanzie di operativita’ parlamentare Alessandro Parrotta

Sommario: 1. Contesto – 2. Il sistema italiano – 3. Lo stato europeo: Francia e Spagna – 4. Conclusioni

1. Contesto. L’11 marzo scorso l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha ufficialmente classificato l’infezione da Covid-19 come pandemia. Il passaggio formale dalla definizione di epidemia a quella di pandemia non ha soltanto un valore letterale ma porta con sé rilevanti ripercussioni sul piano pratico: il monito lanciato dal Direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, durante il briefing di Ginevra è, infatti, un avvertimento a tutti i Paesi del mondo in ordine al fatto che la crisi epidemiologica, che attualmente sta dispiegando i suoi tragici effetti in Italia, si estenderà brevemente in tutti i continenti. Su questo presupposto risulta allora interessante osservare – comparandole - quali misure, a livello europeo, i vari Stati hanno adottato per contenere il contagio e la diffusione del virus. Il primo passo di questo percorso non può che essere mosso dal nostro Paese, finora il più toccato dalla crisi sanitaria e che detiene il tragico primato del numero dei morti. Tuttavia, paradossalmente, l’esecutivo italiano è stato il primo a muoversi a livello europeo, bloccando, fin da gennaio, i voli diretti da e per la Cina. In seguito, dalla notizia dei primi contagi nel nord del Paese, la strategia governativa è stata quella di adottare misure gradualmente più restrittive mediante lo strumento del Decreto Legge e dell’inedito Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. In particolare, con sei Decreti Legge, il Consiglio dei Ministri, seguendo le direttive dell’Istituto Superiore di Sanità, ha gradualmente limitato gli spostamenti dei cittadini fino ad arrivare al definitivo lockdown con la previsione della chiusura anche di tutte le aziende non collegate a servizi essenziali o beni di prima necessità con la conseguente impossibilità per coloro che non operano in tali settori di muoversi all’interno del proprio comune di residenza se non per comprovate ragioni d’urgenza, di necessità o di salute.

2. Il sistema italiano. La strada tracciata dall’Italia, seppur inizialmente con qualche ritardo dovuto a scetticismi sulla reale pericolosità e letalità del virus, è stata seguita anche dagli altri Stati europei (ed an-


Osservatorio europeo

che extra-europei come gli Stati Uniti), che hanno adattato – chi aumentandole e chi attenuandole - le misure restrittive di stampo italiano nei loro territori. Attualmente, la Svezia pare essere rimasto l’unico Paese deciso a continuare la sua regolare attività, non conformandosi, così, alle altre Nazioni occidentali. Sul punto, è interessante anche solo annotare la scelta operata da Israele, che ha previsto diverse misure per fasce d’età, più o meno a rischio rispetto ad altre. Anche in questo caso, come in tutti gli altri avvenimenti drammatici che hanno segnato un’epoca (basti pensare all’incidente di Sarajevo del 1914), sarà la storia a dire chi ha avuto ragione. Per ora possiamo limitarci ad analizzare gli strumenti adottati per far fronte alla crisi; ed allora, esaminato il modello italiano, appare interessante evidenziare altri modelli normativi usati dai maggiori Paesi europei, Spagna, Francia e Germania. La linea comune – oltre al pressoché medesimo stampo delle misure adottate – risiede nella circostanza che, dinanzi a tale emergenza, in tutti gli ordinamenti occidentali si è registrata un’inevitabile maggior attività dell’Esecutivo, in taluni casi anche grazie all’attivazione di particolari procedure di emergenza. Ad esempio, in Spagna è stato immediatamente dichiarato lo stato di allarme ai sensi della Costituzione; in Francia, invece, per agevolare l’attività del Governo è stata aperta la procedura accelerata di esame dei provvedimenti. È evidente che questi protocolli straordinari di emergenza sono stati adottati, con diverse forme nei vari Paesi, perché le misure restrittive limitano fortemente i diritti costituzionali dei cittadini, tra tutte la libertà di movimento e di riunirsi. Ed allora, è chiaro come servisse una base costituzionale per legittimare questa compressione di diritti. In Italia, come detto, si è scelto di usare lo strumento del Decreto Legge, che secondo l’art. 77, comma 2, della Costituzione può essere adottato in casi straordinari di necessità e urgenza. In questo contesto i parlamenti nazionali, espressione della volontà dei cittadini, continuano ad avere una fondamentale importanza perché garantiscono, in sede di conversione dei provvedimenti, la proporzionalità e l’attualità degli stessi in relazione all’emergenza sanitaria. In Italia proprio gli scorsi giorni le camere si sono radunate, con un numero di esponenti notevolmente ridotto che permettesse di applicare la distanza minima di un metro, per ascoltare il resoconto del Presidente Conte in ordine alla gestione della crisi.

3. Lo stato europeo: Francia e Spagna. Secondo una nota pubblicata dal Senato, in Francia, per garantire proprio il regolare svolgimento delle sedute dell’Assemblea nazionale, la stessa ha sposato l’inedita possibilità di voto per delega, precisando che la delega di voto sia sempre personale, redatta a nome di un solo deputato espressamente indicato e può essere trasferita con il previo accordo del delegante ad un altro delegato ugualmente indicato. Inoltre, la delega deve essere notificata al Presidente prima dell’apertura della votazione o della prima delle votazioni cui si applica. Per snellire il procedimento di approvazione di una legge, come detto, il parlamento francese ha dato seguito alla richiesta della “procedura accelerata” da parte del Governo, ai sensi dell’articolo 45, comma terzo, della Costituzione, e dell’articolo 102 del Regolamento dell’Assemblea nazionale. La Germania invece, per la gestione dell’attività parlamentare ha approvato un protocollo simile a quello italiano ed infatti la soluzione si è focalizzata su modalità di distanziamento delle presenze fisiche dei deputati, eventualmente anche abbassando il quorum di validità delle sedute. Diversamente, in Spagna le soluzioni organizzative adottate dal Congresso dei deputati sulle modalità di svolgimento in senso stretto dei lavori parlamentari si sono concentrate sul voto

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COVID-19: tra emergenza internazionale e garanzie di operativita’ parlamentare

a distanza, cui si sono affiancate misure restrittive inerenti alle altre attività effettuate all’interno dei palazzi istituzionali, con l’obiettivo di evitare il rischio del contagio sui luoghi di lavoro. La soluzione spagnola – decisamente la più inedita ed innovativa – ha previsto, in particolare, l’abilitazione da parte della Presidenza del Congresso della votazione telematica con carattere generale. Sulla base di questa decisione, l’attività del parlamento già programmata è stata sospesa per due settimane dal 12 marzo.

4. Conclusioni. Risulta interessante annotare come, seppur ognuna con peculiari aspetti, le misure adottate e gli strumenti normativi utilizzati siano analoghi in quasi tutti i Paesi dell’Unione Europea, che a livello di istituzione unica, paradossalmente, almeno per ora, non ha ancora adottato protocolli uniformi in tutto il territorio, creando in questo senso ostacoli alla gestione unica della pandemia, che come detto all’inizio, coinvolgerà ora tutti i Paesi.

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Osservatorio

nazionale

La prescrizione del reato Marco Petillo

Sommario: 1. Ratio legis ed assetto assiologico – 2. Plesso normativo e recenti interventi legislativi – 3. Influenze della giurisprudenza europea sull’istituto – 4. Conclusioni

1. Ratio legis ed assetto assiologico. L’istituto della prescrizione, al di là del noto dibattito relativo all’ibrida natura giuridica a cavallo tra il sostanziale ed il processuale comporta la rilevanza giuridica, al fine della punibilità del reato, del decorso temporale, in virtù del quale la pretesa punitiva dello stato viene progressivamente ad attenuarsi sino a cessare del tutto ed a cristallizzarsi nella rinuncia a punire un fatto ritenuto non più meritevole di pena. Ciò avviene sulla base di due principali ordini di considerazioni: la prima, è ravvisabile nel coadiuvare la pena alla sua funzione rieducativa, il cui enunciato trova la base nell’articolo 27 comma 3 della Costituzione e che riveste carattere primario rispetto anche alle ulteriori funzioni da questa esercitate, così come recentemente affermato dalla Consulta1. Si ritiene infatti che l’irrogazione di una pena ad una distanza temporale eccessivamente dilatata rispetto al fatto commesso sia innanzitutto avvertita come iniqua dal reo, ma soprattutto si rivela altresì inidonea alla rieducazione del punito il cui iter vitae si è nel frattempo sviluppato in maniera avulsa rispetto al contesto criminoso per il quale è processato. Inoltre, in secondo luogo, la prescrizione è altresì deputata (seppur l’esclusione, almeno in tale ottica, dei reati puniti con la pena dell’ergastolo non può che destare perplessità) a perseguire esigenze di ordine processuale, garantendo che il procedimento giudiziario pervenga ad una decisione di merito che si basi, soprattutto nella fase istruttoria (basti solo pensare alla difficoltà di ricerca circa le prove documentali o un esame testimoniale su accadimenti avvenuti illo tempore), su di una ricostruzione del fatto effettivamente rispondente alla realtà. Da un punto di vista generale, più squisitamente assiologico, è d’uopo ancora osservare come tale istituto esplichi altresì un’ulteriore finalità di garanzia, sottraendo l’imputato ad una scure giudiziaria temporalmente indeterminata che, altrimenti, si riverserebbe in uno stigma perenne potenzialmente atto a riverberare effetti di matrice persecutoria sulla vita del cittadino. Non può tuttavia tacersi che, osservando il fenomeno da altro punto prospettico, lo iato temporale tra il momento in cui la prescrizione inizia a decorrere ed il suo termine deve necessariamente essere di entità tale da assicurare una risposta penale che sia certa, effettiva e,

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C. Cost., sent. 21 giugno 2018 (dep. 11 luglio 2018), n. 149, Pres. Lattanzi, Est. Viganò: “il principio della non sacrificabilità della funzione rieducativa sull’altare di ogni altra, pur legittima, funzione della pena”


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quindi, dissuasiva, costituendo, in caso contrario, un grimaldello giuridico per pervenire alla sostanziale impunità anche a fronte di fatti di reato accertati nel merito che inficerebbe l’intero sistema giuspenalistico.

2. Plesso normativo e recenti interventi legislativi. La prescrizione è annoverata tra le cause di estinzione del reato. Dal punto di vista topografico, coerentemente con la sua natura sostanziale recentemente ribadita dalla Corte Costituzionale nella vicenda “Taricco”, l’istituto è annoverato nella parte generale del codice penale, all’interno del Libro I, agli articoli 157-161 c.p. In base all’art. 157, c. 1, c.p., un reato deve ritenersi estinto per prescrizione allorché sia decorso un tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge. La medesima disposizione, al fine di evitare che per alcuni reati la decorrenza del termine sia tale da determinare, in concreto, la sostanziale impunibilità, si premura altresì di individuare termini minimi a seconda che il fatto di reato sia annoverabile tra i delitti ovvero tra le contravvenzioni: per i primi è infatti stabilito che il tempo necessario a prescrivere non potrà essere inferiore a sei anni mentre per i secondi il legislatore individua tale termine in quattro anni. I commi 3 e 4 dell’articolo 157 c.p. si occupano poi degli elementi accessori del reato, le circostanze, che soggiacciono ad un regime peculiare a seconda della tipologia: come principio generale infatti il legislatore sancisce l’irrilevanza, ai fini del termine di prescrizione, della presenza di circostanze comuni (variazione frazionaria inferiore ad 1/3 rispetto alla pena edittale), attenuanti o aggravanti che siano. Il parametro di riferimento sarà infatti la pena prevista per il reato base, consumato o tentato, senza che l’eventuale presenza di circostanze possa esplicare alcun effetto sul tempo necessario a prescrivere. Tale regola incontra un’eccezione nel caso in cui vi sia la presenza di circostanze aggravanti ad effetto speciale, indipendenti o autonome2: la presenza di tali elementi, idonei a connotare il fatto di una particolare disvalore non può infatti che riverberare i propri effetti anche sul termine prescrizionale che sarà pertanto pari all’aumento massimo di pena previsto per l’aggravante contestata3. Inoltre, in caso di concorso con circostanze attenuanti, a norma del 157 comma 3 c.p., l’innalzamento del termine non potrà essere vanificato dagli esiti del giudizio di bilanciamento operato dal giudice a norma dell’articolo 69 c.p., che potrà quindi operare soltanto dopo l’aumento del termine correlato all’aggravante ad effetto speciale.

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Le circostanze aggravanti ad effetto speciale sono quelle che comportano una variazione di pena superiore ad 1/3 rispetto alla pena base del reato, le circostanze indipendenti prevedono una nuova cornice edittale, mentre le circostanze autonome incidono sulla tipologia di pena introducendo una diversa specie rispetto a quella ordinariamente prevista. 3 La corte di Cassazione si è recentemente (Cass. Pen., sez. VI, n. 23831 del 14.05.2019, dep. 29.05.2019) occupata dell’eventualità che concorrano più circostanze aggravanti ad effetto speciale affermando che “all’aumento di pena massimo previsto dall’art. 63, comma quarto, cod. pen., per il concorso di circostanze della stessa specie, a nulla rilevando che l’aumento previsto da tale disposizione, una volta applicato quello per la circostanza più grave, sia facoltativo e non possa eccedere il limite di un terzo”.

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Il successivo articolo 158 c.p. (in parte inciso, come si vedrà nel proseguo, prima dalla riforma Orlando e poi, nel 2019, dalla riforma Bonafede) si occupa dell’individuazione del dies a quo, ossia del momento in cui la prescrizione inizia effettivamente a decorrere, operando una distinzione tra reato consumato e delitto tentato. La prescrizione per i reati consumati inizierà pertanto a decorrere nel momento in cui siano integrati tutti gli elementi costitutivi richiesti dalla fattispecie, mentre, per i delitti scaturenti dal disposto dell’articolo 56 c.p., il dies a quo coinciderà con il compimento dell’ultimo atto idoneo ed univocamente diretto alla commissione del reato. L’articolo 158 c.p. detta inoltre una disciplina ad hoc sia per il reato continuato4, sul cui terreno ha inciso la L. 3/2019, sia per i reati permanenti, a cui la giurisprudenza prevalente e la pressoché unanimità della dottrina, accomunano le ipotesi di reato abituale. La recente riforma ha infatti previsto una ulteriore novità in tema di continuazione, riprendendo l’impostazione originariamente prevista dall’art. 158 c.p.: in un’ ottica dirompente rispetto all’istituto pacificamente5 ispirato al favor rei, il legislatore ha infatti previsto che il dies a quo del termine di prescrizione sia individuato, non più per ogni singolo reato avvinto dal vincolo, bensì, complessivamente, nel giorno di cessazione della continuazione, ossia quando si compia interamente il disegno criminoso prospettato dal reo ancorché concluso a distanza di anni dalla commissione del primo reato con un evidente “balzo in avanti” della decorrenza del termine. Merita inoltre considerazione la circostanza che nella minuziosa disciplina legislativa riservata alla prescrizione ed al momento dal quale il termine inizia a decorrere non c’è alcune specifica indicazione circa il dies ad quem, ossia il momento in cui il tempo della prescrizione deve essere trascorso per poter effettivamente dispiegare i propri effetti. A tal fine, l’elaborazione giurisprudenziale ha supplito tale lacuna individuando tale termine nel momento di lettura del dispositivo della sentenza di condanna. Prima di proseguire l’analisi normativa dell’istituto, soffermandosi sulle ipotesi individuate dal legislatore idonee ad incidere sul corso della prescrizione, determinandone la sospensione, l’interruzione, ovvero, come ultimamente previsto, il blocco definitivo, anche al fine di comprenderne l’effettiva ratio legis sottesa, giova brevemente soffermarsi sugli interventi legislativi6 che hanno, nel corso del tempo, inciso l’assetto delineato dal legislatore del 1930, in una sorta

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Il dies a quo della prescrizione sul reato continuato, la cui base normativa è costituita dall’articolo 81 c.p. che prevede una nuova cornice edittale nel caso in cui più fatti di reati siano avvinti dal vincolo della continuazione, ossia siano esecutivi del medesimo disegno criminoso posto in essere dall’agente, è stato infatti oggetto della recente attenzione del legislatore: l’autonomo calcolo della prescrizione imposta al giudice per ogni

singolo reato è stata infatti sostituita dalla facoltà di individuare il dies a quo tenendo in considerazione tutti i reati nel loro complesso e riferendosi al termine previsto per l’ultimo di essi, ancorché commesso a notevole distanza temporale. 5

La giurisprudenza prevalente ha infatti sempre avuto come criterio interpretativo dei rapporti inerenti la continuazione con altri istituti il principio del favor rei che costituisce la ratio legis sottesa alla disciplina di cui all’articolo 81 c.p. sia in tema di concorso formale che di reato continuato. 6 Le ipotesi in virtù delle quali si verifica il fenomeno sospensivo sono enucleate dall’articolo 159 c.p., disposizione che ha destato la crescente attenzione del legislatore prima con la riforma Orlando attuata con L. 103/2017 e poi con la riforma Bonafede (L.3/2019) che ha, di fatto, eliminato le modifiche apportate con il precedente intervento legislativo ed ha introdotto un’ipotesi del tutto peculiare di sospensione sine die, in virtù della quale, la prescrizione rimane definitivamente bloccata dalla pronuncia della sentenza di primo grado o del decreto penale di condanna.

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di crescente modificazione normativa, fattasi, progressivamente, sempre più dirompente, il cui terreno d’elezione è costituito proprio dall’individuazione degli eventi idonei ad influenzarne il decorso. Da un punto di vista generale, giova premettere che la sospensione determina una stasi temporale, una parentesi cronologica in virtù della quale il tempo intercorrente tra un termine inziale ed uno finale, coincidente con il venir meno della causa di sospensione, rimane cristallizzato per poi riprendere il proprio corso7. Pertanto, il tempo intercorso prima del venire ad esistenza della causa di sospensione si somma a quello decorrente dopo la sua cessazione. La prima modifica attuata dalla Legge n. 251/2005, c.d. “ex Cirielli”, ha, in linea generale, operato su due linee di intervento principale: abbandonando, da un lato, il sistema degli scaglioni delineato dal codice Rocco, in virtù del quale il tempo di prescrizione veniva individuato per classi di reati e sostituendolo con un sistema basato sulla differenziazione delle singole fattispecie, ognuna delle quali individua il proprio termine nel massimo edittale previsto. Dall’altro lato il legislatore ha introdotto, per alcuni soggetti ritenuti particolarmente meritevoli di pena, come i recidivi ovvero coloro che fossero dichiarati delinquenti abituali o professionali, alcuni meccanismi finalizzati a facilitare la punibilità delle fattispecie ascritte attraverso la dilatazione temporale del termine prescrizionale. Su altro versante, più marcatamente processuale, seppur sia individuabile un’omogeneità di fine rispetto al precedente intervento della ex Cirielli, ravvisabile in una maggiore possibilità di addivenire alla decisione nel merito, è, in tempi più recenti, intervenuta la riforma Orlando, che, con la Legge 103 del 2017 ha introdotto ex novo due ipotesi di sospensione della prescrizione8, che operano, rispettivamente, con la sentenza di condanna in primo ed in secondo grado. Nel condivisibile intento di “calibrare” l’assetto normativo così scaturente, il legislatore del 2017 si premurava di completare tale disciplina con i successivi commi 3 e 49 prevedendo un meccanismo in virtù del quale, una volta intervenuta la sospensione derivante dall’emissione della sentenza di condanna in primo grado, il periodo di tempo già maturato veniva successivamente recuperato nel caso in cui a tale pronuncia seguisse l’assoluzione dell’imputato nel successivo grado di giudizio10.

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Giova altresì sottolineare che la sospensione della prescrizione, secondo il dettato dell’articolo 161 c.p. ha inoltre effetto limitatamente agli imputati nei cui confronti si sta procedendo non estendendo i propri effetti agli altri soggetti rimasti estranei al giudizio. 8 la L. 103/2017 aveva inserito al comma 2 dell’aticolo 159 c.p. due ulteriori ipotesi di sospensione, individuate nelle seguenti ipotesi: dal termine previsto dall’articolo 544 c.p.p. per il deposito della motivazione della sentenza di condanna di primo grado, anche se emessa in sede di rinvio, sino alla pronuncia del dispositivo della sentenza che definisce il grado successivo di giudizio (per un tempo comunque non superiore a un anno e sei mesi); dal termine previsto dall’articolo 544 c.p.p. per il deposito della motivazione della sentenza di condanna di secondo grado, anche se emessa in sede di rinvio, sino alla pronuncia del dispositivo della sentenza definitiva, (per un tempo comunque non superiore a un anno e sei mesi). 9 La previgente disciplina veniva infine completata dalla possibilità, nel caso in cui al periodo di sospensione scaturente dalla sentenza di condanna si aggiungesse il verificarsi di una ulteriore ipotesi sospensiva: con il comma 4, veniva infatti prevista la possibilità di di cumulare i periodi di sospensione derivanti da cause diverse. 10 Il medesimo effetto scaturiva dalla circostanza che la sentenza di grado successivo avesse dichiarato la nullità ex 604 commi 1,4 e 5 bis c.p.p. ovvero avesse annullato la condanna relativamente all’accertamento della responsabilità.

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Tuttavia, a distanza di soli due anni, il legislatore è tornato sui propri passi con la L. 3 del 201911, modificando l’assetto testé delineato e sostituendo le precedenti ipotesi di sospensione con il blocco definitivo della decorrenza tra la sentenza di primo grado (indipendentemente dall’esito di assoluzione o condanna) e la sua esecutività ovvero tra l’emissione del decreto penale di condanna e l’intervenuta irrevocabilità12 dello stesso. Giova sottolineare che, da un punto di vista temporale, anche coerentemente alla natura sostanziale dell’istituto ed alle conseguenti garanzie costituzionalmente previste, la normativa, entrata in vigore il 31.1.2019 (la cui efficacia13 è stata però differita al 1.1.2020 principalmente per ragioni metagiuridiche), si applicherà soltanto ai fatti di reato commessi successivamente a tale data, così come prevede la regola generale di cui all’articolo 2 comma 4 c.p. in tema di successione di norme penali nel tempo. La peculiare disciplina della L. 3/2019 si connota quindi per introdurre una sorta di condizione risolutiva alla prescrizione, in virtù della quale l’intervento dell’autorità giudiziale determina la sostanziale irrilevanza del decorso temporale successivo. A ben vedere quindi, da un punto di vista tecnico/dogmatico, il meccanismo introdotto dalla riforma non risulta annoverabile né nel genus della sospensione né tantomeno in quello dell’interruzione, esaurendosi nel prevedere un termine finale che andrà, di fatto, a sostituire il dies ad quem ordinariamente previsto per ciascun reato. È d’uopo notare che se il dichiarato intento legislativo di evitare, per quanto possibile, l’instaurazione di processi che si rivelino inutili con conseguente spreco della risorsa giustizia, sia, in linea generale, condivisibile, tuttavia lo strumento scelto dal legislatore deputato a realizzare tale obiettivo sia potenzialmente idoneo ad esporre l’imputato ad una durata del processo indeterminata, in concreto vanificando proprio la ratio legis sottesa all’istituto de quo ed arrecando vulnus al principio costituzionale di ragionevole durata del processo di cui all’articolo 111 della Costituzione14.

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Pubblicata nella G.U. n. 13 del 16 gennaio 2019 la legge 9 gennaio 2019, n. 3, recante “Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici”. 12 Non può tacersi l’atecnicismo topografico in cui è incorso il legislatore che ha modificto il testo dell’articolo 159 c.p. in luogo della corretta collocazione della disposizione all’interno dell’articolo 158 c.p. che si occupa della “decorrenza del termine di prescrizione del reato”. Il nuovo articolo 159 comma 2 c.p. recita infatti: «Il corso della prescrizione rimane altresì sospeso dalla pronunzia della sentenza di primo grado o del decreto di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o dell›irrevocabilità del decreto di condanna». 13 La dottrina più attenta non ha mancato di sottolineare come una simile circostanza, in assenza di una disciplina transitoria, possa riverberare effetti di opportunità criminale, relativamente alla scelta del momento più idoneo a commettere un reato nella consapevolezza dell’avvento della nuova disciplina più sfavorevole. Nell’ottica di scongiurare tale timore, è stato prospettato come, per i fatti commessi nel lasso temporale intercorrente tra le due date, la non invocabilità del principio di cui all’articolo 2 comma 4 c.p. che si basa sulla prevedibilità della legge penale, come corollario dell’accezione sostanziale del principio di legalità, non sarebbe ipotesi così peregrina. 14 L’ordinamento giuridico italiano con l’art. 111 della Costituzione prevede il principio del giusto processo; l’articolo, modificato con la legge costituzionale 1/1999, al secondo comma dispone: “Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo e imparziale”, e segue, “la legge ne assicura la ragionevole durata.” Inoltre, l’iniziale vuoto di tutela in caso di violazione, è stato successivamente oggetto di attenzione da parte del Legislatore, prima nel 2012 con la legge “Pinto” e successivamente con la legge di stabilità 2016.

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È infatti innegabile che la prescrizione rappresenti il principale “pungolo” processuale idoneo a sollecitare la tempestiva fissazione delle udienze nei giudizi innanzi le corti territoriali e alla Cassazione che, senza l’imminente “minaccia” del sopraggiungere del dies ad quem prescrizionale saranno inevitabilmente destinate a dipanarsi del tempo, contribuendo ad aggravare il già punctum dolens del nostro sistema processuale: il tempo. A parere dello scrivente, da un punto di vista meramente tecnico, sembra che la recente riforma sia una novella rigorosa su di un versante ma eccessivamente timida sull’altro che finisce con l’esaurirsi nel perseguire esclusivamente una finalità deterrente in un terreno invece particolarmente fertile di interessi contrapposti che avrebbero meritato sicuramente una maggiore attenzione. A tal proposito si evidenza infatti come il legislatore avrebbe potuto ben perseguire l’obiettivo di introdurre meccanismi atti a scongiurare il pericolo che processi già instaurati venissero falcidiati dal decorso temporale senza fornire un’adeguata ed effettiva risposta alla controversia, come tra l’altro anche più volte sottolineato anche dalla giurisprudenza della Corte EDU15, prestando però maggiore attenzione anche al contrapposto interesse, parimenti meritevole di tutela, di evitare procedimenti giudiziari sine die idonei ad evocare la figura dell’imputato vita natural durante. Dall’assetto testé delineato emerge infatti un sistema normativo che si pone in rotta di collisione con le garanzie ed i principi costituzionali che regolano lo svolgimento dell’attività processuali, primo tra tutti il principio di ragionevole durata del processo enunciato dall’articolo 111 comma 2 della Costituzione e ribadito dall’articolo 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. A conclusione della disciplina dell’istituto, l’articolo 160 c.p.16 prevede una serie di atti17 il cui verificarsi determina l’interruzione della prescrizione che, quindi, si arresta definitivamen-

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Ex multis, Corte EDU, sez. II, sent. 29.3.2011, Pres. Tulkens, ric. n. 47357/08, Alikaj e altri c. Italia con la quale la Corte EDU ha condannato l’Italia in virtù delle norme in tema di prescrizione colpevoli di aver determinato l’inefficacia della risposta sanzionatoria statuendo in particolare che « La Cour estime que, loin d’être rigoureux, le système pénal tel qu’il a été appliqué en l’espèce ne pouvait engendrer aucune force dissuasive propre à assurer la prévention efficace d’actes illégaux tels que ceux dénoncés par les requérants. Dans les circonstances particulières de l’affaire, elle parvient ainsi à la conclusion que l’issue de la procédure pénale litigieuse n’a pas offert un redressement approprié de l’atteinte portée à la valeur consacrée à l’article 2 de la Convention» 16 [Il corso della prescrizione è interrotto dalla sentenza di condanna o dal decreto di condanna.] (abr.) Interrompono la prescrizione l’ordinanza che applica le misure cautelari personali, e quella di convalida del fermo o dell’arresto, l’interrogatorio reso davanti al pubblico ministero o alla polizia giudiziaria, su delega del pubblico ministero, o al giudice, l’invito a presentarsi al pubblico ministero per rendere l’interrogatorio, il provvedimento del giudice di fissazione dell’udienza in camera di consiglio per la decisione sulla richiesta di archiviazione, la richiesta di rinvio a giudizio, il decreto di fissazione dell’udienza preliminare, l’ordinanza che dispone il giudizio abbreviato, il decreto di fissazione dell’udienza per la decisione sulla richiesta di applicazione della pena, la presentazione o la citazione per il giudizio direttissimo, il decreto che dispone il giudizio immediato, il decreto che dispone il giudizio e il decreto di citazione a giudizio. La prescrizione interrotta comincia nuovamente a decorrere dal giorno della interruzione. Se più sono gli atti interruttivi, la prescrizione decorre dall’ultimo di essi; ma in nessun caso i termini stabiliti nell’articolo 157 possono essere prolungati oltre i termini di cui all’articolo 161, secondo comma, fatta eccezione per i reati di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale. 17 La riforma Orlando ha, coerentemente, modificato anche l’articolo 160 c.p. nella parte in cui stabiliva che “il corso della prescrizione fosse interrotto dall’emissione di una sentenza di condanna o di un decreto penale di con-

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te, si azzera e ricomincia a decorrere dal principio, così come esplicitato dal comma 3 della medesima disposizione. A differenza della propagazione soggettiva della sospensione che, come testé evidenziato, è circoscritta agli imputati per i quali si sta procedendo, a norma dell’articolo 161 c.p., il fenomeno interruttivo esplica invece il proprio effetto a tutti coloro che hanno commesso il reato. Il secondo comma dell’articolo 160 c.p. si occupa invece di individuare i limiti cronologici, pari in sostanza a più di ¼ del tempo necessario a prescrivere, dell’interruzione che non può comportare una durata della prescrizione a tempo indeterminato, fatta eccezione per i reati previsti dall’articolo 51 commi 3 bis e quater c.p.p.18

3. Influenze della giurisprudenza europea sull’istituto. L’istituto della prescrizione, e, più nello specifico, il dibattito relativo alla sua natura giuridica, è stato il terreno di un continuo e noto dialogo intercorso tra la Corte Costituzionale e la Corte di Giustizia europea che giova ricordare a conclusione del presente contributo. Con il recente deposito della sentenza costituzionale n.115/201819 (depositata il 31.5.2018) sembra che i giudici di Palazzo della Consulta abbiano definitivamente concluso la nota vicenda “Taricco” la cui breve disamina ed i principi giuridici in essa enunciata sono tappa imprescindibile nella comprensione di tale materia. Con la prima sentenza Taricco del 2015 la Grande sezione della Corte di Giustizia aveva infatti affermato l’obbligo per il giudice nazionale di procedere alla disapplicazione della normativa relativa agli atti interruttivi della prescrizione che, come visto, ravvisano la propria base normativa negli articoli 160 e 161 c.p., nel caso in cui, la fissazione del termine massimo di decorso della prescrizione comporti l’inadempimento degli obblighi di effettiva tutela degli interessi finanziari dell’Unione comunitariamente imposti allo Stato italiano, determinando la non punibilità di frodi tributarie di rilevante entità ed in un numero considerevole di casi. A fronte di ciò, la Corte di Appello di Milano, e, seppur in maniera più articolata la III sezione penale della Corte di Cassazione, sollevavano questione di legittimità dell’art. 2 della legge 2 agosto 2008, n. 13020, “nella parte che impone di applicare la disposizione di cui all’art. 325 §§ 1 e 2 TFUE, dalla quale - nell’interpretazione fornitane dalla Corte di Giustizia (…) - discende l’obbligo per il giudice nazionale di disapplicare gli artt. 160 ultimo comma e 161 secondo comma c.p. in presenza delle circostanze indicate nella sentenza, anche se dalla disapplicazione discendano effetti sfavorevoli per l’imputato, per il prolungamento del termine di prescrizione, in ragione del contrasto di tale norma con l’art. 25, co. 2, Cost.”.

danna”: il previgente primo comma deve pertanto ritenersi abrogato dall’entrata in vigore della legge in quanto incompatibile con il meccanismo di sospensione del nuovo articolo 159 c.p. 18 Reati ritenuti di particolare allarme sociale quali quelli previsti in materia di terrorismo e criminalità organizzata. Per tali fattispecie non troverà applicazione alcun limite temporale determinato dagli atti interruttivi ai possibili aumenti del tempo necessario a prescrivere. 19 La vicenda trae origine da due ordinanze, emesse rispettivamente dalla Terza sezione penale della Cassazione e dalla CDA di Milano, sull’interpretazione, fornita dalla Corte Costituzionale nella sentenza Taricco dell’8.9.2015, dell’articolo 2 L.130/2008 nella parte in cui autorizza alla ratifica e rende esecutivo l’articolo 325 par. 1 e 2 del TFUE 20 l’atto interno di ratifica ed esecuzione del Trattato di Lisbona.

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I principi di diritto enunciati dalla CGUE determinavano, secondo i giudici rimettenti, la violazione del principio di legalità sotto due distinti punti di vista: il primo concernente il principio di irretroattività in malam partem, ed il secondo, relativo all’accezione sostanziale del principio di legalità sub specie di determinatezza, non essendo possibile fornire un’interpretazione univoca ai concetti di “rilevante entità”, e di “numero considerevole di casi” tali da dover determinare l’obbligo di disapplicazione della norma. Tali obiezioni sono state recepite dalla Corte Costituzionale che, per la prima volta, in un’ottica di dialogo, si è rivolta direttamente alla Corte di Giustizia, chiedendole di chiarire il significato dei principi di diritto espressi nella sentenza Taricco in modo tale da fornirne una interpretazione costituzionalmente compatibile che ne permettesse l’accoglimento senza necessità di dover evocare la nota questione sui “controlimiti” (il principio di legalità in materia penale, enunciato all’articolo 25 comma 2 della Costituzione, rappresenta infatti quel nocciolo duro di diritti costituzionali che non si presta ad alcuna compressione, ancorché comunitariamente imposta) che avrebbe determinato una frattura tra le due corti. A monte di tale dibattito si pone la questione vertente sulla natura giuridica della prescrizione che, secondo la Consulta, è di matrice sostanziale ed, in quanto tale, prerogativa degli stati membri e sottratta alla competenza dell’Unione Europea. Tale natura comporta inoltre l’assoggettamento dell’istituto alle garanzie costituzionalmente previste in materia penale, in particolare, il principio di legalità, anche nella sua accezione sostanziale di determinatezza ed il divieto di retroattività sfavorevole. In risposta ai quesiti formulati dai Giudici costituzionali, la CGUE, nella composizione della Grande Sezione, evitando anch’essa di porsi in ottica conflittuale barricandosi nel simulacro del principio di primazia, ha emesso una nuova pronuncia giurisdizionale, comunemente nota come “Taricco II”, che si pone l’apprezzabile obiettivo di conciliare le opposte esigenze sollevate dai due organi. Infatti, secondo i giudici europei, l’imprescindibile presupposto idoneo a legittimare l’eventuale obbligo di disapplicazione di una normativa interna comunitariamente incompatibile, risiede nel rispetto dei diritti fondamentali degli accusati il cui valore è riconosciuto anche dal diritto comunitario. In altre parole, qualora la disapplicazione determini un vulnus ai diritti fondamentali della persona essa non potrebbe operare anche e soprattutto perché, in tal caso, tale meccanismo si porrebbe in conflitto con i principi comunitari (viene infatti espressamente riconosciuto che il principio di legalità, nella sua accezione sostanziale di prevedibilità, determinatezza ed irretroattività sfavorevole sia riconducibile agli articoli 49 e 51 della CDFUE nonché al paragrafo 1 dell’articolo 7 CEDU) ancor prima che con i principi delle Costituzioni nazionali. In tale ottica sarà pertanto compito del giudice nazionale verificare se l’eventuale disapplicazione della normativa interna comporti la lesione di siffatti diritti ed, in caso di esito positivo, astenersi dal porla in essere. Su tale assetto interviene quindi nuovamente la Corte Costituzionale, ribadendo21, in primis, che l’accertamento relativo all’eventuale contrasto tra diritti costituzionali ed europei, demandato

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Sic: “l’autorità competente a svolgere il controllo sollecitato dalla Corte di giustizia è la Corte costituzionale, cui spetta in via esclusiva il compito di accertare se il diritto dell’Unione è in contrasto con i principi supremi dell’ordine costituzionale e in particolare con i diritti inalienabili della persona”; a ciò si aggiunge che “il ruolo essenziale che riveste il giudice comune consiste nel porre il dubbio sulla legittimità costituzionale della normativa nazionale che

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La prescrizione del reato

dalla CGUE al giudice nazionale, appartiene alle sue prerogative, ed operando, in secundis, un intervento chiarificatore sui principi enunciati dai giudici europei, con l’affermazione che: • L’irretroattività della regola enunciata nella sentenza Taricco ai fatti commessi prima di tale pronuncia discende direttamente dal divieto enunciato dall’articolo 25 comma 2 della Costituzione, dal diritto dell’Unione e non è oggetto di alcuna verifica da parte dei giudici nazionali; • Il sindacato da parte dei giudici deve innestarsi sul giudizio di compatibilità tra le regole enunciate dalla CGUE ed il principio costituzionale di determinatezza in materia penale il cui esito positivo legittimerebbe la disapplicazione della normativa nazionale in tema di prescrizione. A fronte di tali chiarimenti, la Corte Costituzionale si premura poi di ribadire la natura sostanziale dell’istituto della prescrizione e la conseguente operatività in tale campo del principio di legalità sostanziale ex art. 25 comma 2 della Costituzione. Da tale assetto deriva pertanto l’incompatibilità della “regola Taricco” per il deficit di determinatezza che ne caratterizza l’enunciazione, il cui vizio vale ad inficiarne il contenuto sul piano comunitario ancor prima che su quello nazionale.

4. Conclusioni. Delineato l’assetto de iure condito relativo all’istituto in esame non sembra fuori luogo doversi osservare che il crescente climax di attenzione riservato alla prescrizione dal legislatore si sia spesso risolto nell’introduzione di istituti precari privi della necessaria pregnanza che una simile materia meriterebbe e inidonei a risolvere se non quanto meno a sopire il dibattito ius-politico scatenatosi a monte. Se dall’esterno infatti il dialogo intercorso tra la Corte Costituzionale e la Corte di Giustizia ha messo in evidenza come la prescrizione sia un istituto di primaria importanza per l’ordinamento giuridico il cui perimetro di applicazione si ponga come garanzia insopprimibile ed incomprimibile a garanzia del cittadino, dall’interno si assiste ad un trend legislativo volto a circoscriverne sempre di più la portata. Da un punto di vista metagiuridico, sembra inoltre emergere che il principale problema che affligge tale materia sia, osservando il dato empirico, quello relativo all’approccio da parte degli interessati che colpevolmente non fa che denotarsi di faziosità tra coloro che vedono la prescrizione come una sorta di alabarda processuale e coloro che ne predicano, in ottica inquisitoria, la limitazione sino ai confini della compressione dei principi costituzionali perdendo di vista quello che dovrebbe essere l’obiettivo comune: la ricerca di uno strumento atto a determinare il giusto contemperamento tra tutti gli interessi coinvolti. Nonostante sia ridondante affermare che un simile istituto sia inscindibilmente connesso a considerazioni extragiuridiche, il fil rouge che dovrebbe guidare il legislatore prima e l’interprete poi, dovrebbe essere individuato in un approccio più marcatamente tecnico che lasci da parte obiettivi di politica criminale e che sia in grado di garantire una risposta processualpenalistica effettiva, prevedibile, certa ed al contempo garantista, in altri termini, costituzionalmente orientata ai principi che connotano la materia penale sostanziale.

dà ingresso alla norma europea generatrice del preteso contrasto”.

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Emergenza Coronavirus e sistema carcerario: le disposizioni del Decreto “Cura Italia” e i successivi aggiornamenti normativi Ylenia Parziale

Sommario : 1. La complessa questione del sovraffollamento carcerario – 2. Le disposizioni del Decreto - Legge “Cura Italia” in materia penitenziaria – 3. Considerazioni critiche e proposte migliorative – 4. Le recenti novità in materia penitenziaria

1. La complessa questione del sovraffollamento carcerario La profonda crisi che il nostro Paese sta vivendo a causa della diffusione del virus COVID-19 sta coinvolgendo profondamente tutti i settori della vita pubblica, costringendo il Governo ad una serie di interventi normativi straordinari, finalizzati ad affrontare l’emergenza da un punto di vista sanitario, sociale ed economico. I provvedimenti adottati hanno riguardato anche l’ambito giuridico, che è stato interessato da misure specifiche su diversi aspetti della giustizia civile, penale e tributaria. Tra questi interventi, di particolare rilevanza, è stato quello inerente al sistema carcerario, sin dalle fasi iniziali profondamente scosso dall’emergenza Coronavirus. A inizio marzo, quando l’epidemia ha cominciato a diffondersi sul territorio nazionale, si sono verificate ondate di ribellioni in diversi istituti di pena, causate dall’introduzione delle nuove misure di restrizioni su visite parentali e colloqui. Le proteste sono culminate, in alcuni casi, con evasioni in massa, come a Foggia, e anche con il decesso di alcuni detenuti, come a Modena. Questa situazione ha reso quindi necessario un intervento normativo finalizzato ad evitare ulteriori tumulti e a impedire che le carceri diventassero una “bomba epidemiologica”. L’esigenza di contrastare il contagio, infatti, risulta ancora più urgente in un ambiente come quello degli istituti penitenziari, già al collasso a causa del cronico problema dell’affollamento. La popolazione carceraria è notoriamente di gran lunga superiore ai posti disponibili: secondo i dati del ministero della Giustizia, attualmente i detenuti in Italia sono oltre 61.000 mentre la capienza regolamentare è poco meno di 51.000 posti. Il rapporto del 2019 dell’Osservatorio europeo sulle condizioni di detenzione evidenzia che il tasso di sovraffollamento delle carceri italiane è pari al 119,8%, ossia il più alto dell’Unione Europea, seguito da Ungheria e Francia. Dunque, la gestione di una possibile contaminazione all’interno delle carceri, sia per i detenuti che per i detenenti, è un problema particolarmente complesso e delicato: infatti,


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nonostante le recenti riforme che hanno interessato l’Ordinamento penitenziario1, non è possibile, allo stato attuale, consentire una corretta applicazione delle misure sanitarie preventive e contenitive del virus negli istituti penitenziari sia per insufficienza di aree sanitarie, che di strumentazioni igienico-sanitarie che di spazi fisici idonei per un eventuale isolamento (anche ai sensi dell’art. 33 ord. penit.) dei detenuti contagiati.2

2. Le disposizioni del Decreto - Legge “Cura Italia” in materia penitenziaria In questo contesto allarmante, il Governo è intervenuto adottando misure straordinarie, incidenti sulle modalità di esecuzione della pena, allo scopo di ridurre il sovraffollamento negli istituti penitenziari. Nello specifico, il Decreto-legge del 17 marzo 2020, n. 18, noto come Decreto “Cura Italia”, ha introdotto - all’art. 123 -una serie di deroghe, valide dal 17 marzo 2020 e sino al 30 giugno 2020, alla disciplina della detenzione domiciliare di cui alla Legge n. 199 del 26 novembre 2010. Tale particolare tipologia di detenzione domiciliare, diverso da quello disciplinato dall’art. 47-ter dell’Ordinamento Penitenziario, consente l’espiazione della pena della reclusione non superiore a 18 mesi, anche se residuo di maggior pena, presso il domicilio, in funzione di un procedimento applicativo del beneficio estremamente accelerato (addirittura, da concedersi entro cinque giorni dalla richiesta) e di competenza del Magistrato di Sorveglianza, anziché del Tribunale di Sorveglianza. Inoltre, all’art. 124 del suddetto Decreto-legge sono previste licenze premio straordinarie per i detenuti in regime di semilibertà. Infatti, tenuto conto delle evidenze rappresentate dall’autorità sanitaria, la magistratura di sorveglianza può sospendere, nel periodo compreso tra la data di entrata in vigore del decreto e fino al 31 maggio 2020, la concessione dei permessi premio di cui all’art. 30 ter della L. n. 354/75, nonché del regime di semilibertà ai sensi dell’art. 48 della medesima legge e del decreto legislativo 2 ottobre 2018, n. 121. Si tratta di una disposizione giustificata dalla necessità di limitare il rischio di contagio derivante dai frequenti spostamenti dei detenuti dall’esterno all’interno del carcere.

3. Considerazioni critiche e proposte migliorative Da più parti ci si è chiesto se queste misure siano di per sé sufficienti a fronteggiare una situazione di emergenza come quella attuale, soprattutto se applicate ad una realtà già estremamente delicata e complessa come quella del nostro sistema carcerario e sono stati in molti, sia a livello nazionale che internazionale, che hanno evidenziato l’inadeguatezza delle misure introdotte dal Decreto “Cura Italia”3.

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Per una panoramica sulla Riforma dell’Ordinamento Penitenziario si rinvia a De Nigris, Nuove disposizioni in materia di ordinamento penitenziario, in questa rivista, 30.09.2018. 2 Manca, Covid-19 e carceri: un’emergenza al quadrato, umana e sanitaria; in Il Penalista.it; 3 Giostra, Disinnescare in modo sano la bomba-virus nelle carceri, in Sistema Penale, 22 marzo 2020; dello stesso parere Dolcini – Gatta, Carcere, Coronavirus, decreto ‘cura italia’: a mali estremi, timidi rimedi, ivi, 20 marzo 2020; Gentilucci, La longa manus del Coronavirus sulla giustizia penale e sulle carceri, in giurisprudenzapenale.it, 20 marzo 2020.

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Fuori dai confini nazionali, il Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura e delle punizioni e dei trattamenti inumani e degradanti, istituito nell’ambito del Consiglio d’Europa, ha emanato dieci raccomandazioni indirizzate alle autorità degli Stati membri volte a ricordare – in questo particolarissimo momento emergenziale – il divieto della tortura e di trattamenti inumani e degradanti (art. 3 Cedu). Il CPT ha sottolineato la necessità di garantire nelle carceri, ma anche nei luoghi per la temporanea detenzione presso le strutture della polizia, nei centri di detenzione per gli immigrati, negli ospedali psichiatrici (le R.E.M.S., nel nostro ordinamento) il rispetto dei diritti fondamentali delle persone che vi si trovano, così come di quanti vi lavorano.4 Nello specifico, nella raccomandazione n. 5, il CPT invita gli Stati membri a ricorrere il più possibile a misure non detentive quali le alternative alla custodia cautelare, la commutazione della pena, la liberazione condizionale e la messa alla prova, il riesame dei trattamenti sanitari obbligatori (TSO), la dimissione o sistemazione di residenti di strutture per persone con disabilità o anziane nella comunità esterna. Tale invito diventa “un imperativo, in particolare, in situazioni di sovraffollamento”, quali notoriamente sono quelle italiane. L’invito agli Stati a prendere misure urgenti e ad agire per proteggere la salute e la sicurezza dei detenuti è pervenuto anche dall’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, il quale ha esortato le autorità ad esaminare i modi per liberare le persone particolarmente vulnerabili al COVID-19, tra cui i detenuti più anziani e quelli che sono malati, nonché i detenuti non pericolosi. Non sono mancate, inoltre, osservazioni critiche5 da parte della dottrina italiana che ha sottolineato come le misure adottate fino a questo momento siano apprezzabili ma inadeguate, in quanto è necessario prima di tutto riportare la popolazione detenuta nei limiti della capienza ordinaria dei nostri penitenziari e, soltanto successivamente, mettere in atto le contromisure necessarie per arginare il contagio: distanze, igiene personale e sanificazione dell’ambiente. Di questo parere è anche il Consiglio direttivo dell’Associazione italiana dei professori di diritto penale (AIPDP), che ritiene necessarie nuove ulteriori iniziative legislative volte sia a contrastare sul piano strutturale il sovraffollamento, sia a fronteggiare i gravissimi rischi legati al contagio da Coronavirus nelle carceri. Le indicazioni dell’AIPDP, unanimemente condivise dai soci, ruotano attorno alla necessità di non aggravare i numeri dei detenuti nelle carceri, intervenendo da un lato sul flusso in entrata, attraverso il differimento dell’ordine di esecuzione delle condanne meno gravi, e dall’altro lato agevolando il flusso in uscita, con la previsione di misure come la liberazione anticipata speciale o la permanenza notturna presso il proprio domicilio per i semiliberi e gli ammessi al lavoro esterno che abbiamo dato prova di buona condotta. Inoltre, secondo l’AIPDP, sarebbe necessario innalzare a due anni il limite di pena detentiva, anche residua, eseguibile presso il domicilio, in modo da allargare il range dei potenziali fruitori della misura senza intaccare l’esigenza di sicurezza sociale. Il Direttivo sottolinea inoltre che in ogni Istituto penitenziario debbano essere introdotte misure straordinarie per l’adeguamento delle strutture sanitarie e per l’assunzione urgente di

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Gatta, Coronavirus e persone private della libertà: l’europa ci guarda. Le raccomandazioni del Cpt del Consiglio d’Europa, in Sistema Penale, 21 marzo 2020. 5 Giostra, Disinnescare in modo sano la bomba-virus nelle carceri, cit.

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personale medico, socio-sanitario e penitenziario, nonché per l’agevolazione della comunicazione a distanza tra detenuti e familiari. Da ultimo, anche il Consiglio Superiore della Magistratura, con il Parere del 26 marzo, ha evidenziato che l’eccezionale gravità della situazione epidemiologica del Paese e il concreto rischio di una diffusione del contagio all’interno degli istituti di pena rendono indifferibile l’adozione di soluzioni atte a ridurre le condizioni di sovraffollamento carcerario. Nello specifico, il CSM ha rilevato l’opportunità di interventi tesi a differire l’ingresso in carcere di condannati a pene brevi per reati non gravi, per il periodo corrispondente alla durata dell’emergenza epidemiologica. Queste raccomandazioni non sono però ancora state accolte dal Legislatore. Durante l’iter di conversione in legge del Decreto in commento, infatti, gli artt. 123 e 124 non hanno subito modifiche sostanziali e non sono state introdotte altre misure maggiormente incisive per affrontare la questione del sovraffollamento delle carceri.

4. Le recenti novità in materia penitenziaria. Come specificato in precedenza, il Decreto noto come “Cura Italia” introduce una deroga che consente di scontare la parte restante della pena, se non superiore a 18 mesi, in detenzione domiciliare. La deroga però non si estende ai detenuti condannati per i delitti indicati dall’ articolo 4 - bis dell’ordinamento penitenziario. Il 19 marzo 2020, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (DAP) ha trasmesso ai Direttori degli Istituti penitenziari una nota contenente un elenco di “patologie/condizioni” (tra cui età superiore a 70 anni) cui è possibile riconnettere un elevato rischio di complicanze in caso di contrazione del virus Covid–19. Nella stessa nota, si chiede di comunicare all’ Autorità giudiziaria “i nomi dei detenuti che dovessero rientrare in queste condizioni, con allegate relazione sanitaria e informazioni quali relazioni comportamentali, informazioni di polizia, disponibilità di un domicilio”. Tuttavia la predetta nota, non prevedendo alcuna eccezione, è stata oggetto di diverse interpretazioni, poiché astrattamente applicabile a tutti i detenuti, compresi quelli in regime di “41 bis” i quali, pur essendo esclusi dalla deroga prevista dal “Cura Italia” possono, nel caso in cui soffrano di problemi di salute, comunque accedere in base a norme preesistenti alle richieste di differimento obbligatorio o facoltativo della pena detentiva per “condizioni di gravi infermità fisica”, contemplata dall’ art. 147 co. 1 n. 2 c.p. Il vuoto normativo è stato in parte colmato dal Decreto Legge n. 28 del 30 aprile 2020, rubricato “Disposizioni urgenti in materia di detenzione domiciliare e permessi”. In particolare, l’art. 2 del citato decreto prevede come obbligatorio, benché non vincolante, il parere delle direzioni distrettuali e della procura nazionale antimafia sulle istanze di richiesta di scarcerazione provenienti da detenuti per reati di criminalità organizzata. Inoltre, il 9 maggio 2020 il Consiglio dei Ministri ha approvato il Decreto Legge n. 29 che modifica il regime relativo al differimento della pena, nei casi di reati associativi a fini sovversivi, di terrorismo, di tipo mafioso o connessi al traffico di stupefacenti. Il “nuovo” testo prevede che, nel caso in cui tale beneficio sia concesso per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19, il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza che ha adottato il provvedimento, acquisito il parere del Procuratore distrettuale antimafia del luogo in cui è stato commesso il reato e, in specifici casi, del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, valuta la permanenza dei motivi legati all’emergenza sanitaria.

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Come è ovvio, la magistratura di sorveglianza sarà chiamata a decidere caso per caso sull’eventuale revoca delle scarcerazioni che sono state già applicate in seguito alla richiamata nota del DAP. A nostro avviso, la prima fase dell’emergenza sanitaria legata al Coronavirus è stata caratterizzata, per quanto riguarda la materia penitenziaria, da una «grande confusione legislativa» che ha reso ancor più complicata la risoluzione del sovraffollamento delle carceri. Si auspica quindi che vengano messe in campo misure efficaci e dai contorni ben definiti per affrontare questa questione che ormai da molti anni affligge il sistema carcerario italiano.

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Covid-19 e le conseguenze economiche Giorgio Malfatti di Monte Tretto La diffusione del corona virus ha messo in evidenza le diatribe e le fratture dello scenario internazionale dell’era post-globale, che, comunque già in maniera più o meno importante, si erano manifestate in occasione delle recenti crisi economico-finanziarie. Il virus ci porta questa volta, come in una guerra, in una situazione in cui principi e ideali lasciano spazio alla logica primordiale della paura e sopravvivenza. Ci si salva insieme o non ci si salva, si ripete ufficialmente, ma in realtà il pensiero predominante corre al si salvi chi può. Una ritirata entro gli egoismi e le barriere del nazionalismo antagonista. L’Unione Europa non ha un piano sanitario unitario e varare un programma comune di rilancio economico è problematico, in particolar modo per paesi altamente indebitati. Ricompaiono le frontiere nell’area Schengen e assistiamo a pretestuose disfunzioni commerciali in nome di accaparramenti nazionali di respiratori e ventilatori polmonari. Alla prima vera crisi reale l’Europa degli ideali è inaspettatamente andata in secondo piano. Non che altrove vada meglio. Nel Mediterraneo e in Medio Oriente, c’è chi profitta per indebolire l’avversario proseguendo assedi e campagne belliche (Libia), chi spera di trarre vantaggio da insperati rinvii di un processo per corruzione e provvidenziale chiusura del Parlamento (Israele), chi punta a prevalere sui concorrenti nella corsa al ribasso dei prezzi degli idrocarburi (Arabia Saudita e Russia) e chi tenta di acquisire posizioni più favorevoli in trattative improbabili sulle spalle dei migranti (Turchia). Il coronavirus distrae, infatti, dalla tragedia delle migliaia di profughi, molti afgani, che si accalcano alle frontiere greco-turche di Edirne. In uno scenario rimasto in sospeso, ove né Mosca né l’Europa hanno finora potuto placare recriminazioni non sempre ben riposte. Esistono disparate teorie sull’origine del virus, dall’errore di laboratorio al complotto geopolitico, ricollegandosi anche a una serie di “fake news” già circolate circa un mese fa. Una delle congetture riguarda un esperimento sui pipistrelli che ha avuto luogo quattro anni fa in Cina, forse proprio nel laboratorio di Whuan. L’autorevole rivista “Nature”, che a suo tempo ne aveva dato notizia, esclude oggi categoricamente che il virus prodotto in laboratorio abbia in qualche modo a che fare con il Covid 19. Posizione poi confermata unanimemente dagli scienziati di tutto il mondo. Ma questo non è bastato per porre fine alle supposizioni e la sequenza di alcuni fatti emersi in ordine sparso, hanno dato il destro per sviluppare e confezionare anche le teorie più ardite. Basti ricordare le parole profetiche di Bill Gates nel 2014, la registrazione negli Usa nel 2015 del brevetto di una forma attenuata di coronavirus a cura del Pilbright Institute, la simulazione nel marzo 2019 a cura del Johns Hopkins Center for Health e della Bill and Melinda Foundation, di una pandemia con epicentro in Brasile. A ciò si aggiunga l’invio nel marzo 2019 al laboratorio di Wuhan di un pacchetto di virus letali a cura del National Microbiology Institute canadese e infine l’arrivo di 300 militari americani a Wuhan per i “Militar world games” proprio alla vigilia dello scoppio dell’epidemia. Probabilmente si tratta solo di coincidenze, ma al di là delle ipotesi fantasiose che vengono costruite sulla base di queste notizie, la narrativa sull’origine del virus e sulle responsabilità


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che ne derivano ha aperto un duro confronto tra Cina e Usa. Trump definisce il Covid-19 come “chinese virus”, mentre le autorità cinesi lasciano intendere che siano stati i militari americani a portare il contagio e accusano gli Stati Uniti di aver sottovalutato gli avvertimenti e gli allarmi che avevano lanciato a suo tempo. In realtà gli allarmi cinesi erano arrivati in ritardo per tutti e resta aperto l’interrogativo perché le autorità di Pechino abbiano tenuto nascosto per almeno un mese lo scoppio dell’epidemia. La spiegazione più verosimile attribuisce tale atteggiamento alle caratteristiche di un regime autoritario preoccupato di non diffondere il panico e prevenire danni economici. Una tesi piuttosto riduttiva e non può esaurire le legittime domande che la pubblica opinione si pone. Sarebbe pertanto opportuno fare chiarezza e mettere nel giusto contesto tutti i fatti considerati “misteriosi” che hanno preceduto l’insorgere del virus per fugare ogni sospetto. Le pestilenze e i grandi flagelli in un passato non lontano sono stati spesso attribuiti a forze occulte e agli “untori” al servizio di poteri imperscrutabili. Il Coronavirus, oltre ai decessi e ai danni alla qualità della vita e alla sicurezza delle persone, sta causando uno shock economico -finanziario di proporzioni devastanti, col quale le organizzazioni criminali sicuramente cercheranno di interagire. E se molti oggi temono la perdita della vita, molti di più dovranno un domani affrontare la perdita dei mezzi di sostentamento. Si possono fare previsioni sul PIL di un paese, ma è impossibile quantificare le conseguenze economiche nell’economia sommersa, che in Italia vale quanto quella ufficiale. Ed è proprio nel mondo del sommerso che la criminalità opera. Qualsiasi tipo di criminalità ha nel proprio DNA lo spirito degli sciacalli, un’attitudine ad arricchirsi nelle disgrazie sulla pelle degli altri e di speculare sul bisogno. Le sofferenze altrui sono per i mafiosi una vera manna, terreno fertile per consolidare il proprio potere. Ciò è stato dimostrato nei conflitti nella ex Jugoslavia della fine del secolo scorso, la criminalità può svilupparsi anche e forse più rapidamente in un clima di guerra. Boccare quasi completamente l’apparato economico di un paese, anche se è una scelta obbligata per contenere il Corona virus, causerà guasti giganteschi. Accadrà che tante attività economiche saranno ridotte in ginocchio e dovranno o chiudere o fare una gran fatica a riprendere. Una preda facile per i mafiosi, pronti da sempre a vampirizzare le imprese che si trovino spolpate e senza denaro in cassa. L’enorme fatturato delle consorterie criminali è confluito da tempo in una economia parallela, con guadagni giganteschi e un andamento sempre in crescita, che facilmente potrà funzionare come potente base di partenza per risucchiare nel gorgo mafioso commerci, imprese e forze economiche fiaccate dal Coronavirus. Sfruttando la tecnica della “mafia garbata”, la criminalità organizzata italiana ha creato con la contingente ed opportunistica rinunzia alle armi una “pericolosa allarmante normalità”, sempre più immersa dentro le questioni economiche. Di fronte alla presenza di una terribile pandemia, che dovrebbe animare ovunque uno spirito di collaborazione nella ricerca di rimedi vuoi sanitari vuoi economico-finanziari, appare difficile recuperare i termini di una convivenza internazionale basata sull’ordine multilaterale costituito. Sembra che molti paesi sottovalutino le conseguenze economiche dell’improvviso arresto di molti apparati produttivi. Le Nazioni Unite e le sue Agenzie collegate non possono che lanciare allarmi sui rischi di contagio, mettere in guardia sulle prospettive prossime e su quelle future, fare la conta delle vittime nei diversi continenti, elargire raccomandazioni, attirare l’attenzione sulle condizioni dei più deboli ed emarginati e sulle prospettive cupe dell’economia globale, ma non possono dettare prescrizioni che non sono richieste dagli Stati. È una situazione eccezionale e saranno necessarie parecchie misure verso una politica di responsabilità e lungimiranza comune. Ma questo non sarà certo sufficiente se non si allargherà lo sguardo all’intero pianeta, superando, in nome dell’emergenza, fratture, diatribe, scontri bellici. La ripresa non potrà compiersi senza una chiamata a correo mondiale, mediante la riat-

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tivazione delle Organizzazioni Internazionali esistenti o formule di coordinamento più ristrette (G20) ma che coinvolgano i grandi protagonisti nei diversi continenti. Con l’obiettivo di fissare regole comuni. Vi è, in questo, una responsabilità primaria dei grandi attori mondiali, inclusa l’Europa. È in gioco la riabilitazione del pianeta. Che non potrà prescindere da un cambiamento di rotta, in campo economico, sociale, ambientale, culturale.

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Le minacce ibride Marianna Marzano e Micol Gallo Curcio Le guerre più pericolose, nel ventunesimo secolo, non vengono combattute dalle potenze militari sui campi di battaglia, ma vengono realizzate attraverso le cosiddette minacce ibride. Il termine si rifà al concetto di guerra ibrida (in inglese hybrid warfare) elaborato originariamente in ambito militare. Con il passare degli anni il dibattito si è evoluto, concentrandosi principalmente sul concetto di “minaccia ibrida”, per il quale, ad oggi, non esiste una definizione universale. Nel 2010 la NATO ha individuato una chiave d’interpretazione, usando il termine minaccia ibrida nel “Capstone Concept Military contribution to countering hybrid threats” per descrivere quel tipo di minacce perpetrate da “avversari con la capacità di impiegare simultaneamente mezzi convenzionali e non convenzionali con capacità di adattamento nel perseguimento dei loro obiettivi”. Inoltre, nella Comunicazione congiunta al Parlamento Europeo e al Consiglio da parte dell’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri, in stretta cooperazione con i servizi della Commissione e con l’Agenzia Europea per la Difesa (AED), dell’aprile del 2016, la minaccia ibrida è definita come “la combinazione di attività coercitive e sovversive, di metodi convenzionali e non convenzionali (cioè diplomatici, militari, economici e tecnologici), che possono essere usati in modo coordinato da entità statali o non statali per raggiungere determinati obiettivi, rimanendo però sempre al di sotto della soglia di una guerra ufficialmente dichiarata”. Nonostante manchi una definizione chiara ed univoca della minaccia ibrida, è possibile individuarne alcuni tratti tipici: la non convenzionalità e molteplicità dei mezzi utilizzati per condurre l’offesa; il livello di intensità inferiore a quello di un attacco armato idoneo a giustificare una reazione in legittima difesa; la difficoltà di attribuzione delle condotte, generalmente facenti capo ad entità di natura non statale. Il concetto di minaccia ibrida non è nuovo nella storia (ad esempio, una guerra ibrida è stata combattuta da Stati Uniti ed Unione Sovietica ai tempi della Guerra Fredda), ma ha acquisito negli ultimi tempi connotati inediti in relazione allo sviluppo delle nuove tecnologie ed alla globalizzazione. Nel mondo d’oggi la tecnologia ha un ruolo fondamentale nella capacità militare di un Paese. Non è più il potere militare in senso stretto a costituire un pericolo per gli Stati, ma quell’insieme di metodi di guerra che sfruttano la tecnologia per compiere attacchi in rete, mediatici, terroristici, economici o finanziari. Questi strumenti vengono impiegati seguendo strategie d’avanguardia ed innovative, rendendo facilmente possibile l’intersezione di numerosi fattori di rischio. La globalizzazione, comportando l’erosione dei confini, ha facilitato l’evoluzione delle minacce ibride. Ad oggi è necessario ripensare il concetto di confine e, di conseguenza, riconsiderare anche l’idea di sicurezza nazionale, non più intesa come tutela del dominio territoriale di uno Stato, ma come difesa del dominio di interesse di una nazione. Questo comporta dunque un’estensione del significato del termine sicurezza, includendo in esso i concetti di sicurezza politica, economica, culturale e delle informazioni. Per attuare questa visione di difesa dello Stato, sono necessarie misure che vanno al di là di una risposta meramente politica o militare. Cruciale nell’agevolazione delle minacce ibride è la componente della comunicazione. Nell’epoca della società dell’informazione e della comunicazione, in cui i media e i social media costituiscono potenti strumenti di controllo, le minacce ibride vengono veicolate da massicce campagne di disinformazione, anche mirate, che vengono utilizzate per controllare il


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discorso politico, radicalizzare le persone e destabilizzare la società. In tal modo, le minacce ibride riescono a penetrare nel tessuto sociale con un’efficacia e una potenzialità rilevanti. Nel linguaggio politico le minacce ibride sono intese come metodi di ostilità, interferenza ed inferenza, che si presentano come irregolari o asimmetrici rispetto ad una corretta narrazione. Si pensi, ad esempio, alla cosiddetta guerra del racconto, o all’ingegneria reputazionale, capaci di danneggiare irrimediabilmente attori economici, partiti politici, istituzioni o anche sistemi nazionali. Tutto questo fa pensare ad un mondo in cui l’informazione distorta è in grado di modificare il nostro pensiero e la realtà in cui viviamo, come avviene nel libro “1984” di George Orwell. A facilitare la penetrazione delle minacce ibride nel tessuto sociale è inoltre l’ibridizzazione stessa della società. Le società moderne non sono solide, ma liquide, come sostenuto dal grande sociologo polacco Zygmunt Bauman. Una società liquida ed instabile è più facilmente influenzabile; le minacce ibride sfruttano la vulnerabilità sociale per inserirsi nelle zone grigie della società ed indebolirla dall’interno. Lo sviluppo delle minacce ibride viene inoltre agevolato da altre azioni: la propaganda e la disinformazione sui social media; le covert operations dei servizi segreti; gli attacchi informatici e il cyber spionaggio; le pressioni economiche; il sostegno a movimenti politici e partiti; la manipolazione di procedimenti elettorali; i finanziamenti in favore di università, istituti culturali e centri di ricerca; la corruzione politica ed economica; l’impiego del crimine organizzato con finalità di influenza sui processi. Vi sono diverse ragioni per cui le minacce ibride rappresentano un pericolo significativo per le società moderne. Innanzitutto, il problema è che si ha difficoltà nell’individuazione e nella comprensione dell’origine e della destinazione di tali iniziative. La natura fumosa e contorta della nozione delle minacce ibride, aggravata dalla rapidità con cui avvengono gli attacchi informatici, rende difficile una pronta risposta da parte delle istituzioni nazionali ed internazionali. Ma ciò che rende la minaccia ibrida inafferrabile è l’infinità di potenziali origini dalla quale essa si può generare. Le minacce ibride possono essere rappresentate da tutto e da nulla, motivo per il quale l’azione sia repressiva che preventiva viene resa in alcuni casi inefficace ed in altri addirittura impossibile. Le minacce sono infinite. Il nemico è camaleontico e si nasconde dietro ogni albero. Qualsiasi persona potrebbe rappresentare una potenziale minaccia alla sicurezza nazionale. Le minacce ibride, inoltre, non agiscono in maniera lineare e sequenziale, ma con un dispiegamento simultaneo di molteplici, complementari strategie, sia militari che non militari. Le minacce ibride o guerre ibride hanno scopi bellici, ma rimangono sempre al di sotto della soglia di una guerra ufficialmente dichiarata. Infatti, pur non presentandosi sotto forma di attacchi con lo scopo di colpire militarmente uno Stato, le minacce ibride hanno comunque finalità sovversive, essendo volte alla messa in discussione del sistema istituzionale o all’alterazione di formanti per il suo corretto funzionamento. La soglia del livello di ostilità è volutamente mantenuta al di sotto di quello di un aperto conflitto militare, in modo che lo Stato aggredito non percepisca le potenzialità della minaccia e non predisponga le adeguate misure di sicurezza. Obiettivo è quindi creare confusione ed ambiguità circa la reale esistenza e provenienza della minaccia. Lo scopo è quello di indebolire uno Stato acutizzando le divisioni (polarizzazione sociopolitica) ed alimentando la sfiducia della popolazione nei confronti delle Istituzioni. Erodere l’economia, incoraggiare la discordia sociale, indebolire le istituzioni: è questa la strategia della minaccia ibrida. L’impossibilità di affermare che le minacce ibride costituiscano attacchi militari veri e propri crea non pochi problemi dal punto di vista giuridico. Ci si chiede infatti quale sia il regime giuridico applicabile a livello europeo in caso di minaccia ibrida a danno di uno Stato membro. In altri termini, tali minacce, non costituendo degli attacchi militari, ma solo dei metodi attraverso i quali può essere posta in essere una condotta violenta ai danni della sicurezza di

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uno o più Stati, non sarebbero idonee a giustificare il ricorso all’uso della forza da parte dello Stato offeso, o degli altri Stati agenti in legittima difesa collettiva. Nella Comunicazione congiunta al Parlamento Europeo e al Consiglio da parte dell’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri viene esaminata la possibilità di utilizzare la clausola di solidarietà di cui all’art. 222 TFUE, che prevede che in caso di attacco terroristico o calamità naturale o antropica nei confronti di uno Stato membro, l’Unione agisca mobilitando tutti i mezzi a sua disposizione, compresi i mezzi militari. Tuttavia, l’invocabilità dell’assistenza di cui all’art. 222 TFUE sembrerebbe dubbia, posto che la stessa Comunicazione afferma che, data l’ambiguità associata alle minacce ibride, la valutazione dell’applicabilità della clausola è rimessa alla Commissione e all’Alto rappresentante (nell’ambito dei loro rispettivi settori di competenza). Diversamente, la Comunicazione sembrerebbe ammettere l’invocabilità della clausola di cui all’art. 42, par. 7, TUE, nel caso in cui “molteplici minacce ibride gravi costituiscano un’aggressione armata contro uno Stato membro dell’UE”. Tale affermazione sembra dunque alludere alla possibile natura militare delle minacce ibride che, qualora superino la “soglia di gravità” e siano quindi assimilabili ad un attacco armato, potrebbero giustificare una reazione militare a sostegno dello Stato membro che ha subito l’attacco. Occorre però che venga soddisfatto il presupposto di una pluralità di minacce, tali da superare una determinata soglia di gravità. Resterebbe inoltre da sciogliere il nodo relativo alle minacce ibride provenienti da entità non statali: ad esempio, il fanatismo religioso perseguito da organizzazioni criminali quali Al-Qaeda viene presentato come un esempio di minaccia ibrida. Ad oggi sono innumerevoli gli attori non statali svincolati dagli obblighi, doveri e limitazioni che i singoli Stati invece sono chiamati a rispettare. La Commissione, tra le azioni indicate nella Comunicazione, specifica che essa stessa e l’Alto rappresentante dovranno esaminare l’applicabilità e le implicazioni degli articoli 222 TFUE e 42, par. 7, TUE. Un tale chiarimento circa il regime giuridico applicabile sarebbe senz’altro utile a far luce anche su una più accurata comprensione delle ‘minacce ibride’. La domanda che ci si pone è come trovare una risposta efficace che possa contenere, ridurre e neutralizzare le minacce ibride, in un’ottica di prevenzione e di contro offensiva. In primis è necessario avere una comprensione adeguata del fenomeno. Nel 2017 a tal proposito è stato istituito a livello europeo un ente multinazionale, il Centro di eccellenza per la “lotta contro le minacce ibride”, sullo studio delle modalità di attuazione delle minacce ibride, per favorire l’elaborazione di nuove strategie di contrasto. In secondo luogo, per fornire una risposta efficace alle minacce ibride, di particolare importanza risulta essere l’armonizzazione dell’azione comune, fondata sulla cooperazione internazionale. La Comunicazione congiunta dell’Alto Rappresentante del 2016 prevede che la risposta europea alle minacce ibride sia solida e coordinata, sfruttando le politiche e gli strumenti dell’UE, nell’ottica di un’assistenza reciproca. L’obiettivo finale sarebbe quello di disporre di un protocollo operativo comune fra gli Stati membri, la Commissione e l’Alto rappresentante, che definisca efficaci procedure da seguire nel caso di un attacco ibrido, dalla fase iniziale di individuazione, fino alla fase finale d’attacco e che precisi il ruolo di ciascuna istituzione dell’Unione e di ciascun soggetto in questo processo. Elemento cruciale per un’efficace cooperazione nella lotta alle minacce ibride è lo scambio di informazioni e la condivisione dei dati di intelligence fra tutti i settori e fra gli Stati membri dell’UE, ma anche con Paesi terzi e con organizzazioni internazionali. È necessaria inoltre una comunicazione strategica tra Stati per compiere un’opera di sensibilizzazione sulle minacce ibride per una maggiore consapevolezza situazionale. Altro versante su cui bisogna agire è quello della sicurezza informatica. La strategia dell’Unione europea per la cyber sicurezza e l’agenda europea sulla sicurezza forniscono il quadro strategico generale per iniziative europee per il contrasto alla criminalità informatica. Altri punti della risposta dell’UE alle minacce ibride sono: la designazione delle infrastrutture critiche europee, come le reti energetiche, la sicurezza dei trasporti e della catena di approvvigionamen-

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to, le infrastrutture spaziali e l’elaborazione di un approccio comune per la valutazione della necessità di migliorarne la protezione; l’incremento della capacità di difesa dell’UE, potenziando settori come la vigilanza e il riconoscimento; la protezione della salute pubblica e della sicurezza alimentare; il contrasto al finanziamento del terrorismo e della criminalità organizzata ed al riciclaggio di denaro; la lotta alla radicalizzazione ed all’estremismo violento, soprattutto attraverso i moderni canali di comunicazione. Anche nel panorama nazionale la risposta alle minacce ibride può essere trovata nel coordinamento, nell’integrazione e nello scambio di informazioni tra tutti gli attori istituzionali proposti direttamente o mediatamente alla tutela della sicurezza. Ad esempio, efficace è l’idea di un National Security Council presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri con funzioni di indirizzo e coordinamento delle strategie politiche in tema di sicurezza. Importante è poi recuperare la coesione sociopolitica attraverso una programmazione delle contromisure che coinvolga tutti i settori chiave della società, rafforzando il dialogo con la società civile in relazione, soprattutto, alla sicurezza informatica e al monitoraggio dei social media. Infine, è necessario potenziare e rinnovare profondamente l’intelligence e la counterintelligence per ottimizzare la raccolta delle informazioni, l’analisi, le previsioni ed early warnings da fornire al decisore politico circa la guerra ibrida, ma anche compiere covert operations per neutralizzare tali minacce. Se questi tipi di minacce sono ibride e quindi mutevoli e flessibili, anche la risposta lo deve essere. Per contrastare una minaccia ibrida, l’hard power è spesso insufficiente. Dovremmo essere in grado di rafforzare la nostra resilienza nel rispondere e la nostra capacità di prevenire. Prevenire significa studiare i rischi e le vulnerabilità per individuare infrastrutture critiche ed aree di rischio. Sviluppare la resilienza vorrà dire reagire in modo coordinato. Per combattere le minacce ibride è necessaria una visione interconnessa: mettere in relazione gli eventi, unire i puntini in maniera da trovare l’origine e la direzione di propagazione, prevedendo future minacce. Solo un approccio olistico e una visione integrata di sicurezza potranno garantire una risposta efficace alle minacce ibride, anche in linea con una nozione di sicurezza, che non è più tutela dei confini, ma è difesa a 360 gradi del dominio di interesse di una nazione. Il tema delle minacce ibride si rivela di incredibile attualità. Ad oggi, infatti, possiamo notare come spesso vi è un’ampia distanza tra realtà e rappresentazione e come la narrazione del reale possa essere distorta facilmente. Si pensi ad esempio al fenomeno corruzione. Il nostro Paese, secondo alcune rilevazioni (come il Corruption Perception Index di Transparency International) risulta in una posizione elevata nelle classifiche sulla percezione della corruzione, mentre il nostro sistema giuridico, presenta caratteristiche che lo rendono un sistema a tenuta forte nel contrasto alla corruzione, ovvero, l’autonomia del pubblico ministero, l’indipendenza della magistratura in genere, l’obbligatorietà dell’azione penale e l’assoluta libertà di stampa. Ed è qui che si realizza il cosiddetto paradosso di Trocadero: più si perseguono i fenomeni corruttivi sul piano della prevenzione e le fattispecie di reato sul piano della repressione, maggiore è la percezione del fenomeno. L’obiettivo dunque è quello di modificare il sistema di rilevazione della corruzione per diminuire la distanza tra realtà e percezione, anche al fine di invertire lo storytelling reputazionale sul nostro Paese. Viene proposto allora dalla DGMO Coordinamento Anticorruzione il superamento degli indici percettivi per sostituirli con indicatori maggiormente oggettivi ed affidabili. In tal senso, un grande risultato è stato raggiunto in sede di Nazioni Unite ad Abu Dhabi nel dicembre 2019, dove, durante l’ottava conferenza degli Stati parte della Convenzione Onu contro la corruzione, è stata approvata la Risoluzione presentata dall’Italia sulla misurazione della corruzione. Le minacce ibride impongono, dunque, agli Stati di ripensare le proprie strategie in materia di sicurezza nazionale. Nel ventunesimo secolo non sono più gli attacchi militari a costituire un pericolo per la sicurezza dello Stato, ma, come abbiamo visto, altri tipi di minacce, che, data la loro natura ibrida e fumosa, si rivelano forse ancora più pericolose di quelle tradizionali.

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The below resolutions and decision are made available in advance for the purpose of supporting planning by all relevant parties. Some of the texts have not yet been formally edited.

I. Draft resolution to be recommended by the Conference of the States Parties to the United Nations Convention against Corruption for adoption by the General Assembly Draft resolution Special session of the General Assembly against corruption The General Assembly, Recalling its resolutions 54/205 of 22 December 1999, 55/61 of 4 December 2000, 55/188 of 20 December 2000, 56/186 of 21 December 2001 and 57/244 of 20 December 2002, and recalling also its resolutions 58/4 of 31 October 2003, 58/205 of 23 December 2003, 59/242 of 22 December 2004, 60/207 of 22 December 2005, 61/209 of 20 December 2006, 62/202 of 19 December 2007, 63/226 of 19 December 2008, 64/237 of 24 December 2009, 65/169 of 20 December 2010, 67/189 and 67/192 of 20 December 2012, 68/195 of 18 December 2013, 69/199 of 18 December 2014, 71/208 of 19 December 2016 and 73/190 of 17 December 2018, and Human Rights Council resolutions 23/9 of 13 June 2013, 1 29/11 of 2 July 2015 2 and 35/25 of 23 June 2017, 3 Recalling also its resolution 73/191 of 17 December 2018, entitled “Special session of the General Assembly against corruption�, in which it decided to convene in the first half of 2021 a special session of the Assembly on challenges and measures to prevent and combat corruption and strengthen international cooperation, Recalling further the entry into force on 14 December 2005 of the United Nations Convention against Corruption, 4 which is the most comprehensive and universal instrument on corruption, and recognizing the need to continue to promote its ratification or accession thereto and the full and effective implementation of its obligations, Bearing in mind that the prevention and eradication of corruption is a responsibility of all States and that they must cooperate with one another, with the support and involvement of individuals and groups outside the public sector, and noting with appreciation the endeavours by States to promote their active participation, Recognizing article 4 of the Convention, according to which States parties shall carry out their obligations under the Convention in a manner consistent with the principles of sovereign equality and territorial integrity of States and that of __________________ 1

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See Official Records of the General Assembly, Sixty-eighth Session, Supplement No. 53 (A/68/53), chap. V, sect. A. Ibid., Seventieth Session, Supplement No. 53 (A/70/53), chap. V, sect. A. Ibid., Seventy-second Session, Supplement No. 53 (A/72/53), chap. V, sect. A. United Nations, Treaty Series, vol. 2349, No. 42146.

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non-intervention in the domestic affairs of other States, and recalling General Assembly resolution 70/1 of 25 September 2015, Bearing in mind that nothing in the Convention shall entitle a State party to undertake in the territory of another State the exercise of jurisdiction and performance of functions that are reserved exclusively for the authority of that other State under its domestic law, Noting with appreciation all relevant regional political declarations of States Members of the United Nations against corruption, Stressing the importance of the special session for preventing and combating corruption and strengthening international cooperation for that purpose by, inter alia, promoting the full and effective implementation of the obligations of the Convention, Stressing also that the 2030 Agenda for Sustainable Development 5 addresses the need to promote peaceful and inclusive societies for sustainable development, provide access to justice for all and build effective, accountable and inclusive institutions at all levels, and concerned about the seriousness of the problems and threats to the stability and security of societies posed by corruption, which undermine the institutions and values of democracy, ethics and justice and jeopardize sustainable development and the rule of law, Decides that the special session of the General Assembly on challenges 1. and measures to prevent and combat corruption and strengthen international cooperation shall be convened for three days, from 26 to 28 April 2021, at United Nations Headquarters, in New York; Also decides that the organizational arrangements for the special session 2. shall be as follows: (a) The special session shall consist of plenary meetings from 10 a.m. to 1 p.m. and from 3 to 6 p.m.; (b) The opening of the special session shall include statements by the President of the General Assembly, the Secretary-General, the President of the Conference of the States Parties to the United Nations Convention against Corruption and the Executive Director of the United Nations Office on Drugs and Crime; (c) The plenary meetings shall include statements by Member States, observer States, observers to the General Assembly and, time permitting, a limited number of representatives from relevant organizations attending the special session, in line with subparagraphs (d) and (e) below, selected by the President of the General Assembly, in consultation with Member States, with due regard for geographical balance and gender equity; the list of speakers shall be established in accordance with the established practices of the Assembly, 6 and the time limit for the statements will be five minutes for individual delegations and seven minutes for statements made on behalf of a group of States; (d) Representatives of non-governmental organizations in consultative status with the Economic and Social Council are invited to participate in the special session in accordance with the established practice of the General Assembly; (e) Recalls the established practice of the General Assembly, for the President of the General Assembly to draw up a list of other relevant representatives of non-governmental organizations, civil society organizations, academic institutions and the private sector who may attend the special session, taking into account the principles of transparency and equitable geographical representation, with due regard for the meaningful participation of women, in accordance with the established __________________ 5 6

General Assembly resolution 70/1. In accordance with the established practice of the General Assembly, if there are speakers from other non-governmental organizations that are not in consultative status with ECOSOC, this should be considered by Member States on a non-objection basis.

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practice of the General Assembly and submit the list to Member States for their consideration on a non-objection basis;7 3. Reiterates the central role of the Conference of the States Parties to the United Nations Convention against Corruption to improve the capacity of and cooperation among States parties to achieve the objectives set forth in the United Nations Convention against Corruption and to promote and review its implementation; Also reiterates its invitation to the Conference of the States Parties to lead 4. the preparatory process for the special session by addressing all organizational and substantive matters in an open-ended manner; 5. Invites all relevant United Nations system entities, including programmes, funds, specialized agencies and regional commissions, as well as relevant intergovernmental, regional and subregional organizations, to participate in the special session; Requests the extended Bureau of the Conference of the States Parties to 6. organize all actions to be taken by the Conference in preparation for the special session and to address all organizational and substantive matters in an open-ended and transparent manner, including by appointing facilitators for the informal consultations on the draft political declaration; 7. Also requests the extended Bureau of the Conference of the States Parties, in consultation with Member States, to develop a workplan and timeline to advance consultations on the political declaration; Affirms that the intersessional meetings of the Conference of the States 8. Parties on the preparations for the special session will be open to participation by all States parties and observers, in accordance with the rules of procedure of the Conference and established practice; 9. Reiterates its request to the United Nations Office on Drugs and Crime to provide substantive expertise and technical support; 10. Requests the Conference of the States Parties to produce, in due time, a concise and action-oriented political declaration agreed upon in advance by consensus through intergovernmental negotiations, under the auspices of the Conference for adoption by the General Assembly at its special session; 11. Also requests the Conference of the States Parties to hold a special session for the purpose of approving the political declaration for subsequent transmittal to the General Assembly for adoption at its special session against corruption; 12. Further requests the Conference of the States Parties to report to the General Assembly at its special session on the preparations that have been undertaken by the Conference for the session; 13. Reiterates the importance of an inclusive preparatory process, including extensive substantive consultations, and invites the Conference of the States Parties to hold up to three intersessional meetings, as required, to advance such consultations, encourages organs, entities and specialized agencies of the United Nations system, relevant international and regional organizations, civil society, academia and other relevant stakeholders to fully contribute to the preparatory process, in accordance with the relevant rules of procedure and established practice and requests the United Nations Office on Drugs and Crime to collect such contributions, including specific recommendations on the issues to be addressed by the General Assembly at its special session, and make them available to the Conference; __________________ 7

The list of proposed as well as final names will be brought to the attention of the General Assembly. Where a name is objected to, the objecting Member State will, on a voluntary basis, make known to the Office of the President of the General Assembly the general basis of its objections and the Office will share any information received with any Member State upon its request. 3/52

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14. Requests the secretariat of the Conference of the States Parties to prepare a report on creating synergies between the work and outcomes of the special session of the General Assembly and the forthcoming Conference of the States Parties to be held in 2021 and to present this report to the proposed intersessional meetings to be discussed and adopted by States parties; 15. Invites all Member States, observer States and observers to the General Assembly to consider being represented at the special session at the highest possible level; 16. Invites the President of the General Assembly to convene a high-level supporting event on the margins of the special session on challenges and measures to prevent and combat corruption and strengthen international cooperation; 17. Encourages the United Nations Office on Drugs and Crime, subject to the availability of extrabudgetary resources, to organize a youth forum to discuss ways for young people to contribute to efforts to prevent and counter corruption, and invites a youth forum representative, selected by the President of the General Assembly, to participate in the special session, including through the delivery of a statement on the outcome of the discussions at the youth forum, during the opening segment of the special session; 18. Reaffirms its decision in resolution 73/191 to conduct the special session and its preparatory process from within existing resources.

II. Resolutions adopted by the Conference of the States Parties to the United Nations Convention against Corruption A. Resolutions 1. At its eighth session, held in Abu Dhabi, from 16 to 20 December 2019, the Conference of the States Parties to the United Nations Convention against Corruption adopted the following resolutions:

Resolution 8/1

Strengthening of international cooperation on asset recovery and of administration of frozen, seized and confiscated assets The Conference of the States Parties to the United Nations Convention against Corruption, Welcoming the entry into force on 14 December 2005 of the United Nations Convention against Corruption, which is the most comprehensive and universal instrument on corruption, and recognizing the need to continue to promote its ratification or accession thereto and its full and effective implementation; Noting the high-level debate held on 23 May 2018 on the occasion of the fifteenth anniversary of the adoption of the Convention, at which the effectiveness of the Convention as a platform for mobilizing political and public action to fight corruption was reaffirmed, Reaffirming its commitment to fully implementing the provisions of the Convention in order to prevent and detect, in a more effective manner, international transfers of property acquired through the commission of an offence established in accordance with the Convention and to strengthen international cooperation in asset recovery, bearing in mind that corruption is a transnational phenomenon that affects all societies and economies, making international cooperation to prevent and combat it essential; 4/52

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Acknowledging the importance of promoting, facilitating and supporting international cooperation and technical assistance in the prevention of and fight against corruption, including in asset recovery, as set out in article 1, subparagraph (b), of the Convention, Noting the efforts of relevant international organizations and practitioner networks, including the Stolen Asset Recovery Initiative and the International Centre for Asset Recovery, whose activities are aimed at, inter alia, ensuring the effective sharing of information, best practices and experiences in asset recovery and the administration of proceeds of crime that have been frozen, seized or confiscated; Recognizing the importance of technical assistance and capacity-building organizations; Recalling its resolution 6/3 of 6 November 2015, in which it urged States parties to establish or strengthen domestic mechanisms for inter-agency coordination and intergovernmental cooperation and to ensure appropriate levels of informationsharing and coordination between competent authorities that have a role in efforts to prevent and prosecute corruption and in asset recovery, including, but not limited to, regulatory authorities, investigative authorities, financial intelligence units and prosecutorial authorities, Welcoming the progress report on the implementation of the mandates of the Working Group on Asset Recovery in which the Working Group reemphasized the importance of asset recovery as an important factor of the domestic resource mobilization required for the achievement of the Sustainable Development Goals (SDGs) and recommended strengthening cooperation between financial intelligence units, anti-corruption authorities and central authorities responsible for mutual legal assistance at the national and international levels; Recalling its resolution 7/1 of 6 November 2017, in which it urged States parties to ensure that the information provided regarding their central and competent authorities, in line with article 46, paragraph 13, of the Convention, was up to date, in order to enhance the dialogue on mutual legal assistance, Recalling also article 35 of the Convention, which obliges States parties to take measures, in accordance with principles of their domestic law, to ensure that entities or persons who have suffered damage as a result of an act of corruption have the right to initiate legal proceedings against those responsible for that damage in order to obtain compensation, Recalling further its resolution 7/1, in which it encouraged States parties to make full use of the possibility of concluding agreements or mutually acceptable arrangements for the return and final disposal of confiscated property pursuant to article 57, paragraph 5, of the Convention and to consider the Sustainable Development Goals in the use and management of recovered assets, while fully respecting the principles of sovereign equality and the territorial integrity of States and of non-intervention in the domestic affairs of other States, in line with article 4 of the Convention, Noting that the effective implementation of the provisions of article 31, paragraph 3, of the Convention, relating to the administration of frozen, seized and confiscated assets, is essential to depriving criminals of the proceeds of their crimes, Welcoming the preparation by the Secretariat of the study entitled Effective Management and Disposal of Seized and Confiscated Assets and also the draft nonbinding guidelines on the management of frozen, seized and confiscated assets, 8 and noting the practical benefits of those documents in the framework of improving national legislation and implementing the provisions of the Convention, Stressing the need for States parties to ensure, within their means and in accordance with the fundamental principles of their domestic law, that there are __________________ 8

CAC/COSP/WG.2/2018/3, annex. 5/52

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adequate mechanisms in place to manage and preserve the value and condition of assets pending the conclusion of confiscation proceedings and, where appropriate, non-conviction-based proceedings to recover identified proceeds of crime, Recalling its resolution 7/5 of 6 November 2017, in which it recalled the importance of States parties taking appropriate measures, within their means and in accordance with the fundamental principles of domestic law, to promote the active participation of individuals and groups outside the public sector, such as civil society, non-governmental and community-based organizations, the private sector and academia, in the prevention of and fight against corruption, and to raise public awareness regarding the existence, causes and gravity of and the threat posed by corruption, 1. Calls upon States parties to the United Nations Convention against Corruption1 to take effective measures at the national level to ensure effective implementation of the provisions of the Convention, in particular chapter V of the Convention on asset recovery; 2. Encourages States parties to take the necessary measures, in accordance with their domestic law, to implement the provisions of article 31, paragraph 3, of the Convention, relating to the administration by the competent authorities of frozen, seized and confiscated assets, in order to secure those assets or preserve their economic value, and to consider making that process of administration transparent; 3. Also calls upon States parties to consider, consistent with article 31, paragraph 3 of the Convention, where appropriate and consistent with their national legal systems, the possibility of establishing the necessary human and institutional capacities for competent authorities responsible for the administration of frozen, seized and confiscated proceeds of crime, as well as of improving the national legal basis for ensuring effective regulation of the administration of such proceeds, with a view to the return or disposal of the proceeds of crime, consistent with chapter V of the Convention; 4. Emphasizes that the principles of sovereign equality and territorial integrity of States and of non-intervention in the domestic affairs of other States should be fully respected during and after the return or disposal of confiscated property, and encourages States parties, where appropriate, to give special consideration to concluding agreements, or mutually acceptable arrangements, on a case-by-case basis, for return and final disposal of confiscated property, pursuant to article 57, paragraph 5; 5. Encourages States parties, in a common effort, to apply lessons learned in all areas of asset recovery cooperation by, inter alia, strengthening domestic institutions and enhancing international cooperation, including through participation in relevant international practitioner networks, such as the asset recovery focal points under the Convention against Corruption, the Global Focal Point Initiative, supported by the International Criminal Police Organization and the Stolen Asset Recovery Initiative, and the Camden Asset Recovery Inter-Agency Network and other similar networks, as well as regional initiatives, as appropriate; 6. Calls upon States parties to consider, with full respect of the fundamental principles of their domestic law and consistent with the Convention, the possibility of improving effectiveness of domestic inter-agency coordination by, inter alia, developing strategic policies to combat corruption and recover proceeds of crime; 7. Urges States parties to consider, in accordance with the fundamental principles of their domestic law and in accordance with the Convention, the establishment or further development of inter-agency or intergovernmental cooperation in identifying, tracing, freezing, seizing, confiscating and returning proceeds of crime which will enable States parties to better detect, deter and prevent acts of corruption; 8. Calls upon States parties to consider, in line with international standards and in accordance with their domestic law, with due respect for all the rights and 6/52

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guarantees provided under that law, improving lawful access to relevant information sources, including international databases, which would positively affect the quality and efficiency of the tracing of proceeds of crime with due respect to personal data; 9. Encourages the States parties to consider, with due regard to article 4 of the Convention, within their domestic legal framework or administrative arrangements, the various possible models of disposal and administration of confiscated proceeds of offences established in accordance with the Convention, including, but not limited to, allocating such proceeds to the national revenue fund or the State treasury, reinvesting of funds for special purposes and compensating victims of the underlying crime, also through the social reuse of assets to the benefit of communities, including with a view to returning such proceeds of crime in accordance with chapter V of the Convention; 10. Further calls upon States parties to ensure the effective use of State resources in the process of administering frozen, seized and confiscated assets, where appropriate and in accordance with their domestic legal systems, by deepening internal cooperation between competent authorities and enhancing the capacities of competent authorities responsible for the administration of such assets, with a view to involving them in the early stages of the process of preparing and planning asset seizures; 11. Welcomes the study prepared by the Secretariat entitled Effective Management and Disposal of Seized and Confiscated Assets, and decides that the Working Group should continue its work by, inter alia: (a) Continuing to collect information on best practices from States parties, with a view to completing the draft non-binding guidelines on the management of frozen, seized and confiscated assets and updating the study entitled Effective Management and Disposal of Seized and Confiscated Assets; (b) Continuing its efforts to collect information on challenges and barriers that States parties face, as well as best practices in recovery and return of proceeds of crime, with a view to proposing possible recommendations for full and effective implementation of chapter V of the Convention; (c) Continuing to provide reports to the Conference on its activities; 12. Encourages States parties to further work closely to strengthen capacities of competent authorities responsible for asset recovery to draw upon and improve the skills of experts on an ongoing basis in order to enhance the identification, tracing, seizure and confiscation of the proceeds of crime; 13. Recommends that States parties, where appropriate and in accordance with the fundamental principles of their domestic law and in accordance with the Convention, take necessary measures to develop or establish an appropriate legal framework and allocate the resources necessary to ensure that authorities responsible for investigating and prosecuting crimes of corruption, as well as tracing, seizing, freezing and confiscating the proceeds of crime and implementing measures for their return and administration are enabled to carry out their functions effectively and free from any undue influence; 14. Encourages States parties to remove barriers to applying measures for the recovery of assets, in particular by simplifying their legal procedures, where appropriate and in accordance with their domestic law, and by preventing abuse of such procedures; 15. Requests the Secretariat, within available resources, to provide assistance to the Open-ended Intergovernmental Working Group on Asset Recovery and the open-ended Intergovernmental Expert Meetings to enhance international cooperation under the Convention in the discharge of their functions, including through the provision of interpreting services in the six official languages of the United Nations; 16. Invites States parties and other donors to provide extrabudgetary resources for the purposes specified in the present resolution, in accordance with the rules and procedures of the United Nations. 7/52

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Resolution 8/2

Celebrating the tenth anniversary of the Mechanism for the Review of Implementation of the United Nations Convention against Corruption The Conference of the States Parties to the United Nations Convention against Corruption, Recalling article 63, paragraph 1, of the United Nations Convention against Corruption, 9 which established the Conference of the States Parties to the Convention to promote and review the implementation of the Convention, Recalling also its resolution 3/1 of 13 November 2009, entitled “Review mechanism”, in which it adopted the terms of reference of the Mechanism for the Review of Implementation of the United Nations Convention against Corruption and requested the Implementation Review Group to conduct an evaluation of the terms of reference, as well as the challenges encountered during the country reviews, at the conclusion of each review cycle, and to report to the Conference on the outcome of those evaluations, Acknowledging that continuing the process of evaluation of the performance of the Implementation Review Mechanism before the completion of the second review cycle on the basis of the experiences gained in the first review cycle could significantly contribute to useful outcomes, and that this process should be started without prejudice to any subsequent continuation of such work following the completion of the second review cycle, in accordance with decision 5/1 of 29 November 2013, Bearing in mind the terms of reference of the Implementation Review Mechanism, in particular the guiding principles and characteristics of the Mechanism and the functions of the Implementation Review Group, as established in section II and paragraph 44 of the terms of reference, respectively, Recalling its resolutions 4/1, 4/5 and 4/6 of 28 October 2011, in which it provided further guidance on the Implementation Review Mechanism and on the work of the Implementation Review Group, its decision 5/1 on preparations for the performance assessment of the Mechanism, and its resolution 6/1 of 6 November 2015, by which it launched the second cycle of the Mechanism, Recognizing that one of the goals of the Implementation Review Mechanism is to promote and facilitate international cooperation in the prevention of and the fight against corruption, including in the area of asset recovery, in accordance with the Convention, Welcoming the convening of the “First meeting of chairpersons, governing bodies and secretariats of the international instruments and mechanisms devoted to preventing and combating corruption to commemorate the fifteenth anniversary of the United Nations Convention against Corruption (Merida Convention)”, held in Mexico City on 14 May 2019, and welcoming also in this regard the high-level debate convened on 23 May 2018 by the President of the General Assembly to highlight emerging trends and promote the effective implementation of the Convention, Noting with appreciation the continued commitment of States parties to the country review process, which has so far led to the successful completion of 169 reviews under the first review cycle and 29 reviews under the second cycle, and taking note of the information gathered so far through the review of implementation of chapters II (Preventive measures), III (Criminalization and law enforcement), IV (International cooperation) and V (Asset recovery) of the Convention in the course of 237 country visits and joint meetings under both cycles and the training of focal __________________ 9

United Nations, Treaty Series, vol. 2349, No. 42146.

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points and governmental experts from 177 States for the review of the implementation of the Convention, Noting with concern the significant delays encountered in completing the first and second review cycles and how far behind schedule the second cycle is, compared with the projected schedule outlined in resolution 6/1, Recognizing the endeavour and existing practice of States parties to enhance their cooperation with relevant stakeholders, including the private sector, individuals and groups outside the public sector, such as civil society, non-governmental organizations and community-based organizations, in the context of the implementation review and country visits, while noting that each State party has the sovereign right to decide how to involve such stakeholders in the review process, in accordance with the fundamental principles of domestic laws, Commending the secretariat and the Implementation Review Group for their immense efforts in the past decade and for operating on the basis of clear, established guidelines for the compilation, production and dissemination of information in the conduct of country reviews, including the submission of the outcome to the Conference, as provided in paragraph 3 (g) of the terms of reference of the Implementation Review Mechanism, Recognizing the success of the Implementation Review Group in identifying good practices and challenges encountered by States parties in the fulfilment of their obligations under the Convention, disseminating the good practices and making efforts to address the challenges and provide technical assistance as needed, Remembering Dimitri Vlassis, the former Secretary of the Conference and Chief of the Corruption and Economic Crime Branch of the United Nations Office on Drugs and Crime, whose vision in the drafting of the Convention and the designing of its mechanisms and whose everlasting endurance in managing its day-to-day operations have brought the Convention to universality, 1. Commemorates the tenth anniversary of the establishment of the Mechanism for the Review of Implementation of the United Nations Convention against Corruption, and congratulates the States parties, the United Nations Office on Drugs and Crime, as the secretariat, and the Implementation Review Group on their ongoing efforts and the significant progress made to date to conclude the reviews under the first and the second cycles of the Mechanism, which have led to a better understanding of the phenomenon of corruption and its challenges worldwide; Encourages States parties to keep using the Implementation Review Group 2. as a platform for the voluntary exchange of information on national measures taken during and after the completion of country reviews, including strategies adopted, challenges encountered and best practices identified, as well as, where appropriate, the follow-up to the recommendations made in the country review reports, while taking into account the need for efficient discussions and decision-making processes in the sessions of the Group; 3. Welcomes the important and useful thematic implementation reports, regional supplementary addenda and updates on technical assistance needs prepared by the secretariat for the consideration of the Implementation Review Group, and encourages States parties, the United Nations and other stakeholders to make full use of those documents; Encourages States parties to make their country review reports publicly 4. available, in accordance with paragraphs 36, 37, 38 and 39 of the terms of reference of the Implementation Review Mechanism; Notes with appreciation the commitment of States parties to the country 5. review process in their capacity as both States under review and reviewing States, recognizes the involvement of relevant stakeholders in the country reviews, in accordance with the fundamental principles of domestic law, and urges them to adhere to the indicative timelines for country reviews, as contained in the guidelines for

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governmental experts and the secretariat in the conduct of country reviews, and to avoid, as much as possible, delays in the various stages of the review; Requests the secretariat to continue to provide to the Implementation 6. Review Group analyses of the time frames associated with the crucial stages of the review process, including statistics on the number of States parties that are behind schedule, with the aim of facilitating a more efficient process; 7. Encourages States parties to enhance active participation, including by representatives from competent authorities involved in preventing and combating corruption, in the meetings of the Implementation Review Group; Calls upon States parties to further promote, facilitate and support 8. international cooperation and technical assistance in the prevention of and fight against corruption, in line with article 1 (b) of the Convention, with a view to facilitating the implementation of article 43 of the Convention; 9. Welcomes the secretariat’s practice of arranging and facilitating trilateral meetings among States parties under review and reviewing States parties on the margins of sessions of the Implementation Review Group, and encourages States parties to make use of this helpful practice to enhance the efficiency of the review process; 10. Approves the set of non-binding recommendations and conclusions based on lessons learned regarding the implementation of chapters III and IV of the Convention as a potentially useful guide for practitioners, prepared in accordance with paragraph 11 of its resolution 6/1 and with paragraph 44 of the terms of reference and acknowledged in its decision 7/1 of 10 November 2017, and acknowledges that, while these non-binding recommendations and conclusions may be used to ensure consistency in the Implementation Review Mechanism, nothing in them is to be regarded as the sole option for the implementation of the relevant articles of the Convention; 11. Encourages States parties to periodically update their lists of governmental experts for the second review cycle and to nominate experts for the training courses organized by the secretariat of the United Nations Office on Drugs and Crimes for focal points and governmental experts participating in the review process, in order to familiarize them with its methodology and increase their capacity to participate in the reviews; 12. Requests the Implementation Review Group to continue to hold regular sessions at least once a year, based on an annotated provisional agenda and programme of work issued as early as possible in order to enable the States parties to plan the composition of the delegations and prepare for focused and efficient discussions on the main topics of the session, and, while taking into consideration the directions of the Conference, being able to adjust topics of discussion to maximize the effectiveness of its discussions and work outcomes, subject to the availability of existing resources; 13. Encourages the States parties, with the help of the secretariat, to voluntarily share their views in the Implementation Review Group, without prejudice to the existing mandates of the Group and the terms of reference of the Implementation Review Mechanism, on the possible ways forward following the end of the first review phase, and requests that the Group submit its report to the Conference at its tenth session; 14. Requests the Implementation Review Group to continue to collect, with the support of the secretariat, relevant information, including the views of States parties, pertaining to the performance of the Implementation Review Mechanism, with a view to continuing, at the appropriate time, its assessment of the performance of the Mechanism, as provided for in paragraph 48 of its terms of reference and decision 5/1, and in this regard to continue to report to the Conference on progress made, bearing in mind the request in paragraph 5 of resolution 3/1 for the evaluation of the terms of reference at the conclusion of each review cycle; 10/52

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15. Encourages the secretariat to continue to strengthen synergies with the secretariats of other relevant multilateral organizations in the field of anti-corruption, within their respective mandates, to avoid duplication of effort and enhance the performance of the various review mechanisms, in accordance with its resolutions 6/1 of 6 November 2015 and 7/4 of 10 November 2017, and requests the secretariat to report to the Implementation Review Group on progress made in this regard; 16. Encourages States parties that are members of different multilateral review mechanisms in the field of anti-corruption to support, within their respective organizations and within the governing bodies of those organizations, efficient and effective cooperation and coordination between the secretariats of those review mechanisms and the secretariat of the Conference, while respecting the mandates of all review mechanisms; 17. Calls upon States parties and the secretariat to continue to develop and promote the use of information and communications technologies in order to support the implementation of the Convention by the States parties and facilitate country reviews, in accordance with resolution 6/7 of 6 November 2015; 18. Encourages the Implementation Review Group to continue to conduct briefings on the outcomes of the review process for non-governmental organizations on the margins of the sessions of the Implementation Review Group, in accordance with resolution 4/6; 19. Requests the secretariat to submit a report to the Conference at its ninth session on the implementation of the present resolution. Resolution 8/3

Promoting integrity in the public sector among States parties to the United Nations Convention against Corruption The Conference of the States Parties to the United Nations Convention against Corruption, Acknowledging that the prevention of and the fight against all forms of corruption require a comprehensive and multidisciplinary approach, consistent with the United Nations Convention against Corruption 10 and the domestic legal frameworks of States parties, including by implementing chapter II and article 36 of the Convention, which, inter alia, require States parties to take appropriate legislative and regulatory measures and ensure the existence of specialized bodies to prevent and combat corruption, consistent with articles 6, 7 and 36 of the Convention, Highlighting the prominence that the Convention has given to the prevention of corruption as an integral part of a comprehensive approach to fighting corruption, as reflected in the commitment of States parties under chapter II of the Convention to take measures aimed at the prevention of corruption, Emphasizing that efforts by States parties to implement the Convention are mutually reinforcing and contribute to their efforts to implement the 2030 Agenda for Sustainable Development adopted by the General Assembly in its resolution 70/1 of 25 September 2015, and recalling all its Sustainable Development Goals, including Goal 16, which is to promote peaceful and inclusive societies for sustainable development, provide access to justice for all and build effective, accountable and inclusive institutions at all levels, Underlining, in view of the ongoing review of the implementation of chapter II of the Convention during the second cycle of the Mechanism for the Review of Implementation of the United Nations Convention against Corruption, the importance of the commitment of States parties to building legislative and institutional frameworks, policies, practices and capacities, consistent with the requirements of __________________ 10

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that chapter, and urging States parties to actively engage in the second cycle to complete their country reviews in a timely manner, Highlighting the importance of preventing and combating corrupt practices in the public sector and establishing a culture of integrity in that sector, given the severe economic and social impacts of corruption, including the citizens’ loss of trust in the public sector, Recalling its resolution 7/6, entitled “Follow-up to the Marrakech declaration on the prevention of corruption�, in which States parties are called upon to take measures to enhance integrity, transparency, accountability and the rule of law in public administration, in accordance with the fundamental principles of their legal systems, Acknowledging that sustainable efforts to uphold integrity in the public sector require strategies encompassing the broader public management and governance framework, Bearing in mind that the promotion of integrity is one of the purposes of the Convention and that it is essential for ensuring good governance and building a culture that is intolerant of corruption, Recognizing the importance of strengthening integrity in the public sector at all stages of the policy cycle, including, as appropriate, by undertaking a corruption risk analysis of internal policies and procedures in order to prevent, detect and sanction corruption, Recalling the importance of States parties taking appropriate measures, within their means and in accordance with the fundamental principles of their domestic law, to promote the active participation of individuals and groups outside the public sector, such as civil society, non-governmental and community-based organizations, the private sector and academia, in the prevention of and the fight against corruption, including the adoption of integrity measures, and to raise public awareness regarding the existence, causes and gravity of, and the threat posed by, corruption, Stressing the crucial importance of technical assistance in building and strengthening capacities and institutions of States parties so as to facilitate and promote the effective implementation of the provisions of chapter II of the Convention, Taking note with appreciation of the contributions that relevant international organizations and institutions, such as the United Nations Office on Drugs and Crime and the International Anti-Corruption Academy, can provide in the areas of technical assistance and training, upon the request of States parties, to enhance integrity in the public sector of States parties, 1. Urges all States parties to the United Nations Convention against Corruption, 11 consistent with their obligations under the Convention, and in accordance with the fundamental principles of its legal system, to commit to concrete actions aimed at preventing public sector corruption, and to strengthen internal cooperation between anti-corruption bodies and other public bodies, including public agencies and enterprises in adopting and implementing effective public integrity measures; Encourages States parties to establish, in accordance with their financial 2. capacity and domestic legal frameworks, customized integrity programmes for public bodies which are compatible with their size, complexity, structure and field of work, with a view to creating a framework for preventing, detecting and deterring acts of corruption; Invites States parties to develop integrity programmes in public bodies, 3. taking into consideration their institutional characteristics and responsibilities, and to __________________ 11

Ibid.

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introduce organizational standards of ethics and rules of conduct capable of, among other things, preventing and managing conflicts of interest; Encourages States parties to adopt specific measures to foster integrity in 4. public enterprises and so that those enterprises have mechanisms for effectively identifying, assessing and mitigating corruption risks; 5. Calls upon States parties to ensure that public bodies have the mandate and capacity to analyse, evaluate and mitigate corruption risks, and routinely monitor the results of integrity programmes; Encourages all States parties to provide the necessary resources, in 6. accordance with their legal systems, as appropriate, for the development, implementation and assessment of domestic integrity programmes; Urges States parties to consider adopting strategies to foster a culture of 7. integrity, honesty and responsibility throughout all aspects of public administration and to consider adopting, in accordance with the fundamental principles of their legal systems, procedures that reflect responsiveness, reliability, regulatory improvement, accountability, transparency and impartiality; Also urges States parties to include in the scope of their integrity 8. programmes, in accordance with the fundamental principles of their legal systems, such measures as are necessary to promote compliance by public officials with applicable standards of conduct, anti-corruption measures and public integrity values in interactions with the private sector, civil society, academia and individuals; Further urges States parties to promote effective integrity programmes at 9. all levels of government and to ensure that integrity programmes provide sufficient training and timely advice to public officials so as to enable them to understand and apply public integrity standards, as well as to make available clear and up-to-date information about the organization’s policies, rules and administrative procedures relevant to maintaining high standards of public integrity; 10. Recommends that States parties promote dialogue within their public bodies, regarding integrity matters, especially through the establishment of channels for discussion and advice on ethical dilemmas and public integrity concerns; 11. Emphasizes that senior public officials should take the lead in complying with integrity standards and that integrity programmes should have the support and commitment of senior public officials, who should exercise personal leadership in maintaining effective integrity programmes at their agencies and enterprises and should take necessary steps to foster a culture of integrity among public officials under their management; 12. Encourages States parties to enhance engagement of public bodies with relevant stakeholders, within their means and in accordance with the fundamental principles of their domestic laws, with regard to the promotion of integrity, including by granting relevant stakeholders effective access to information in the development and implementation of public policies in this area; 13. Also encourages States parties to engage the private sector in the promotion of integrity in its relations with the public sector, including, as appropriate, by encouraging the business community to develop and implement integrity programmes and policies that set forth clear integrity standards that regulate such relations; 14. Calls upon States parties to adopt mechanisms capable of providing effective, proportionate and dissuasive responses to violations of public integrity standards committed by public officials; 15 Recommends that States parties, in accordance with article 8 of the Convention, establish channels for reporting suspected violations of integrity standards, including, when appropriate, the possibility of confidentially reporting to a body with the mandate and capacity to initiate or conduct an independent

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investigation, consistent with article 33 of the Convention on the protection of reporting persons; 16. Calls upon States parties to use, when applicable and in accordance with the resources available, information and communication technologies to enhance the effective and efficient implementation of chapter II of the Convention, in line with Conference resolution 6/7 of 6 November 2016; 17. Requests the Secretariat, within its mandate, to continue to collect information on the legislative and administrative measures adopted to promote integrity in the public sector, in consultation with States parties and taking into consideration, among other things, the information gathered during the second review cycle of the Mechanism for the Review of Implementation of the United Nations Convention against Corruption and to make such information available to the Working Group on the Prevention of Corruption at its upcoming meetings, within existing reporting requirements; 18. Invites States parties and other donors to provide extrabudgetary resources for the purposes identified in the present resolution, in accordance with the rules and procedures of the United Nations. Resolution 8/4

Safeguarding sport from corruption The Conference of the States Parties to the United Nations Convention against Corruption, Reaffirming its resolution 7/8 of 10 November 2017, entitled “Corruption in sport�, in which it called upon States parties to strengthen and further coordinate their efforts to effectively mitigate the risks of corruption in sport, Recognizing the important role played by the United Nations Convention against Corruption12 in harmonizing the actions taken by Governments in the fight against corruption in all its forms, and reaffirming its relevance to promoting integrity, transparency and accountability and preventing corruption, including in sport, Reaffirming that sport is an important enabler of sustainable development, and recognizing the growing contribution of sport to the realization of justice and peace through its promotion of tolerance, fairness and respect and the contributions it makes to the empowerment of women and young people, individuals and communities, as well as to development objectives relating to health, education and social inclusion, Recognizing that sports organizations within the Olympic movement have the rights and obligations of autonomy, which include freely establishing and controlling the rules of sport, determining the structure and governance of their organizations, enjoying the right to elections free from any outside influence and the responsibility for ensuring that principles of good governance be applied, Recognizing also that corruption in sport undermines the fundamental principles of Olympism, as reflected in the Olympic Charter, Noting with great concern that corruption and organized and economic crime can undermine the potential of sport and its role in contributing to the achievement of the Sustainable Development Goals and targets contained in the 2030 Agenda for Sustainable Development,13 Recognizing the importance of protecting children and young people in sport from potential exploitation and abuse so as to ensure a positive experience and a safe environment that supports their healthy development,

__________________ 12 13

United Nations, Treaty Series, vol. 2349, No. 42146. General Assembly resolution 70/1.

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Concerned that the challenges posed by corruption could undermine the potential of sports to advance gender equality and the empowerment of women, Affirming the invaluable contribution of the Olympic and Paralympic movements in establishing sport as a unique means for the promotion of peace and development, in particular through the ideal of the Olympic Truce, acknowledging the opportunities provided by past Olympic and Paralympic Games, welcoming with appreciation all upcoming Olympic and Paralympic Games, and calling upon States parties that will host such Games and other major sporting events in the future, as well as other States parties, to enhance measures to address the risks of corruption related to such events, Recognizing the importance of ensuring transparency and integrity in the process used for selecting locations for major sporting events, Acknowledging the fundamental role played by States parties, with the assistance of the United Nations Office on Drugs and Crime, in preventing and combating corruption in sport, Recognizing the crucial role of the United Nations in combating and preventing corruption in sport and promoting integrity in sport, Recognizing also the contributions that other intergovernmental organizations and forums 14 make in the fight against corruption in sport and the promotion of integrity in sport, Noting that, while the implementation of the United Nations Convention against Corruption is the responsibility of States parties, the promotion of integrity, transparency and accountability and the prevention of corruption in sport are responsibilities to be shared by all relevant stakeholders, Highlighting, in this context, the contributions of sports organizations and the role of athletes, the media, civil society, academia and other private sector entities in safeguarding sport from corruption, and highlighting also the key role of public-private partnerships in this regard, Recognizing the continuing importance of multi-stakeholder partnerships in combating and preventing corruption in sport, and noting the contributions of the United Nations Office on Drugs and Crime to those partnerships, Welcoming the work of the United Nations Office on Drugs and Crime in the field of crime prevention and criminal justice and corruption, including through the development of relevant tools and guidance material and the provision of technical assistance, including in the context of the Global Programme for the Implementation of the Doha Declaration: Towards the Promotion of a Culture of Lawfulness, and the Global Programme on Safeguarding Sport from Corruption and Crime, Referring to the Memorandum of Understanding between the International Olympic Committee and the United Nations Office on Drugs and Crime signed in May 2011, which provides a framework for cooperation between the two entities in the fields of preventing and fighting corruption in sport, including through the delivery of capacity-building and technical assistance, upon request, Recalling General Assembly resolution 73/24 of 6 December 2018, entitled “Sport as an enabler of sustainable development”, and the references made therein to the threat to sport posed by corruption, Recalling also Economic and Social Council resolution 2019/16 of 23 July 2019, entitled “Integrating sport into youth crime prevention and criminal justice strategies”, in which the Council expressed concern about the risks to youth posed by corruption and crime in sport, __________________ 14

Such as the Council of Europe, the Commonwealth Secretariat, the Organization of American States and the Organization for Economic Cooperation and Development. See also, inter alia, the Group of 20 leaders’ declarations of 5 and 6 September 2013 and 8 July 2017. 15/52

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Taking note with appreciation of the report of the Secretary-General on strengthening the global framework for leveraging sport for development and peace,15 in which he proposed an update to the United Nations Action Plan on Sport for Development and Peace,16 Welcoming the international conferences on the theme “Safeguarding sport from corruption”, held in Vienna on 5 and 6 June 2018 and on 3 and 4 September 2019, noting their contribution towards international progress, and acknowledging their outcomes, 1. Calls upon States parties to strengthen and further coordinate their efforts in an inclusive and impartial manner, including under the auspices of the United Nations, to promote synergies between all relevant work streams, 17 inter alia, but not limited to, existing multi-stakeholder partnerships, to ensure the mainstreamed consideration of efforts to safeguard sport from corruption, which will contribute to the implementation of the 2030 Agenda for Sustainable Development,2 and to highlight the role of sport as a unique means for the promotion of peace, justice and dialogue during and beyond the period of the Olympic and Paralympic Games; Invites States parties, entities of the United Nations system, the 2. International Olympic Committee, the International Paralympic Committee and other stakeholders, including sports organizations, federations and associations, athletes, the media, civil society, academia and the private sector, to promote greater awareness, develop their capacity and provide technical assistance, where applicable and upon request, in order to address corruption in sport; Encourages States parties to further increase capacity, where possible, to 3. strengthen cooperation between their law enforcement authorities, with a view to more effectively tackling corruption crimes in sport, exacerbated, in particular, by the infiltration of organized crime, and to guarantee, without prejudice to their domestic law, the timely sharing of information concerning corruption, fraud and money-laundering in sport at the national, regional and international levels, and to do so using relevant modern technologies; Urges States parties to enforce their national legislation criminalizing 4. bribery and other forms of corruption by preventing, investigating and prosecuting corrupt acts involved in sports, bearing in mind, in particular, articles 12, 15 and 21 of the Convention and without prejudice to article 4 of the Convention; Encourages States parties to enhance cooperation between their law 5. enforcement authorities and sports organizations in order to effectively prevent, detect in a timely manner and counter corruption crimes in sport, as well as to facilitate the exchange of expertise and the dissemination of information, and to raise awareness within sports organizations and the sports community of the gravity of corruption offences; Requests the United Nations Office on Drugs and Crime, building on the 6. outcomes of the international conferences on the theme “Safeguarding sport from corruption”, to hold further international forums in Vienna to raise awareness and promote cooperation among relevant stakeholders; Invites States parties to consider establishing a Vienna chapter of the 7. Group of Friends of Sport for Development and Peace, an informal group of permanent missions to the United Nations in New York and Geneva serving as a platform to promote dialogue and exchange of views and information on issues

__________________ 15 16 17

A/73/325. See A/61/373. Including those on procurement, conflicts of interest, good governance and cooperation between criminal justice, law enforcement and sport organizations, other crimes, misconduct and misbehaviour in sport.

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relevant to the present resolution, Conference resolution 7/8 and activities and mandates of the United Nations Office on Drugs and Crime; 18 8. Calls upon States parties, where possible and in accordance with the fundamental principles of their legal systems, to inform the Secretariat of the names and addresses of authorities that may be able to assist other States parties in developing and implementing specific measures to address corruption in sport; Requests the United Nations Office on Drugs and Crime to develop, within 9. its mandate, in close consultation with States parties and in cooperation with interested stakeholders, a comprehensive thematic study on safeguarding sport from corruption, including consideration of how the Convention can be applied to prevent and counter corruption in sport, to update training materials, guides and tools for Governments and sports organizations, to disseminate information and good practices and to develop projects and deliver technical assistance, upon request, to support the implementation of the present resolution and further strengthen measures against corruption in sport; 10. Urges States parties and relevant stakeholders to address risks to vulnerable groups, in particular children and young athletes, posed by corruption in sport, with a view to promoting healthy lives and principles of integrity and to creating an atmosphere of intolerance towards corruption in junior and youth sport; 11. Invites States parties and relevant stakeholders, with a view to promoting gender equality and the empowerment of women, to actively encourage the greater participation and representation of women in sports-related activities, programmes and initiatives and in sports governing bodies, including by developing robust awareness programmes that address gender-related barriers in sport caused by corruption; 12. Encourages States parties and sports organizations, bearing in mind in particular articles 8, 32 and 33 of the United Nations Convention against Corruption,1 in conformity with national legislation and in the context of sport, to consider developing reporting mechanisms in sport and establishing effective protection measures for reporting persons and witnesses, to increase awareness of such measures and to make use of the joint publication of the United Nations Office on Drugs and Crime and the International Olympic Committee entitled Reporting Mechanisms in Sport: A Practical Guide for Development and Implementation and the publication of the United Nations Office on Drugs and Crime entitled Resource Guide on Good Practices in the Protection of Reporting Persons; 13. Encourages States parties and relevant stakeholders, including organizing committees, in the course of organizing sports events, to take the necessary steps to establish appropriate systems of procurement, based on transparency, competition and objective criteria in decision-making, that are effective, inter alia, in preventing corruption and to make use of the United Nations Office on Drugs and Crime publication entitled The United Nations Convention against Corruption: A Strategy for Safeguarding against Corruption in Major Public Events, as well as of its support tool; 14. Urges States parties, in accordance with their domestic legal systems, to strongly encourage sports organizations at all levels and relevant stakeholders to promote and enhance ethical practices and transparency in sport, including through the adoption, where appropriate, of term limits for senior officials of sports organizations and by developing and implementing conflict of interest policies, preparing and making publicly available relevant information, including statutes, rules and regulations, annual activity reports and main events reports, annual financial reports and summaries of reports or decisions taken during executive board and committee meetings, election processes and results, and monitoring the implementation of such policies and procedures, and encourages the use by sports organizations of the publication of the United Nations Office on Drugs and Crime __________________ 18

See General Assembly resolution 73/24. 17/52

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entitled An Anti-Corruption Ethics and Compliance Programme for Business: A Practical Guide; 15. Encourages States parties, in order to tackle the problems of competition manipulation, illegal betting and related money-laundering activities, to periodically evaluate national policies, effective practices and national law with a view to determining their efficiency and effectiveness in preventing and combating corruption in sport and to make use of the booklet entitled “Model criminal law provisions for the prosecution of competition manipulation� and the study entitled Criminalization Approaches to Combat Match-Fixing and Illegal/Irregular Betting: A Global Perspective, joint publications of the United Nations Office on Drugs and Crime and the International Olympic Committee, and of the Resource Guide on Good Practices in the Investigation of Match-Fixing and National Anti-Corruption Strategies: A Practical Guide for Development and Implementation, published by the United Nations Office on Drugs and Crime; 16. Also encourages States parties to enhance international cooperation to tackle illegal betting, given its cross-border dimension; 17. Calls upon States parties to ensure that organizations involved in host selection operate in a transparent manner and in conformity with the applicable rules and procedures; 18. Requests the Executive Director of the United Nations Office on Drugs and Crime to provide information to the Secretary-General on the implementation of resolution 7/8 and the present resolution as a possible contribution to his report on the implementation of resolution 73/24 on sport as an enabler of sustainable development, to be submitted to the General Assembly at its seventy-fifth session; 19. Invites States parties and other donors to provide extrabudgetary resources for the purposes identified in the present resolution, in accordance with the rules and procedures of the United Nations.

Resolution 8/5

Enhancing integrity by raising public awareness The Conference of the States Parties to the United Nations Convention against Corruption, Welcoming the commitments of the States parties to the United Nations Convention against Corruption 19 to achieving appropriate policies and preventive measures to enhance integrity and combat corruption, Acknowledging the multiplicity and diversity of approaches to preventive measures, and that such approaches may require context-based, sector-specific and country-specific adaptation, bearing in mind the Convention as a starting point, Noting the corrosive impact that corruption has on the development of the rule of law, including by undermining the legitimacy and effectiveness of key public institutions, Reaffirming the need to implement chapter II of the Convention to prevent and combat corruption, Recognizing that, while the implementation of the Convention is the responsibility of States parties, the promotion of a culture of integrity, transparency and accountability and the prevention of corruption are responsibilities shared by all stakeholders and sectors of society, in accordance with chapter II of the Convention,

__________________ 19

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Recalling article 7, paragraph 1 (d), of the Convention, in which States parties are called upon to promote education and training programmes to enable public officials to meet the requirements for the correct, honourable and proper performance of public functions, including specialized training to enhance their awareness of the risks of corruption inherent in the performance of their functions, Recognizing the important contribution of the United Nations Office on Drugs and Crime and other relevant international organizations and institutions, such as the International Anti-Corruption Academy, in providing technical assistance and training to raise public awareness and enhance integrity, Recalling article 13 of the Convention, in which each State party is called upon to take appropriate measures, within its means and in accordance with fundamental principles of its domestic law, to promote the active participation of individuals and groups outside the public sector, such as civil society, non-governmental organizations and community-based organizations, in the prevention of and the fight against corruption and to raise public awareness regarding the existence, causes and gravity of and the threat posed by corruption, Convinced that effective measures for the prevention of corruption promote good governance in all sectors, reinforce trust in public institutions and increase corporate social responsibility, in both the public and private sectors, Recalling the adoption of the 2030 Agenda for Sustainable Development,20 and that Sustainable Development Goal 16 of the 2030 Agenda addresses the need to promote peaceful and inclusive societies for sustainable development, provide access to justice for all and build effective, accountable and inclusive institutions at all levels, and stressing the importance of target 16.5 to substantially reduce corruption and bribery in all its forms, Bearing in mind the decision of the General Assembly in its resolution 58/4 of 31 October 2003 to designate 9 December as International Anti-Corruption Day, Calls upon States parties to promote awareness of the concept of 1. corruption and point out its dangers and effects, as well as the importance of maintaining integrity and of self-monitoring and the non-tolerance of corruption; 2. Encourages States parties to implement article 13 of the Convention, including by promoting the participation of the private sector and academia in the prevention of and the fight against corruption, and to raise public awareness regarding the existence, causes and gravity of and the threat posed by corruption; Encourages States parties to use technological innovations, including 3. e-government instruments, and social media to promote public awareness and disseminate information aimed at contributing to the non-tolerance of corruption; Encourages States parties to raise awareness of administrative procedures 4. for accessing information regarding anti-corruption laws and programmes and to make them available to those interested in accordance with domestic laws; 5. Also encourages States parties to consider, where appropriate and without prejudice to the protection of privacy and personal data, the use of technology systems to raise public awareness of and provide relevant information on anti-corruption laws and regulations, noting that, in accordance with the principles of domestic laws, such information may include: (a) Relevant information on the rights and obligations of public servants and the general public; (b) Information on the evaluation of the performance of government programmes;

__________________ 20

General Assembly resolution 70/1. 19/52

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(c) The functions, responsibilities and roles of the designated public servants or offices; (d)

The decision-making process for obtaining public services;

Calls upon States parties to raise public awareness of the use of public 6. communication channels to facilitate public reporting on corrupt practices by highlighting ways for reporting cases of corruption and, when appropriate, publish relevant statistical reports on corruption; 7. Urges States parties to increase public awareness of means for reporting instances of corruption, including by disseminating information regarding the rights and responsibilities of whistle-blowers in accordance with domestic legislations; Encourages States parties to establish national educational programmes to 8. build a culture of zero tolerance for corrupt practices, as a tool to raise awareness and enhance integrity among young people in order to mitigate risks of corruption; Also encourages States parties to take advantage of capacity-building and 9. training programmes provided by the United Nations Office on Drugs and Crime and other relevant international organizations and institutions, such as the International Anti-Corruption Academy, to increase public awareness and integrity; 10. Invites States parties, through their relevant entities, to raise public awareness of the threat posed by corruption and to launch national awareness campaigns, within their means and in accordance with the fundamental principles of their national laws, on the importance of integrity and the dangers of corruption; 11. Emphasizes to States parties the importance of raising public awareness of the threat posed by corruption and its consequences by means of public displays, such as billboards, text messages and broadcast advertising; 12. Also emphasizes to States parties the need to take appropriate measures to promote the active participation of individuals and groups outside the public sector, so that the conditions are present for their effective contribution to achieving the objectives of the Convention, such as measures for respecting, promoting and protecting the freedom to seek, receive, publish and disseminate information concerning corruption, and for civil society institutions and the media to organize and operate independently and without fear of reprisal because of their efforts in that regard, consistent with relevant international norms and in accordance with domestic laws; 13. Encourages States parties that have not already done so to designate 9 December as International Anti-Corruption Day as an instrument to raise public awareness on the threat posed by corruption. Resolution 8/6

Implementation of international obligations to prevent and combat bribery as defined under the UN Convention against Corruption The Conference of the States Parties to the United Nations Convention against Corruption, Reaffirming that the full and effective implementation of the Convention’s obligations is essential for preventing and combatting corruption more effectively and efficiently, Noting that those who engage in transnational bribery, whether natural or legal persons, should be held accountable by all States parties, consistent with domestic law and the requirements of the United Nations Convention against Corruption,21 __________________ 21

United Nations, Treaty Series, vol. 2349, No. 42146.

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Reaffirming that chapter III of the Convention obligates all States parties to criminalize and punish transnational bribery as provided by the Convention, and reaffirming also the commitment of States parties to giving effect to those obligations, and recognizing the relevance of implementation of chapters II, IV and V in that regard, Bearing in mind that States parties giving effect to their obligations under chapters III, IV and V would be conducive to dissuading criminals, Recognizing article 4 of UNCAC, according to which its parties shall carry out the obligations under this Convention in a manner consistent with the principle of sovereign equality and territorial integrity of States and that of non-intervention in the domestic affairs of other States, and recalling General Assembly resolution 70/1, adopting the 2030 Agenda for Sustainable Development, and, in this regard, encouraging States parties to remove restrictive measures that negatively impact international cooperation in preventing and combatting corruption, Bearing in mind that nothing in the UNCAC shall entitle a State party to undertake in the territory of another State the exercise of jurisdiction and performance of functions that are reserved exclusively for the authority of other States by its domestic law, Recognizing the barriers and international challenges of States parties in implementing and enforcing the Convention, and at the same time finding appropriate balance between any immunities or jurisdictional privileges and enforcement of the Convention, in accordance with obligations under article 30 paragraph 2, Recognizing the relevance of chapters IV and V of the Convention to preventing and combatting corruption, including bribery, Welcoming the progress made by States parties in giving effect to chapter III of the Convention, in particular regarding the criminalization of bribery of national public officials and of foreign public officials and officials of public international organizations, while recognizing that further efforts must be made to achieve full and effective implementation and, in particular, enforcement, of the obligations, and fully respecting the provisions, of the UNCAC by all States parties, Recognizing the critical importance of effective international cooperation in efforts to detect, investigate, and prosecute acts of bribery of national public officials and of foreign public officials and officials of public international organizations, and recalling article 46 of the Convention in which States parties are mandated to afford one another the widest measure of mutual legal assistance in investigations, prosecutions, and judicial proceedings in relation to the offences covered by the Convention as well as improving the effectiveness and the efficiency of the cooperation in the recovery of proceeds of crime emanating from the bribery, Taking note of the role that the private sector can play in preventing and combating bribery of national public officials and of foreign public officials and officials of public international organizations, and the importance of promoting cooperation between corruption prevention agencies, law enforcement agencies and relevant private entities in that regard, in accordance with domestic law, while maintaining strong enforcement efforts against those entities that choose to engage in bribery,

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Noting also the efforts of other international and regional organizations and forums to prevent and combat bribery of national public officials and of public foreign officials and officials of public international organizations, 1. Calls upon States parties to fulfil their obligations under articles 15 and 16 of the United Nations Convention against Corruption,1 in accordance with the Convention and its terms, to criminalize the bribery of national public officials, as well as of foreign public officials and officials of public international organizations, including the solicitation and acceptance of bribes by a national public official, and to strengthen their efforts to effectively enforce those laws; 2. Also calls upon States parties to the Convention to fulfil their commitments under article 26 of the Convention, in accordance with its terms, to establish the liability of legal persons for participation in the offences established in the Convention, including bribery of national public officials and of foreign public officials and officials of public international organizations, and to effectively enforce those laws with effective, proportionate and dissuasive criminal or non-criminal sanctions; 3. Further calls upon States parties to the Convention to fulfil their commitments, under articles 12 and 13, to prevent corruption involving the private sector, including the bribery of national and of foreign public officials and officials of public international organizations, by taking measures in accordance with their domestic law and regulations regarding the maintenance of books and records, financial statement disclosures and accounting and auditing, and calls upon States parties to effectively enforce those measures; 4. Encourages States parties to use the outcome of their country reviews to strengthen their anti-corruption frameworks including implementation of the mandatory provisions of articles 15 and 16 and encourages States parties to consider using the Implementation Review Group to update each other on their efforts to do so, and invites the Secretariat to collect good practices and lessons learned in this regard; 5. Encourages States parties to ensure in particular that all modalities of the commission of bribery of national and of foreign public officials and officials of public international organizations (promising, offering, giving, soliciting, accepting), as well as third party beneficiaries and indirect acts, are criminalized in accordance with the requirements set forth in the Convention, and that the subjects of the offense include all categories of persons listed in article 2 of the Convention, Stresses the importance of sustained and enhanced political will and the 6. commitment of all States parties, consistent with the Convention, to criminalize bribery of national public officials and foreign public officials and officials of public international organizations and to hold accountable those who commit those offences, noting the importance of international cooperation in that regard; 7. Encourages States parties to take all measures to prevent and detect article 15 and article 16 bribery offenses, ensuring that, consistent with domestic legislation, information useful to competent authorities for investigative and evidentiary purposes is referred in a timely fashion to law enforcement authorities responsible for investigating and prosecuting such crimes; 8. Notes the efforts of State Parties to sanction bribery of national public officials and foreign public officials and officials of public international organizations

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consistent with the terms of the Convention including through alternative legal mechanisms and non-trial resolutions, including settlements; 9. Encourages States parties that are using alternative legal mechanisms and non-trial resolutions, including settlements to sanction cases of bribery of national public officials and of foreign public officials and officials of public international organizations, where appropriate and consistent with domestic legal systems and the terms of the Convention, to cooperate with all relevant States parties to enhance information-sharing bearing in mind that will enhance prevention and prosecution of bribery offences; 10. Calls on States parties to ensure that easy, accessible channels and appropriate measures are in place for the reporting of suspected acts of bribery of national public officials and of foreign public officials and officials of public international organizations in business transactions to competent authorities, in accordance with their domestic legal systems; 11. Also urges States parties to encourage their law enforcement authorities, in accordance with their domestic law, to be active in effectively investigating and prosecuting bribery of national public and of foreign public officials and officials of public international organizations, including acts of solicitation and the acceptance of bribes by national public officials; 12. Encourages States parties to conduct training and awareness-raising activities, consistent with articles 7 and 13 of the Convention, to enhance the familiarity of both national public officials and the general public with domestic bribery laws, implementing articles 15 and 16 of the convention, including laws on the solicitation of bribes, with a view to stopping bribery offenses; 13. Encourages States parties using alternative legal mechanisms and non-trial resolutions, including settlements to resolve cases of bribery of national public officials and of foreign public officials and officials of public international organizations to share information and make public concluded cases, consistent with the Convention and in line with requirements on the national level, and where appropriate, to promote prosecutions consistent with obligations under articles 15 and 16 of the Convention; 14. Stresses the importance of international cooperation and the sharing of information between States parties, in accordance with domestic law, in the detection, investigation and prosecution of cases involving the bribery of national public officials and of foreign public officials and officials of public international organizations and those involving asset recovery, as set forth in chapters III, IV and V of the Convention; 15. Emphasizes that it is crucial to establish jurisdiction to combat bribery offenses in accordance with article 42 of the Convention and urges States parties for their competent authorities to, consistent with domestic law and as appropriate, consult one another and work together with a view to coordinating their actions and resolving conflicts on jurisdiction for prosecution or enforcement in bribery cases involving multiple jurisdictions; 16. Calls upon States parties to dispose of and return the confiscated proceeds of crime derived from bribery cases in accordance with their domestic legal systems and article 57 of the Convention;

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17. Encourages States parties that have not yet done so to consider the Convention as a legal basis for extradition in respect of offences covered by it, when possible in their domestic legal system, and to endeavour to conclude bilateral extradition agreements and arrangements to carry out or to enhance the effectiveness of extradition; 18. Encourages States parties to conclude appropriate bilateral or multilateral agreements or arrangements, for the use of special investigative techniques in the context of international cooperation to investigate and prosecute transnational bribery cases, as set forth in article 50 of the Convention, without prejudice to article 4 of the Convention; 19. Also encourages States parties to, consistent with domestic law, transmit information related to foreign bribery without prior request, to interested competent authorities of other States parties, in line with article 46, paragraph 4, of the Convention, when they believe that such information could assist those authorities, without prejudice to mutual legal assistance; 20. Invites States parties to take measures as may be necessary to encourage, in accordance with their domestic law and article 39 of the Convention, the effective cooperation of the private sector with their national authorities in investigations and prosecutions of offenses established in accordance with the Convention, including, in particular, articles 15 and 16; 21. Recommends that States parties consider, in accordance with their domestic legal systems, establishing confidential complaint systems and effective programmes and measures for the protection of witnesses, experts and victims and reporting persons, consistent with articles 32 and 33 of the Convention; 22. Strongly encourages States parties to raise awareness within the private sector on the need to establish and implement appropriate anti-corruption ethics and compliance programmes or measures and invites States parties to consider in accordance with their domestic laws to provide appropriate incentives for the effective implementation of such programmes or measures; 23. Invites States parties, in accordance with domestic law, to consider the possibility of providing appropriate incentives for effective cooperation with national authorities in investigations and prosecutions of offences established in accordance with the Convention, including, in particular, articles 15 and 16; 24. Calls upon States parties to continue the exchange of best practices and precise information on successful cases of cooperation between different States parties relating to the implementation of articles 15 and 16 of the Convention; 25. Decides that the Implementation Review Group should include as a topic for 2020 best practices and lessons learned by States parties in investigating and enforcing their laws implementing articles 15 and 16 of the Convention including solicitation, as well as strengthening international cooperation in this regard.

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Resolution 8/7

Enhancing the effectiveness of anti-corruption bodies in fighting corruption The Conference of the States Parties to the United Nations Convention against Corruption, Recalling article 65, paragraph 1, of the United Nations Convention against Corruption, 22 on implementation of the Convention, which states that each State party shall take the necessary measures, including legislative and administrative measures, in accordance with the fundamental principles of its domestic law, to ensure the effective implementation of the Convention, Recalling also that the purposes of the Convention are: (a) To promote and strengthen measures to prevent and combat corruption more efficiently and effectively; (b) To promote, facilitate and support international cooperation and technical assistance in the prevention of and the fight against corruption, including in asset recovery; (c) To promote integrity, accountability and the proper management of public affairs and public property, Recalling further article 61 of the Convention, on the collection, exchange and analysis of information on corruption, in particular paragraph 3, by which each State party is required to consider monitoring its policies and actual measures to combat corruption and making an assessment of their effectiveness and efficiency, Recalling Conference resolution 3/1 of 13 November 2009, by which the terms of reference of the Mechanism for the Review of Implementation of the United Nations Convention against Corruption were adopted, Highlighting the importance of other relevant multilateral and regional instruments on preventing and combating corruption, Noting also the holding of the Regional Conference on Effectiveness of Anti-Corruption Agencies and Financial Intelligence Units in Fighting Corruption and Money-Laundering in Africa, in Mauritius in May 2018, in collaboration with the African Development Bank, at which the need to develop effectiveness indicators and a monitoring and evaluation framework for anti-corruption agencies was identified, Taking note of the communiquĂŠ of the above-mentioned Regional Conference, in which participants recommended that the outcome of the Regional Conference be reflected in a formal resolution to be adopted by the Conference of the States Parties to the United Nations Convention against Corruption at its eighth session, Taking note also of the Jakarta Statement on Principles for Anti-Corruption Agencies, issued on 27 November 2012, in which the participants of the Jakarta conference called for accountability and the safeguarding of political, functional, operational and financial independence as a means of ensuring the effectiveness of anti-corruption authorities, Taking note further of the work of the first Global Expert Group Meeting on Corruption involving Vast Quantities of Assets, held in Lima from 3 to 5 December 2018, and of the second Global Expert Group Meeting on Corruption involving Vast Quantities of Assets, held in Oslo from 12 to 14 June 2019, in identifying best practices for strengthening cooperation between experts in order to more effectively prevent and combat corruption involving vast quantities of assets, __________________ 22

United Nations, Treaty Series, vol. 2349, No. 42146. 25/52

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Recognizing that increasingly complex and sophisticated methods are being used to avoid anti-corruption measures, and acknowledging the emerging challenges in the fight against corruption and other offences covered by the Convention, Highlighting the need to coordinate and share the necessary tools, experiences and means of taking up the challenge of more effectively countering different forms of corruption, Recognizing that natural and legal persons that engage in corrupt acts should be held accountable and be prosecuted by the respective domestic authorities, consistent with domestic law and the requirements of the Convention, and that public and private organizations should take anti-corruption measures, Recognizing also that consistent with article 65, paragraph 2, of the Convention and in accordance with the fundamental principles of a State’s domestic law, each State party may adopt measures for preventing and combating corruption that are stricter or more severe than those provided for in the Convention, Encourages States parties to the United Nations Convention against 1. Corruption1 to give adequate consideration and resources to enhance the effectiveness of anti-corruption agencies and agencies with anti-corruption responsibilities, consistent with article 6 of the Convention, in order to meet the emerging challenges in preventing and combating different forms of corruption; Calls upon States parties to use the outcome of their country reviews to 2. strengthen their anti-corruption framework, including through technical assistance, where requested; 3. Decides to include the issue of enhancing the effectiveness of anti-corruption bodies in the agenda of the Working Group on the Prevention of Corruption; 4. Requests the secretariat to carry out a study on best practices, lessons learned and challenges encountered by States parties in their efforts to enhance the effectiveness of anti-corruption bodies, and invites States parties to submit information in this regard; Also requests the secretariat, in collaboration with the Working Group on 5. the Prevention of Corruption, to submit to the Conference at its ninth session a report on the progress made and the challenges encountered in the implementation of the present resolution, for follow-up and review; Invites States parties and other donors to provide extrabudgetary resources 6. for the purposes identified in the present resolution, in accordance with the rules and regulations of the United Nations.

Resolution 8/8

Follow-up to the Marrakech declaration on the prevention of corruption The Conference of the States Parties to the United Nations Convention against Corruption, Concerned about the seriousness of the threats that corruption poses to the stability of societies by eroding the legitimacy and effectiveness of key public institutions and the values of democracy and by jeopardizing sustainable development and the rule of law, Highlighting the importance of the United Nations Convention against Corruption23 and the prominence it has given to the prevention of corruption as part __________________ 23

United Nations, Treaty Series, vol. 2349, No. 42146.

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of a comprehensive approach to fighting corruption by having its entire chapter II devoted to measures to prevent corruption, Reaffirming its resolution 6/1 of 6 November 2015, in which it launched the second cycle of the Mechanism for the Review of Implementation of the United Nations Convention against Corruption, including the review of chapter II (Preventive measures), Underlining, in view of the ongoing review of the implementation of chapter II of the Convention during the second cycle of the Implementation Review Mechanism, the importance of building legislative and institutional frameworks and capacities consistent with the requirements of that chapter, Recalling its resolution 5/6 of 29 November 2013, entitled “Private sector”, and resolution 6/5 of 6 November 2015, entitled “St. Petersburg statement on promoting public-private partnership in the prevention of and fight against corruption”, Welcoming the progress made by States parties and the Secretariat in the implementation of Conference resolutions 5/4 of 29 November 2013 and 6/6 of 6 November 2015, entitled “Follow-up to the Marrakech declaration on the prevention of corruption”, and underlining the need to maintain efforts in that regard, Acknowledging the crucial importance of technical assistance, in particular to developing countries, in strengthening structural, institutional and human capacity and thereby facilitating implementation of the provisions of chapter II of the Convention, Encourages States parties to promote universal adherence to the United 1. Nations Convention against Corruption, 1 and urges all States that have not yet done so to consider ratifying or acceding to the Convention as soon as possible; Calls upon States parties to continue and to reinforce the effective 2. implementation of the preventive measures outlined in chapter II of the Convention, including by addressing the recommendations emanating from the Mechanism for the Review of Implementation of the United Nations Convention against Corruption, and in the resolutions of the Conference of the States Parties; Welcomes the ongoing efforts of the Open-ended Intergovernmental 3. Working Group on the Prevention of Corruption to facilitate the sharing of information between States parties on their initiatives and good practices relating to the topics considered at the meetings of the Working Group held in Vienna from 5 to 7 September 2018 and 4 to 6 September 2019; Underlines the importance of the conclusions and recommendations of the 4. Working Group at the above-mentioned meetings, and encourages States parties to implement them as appropriate; Decides that the Working Group should continue its work to advise and 5. assist the Conference in the implementation of its mandate on the prevention of corruption and should hold at least two meetings prior to the ninth session of the Conference; Welcomes the commitment made and efforts undertaken by States parties 6. to provide information on good practices in preventing corruption that is gathered, systematized and disseminated by the Secretariat in the performance of its functions as an international observatory, requests States parties to continue sharing information, and requests the Secretariat, subject to the availability of extrabudgetary resources, to continue its work as an international observatory, including by updating the thematic website of the Working Group with relevant information; Highlights the importance of the Secretariat’s work, in accordance with 7. the agreed terms of reference of the Mechanism for the Review of Implementation of the United Nations Convention against Corruption, on the preparation of thematic reports on the implementation of chapter II of the Convention, as well as

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supplementary regional addenda, and requests the Secretariat to share those reports with the Working Group; Encourages States parties to develop, revise and update, where appropriate 8. and in accordance with the fundamental principles of their legal systems, national anti-corruption strategies and/or action plans addressing, inter alia, the needs identified during their country reviews and to promote such strategies and/or action plans as a tool for country-led and country-based, integrated and coordinated technical assistance programming and delivery; Calls upon States parties to ensure that anti-corruption bodies have the 9. necessary independence and competence, in accordance with the fundamental principles of their legal systems, as well as the material resources and specialized staff, and the training that such staff may require to carry out their functions effectively and free from undue influence, in accordance with article 6, paragraph 2, of the Convention, and to take note of the Jakarta Statement on Principles for Anti-Corruption Agencies, developed by the International Conference on Principles for Anti-Corruption Agencies, held in Jakarta on 26 and 27 November 2012; 10. Reminds States parties of their commitment under article 6 of the Convention, which states that each State party shall, in accordance with the fundamental principles of its legal system, ensure the existence of a body or bodies, as appropriate, that prevent corruption by such means as: (a) Implementing the policies referred to in article 5 of the Convention and, where appropriate, overseeing and coordinating the implementation of those policies; (b) Increasing and disseminating knowledge about the prevention of corruption; 11. Calls upon States parties to take measures to enhance integrity, transparency, accountability and the rule of law in public administration, in accordance with the fundamental principles of their legal systems, including through the promotion of effective public service delivery, the use of information and communications technologies and the establishment of measures and systems to facilitate the reporting of incidents that may be considered to constitute offences established in accordance with the Convention; 12. Urges States parties to promote the integrity and accountability of their criminal justice systems, including by developing innovative ways of enhancing judicial integrity, in accordance with the Convention and consistent with paragraph 5(d) of the Doha Declaration on Integrating Crime Prevention and Criminal Justice into the Wider United Nations Agenda to Address Social and Economic Challenges and to Promote the Rule of Law at the National and International Levels, and Public Participation, 24 adopted by the Thirteenth United Nations Congress on Crime Prevention and Criminal Justice, held in Doha from 12 to 19 April 2015, while bearing in mind the independence of the judiciary, in accordance with the fundamental principles of their legal systems, and notes with appreciation the assistance provided by the United Nations Office on Drugs and Crime to States parties, upon request, to strengthen integrity and anti-corruption measures in institutions of the criminal justice system; 13. Calls upon States parties to strengthen measures to prevent corruption in the public procurement process and the management of public finances, as well as to ensure adequate access to information, and to promote, as appropriate, the involvement of the private sector in the prevention of corruption; 14. Also calls upon States parties to use the Convention as a framework for the development of tailored anti-corruption safeguards, including in specific vulnerable areas, and requests the Secretariat to assist States parties in doing so, upon request and subject to the availability of extrabudgetary resources; __________________ 24

General Assembly resolution 70/174, annex.

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15. Reiterates the importance of efforts by States parties to promote, in accordance with the fundamental principles of their domestic legal systems, the measures outlined in article 12 of the Convention, which are designed to prevent and, if appropriate, combat corruption involving the private sector, and requests the Secretariat to continue to assist States parties, upon request, in those efforts; 16. Encourages States parties, in accordance with their domestic law, to consider taking measures to encourage cooperation between their competent authorities and the private sector and to endeavour to periodically evaluate these measures in order to better prevent and detect corruption; 17. Also encourages States parties to consider, where appropriate and in accordance with the fundamental principles of their domestic law, promoting the development of standards and procedures designed to safeguard the integrity of relevant private entities, including codes of conduct for the correct, honourable and proper performance of the activities of business and all relevant professions, and the prevention of conflicts of interest, and for the promotion of the use of good commercial practices among businesses and in the contractual relations of businesses with the State; 18. Further encourages States parties, with the assistance of the Secretariat and in collaboration with relevant regional and international organizations, where appropriate, to continue strengthening public-private partnerships in the prevention of and the fight against corruption by, inter alia, facilitating the adoption of domestic legislation or regulations implementing article 12 of the Convention, where appropriate and necessary, organizing opportunities for the exchange of relevant experience and good practices in this field and raising awareness of the principles of the Convention within the private sector; 19. Calls upon States parties to promote, in accordance with the fundamental principles of their legal systems, the adoption, maintenance and strengthening of systems that promote transparency and prevent conflicts of interest and, where appropriate, to make use of innovative and digital instruments in this field; 20. Welcomes the work of the United Nations Office on Drugs and Crime under its Global Programme for the Implementation of the Doha Declaration, supported by Qatar, on judicial integrity and education through its Education for Justice initiative, and requests the Office to continue, in close consultation with States parties, its efforts to promote education on the rule of law, anti-corruption and crime prevention and criminal justice in collaboration with other international organizations, as well as with other relevant partners; 21. Requests States parties to promote training and education on the prevention of corruption, welcomes the achievements made under the Anti-Corruption Academic Initiative, and requests the United Nations Office on Drugs and Crime to continue, in cooperation with relevant partners, to develop comprehensive academic and other educational materials in the field of anti-corruption for universities and other institutions and to support States parties in this field; 22. Requests the United Nations Office on Drugs and Crime to continue to provide and develop capacity-building initiatives, including new knowledge products, guidance notes on implementation of article 6 of the Convention and technical tools, upon request and subject to extrabudgetary resources, on measures to prevent corruption, to identify comparative good practices, and to facilitate the exchange of expertise and lessons learned among States parties; 23. Recognizes the importance of including the prevention of corruption in the broader development agenda, including through the implementation of Sustainable Development Goal 16 and other relevant goals of Transforming our world: the 2030 Agenda for Sustainable Development25 and through other initiatives aimed at __________________ 25

General Assembly resolution 70/1. 29/52

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strengthening the coordination and exchange of such information with development partners; 24. Encourages States parties to take measures within their means and in accordance with the fundamental principles of their domestic law, to promote the active participation of individuals and groups outside the public sector, such as civil society, the private sector, academia, non-governmental organizations and community-based organizations, in the prevention of and fight against corruption, and to raise public awareness regarding the existence, causes and gravity of and the threat posed by corruption; 25. Requests the Secretariat to continue, in close cooperation with multilateral and bilateral assistance providers, to provide technical assistance to States parties, particularly developing countries, upon request and subject to extrabudgetary resources, with a view to advancing the implementation of chapter II of the Convention, including in the form of tailored assistance for participation in the review process for chapter II; 26. Notes that a large number of States parties have informed the Secretary-General of the designation of competent authorities that may assist other States parties in developing and implementing specific measures for the prevention of corruption, as required under article 6, paragraph 3, of the Convention, and calls upon States parties that have not yet done so to provide that information and to update existing information as necessary; 27. Underlines the importance of providing the United Nations Office on Drugs and Crime with sufficient and adequate funding to be able to respond to the increasing demand for its services, and encourages Member States to make adequate voluntary contributions to the account referred to in article 62 of the Convention, operated within the United Nations Crime Prevention and Criminal Justice Fund,26 for the provision to developing countries and countries with economies in transition of the technical assistance that they may require to improve their capacities to implement chapter II of the Convention; 28. Requests the Secretariat to report on the implementation of the present resolution to the Open-ended Intergovernmental Working Group on the Prevention of Corruption at its intersessional meetings and to the Conference at its ninth session; 29. Invites States parties and other donors to provide extrabudgetary resources for the purposes identified in the present resolution, in accordance with the rules and procedures of the United Nations.

Resolution 8/9

Strengthening asset recovery to support the 2030 Agenda for Sustainable Development The Conference of the States Parties to the United Nations Convention against Corruption, Recalling that the return of proceeds of crime is a fundamental principle of the United Nations Convention against Corruption, and bearing in mind that chapter V of that Convention is one of the chapters critical to the successful implementation of the Convention, Emphasizing the importance of international cooperation in the area of asset recovery, including in relation to tracing, freezing and confiscating the proceeds of crime in accordance with the provisions of the Convention, and recalling article 51 of the Convention,

__________________ 26

See General Assembly resolution 58/4, para. 4.

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obligating States parties to afford one another the widest measure of cooperation and assistance with regard to the return of assets, Taking note of the contributions of the Stolen Asset Recovery Initiative, the International Centre for Asset Recovery and similar initiatives committed to improving the capacity of States to effectively implement the Convention and, in particular, the recommendations made as part of these initiatives to improve the process of asset recovery, as well as the legally non-binding Guidelines for the Efficient Recovery of Stolen Assets emanating from the Lausanne process, Taking note also of the draft non-binding guidelines on the management of frozen, seized and confiscated assets, developed by the United Nations Office on Drugs and Crime pursuant to Conference resolution 7/1 on the basis of the study prepared by the Office entitled Effective Management and Disposal of Seized and Confiscated Assets, which is aimed at enhancing the effective implementation of article 31, paragraph 3, of the Convention, Taking note further of the study conducted by the Stolen Asset Recovery Initiative entitled Left Out of the Bargain: Settlements in Foreign Bribery Cases and Implications for Asset Recovery, which highlights the use of settlements and other alternative legal mechanisms to conclude transnational corruption cases, and the implications of such use for asset recovery, Recalling General Assembly resolution 70/1 of 25 September 2015, entitled “Transforming our world: the 2030 Agenda for Sustainable Development�, in which the Assembly adopted a comprehensive, far-reaching and people-centred set of universal and transformative Sustainable Development Goals and targets, committed itself to working tirelessly for the full implementation of the Agenda by 2030, and recognized that eradicating poverty in all its forms and dimensions, including extreme poverty, was the greatest global challenge and an indispensable requirement for sustainable development, and bearing in mind that strengthening the recovery of stolen assets and their return in accordance with the Convention will support the implementation of the 2030 Agenda, Reaffirming the commitment of States parties, and determined to give effect to the obligations set out in the Convention, in particular in chapter V, to prevent, detect and deter the domestic and international transfer of proceeds of crime and to strengthen international cooperation in asset recovery, Reiterating that corruption in all its forms, poses a serious challenge to the stability and security of States, undermines institutions, ethical values and justice and jeopardizes sustainable development and the rule of law, Underlining that the full and effective implementation of relevant provisions of the Convention, particularly with respect to preventive measures, criminalization and law enforcement, and international cooperation, has a bearing on asset recovery; Recalling its resolution 6/3, in which it recognized that those who engage in corrupt acts, whether natural or legal persons, consistent with the requirements of the Convention, should be held accountable and prosecuted by the competent authorities, and that all efforts should be made to conduct a financial investigation into assets illegally acquired by them and to recover such assets through domestic confiscation proceedings, international cooperation for the purposes of confiscation or appropriate direct recovery measures, Recalling its Resolution 6/2 on facilitating international cooperation in asset recovery, and reiterating, without prejudice to domestic law, the importance of the spontaneous sharing of information, the expeditious return of proceeds of crime consistent 31/52

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with article 57, paragraph 3, of the Convention and the establishment of practical guidelines to facilitate the recovery of assets, Recalling also the Addis Ababa Action Agenda of the Third International Conference on Financing for Development, in which the international community was encouraged to develop good practices on asset return, Noting the international expert meeting on the management and disposal of recovered and returned stolen assets, including in support of sustainable development, held in Addis Ababa from 14 to 16 February 2017, and the international expert meeting on the return of stolen assets, held in Addis Ababa from 7 to 9 May 2019, Noting also the Global Expert Group Meetings on Corruption involving Vast Quantities of Assets held in Lima from 3 to 5 December 2018 and in Oslo from 12 to 14 June 2019, Noting with concern the ongoing problem of the increase in proceeds of crime derived from corruption flowing from developing countries in particular, and the danger that increase poses to the sustainable development, rule of law and security of nations, Recognizing that States continue to face challenges in the recovery of assets owing, inter alia, to differences in their legal systems, the limited implementation of tools such as non-conviction-based confiscation, as foreseen in article 54, paragraph 1 (c) of the Convention, the complexity of multi-jurisdictional investigations and prosecutions, lack of familiarity with the mutual legal assistance procedures of other States parties and difficulties in identifying and exposing the flow of proceeds of corruption, Recalling its resolution 6/2, which noted in particular that a large proportion of the proceeds of corruption, including those emanating from transnational bribery and other offences established under the Convention, were yet to be returned to the requesting States parties, their prior legitimate owners and victims of the crimes, and recognizing that since 2014, when the study entitled “Few and Far – the hard facts on stolen asset recovery� was concluded, further work to enhance recovery of assets has been done, and welcoming the most recent initiative of the Stolen Asset Recovery Initiative to update and collect relevant data regarding asset recovery cases; Recalling its resolution 7/1, in which it stressed the need for countries to ensure, in accordance with national legislation, that there are adequate mechanisms in place to manage and preserve the value and condition of assets pending the conclusion of confiscation proceedings, with a view to returning the assets in the future, and, where appropriate, nonconviction-based proceedings to recover identified proceeds of crime, Concerned about the practical difficulties that both requested and requesting States face in asset recovery, Noting that alternative legal mechanisms and non-trial resolutions, including settlements, that have proceeds of crime for confiscation and return, in accordance with the Convention, have, in some cases, enhanced the effectiveness of enforcement actions and mindful that such resolutions should be used in a manner consistent with the Convention to effectively combat corruption, enhance the recovery of proceeds of crime and international cooperation among all affected States parties; Noting the positive role of international investments and the importance of minimizing opportunities for corruption and transfer of proceeds of crime in this context;

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Noting the growing practice by some States parties of the use of alternative legal mechanisms and non-trial resolutions, including settlements, that have proceeds of crime for confiscation and return, in accordance with the Convention and with domestic law, to conclude transnational corruption cases, and mindful of the need to give due consideration to the interest of the affected States parties; Noting in this regard that improving international cooperation, including information sharing amongst affected States parties can contribute to combatting corruption more effectively in those States parties; Recalling its resolution 6/3 of 6 November 2015, in which it encouraged States parties to make widely available information on their legal frameworks and procedures, including those used in settlements and alternative legal mechanisms, in a practical guide or other format designed to facilitate use by other States, and encouraged State parties and the United Nations Office on Drugs and Crime to continue sharing experiences and building knowledge on the management, use and disposal of frozen, seized, confiscated and recovered assets, and to identify good practices as necessary, 1. Urges all States parties, in accordance with the United Nations Convention against Corruption, to cooperate to recover the proceeds of crime, at home and abroad, and to demonstrate strong commitment to ensuring the return of confiscated assets in accordance with article 57 of the Convention; 2. Urges States parties to make full use of the asset recovery measures set forth in chapter V of the Convention, 3. Urges States parties to, in accordance with the fundamental principles of their legal systems, take appropriate measures to promote transparency and accountability in the management of public finances, including recovered and returned assets; 4. Encourages States parties to consider establishing effective financial disclosure systems for appropriate public officials, where appropriate and consistent with article 52, paragraph 5, of the Convention, and to consider taking such measures as may be necessary to permit their competent authorities to share that information, consistent with the requirements of domestic law, with other States parties, when necessary to investigate, claim and recover proceeds of offences established in accordance with this Convention to promote asset recovery; 5. Emphasizes that the principles of sovereign equality and territorial integrity of States and of non-intervention in the domestic affairs of other States should be fully respected, particularly during and after the return, disposal and use of confiscated property, and encourages States parties, where appropriate, to give special consideration to concluding agreements, or mutually acceptable arrangements, on a case-by-case basis, for return and final disposal of confiscated property pursuant to article 57, paragraph 5 and further encourages States parties to give due consideration to agreeing to measures to enhance transparency and accountability and recognizing that consistent with article 4, States parties cannot unilaterally impose terms. 6. Also urges States parties, consistent with chapter V of the Convention, to ensure that they have adequate legal and institutional frameworks in place to prosecute corruption, to detect the illegal acquisition and transfer of proceeds of crime derived from corruption, to request and provide international legal cooperation, including mutual legal assistance, to ensure that there are suitable mechanisms in place — conviction-based and, in accordance with domestic law and, where appropriate, non-conviction-based — to recover through confiscation the identified proceeds of corruption, to enforce foreign conviction-based and ,

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where appropriate, non-conviction-based orders in accordance with the requirements of the Convention and to ensure that such frameworks are enforced, and encourages technical assistance in this regard; 7. Encourages States parties to consider making use of opportunities for cooperation through existing practitioner -based networks, such as the asset recovery focal points under the Convention, the Global Focal Point Initiative, supported by the International Criminal Police Organization (INTERPOL) and the Stolen Asset Recovery Initiative, and the Camden Asset Recovery Inter -agency Network and other similar networks, and information provided at the financial intelligence unit level, in the course of making requests for mutual legal assistance; 8. Encourages States parties to, in accordance with their domestic laws and in line with domestic priorities, consider the 2030 Agenda for Sustainable Development in the use of returned assets; 9. Calls upon States parties to give particular and timely consideration to the execution of requests for mutual legal assistance, including in asset recovery, in accordance with domestic law and the Convention; 10. Encourages States parties, where appropriate and in accordance with national law or administrative arrangements, to consider and review the best way to regulate the management of recovered and returned assets with a view to efficiently preserving and managing such assets and to continue to exchange their practical experience with interested States and providers of technical assistance upon request, taking into consideration, inter alia, the draft non-binding guidelines on the management of frozen, seized and confiscated assets; 11. Encourages all States parties to participate and offer the greatest degree of cooperation in the existing collection of data and information, including through the Stolen Asset Recovery Initiative data collection questionnaire and the self-assessment checklist for the second review cycle, and would encourage States parties to make public their responses on international asset recovery in corruption cases, on a voluntary basis, in order to identify trends in asset recovery volumes and practices, promote transparency and the implementation of the 2030 Agenda for Sustainable Development; 12. Requests the Secretariat, and invites the Stolen Asset Recovery Initiative, subject to the availability of extrabudgetary resources, to: (a) Continue to provide States parties with information and knowledge products relevant to the implementation of chapter V of the Convention; (b) Collect information from States parties on international asset recovery cases in relation to offences established in accordance with the Convention, including on volumes of assets frozen, seized, confiscated and returned; report on the findings to the Openended Intergovernmental Working Group on Asset Recovery and the Conference at their next sessions, and update the Asset Recovery Watch database; (c) Continue to maintain and update the database, particularly in relation to alternative legal mechanisms and non-trial resolutions, including settlements, that have proceeds of crime for confiscation and return, in accordance with the Convention, and to provide regular updates to the Open-ended Intergovernmental Working Group on Asset Recovery; (d) Study how the use of alternative legal mechanisms and non-trial resolutions, including settlements, that have proceeds of crime for confiscation and return, in

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accordance with the Convention, taking into account relevant existing information provided, could further promote the effective application of chapter V of the Convention; (e) In consultation with States parties, and taking into account, inter alia, the information gathered during the first and second review cycles of the Mechanism for the Review of Implementation of the United Nations Convention against Corruption, and by panels and studies, to continue to collect information on the legal frameworks, legal procedures and judicial actions taken by States to recover proceeds of crime derived from offences established in accordance with the Convention; (f) Collect information from States parties on the most common challenges in the judicial process with regard to asset recovery, and provide an analytical report to guide technical assistance; 13. Requests the Secretariat to strengthen, as appropriate, cooperation with specialized organizations and institutions, such as the International Anti-Corruption Academy, on developing and implementing trainings for professionals and practitioners working in the field of asset recovery and return of proceeds of crime; 14. Requests the secretariat, subject to the availability of extrabudgetary resources, to consider organizing an expert meeting an ad hoc expert discussion or an expert discussion, open to all member States, to discuss the issues of the existence and extent of corruption and transfer of proceeds of crime in the context of international investments, with a view to raising awareness of existing issues in this area and promoting the implementation if appropriate, of relevant provisions of the Convention and other international instruments; 15. Recovery to:

Directs the Open-ended Intergovernmental Working Group on Asset

(a) Continue to collect information, with the support of the Secretariat, regarding the use by States parties of alternative legal mechanisms and non-trial resolutions, including settlements that have proceeds of crime for confiscation and return, in accordance with the Convention and domestic law, and analyse the factors that influence the differences between the amounts realized in alternative legal mechanisms and non-trial resolutions, including settlements that have proceeds of crime for confiscation and return, in accordance with the Convention and domestic law and the amounts returned to affected States, with a view to considering the feasibility of developing guidelines to facilitate a more coordinated and transparent approach for cooperation among affected States parties; (b) Collect information on challenges, good practices and lessons learned, and procedures allowing the confiscation of proceeds of corruption without a criminal conviction from States parties that have implemented such measures in accordance with article 54, paragraph 1 (c) of the Convention; (c) Report its findings on each of these matters to the Conference of the States Parties at its next session, with the support of the Secretariat; 16. Urges States parties that use alternative legal mechanisms and non-trial resolutions, including settlements, that have proceeds of crime for confiscation and return, in accordance with the Convention, to resolve corruption-related cases to collaborate, where appropriate and consistent with domestic law, with affected States parties to enhance international cooperation, information and evidence-sharing and the recovery of proceeds of crime, as well as the prosecution of corruption offences; 17. Calls upon States parties that use alternative legal mechanisms and nontrial resolutions, including settlements, that have proceeds of crime for confiscation and 35/52

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return, in accordance with the Convention, to return and dispose of assets in accordance with article 57 of the Convention; 18. Calls the attention of States parties to the work undertaken following resolution 6/2, which directed the Open-ended Intergovernmental Working Group on Asset Recovery to initiate the process of identifying best practices for identifying victims of corruption and the parameters for compensation, and encourages States parties to provide information on existing laws and practices on identification and compensation of victims of corruption; 19. Directs the Open Ended Inter-Governmental Working Group on Asset Recovery, with the assistance of the Secretariat, to sustain the process of identifying best practices and developing guidelines for proactive and timely sharing of information, in accordance with article 56 of the Convention; 20. Encourages States parties to enhance international cooperation and asset recovery by interpreting terms such as “proceeds of crime”, in accordance with the Convention, and “compensating the victims of the crime” in a manner consistent with the aims of the Convention and in accordance with domestic law; 21. Notes that, under article 57, paragraph 4 of the Convention, where appropriate, unless States parties decide otherwise, the requested State party may deduct reasonable expenses incurred in investigations, prosecutions or judicial proceedings leading to the return or disposition of confiscated property, and urges States parties to waive or reduce such expenses to the barest minimum, in particular where the requesting State is a developing country, bearing in mind that the return or disposal of illicitly acquired assets contributes to sustainable development; 22. Welcomes the outcome of meetings of the Open-ended Intergovernmental Working Group on Asset Recovery, and requests the Working Group to develop a new multi-year workplan to continue its analytical work during the period 2020– 2021, designating specific agenda items to be discussed as the main topic for each session; 23. Requests the Secretariat, within existing resources, to assist the Working Group in the performance of its functions, including by providing interpretation services in the six official languages of the United Nations; 24. Invites States parties and other donors to provide extrabudgetary resources for the purposes identified in the present resolution, in accordance with the rules and procedures of the United Nations.

Resolution 8/10

Measurement of corruption The Conference of the States Parties to the United Nations Convention against Corruption, Concerned about the seriousness of the problems and threats posed by corruption to the stability and security of societies, undermining the institutions and values of democracy, ethical values and justice and jeopardizing sustainable development and the rule of law, Reaffirming the United Nations Convention against Corruption,27 which is the most comprehensive, universal and legally binding instrument on corruption, and __________________ 27

United Nations, Treaty Series, vol. 2349, No. 42146.

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acknowledging the need to continue to promote its ratification or accession thereto and its full and effective implementation, Recalling article 61 of the Convention, in which it is stated that States parties shall consider analysing, in consultation with experts, trends in corruption in their territories, as well as the circumstances in which corruption offences are committed; developing and sharing statistics, analytical expertise concerning corruption and information with a view to developing, insofar as possible, common definitions, standards and methodologies, as well as information on best practices to prevent and combat corruption; and monitoring their policies and actual measures to combat corruption and making assessments of their effectiveness and efficiency, Recalling also article 63, paragraph 5, of the Convention, in which it is stated that the Conference of the States Parties to the United Nations Convention against Corruption shall acquire the necessary knowledge of the measures taken by States parties in implementing the Convention and the difficulties encountered by them in doing so through information provided by them and through such supplemental review mechanisms as may be established by the Conference, Noting that, in some cases, the country reviews conducted in the context of the Mechanism for the Review of Implementation of the Convention have observed the importance of strengthening statistical data on investigations, prosecutions and convictions, for example through national crime registers or other mechanisms, Noting also the non-binding nature of recommendations made pursuant to the Mechanism for the Review of Implementation of the United Nations Convention against Corruption, Recalling the 2030 Agenda for Sustainable Development,28 including Sustainable Development Goal 16 to promote peaceful and inclusive societies for sustainable development, provide access to justice for all and build effective, accountable and inclusive institutions at all levels and its target 16.5 of substantially reducing corruption and bribery in all their forms, and acknowledging that measuring corruption contributes also to efforts towards sustainable development, Emphasizes that the principles of sovereign equality and territorial integrity of States and of non-intervention in the domestic affairs of other States, in line with article 4 of the Convention, should be fully respected, Taking note, for the purposes of experience-based measuring of corruption, of the International Classification of Crime for Statistical Purposes as the international statistical standard for data classification of crime based on empirical evidence, which provides a framework for the systematic production and comparison of statistical data across institutions and jurisdictions, independent of national legal specificities, as endorsed by the relevant United Nations bodies, Taking note also of Economic and Social Council resolution 2015/24 of 21 July 2015, in which the Council welcomed the endorsement of the International Classification of Crime for Statistical Purposes by the Statistical Commission and confirmed the United Nations Office on Drugs and Crime as the custodian of the International Classification, Referring to the global indicator framework for the Sustainable Development Goals and targets of the 2030 Agenda adopted by the General Assembly in its resolution 71/313 of 6 July 2017, in which the Assembly defined indicator 16.5.1 as the proportion of persons who had at least one contact with a public official and who paid a bribe to a public official, or were asked for a bribe by those public officials, during the previous 12 months, and indicator 16.5.2 as the proportion of businesses that had at least one contact with a public official and that paid a bribe to a public official, or were asked for a bribe by those public officials during the previous 12 months, __________________ 28

General Assembly resolution 70/1. 37/52

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Taking into account that in its resolution 71/313, the General Assembly stressed, inter alia, that official statistics and data from national statistical systems constitute the basis needed for the above-mentioned global indicator framework, and urged countries, the United Nations funds and programmes, the specialized agencies, the Secretariat, including the regional commissions, the Bretton Woods Institutions, international organizations and bilateral and regional funding agencies to intensify their support for strengthening data collection and statistical capacity-building, including capacity-building that strengthens coordination among national statistical offices, Considering that improving the measurement of corruption through comprehensive, evidence-based and multifaceted efforts to detect and measure corruption-related trends enables a deeper understanding of the phenomenon, contributes to identifying areas, procedures or positions at risk of corruption and to designing and implementing evidence-based anti-corruption strategies and policies, and brings added value to advancing the rule of law, in line with the purposes of the Convention, as defined in its article 1, and to promoting sustainable development, Affirming the importance of developing an international statistical framework for measuring corruption, grounded in objective methodologies and reliable data sources, recognizing that drawing on a range of approaches and indicators contributes to a more comprehensive assessment of corruption, Affirming also the importance of such effort also for supporting States parties, upon request, in their efforts to measure corruption in their respective jurisdictions, on the basis of on information provided by the requesting States parties, Welcoming the Manual on Corruption Surveys: Methodological Guidelines on the Measurement of Bribery and Other Forms of Corruption through Sample Surveys recently published by the United Nations Office on Drugs and Crime, which offers operational and methodological guidance to implement household and business surveys to carry out scientific studies of corruption, Acknowledging the progress made by States parties in conducting household and business surveys on corruption, including with assistance from the United Nations Office on Drugs and Crime, and encouraging States parties to enhance the collection of relevant data, as appropriate, 1. Requests the United Nations Office on Drugs and Crime, in coordination with the Statistical Commission and in close cooperation and consultation with States parties, to continue expert-level consultations on identifying and refining methodologies on the issue of the measurement of corruption in order to develop proposals on a comprehensive, scientifically sound and objective framework for the purpose of assisting States parties, upon their request, in measuring corruption, consistent with the Convention, and requests the Office to report to the Conference of the States Parties to the United Nations Convention against Corruption for its consideration; Recognizes that such an exercise should include a broad range of data 2. sources, including administrative statistics on the criminal justice response to corruption offences, experience-based data deriving from household and business surveys on corruption occurrence and indicators of risk and vulnerabilities to corruption, taking into consideration the different circumstances of respective countries, as its fundamental purpose is to contribute to the fight against corruption; Calls upon States parties to consider establishing and managing, in 3. accordance with domestic law, repositories of crime and criminal justice data on corruption in accordance with the Convention, covering investigations, prosecutions, convictions and non-trial resolutions, including on transnational cases, pertaining to the liability of both legal and natural persons, and to make such information publicly available for little or no cost on a recurring basis;

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4. Invites States parties to aggregate crime data, in accordance with domestic law, that may be comparable at the international level, bearing in mind the International Classification of Crime for Statistical Purposes; 5. Encourages States parties to consider conducting high-quality sample surveys on corruption experiences following the standardized methodology presented in the Manual on Corruption Surveys: Methodological Guidelines on the Measurement of Bribery and Other Forms of Corruption through Sample Surveys of the United Nations Office on Drugs and Crime, and to voluntarily share the results of these efforts with the Conference of the States Parties to the United Nations Convention against Corruption and at relevant meetings of its subsidiary bodies; Also encourages States parties to consider working with other 6. stakeholders, including the private sector, academia and civil society, in their efforts to develop methodologies and indicators to measure corruption, in accordance with the fundamental principles of their domestic law; Requests the United Nations Office on Drugs and Crime to continue 7. methodological work to improve the comprehensive, evidence-based and multifaceted actions undertaken to detect and measure corruption, consistent with the Convention, without duplicating existing efforts, and to provide technical assistance, upon request, to countries intending to conduct surveys and studies on corruption; Encourages States parties to share information voluntarily with the 8. Conference of the States Parties to the United Nations Convention against Corruption on how they have used the information generated through the corruption measurement methodologies that they have chosen to apply in order to strengthen the policy, legal or institutional approach to combating corruption; Invites States parties and other donors to provide extra-budgetary 9. resources for the purposes identified in the present resolution, in accordance with the rules and procedures of the United Nations.

Resolution 8/11

Strengthening the implementation of the United Nations Convention against Corruption in small islands developing States The Conference of the States Parties to the United Nations Convention against Corruption, Recalling its resolution 7/7 of 10 November 2017, entitled “Strengthening the implementation of the United Nations Convention against Corruption in small islands developing States”, and taking note with appreciation of the related report of the Secretariat,29 Recalling also its resolution 6/9 of 6 November 2015, entitled “Strengthening the implementation of the United Nations Convention against Corruption in small island developing States”, Reiterating the concern about the seriousness of problems and threats posed by corruption to the stability and security of societies, undermining the institutions and values of democracy, ethical values and justice and jeopardizing sustainable development and the rule of law, and that corruption can exacerbate poverty and inequality, Emphasizing that efforts by States parties to implement the United Nations Convention against Corruption 30 are mutually reinforcing and contribute to their efforts to implement the 2030 Agenda for Sustainable Development adopted by the General Assembly in its resolution 70/1 of 25 September 2015, and recalling all of its __________________ 29 30

CAC/COSP/2019/8 and CAC/COSP/2019/8/Corr.1. United Nations, Treaty Series, vol. 2349, No. 42146. 39/52

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Sustainable Development Goals, including Goal 16, which is to promote peaceful and inclusive societies for sustainable development, provide access to justice for all and build effective, accountable and inclusive institutions at all levels, Recalling General Assembly resolution 71/208 of 19 December 2016, concerned about the negative impact that corruption can have on the enjoyment of human rights, and recognizing that corruption may disproportionately affect the most disadvantaged individuals in society, Highlighting that the fight against corruption should be a priority for the international community, including small island developing States, Recognizing that small island developing States have specific contextual characteristics that necessitate affordable and sustainable anti-corruption reforms, as well as tailored technical assistance, Welcoming the progress made by small island developing States in giving effect to the Convention, while recognizing that greater efforts must still be made to achieve the effective implementation thereof, Recognizing that small island developing States, having smaller administrative capacities and limited resources, nevertheless have the same legal obligations as all States parties to the Convention, Highlighting the importance of preventing and eliminating corrupt practices in public institutions and the public sector in order to build integrity, Noting that, while the implementation of the Convention is the responsibility of States parties, promoting integrity, transparency and accountability and preventing corruption are responsibilities to be shared by all sectors of society involved in the fight against corruption, as corruption not only affects Governments, but can also have a significant negative impact on the private sector and civil society by impeding economic growth, harming consumers and businesses, distorting competition and presenting serious health, safety, legal and social risks, and underlining the necessity of increasing the efforts of States parties, in accordance with article 12 of the Convention, to prevent and fight corruption involving the private sector, as highlighted in Conference resolution 6/5 of 6 November 2015, Highlighting the need to improve anti-corruption frameworks and strengthen governance systems in ocean and land resources management in order to protect the environment and livelihoods of the people of small island developing States and enhance and build the inclusive resilience of those States to the impacts of climate change and natural disasters, Acknowledging the establishment of the Small Island Developing States Anti-Corruption Research Platform by the Independent Commission against Corruption of Mauritius, together with the United Nations Office on Drugs and Crime, for the purpose of research and the sharing of best practices specific to such States, Recalling the SIDS Accelerated Modalities of Action (SAMOA) Pathway, 31 the outcome document of the third International Conference on Small Island Developing States, held in Apia, from 1 to 4 September 2014, which is of significance to the Pacific island countries, Acknowledging the Boe Declaration on Regional Security adopted by the leaders of the Pacific Island Forum in 2018 in relation to the Pacific, in the context of the Framework for Pacific Regionalism of 2014 and the “Blue Pacific� narrative, Welcoming the work carried out under the United Nations Pacific Regional Anti-Corruption Project, which, as a result of close cooperation between the United Nations Office on Drugs and Crime and the United Nations Development Programme, may serve as a model for collaboration on anti-corruption issues among United Nations entities, __________________ 31

General Assembly resolution 69/15, annex.

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Recognizing the important role of regional and international partnerships and the relevance of collaborative learning among small island developing States, Welcomes the accession to the United Nations Convention against 1. Corruption by Samoa in April 2018, and urges small island developing States that have not yet done so to ratify or accede to the Convention; Calls upon small island developing States parties to the Convention to 2. enhance their active participation in the Mechanism for the Review of Implementation of the United Nations Convention against Corruption and to make every effort to implement the recommendations arising from the reviews; Urges States parties and interested donors, including development 3. partners, to support small island developing States in their efforts to implement the Convention, including those aspects that will contribute to the achievement of Sustainable Development Goal 16; Also urges States parties and interested donors, including development 4. partners, upon request, and with the assistance of the United Nations and other relevant regional bodies, within their existing mandates, to support the implementation of anti-corruption reforms in small island developing States through the provision of technical assistance at the bilateral, regional and international levels, including by addressing needs identified through the Implementation Review Mechanism or progress reports communicated through various regional platforms; Urges States parties and interested donors with relevant expertise 5. applicable to the contexts of small island developing States to share their best practices and lessons learned with small island developing States, upon request, through existing and future bilateral, regional and international cooperation mechanisms; Encourages small island developing States to further share with one 6. another information, research, best practices and lessons learned specific to them on the implementation of the Convention; Urges small island developing States to strengthen anti-corruption 7. frameworks as part of the steps taken to enhance good governance in the area of ocean and land resources management with the aim of enhancing and building inclusive resilience to the impacts of climate change and natural disasters in those States, with the support of the international community and relevant United Nations entities and regional bodies; Encourages small island developing States to continue efforts aimed at 8. building integrity and preventing and eliminating corruption in the public and private sectors, and invites other States parties and interested donors to support small island developing States, upon request, including with the assistance of other development partners and relevant United Nations entities and regional bodies, within their existing mandates; Urges small island developing States to promote, within their means and 9. in accordance with the fundamental principles of their legal systems, the participation of individuals and groups outside the public sector, such as civil society, non-governmental organizations, community-based organizations, the private sector, young people and the media, in the prevention of and the fight against corruption and to raise public awareness regarding the existence, causes and gravity of and the threats posed by corruption; 10. Encourages small island developing States to engage in a whole-of-society approach to preventing and combating corruption, including through broad participation in the development and implementation of national anti-corruption strategies and policies; 11. Urges small island developing States to promote the implementation of the Convention at the regional level, including through greater collaboration with regional mechanisms, such as the Pacific Islands Forum Secretariat and the United 41/52

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Nations Pacific Regional Anti-Corruption Project for Pacific island countries to develop a Pacific anti-corruption vision consistent with the commitment made by the leaders of the Pacific Forum under the Boe Declaration on Regional Security; 12. Requests the Secretariat to submit to the Conference of the States Parties to the United Nations Convention against Corruption a report on the progress made and the challenges encountered in the implementation of the present resolution; 13. Encourages small island developing States to consider the recommendations contained in the report of the Secretariat on strengthening the implementation of the Convention in small island developing States; 14. Recognizes the progress made and challenges faced in the implementation of Conference resolution 7/7, and urges States parties to continue to support technical assistance efforts focused on the needs and priorities of small island developing States, including assistance with the ratification of or accession to the Convention, and on meeting the legislative and other technical requirements to implement the Convention effectively, upon request, and with the assistance of the United Nations; 15. Invites States parties and other donors to provide extra budgetary resources for the purposes identified in the present resolution, in accordance with the rules and procedures of the United Nations.

Resolution 8/12

Preventing and combating corruption as it relates to crimes that have an impact on the environment The Conference of the States Parties to the United Nations Convention against Corruption, Recognizing that combating corruption in all its forms is a priority, and reiterating its concerns regarding the seriousness of the problems and threats posed by corruption, Recognizing also the purposes of the United Nations Convention against Corruption32 and, in this regard, its important role, and that one of its purposes is to promote, facilitate and support international cooperation and technical assistance in the prevention of and the fight against corruption, as outlined in article 1, subparagraph (b), of the Convention, Recalling the second preambular paragraph of the Convention, in which States parties expressed concern about the links between corruption and other forms of crime, in particular organized crime and economic crime, including money-laundering, and the fifth preambular paragraph of the Convention, in which States parties expressed their conviction that a comprehensive and multidisciplinary approach is required to prevent and combat corruption effectively, Reaffirming its resolution 7/6 of 10 November 2017, entitled “Follow-up to the Marrakech declaration on the prevention of corruption�, in which it called upon States parties to use the Convention as a framework for the development of tailored anti-corruption safeguards, including in specific vulnerable areas, Taking note of the existing research 33 on the cost of crimes that have an impact on the environment,

__________________ 32

United Nations, Treaty Series, vol. 2349, No. 42146. Such as United Nations Environment Programme: The State of Knowledge of Crimes That Have Serious Impacts on the Environment (2018); International Criminal Police Organization (INTERPOL) and the United Nations Environment Programme: Strategic Report: Environment, Peace and Security: A Convergence of Threats (2016); UNODC: World Wildlife Crime Report (2016); and publications by the World Bank 33

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Noting with concern the role that corruption can play in crimes that have an impact on the environment, which may constitute a growing source of profits for various criminal activities, Concerned that money-laundering may be used to disguise and/or conceal the sources of illegally generated proceeds, as well as to facilitate crimes that have an impact on the environment, and can generate wider criminality, Emphasizing that efforts by States parties to implement the Convention are mutually reinforcing and contribute to their efforts to implement the 2030 Agenda for Sustainable Development, adopted by the General Assembly in its resolution 70/1 of 25 September 2015, and recalling the Agenda’s Sustainable Development Goals, including Goal 16, which is to promote peaceful and inclusive societies for sustainable development, provide access to justice for all and build effective, accountable and inclusive institutions at all levels, Stressing that corruption is a global phenomenon affecting all societies and economies, making international cooperation to prevent and combat it essential, based on a comprehensive and multidisciplinary approach, including through the recovery and return of proceeds of crime, and recalling in this context its resolution 7/2 of 10 November 2017, and taking note of the note by the Secretariat on preventing and combating corruption involving vast quantities of assets,34 Noting barriers and international challenges encountered by States parties which negatively impact international cooperation in preventing and combating corruption more efficiently and effectively, Recalling, in this regard, the Doha Declaration on Integrating Crime Prevention and Criminal Justice into the Wider United Nations Agenda to Address Social and Economic Challenges and to Promote the Rule of Law at the National and International Levels, and Public Participation,35 in paragraph 9 (e) of which Member States undertook to adopt effective measures to prevent and counter the serious problem of crimes that have an impact on the environment by strengthening legislation, international cooperation, capacity-building, criminal justice responses and law enforcement efforts aimed at, inter alia, dealing with transnational organized crime, corruption and money-laundering linked to such crimes, and recalling also paragraph 10 (e) of the Doha Declaration, in which Member States undertook to raise public confidence in criminal justice by preventing corruption and promoting respect for human rights, as well as enhancing professional competence and oversight in all sectors of the criminal justice system, thus ensuring that it is accessible and responsive to the needs and rights of all individuals, Reaffirming that every State has, and shall freely exercise, full permanent sovereignty over all its natural resources, Concerned about the corrupt practices facilitating the persisting use of forged or illegally issued permits and certificates or the fraudulent use of authentic permits and certificates to mask trade in illegally obtained natural resources or illicitly trafficked waste, or to launder such illegally obtained natural resources or illicitly trafficked waste, Acknowledging the central role played by States parties, with the assistance of the United Nations Office on Drugs and Crime, in the prevention of and the fight against corruption, Acknowledging also the important contribution made by the United Nations Office on Drugs and Crime through the development of technical assistance programmes aimed at or contributing to preventing and combating corruption as it relates to crimes that have an impact on the environment including through the production of resource guides for Governments, the private sector, and other relevant stakeholders on addressing corruption in the wildlife, timber and fisheries sectors, __________________ 34 35

CAC/COSP/2019/13. General Assembly resolution 70/174, annex. 43/52

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with a focus on promoting adequate integrity policies and assessing and mitigating corruption risks along the value chain, Reaffirming that, while the implementation of the Convention is the responsibility of States parties, corruption not only affects Governments but also has a significant impact on the private sector, impeding economic growth, distorting competition and presenting serious legal and reputational risks, and noting that the promotion of integrity, transparency and accountability and the prevention of corruption are responsibilities of States parties with the involvement of all relevant stakeholders, Recalling article 12 of the Convention, which recognizes the need to prevent corruption involving the private sector, including by preventing the misuse of procedures regulating private entities, including procedures regarding licenses and subsidies granted by public authorities for commercial activities, Highlighting, in this context, the contributions of intergovernmental organizations and the important role of the media, civil society, academia and private sector entities in the prevention of and the fight against corruption as it relates to crimes that have an impact on the environment, and recalling article 63 of the Convention, which, inter alia, provides for cooperating with relevant international and regional organizations and mechanisms and non-governmental organizations, Affirms that the United Nations Convention against Corruption 1 constitutes 1. an effective tool and an important part of the legal framework for preventing and combating corruption as it relates to crimes that have an impact on the environment and for strengthening international cooperation in this regard; 2. Urges, in this regard, all States that have not yet done so to consider ratifying or acceding to the Convention as soon as possible; Also urges States parties to implement the Convention in accordance with 3. their domestic legislation and to ensure respect for its provisions, with a view to making best use of the Convention to prevent and combat corruption as it relates to crimes that have an impact on the environment and the recovery and return of proceeds of crimes that have an impact on the environment, in accordance with the Convention; Further urges States parties to enhance the application of the Convention, 4. in accordance with its terms, in order to effectively prevent, investigate and prosecute corruption offences established in accordance with the Convention, including in circumstances where they may be linked to crimes that have an impact on the environment, as well as to freeze, seize, confiscate and return the proceeds of crime, in accordance with the Convention, and to consider measures criminalizing the attempt to commit such corruption offences, as provided in article 27 of the Convention, including when organized criminal groups are involved; Calls upon States parties to make use, to the greatest extent possible, of 5. other relevant legal instruments available at the national, regional and international levels to tackle corruption as it relates to crimes that have an impact on the environment, including through legislation related to money-laundering, corruption, fraud, racketeering and financial crime; Also calls upon States parties, in accordance with the fundamental 6. principles of their legal systems, to strengthen anti-corruption frameworks, and to promote ethical practices, integrity and transparency, and to endeavour to prevent conflicts of interest, with the aim of preventing corruption as it relates to crimes that have an impact on the environment; Further calls upon States parties to ensure integrity throughout the entire 7. crime prevention and criminal justice system, including by promoting integrity among customs and border control services, without prejudice to judicial independence and in accordance with the fundamental principles of the legal systems of States parties;

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8. Recognizes the importance for States parties, in cooperation with the United Nations Office on Drugs and Crime, of taking appropriate measures within their means, in accordance with article 13 of the Convention and the fundamental principles of their domestic law, to promote the active participation of individuals and groups outside the public sector, such as civil society, the private sector, academia, non-governmental organizations and community-based organizations, in the prevention of corruption, and to raise public awareness regarding the existence and causes of, and the gravity of the challenge posed by corruption as it relates to crimes that have an impact on the environment, and encourages States parties to enhance their capacity in this regard; Urges States parties to take measures to ensure that legal and natural 9. persons are held accountable for corruption offences, in accordance with chapter III of the Convention, in particular its article 26; 10. Also urges States parties to strengthen cooperation in criminal matters in this regard, in accordance with chapter IV of the Convention, and to afford one another the widest measures of mutual legal assistance in investigations, prosecutions and judicial proceedings; 11. Expresses concern that the financial flows of proceeds of crime and money-laundering which may derive from corruption as it relates to crimes that have an impact on the environment, and urges States parties to investigate and prosecute those offences, including by using financial investigation techniques, and to strive to eliminate incentives for the transfer abroad of the proceeds of crime, and to afford one another the widest measures of cooperation and assistance to recover and return proceeds of crime consistent with chapter 5 of the Convention; 12. Encourages States parties, bearing in mind, in particular, articles 8, 32 and 33 of the Convention and in conformity with national legislation, to consider establishing and developing, where appropriate, confidential complaint systems, whistle-blower protection programmes, including protected reporting systems, and effective witness protection measures, and to increase awareness of such measures; 13. Welcomes the work undertaken by the United Nations Office on Drugs and Crime in the development of technical assistance programmes aimed at or contributing to preventing and combating corruption as it relates to crimes that have an impact on the environment; 14. Requests the United Nations Office on Drugs and Crime, in close cooperation with States parties and relevant international and regional organizations, subject to the availability of extrabudgetary resources, to conduct scientific-based research on the topics identified in the scope of this resolution and to report to the Open-ended Intergovernmental Working Group on the Prevention of Corruption; 14bis Encourages States parties, where appropriate and in accordance with the fundamental principles of their legal systems, to take measures to assess and mitigate corruption risks along the value chains to prevent and counter offences covered by the Convention, and requests the United Nations Office on Drugs and Crime to support States parties, upon request and subject to the availability of extrabudgetary resources, in this regard, 15. Takes note with appreciation of the publication by the United Nations Office on Drugs and Crime of resource guides for Governments and other stakeholders on addressing corruption in the wildlife, timber and fisheries sectors, with a focus on assessing and mitigating corruption risks along the value chain, encourages States parties to make use of those tools, and invites the United Nations Office on Drugs and Crime, in close cooperation with Member States and subject to the availability of extrabudgetary resources, to continue developing similar guides on addressing corruption in other economic sectors related to the management of natural resources and waste, in accordance with its mandate; 16. Invites States parties to provide information to the United Nations Office on Drugs and Crime on the issues contained in the present resolution, in the interests 45/52

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of identifying appropriate technical assistance needs and, together with the Office, to consider the possibility of whether and how the Office can assist in collecting appropriate information on institutional policy and programme-related developments regarding efforts to prevent and fight corruption as it relates to crimes that have an impact on the environment; 17. Also invites States parties to share with the United Nations Office on Drugs and Crime, for further dissemination through the knowledge management portal known as Sharing Electronic Resources and Laws on Crime and use in capacity-building training, their legislation and case laws regarding corruption as it relates to crimes that have an impact on the environment; 18. Requests the United Nations Office on Drugs and Crime, within its mandate and subject to the availability of extrabudgetary resources, to continue, in cooperation with relevant international and regional organizations, partners and donors and in close consultation with States parties, to develop technical assistance programmes, research, studies, training materials, guides and tools for Governments, and to disseminate information and good practices, which could help to inform possible future measures to prevent and combat corruption as it relates to crimes that have an impact on the environment; 19. Welcomes, consistent with article 63 of the Convention, the work done by other relevant regional and international organizations and mechanisms to prevent and combat corruption as it relates to crimes that have an impact on the environment; 20. Urges the United Nations Office on Drugs and Crime, within its mandate, to continue its ongoing cooperation with the other members of the International Consortium for Combatting Wildlife Crime and to strengthen its cooperation and coordination with other relevant international and regional organizations, in providing States parties with support and technical assistance, upon request, as well as data and analyses, in preventing and combating corruption as it relates to crimes that have an impact on the environment; 21. Requests the secretariat of the Conference of the States Parties to report, within existing resources, on the implementation of the present resolution to the Conference at its ninth session and to its relevant subsidiary bodies; 22. Invites States parties and other donors to provide extrabudgetary resources for the purposes identified in the present resolution, in accordance with the rules and procedures of the United Nations.

Resolution 8/13

Abu Dhabi declaration on enhancing collaboration between the supreme audit institutions and anti-corruption bodies to more effectively prevent and fight corruption

The Conference of the States Parties to the United Nations Convention against Corruption, Concerned about the negative effects of corruption on the stability and security of societies, the effectiveness of institutions, the rule of law and sustainable development, Convinced that a comprehensive, balanced and multifaceted approach is indispensable for the effective implementation of the United Nations Convention against Corruption, 36 __________________ 36

United Nations, Treaty Series, vol. 2349, No. 42146.

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Convinced also of the importance of timely, adequate, effective and, where possible, long-term, sustainable technical assistance for the implementation of the Convention, including through the targeted capacity-building of the States parties’ institutions involved in the implementation of anti-corruption measures, Bearing in mind that the effective implementation of the Convention through the promotion and strengthening of efforts to prevent and combat corruption is the responsibility of all States parties and that the support and participation of individuals and groups outside the public sector will make those efforts more efficient and effective, Reaffirming the principles of proper management of public affairs and public property, fairness, responsibility for wrongdoing, including criminal wrongdoing, and equality before the law, and the need to safeguard integrity and foster a culture of rejection of corruption, Taking note with appreciation of the Lima Declaration of Guidelines on Auditing Precepts 37 and the Mexico Declaration on Supreme Audit Institutions Independence, 38 adopted by, respectively, the Ninth and Nineteenth Congresses of the International Organization of Supreme Audit Institutions, held in Lima in October 1977, and in Mexico City in November 2007, and the memorandum of understanding between the United Nations and the International Organization of Supreme Audit Institutions, signed on 30 July 2019, which provides a framework for cooperation between the two institutions in preventing and combating corruption, Stressing the key role played by the supreme audit institutions in the prevention of and fight against corruption, in particular with regard to promoting integrity, accountability, transparency and the proper management of public affairs and public property, as well as the efficient use of public resources, and recalling, in this regard, the importance of protecting and safeguarding and enhancing the necessary independence of those institutions, in accordance with the fundamental principles of the legal systems of States parties, to enable them to carry out their functions effectively and free from any undue influence, Reaffirming article 63, paragraph 4, of the Convention, which provides, inter alia, for facilitating the exchange of information between States parties on patterns and trends of corruption and on successful practices in preventing and combating corruption, including through the dissemination of relevant information as mentioned in that article, for cooperating with international organizations and mechanisms, as well as regional organizations, and for making use of relevant information produced by other international and regional mechanisms to prevent and combat corruption, Recalling General Assembly resolutions 66/209 of 22 December 2011 and 69/228 of 19 December 2014, on promoting the efficiency, accountability, effectiveness and transparency of public administration by strengthening supreme audit institutions, Noting the importance of the 2030 Agenda for Sustainable Development, 39 including Sustainable Development Goal 16, which is aimed at promoting peaceful and inclusive societies for sustainable development, providing access to justice for all and building effective, accountable and inclusive institutions at all levels, Recognizing that the implementation of the Convention, other anti-corruption commitments undertaken by the States parties, and the Sustainable Development Goals, among other factors, may benefit from the effective use of new developments in technology,

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Adopted by the Ninth Congress of the International Organization of Supreme Audit Institutions, Lima, 17–26 October 1977. Adopted by the Nineteenth Congress of the International Organization of Supreme Audit Institutions, Mexico City, 5–10 November 2007. General Assembly resolution 70/1. 47/52

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Recognizing the meeting of the supreme audit institutions and the specialized anti-corruption bodies, which was held in Abu Dhabi on 14 and 15 December 2019, prior to the eighth session of the Conference, and which was organized by the State Audit Institution of the United Arab Emirates, the United Nations Office on Drugs and Crime and the International Organization of Supreme Audit Institutions, Noting the implementation of Conference resolutions 6/7 of 6 November 2015, entitled “Promoting the use of information and communications technologies for the implementation of the United Nations Convention against Corruption”, and 6/8 of 6 November 2015, entitled “Prevention of corruption by promoting transparent, accountable and efficient public service delivery through the application of best practices and technological innovations”, Reaffirming its resolution 5/5 of 29 November 2013, entitled “Promotion of the contribution of young people and children in preventing corruption and fostering a culture of respect for the law and integrity”, Noting the efforts made by States parties to encourage the contribution of young people to the prevention of corruption and to promote a culture of respect for the law and integrity, Encourages States parties to promote, in accordance with the fundamental 1. principles of their legal systems, the independence of their supreme audit institutions, which is essential to the performance of their duties, and, in accordance with domestic law, and, where appropriate, to implement policies for the effective operation of the supreme audit institutions in accordance with the principles and standards formulated by the International Organization of Supreme Audit Institutions, in particular with regard to ensuring the proper management of public finances and public property, and in areas such as public procurement; Urges States parties, in accordance with article 9, paragraph 2, of the 2. United Nations Convention against Corruption, 1 subject to the fundamental principles of their legal systems and where appropriate, to take measures to promote transparency and accountability in the management of public finances, including through a system of accounting and auditing standards and related oversight, and highlights in this regard the important role of the supreme audit institutions in examining, periodically or as necessary, the applicable financial and accounting frameworks and procedures, in order to determine their effectiveness in the fight against corruption; Also urges States parties to ensure that the audited entities respond to the 3. findings of the audit reports, implement the recommendations of the supreme audit institutions and take appropriate corrective action, including criminal prosecution, to ensure the proper management of public affairs and public property with a view to enhancing the fight against corruption for the benefit of society; Encourages States parties, in accordance with their domestic law and 4. where appropriate, to involve the supreme audit institutions and the internal audit units in their country reviews under the second cycle of the Mechanism for the Review of Implementation of the United Nations Convention against Corruption, in particular in relation to the review of the implementation of chapter II, on preventive measures, including in the country visits, where applicable; Also encourages States parties to promote integrity and honesty through 5. the application of codes of conduct in the supreme audit institutions and to consider aligning, where appropriate and in accordance with the fundamental principles of their legal systems, these codes of conduct with the Code of Ethics promulgated by the International Organization of Supreme Audit Institutions, where appropriate, to promote compliance with the highest standards of professional ethics and to prevent conflicts of interest; Recognizes the importance of developing and implementing or 6. maintaining effective anti-corruption policies, that promote the participation of society and reflect the principles of the rule of law, proper management of public 48/52

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affairs and public property, integrity, transparency and accountability within their jurisdiction, and notes that increasing trust in supreme audit institutions, anti-corruption bodies and governmental and public institutions as a whole plays an important role in those efforts; Encourages States parties, in accordance with the fundamental principles 7. of their legal systems and with due respect for the independence of both national legislatures and supreme audit institutions, to build and strengthen relations between national legislatures and supreme audit institutions, and to encourage national legislatures to be aware of the findings of supreme audit institutions so that they may be taken into account when exercising parliamentary functions, in order to ensure the proper management of public affairs and public property, for the benefit of the society; Calls upon States parties, in accordance with the fundamental principles 8. of their legal systems, to strengthen the national, regional and international coordination and cooperation among the bodies involved in the prevention of and fight against corruption, to afford one another, without delay, effective mutual legal assistance, and to take meaningful steps to facilitate effective cooperation and remove barriers, consistent with article 46 of the Convention; Encourages States parties, where applicable, in accordance with their legal 9. systems and where appropriate, to improve the exchange of information between anti-corruption bodies, supreme audit institutions and other governmental bodies operating in the field of combating corruption, including for consultative purposes, and to consider publishing periodic reports on the risks of corruption in public administration, taking into account the findings of both the anti-corruption bodies and the supreme audit institutions; 10. Invites States parties to further share their experience in ensuring proper management of public finances and public property, and exchange information on the role of their supreme audit institutions in this regard, also utilizing the meetings of the Working Group on the Prevention of Corruption; 11. Encourages States parties, where appropriate and consistent with their domestic legal frameworks, and mindful of the need to protect the rights or reputations of others, national security or ordre public, to seek to utilize information and communications technologies to strengthen the implementation of the Convention, to strengthen public awareness and to promote transparency and public reporting in areas such as public procurement, the management of public finances, and asset and interest disclosure, with a view to facilitating the reporting and detecting of acts of corruption and to supporting the criminal prosecution of corruption related offences; 12. Also encourages States parties, in accordance with the fundamental principles of their legal systems, and consistent with article 13 of the Convention, to continue their efforts to raise awareness of the dangers associated with corruption, including through educational and training programmes for young people and by engaging with relevant individuals and groups outside the public sector such as civil society, non-governmental organizations, community-based organizations and academia; 13. Further encourages States parties to continue their efforts, within their means and in accordance with the fundamental principles of their domestic law, to engage society in the development of policies, strategies, tools and programmes to prevent and combat corruption; 14. Requests the Working Group on the Prevention of Corruption to include, as a topic for discussion at its future meetings, strengthening the role of supreme audit institutions in the prevention of and fight against corruption; 15. Requests the United Nations Office on Drugs and Crime, in close cooperation with bilateral and multilateral technical assistance providers, to continue to provide technical assistance to States parties, upon request and subject to the availability of extrabudgetary resources, in implementing the relevant provisions of the present resolution; 49/52

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16. Invites States parties and other donors to provide extrabudgetary resources for the purposes specified in the present resolution, in accordance with the rules and procedures of the United Nations.

Resolution 8/14

Promoting good practices in relation to the role of national parliaments and other legislative bodies in preventing and combating corruption in all its forms The Conference of the States Parties to the United Nations Convention against Corruption, Recognizing that corruption is a major challenge affecting all humankind, and that preventing and combating corruption in all its forms and manifestations is a priority for the international community, Reaffirming the United Nations Convention against Corruption, 40 which is aimed at, inter alia, promoting and strengthening measures to prevent and combat corruption more efficiently and effectively, Recalling previous resolutions of the Conference of the States Parties in which the Conference emphasized that the fight against all forms of corruption requires a comprehensive and multidisciplinary approach, including regulatory frameworks and strong, independent institutions with the competence and capacity to prevent and combat corruption at all levels, Stressing that corruption seriously jeopardizes the efforts of States to achieve the 2030 Agenda for Sustainable Development,41 including Sustainable Development Goal 16, to promote peaceful and inclusive societies, provide access to justice for all and build effective, accountable and inclusive institutions at all levels, Expressing appreciation for the crucial role played by parliaments and other legislative bodies in supporting the implementation of the Convention, including by enacting appropriate legislation on, inter alia, preventive measures, criminalization and law enforcement, international cooperation, asset recovery, technical assistance and information exchange among States, as well as ensuring effective review or oversight, where appropriate, to prevent and combat corruption at all levels, Noting that the role of parliaments and other legislative bodies in the fight against corruption may be expressed by various means beyond legislation, such as the development of internal procedures for the work of the parliaments and other legislative bodies and the activities of legislators in the public sphere, Emphasizing the importance of the exchange of information and good practices among parliaments and other legislative bodies for strengthening capacity and mutual cooperation to effectively fight corruption, Urges States parties to take effective measures, in accordance with the 1. fundamental principles of their legal systems and the relevant obligations under the United Nations Convention against Corruption,1 to support the role and strengthen the capacity of parliaments and other legislative bodies to prevent and combat corruption, including in areas where they have a mandate for review or oversight; Encourages States parties to identify and implement any legislative or 2. other measures that may be necessary to implement the Convention and address relevant recommendations emerging from the Mechanism for the Review of Implementation of the United Nations Convention against Corruption;

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United Nations, Treaty Series, vol. 2349, No. 42146. General Assembly resolution 70/1.

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3. Also encourages States parties to strengthen interparliamentary dialogue and cooperation, including in coordination with the Inter-Parliamentary Union and similar organizations, as appropriate, to promote the exchange of good practices relating to legislation, review and oversight controls in the fight against corruption, and to consider implementing those good practices in domestic law; Further encourages States parties to recognize the important role of 4. parliaments and other legislative bodies in strengthening the implementation of the Convention, with a view to effectively preventing and combating corruption in all its forms and preventing money-laundering related to corruption by, inter alia, promoting transparency and accountability in the management of public finances, exercising budget oversight, criminalizing corruption offences and facilitating the asset recovery process, in accordance with chapter V of the Convention; Requests the Open-ended Intergovernmental Working Group on the 5. Prevention of Corruption to include the role of parliaments and other legislative bodies in strengthening the implementation of the Convention as a topic on the agenda for its twelfth meeting, and to invite the Inter-Parliamentary Union and similar organizations to participate in a thematic panel discussion on the topic; Encourages States parties, in the framework of their preparations for the 6. special session of the General Assembly against corruption, to be held in 2021, to address the strengthening of the role of parliaments and other legislative bodies in preventing and combating corruption in all its forms, while duly respecting the independence of the legislative authorities; Requests the United Nations Office on Drugs and Crime to develop, 7. subject to the availability of extrabudgetary resources, on the basis of information provided by States parties and relevant organizations, a compendium of good practices in relation to the role of parliaments and other legislative bodies in preventing and combating corruption, in order to promote the exchange of good practices and national experiences among parliamentary institutions; Invites States parties and other donors to provide extrabudgetary resources 8. for the purposes identified in the present resolution, in accordance with the rules and procedures of the United Nations; Requests the Secretariat to report on the implementation of the present 9. resolution at its ninth session, in 2021.

B.

Decisions

1.

At its eighth session, the Conference adopted the following decision:

Decision 8/1

Extension of the second cycle of the Mechanism for the Review of Implementation of the United Nations Convention against Corruption At its 20th meeting, on 16 December 2019, the Conference of the States Parties to the United Nations Convention against Corruption: The Conference of the States Parties to the United Nations Convention against Corruption, Reaffirming its resolution 3/1 of 13 November 2009, which constitutes the basic foundation document for the Mechanism for the Review of Implementation of the United Nations Convention against Corruption, Reaffirming also the terms of reference of the Implementation Review Mechanism, and in particular the guiding principles and characteristics of the Mechanism, as enshrined in chapter II of the terms of reference,

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Taking note of the delays incurred during the second cycle and the estimated time required for its completion, Noting that, pursuant to paragraphs 13 and 47 of the terms of reference of the Implementation Review Mechanism and consistent with Conference resolution 3/1 and resolution 6/1 of 6 November 2015, the Conference of the States Parties to the United Nations Convention against Corruption shall establish the phases and cycles of the review and determine the duration of each cycle: (a) Decides to extend the duration of the second cycle of the Mechanism for the Review of Implementation of the United Nations Convention against Corruption by three years, that is, until June 2024, to allow for the completion of country reviews under that cycle; (b) cycle.

Calls upon the States parties to accelerate the completion of the second

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