ies Trieste Lifestyle #7 - Walking

Page 67

G

usto, olfatto e istinto. Sedersi a tavola è sufficiente per rendersi conto di quanto Trieste sia una meravigliosa, singolare anomalia geografica e storica. È il cibo –al pari di un buon libro– a raccontare la sua storia fatta di influenze culturali le più disparate. Pranzare con uno spaghetto allo scoglio bevendo un bicchiere di vino del territorio e in seguito cenare a salsicce e crauti sorseggiando una birra –questo senza mai uscire dalla tradizione culinaria locale– non è cosa da poco. Del resto Trieste è al tempo stesso l’estremità più a nord del Mediterraneo e la rappresentazione più meridionale della cultura continentale europea. L’ Impero Austro-Ungarico, le generazioni di commercianti greche, turche ed ebraiche attratte dalle potenzialità del suo porto e la vicinanza alle culture balcaniche dell’ex-Jugoslavia sono fra le ragioni principali del suo incredibile meltin’ pot gastronomico. Piatti come il goulash (spezzatino di origine ungherese), il kaiserfleisch (maiale affumicato di derivazione austriaca),

la caldaia triestina (celebrazione della carne di maiale bollita servita nei tradizionali buffet) o la calandraca (etimologia greca per una sorta di stufato di carne e patate), se affiancati a una altrettanto ricca tradizione di pesce, sono motivazioni più che sufficienti per far dire alla ristoratrice Ami Scabar in “Trieste la città dei venti”, scritto insieme allo scrittore Veit Heinichen, “Quale altro porto del sud ha sviluppato una cucina di carne così variegata come questa città?”. E di carne vogliamo parlarvi, focalizzandoci –altrimenti non basterebbe un’intera rivista– su alcuni piatti cotti alla brace emblematici della tradizione balcanica, che Trieste ha adottato e fatto suoi. Difficile non cominciare dai ćevapčići, che i triestini amorevolmente abbreviano in “civa”. Lo scrittore serbo Nusič li vorrebbe apparsi per la prima volta a Belgrado intorno al 1860 ma sono stati i Turchi –grandi cultori della carne alla brace– a portarli nei Balcani durante l’occupazione ottomana. L’etimologia infatti arriva da “kebab” a cui si attacca la radice slava “-čiči”. Piccoli salsicciotti di carne macinata mista di manzo, maiale, agnello o montone (a seconda delle aree geografiche). Vengono cotti alla brace e

serviti con cipolla cruda e ajvar (salsa a base di peperoni). In Bosnia e Serbia invece si servono tradizionalmente come street food dentro ai somun, piccole forme di pane imparentate con le “pita” turche, e con il kajmak (un formaggio fresco non dissimile allo jogurt). Se siete alla ricerca di deliziosi spiedini di carne Trieste vi risponde con i ražniči, piatto tradizionale serbo diffuso in tutti i Balcani. Come per i ćevapčići, con i quali molto spesso vengono serviti, l’origine storica è da ricercarsi in Turchia e sono sicuramente imparentati anche con il souvlaki Greco. La carne è di maiale inframmezzata da peperoni e cipolle grigliate. Spostandovi nei Balcani spesso la carne diventa di pecora o agnello. Anche in questo caso la salsa da abbinare è l’ajvar. La pljeskavica (si pronuncia “plièskaviza”) è la risposta balcanica all’hamburger. La parentela con i “civa” e i ražniči è stretta e anzi l’impasto è simile se non identico a quello dei ćevapčići, a cui viene aggiunto del bianco d’uovo per tenere insieme la carne. Originariamente di Leskovac in Serbia, è interessante l’etimologia del nome: la parola “pljiesak” significa letteralmente “sbattere le mani” 65

TRIESTE LIFESTYLE

di /by Alice Fabi

IES

N ° 7 — S ep t em b er 2 0 19

Taste the city

NO BORDER FOOD


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.