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Cover Story: allarme clima, il colpevole lo conosciamo
from Dolce Vita 68
by Dolce Vita
ALLARME CLIMA: IL COLPEVOLE LO CONOSCIAMO
Abbiamo creato un sistema che non è compatibile con l’ambiente in cui viviamo e l’unica via d’uscita è quella di un cambiamento radicale
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Il decennio dal 2001 al 2010 è stato il più caldo di sempre, ma il decennio in corso non avrà problemi a superarlo. Il 2014 era stato l’anno più caldo della storia, ma il 2015 lo ha battuto con ampio margine e il 2016 batterà questo primato con un margine ancora maggiore. Nel frattempo il surriscaldamento provoca siccità sempre più gravi e frequenti nelle zone aride del pianeta, scioglimento dei ghiacciai, innalzamento del livello dei mari e una lista quasi interminabile di altri effetti negativi sul nostro pianeta e tutti gli esseri che lo abitano.
Spesso siamo portati a credere che questi effetti sul clima non ci riguardino veramente e non abbiano dirette conseguenze sulle nostre vite, ma non è così. Siamo portati a credere che gli effetti del surriscaldamento si manifesteranno poco a poco dandoci il tempo di mettere in pratica contromisure, e fino a pochi anni fa lo credevano, o almeno lo speravano, anche gli scienziati. Negli ultimi anni una nuova conoscenza scientifica si sta imponendo chiaramente: il cambiamento climatico può essere “non lineare”. Significa che, se continuiamo a immettere gas serra nell’atmosfera, non possiamo dare per scontato che la temperatura media globale aumenterà in maniera costante e prevedibile dandoci il tempo di prendere contromisure. Potrebbe accadere, ma potrebbe anche verificarsi un improvviso sbalzo globale con effetti potenzialmente devastanti. E visti gli ultimi dati, nessuno si sente di escludere che questo periodo stia cominciando e che in pochi anni potrebbe dimostrare tutta la potenziale portata devastante. E quando succederà potrebbe essere troppo tardi.
I sintomi ci sono tutti. Una ricerca del Center for Climate Systems Research della Columbia University, ha recentemente riunito in un unico studio i risultati di indagini condotte a partire dal 1970 su 829 “sistemi fisici” e 28.800 “sistemi biologici”. Il risultato è stato sorprendente: in oltre la metà dei sistemi si sono verificati cambiamenti significativi e tra quelli osservati oltre il 90% dei mutamenti registrati sono imputabili al cambiamento climatico. Questi variano da fenomeni circoscritti e locali, come ad esempio la crescita in alta montagna di specie vegetali di collina o piccoli adattamenti evolutivi negli animali, ad altri che riguardano intere regioni della Terra ed hanno effetti potenzialmente devastanti.
Eppure i cambiamenti climatici tra le preoccupazioni della gente occupano una posizione marginale. È una questione di prospettiva: il surriscaldamento è considerato dai più un pericolo serio, ma le sue conseguenze più spaventose sono a medio termine e alcuni dei suoi effetti già manifesti possono essere confusi con semplici calamità naturali. Nel frattempo abbiamo a che fare con il terrorismo, la crisi economica, l’emergenza profughi e molto altro. Niente, a quanto pare, può competere con queste preoccupazioni. Ma se non lo faremo da soli ci penserà la Terra a ricordarci molto presto che si tratta di un problema la cui soluzione non è rinviabile. Il nostro pianeta si è scaldato di 0,8 gradi rispetto all’era preindustriale, e la tendenza è in drammatico aumento, visto che le proiezioni parlano di un aumento di 0,1 gradi ogni dieci anni. Potrebbe sembrare poco un decimo di grado ma in verità può provocare potenziali reazioni a catena capaci di provocare carestie, guerre ed esodi di massa. Non è un’esagerazione.
I climatologi sono d’accordo nel ritenere che se la temperatura aumentasse di un altro grado, arrivando in prossimità dei due gradi in più rispetto all’epoca preindustriale, le conseguenze sarebbero terribili: lo scioglimento dei ghiacciai provocherebbe un innalzamento del livello dei mari tale da sommergere buona parte delle città costiere, mentre la siccità potrebbe desertificare e rendere inadatte alla vita intere regioni del pianeta. I cambiamenti sarebbero tali da condannare all’estinzione moltissime specie viventi e la stessa specie umana sarebbe a rischio. Continuando di questo passo è molto probabile che questo scenario si completi nel giro di un secolo scarso, ma già molto prima i suoi effetti potrebbero avere ripercussioni difficili da prevedere a livello sociale.
Il primo degli effetti verificabili sarà la creazione di nuove masse di profughi in fuga dalle proprie terre. Molti paesi sono pronti a sprofondare nella lista delle terre bagnate da meno di 200 millimetri di pioggia all’anno, ovvero il limite minimo per considerare un’area adatta alla vita: Algeria, Marocco, Libia, Mali, Mauritania, Niger, Ciad, Sudan, Egitto, Eritrea, Giordania, Iraq, parte di Siria, Somalia, Etiopia, Afganistan, Pakistan e India. Se non ci sarà un cambiamento radicale enormi masse saranno costrette a partire in cerca di una nuova patria. Si parla di centinaia di milioni di persone. Un fenomeno contro il quale nessun muro anti-migranti potrà rivelarsi efficace.
Un fenomeno che ormai da anni colpisce in verità enormi porzioni di territorio sacrificate a quelle stesse attività produttive che provocano l’emissione di enormi quantità di CO2 nell’atmosfera e di conseguenza il riscaldamento del clima. Ovvero estrazione di combustibili fossili e coltivazione di cereali destinati al nutrimento di animali destinati all’alimentazione umana. Questi due settori sono da soli responsabili di quasi il 50% delle emissioni nocive e già oggi provocano fughe di intere popolazioni vittime dell’aria irrespirabile provocata dall’estrazione di petrolio, come i popoli che abitano il delta del fiume Niger, o del disboscamento per far posto a nuovi latifondi, come le popolazioni amazzoniche e intere aree dell’Indonesia, o ancora della mancanza di cibo dovuta al fatto che tutte le terre circostanti sono proprietà di multinazionali che le utilizzano per produrre mangimi per gli animali che mangiamo noi occidentali, come in buona parte del continente africano.
Chi è il colpevole di questa situazione con la quale ci troviamo a fare i conti? Spesso sentiamo dire che la colpa del cambiamento climatico risiede nella “natura umana”, così ingorda e miope da aver sacrificato la Terra alla religione del progresso e del Pil. Come se tutti gli esseri umani avessero pari responsabilità. Prendendo per buona questa spiegazione saremmo portati a credere che non c’è niente da fare e che l’uomo, in quanto tale, è destinato all’autodistruzione. La verità è che l’uomo ha vissuto in armonia con la terra e tutti gli esseri viventi per millenni, fino a quando i sistemi imposti non da tutti ma da alcuni uomini, come il capitalismo sfrenato e l’ideologia del consumo, non sono divenuti dominanti. Ancora oggi esistono società che organizzano la vita in modo diverso, continuando a credere che l’essere umano deve pensare alle sette generazioni che verranno dopo di lui, che deve prendere solo ciò di cui ha bisogno e rispettare i tempi dei cicli di rigenerazione della terra. Queste popolazioni esistono tutt’ora e sono vittime, non colpevoli. Sono quelle popolazioni che noi consideriamo “arretrate” o “primitive”, mentre rimaniamo totalmente incapaci di ascoltarne gli insegnamenti, mai così attuali.
Per uscire dalla situazione attuale e permettere anche alle generazioni future di godere di un pianeta Terra abitabile occorre invertire questo sistema. Certo, alcune prese di posizioni individuali possono contare. Serve limitare i propri consumi di energie fossili, di carne e di cibi provenienti dall’altra parte del mondo, così come è necessario uscire dalla logica del consumismo più insensato. Ma non sarà sufficiente. La verità è che la crisi ambientale è strettamente connessa al sistema che l’ha generata e che se fino ad oggi non si è agito per fermarla è perché ogni azione in favore del clima sarebbe incompatibile con l’esistenza stessa del capitalismo sfrenato. La via di uscita è in una trasformazione radicale del nostro stile di vita, del nostro modo di pensare, e nella nostra volontà di uscire dalla dittatura del Pil ad ogni costo. Solo in questo modo saremo capaci di fare qualcosa per le prossime sette, o magari più, generazioni.
* Giornalista professionista freelance, vive a Bologna dove lavora insieme al gruppo media indipendente SMK Videofactory. Ha scritto e realizzato video-inchieste per Il Corriere della Sera, La Repubblica, Altreconomia ed altri. Come documentarista ha realizzato il lungomentraggio Kosovo versus Kosovo.
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