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Dio nei pensieri FABIOLA CONFORTINI di Tito Cauchi

Fabiola Confortini è nata a Firenze nel 1948 e vive a Limite sull’Arno (FI);docente di Lettere in pensione é ora “nonna a tempo pieno”. Vincitrice di premi per la poesia, pubblica la presente raccolta, Dentro l’azzurro dei pensieri, che è seconda, dopo essere “comparsa sulla scena letteraria”con “Profumo di vita” del 2020, sempre con la stessa Accademia. L’immagine di copertina è della dott.ssa Elisa Gabbrielleschi (primo piano di giovane donna con il viso coperto dalle braccia alzate come se stesse danzando, nello sfondo un cielo azzurro appena velato di nuvole e il sole abbagliante).

Marcello Falletti di Villafalletto, nella prefazione, afferma che questa silloge si caratterizza per il senso di ricerca che si avverte nelle “profondità recondite di un’anima assetata di verità e di assoluto.”. I componimenti, circa un centinaio, sono raggruppati in tre parti, sinteticamente e nell’ordine: realtà in un lirismo classico, affetti più cari e famiglia, colloquio e preghiere con l’Altissimo. Il Falletti continua affermando che Fabiola si manifesta “donna pensante; sposa devota; madre affettuosa; insegnante diligente; nonna tenera; e protesa verso un futuro vissuto come aspettativa ancestrale”; pur non nascondendo le proprie fragilità e dubbi, la sofferenza e lo strazio in cui è abbandonata la “terra”; tuttavia nutre aspettative legate al sorgere e al tramontare del sole e della natura primordiale tutta. Il Critico rileva una versificazione degna dei rimatori romantici, nondimeno assicura che la Poe- tessa supera i ruoli tradizionali in cui la donna veniva relegata nei compiti domestici. Avverte, inoltre, che l’uso “eccessivo dei pronomi personali (…) assume un significato profondo e intenso di autentica armonia; che può continuare a cantare infinitamente”. Ciò detto ne rivisitiamo il testo. I Pensieri di Fabiola Confortini prendono avvio dal componimento in cui decanta la sua Firenze dichiarandole che “più grande/ si fa la nostalgia di te”. Per necessità espositiva mi limiterò ad attingere qua e là. La Poetessa si abbandona ai ricordi di una natura floreale che su di lei opera un potere curativo: “Il tocco delle mie dita/ fa germogliare la terra/ arida e stremata”, pur nel contrasto di una forza avversa che “ha fracassato alberi e cespugli,/ ha fracassato fiori e maggiolini,/ farfalle e sterpi secchi.” Scopre sé stessa “per divenire ogni giorno/ più donna,/ dentro questa crisalide/ sentendosi amata.”, e scopre che la bontà può risiedere in ogni luogo e in ogni persona. Della sua adolescenza ammette: “lasciavo andare/ la mia dolce innocenza”, ugualmente volgeva il pensiero al Cielo interrogandosi sul futuro e promettendo l’accoglienza ai più bisognosi. Ma oggi rimpiange il suo “paradiso perduto” (pp. 22, 28 e 46).

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Fabiola Confortini usa un “tu” che transita dall’umano al trascendente per fondersi in un tutt’uno come quando chiede: “Come posso crescere/anch’io,/ se non recidi forte/ i miei tralci avvizziti,/ se non mi fecondi,/ se non mi sostieni?” (p.23). Questa fusione vale anche per l’amore sia verso gli umani sia per il Divino, sia per la natura più in generale. Difatti dice di sentirsi figlia e sorella della luna, anche se avverte su di sé una “solitudine infinita”, più volte evocata (p.36), che ricopre tutta la sua vita. Il suo percorso è tracciato sulla sabbia, ma si sente leggera come una farfalla, forse perché è incerta ma capace di sollevarsi. Anche se sa che non si può riavvolgere “il filo del tempo”, pure cede ai ricordi della prima confessione in chiesa, ai sedici anni e al desiderio, non esaudito, di sentirsi dire “ti amo”.

Siamo entrati nel suo mondo interiore scoprendovi un ventaglio di emozioni che la Nostra trasferisce su carta. Vede nello sguardo che si posa su di lei la presenza del Signore e come San Francesco ama le creature di Dio, cercandolo. La sua gioia oscilla tra il desiderio di realizzarsi come donna e quello di donarsi per il bene degli altri. Nel religioso raccoglimento ricorda Don Walter; in momenti di fantasia sente la tenerezza verso Stellina anche se la graffia e verso Buck che le corre accanto (gatta e cane). Osserva che la realtà contrasta con il biblico Abele che viene ucciso tutti i giorni e lei persiste a considerare il proprio cammino incerto. Possiamo affermare che Fabiola, in questa prima parte, pur nel contrasto, avverte la presenza di Dio.

Si rivolge al figlio immaginando di accompagnarlo nella crescita, convinta di prendere come faro il suo “immenso amore”. Le ansie vissute dai genitori i quali possono indicare la strada, ma spetta ai figli la scelta. L’ansia durante la crescita rimane anche se si diventa adulti, se i capelli si imbiancano. A volte l’amore che si ha dentro non si riesce ad esprimere appieno. Ricorda l’insegnamento ricevuto in famiglia d’origine, le mani ruvide del padre capaci di accarezzare: “Lui non era credente allora, / ma mi ha insegnato ad amare.” (p.61). Ricorda le estati trascorse a Follonica, il ritmo della risacca che accompagnava le sue fantasie di bambina. Il passo è breve per veder- si rispecchiata adesso nei figli, amati come lo è stata lei, ancora prima di vedere la luce: “Amelia, / dolce sorriso/ della mia età matura. / Lieve carezza/ di una vita ormai vissuta.” (p.65), dono del Signore. Si vede nonna e come tale rivede il proprio nonno, commentando che i ricordi si fanno belli specialmente quando ci vengono a mancare le persone care. Ora, anche i suoi figli diventati a loro volta genitori, possono capire l’ansia nei riguardi dei figli. Quindi dobbiamo credere che la morte porta via solo il nostro corpo fisico, la nostra “crisalide”, non anche lo spirito che viene mantenuto dalla bellezza propria o dal ricordo che lasciamo. Riappare Firenze “tra mozziconi di bestemmie/ e le risate di sabato sera,” nel trambusto della vita cittadina, “nelle automobili di chi cerca/ compagnia/ lungo le strade e nelle discoteche”. Tra il malcostume diurno e notturno, la Poetessa invoca: “Ti ho cercato!/ Signore,/ nell’oscurità di questa Babele,/ che ondeggia e si muove e vive,/ ho temuto di perderti ancora!”. Solo adesso comprende di averlo avuto sempre vicino; e, avendolo trovato, in sua assenza, si sente perduta. È un continuo invocare e un alternarsi di fede e di smarrimento, fino a fare ammissione di essere “figlia dell’unico Dio,/ figlia dell’infinito/ ed infinita anch’io.” Loda il Signore dicendo che la Croce rappresenta la Resurrezione non solo di Cristo, ma anche la sua, di ogni essere umano. Ha una posizione altalenante tra la Maddalena e il fariseo, e si rammarica di essere stata richiamata ora che ha i capelli bianchi. Eppure dice di avere cercato Dio nei suoi ‘perché’, dice di ringraziarlo, e promette ancora di ‘contemplarlo’; ripete più volte questi pensieri; esulta di gioia; dice che Dio vuole che lei salga sulla croce e che soffra (per comprendere). In ‘Perdonami’ enumera molte delle sue mancanze, così ancora promette, fa suo il chiodo della crocifissione e riconosce che la sua vita (come quella di tutti gli umani) è misera cosa che vola come una piuma.

Giunti fin qua, penso di potere dire che tutte le poesie di Dentro l’azzurro dei pensieri, di Fabiola Confortini, parlano di lei e del suo mondo interiore, confermando la prevalenza tematica nella tripartizione (realtà, famiglia, preghiere); in ogni caso la “crisalide” le ha fatto da scorza protettiva. Quanto alla versificazione, la Poetessa è libera da canoni specifici (almeno in apparenza) e usa componimenti lunghi, mediamente di 40-50 versi (non vorrei sbagliare), inoltre fa uso del leitmotiv non semplicemente nelle singole poesie, ma mi sembra che si ripeta il tema del contrasto emotivo con sé stessa, specialmente nei suoi colloqui con l’Altissimo. In ogni poesia c’è un messaggio, soprattutto nella prima parte, ma è sempre presente l’indirizzo pedagogico dell’insegnante, in chiave dell’auto psicoanalisi. Nella sua poetica rientrano voci come la finestra, dentro e fuori della quale osserva il mondo: sintomo di ricerca; l’oltre, della siepe, della soglia, del confine, della sua mente, del suo orizzonte: segno di sforzo. Direi pure, che la sua è poetica della confessione e di una sorta di conversione religiosa, sempre nell’alternanza tra fede e promesse; questo mi viene suggerito anche dalla pubblicazione che avviene dopo lunga maturazione.

Fabiola Confortini, DENTRO L’AZZURRO

DEI PENSIERI, Anscarichae Domus, Accademia Collegio de’ Nobili, Scandicci, Firenze 2021, pp. 134.

Tito Cauchi

ROTOLA

Mondo sconosciuto, dolente travalicante pensieri ripiegati come trafitture di logoranti ammassi rotola nell’incessante misura in cui porge la vita il suo tempo.

Wilma Minotti Cerini

Da: L’alba di un nuovo giorno, Eugraphia,2020

Mimosa (Per la festa della donna)

È la stella di Rio Vivo la mimosa che a marzo, giorno e notte, sventola rami fioriti e saluta gioiosa astri in ascensione nel cielo di mutevole stagione. Sfida i colori del sole, tremula assiste a pallori di luna, dona rifugio al merlo che non ha più corde per intonare l’antica canzone. È lì, simbolo di luce e creatività, brillante e luminosa regina coronata di fiori, ammirevole in densità ed estensione, che, con tacito pudore, mi parla di bellezza femminile, di tenera grazia muliebre che si espone a occhi adoratori, a cuori vibranti d’umane passioni, alla mistica riflessione che l’oggettivazione in essa vede d’ogni sentimento d’amore, che il sapore insegue della vita e di innocenza e amenità si corona.

Antonio Crecchia

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