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La Teoria elementare di Leone D’Ambrosio, di Domenico Defelice, pag

LEONE D’AMBROSIO

TEOREMA ELEMENTARE

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di Domenico Defelice

IL tema che subito si manifesta, fin dal brano riportato in prima di copertina, è quello della casa animata dalla figura dei genitori; “una casa ancora viva” – scrive il poeta -, perché i cari, ormai portati via dalla morte, sono presenti in spirito e materializzati dalle e nelle “cose più consumate”: la “valigia incordata di mio padre/e (i)l dolore di mia madre”, cristallizzati nel fotogramma mentale di “quando partirono la prima volta”. Due figure – quelle dei genitori – che nel libro sono proposte più e più volte, una presenza costante, con sempre l’aggiunta di particolari, sicché, alla fine, appaiono complete e reali pure nell’aspetto interiore, psicologico. “Mia madre è un dolce segreto/e mio padre un rumore lieve”, precisa D’Ambrosio, affermando che anche per lui, ormai, l’aspetto intimo, esistenziale, predomina sul quello della vita quotidiana. Si leggano, a proposito, “Insolita è la tua visita”, per il genitore; “Obliquo è il tuo silenzio”, per la genitrice; “Lettera a mio padre e a mia madre”, per entrambi. Il loro puzzle si compone tassello dopo tassello. Della madre, per esempio, apprendiamo che amasse ricamare e ch’era suo il “centrotavola/bianco”sul quale, una sera, sono stati rovesciati “vino rosso/e zucchero”; che fosse devota e recitasse “sgualcite/preghiere”; che fosse attenta e affettuosissima, tanto che il poeta risente ancora, dopo tantissimi anni, il tepore della sua “mano/ sulla fronte che (gli) misurava la febbre”. Il padre aveva una “camicia consumata/al collo”; a vent’anni aveva vestito la “uniforme militare”; amava la musica e “suonava il sassofono”; “non (era) mai andato in pensione” e passava “il tempo davanti al cantiere/con le mani calcinate,/nella geologia del silenzio”. Entrambi parlavano il “dialetto contadino” .

Quello di Leone D’Ambrosio è un narrare poetico calmo e leggero, senza termini ricercati, senza sfoggio di sapere (ma s’indovina la profondità del pensiero), senza retorica. Un colloquiare, insomma, con gli altri e con se stesso, magari vicino a un camino, sicché “il cricchiare/ della brace”, da lui volutamente messo in sottofondo, si accresce via via fino a divenire colonna sonora, che accompagna altra fonte di calore più potente, come la “brace di sole”. Non è, il suo, un narrare con l’intento di scavare solo nel proprio interiore. Ci sono città – e quella della sua infanzia con “i tremori dei tramonti”; ci sono case; ci sono paesaggi; ci sono amici real-

mente incontrati o tali perché amati attraverso le loro opere. Il tutto accompagnato da una Natura splendida, mai mitizzata, solo addolcita dal ricordo. La Natura mantiene in D’Ambrosio intatto il suo balsamo, che non significa l’assenza del dolore intenso e dell’autentico dramma, presenti – sempre per citare – in “Quel giorno in via D’Amelio”; nei brani che si riferiscono alla pandemia che, ormai, da anni ci assilla: “Non è facile adattarsi alla malattia,/alla malinconia degli sguardi/e ai giorni d’attesa,/alle ambulanze davanti agli ospedali./Una natura morta è la stanza/della rianimazione”, mentre, da dietro i vetri delle finestre, assorbiamo e serriamo dentro, intensamente, “la luce pura nel cuore/per non dimenticare” (naturale, intimo nostro abbarbicamento alla vita); nella ragazza di Kabul, picchiata a sangue solo perché indossava “un paio di Jeans”e voleva vivere la sua vita, sposare chi amava e non chi le veniva imposto (in Italia, a Novellara, è successo di peggio, con la ragazza Saman Abbas uccisa, il corpo sparito). Dramma, solo apparentemente meno intenso, anche quello che prova il genitore amoroso nel rendersi conto di non poter penetrare i contrasti che turbano il proprio figlio.

Paesaggi, luoghi, la Natura in genere, la violenza, la malattia e la morte, l’assenza, l’interiore e altro e altro. L’assenza (“eternità precaria”), assieme alla solitudine e alla tristezza, ha “il colore della luna”. “La morte –che “cammina controvento/e lascia in bocca un sapore salato” -, legata com’è strettamente alla vita, a noi appiccicata sin dalla nascita, è motivo di ricordo costante e di legame con l’Eterno: “Vivo nel tuo nome/al confine del pensiero”. “I morti, con la loro ideale presenza – scriveva Francesco Pedriana -, rendono più affascinante il linguaggio del giorno ai vivi e spesso da loro ci viene quel conforto che i superstiti, destinati a sopravviverci –usura della vita! – non ci offrono più”. I tocchi paesaggistici sono infiniti e tutti fugaci, quasi lapidari, buttati lì come pepite perse, seminate da uno strappo nel contenitore: “il cielo è una cattedrale frastagliata di stelle”; ci sono “zufolate di canne” e intenso è “l’odore dell’erba appena tagliata”; il mare è sonante e odoroso di luce; il “sole/riccioluto”; il vento, giustamente, sempre anima variabile e imprevista; “la luna s’increspa”e, a volte, appare “schiacciat(a) sui tetti”. Tutti quadretti che hanno carne e sangue, che sono umani: ”Questo paesaggio ti somiglia,/t’appartiene come l’acqua/ dei fiumi intrecciati/che rinfrescano gli orti,/dentro di me”; come umane sono le piante: l’oleandro che s’incupisce. Quadro animato e orto concluso, ancora, il brano “Geometrie di confine”, con piante e animali (le formiche, l’ape) e l’uomo, infine, unico ad avere cognizione della morte, pur se non ne conosce il momento preciso.

Alla fine, quello che il poeta ha indicato come vuoto, passato, fluidificato fino ad apparire immagine eterea, assenza, insomma, diviene presenza solida più del “muro a secco”, perché in grado di dare ancora emozioni, attualizzando situazioni e fatti passati che avrebbero dovuto essere già da tempo coperti dall’oblio. Siamo, cioè, a un silenzio più che eloquente, che ci ricorda il “silenzio che grida” del nostro indimenticabile amico Rocco Cambareri. Un’assenza, questa di Leone D’Ambrosio, mai così ricca di presenze, mai così affollata, fino a inglobare non solamente ciò che ci gravita attorno, quel che accompagna il vissuto di ciascuno di noi, ma anche il nostro interiore, compreso il “dubbio dell’eterno/…/che non è dei morti”; il che significa, anche, che D’Ambrosio crede cristianamente in un’altra vita, concreta, piena e senza termine rispetto a quella quasi labile, effimera, che ci tocca trascorrere su questa “convulsa terra” – come la definisce il grande Giuseppe Gerini – che, tuttavia, “illesa vola/dentro celeste sponda”, “più silenziosa e pura della luna”. Pomezia, 19 aprile 2022

Domenico Defelice

LEONE D’AMBROSIO: TEOREMA ELEMENTARE - Prefazione di Elio Pecora, Postfazione di Carmine Chiodo, Edizioni Ensemble, 2022 – pagg. 86, € 12,00.

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