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Poems, di Fabio Dainotti, pag. 26); Isabella Michela Affinito (In zona rossa e oltre, di An- tonio Crecchia, pag. 27); Mario Gallo (Non circola l’aria, di Domenico Defelice, pag

L’Arte in tutte le sue manifestazioni in tempo di pace è realtà effimera, piacevole ma non indispensabile come non lo è stato il teatro, il cinema, le mostre, il balletto, i concerti musicali dei cantanti nei grandi stadi quando è stato deciso di fare guerra pesante al virus; viappiù, quando s’è imposto di dover vivere ciascuno alimentandosi del proprio mondo interiore durante la reclusione nelle proprie case, allora l’Arte è divenuta ‘albero maestro’ dell’umana nave esistenziale!

Forse chi non era artista lo è diventato per la potente necessità di nutrirsi della bellezza che la pandemia stava soffocando, come chi non era atleta s’è improvvisato pur di compiere qualche corsetta fuori dalle mura domestiche.

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E forse anche chi non era poeta lo è divenuto pur di farsi compagnia nell’estensione compatta della solitudine fattasi gelatina palpabile, affinché le parole e i versi potessero in essa infiltrarsi per corromperla. E chi già era poeta altresì non poteva non versificare sull’evento e le sue deleterie conseguenze, magari in forma diaristica, consequenziale, tenendo conto dell’evoluzione e dell’involuzione a fasi alterne del male collettivo. Fasi alterne che hanno assunto colorazioni dettate dall’organo governativo e la più famigerata è stata quando l’intera Italia è entrata In zona rossa e oltre, ovvero anche l’Europa e gli altri continenti.

«Basso Molise, zona rossa./ Per due settimane, alla finestra,/ staremo a guardare lo spuntare/ del sole sul mare, l’innalzarsi/ del disco rosso per le libere/ plaghe del cielo, eclissarsi/ come un solitario peregrino/ cui è stata negata la persistenza/ dentro città e borghi malati/ di funesta pandemia. Salgono/ la malinconia e la tristezza,/ nell’arresto domiciliare, imposto,/ ma con disarmata volontà accettato. […] Cala torva la prima sera./ Domani sapremo chi e quanti/ sono stati morsi dalla tarantola nera/ e gettati nell’angoscia d’affrontare/ il calvario, a rischio di chiodi e croce.// Termoli, 8 febbraio 2021». (Pagg. 37-38).

Il poeta saggista ricercatore storico traduttore molisano, Antonio Crecchia, è ricorso all’arte sua poetica per spiegare il ghermente accadimento e lo ha fatto componendo liriche nel lasso di tempo di venti mesi, quindi, comprendente due primavere, due Pasque (2020-2021), un Natale (2020), due estati, un autunno e un lunghissimo senso d’equidistanza dal nulla e dalla certezza perché il dato sicuro è stato solo il virus che cambiava pelle nelle sue imprevedibili variabili.

Leggendo le poesie di questa silloge a tema il lettore si sentirà di stare accanto al poeta di Termoli, proprio nella sua casa ad ascoltare il propalarsi delle notizie inerenti la pandemia; si sentirà suo ospite non occupante né spazio a tavola né altrove, ma presente virtualmente tra quelle pareti domestiche che ogni giorno hanno visto l’autore compartecipe della tragedia che si stava svolgendo ovunque fuori.

«È calata un’ombra nera/ sulla Terra. Un’ombra/ che oscura il sole della vita,/ toglie alla labbra il sorriso,/ detta sentenze di morte/ dov’essa lesta e torva arriva.// Ci toglie dalle mani le palme/ dell’ulivo, la gioia di tuffarci/ nei raggianti colori del mattino;/ priva i bimbi d’una corsa sui prati,/ tra erbe fresche e fiori immacolati;/ annulla della Pasqua i riti sacri/ e tutti ci tiene nella sua ferrigna/ rete di famelica pescatrice.» (Pag. 14).

Ma è anche vero che la poetica di Antonio Crecchia possiede le tonalità giuste della convincente risalita – ricordiamo che l’autore è nato sotto il Segno zodiacale del Capricorno, tanto pervicace quanto fiducioso di raggiungere la cima dell’amata altura – per cui accanto a tanta rovina causata da un organismo infinitesimale, il Nostro ha puntato alla sconfitta dello stesso e ad una possibile via d’uscita perché la natura con le sue attrattive è là che attende, come il padre della parabola del figliol prodigo, ciascuno di noi. «Temporali di idee. Rovesci di parole./ Contemplazione del verde estivo/ disteso a macchie di pioppi e lecci,/ vecchie canne e piante d’ulivo./ Conto il transito delle ore, legate/ al mobile cocchio del sole.// Mi sfiorano carezze di vento/ odoroso d’acqua di mare,/ messaggero di rare canzoni/ sussurrate da non so quali bocche/ ritrose all’eccesso di calura./ Sul trono dell’estate l’azzurro/ cielo riposa con occhi incantati.» (Pag. 90).

Isabella Michela Affinito

DOMENICO DEFELICE

NON CIRCOLA L’ARIA

Genesi Editrice S.A.S. Torino, Dicembre 2020.

Anch'io, quando ero un bambino, sognavo una FIAT Topolino, proprio come l'autore- protagonista del racconto “500, amore mio!”. Era l'auto che mi sarebbe piaciuto acquistare da grande. “Alla presentazione di Roma – scrive Domenico Defelice, riferendosi proprio alla nuova versione della FIAT 500 – ero commosso. (…). Pensavo alla mitica Topolino, alla vecchia 500 e alle sue tante, successive versioni (…). Appena diplomato, mi buttai a capofitto in un lavoro di magazzino. Dopo due anni, firmando un mazzo di farfalle, mi comprai la 500. Ricordo che sono andato a ritirarla presso un rivenditore autorizzato di Gioia Tauro” (Cfr. Domenico Defelice, “500, amore mio” pp. 116- 117).

E' il sogno dell'auto, che si concretizza nella mitica FIAT 500! E' il mito della gioventù d'un tempo lontano, ma sempre vivo nella memoria. E se, per il Defelice, la 500 è un po' il mito delle sue fughe e dei suoi ritorni, del suo andare per il mondo in cerca della “vita”, un altro mito, quello delle nuove tecnologie, appare nel suo racconto dal titolo “In viaggio con Google”. Questo si presenta, per me, come un racconto “spia”, un racconto che apre al “mondo” della sua narrazione. “Clarissa – egli scrive – era assai brava al computer e quella mattina, seduta al mio fianco, mi propose di fare un viaggio su Google per conoscere il mio vecchio paese (…) “Senti – le dico – perché non partiamo da Polistena, dove ho frequentato gli anni della media?” (Cfr. Domenico Defelice, “In viaggio con Google” pp. 168- 169). E così, come Anteo a Gea, la propria madre terra, anche lui ha bisogno di ritornare alla propria terra natìa per vivere o, meglio, per sentirsi ancora vivo, attraverso la riscoperta e il recupero delle proprie radici. E, in queste pagine, la sua terra ritorna nei suoi colori, nei suoi profumi, nei suoi ricordi e nel suo respiro.

I racconti di Domenico Defelice, tutti belli ed interessanti, si nutrono in gran parte di questa eco ed hanno al centro la terra d'origine, di cui egli ha, in sé, l'anima ed il senso, che si condensano nei sentimenti dell'anima greca. In quest'ultima vivono e si muovono Dioniso, cioè la divinità dell'ebbrezza, ed Apollo, cioè la divinità dell'armonia e dell'arte. E sono proprio questi due principi, vale a dire l'Apolineo ed il Dionisiaco, che secondo Nietzsche, in quanto essenza dell'anima greca, hanno generato l'antica tragedia, ad animare la narrativa di D. Defelice. Ebbene, la misura dell'Apollineo e del Dionisiaco la sento palpitare di continuo nei racconti di Domenico Defelice. Apollo e Dioniso io li trovo, fin troppo evidenti, già nelle figure del “pittore” e del “mercante”, nel racconto dal titolo “Il mercante”. “Sì, vorrei ci fosse l'anima – diceva il mercante mentre il pittore ritraeva Bruna - (…). Non era impresa facile catturare e imprigionare la sua anima (…) lavorò ancora per una mezzora, come ispirato (…). 'Stupendo! Stupendo!', gridava al pittore come un ossesso. 'Hai disciolto il suo corpo, hai trascritto quel che lei vedeva, ma il suo animo è intatto!' (…) Il mercante pose sul tavolo il denaro e uscì correndo col quadro fra le mani” (Cfr. Domenico Defelice, “Il mercante” pp. 98- 99- 100).

Ma, come scrivevo di sopra, c'è un racconto “spia” che dà il senso e la misura dei racconti di Domenico Defelice ed è il racconto “In viaggio con Google”. E' il racconto che dà contezza del ritorno dello scrittore alla propria terra, alle persone care, alla vita e alle esperienze d'un tempo. E se in questo racconto il ritorno è virtuale, in tanti altri è frutto della memoria, tant'è che mi piace sottolineare che il tema di fondo di questi racconti e dell'intera raccolta è il tema del S, il tema appunto del ritorno. Lo stesso titolo della raccolta, “Non circola l'aria”, allora assume una valenza metaforica, in cui si condensa uno stato d'animo. E' lo stato d'animo del dell'autore- protagonista il quale, forse, sente che, fuori dal proprio “mondo”, è come se non possa circolare l'aria. Così, nei racconti di D. Defelice, riprende corpo la terra dì origine e ritornano ombre e figure d'un tempo, voci e suoni d'un mondo lontano e d'una età perduta. E l'uno e l'altra ritornano intatti, nella propria dimensione, attraverso la memoria che garantisce, all'autore- protagonista dei racconti, il viaggio tutto intimo del S, del ritorno alle radici e a Gea.

E', forse, questa la chiave di lettura di questi racconti di Domenico Defelice, racconti interessanti e coinvolgenti e svolti in una prosa felice e piacevole, tanto da spingere ad una lettura d'un fiato.

Mario Gallo

A FIORELLA

Ape industriosa, si affretta silente ad aiutare amici e parenti. Sempre in attività, sempre cordiale, l’incontri per la strada o sulle scale

in movimento sempre, l’ascensore non prende perché vuole mantenere il tono muscolare, pur controllando il cuore. Cuore grande, sensibile ai dolori ed ai problemi, questa donna amica mia carissima d’infanzia, è veramente un dono del Signore per chi l’ha per vicina ed abbastanza la conosce da conferirle il titolo d’ “Ape industriosa”, fiore profumato di amicizia, e di bontà fragranza.

Mariagina per Fiorella 18 marzo 2022 ore 3:15

Mariagina Bonciani

Milano

Er tesoro

Quann’ero regazzina m’inzognavo ‘na bussoletta piena de berlocchi. E ner guardà me rifacevo l’occhi, ma pe paura nun me ciaccostavo.

Poi, pe sentimme come ‘na reggina, fionnavo su quell’oro e quel’argento svotannola co tutto er sintimento, der bendiddio de robba sopraffina.

Tutto è cambiato: nun sò più fanella; nun sò attirata da le cianfrusaje che nun sò bone a vince le battaje. Mo cerco lo sprennore de ‘na stella.

Elisabetta Di Iaconi

Roma

OVUNQUE TU SARAI

Quante volte te ne sei andato, hai chiuso la porta ed i tuoi passi forti hanno rimbombato giù per le scale! Poi più niente! E noi siamo rimasti in casa ad aspettare: tuo padre alla televisione, io a riordinare. Puoi andare dove vuoi nella notte o nella luce del sole, poi volare senza che noi sappiamo dove, ma non puoi rompere questo filo tenace che ti lega per sempre al nostro cuore. Il tempo può spezzare le pietre e le montagne, può capovolgere ed oscurare le stelle, ma non può spezzare questo filo feroce che ti lega alla nostra voce. E tu la sentirai sempre più forte, anche quando il silenzio coprirà la nostra pace perché non si perde nel nulla il dono gratuito del nostro amore.

Fabiola Confortini

Da Dentro l’azzurro dei Pensieri, Poesie, Prefazione di Marcello Falletti di Villafalletto, Ed. Anscarichae Domus, Accademia Collegio de’ Nobili, 2021.

AALLELUIA! AALLELUIA! ALLELUUIAAA!

22/4/2022 L’ambasciatore russo in Italia, tra il serio e l’ingenuo (o il faceto?), ha affermato non essere giusto che l’Italia fornisca armi all’Ucraina. “La cosa che ci preoccupa – ha detto – è che gli armamenti italiani saranno usati per uccidere cittadini russi”. Alleluia! Alleluia! Evidentemente, in quella martoriata Nazione da loro spudoratamente invasa, i carri armati russi, i missili, i cannoni, gli aerei, sparano distribuendo fiori, non sganciano bombe e mietono vittime.

Domenico Defelice

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