POMEZIA-NOTIZIE
Maggio 2022
LEONE D’AMBROSIO TEOREMA ELEMENTARE di Domenico Defelice
I
L tema che subito si manifesta, fin dal brano riportato in prima di copertina, è quello della casa animata dalla figura dei genitori; “una casa ancora viva” – scrive il poeta -, perché i cari, ormai portati via dalla morte, sono presenti in spirito e materializzati dalle e nelle “cose più consumate”: la “valigia incordata di mio padre/e (i)l dolore di mia madre”, cristallizzati nel fotogramma mentale di “quando partirono la prima volta”. Due figure – quelle dei genitori – che nel libro sono proposte più e più volte, una presenza costante, con sempre l’aggiunta di particolari, sicché, alla fine, appaiono complete e reali pure nell’aspetto interiore, psicologico. “Mia madre è un dolce segreto/e mio padre un rumore lieve”, precisa D’Ambrosio, affermando che anche per lui, ormai, l’aspetto intimo, esistenziale, predomina sul quello della vita quotidiana. Si leggano, a
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proposito, “Insolita è la tua visita”, per il genitore; “Obliquo è il tuo silenzio”, per la genitrice; “Lettera a mio padre e a mia madre”, per entrambi. Il loro puzzle si compone tassello dopo tassello. Della madre, per esempio, apprendiamo che amasse ricamare e ch’era suo il “centrotavola/bianco” sul quale, una sera, sono stati rovesciati “vino rosso/e zucchero”; che fosse devota e recitasse “sgualcite/preghiere”; che fosse attenta e affettuosissima, tanto che il poeta risente ancora, dopo tantissimi anni, il tepore della sua “mano/ sulla fronte che (gli) misurava la febbre”. Il padre aveva una “camicia consumata/al collo”; a vent’anni aveva vestito la “uniforme militare”; amava la musica e “suonava il sassofono”; “non (era) mai andato in pensione” e passava “il tempo davanti al cantiere/con le mani calcinate,/nella geologia del silenzio”. Entrambi parlavano il “dialetto contadino”. Quello di Leone D’Ambrosio è un narrare poetico calmo e leggero, senza termini ricercati, senza sfoggio di sapere (ma s’indovina la profondità del pensiero), senza retorica. Un colloquiare, insomma, con gli altri e con se stesso, magari vicino a un camino, sicché “il cricchiare/ della brace”, da lui volutamente messo in sottofondo, si accresce via via fino a divenire colonna sonora, che accompagna altra fonte di calore più potente, come la “brace di sole”. Non è, il suo, un narrare con l’intento di scavare solo nel proprio interiore. Ci sono città – e quella della sua infanzia con “i tremori dei tramonti”; ci sono case; ci sono paesaggi; ci sono amici real-