Russell Coutts Jeff Bezos Chris Hemsworth
Luca Gardini Angelo Galasso Helena Bordon Denise Cali Bruno Bisang
Il paradiso esiste Giada Ghittino
Foto: Alberto Buzzanca
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Sommario
Good Life
La vita ĂŠ una magia
Bruno Bisang
Luca Gardini
Angelo Galasso
Pag. 4
Pag. 10
Pag. 18
Giada Ghittino
Pag. 7
Chris Hemsworth
Hilton
Pag. 14
Pag. 22
Good Life e-mail dominiqueantognoni@yahoo.it
Neraida Bega
Roger Federer
Russell Coutts
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Pag. 16
Pag. 28
Editoriale
Il
paradiso esiste
C
onfesso di non sapere da dove e come iniziare. Poco importa, forse vale il classico “c’era una volta”, così si va sempre sul sicuro. Ecco: rewind. Siamo nel 1986 o giù di lì. Tranquilli, non racconterò la storia della mia vita. Già a quei tempi avevo ben chiaro dove volessi arrivare. Ero di un’ambizione feroce e sognavo forse troppo. Ero innamorato pazzo del profumo inebriante dell’inchiostro e della tipografia, immaginavo un futuro da editore di successo. Ci ho impiegato un bel po’ per mettere insieme i pezzi del puzzle, un puzzle con tanti ostacoli, ma ci sono arrivato. La copertina del numero che avete fra le mani è la chiusura perfetta del cerchio. Si, posso dirlo con assoluta certezza: quello che sognavo a occhi aperti è diventato realtà. Fatico a dirlo, ho quasi paura: però è tutto vero. Quanti anni ho sospirato ammirando le cover di Esquire, quante volte mi ripetevo, convinto, che un giorno, da grande, le mie sarebbero state meglio. Eccoci, missione compiuta, proprio nel mese nel quale la mia rivista di riferimento compie 80 anni. Giorni addietro sfogliavo il numero celebrativo, quasi con timidezza e infinita lentezza, per non finirlo troppo presto: lo accarezzavo, più che sfogliarlo, mi gustavo perfino il fruscio delle pagine. Arrivato all’editoriale sono rimasto affascinato, incantato dalle parole di David Granger, uno dei direttori che più apprezzo in assoluto. “Quando siamo andati in stampa mi è dispiaciuto immensamente, anzi, ho odiato quel momento, perché si concludeva un mese straordinario, intensissimo, pieno di energia creativa e sensazioni irripetibili”. Ricordo che sono sobbalzato sulla sedia: vivevo la stessa sensazione, volevo che non finisse mai la preparazione del numero, che la cover rimanesse la stessa per sempre, che il mondo si fermasse. Emozioni del genere le vivi una volta soltanto, muori dalla voglia di premere il tasto “pause” e di gustarti all’infinito la magia dell’istante. Si chiude un periodo lunghissimo, quasi tre decenni. Tutto in una copertina, tutto in un mese. Si chiude un periodo lunghissimo iniziato con i ritagli dei giornali, quando ero appena adolescente. I sogni di vivere a Parigi (a quei tempi ne ero affascinato), poi a New York (perché Esquire ha la redazione lì). La ragazza bionda, che nelle mie fantasticherie giovanili si chiamava Francoise. Come tutti i teenager effervescenti avevo abbozzato una specie di romanzo, seppur con un vocabolario modesto, come d’altronde ora: confesso, vergognandomi, da questo punto di vista, zero miglioramenti. Nei fogli scritti a mano, che custodisco ancora nonostante mezza dozzina di paesi cambiati e un quarto di secolo di vita passata ovunque nel mondo, lei era sorridente, fresca, semplicemente straordinaria. Avevo meno di 18 anni, per cui potete immaginare le mie fantasticherie romantiche, il mio piccolo mondo ideale. Ecco, la vita è stata generosa, ha superato i sogni più ambiziosi. Lei è più bella di Francoise. Una mattina, mentre mi godevo il profumo suo e del primo caffè, la stavo guardando, ammirando, mangiando con gli occhi. Dormiva ancora, la luce le accarezzava dolcemente il viso. Si è mossa lentamente, ha aperto gli occhi, ovviamente sorridendo. Era di una bellezza folle. Mi sono sorpreso dicendo, a voce bassa: “E’ il paradiso”. Esiste al mondo un momento più alto, pieno, intenso? No. Endorfina a mille, nirvana puro, magia totale, piacere infinito. Come la cover. Il paradiso esiste. Qualcuno non troverà il nesso fra l’inizio della storia e il resto, ma non importa: godetevi la copertina, le pagine interne. Se fosse un film finirebbe proprio ora. Non siamo al cinema, per fortuna: perché la vita vera, ne sono certo, mi regalerà ancora emozioni altrettanto straordinarie. Chissà se assieme a lei. Sarebbe fantastico.
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Bruno Bisang Stile inconfondibile
“N
ella mia giovinezza sono stato molto colpito dai film neorealisti. Mi piacevano da matti Sophia Loren, Fellini, Rossellini, De Sica e Visconti. Prendevo ispirazione da loro e dai corpi di Anna Magnani, Silvana Mangano, Gina Lollobrigida. Mia madre lavorava in un negozio proprio davanti a un cinema, ricordo che avevo dieci anni, troppo piccolo per entrarci, però, i poster delle locandine dei film mi facevano sognare”. I sogni di Bruno Bisang partono da qui, ma l’avventura fotografica inizia relativamente tardi, a 27 anni, dopo aver studiato alla scuola di arti visive di Zurigo. “Pensavo fossi più portato per la tv, per girare degli spot commerciali, invece, mi accorsi che la strada era un’altra, ovvero, la fotografia. Più intima, con meno persone sul set, più calore”. Originario di Ascona, cittadina sul Lago Maggiore, sponda elvetica, Bruno, ora 61enne, si è poi imposto in fretta all’attenzione del mondo che conta: in pratica da più di un quarto di secolo si divide fra New York, Parigi, Milano e la sua cittadina natale, sommerso di lavori per le riviste più importanti e le griffe più rinomate. Piaceva e piace sempre immensamente la sua raffinatezza, il modo in cui riesce a rendere sensuale ogni scatto, prevalentemente in bianco e nero (però, qui ci regala due suoi scatti a colori, quasi una contraddizio-
ne). Un inno alla bellezza e alla femminilità, il suo stile è inconfondibile. “Cerco sempre di carpire qualcosa di inconsueto nei loro sguardi, la fragilità, il dubbio, sennò diventa tutto ovvio, banale, noioso. Non saprei come spiegarlo, sono momenti e situazioni che non si imparano e non si insegnano, te li senti e basta”, spiega. “Preferisco il bianco e nero perché le fotografie sembrano eterne, la fotografia è emozione, non importa che macchina usi, quante luci accendi, bensì cosa riesci a trasmettere”. A proposito, lui scatta solo con la sua vecchia e amata Hasselblad. Elencare tutti i suoi lavori diventa un problema di spazio, per cui ci limitiamo ai nomi più importanti: riviste come Vogue, Cosmopolitan, Madame Figaro, Max, GQ, campagne pubblicitarie per Givenchy, Chanel, Chopard, Ebel, Cacharel e Guerlain. La lista delle top model e dei personaggi immortalati è lunghissima, affascinante, invidiabile, tant’è vero che la sua mostra londinese di qualche anno fa, alla Little Black Gallery, ebbe un successo mostruoso. Espose un numero infinito di polaroid, 30 anni di archivio, uno spettacolo più unico che raro, un insieme di magia e abilità tecnica che va oltre l’immaginabile. Per i più giovani la polaroid significa poco o nulla, ma anni fa era sinonimo di provino: sul set, prima di scattare, si eseguivano alcune istantanee per avere un’idea delle luci, degli angoli, delle espressioni del vol-
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to, del trucco e di altri dettagli magari trascurati in partenza. Anche perché Bruno ha sempre avuto un’attenzione al limite della follia per lo studio della bellezza femminile. La bellezza di Claudia Schiffer, Linda Evangelista, Eva Herzigova, Tyra Banks, Naomi Campbell, Carla Bruni: nomi celebri a cavallo fra i primi anni novanta e i primi del duemila, fino a Monica Bellucci, Michelle Hunziker, Victoria Adams e via discorrendo. “Lavorare con loro non è facile”, racconta. “La gran parte vuole avere e mantenere una certa immagine, sono rigide all’inizio. Devi conquistare la fiducia, magari con qualche trucco, per esempio i primi scatti si fanno per compiacerle, semmai dopo cerco di suggerire qualcos’altro. Funziona”. Intervistarlo è alquanto duro, perché Bruno “soffre” di timidezza. Gli si possono carpire poche parole, abbastanza per avere un’idea sul suo modo di intendere la fotografia: “Non è un mestiere, bensì una passione. Non si va in pensione, scatti finché sei vivo, sei libero, non hai un orario d’ufficio dalle nove alle cinque. Un consiglio per le nuove leve? Trovate un vostro stile, non cercate di imitare i grandi del presente o del passato, perché le porte si aprono solo alle novità, il mercato richiede sempre delle idee, se riesci a creare uno stile originale, una tua visione, allora avrai una strada spianata”. Come dargli torto?
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Esquire
A
Cover da favola
vete presente quell’ora di tempo, oppure anche meno, insomma quei momenti, magari alla fine di una giornata intensa , quando cerchi di capire come potresti esaltarti davanti al computer prima di spegnerlo? Quei brevi ritagli di tempo che vuoi goderteli in santa pace, magari con un cocktail, un sigaro e musica in sottofondo? Quel tempo che vuoi gustarti da solo, nel miglior modo possibile? Ecco, noi ci mettiamo comodi e guardiamo le copertine di Esquire. Lo facciamo nel mondo più elementare possibile, clicchiamo google e come per magia appaiono davanti agli occhi decine, centinaia di cover. In ordine sparso appaiono le immagini in jpeg delle edizioni di tutto il mondo, è uno spettacolo straordinario. Questo mese Esquire compie 80 anni e hanno preparato un numero meraviglioso, ne parliamo a parte, ora nutriamoci della ricchezza infinita, della bellezza totale che ci regala ogni mese fin dalla cover. Certo, è come aver scoperto l’acqua calda, stiamo parlando
di una rivista che negli anni ha saputo parlare ad un pubblico di alto livello, conquistandolo con testi e fotografie straordinarie, personaggi e storie, un linguaggio frizzante e colto, che ti ruba l’attenzione e non annoia. Però sapersi reinventare ogni mese è un compito tutt’altro che facile: loro ci riescono. Merito di una cultura giornalistica straordinaria, di un modo di intendere il mestiere sconosciuto altrove (nessun paragone con gli autoreferenziali e boriosi nostrani). E’ un piacere condividere con voi alcune delle cover, anche se per esigenze di spazio si fa fatica a includere tutte quelle che ci hanno ammagliato negli anni (siamo dei cultori di Esquire da quando portavamo i pantaloncini corti). Sia chiaro, qui non abbiamo compilato la lista con le nostre preferite, semplicemente ne abbiamo scelte alcune: nel prossimo numero metteremmo delle altre. Di sicuro non possiamo non pubblicare la copertina del 2004 con Giselle Bundchen, all’apice della sua fama. Poi, quattro anni più tardi ecco Halle Berry con giacca e
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cravatta slacciata, in pratica un remake di una cover con Bill Clinton vestito in maniera identica qualche anno addietro. Un successone, sia perché la gran parte dei lettori di Esquire è molto liberal (al contrario di noi ma non importa)e di conseguenza ama Clinton (che a noi non piaceva), sia perché Halle fa impazzire un target trasversale. E cosa dire di Bar Refaeli, “dipinta” a mano, con le frasi di un libro di Stephen King? Il body painting è un’arte straordinaria, sulla modella israeliana affascina ancor di più. Strepitosa la cover con Jessica Alba che usa il rasoio e la schiuma da barba: sensualità estrema, anche se si tratta di un remake, perché fu Virna Lisi, sempre su Esquire, a posare in maniera identica. Monica Bellucci coperta di caviale lascia senza parole. Angelina Jolie non ci è simpatica, non ci piace però le due copertine realizzare per la rivista americana hanno sbancato al botteghino, come si suol dire. E ci fermiamo qui, nel prossimo numero ci dedicheremo ai personaggi maschili. Strepitosi. Grazie Esquire.
Giada Ghittino Semplicemente unica
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resenze di Scarlett Johansson negli ultimi anni nelle pagine di Esquire, tre. Idem per Megan Fox. Lo stesso per Halle Berry. Due invece le cover di Angelina Jolie. Ovviamente si tratta di apparizioni e copertine realizzate ad un certo intervallo di tempo una dall’altra, mentre nelle ultime tre uscite di Good Life c’è una presenza fissa, continua. Sì, lei. Giada. Giada Ghittino. Non abbiamo nominato Esquire invano: un paio di mesi addietro hanno eletto
Scarlett la donna più sexy del mondo. Sexiest woman alive. Ah si? Bene. Giada è la più bella. Sappiatelo, non accettiamo contraddittorio. E’ assolutamente unica con quel misto di purezza, innocenza e fascino irresistibile. E’ giusto dirlo? Esagerato? Patetico? Ridicolo? Romantico? Ossessivo? Dilettantistico? Dite quel che volete. Noi, più semplicemente non ne possiamo farne a meno. Perché come lei non c’è nessuna. E mai ci sarà. Prendeteci per pazzi, però ci ricorda Marylin Monroe, so-
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prattutto per l’effetto che scatenava la diva americana. Giada è così: ipnotizzante fino all’inverosimile, con quel sguardo immacolato. Inutile provarci, non riusciamo a descriverla, non troviamo aggettivi. Ci vorrebbe la penna di un narratore come Garcia Marques, noi non ne siamo capaci. Che peccato. Per fortuna ci sono gli scatti di Alberto Buzzanca per raccontarla. Marylin 2.0 non suona male: forse è una nostra intuizione,oppure fissazione, chissà. L’unica certezza è la sua bellezza. Unica.
Neraida Bega Sky is the limit oltre a una notevole somiglianza va di pari passo pure caratterialmente: “Faccio arti marziali pensando al suo ruolo in Tomb Raider, quattro volte la settimana, ogni allenamento dura due ore e mezza, in un fight club di Riccione, mica uno scherzo”, racconta sorridendo. Arti marziali, dunque. A Los Angeles va nella stessa palestra-scuola dove si prepara Jackie Chan, spesso si allenano insieme (e ci fa vedere subito le foto di loro due). “Sono un’artista completa e lo dico senza voler mancare di umiltà. “Ballo, canto, suono il pianoforte, ho studiato al Conservatorio, dato perfino lezioni di danza del ventre: quante possono vantare un tale elenco? Pochissime. A LA nessuno ti regala nulla, per imporsi non basta essere belle, il mondo ne è pieno. Sai una cosa? Sono andata a un appuntamento con l’agenzia che rappresenta anche Halle Berry. Mi hanno presa subito, perché alla domanda cosa vorresti dalla vita io ho risposto vivere al massimo, avere una vita oltre
ogni limite. Ecco, lì ci vuole gente del genere. Io sono così”. Però, precisa: “Il mio destino? Brillare davanti alle telecamere, alla macchina da presa”. Come darle torto? Guardate le immagini scattate da Nima Benati, 22enne di Bologna che si sta imponendo con velocità impressionante nel mondo della fotografia: Neraida è camaleontica, disarmante, devastante. “Con Nima mi sono trovata a meraviglia”, racconta, “È donna, ci capiamo al volo, ci sa fare. Poi, fra i miei preferiti aggiungerei Alberto Buzzanca, ti rende femmina e sicura, poi Joseph Cardo, un professionista fantastico che ha reso ancor più bella Sharon Stone con i suoi scatti”. Vive a Rimini, nei fine settimana arriva a Milano, spesso va a Los Angeles dove ha ottenuto la green card. Colleziona scarpe, soprattutto Casadei, ha realizzato delle campagne pubblicitarie per Frusciò, Polo Sport, Liu Jo e altre aziende di prestigio: tutto questo le sta stretto. Come diceva la canzone, sky is the limit.
Foto: Nima Benati
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lettrica. Basta starle vicino per sentire la scossa. La sua grinta è impressionante. La bellezza, anche. La personalità, pure. Non sbaglia un colpo, Neraida Bega: nata a Durazzo, in Italia dall’età di 13 anni, è ormai lanciatissima verso il dorato mondo di Hollywood: “Sono nobile, determinata, buona d’animo”, dice di se stessa. La vogliono tutti a LA, proprio per la sua voglia feroce di vincere, sempre, sempre, sempre. C’è poco da fare, le ragazze dell’est hanno dieci marce in più, un carattere d’acciaio e una volontà di ferro che, unite ad altre qualità, fanno sì che possano osare l’impossibile e arrivare laddove per altre la strada pare proibita. Va detto che Neraida non solo si merita le fortune, ma sa come provocare il destino: spinge l’asticella sempre più in alto, crede nell’infinito, vive per raggiungerlo. Ogni santo giorno cerca di migliorare, va avanti come un treno, non a caso il suo modello è Angelina Jolie;
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Luca Gardini
Io, come Maradona
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onosciamo Luca da quando era un ragazzino con tanti sogni nel cassetto, poi avveratisi. Non era ancora famoso, la gente ancora non lo fermava per strada. Lavorava duro, con una fame di conoscenza a dir poco feroce. La prima intervista risale ai suoi inizi milanesi, appena arrivato da Cracco. Ce lo ricordiamo perfettamente: era in ritardo, difatti ci ha chiamati dicendo che stava partecipando alla finale del campionato nazionale per i sommelier, la competizione si stava protraendo oltre le aspettative. Quando entrò nel ristorante disse: “Ho vinto, scusatemi di avervi fatto aspettare. Cominciamo”. Lo abbiamo guardato con stupore: nessuna emozione, sembrava qualcosa di normale, di normalissimo. Sono passati quasi otto anni. Ora é all’apice della sua carriera, una carriera mostruosa: 485 articoli su di lui l’anno scorso, copertine, iniziative, contratti come testimonial e collaborazioni a non finire. E’ una star, la grande star del mondo dei sommelier. Diciamolo: se lo merita, perché lavora come un indemoniato, ogni giorno di più. Non si ferma mai, va avanti come un treno. “Da quando ho iniziato a lavorare per Cracco non ho mai fatto un giorno di vacanza, non sono mai stato in
malattia. Ho una passione per il vino che va oltre ogni limite, spesso sacrifico anche gli affetti più cari, difatti vorrei stare di più con i miei due figli e con la mia fidanzata, ne sono innamorato pazzo”. E’ al culmine della carriera, il ferro va battuto finché è caldo. Riceve 180 mail al giorno: un insieme di inviti, proposte, progetti, collaborazioni e altro. “Senza il mio manager sarei perso. Sono fortunato, Errico Cecchetti è un fratello, mi fido di lui ciecamente. Così come di Roberta, la mia assistente, la mia tuttofare, ha la mia vita fra le sue mani”. Difatti senza di loro farebbe fatica a gestire le sue giornate, perché ovunque va lo braccano. Lo tirano per la giacca da tutte le parti. Inaugurazioni, festival, classifiche, trasmissioni televisive, rubriche sui quotidiani, perfino sulla Gazzetta dello Sport, giornale non proprio dedicato agli amanti del vino: è ovunque perché piace a tutti, è trasversale. Forse qualcuno fatica a capire come un sommelier riesca ad essere adorato come una rockstar. Hanno anche ragione, visto che prima di lui nessuno aveva toccato un tale livello di popolarità. Per dirla tutta, solo lui gode di un tale “trattamento”: qualche mese addietro un altro italiano (Luca Martino, ndr) ha vinto i mon-
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diali per sommelier e nessuno fa la fila per sponsorizzarlo, intervistarlo o metterlo sotto contratto. “Sono come Maradona”, dice sorridendo. “Sopra le righe e geniale, la gente per queste cose va pazza”. Definizione migliore non esiste. “Ora partiamo con le classifiche?”, dice. “Mi esaltano da matti”. - Partiamo, allora. Tre donne che ti piacciono e tre vini con i quali proveresti a conquistarle. - Per Elisabetta Canalis un Cabochon Monte Rosa, per Michele Hunziker un Oreno della Tenuta Sette Ponti, mentre per Giulia Michelini proverei con Il Polenza della stessa tenuta. - I tre bianchi migliori. - Trebbiano d’Abruzzo di Valentini, Giulio Ferrari riserva del Fondatore, Verdicchio di Matellica riserva Mirum La Monacesca. - I tre rossi, invece? - Cabernet Franc dell’azienda Due Mani, Brunello di Montalcino riserva Poggio di Sotto e Saia Nero d’Avola Feudo Maccari. - Saliamo di livello, i tre champagne migliori. - Brut di Alain Thienot, Dom Perignon e Charlie
Heidsieck. - I migliori tre sommelier italiani, Luca Gardini escluso, ovviamente. - Angelo Sabadin, verace e tosto. Nicola Bonera, la cultura e l’eleganza. Stefania Turato, l’essenza del naso. - Il miglior sommelier in assoluto? - Gerard Basset, inglese. Completo, davvero completo: una cultura straordinaria, elegante, professionale, in più con delle doti tecniche favolose. - Facciamo non uno ma due passi indietro: come e quando hai deciso di diventare un sommelier? - Avevo 17 anni, stavo assaggiando un Sangiovese di Romagna. Lo ricordo come fosse ora, mi sono detto che entro i 30 anni dovevo diventare qualcuno nel mondo del vino. - Poi cos’è successo? - Poi mi sono messo a studiare come un matto, devo ammetterlo, ho avuto una grande fortuna incontrando Giancarlo Mondini, sommelier fantastico e persona meravigliosa. Mi ha dato da leggere libri su libri, abbiamo eseguito degustazioni alla cieca a non finire, perché il vino lo devi capire, non indovinarlo. Quando mi consideravo ad un buon punto ho cominciato a lavorare per un albergo a cinque stelle a Milano Marittima, dopo di che ho fatto il grande salto, andando a Firenze da Giorgio Pinchiorri: mentre lavoravo da lui ho vinto il titolo come miglior sommelier dei ristoranti. Era il 2005 e potevo considerarmi sulla buona strada. Per
completare la mia esperienza sono andato a Londra, a The Fat Duck, uno dei più rinomati ristoranti al mondo e al ritorno bussai alla porta di Cracco. - Come ti ha accolto? - Mi ha detto di no. Ho insistito, l’ho convinto. Ora le nostre strade si sono separate ma per me rimane un uomo straordinario, nei suoi confronti ho una stima umana e professionale infinita. Fra le altre cose che mi ha insegnato è stato anche il modo di pensare il futuro. “Ogni dieci anni ti devi reinventare”, mi ripeteva. - Per cui non farai il sommelier per sempre? - A 40 anni, cioè fra otto, smetto e vado a produrre vino in Toscana. Aprirò anche un agriturismo con poche stanze, ho tutto in mente. - Progetti a breve termine? - Sto per aprire un ristorante a Ciudad de Mexico, li sono famosissimo, pensa che ci sono stato addirittura sulla copertina di GQ. Aprirò poi a Milano un temporary store del cibo e del vino in occasione dell’Expo. - In molti hanno dei dubbi sui modi nei quali si svolgono i campionati per sommelier… - Lo so, basta andare su Youtube per guardare: dopo i mondiali vinti mi hanno messo alla prova in mille situazioni, con degustazioni alla cieca, mai sbagliato un colpo. - Cosa ci vuole per essere un numero uno? - Avere il palato, è una dote con la quale ci nasci. Poi una buona tecnica, carisma, estro, personalità.
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- Anni fa mi avevi detto: “Sono il migliore”. - No, dissi di avere il palato migliore. Confermo. - Prima di te i sommelier non andavano in tv e annoiavano la gente. - Vero, io piaccio al popolo, ho portato il vino nelle loro case. Il vino non è tannino e gradazione, bensì una storia da raccontare. La gente mi ferma anche al casello dell’autostrada perché di me si fida, sono uno di loro. Sentono che amo il vino, si rendono conto che sono uno “vero”. - Le caratteristiche del vino ideale? - Identità, tipicità, personalità, tradizione e soprattutto saper emozionare. - Cosa ricordi della notte dei mondiali? - 13 ottobre 2010, Santa Domingo. Dopo le semifinali scritte in finale rimaniamo io, il dominicano Hector Garcia e il ceco Milan Kreici. Il dominicano si è emozionato troppo, il ceco ha perso tempo con la degustazione, io invece non ho sbagliato un colpo, individuando tre vini alla cieca : un Sancerrè, sauvignon della Loira, del 2008; un Moltepulciano d’Abruzzo Villa Gemma di Masciarelli del 2002 e un Palo Cortadò, sherry invecchiato 30 anni. Alle ore 4.09 in Italia ero campione del mondo. - Chiudiamo con una curiosità: da uno a cento quanto influisce un tuo giudizio sulle sorti di una azienda vinicola? - Cento.
Jeff Bezos
Sorprenderci, Jeff
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u un grande evento, l’acquisto del Washington Post da parte di Jeff Bezos, uomo ambizioso che non ama i fronzoli, diventato ricchissimo grazie ad Amazon e poi a Kindle. Si è scritto parecchio sull’argomento senza mai arrivare al nocciolo del problema, ovvero cosa cambierà in un quotidiano che perdeva soldi a palate da anni. Jeff si comporterà da imprenditore puro o da editore snob e idealista? La prima, per lo meno ce lo auguriamo. Certo, essendo l’undicesimo nella classifica dei più facoltosi americani (ha un patrimonio stimato ai 25,2 miliardi di dollari), si può permettere un giocattolo come il Washington Post, costato due noccioline rispetto al suo conto in banca: 250 milioni sono esattamente l’un per cento delle sue ricchezze. Jeffrey Preston Jorgensen Bezos, questo suo nome, è diventato famoso nel 1994 quando fondò Amazon. Nel 1999 è stato eletto l’uomo dell’anno per la rivista Time, mentre nel 2012 Fortune lo ha messo in cima
alla classifica degli imprenditori. Che bisogno aveva di comprarsi un cadavere, visto com’era diventato il Washington Post, un grande nome con tanti debiti? Cercherà di farlo diventare profittevole, per quanto l’impresa sembra ardua? Se la risposta è sì, come si muoverà? Ecco, a noi interessava e interessa tuttora l’aspetto economico della faccenda, ovvero come agirà per far crescere gli utili (la parte romantica probabilmente non esiste, ma è stata pompata ad arte). In secondo piano ci piacerebbe anche sapere cosa chiederà ai giornalisti e soprattutto se penserà di mandare via quelli pigri e scarsi, ammesso che ne esistano in una testata così prestigiosa. Ad Amazon funziona così: ogni manager riceve una mail con un punto interrogatorio e una lettera di protesta di un cliente. Chi la riceve trema, perché il licenziamento è vicino. D’altronde la cultura del capitalismo non è per tutti. Il punto sta proprio qui, ma forse ne parliamo avendo
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in mente la situazione italiana, dove il patron può decidere meno di zero, imperano i sindacati. Comunque, se un giornale perde soldi a iosa un perché ci sarà: ok il calo pubblicitario, ma fino alla prova contraria la gente compra il quotidiano per i contenuti. Se non ci sono, il lettore non torna in edicola, con altre parole impossibile che un giornale di qualità, in un paese di oltre 300 milioni di abitanti, possa andare così male da essere vicino alla chiusura. Colpa dei giornalisti? Sicuro, ma non solo. Per fare un esempio, Il Boston Globe, 141 anni di storia, è stato appena venduto per 70 milioni dopo essere stato pagato più di un miliardo qualche anno addietro, una svalutazione epocale. Nonostante la straordinaria copertura nell’occasione dell’attentato alla maratona della città il quotidiano stava fallendo. Dal 2003 la diffusione era scivolata del 38 per cento, la raccolta pubblicitaria di quasi il 10 per cento. Stessa sorte per Variety, la bibbia dello spettacolo.
Cosa farà Bezos? Li sostituirà con altri, di un livello e soprattutto con una voglia maggiore? Esistono ancora dei giornalisti con una voglia pazza di raccontare storie ogni giorno? La risposta è sì. Noi sfogliamo Wall Street Journal, International Herald Tribune e Financial Times quasi quotidianamente e rimaniamo impressionati dalla verve degli autori. Articoli lunghi, pieni di dettagli, idee, concetti, opinioni. Il contrario dei giornali nostrani, quelli che si definiscono istituzionali, un tripudio alla pigrizia, inerzia e lo stipendio come unico senso della vita. Probabilmente prima di tutto Jeff cercherà di sperimentare nuove forme di integrazione verticale nel business dell’informazione, sfruttando la rete di vendita online di Amazon. Controlla già il più potente strumento di distribuzione digitale di contenuti editoriali, il Kindle. Certo, recuperare i 250 milioni investiti sarà dura, per lo meno a breve termine. L’esercito dei frustrati, sempre in agguato, commenta livoro (come le loro vite) e superiore: “I ricchi si regalano i quotidiani come se fossero delle Ferrari o degli yacht”. Anche fosse, mica vietato. Dunque, Bezos come si comporterà? Entrerà in redazione e dirà “Da oggi si cambia”? In Italia sarebbe impensabile, perché i vari sindacati, comitati di redazione e altri pesi morti ostacolerebbero qualsiasi novità. D’altronde se nella penisola si legge poco non è per colpa della gente bensì dei giornali stessi: sono tediosi e autoreferenziali, ovvero la morte sicura. Non a caso commentando la situazione del Washington Post hanno scritto, comicamente: “I redattori hanno accettato l’intervento di Bezos come il male minore”. Ah, si? In caso contrario, cosa avrebbero potuto fare? Dire di no e rimanere a casa? Hanno accettato, bontà loro…. Parlando di giornalismo vero, Bezos riuscirà a far scattare qualcosa di speciale nelle menti dei giornalisti? I lettori come reagiranno? E gli inserzionisti? Noi facciamo il tifo per lui più che per i dipendenti del giornale. Perché chi investe ha sempre ragione e soprattutto la nostra stima.
Step Up Revolution Romantic dance movie
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o abbiamo visto almeno venti volte e badate bene che non siamo dei cultori. Non guardiamo Glee e altre serie televisive impostate sulle band musicale e le loro performance, non siamo patiti di X Factor (mai visto nemmeno un minuto, pur consapevoli della forza commerciale di un prodotto del genere). Però. La pellicola del 31enne americano Scott Speer ci ha fatto sobbalzare sulla sedia. Anzi, dalla sedia. Colori, ritmo, idee, ricchezza, intensità: assolutamente travolgente, il romantic dance movie. Più di una volta abbiamo iniziato a guardarlo su Sky Cinema 1 per poi ricominciare da capo su Sky Cinema 1 più 1, un’ora dopo: non volevamo perderci la fase iniziale, con loro due, Emily e Sean, che si conoscono sulla spiaggia, al bar dell’albergo: sensualità totale. Ancor meno la fenomenale esibizione del gruppo al vernisage di una mostra di arte contemporanea, di gran lungo il mo-
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mento più alto di un film costato 33 milioni e che ha già superato le attese. Aiuta molto l’ambiente (Miami nel suo splendore), la bellezza degli attori protagonisti (lei, Kathryn McCormack , molto morbida, lui, Ryan Guzman, che sa di Paul Newman), la musica strepitosa, per non parlare delle esibizioni del gruppo The Mob. Un susseguirsi di street art e coreografie urbane, apparizioni nei posti più “posh”, insomma una meraviglia. E’ così intenso da far dimenticare le poche sequenze sbrodolone e forzate (la protesta dei così detti deboli, ma probabilmente si è trattato di un artificio per far avvicinare al film anche i giovani, alcuni di loro sensibili al mondo della emarginazione generazionale). Certo, la storia non è un granché, ma il ritmo è da paura. Ancora una volta Hollywood ci ha stupiti. Temiamo solo che in Italia qualcuno cercherà di copiare l’idea. Si salvi chi può.
Chris Hemsworth Una vita perfetta
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na moglie da urlo, l’attrice spagnola Elsa Pataky. Una figlia, India Rose, di appena un anno e mezzo, deliziosa. La casa a Malibù, il surf con gli amici e ora perfino una carriera che sta prendendo una piega interessante dopo l’interpretazione nel film Rush, in cui recita nel ruolo di James Hunt, pilota inglese con la carriera segnata dalla rivalità con Niki Lauda. Ricordiamo bene quel periodo, eravamo fan di Niki perché vinceva sempre e a noi fin da piccoli facevano impazzire i campioni, la stampa lo considerava freddo, alcuni antipatico, ma si va in Formula Uno per vincere e non per fare cabaret, ne è pieno il mondo di nullafacenti che dicono barzellette, che poi spesso sono le stesse e ridono solo loro. Non dilunghiamoci:Chris, figlio di un pilota australiano di moto 125, ha dato prova di talento vero, in tanti hanno applaudito la sua performance nel film di Ron Howard, al botteghino è stato un successo - sempre e comunque il parametro più importante per valutare una pellicola di conseguenza il suo futuro pare più che roseo. Nato a Melbourne, cresciuto a pane, surf e motocross (ora guida una Ducati Monster) con i suoi due fratelli Luke e Liam in un ranch del Northern Territory, termina gli
studi e inizia a recitare in produzioni televisive e soap opera australiane, si esibisce come ballerino nell’edizione australiana di Dancing with the Stars e vola a Hollywood per il ruolo di George Samuel Kirk in Star Trek, poi, finalmente, il successo planetario interpretando Thor, il dio del tuono, nella saga che porta lo stesso nome, di cui vedremo a novembre il secondo capitolo sul grande schermo. Per il suo volto per molti Chris diventerà l’erede di Brad Pitt, di certo Rush lo ha consacrato per la recitazione, probabilmente a titolo definitivo, seppur nel mondo hollywoodiano niente sia duraturo e basti un flop per essere dimenticati. Il ruolo di James Hunt pare proprio cucito addosso al nostro personaggio: Hunt era un pilota simpatico e accattivante, pieno di belle donne, il classico playboy mondano. Successi pochi in pista dopo essere riuscito a vincere nel 1976 il campionato mondiale di F1 (infatti si ritirò dopo soli tre anni, nel 1979), alle feste però non era secondo a nessuno, quanto basta per dare a Chris la possibilità di brillare nelle scene girate assieme a delle modelle mozzafiato. “James era infantile”, spiega l’attore australiano. “Amava divertirsi, sempre in movimento, si stufava velocemente di cose e persone,
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impulsivo, faceva solo quello che lo esaltava al momento, sempre in controtendenza. Non aveva nulla in comune con Lauda, però, gli ripeteva sempre che si doveva svegliare, vincere non bastava, nella vita ci si doveva divertire, altrimenti non c’era gusto”. Se non lo avete capito, noi siamo come Lauda, vogliamo vincere di più e divertirci di meno, anche se per l’appunto Niki non stava chiuso in casa a guardare film coreani oppure leggere poesie di Maiakovski. Per tornare a James Hunt, amava indossare un orologio Carrera Heuer Full Gold (un classico per i piloti in quegli anni settanta) con incisione sul fondello con il proprio nome e gruppo sanguigno. Gli occhiali? Sempre Carrera, Speedway. Tornando a Chris, del rapporto con la moglie Elsa Pataky, ex di un altro attore, Adrien Brody, si è detto e scritto quasi tutto: “Ci siamo sposati in maniera naturale, lei è la donna giusta, l’ho capito subito, è simpatica, buona, ama la vita, ha il dono dell’umorismo”. Forse poteva dirla in maniera più esaltante, ma contano i fatti e i due appaiono sempre molto affiatati. Chiudiamo con gli ultimi hobby di Chris, che oltre alla passione per il surf e le pellicole con Russell Crowe, suo idolo, ora pratica anche muay-thai (box thailandese, un’arte di combattimento a contatto pieno) e kickboxing.
Hunt the Shunt Capsule collection
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unt the Shunt”, ovvero “Hunt lo schianto”. Hunt il pilota spericolato, il “playboy driver” , l’anticonformista, l’amante delle donne e della velocità, Hunt con uno stile unico nell’abbigliamento e nella guida: Franklin&Marshall non poteva perdere l’occasione, rendendogli omaggio con una capsule collection composta da cinque t-shirt e una tuta, ispirate allo stile originale e rock’n’roll che James Hunt sfoggiava dentro e fuori dal circuito di gara. Una linea pensata in collaborazione con il reparto costumi della troupe di Ron Howard per Rush, attentissimo a riprodurre fedelmente ogni dettaglio dello stile del tempo, e indossata nel film. Una collezione esclusiva per indossare la grinta, il talento e lo stile dei piloti di Formula 1 degli anni 70, eroi e pionieri di un mondo fatto di passione, motori e velocità.
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Roger Federer Ancora vivo
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’ dalla finale di Wimbledon 2008, quella che Nadal vinse con un drammatico 9-7 al quinto set, che si parla del declino di Roger Federer. Che nel frattempo ha continuato imperturbabile a vincere tornei dello Slam (altri 5, oltre ai 12 che aveva già conquistato), Masters 1000 e tanto altro, prima di sbattere contro un 2013 che per per i suoi parametri è stato di sicuro negativo e che si è concluso con le ATP Finals di Londra fra grandi prestazioni (eroica quella nel girone contro Del Potro) e numeri estemporanei in mezzo a partite che non avrebbe vinto nemmeno rigiocandole 10 volte, come quelle con Djokovic e Nadal. Insomma, per la prima volta Federer non solo ha perso di continuo contro i più forti ma ha dato la sensazione di non essere più al loro livello. E non certo per questioni di ranking, dove attualmente occupa la posizione numero 6. Alla sua età, 32 anni, quasi nessuno dei grandi del tennis moderno è stato capace di vincere un torneo dello Slam: Wilander ha vinto l’ultimo dei suoi a 24 anni, Borg e McEnroe a 25, Lendl a 30, Laver, Sampras e Connors a 31. Insomma, oltre l’età di Federer hanno vinto tornei dello Slam soloAgassi a 33 anni e Rosewall, a 38 (!).
Ma questa è statistica, che conta meno dell’impressione visiva di un Federer che semplicemente tira meno forte che nel passato e ha una fase difensiva che contro i più forti non glipermette più di ribaltare il comando dello scambio. Si trova così nella condizione di dover chiedere moltissimo alla prima palla di servizio, perché sulla seconda i Djokovic, i Murray e i Nadal prendono subito l’iniziativa e lo sbattono all’angolo. Detto questo, quello che i colleghi (anche quelli del passato) ritengono il più grande di tutti i tempi nel suo deludente 2013 non pensa affatto di essere finito ed in effetti la sua annata si presta a differenti letture. Prima di tutto Perché la sua preparazione invernale è stata più leggera del solito, un po’ a causa di esibizioni e molto per scelta personale, senza consigli di allenatori, motivatori o guru: una grande qualità di Federer è sempre stata quella di ragionare (e a volte di sbagliare) con la propria testa, senza mettere la propria vita in mano ad altri. Forse solo la sua Mirka avrebbe potuto riportarlo verso le scelte del passato, ma è ancora in tempo. Gli allenatori di Federer, anche quelli prestigiosi, sono sempre sembrati mezze figure, bravi professionisti che il più grande di tutti usava solo per scaldarsi e avere qualcuno che lo tirasse giù dal let-
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to. Lundgren, Tony Roche, Higueras, per non parlare di Annacone e di Luthi: tutti hanno ricevuto l’arrivederci e grazie, senza particolari motivi di attrito. E’ che per Federer davvero uno vale l’altro. Il 2013 era iniziato arrivando in semifinale agli Australian Open, battuto in cinque set da Murray. Sconfitta dolorosa, ma meno di quella patita nella finale olimpica di Londra con lo stesso Murray (l’oro a cinque cerchi Federer lo ha agguantato a Pechino 2008, in coppia con Wawrinka). A Melbourne ha perso un po’ di sicurezza, passando attraverso sconfitte tristi (con Benneteau a Rotterdam e con Berdych in Dubai) e altre scontate (Nadal nei quarti di Indian Wells, ormai quasi un quinto Slam). Fuori prima del tempo a Madrid con Nishikori, Federer ha raggiunto la sua prima finale dell’anno a Roma. Solo che c’era Nadal. Quarti al Roland Garros, strabattuto da Tsonga, e prima coppa alzata dell’anno solo a pochi giorni da Wimbledon, ad Halle. La mazzata è arrivata a Wimbledon, fuori con Stakhovsky al secondo turno, prima volta dopo 36 (quindi 9 anni di fila!) in cui Federer non è arrivato almeno ai quarto di un Slam. Estate fra mal di schiena e modesta attività sulla terra europea, prima di provarci a Montreal e a Cincinnati. Nien-
te da fare, US Open iniziati in crisi di fiducia e terminati negli ottavi contro il risorto Tommy Robredo. Il resto è storia di oggi, ATP Finals comprese, inutile bombardare con cifre e risultati. Più importante è rispondere alla vera domanda: Federer può ancora vincere qualcosa di importante? La risposta è la seguente: sì, se qualcuno gli eliminerà o stancherà molto Djokovic e Nadal. Con tutti gli altri top ten Federer non parte di certo battuto: con il numero 3Ferrer ha un record di 14 a 0 (!!!), con il 4 Murray, peraltro alle prese con acciacchi vari, non gioca da Melbourne (dove comunque perse al quinto set), con il numero 5 Del Potro si è visto a Londra che livello può raggiungere, tutti gli altri hanno molte meno possibilità anche del Federer attuale di vincere uno Slam. E allora tanto vale spararsi tutto in questo 2014, visto che i ‘giovani’ Djokovic e Murray avranno 27 anni e Nadal 28, mentre fra i giovani si vede poco potenziale a questo livello di eccellenza. Per trovare un 22enne, cioè l’età di Federer quando vinse il suo primo Slam nel 2003, bisogna scendere fino alla posizione numero 23 del signor (o ex ?) Sharapova, il bulgaro Grigor Dimitrov. E per trovarne un latro bisogna arrivare fino al 51 del discontinuo australiano Bernard Tomic.Due ragazzi di talento, di certo ancora senza la testa per puntare in alto. Insomma, proprio come dicono i vecchi al bar leggendo la Gazzetta sul bancone dei gelati, non ci sono più i giovani di una volta. Per questo un Federer tirato a lucido anche a 33 anni potrà fare tantissimo. E magari Djokovic e Nadal avranno quel crollo improvviso che tanti uccelli del malaugurio profetizzano per i motivi più vari. @StefanoOlivari www.indiscreto.info
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Angelo Galasso Tradition in evolution
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i ha convinti. E tanto. A dire il vero eravamo dei grandi sostenitori del dandysmo anche prima. Ora però ne siamo affascinati, conquistati e deliziati. Tutto merito di un signore che da qualche anno sta vestendo la gente che ama piacere e piacersi. Quando entra nella stanza ti porta subito con il pensiero a Tom Wolfe, altro grande testimonial del mondo dandy. Lo confessiamo, ci ha stupiti per il modo con il quale sa andare subito al punto: risposte esaurienti, concrete e allo stesso tempo piene di dettagli, chiare ed esaustive, forse un retaggio della sua vita passata, consulente finanziario per Fideuram. Poi ci ha aggiunto sempre quella verve che la si nota nelle collezioni, quegli elementi ricchi di colore e ironici, un misto di velluti e tessuti morbidi per gente che ama vestirsi glam alle cene e che durante il giorno osa uno stile business chic. Dovendo trovare degli esempi, delle fotografie, delle
polaroid per sintetizzare il suo mondo, la sua idea di vestire,ne sceglieremmo due. La prima, Flavio Briatore con una camicia rossa, jeans strappati e giacca vellutata, blu notte. La seconda, Roger Moore che nonostante l’età si diverte come un ragazzino vanitoso nel negozio londinese di Angelo Galasso alla ricerca spasmodica di una novità sgargiante da indossare al più presto. Londra è quasi sempre al centro dei suoi racconti e anche dei suoi affari, perché, dice, “loro hanno un senso della libertà che noi in Italia ce lo sogniamo, piccoli e chiusi nelle nostre certezze borghesi e con la paura di far parlare la gente”. - Le piace così tanto, Londra? - Ci sono 186 fra etnie e dialetti che senti parlare sul marciapiede londinese, il che significa un’apertura totale anche nel vestirsi, senza pregiudizi. La mia felicità è vedere come nel negozio entra e compra David Beckham, che è giovane, ma nello stesso tempo pure
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Roger Moore acquista le mie collezioni. Quando hai fra i clienti Puff Daddy e Al Pacino capisci che non si tratta di una nicchia bensì di un mondo senza confini. - Rimanendo a Londra, com’è stato l’incontro con Flavio Briatore? - Una sera a cena da Cipriani c’eravamo un bel po’ di amici. Caso vuole che tutti erano vestiti Interno 8, il mio primo marchio. Io e lui ci conoscevamo già, gli avevo suggerito una camicia rossa per una serata di gala, da indossare con dei jeans strappati. Il giorno dopo ci siamo incontrati per mettere le basi della collezione Billionaire. Flavio ha un fiuto fantastico, di tempo però ne aveva poco perché immerso nella Formula Uno, così che io preparavo tutto e poi lui veniva solo per dare l’ok. Andò alla grande, i rapporti sono ottimi nonostante le nostre strade si siano separate. - Possiamo provare a “targettizzare” la sua clientela? - Mi sembra riduttivo e non vorrei sembrare privo di modestia, però tutti possono indossare un mio capo,
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ovviamente stiamo parlando di persone che vogliono mettersi in gioco, distinguersi, far colpo, osare, sentirsi speciali e con gli occhi addosso ad una festa, oppure per strada. L’età non conta e come dicevo poc’anzi lo dimostra il fatto che David Beckham veniva da me già quando era un ragazzino, mentre Michael Caine e Roger Moore sono molto avanti con gli anni e nemmeno Al Pacino è un giovanotto. Neppure Paul McCartney e Lapo Elkann sono simili, eppure vengono sempre da me. - Ci sono dei mercati dove le vostre collezioni vanno a ruba più che altrove? - A New York abbiamo il negozio al The Plaza, sulla Fifth Avenue. Dovete venire per credere: ci sono persone che arrivano dal Giappone, dal Messico, dalla California pur di acquistare lì i nostri capi. Prima, quando lavoravo con Briatore, vendevamo tantissimo a Las Vegas, ma è un caso un po’ particolare. A New York invece capisci che la tua collezione, la tua filosofia, piace al mondo metropolitano. - L’Italia che tipo di mercato è? - Quello dove si vende di meno, non più del 3-5 per cento del totale. C’è anche una spiegazione: la gente è
chiusa in se stessa, non osa, c’è questo modo piccolo borghese di non scoprirsi, non far parlare di sé, per il timore dei commenti degli altri. Se hai una personalità forte dimostralo. - In una frase, come definirebbe la sua griffe? - Tradition in evolution. Elementi della più classica tradizione sartoriale italiana impreziositi con dei dettagli flash, velluti e altro. - Perché non ha scelto come Flavio Briatore un nome festoso, pirotecnico per la sua azienda, oppure uno che potesse far sognare? Perché ha optato per il suo nome e cognome? - Molto semplice: Gianni Versace ha aperto la strada e gli occhi a tutti noi, italiani. Quarant’anni fa lui è andato negli Stati Uniti facendo innamorare gli americani sia con le sue collezioni, sia con il nome. A loro, agli anglofoni, piace da morire un nome che finisce con una vocale, per loro equivale ad un sogno. - Possiamo parlare dei suoi clienti vip? - Il punto è che vengono da persone normali, tranne forse Al Pacino che suscita un interesse folle attorno a lui. Paul McCartney viene in tutta tranquillità, così come Roger Moore, uno molto curioso e un dandy ec-
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cezionale nonostante gli ottant’anni suonati. Gli piace curiosare, va nella Sawile Row alla ricerca di un capo particolare, da me compra qualsiasi cosa con un entusiasmo straordinario. - Le sue soddisfazioni più grandi, legate ai suoi clienti? - Paul McCartney che mi ha chiesto di realizzare una collezione ad hoc per il suo concerto a Los Angeles. E poi Tommy Hilfiger che dopo aver acquistato l’intera collezione, a Londra, ha lasciato il biglietto da visita alla commessa dicendole di portare tutto in albergo. “Si, ma il suo nome?”, chiese la ragazza. “Guardi il bigliettino”, rispose lo stilista. - Fra i grandi personaggi, ci sarebbe uno che le piacesse vestire? - Sean Connery. - Lei ora ha quattro negozi monomarca: Mosca, New York, Milano e Londra. Domani? - Domani il negozio di Milano cambierà indirizzo, ci spostiamo in Corso Monforte al numero civico 8. Poi apriremo un po’ ovunque: Saint Tropez, Hong Kong, Tokyo, Shanghai. Laddove c’è la gente che osa, che si gode la vita, che sorride e che ama essere elegante, al centro dell’attenzione.
Cigar time
Un mondo favoloso
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robabilmente il mondo dei sigari vive il suo periodo migliore di sempre. Il bacino dei clienti si è allargato a dismisura, la qualità dei prodotti è altissima, come mai prima. Le aziende si superano, mettono sul mercato pura eccellenza, innovano, sperimentano, sorprendono. Un momento magico, per gente che sa e vuole gustarsi la vita, gente che ha trovato nei sigari quella specie di rifugio, che vuol staccare, staccarsi, prendere del tempo per se oppure per dirla come Freud “il piacere immediato e l’indipendenza dal mondo esterno”. In ogni parte del mondo aprono dei lounge e sigar club: all’interno degli alberghi di lusso, dei ristoranti stellati, ovunque. Una gioia immensa scoprire le tante aperture, perfino in Cina, paese non proprio famoso per il consumo dei Cohiba. Il Redmoon di Gran Hyatt, a Beijing, in pratica è un ristorante dove si gustano ostriche e champagne ma trovi anche uno spazio per i sigari: ottima selezione di cubani e la possibilità di gustarli dopo cena o durante, fra i pasti. Esaltante anche il Davidoff Lounge al Ritz Carlton.
Meraviglioso il Cloude Nine di Abu Dhabi, all’interno del Sheraton, con vista sulla spiaggia. Più pretenzioso il Havana Club di Emirates Palace, uno degli alberghi più lussuosi al mondo: l’atmosfera è molto mascolina, un po’ sulla scia dei libri di Graham Greene. C’è musica dal vivo, una collezione infinita di cognac e armagnac, cocktail a non finire, insomma un paradiso. Non da meno il Cohiba Cigar Divan di Hong Kong, al piano terra del Mandarin Oriental: atmosfera cubana da impazzire. A New York invece splende il Club Macanudo o più semplicemente Club Mac, per i clienti abituali. Sempre nella città della mela si trova il Carnegie Club, proprio di fronte al famoso Carnegie Hall. Sulla striscia di Las Vegas, al Monte Carlo Hotel&Casino, impera il Andre’s Lounge, al primo piano del ristorante che porta lo stesso nome. Meraviglie anche a Parigi, al Le Cubana Café. In Italia, dove i talebani del salutismo sono in esercizio permanente, si fa fatica ma i produttori di bollicine riescono a trovare le situazioni ideali per orga-
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nizzare eventi. C’è chi si spinge oltre, pubblicando saggi e facendo il giro della penisola con lo scopo di insegnare il giusto abbinamento tra sigari e nobili bevande: per esempio Fabrizio Franchi, autore di “Toscano nel bicchiere”. Molto attivo anche Marco Starace, consigliere nazionale dell’Associazione nazionale sommelier, il quale organizza una specie di master. I suoi abbinamenti preferiti éPerrier Jouet Grand Brut con il Davidoff Primeros Classic. Marco Tonelli, il primo habanos sommelier italiano e finalista ai campionati del mondo della categoria a Cuba, va oltre, proponendo una nuova strada: “Basta con i distillati, meglio i vini, che rinfrescano il palato grazie anche alla temperatura di servizio. Con il Cohiba Behike proporrei un Albana di Romagna passito Scacco Matto 2008, che spegne l’irruenza del finale con un bicchiere che declina gli agrumi, la frutta secca e lo zafferano. Un sigaro piccolo da aperitivo? Se si tratta di H.Upmann Half Corona ideale sarebbe un Franciacorta Collezione Giovanni Cavalleri 2004, mentre è preferibile ”.
Hilton Nui Resort & Spa
Bora Bora
Sospeso tra le acque cristalline. Situato in una baia idilliaca di sabbia bianca e pietra lavica. A 9 km da Vaitape. L’accesso al resort che avviene solo in barca. Stanze di dimensioni gigantesche, in pratica dei mini appartamenti, con zone di pavimento trasparente che ti permettono di ammirare il fondo del mare. terrazze enormi, con una scaletta che scende verso l’oceano. Benvenuti in paradiso.
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uando nel 1919 acquistò un albergo di 40 camere a Cisco, nel Texas, Conrad Nicholson Hilton non poteva immaginare che sarebbe diventato il più famoso e importante nome del mondo dell’hotelerie. Fra l’altro l’acquisto avvenne per caso. Si trovava a Cisco nelle vesti del presidente di banca e stava trattando un investimento. Dopo alcuni giorni, annoiato per via di assurdi ritardi che gli impedivano di chiudere l’affare, decise di comprare un albergo che aveva in mostra il cartello “For sale”. Probabilmente era un predestinato, visto che suo padre, August, era il proprietario di un hotel a San Antonio e Conrad iniziò come portiere di notte nello stesso. Fatto sta che nel 1919 nacque la Hilton Hotels Corporation. Il resto è storia: nel 1966 Conrad lascia il timone al grintosissimo figlio Barron e sarà lui, il secondogenito, a portare in vetta del mondo il nome della famiglia. In due anni riuscì a raddoppiare i profitti e iniziò a estendersi ovunque. Poi inizia la classica storia americana fatta di successi, soldi e gloria. Ormai non si contano le aperture e le acquisizioni. Siamo arrivati a 530 strutture di proprietà. Qui vi stiamo presentando il resort di Bora Bora, anche se ogni parola sembra superflua quando hai davanti agli occhi immagini del genere. Sospeso tra le acque cristalline, è situato in una baia idilliaca di sabbia bianca e pietra lavica. L’hotel si trova a 9 km da Vaitape. L’accesso al resort avviene solo in barca. Aggiungiamo solo che si trova a venti minuti di navigazione dall’aeroporto, che la spiaggia è di una bellezza sconvolgente, mentre le stanze, soprattutto le overwater horizon, sono di dimensioni gigantesche. In pratica dei mini appartamenti, con zone di pavimento trasparente che ti permettono di ammirare il fondo del mare. L’Hilton propone un totale di 120 camere, 82 delle quali su palafitte e 9 in giardino. Le scelte sono fra Garden Villa, Hillside Villa, Lagoon view Suite, Villa deluxe sull’acqua, Villa sull’acqua. Le camere standard hanno una superficie di 85 metri quadri. Presentano un salotto, una camera, un bagno immenso e un’ampia terrazza, oltre a un ponticello d’accesso all’acqua. L’arredamento è completamente in legno, in stile coloniale: scrittoio, letto a baldacchino con zanzariera, “vaitapas” su pannelli mobili, portabiti, cabina armadio. Due grandi televisori e di un lettore DVD , attrezzatura per snorkeling, diverse aperture, su entrambi i lati del davanzale del salotto, nonché sul bordo della vasca da bagno, per dare da mangiare ai pesci. Il Nui propone due ristoranti: uno a vocazione gastronomica, situato nell’edificio principale; l’altro vicino alla piscina, che è originale soprattutto per il pavimento interamente ricoperto di sabbia. La cura maniacale per ogni dettaglio è scontata. Per quanto possa sembrare paradossale, il resort è ideale per i viaggi di lavoro. Dispone infatti di servizi di segreteria, apparecchiature audiovisive e servizi di traduzione: a disposizione anche catering per ricevimenti e strutture per banchetti, seppur ci pare impensabile che a Bora Bora uno sia con il pensiero alle attività produttive. Va bene che l’uomo d’affari non stacca mai, però almeno qui lo potrebbe fare. Speriamo di avervi fatto sognare. E convincervi di fare i bagagli.
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Paradiso puro a dieci minuti da Siena, polaroid di lusso con vista sulla città e sul campo da golf sognato e disegnato da Robert Trent Jones II, magia ondulata e dolce, 18 buche impegnative e rilassanti: ne vale la pena venire qui solo per scattare una foto ricordo dall’alto dalla club house ricavata dalla ristrutturazione di due edifici padronali. Figuriamoci acquistarne una villa e godersi il tutto, ogni santo giorno.
La Bagnaia Cartolina senese
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na volta qui c’era una proprietà agricola ricca di fauna, storica residenza di grandi famiglie nobiliari e papi, ora invece troverete un elegante resort a cinque stelle e delle ville, molte ultimate altre in fase di realizzazione, con le metrature pensate per soddisfare le diverse esigenze e la possibilità di personalizzazione. Lo si sa, il massimo del lusso è il silenzio, e il silenzio si apprezza ancor più se si dispone della cortesia di chi ti è attorno, della tecnologia, e si è immersi in una natura superba, racchiusa tra Maremma, Tirreno e i mille luoghi da sogno tra Firenze e Siena. Storia, cultura, tradizione, natura, eleganza, armonia, sicurezza, esclusività: la Bagnaia è tutto questo, incastonata nelle prime colline senesi, 1.100 ettari di grande fascino. Sono in fase di realizzazione nuovissime dimore di uno charme indiscutibile, in stile toscano. Le metrature pen-
sate per soddisfare diverse esigenze (dalla suite alla villa) e la possibilità di personalizzazione con finiture esclusive, le rendono uniche nel loro genere. Immerse nel verde, quasi nascoste, godono di una vista da pura cartolina, le 18 buche del Royal Golf La Bagnaia disegnato da Robert Trent Jones jr., signore d’altri tempi oltre che prestigiosa firma internazionale. Un uomo di grande cultura e poesia, un idealista e un sognatore straordinario. Robert Trent e La Bagnaia, un binomio perfetto, un inno alla bellezza: il passare del tempo non ne ha assolutamente stravolto la fierezza e la maestosità del posto, al contrario ne ha esaltato la sua unicità, rendendola una meta da sogno per chi cerca un’oasi di tranquillità incontaminata, arricchita da servizi all’avanguardia. Inoltre, Tenuta La Bagnaia metterà a disposizione dei proprietari delle ville del golf un servizio di gestione completo, dalla manutenzione quotidiana al più piccolo
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dettaglio e desiderio, che possa essere la passeggiata a cavallo oppure un semplice massaggio. Oltre alle ville la tenuta comprende la storica riserva di caccia con il famoso castello della contea di Frontignano contornato da 14 casolari recuperati e ristrutturati senza divisioni interne per dare ad ogni proprietario la possibilità di personalizzarli a seconda delle proprie esigenze, con la posizione privilegiata che permette ad ogni dimora di dominare le vallate. I grandi spazi che circondano i singoli edifici offrono una tranquillità ed una privacy impagabili, mentre la sicurezza è garantita dalla recinzione di tutta la tenuta, il tutto per dare la possibilità a chi ha scelto Frontignano di godere la grande bellezza della natura ed il massimo del lusso, ovvero il silenzio totale. I proprietari dei casolari potranno avvalersi della consulenza di un’interior designer per personalizzare la propria residenza e renderla ancor più esclusiva.
Buddha Bar, Praga Favola boema
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on si tratta di un albergo ma di un vero e proprio life style”, sta scritto sulla home page della catena Buddha Bar, ormai famosissima in qualsiasi angolo del mondo, da Parigi a Caracas, da Monte Carlo a Washington, da Budapest a Praga, appunto. Un nuovo modo di interpretare la hotelerie, fra atmosfere sensuali e cibo divino, stanze “incandescenti” e luci soffuse, musica lounge e quelli interni che sono un misto di stile coloniale francese con influenze asiatiche. Molto anni trenta, molto scenografico, molto d’impatto: un po’ come nel film Indocina, un po’ boccaccesco, di sicuro esaltante. La città, poi: Praga aiuta molto, si presta. Difatti l’al-
bergo si trova a due passi dalla piazza più antica della capitale barocca, fra guglie e giardini nascosti, ponti grandi, lampadari a gas e mura color blu elettrico, tetti rossi e alberghi sontuosi, tutto come il set di un film d’epoca. Una scenografia da favola, anzi una favola, come i caffè antichi e i ristoranti, di cui alcuni di un livello altissimo, tutti sicuramente molto piacevoli. Le Terroir, nel centro storico, vanta una cantina prestigiosa e propone cucina tradizionale Il Bellevue viene considerato uno dei migliori, di sicuro uno dei più romantici, con la vista sul Ponte Carlo e il castello, dove si trova anche Kampa. Elegantissimo il Francouzska, con lampadari giganteschi e piano
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bar ogni sera. Vista panoramica mozzafiato per Coda e anche per Celeste, sito all’ultimo piano della Dancing House. Poi Pallfy Palace (in un palazzo barocco), Triton (aperto nel lontano 1912), La casa argentina, il vegetariano Lehka Hlava, Cafè Mozart e Cafè Montmartre, gli ultimi due più dei bistrot che dei veri e propri ristoranti. Già che ci siamo: fra una notte romantica e un’altra al Buddha non perdetevi la Casa Danzante di Gehry, il museo del cubismo ceco con le vetrate a prisma, il quartiere borghese di Vinohrady e quello di Vysegrad, dove narra la leggenda nacque la città, le facciate art nouveau lungo la Moldava, le barche al porto, la case cubiste di Josef Chochol.
Russell Coutts L’Ibra della vela
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puristi lo considerano un traditore perché preferisce i soldi alla vela: e vabbe, loro sono così, ingenui e un po’ fuori moda, da accarezzare sulla testa e dir loro che il mondo è altro. Gli avversari dicono di lui pesta e corna: uno squalo, niente di male, tanti nemici tanto onore, sosteneva qualcuno. I pragmatici lo apprezzano, perché nella vita contano i fatti e il resto vale poco. O meno di zero. Russel Coutts è il velista più forte del mondo, un brand, se ad alcuni va di traverso non ci perde il sonno. Si vive per vincere, lui lo fa: aggettivi come stronzo non lo toccano nemmeno, semmai aumentano il suo mito, il fascino, il potere. Frequentemente senti la parola “asshole” accanto al suo nome, tradotto sarebbe proprio stronzo, però Russell, il 51enne di Wellington, è abituato e gira diritto, fra contratti e successi. “Vale” 8,5 milioni di euro l’anno, cambia armatore e squadra in base alle convenienze, come d’altronde tanti altri nel mondo dello sport, del lavoro, della vita. Nulla di strano,accade ovunque, con la differenza che Russell vince, un vero cannibale. E’ l’Ibrahimovic della vela. Non ha mai goduto di troppe simpatie, come se contasse molto nel mondo professionista: i cabarettisti
fanno un altro mestiere. Nel 2000, quando decise di seguire lo svizzero Ernesto Bertarelli, nella Nuova Zelanda ci fu la rivoluzione. Per un semplice cambio di squadra ci pare eccessivo, Coutts non deve nulla a nessuno: aveva vinto con i kiwi del team New Zealand per due volte di fila, poi andò via altrove per ripetersi, difatti pure con Alinghi alzo al cielo la Coppa America. “Ci ha mollati per un contatto di due milioni di dollari”, gridavano nel suo paese. Embe, sarebbe bello vedere loro al posto di Russell. Accanto a Bertarelli voleva praticamente rivoluzionare la vela, la competizione più importante, creando barche sempre più veloci e spettacolari, disegnarle, timonarle: forse troppo ambizioso perfino per i gusti del magnate del mondo farmaceutico, che non volle continuare il rapporto dopo la vittoria del 2003 dell’America’s Cup. Peggio per lui: uno come Coutts, che passava le notti prima della finale contro la Luna Rossa a studiare le mosse della barca di Patrizio Bertelli, uno così dedito alla vela, maniacale, fenomenale, non lo si lascia andare. I motivi della separazione sono facilmente intuibili: Russell voleva comandare, avere carta bianca, il patron di Alinghi invece preferiva avere lui il controllo. Solitamente due con una personalità forte non vanno avanti
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insieme all’infinito. Risultato? Il campione si crea il proprio brand, ovviamente “Russell Coutts”. Disegna i RC44, motoscafi paragonati alle «Formula 1 disegnate da Michael Schumacher». Nasce così il circuito degli RC44, frequentato da miliardari con l’hobby della vela, uno sfizio costoso. Se lo comprano in tanto, il motoscafo: americani, russi, tutti coloro che si possono permettere spendere almeno mezzo milione più altro mezzo per partecipare alle corse. Secondo Espn, nel 2011 il marchio valeva 10 milioni, fra gare, indotto e altro, senza però considerare il suo stipendio, pagato da Larry Ellison, Ceo di Oracle (siamo sull’ordine di tanti, tanti milioni). Nonostante le attese, non fu un grande successo: anzi, una delusione cocente per i più. La morte di un marinaio in allenamento, la gara truccata (Oracle aumentò il peso a prua di 2,5 chilogrammi, fatto unico nella storia della American’s Cup), meno spettatori del previsto. San Francisco Chronicle non aveva dubbi, “Si tratta dell’edizione più fallimentare mai vista dopo il Titanic”. Capita. Di sicuro Russell andrà avanti. Fra antipatie e soprattutto invidia. Tanta, tanta invidia.
Il butler
Imitando Stevens
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na volta veniva considerato un lavoro quasi umiliante. Ora invece, con il numero dei ricchi in continuo aumento, la situazione è cambiata, anzi, il maggiordomo guadagna più della media e di conseguenza aumentano le richieste di personale che possa assistere in maniera adeguata i multimiliardari. Gli stipendi per i maggiordomi che lavorano sulle imbarcazioni di lusso vanno dai 1.700 ai 2.500 euro al mese, più ovviamente il posto letto ed i pasti: con altre parole la somma rimane nelle tasche, visto che non ci sono possibilità per spenderli. Una opportunità, niente da dire, però attenzione: le anime belle, i super sensibili, i comunisti e i coloro con forte tendenza a rincorrere al sindacato sono poco graditi, anzi, sgraditi. E’ un lavoro che ha nulla a che fare con il politically correct, anche se i rischi di trovarsi a bordo personale moralista è inesistente, si va a lavorare per soldi e di conseguenza tutti muti, felici e contenti, come in Downtown Abbey. C’è la fila per poter seguire le scuole, i corsi più importanti, dove si pagano 900 euro a settimana: spicca il Bespoke Bureau, sede a Londra ma che sta aprendo delle filiali un po’ ovunque, dalla Costa Azzurra a Norfolk, fino a Chengdu nella Cina sud-occidentale. In cosa consistono le lezioni, cosa devono memorizzare gli apprendisti, oltre a imparare come essere efficienti e invisibili allo stesso tempo? La disposizione dei piatti e dei bicchieri, come rifare i letti, cosa controllare perché il bagno sia perfetto, compresa la modalità di piegare la carta igienica e gli asciu-
gamani (nel caso ci fossero dei fili tagliati), perfino quanto tempo si deve aspettare prima di entrare nella toilette e verificare se l’ospite abbia danneggiato o sporcato. Fin qui tutto nella norma. Poi, e qui si arriva all’esagerazione, ci sono le lezioni con le risposte ideali. Mai pronunciare “Perché?”, bensì “Posso conoscere il motivo?”, mai rivolgersi al proprietario oppure al suo ospite con un “Ha finito?”, si usa rispondere
con un più felpato “Posso chiedere se ha terminato?”. Assistere, servire in silenzio assoluto: non fare domande, non cercare di iniziare una conversazione con gli ospiti (ci pare ovvio, uno mica sale a bordo per parlare con loro), assolutamente vietato parlare della
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propria vita (che poi a chi interessa), mai presentarsi con occhiali da sole (che fa tanto idea di essere in vacanza e non al lavoro), controllare sempre i contenitori delle creme solare. Le migliori “scuole” ci sono a Londra, dicevamo. Butler Academy viene considerata una specie di università, forse in maniera un po’ pomposa, ma rende l’idea: “Butling and House Managemente School”. 75 per cento degli “studenti” sono maschi, non ci sono limiti d’età, tant’è vero che di recente ha seguito i corsi un signore di 68 anni. Per fare un esempio pratico, sempre a Londra un maggiordomo porta a casa uno stipendio di 40-42.000 euro l’anno. Di altissimo livello anche la scuola di Vincent Vermeulen a Bruxelles: “Il mestiere tira come ai tempi della regina Vittoria”, sostiene con un sorriso a 32 denti. I costi? 6.980 euro per un corso di un mese: però. I clienti non sono per forza europei, ma i cinesi, russi e arabi, perfino i nuovi ricchi brasiliani esigono maggiordomi del vecchio continente: un perfido ed evidente segno di rivalsa sociale. Nel nostro paese ce ne sono alcuni davvero importanti e prestigiosi a Firenze e Torino, ma per tutte le informazioni sarebbe utile contattare l’Associazione Italiana Maggiordomi, a Milano in Via Pellico, dove peraltro si trova l’unico albergo a sette stelle al mondo, il Town House. Il modello da seguire? Stevens, interpretato da Anthony Hopkins in “Quel che resta del giorno”.
Helena Bordon Fascino letale
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a chiamano faccia d’angelo, non si capisce bene perché: di angelico ha poco, di sensuale invece tanto, tantissimo. E’ letale. Basta guardarla. Capisci subito che non ha mai incassato un “no” in vita sua. E’ tosta, sicuramente sa ottenere quello che desidera in qualsiasi situazione, lavorativa e non. Sa di avere un potere totale sugli uomini, per cui, immaginiamo, un prestito in banca non sarà mai un problema. Idem per un contratto di sponsorizzazione. Volendo anche per un appartamento oppure una macchina sportiva. Sa di avere un fascino “mortale”, sa bene che davanti a lei si stendono i tappeti rossi, poco importa se parliamo della vita professionale oppure privata. Difatti ha avuto una montagna di fidanzati famosi, fra questi Nelson Piquet Jr. Ha avuto sempre la vita facile, Helena: figlia di Donata Mereilles, fashion editor per Vogue Brasile, non ha faticato troppo nell’iniziare la sua nuova avventura come blogger. Attenzione, però: il resto è tutto farina del suo
sacco. Va bene essere la figlia di Donata (per vent’anni la più importante buyer di moda del paese), va bene essere invitata alle sfilate ed eventi mondani, però poi i contatti su Twitter (a quota 70.000), Instagram (208.199 quando scriviamo) e il successo come blogger sono merito suo. Comunque, le fortune non arrivano mai da sole: oltre ad aver avuto un inizio agevolato e un fisico da sballo, si è trovata al momento giusto al posto giusto, perché il Brasile fa parte del BRIC: ovvero assieme alla Cina, Russia e India guidano il mondo dei paesi con crescita a due cifre. Difatti la moda e il lusso in generale hanno visto crescere il fatturato di oltre 50 per cento negli ultimi anni, sfiorando i tre miliardi di dollari. Come se non bastasse, Helena è di Sao Paolo, la città più ricca del paese, dove si concentra più del 80 per cento delle vendite. Quale modo migliore per veder aumentare giorno dopo giorno gli introiti ed il numero dei follower? Oggi si
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parla di cinque milioni di dollari l’anno, grazie anche al proprio marchio 284 che in Brasile conta dieci negozi monomarca. E siamo solo agli inizi. A proposito, come ha iniziato? Sentiamola. - Ricordi com’è cominciato tutto? - Due amici sono venuti da me suggerendomi che sarebbe carino creare un blog dove condividere le mie esperienze, le feste e le fotografie della mia vita quotidiana. Di sicuro non potevo immaginare un seguito così ricco di soddisfazioni. - Hai un’idea di chi siano i tuoi follower? - Certo, la gran parte sono compresi nella fascia d’età che va dai 16 fino ai 30: gente interessata in moda, beauty e viaggi. - Di quanti follower parliamo? - Ho un milione di visite al mese. - Qual’è l’aspetto che più ti soddisfa, nella tua nuova avventura? I nuovi partner commerciali, il business sta crescendo giorno dopo giorno. E andrà sempre meglio.
Alana Ruas
www.instintodevestir.com
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ome: Alana. Cognome: Ruas. Età: 25. Nata a: Minas Gerais. Vive a: Rio. Professione: fashion designer, oppure blogger, ma ormai non fa molta differenza: le due attività si sovrappongono, perché le sue esperienze le condivide quotidianamente in rete sul blog, preso d’assalto dalle ragazze brasiliane. E’ una delle tante nuove star del mondo internetiano, imponendosi con forza, in maniera aggressiva. Guardando le sue foto si capisce subito il motivo dell’impatto violento, il perché del suo successo quasi immediato. -Come hai cominciato? - All’inizio ho creato un blog, ma solo per condividere dei progetti scolastici, poi è diventato una specie di diario. Dopo di che ho scoperto Lookbook e ho comin-
ciato a postare delle fotografie. In seguito le aziende si sono interessate a me, proponendomi delle partnership. Devo dire che funziona a meraviglia. - Pensavi di ottenere e di avere un tale successo? - No, certo che no. - Hai una spiegazione per questa tua esplosione in rete? - Penso che esprimendo la propria personalità fai la differenza, la chiave sta tutta qui. - Si presume tu sia una modella… - Vi stupirò, non proprio. Non lavoro con un’agenzia, indosso i capi di abbigliamento solo per il mio blog, faccio raramente dei lavori per delle aziende. Studio fashion design, a breve penso seriamente di lanciare la mia linea, il mio brand. - Possiamo targetizzare le persone ti seguono?
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- Ragazze giovani che vogliono vestirsi come me, avere delle idee, capire quali siano i nuovi mood, capire come si possano mescolare vari stili, cambiando ma non troppo. - In quanti sono? - Visitatori fissi, follower che entrano più volte al mese, direi 10.000. Un buon numero. - Cosa ti piace di più, nella tua avventura internetiana? - Sorprendere con le mie idee, stupire. Mi piace incontrare nuove persone, sapere cosa ne pensano del mondo della moda, le loro opinioni. - Quanto e dove si può migliorare il blog di Alana Ruas? - Tanto, tantissimo, però c’è bisogno di tempo, appena finisco la scuola potrò dedicarmi al cento per cento al mio blog, così metterò più post e video.
Christina Hendricks Mad Woman
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uando ricomincia Mad Man? Non ce la facciamo più ad aspettare. Don Draper è il nostro idolo, cinico e geniale, niente conformismi da operetta e tanta sostanza. Il mondo della pubblicità degli anni sessanta era davvero uno spasso. Non esisteva il divieto di fumare negli uffici, i creativi non erano degli alternativi bensì gente altamente presentabile, i messaggi erano forti, il politically correct inesistente, le battute aspre all’ordine del giorno. Così com’era normale vedere aggirarsi fra le scrivanie delle segretarie mozzafiato. Le cause per molestie non esistevano: al contrario, era unpiacere lavorare e farsi corteggiare dal capo. Il personaggio di Joan Holloway ci piace anche per questo, esalta un’epoca da noi mai vissuta. Il femminismo era lontano anni luce, l’atmosfera in ufficio serena, ognuno aveva un ruolo ben definito: il boom degli anni sessanta s ispiega (anche) così. Se avevi delle capacità facevi strada, se invece battevi la fiacca arrivederci. Christina Hendricks, Joan nella serie, interpreta una specie di capo delle segretarie, una office queen: in pratica organizza l’agenda dell’intera azienda
e sa tutto di tutti. Oggi si chiamerebbe staff manager, d’altronde chi non lo è nei nostri giorni? Fa la parte della donna estremamente professionale e maliziosa, ovviamente amante di uno dei capi. Ha un fidanzato, antipatico, molle, triste, ovvero l’opposto degli uomini duri e puri della pubblicità. Un medico insicuro e quasi loser, mentre alla Sterling Cooper, l’agenzia dove lavora, sono tutti dei creativi vincenti ed
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eleganti. Ha iniziato come modella, era richiesta per i cataloghi. Poi ad un certo punto il suo agente la mollò per un motivo estremamente semplice: i seni le stavano crescendo troppo per i cannoni della moda. Tutto di guadagnato, perché è passata a fare la tivù: dal 2007 impazza sui piccoli schermi con Mad Man. Capelli rossi, carnagione chiara, occhi azzurri, forme sinuose: non è un caso se la rivista Esquire lo ha eletta la donna più sensuale dell’universo nell’anno passato. Per la cronaca, i lettori della prestigiosa rivista hanno preso d’assalto le edicole saputo chi sarà in copertina. Per la prima voltasi è dovuto ricorrere alla ristampa del numero di maggio, causa esaurimento scorte. Chi la incontra per le strade di Los Angeles, dove vive, racconta di una donna che sembra molto più giovane di quello che si può vedere in Mad Man. Guardandola in vari talk show televisivi possiamo assicurarvi che sia vero. Aggiungiamo: raramente negli ultimi tempo abbiamo visto una donna più accattivante. Che poi abbia ricevuto la nomination per gli Emmy ci pare un dettaglio di poco conto…
Devious Maids
Capolavoro a Beverly Hills
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icchezza, corpi statuari, tradimenti, star hollywoodiane capricciose, mogli depresse, mariti arrapati, donne pronte a tutto pur di avere un conto in banca con sette zeri: il mix è perfetto, come sempre. Così come la frase detta da una delle mogli miracolate: ”Rubare il marito ad un’altra non è bello, rubare la domestica è imperdonabile”. Marc Cherry, l’autore di Devious Maids, ci ha azzeccato in pieno: la rete ABC festeggia l’ennesimo successo americano. Tranquilli, stavolta non infieriamo, non facciamo paragoni con le serie televisive italiane, non possono nemmeno competere, sarebbe ingiusto per la macchina da guerra statunitense fare dei paragoni. Quello che stupisce è la quantità e la costanza con la quale si sfornano produzioni straordinarie a non finire, una dietro l’altra e soprattutto una diversa dall’altra: non si segue il solito filone, il copione che assicura ascolti facili. Si va da Walking Dead a Homeland, da Desperate Housewives a Modern Family e via discorrendo: ovunque ti giri un successo. Certo, le domestiche di Devious Maids sono delle bellezze da urlo, i personaggi maschili idem, l’ambientazione a Beverly Hills aiuta e fa sognare ma non basta
per garantire tre milioni di persone davanti ai piccoli schermi. C’è qualcosa nelle loro produzioni, c’è quel profumo di ambizione e ricchezza, di torbido e cinico che tiene incollati tutti, a prescindere dal target. In più ci si riconoscono in tanti, guardando la serie tv della ABC: le aspiranti mogli dei ricchi, i ricchi stessi, le morte di fama, le depresse abbandonate, perfino quelle che ce l’hanno fatta a portare ad altare un ereditario. Notevole lo sforzo di trovare quattro domestiche molto sensuali ma che rappresentino un intero paese: ovviamente sono tutte messicane, perché si sa, la percentuale dei sudamericani che guarda le soap opera e le telenovelas è altissima. Difatti Devious Maids nasce proprio così, da una telenovela: Ellas non la allegria del hogar. Gli americani hanno aggiunto la patina della ricchezza ed eccoci al successo planetario assicurato. In base ai gusti di ognuno si può scegliere la domestica preferita: Marisol Duarte (interpretata da Ana Ortiz), Rosie Falta (Dania Ramirez), Carmen Luna (Roselyn Sanchez), Valentina Diaz (Edy Ganem). Di certo non ci piace l’aspirante cantante, troppo convinta di meritarsi gloria e ricchezza, fra l’altro non perde mai l’occasione di dirlo in maniera diretta e sfac-
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ciata: Carmen Luna ci è antipatica a tal punto da augurarle di non emergere mai. Si crede l’unica bellezza al mondo, la sue presunzione supera ogni limite. Però lo ammettiamo, fisicamente è uno sballo ed è il genere di donna che riesce ad ottenere qualsiasi cosa usando il suo corpo. Molto gatta morta Valentina, giovane sognatrice e calcolatrice. Concreta, intrigante e pratica Marisol (interpretata da Ana Ortiz, la stessa di Ugly Betty), a noi piace Rosie Falta, furba e decisa: esaltante come riesce a dominare la padrona di casa, una insopportabile attrice da due soldi che si crede chissà chi, ovvero l’ipocrita e capricciosa Peri Westmore (che fra l’altro tradisce il marito ogni santo dì, così per sport). Confessiamo di tifare per la sua love story con il padrone di casa. Fantastica Susan Lucy nei panni della sessantenne che si comporta da adolescente e piange ogni volta che viene mollata dal toy boy di turno, monumentale quando decide di sposarsi per l’ottava volta vista la mancanza di soldi e la paura di diventare povera, al limite della stupidità più elementare, con dei sbalzi di umore continui, impicciona nella vita dei figlio: strepitosa. Insomma ci sono tutti gli ingredienti. Come sempre.
Breil Abarth
Carattere ed eleganza
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a performance gareggia con lo stile Dalla collaborazione di due aziende fuoriclasse italiane, Abarth e Breil, nasce una collezione di cronografi d’eccezione e dal grande carisma. Lo scorpione, simbolo della casa automobilista, è il fil rouge di tutta la mini-collezione Enclosure-Abarth, formata da 5 referenze, un elemento di distinzione che valorizza lo sfondo dei quadranti e diventa il dettaglio dei contatori e i cinturini. Il design è innovativo ed energico, la cura dei dettagli degna di nota. Modelli pieni di eleganza e potenza che interpretano in modo eccellente il dna dei due brand e che colpiscono per la qualità delle perfomance che garantisce il confort e la distintività nell’indosso. Rendendo omaggio ai colori della scuderia Abarth, gli orologi sono arricchiti da dettagli blu, gialli e rossi. Realizzati con materiali tecnologici, sono dotati di movimento al quarzo, vetro minerale antiriflesso e con cinturino in pelle e stampa in fibra di carbonio, hanno cassa in acciaio 43.5 mm e sono impermeabili fino a 10 atmosfere. Modelli unici, frutto dello spirito agonistico e sportivo che da sempre anima le collezioni.
Woolrich
Winter, my love
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ontinua lo sviluppo per WP Lavori in Corso, che da azienda di ricerca e distribuzione nata agli inizi degli anni ‘80 è diventata una delle case history italiane di maggior successo nello sviluppo di licensing e distribuzione di marchi di sportswear di alta gamma.
Il più conosciuto, Woolrich, 183 anni di vita portati benissimo, continua a macinare utili ed ha impressionare anche per le attività collaterali, come la collaborazione con il fotografo Douglas Kirkland , noto per avere realizzato una serie intera di scatti con Marylin Monroe. Kirkland ha dato la sua interpretazione artistica del marchio Woolrich fotografando 18 personalità creative, tra cui le attrici Dominik Garcia (figlia di Andy Garcia) ed Elle Fanning (protagonista del film di Sophia Coppola Somewhere), poi Gabriel Garko, Brendan Fraser e Danny Houston. 18 ritratti speciali per un libro e per una serie di mostre itineranti. Qui invece abbiamo scelto per voi tre capi della nuova collezione. La giacca 3 in 1 di Woolrich (499 euro), realizzata in tessuto shape memory, può essere utilizzata in tre modi diversi: solo la parte esterna per l’autunno, solo l’interno piumino per le prime temperature fredde, piumino più la parte esterna per temperature molto basse. Il Teton Blizzard Parka (749 euro) è invece in tessuto tecnico altamente performante, leggero e traspirante, trapuntato con cintura in vita, cappuccio e scaldamani. In tessuto opaco di cotone la Woolrich Byrd Cloth Parka (799 euro), 100% naturale, idrorepellente, traspirante e resistente al vento, con imbottitura in piuma d’oca. Da aggiungere i profili staccabili in pelliccia di coyote. Disponibile nelle tonalità pastello del rosa chiaro, giallo, azzurro, panna e grigio. e-commerce: www.wpstore.com
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Doucal’s
Made in Italy
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ewind: siamo negli anni settanta, a Montegranaro, nelle Marche, culla dell’eccellenza calzaturiera italiana. Mario Giannini fonda la sua azienda e lancia il marchio Duca, nome scelto per identificare un prodotto mirato ad una clientela di alto livello, elegante ed esigente, attenta alla ricerca della perfezione. Poi va a Londra, nel distretto calzaturiero del British Shoe District, per uno stage sul handmade good year. Torna a casa pieno di idee ed entusiasmo, infondendo nella sua piccola realtà artigianale la dedizione puramente british rivolta alla perfezione vista, ammirata e imparata nella english factory. Cambia il nome del marchio, da Duca a Doucal’s, proprio per onorare l’esperienza autentica e aggiunge il tocco italiano, la morbidezza, il confort. Sono passati esattamente quarant’anni ma nulla è cambiato: al timone dell’azienda oggi ci sono i figli Jerry (l’artefice dell’espansione sui mercati internazionali) e Gianni (privilegia la parte creativa e lo sviluppo prodotto, è lui l’anima delle collezioni), i quali hanno proseguito il cammino, salvaguardando il “fatto a mano” con l’ausilio delle tecnologie contemporanee più avanzate che sono il loro riconosciuto ed apprezzato terreno di azione. Manifatture artigianale,forme aggiornate, stile ricercato, forte identità, dettagli personalizzati, raffinatezza,
massimo confort: oggi Doucal’s celebra il suo 40imo anniversario allestendo in forma discreta e personalizzata nello show room di via Monte Napoleone a Milano la rassegna vintage dei modelli che hanno tracciato la propria storia. Un segno di riconoscimento e di eleganza, la testimonianza e la continuazione di una tradizione artigianale Made in Italy, che si esprime in diverse
lavorazioni:proviamo ad elencarne alcune. Partiamo dalla lavorazione Blake, effettuata con una macchina che cuce con un filo semplice o doppio contemporaneamente la tomaia, il sottopiede, e la suola.
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Poi ci sarebbe la lavorazione California, cucendo la tomaia ad un sottopiede morbido, formando con questo una specie di sacchetto, nel quale viene infilata la forma. Una fascia, cucita attorno al profilo del sottopiede, viene successivamente rovesciata in basso a coprire una suola a zeppa incollata. Quindi la Good Year: il guardolo viene prima cucito al labbro dell’increna del sottopiede ed alla tomaia e poi esternamente alla suola. Concludiamo con la lavorazione Ideal: il bordo della tomaia, a differenza che nelle altre lavorazioni, viene girato all’esterno della forma e fissato con piccole cuciture alla suola che per questa ragione e più larga del consueto. Si potrebbe continuare all’infinito, anzi, lo faremo presto, approfondendole una per una. La distribuzione, poi: altro fiore all’occhiello dell’azienda, si implementa con l’apertura di negozi diretti, il primo a Parigi, a cui ne seguirà un secondo nel 2014, per non parlare dei corners nei più bei department stores europei quali Galeries Lafayette, Bazar de l’Hotel de Ville a Parigi, Istanbul, non ultimo nella primavera 2014 La Rinascente a Milano. Seguiranno altri tra Mongolia, Israele e Grecia, Cina nell’anno 2014. Uno store a Budapest e tre in Cina. Intanto, auguri.
Caro Emerald Sexy, retrò, curvy
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’ olandese. Vocalist. Swinger. Di grande successo. Caro Emerald, il vero nome Carolina Esmeralda van der Leeuw, stupisce ogni giorno di più, con le canzoni e le provocazioni. Lo hanno definita la nuova Betty Page con la voce di Adele. I suoi brani ti portano indietro nel tempo, nei favolosi anni trenta. Riesce a riempire le sale, a Londra come a Milano. Il suo look è dannatamente retro, un misto fra pin up e diva. O entrambe. Molto curvy, rossetto rosso acceso e l’onda nei capelli. Lei invece si vede in maniera diversa, “una specie di Grace Kelly con la voce di Beyoncè. Di Grace amo la classe e lo stile, della seconda la sicurezza in sé stessa, oltre al suo modo di essere così femmina”. Ora si gode il successo, ma solo quattro anni addietro nessuna major voleva metterla sotto contratto. “cercavano voci e personaggi diversi, nessuno credeva nella mia idea di musica, nel mio stile, insomma ho preso tanti due di picche”. Il risultato? Caro si crea la propria casa discografica, la Grandmono, cresciuta a dismisura dopo l’esordio con Back it up: quasi un milione e mezzo di copie vendute per il suo primo album, Deleted Scenes from the Cutting Room Floor. Segue il secondo, The Shocking Miss Emerald, un successo inaspettato e stupefacente, se pensiamo che nella prima settimana, solo nella Gran Bretagna, ha
venduto 35 mila copie, sistemandosi al primo posto nella classifica inglese: un delirio il singolo Tangled Up, un misto di jazz e tango. Nel 2011 ha cantato con Giuliano Palma in Vivere,
brano dell’album Riviera Life, dedicato proprio alla bella vita di Monte Carlo e dintorni. Chi è però Caro? Nata ad Amsterdam il 26 aprile 1981, figlia di una segretaria e un filosofo, ha avuto la classica infanzia di una ragazza che vive in una città
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libera e aperta come la capitale olandese: canne a gogo, ribellione vera o finta, notti perse, tutto questo a 13 anni. I primi approcci con la musica a 11 anni, quando viene scelta per una parte da solista nel musical della scuola: in seguito i genitori la portano a prendere lezioni di canto, di conseguenza si diploma al Conservatorio nel 2005. Più recentemente, si narra anche di una serata ad altissimo tasso alcoolico nel Principato di Monaco, assieme a Bill Clinton, una notte piena di vodka e champagne dopo una esibizione in un concerto. Ora vive in maniera più morigerata, solo cene e del buon vino, spesso Brunello e Barolo. Della vita sentimentale ne parla poco, alcuni insinuano una tendenza bisex, che lei respinge al mittente senza troppa decisione: sostiene di avere una relazione con un uomo, ma che resta attratta dal corpo femminile, dando come esempi di bellezza Monica Bellucci e Jennifer Lopez. Gli uomini? “Mi piacciono quelli romantici, posso sembrare aggressiva ma non lo sono”. Tornando alla musica, nella sua lista delle preferenze, delle persone che hanno influenzato il suo modo di cantare, ci mette Aretha Franklin, Louis Armstrong, Billie Holiday, Rihanna e Lana del Rey, non a caso nei suoi album si trovano e si notano sonorità che vanno dagli anni quarta ai novanta. I beat si collegano in una maniera davvero armonica, ascoltare per credere.
Toy Watch
Body Art Experience
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ici body painting e pensi subito a Guido Gabriele, il re dell’arte diventata famosa grazie a Joanne Gair, newyorkese che ha dipinto i corpi di Demi Moore e Madonna, lanciando una moda che piace sempre di più. Guido non è da meno, anzi, nel loro mondo ci sono quattro star: Joanne, Emma Hack, Craig Tracy e, appunto, Guido Daniele. Toy Watch ha scelto lui per l’evento di qualche giorno addietro, alla Terazza Palestro: un successo strepitoso. Tre ragazze dipinte, ognuna rappresentando una collezione, ognuna “dipinta” da Guido: la collezione Maya
(la modella in grigio con la parrucca bianca), Velvety Camouflage ( in verde militare maculata) e ToyMrHyde (la metà rossa e metà leopardata) “Ci sono volute otto ore di lavoro, la seconda e la terza ragazza sono state dipinte a festa iniziata, proprio per attirare l’attenzione e offrire agli ospiti uno spettacolo divertente”. Uno spettacolo favoloso, aggiungiamo: anzi, un evento favoloso, complimenti a Toy Watch. E a Guido. “Ho iniziato nel 1990 con una copertina per la rivista Amica”, racconta. Per fare il body painter ovviamente prima di tutto dovresti saper dipingere: poi si aggiungo-
no altre doti, come saper applicare il disegno sulla pelle. A proposito, la miglior pelle è quella mulatta, è molto setosa, perfetta per esaltare i colori”. Ultimamente lavora assieme alla figlia Ginevra: di recente, in Cina sono stati chiamati per dipingere tre atleti locali, modelli nell’occasione della realizzazione di uno spot per la Coca Cola.”E’ stato il mio lavoro più difficile, mentre quello che mi ha reso famoso in Italia è stato realizzato per Muller, anni addietro. In assoluto vado fiero soprattutto della campagna creata AT&T, un capolavoro datato 2000”, conclude. Siamo d’accordo: molto più di un capolavoro. Come la serata di Toy Watch.
Vertu
Signature Pure Chocolate
A
vvolto in morbida pelle marrone ed è accessoriato con una custodia in pelle dello stesso colore, tasti in cristallo zaffiro marrone scuro, elementi grafici in oro rosso, scocca in acciaio inossidabile rivestita da una finitura opaca e lucida, cuscinetto auricolare in ceramica marrone, ogni dettaglio di questo elegante telefono presenta una calda tonalità cioccolato: si presenta così l’ultimo modello di Vertu, Signature Pure Chocolate (13.000 euro). I cuscinetti in rubino scorrono su superfici in cristallo di zaffiro puro, allineate in modo che nessuna parte della tastiera di metallo tocchi la superficie di zaffiro del telefono. Il risultato è zero attrito, zero usura e il clic che dà più soddisfazione al mondo: questo è il carattere distintivo di Signature. Vertu Signature Pure Chocolate vanta anche una gamma molto curata di servizi, ideati su misura e personalizzati per ogni particolare esigenza, accessibili tramite le applicazioni integrate nel te-
lefono. Vertu Life offre un accesso privilegiato a suggerimenti ed esperienze, in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento. Vertu Certainty protegge la persona, il telefono e i dati, garantendo fiducia e sicurezza per la completa tranquillità del cliente. Grazie al lavoro di esperti basati nelle città di tutto il mondo, Vertu Concierge fornisce un servizio di assistenza lifestyle indipendente e personalizzato, 24 ore al giorno, in tutto il mondo e in otto lingue. Si può accedere al servizio Vertu Concierge tramite un tasto dedicato sul telefono che, se premuto, mostra le opzioni per il servizio Vertu Concierge o l’Assistenza Clienti Vertu. Ogni Vertu Signature è assemblato a mano in Inghilterra da un singolo artigiano presso la sede Vertu, nell’Hampshire. Al termine di una rigorosa procedura di collaudo e di rifinitura dei dettagli, la firma dell’artigiano che ha assemblato il telefono è incisa nella parte interna, prima dell’invio a una delle boutique Vertu presenti in tutto il mondo.
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Calvisius
Lusso italiano
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aviar. A History of Desire. E’ il titolo di uno dei libri più famosi sul mondo del caviale, sui segreti e le leggende. L’autore, Peter Rebeiz, riesce ad essere convincente ed avvolgente sin dalle prime frasi: “Il caviale crea atmosfere romantiche, trasforma le conversazioni e certifica il successo, evoca eleganza, bellezza e, comunque qualcosa di magico. Abbaglia alcuni, confonde altri, e immancabilmente, lascia una sensazione persistente, è sinonimo di interesse travolgente per la vita, la cultura e il prestigio.”. Parole che ci sono venute subito in mente mentre stavamo assaggiando i tre nuovi pregiatissimi prodotti dell’azienda bresciana Calvisius, leader nel mondo. Tre gioielli, tre delizie, tre prelibatezze, tre poesie: descriverle diventa difficile, comunque proviamo a raccontare come nelle acque purissime e incontaminate di Calvisano, cittadina della pianura bresciana, crescono gli storioni da cui nascono le perle, caviali ottenuti da specie di storioni pure e non ibride, una scelta di qualità unica che si riflette sul suo gusto raffinato e senza compromessi. Pronti? Partiamo. . Il Calvisius Beluga è un caviale di grandi dimensioni: le sue uova, infatti, arrivano a superare i 3 millimetri di diametro. Estratto dallo storione Huso huso, presenta una texture lucida e brillante e ha un gusto cremo-
so, con ricercate note di pesce di mare sul finale. Per ottenere questo caviale occorrono circa 20 anni, ma l’attesa viene ampiamente ripagata da una specialità raffinata e di grande eleganza.
ricorda il profumo del mare. L’Imperial ha una qualità straordinaria e sprigiona vivaci note di nocciola. Una rara ed esclusiva selezione dedicata agli estimatori del caviale Oscietra, da degustare rigorosamente puro.
Il Calvisius Oscietra Imperial è la varietà di caviale più nobile e preziosa, si ricava da pochissimi esemplari di storione russo, rigidamente selezionati nei mesi più freddi dell’anno. Dopo 12 anni circa, è possibile estrarre le grandi uova dal color marrone chiaro, ricche di calde nuances dorate e dalla consistenza spessa. Il sapore è armonioso e lungo, con un aroma finale che
Infine, il Calvisius Tradition Elite, un vero e proprio gioiello della gastronomia ittica, per veri intenditori. Posizionato al massimo standard internazionale del caviale più esclusivo, l’Elite è difatti un prodotto unico e distintivo, disponendo dei parametri dell’eccellenza per antonomasia: il colore scuro con tonalità ambrate, i riflessi cristallini e brillante sulla texture, la grandezza delle uova, il gusto cremoso e ben equilibrato, l’assoluta freschezza garantita da una lavorazione interamente artigianale e da una salatura manuale. E’ considerato uno dei caviali top al mondo, trattandosi di una selezione esclusiva, in quantità limitata, creata esclusivamente con le migliori uova di storione bianco. L’unicità dei caviali Calvisius, inoltre, deriva anche dall’utilizzo del metodo tradizionale “Malossol” (termine russo che siginifica “a basso contenuto di sale”): da oltre 25 anni le sapienti mani dei Maestri Salatori Calvisius trasformano le preziose uova nere in un prodotto dall’inconfondibile freschezza e autenticità. Una fragranza garantita per molti mesi, apprezzata sulle tavole più prestigiose e dai palati più esigenti: un lusso italiano, per veri intenditori.
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Nel 1958 conobbi questo fantastico bambino che sognava di diventare un pilota, si divertiva a sognare, costruendo aereo modelli e le loro eliche. Incominciò a fare il pilota di piccoli aerei da turismo perchè amava il fascino unico dell’aviazione e viveva per quel senso di libertà che il volo è in grado di dare e con il sogno di scoprire ed esplorare il mondo. Era nato pilota, e dilettandosi con aerei acrobatici si fece conoscere nel mondo dell’aviazione. Un giorno ci fu una terribile emergenza,e fu contattato per salvare una piccola comunità montana dalle fiamme. Il compito era estremo e pericoloso, ma il suo senso di libertà lo portò ad accettare. Sul filo delle fiamme domò l’incendio donando di nuovo libertà a quella gente. Ora gli anni sono passati, i lavori estremi sono una intensa memoria, ma il suo fascino, il suo spirito libero e il suo sogno continuano a vivere dentro di lui, che guida con passione i più grossi aerei di linea volando nei cieli alla scoperta del mondo. É da qui che il marchio Payper con il suo inconfondibile logo ad elica si riempie del suo sogno fatto di fascino e libertà.
VIVI IL TUO SOGNO
VESTI PAYPER
Denise Calì L’ammaliatrice
“S
ono tenera, sensibile, magnetica, passionale in amore, imprevedibile: riesco a stupire sempre”. Firmato Denise Calì. Un cioccolatino. Un bijou. Ascoltarla pare una ragazzina del college, con tanto, tantissimo entusiasmo e voglia di raccontarti tutto nei minimi dettagli. Le brillano gli occhi, sorride sempre, soprattutto quando ti parla di Lola, la nuova arrivata nella sua casa milanese. Vederla posare è un’altra cosa, si trasforma, diventa una ammaliatrice. Sexy da morire, sensuale da impazzire, dolce da svenire. Potremmo continuare, però uno scatto vale più di mille parole. Anche se pure qui c’è il problema dello scatto: quale scegliere? L’internet in casi del genere aiuta, eccome. Fai un link e ne metti a iosa, una intera gallery di immagini. Siccome siamo dei cultori della carta, del profumo
d’inchiostro, preferiamo ancora sfogliare una rivista al mondo della rete. Siamo gente vecchio stampo, valori antichi e modi d’altri tempi, per cui vi proponiamo la bellezza di Denise in versione cartacea, sarete d’accordo che l’emozione è più intensa. Lavora come una forsennata, è una manager di se stessa con fiocchi: instancabile, salta da un set fotografico all’altro, se potesse vorrebbe una giornata di 72 ore solo per posare. In un mondo dove pare impossibile avere dei rapporti trasparenti e leali, Denise è una rarità: ne parlano benissimo assolutamente tutti, è un tripudio di complimenti e parole al miele nei suoi confronti. “Parlo quattro lingue, sono sempre stata indipendente e con una grande voglia di fare, appassionata di tutto ciò che è bellezza e trasmette emozione: fotografia, musica e l’arte nel senso più completo del
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termine. Il mio motto? Se vuoi qualcosa, prenditelo, se vuoi bene a qualcuno, diglielo! Mi piace molto Cara Delevingne: fresca, ironica, strafottente, disinvolta e al tempo stesso elegante, mai volgare, nonostante il suo enorme successo ha l`aria di una che in ogni caso non si sia montata la testa, aspetto fondamentale per stimarla. Non ho uno stilista che seguo fedelmente, preferisco mixare, come la musica, non si può amare solo un genere, altrimenti non la ami davvero. Il mio sogno più grande? La felicità più semplice, essere in salute, vivere accanto a chi amo, essere circondata da persone che mi vogliono un bene autentico. Poi se posso andare avanti aggiungo una casa grande, soddisfazioni professionali, avere dei bambini, avere tanti animali... ok, può bastare!”.
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Tatiana Rovai La geisha di Viareggio
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tmosfere chic e dark, a volte bizantine, spesso anni trenta, armonie naturali, colori vivaci, dame contemporanee ed eleganze antiche. Se vogliamo, un dandismo retro al femminile, una stravaganza studiata. Ci incuriosisce sempre, Monica Cordiviola, ci ammaglia, ci affascina. Confessiamo che la sua è una delle pagine che più clicchiamo, sui social. Di lei ne abbiamo parlato due numeri addietro, ora invece proviamo a scoprire Tatiana Rovai, pr prestata al mondo del modelling: a Viareggio, Forte e dintorni è una celebrità, il mondo della notte è il suo regno e lei ne è la regina. “Sono molto indipendente e determinata, grintosa e solare”, racconta. “Sogno sempre, voglio essere felice, ogni giorno di più. Cosa mi piace, tranne il mio lavoro? An-
dare in bici sul lungomare, ci vado tutte le sere in estate. C’è anche il ballo latino americano a cui mi dedico con testa, anima e cuore. Poi ci sono ovviamente le foto, mi diverto a farmi fotografare. Mi piace anche cucinare per i miei amici, piatti speziati, mi faccio portare dal Marocco le delizie, fidatevi che il mio pollo al curry è strepitoso”. Le foto, dunque. Si fida quasi esclusivamente di Monica, si abbandona davanti al suo obiettivo, fra di loro si è instaurato un rapporto davvero intenso, si intendono al volo, c’è sintonia totale, voglia di stupirsi e di stupirci. Il fascino di Tatiana e l’astuzia di Monica: ecco a voi il risultato. A proposito: si abbandona anche davanti al suo uomo, per poi trattarlo come un re: “Sono la classica donna vecchio stampo, faccio tutto per lui. Una geisha, nel vero senso della parola”.
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Barbados
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Off shore deluxe
30 chilometri di spiagge dorate, ville e alberghi da favola, un mare blu e le colline di un verde intenso, intensissimo: benvenuti alle Barbados, la piccola Inghilterra diventata indipendente nel 1966 ma che continua a far parte del regno. Un’isola ricca, sicura, paradiso della finanza e dell’offshore, non a caso il turismo porta quasi un miliardo e mezzo di dollari l’anno. Turisti di un livello solitamente alto, imprenditori e avvocati, gente di finanza e banchieri, ereditieri e persone del mondo dello spettacolo, seppur la categoria voglia dire tutto e niente: vengono per il mare, per l’atmosfera, per via degli alberghi rinomati, per la privacy. Il più conosciuto è il Sandy Lane, resort voluto da Ronald Tree, americano di nascita e britannico di adozione, deputato conservatore e consigliere di Winston
Churchill. Lo ha aperto nel 1961 per ospitare tutti i suoi amici imprenditori e politici. Sulla costa occidentale, è molto protetto e con spiaggia privata in un’isola che solitamente si vanta per l’acceso libero alle sue spiagge. Tree prima aveva costruito la Heron Bay, casa in pietra di corallo sulla costa, ispirata alla Villa Maser del Palladio. Per rimanere sulla costa occidentale, da non perdere la Gibbes Beach e Mulino Beach, sotto Speightstown. Probabilmente la zona migliore è l’estremità meridionale, a Clearwater Bay: ville di lusso e resort da cartolina. Gli amanti della natura incontaminata si esalteranno invece sulla costa est: nessun albergo, pochissima gente. Quei pochi che fanno i viaggiatori e non i vacanzieri ameranno di sicuro scoprire e assaggiare il cesaree, ovvero lo sciroppo ottenuto dalle radici della manioca,
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oppure il frutto della graviola cotta nel latte evaporato, poi la mela dorata, che sa più di mango, pera e kiwi. Per lo shopping folcloristico (sorprendente come la gente compri sempre qualcosa di molto inutile nei posti esotici) vi suggeriamo i biscotti ed il rum dal Cave Sheperd, il grande magazzino sulla Broad Street. Parlavamo del legame con il regno: il polo rimane lo sport nazionale, segno che le influenze presenti da oltre 350 anni continuano a lasciare un segno a dir poco pronunciato. Ovviamente i turisti sono in gran parte britannici, il 39 per cento: basti dire che c’è un distretto di nome Scotland, mentre nella capitale Bridgetown, davanti al parlamento, trovi la colonna di Nelson. In aumento gli americani, che stanno superando il 25 per cento. E gli italiani? Purtroppo non tanti.
Musha Cay L’isola di David
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elle Bahamas si é già detto e raccontato tutto: paradiso vacanziero e fiscale, sede di infinite società offshore e sole, tanto sole. E’ diventata una meta turistica per tanti, non solo per gente facoltosa. Sempre più italiani la scelgono e non solo nel periodo estivo: ci sono alberghi e resort per tutti i gusti e tutte le tasche, c’è solo l’imbarazzo della scelta. Abaco, Eleuthera, Great Exuma: ecco le isole più gettonate, tutte ad una quarantina di minuti di volo da Miami, mentre per arrivare da New York ci vogliono tre ore. Ce ne è una però davvero esclusiva, privata, di proprietà di David Copperfield, ex mago di fama mondiale ed ex marito poco credibile di Claudia Schiffer. L’illusionista, ora 54enne, nato a New Jersey in una famiglia ebrea benestante di discendenze russe, se l’è potuta permettere visto che continua a guadagnare 5 milioni l’anno per un patrimonio complessivo di oltre mezzo miliardo di dollari.La leggenda narra che il mago avrebbe trovato questo posto chiedendo agli astronauti
quale fosse il posto più bello, con l’acqua più limpida che si vedesse dalla galassia e tutti hanno indicato lo stesso punto dell’Oceano Atlantico. Crediamogli, a fatica. Finita l’epoca dei trucchi e dei noiosi programmi televisivi (una volta superata l’età dell’infanzia ti sembrano patetici), David ha iniziato ad investire i suoi ingenti profitti in maniera intelligente. Tipo il resort che vi presentiamo, situato su un’isola lontana 135 chilometri da Nassau. Ha sborsato 65 milioni di dollari: se aggiungiamo le spese per la costruzione delle ville e altro si arriva attorno ai 100 milioni. 150 acri di terra tropicale, spiaggia con la sabbia che sembra zucchero, é fornita di pista d’atterraggio privata, sette spiagge esclusive e con la possibilità di praticare jet-ski, vela e immersioni in una natura dalla flora e dalla fauna strabilianti. Il prezzo è di 37mila dollari circa a notte per l’intera isola, e non si può prenotare per periodi inferiori ai quattro giorni. La lista dei pretendenti, degli aspiranti ospiti è alquanto lunga, perché oltre ai vari Robin Williams, Johnny Deep, Ste-
ve Martin e Nicolas Cage ci sono tanti ricchi autentici ma anonimi che non vogliono dare nell’occhio. La villa principale ricavata all’interno della fauna locale è l’ideale per piccoli eventi, come matrimoni privati o riunioni di famiglia: può ospitare fino a 25 persone, che possono alloggiare nelle 5 ville-depandance. Si può scegliere se alloggiare nella Manor House in cima alla collina oppure nella romantica Beach House, in una delle due Guest Villas oppure nella Beachside Villa, cinque camere da letto di uno sfarzo incredibile. Architettura in stile coloniale inglese con un tocco di ambiente tropicale, mobili di mogano, letti a baldacchino: non si può dire che manchino il gusto e la classe. Particolare e singolare il fatto che non esiste un menu in alcuno dei ristoranti: si cucina in base alle preferenze degli ospiti. In pratica si hanno a disposizione l’intera cucina e gli i chef. Un pranzo sulla spiaggia, al Balinese Beach Pavilion, non ha prezzo. Fidatevi. (Bianca Lenci)
Denim Mania A
Sardo di nascita e milanese d’adozione, Luca Boiocchi è un personal stylist amato da moltissimi Vip. Oltre a curare l’immagine di nomi importanti, opera come consulente per numerose aziende e ha portato al successo diverse start up. Ama interagire con i suoi fan di tutto il mondo e per questo adora tutti i social network. Lo trovate su facebook, Instagram e twitter. www.lucaboiocchi.com
settembre, a Milano, la Biblioteca della Moda ha ospitato “The denim sapiens – from rigid to future species – mostra organizzata da İSKO™ , leader mondiale per l’innovazione del denim e per la promozione della cultura nel suo settore. Un percorso multisensoriale, che ci porta alla scoperta del jeans perfetto e che ha voluto celebrare il jeans come lifestyle, prodotto in grado di percepire e interpretare i bisogni dei consumatori, e talvolta persino di precederli. Tra capi del passato e capsule d’avanguardia, la mostra ha ripercorso alcuni degli step fondamentali e ha presentato alcuni dei meccanismi di ricerca che hanno consentito di approdare oggi a un jeans dal fit estremamente confortevole, che ambisce a modellare e valorizzare le forme di chi lo indossa, abbandona la rigidità di forme e strutture per cercare di combinare al meglio comfort, estetica ed elasticità. Questo il denim intelligente in grado di “vestire” 24 ore al giorno per 7 giorni a settimana la moderna società interconnessa, multitasking e in definizione continua. Davvero interessante ed affascinante il percorso raccontato da İSKO™. Attraverso alcuni capi della collezione degli Archivi di Ricerca Mazzini, gentilmente resi disponibili per questo progetto.
Collezione ISKO™ FW 14/15, un esempio di capo realizzato sul tessuto Blue Vision ISKO XMEN’S™
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Ad aprire la rassegna un Ball rigido dall’evidente aspetto usato, esempio di sperimentazione per le tecniche di lavaggio al tempo pioneristiche, e un jeans Uniform, un “classico” cinque tasche ma elasticizzato, testimonianza di come, già alla fine degli anni 70, si tentava di integrare la fibra elastica in uno stile “heritage”. In seguito i “favolosi anni ’80”, rappresentati dal Gloria Vanderbilt for Murjani, il primo Designer Jeans nonché primo fit progettato appositamente per adattarsi al corpo della donna, nuova consumatrice e sempre più influente nella definizione di tendenze e prospettive stilistiche. Tra i jeans esposti non poteva mancare il cinque tasche di Armani, jeans dalle forme femminili e il Closed firmato dagli stilisti Marithé e François Girbaud, con un taglio pensato per la silhouette e con il look innovativo ottenuto con lo stonewash, la tecnica di lavaggio più all’avanguardia del periodo. Poi le prime creazioni stretch, grazie alle sperimentazioni con la fibra elastica LYCRA nel tessuto denim. Il Denim Sapiens, oggi, prende vita attraverso le nuove tecnologie brevettate İSKO™ e realizzate da Creative Room, l’anima più avanguardistica dell’azienda, alcune delle quali realizzate con Lenzing, partner del progetto della mostra e proprietario dei brand Tence e Modal.
L’armadio di Luca Da quando Marilyn Monroe si presentò in veste di sexy cowgirl in jeans succinti non è più possibile immaginare un armadio senza jeans. Il denim fa tendenza, oggi più di ieri. Piace perché comodo e versatile, perfetto di giorno quanto di sera accompagnato dagli accessori giusti. Per questo inverno, ha un alleato: il tartan. Lo abbiamo visto dapprima sulle passerelle e ora è protagonista del migliore street style OYSHO
OYSHO
OYSHO O bag by Fullspot
LOOK\EK by NEW ERA
LeCrown
Comodi, prima di tutto. Maxi pull, desert boot camouflage e cappellino in lana con pon pon
Non vedete l’ora che sia Natale? Scegliete l’irrinunciabile tartan negli accessori, da abbinare a una maglia tricot oversize.
Pepe Jeans
Sword6.6.44
LeCrown
Manymal
New Era Ralph Laurent Per chi adora il denim in tutte le sue forme: scarpe di grande impatto, giubbino evergreen e cappello simpatico
Un look da giorno casual ma raffinato, perfetto per il week end. Tshirt irriverente, giubbino stile aviatore e borsa delicatamente chic.
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Testi di Mara Stragapede
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