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Analfabeti emotivi, col maschilismo miscela esplosiva
Analfabetismo emotivo, miscela esplosiva assieme al maschilismo
Brian Vanzo
Il Centro Ares di Bassano del Grappa (Vi) è stato il primo in Veneto ad occuparsi dell’altra faccia della medaglia della violenza sulle donne: gli uomini maltrattanti. Nato nel 2014, segue in adeguati percorsi di cambiamento uomini che agiscono violenza fisica, psicologica, sessuale, economica o stalking nei confronti delle proprie compagne, partner, mogli (o ex mogli), madri, figlie.
L’associazione Ares che lo sostiene e che dal 2016 aderisce alla rete nazionale Relive (Associazione Relazioni Libere dalle violenze), pone infatti gli uomini al centro del proprio impegno con percorsi di cambiamento e rieducativi in collaborazione attiva con altre istituzioni. A fondarlo è stato Brian Vanzo, psicoanalista e insegnante, che lo dirige.
Ci riceve nella sede del centro Ares, in via Monte Novegno a Bassano e precisa subito che: “Il raptus non esiste! Chi compie una violenza o peggio ancora uccide, non lo fa mai in preda ad una follia improvvisa!”. Più di 250 sono gli uomini seguiti ad oggi dal Centro.
Con che risultati?
Con l’80% degli interventi portati a termine con successo, vale a dire una diminuzione significativa del tasso di recidiva, l’abbandono dell’utilizzo della violenza e lo sviluppo di strategie alternative di comportamento. Il restante 20% è rappresentato da percorsi terminati con l’abbandono volontario o l’incarcerazione dell’uomo in trattamento. Purtroppo ci sono situazioni che sfuggono totalmente, con esiti anche tragici. Noi ce la mettiamo tutta perché ci sia continuità nel supporti ai violenti, ma non possiamo obbligare nessuno a seguire un percorso a lungo termine.
Come arrivano al vostro Centro gli uomini che maltrattano e come li seguite?
Al centro Ares vengono presi in carico uomini violenti inviati dai Servizi sociali, da un professionista (psicologo, avvocato…) o che decidono di accedervi spontaneamente (a volte su spinta della famiglia). Per loro vengono attivati percorsi di gruppo di tipo psicoeducativo a cadenza quindicinale, della durata minima di 12 mesi con possibilità di proroga, o percorsi individuali a cadenza settimanale per coloro che non risultano idonei al percorso di gruppo. A seguirli un team multidisciplinare formato da psicologi, psicoterapeuti, criminologi, psicoanalisti, ricercatori e operatori, tutti con una formazione specifica sulla violenza domestica e di genere.
Oltre a seguire chi si rivolge allo sportello di ascolto, il Centro ha operato nella Casa circondariale di Vicenza prendendo in carico individuale e/o di gruppo di persone che manifestano o hanno manifestato comportamenti violenti, prima o durante il periodo di detenzione, con l’obiettivo di orientare la persona verso comportamenti corretti. Fino a qualche tempo fa, avevamo anche un appartamento in un comune vicino a Bassano che ci permetteva di allontanare per un po’ l’uomo violento dall’ambiente familiare, in situazioni di particolare rischio di escalation della violenza. Al momento, per mancanza di fondi, non possiamo usufruirne.
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Ci sono fattori di rischio, dei segnali, delle situazioni a cui è bene prestare attenzione?
Una gelosia ossessiva, l’uso di droghe e/o alcool, minacce di omicidio/suicidio, comportamenti impulsivi, comportamenti precedenti violenti, comportamenti violenti anche all’esterno della famiglia, un intensificarsi di episodi di violenza devono far scattare un campanello d’allarme. Se l’uomo in questione possiede delle armi, ancor di più.
Il maschilismo si può considerare alla base di certi comportamenti violenti?
Sì, veniamo e viviamo in una cultura ancora maschilista, che considera l’uomo al di sopra della donna e della prole. Non dimentichiamo che in Italia il delitto d’onore è stato abrogato solo nel 1981. Nonostante siano stati fatti e si facciano molti passi in avanti, in un certo numero di uomini, violenti, è radicato e sedimentato nella quotidianità il mettere in secondo piano la donna, lo “schiacciamento” del femminile. L’uomo violento non è in grado di percepire la donna come presenza nella propria vita e con una propria identità. Controllare le uscite e il cellulare della moglie e/o compagna, fidanzata… non significa amarla molto, ma non considerarla affatto. Significa identificarla solo come una proprietà, una persona che vive in sua funzione.
E scatena la violenza.
Da questo modo di pensare, ovviamente si scatena la violenza quando la donna non si comporta come l’uomo vorrebbe e pretende. Violenza che può essere fisica, psicologica, sessuale, economica. La violenza domestica ha molte sfaccettature e molti modi di mostrarsi, e può diventare sempre più grave nel tempo. Nessun comportamento di violenza deve essere accettato, mai. Alla prima azione violenta, bisogna andar via, perché ce ne sarà sempre e sicuramente un’altra.
Molte donne aspettano troppo a chiedere aiuto o sperano in un cambiamento...
Le donne faticano ad accettare certi comportamenti, giustificano, se sottoposte a particolari pressioni psicologiche arrivano a pensare di essere sbagliate loro o di meritare la violenza. Ma aspettare può tradursi in una tragedia. In Italia si registra 1 femminicidio ogni 70 ore!
Una vera e propria emergenza, per contrastare la quale vanno messe in campo tutte le forze possibili. Non solo aiutando le donne che chiedono aiuto, ma anche lavorando sugli uomini maltrattanti.
Che non sempre sono adulti. Voi seguite anche giovanissimi.
I servizi sociali ci inviano anche minorenni che mostrano segni di disagio o già sono violenti, che mostrano disturbi di personalità, difficoltà di autocontrollo, impulsività, episodi di violenza, condizioni familiari inadeguate, problemi nel contesto scolastico o occupazionale, abuso di sostanze… C’è un percorso psicoeducativo specifico per loro.
Il Covid, l’isolamento e la forzata convivenza ha peggiorato la situazione?
Di sicuro.
Come vedete la società attuale?
Adulti e società non stanno educano le nuove generazioni in senso positivo. Dei social media, poi, non ne parliamo: è ormai chiaro che “rubano” la loro mente, rendendoli incapaci di andare oltre la superficie di tutto ciò che accade, vedono e provano. C’è un progressivo scioglimento della capacità critica nei giovani, più comportamenti immediati e quello che noi definiamo analfabetismo emotivo. Vale a dire l’incapacità di fare un collegamento tra le proprie emozioni e la realtà, di riflettere su 1 segue
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