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Calma e gesso, prima di scrivere. Ma anche dopo aver letto

E come lui, prima di lui e dopo di lui, furono e - oggi raramente - sono i grandi poeti, i grandi scrittori, i grandi pensatori.

Pensatori. Strana parola è oggi in un mondo sempre più frenetico, sempre più veloce, sempre più accavallato di notizie e di nozioni. Il nostro mondo di messaggi che si susseguono continuamente. Pensiamo a WhatsApp, Telegram, Skype, Twitter, Istagram e le mille altre App che trasportiamo in tasca ogni momento.

Quelle che “vibrano”, nella migliore delle ipotesi, quando arrivano messaggi e tweet. Quei messaggi a cui, se non rispondi entro 5 minuti: “Dai scusa, ma ti ho mandato un messaggio pochi minuti fa, perché non mi rispondi”? Si tratti di lavoro, amicizie, amori, relazioni o perfino di qualcuno cui hai dato il tuo numero (sventato che sei) e hai dimenticato di memorizzare il suo. La tecnologia che sempre più ci interconette, nello stesso tempo ci sta sostituendo il... cervello.

Non nel senso che PC, tablet, smartphone “pensino” al posto nostro (almeno, per ora, non ci siamo), bensì a livello di memoria: chi ricorda a mente più un numero di telefono? Non serve più, c’è la rubrica del telefonino. Che poi non serve quasi più neppure quella, tanto c’è Google con i nostri dati a loro affidati e ricordarceli.

Si sta atrofizzando pure la nostra capacità di ricerca e di approfondimento, di ricerca della verità. Ma posto che la Verità assoluta non è di questo mondo almeno la ricerca della spiegazione “il più verosimile possibile” (Cit. Indro Montanelli ai suoi lettori) di un fatto o di un qualsiasi fenomeno. Basta che, se vogliamo sapere una cosa, prendiamo in mano - se già non lo abbiamo - il nostro cellulare e clic! clic! Ipso facto! Tutto so!

Approfondire, poi, sembra sempre più impresa titanica: da chi vene quel testo? Da che fonte arrivano quelle nozioni? Chi lo ha scritto e chi è costui che lo ha scritto? Come ha elaborato ils uo pensiero? Ha presos punto da qualcuno prima di lui? Ma torniamo al pensiero conciso, che non è per nulla sinonimo di “pensiero breve”.

Alla concisione, ma di un pensiero “denso”, erano maestri - in alcuni casi ancora lo

lo sono - appunto i poeti. Dal Dante cui era “dolce naufragar in questo mare”, al Quasimodo de “Ognuno sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera”.

Pure a noi giornalisti, un tempo, veniva insegnata la concisione. Non all’Università di giornalismo attuale, ma con le “forbici” del redattore anziano formatosi anch’egli “consumando le suole per cercare le notizie fra la gente” (Cit. Papa Francesco). Raccogliere cioé in un testo breve, ma denso, tutto ciò che avevamo appreso. Dal concetto di “pensiero conciso” stiamo - tutti - precipitando verso quello di “pensiero breve”: veloce, rutilante, convincente.

Il “pensiero breve” è quello che deve restare in mente. Uno spot che parli non più a mente o cuore, ma alla “pancia”.

Il pensiero conciso è quello frutto di ricerca, anche interiore, letto il quale si sente il desiderio di “pensarci su”. Il “pensiero breve” sta vincendo, purtroppo.

Ma io rammento sempre una vecchia regola di biliardo. Me la insegnò mio padre, discreto giocatore di stecca alla goriziana, senza tante parole. Di fronte a una giocata difficile, dove la propria biglia rischiava il disastro, si fermava e diceva “Calma e gesso”. Rifletteva, osservava dando il gesso alla stecca, tirava, sponda, castello... “Tutto quello che devi fare, per scrivere, è scrivere una frase vera. Scrivi la frase più vera che conosci”. Ernest Hemingway

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