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Violenza, le tante facce: “Lo è pure usare parole sbagliate”

“Il termine ‘raptus’, tanto usato in caso di femminicidio e violenza sulle donne, è errato. Non vado a ‘parlare’ alla mia ex con, a portata di mano la bottiglietta d’acido, benzina o un coltello. La maggior parte di questi reati sono, come minimo, preterintenzionali”

Violenza, le tante facce: “Lo è pure usare le parole sbagliate sui titoli”

Partiamo dalla... fine, per un’inchiesta difficile e delicata. Anzi. Da quello che dovrebbe essere l’inizio della fine della violenza. La richiesta di aiuto e la denuncia alle forze dell’ordine. Come si definisce lui stesso in qualche suo racconto, siamo andati quindi da uno “sbirro”, molto particolare: Gianpaolo Trevisi. Mi accoglie nel suo ufficio, Scuola di Polizia di Peschiera del Garda. Ci troviamo in sintonia subito, a partire dalla sua scrivania molto simile alla mia, come “razional-confusione”. Alle sue spalle Tricolore e Mattarella d’ordinanza, ma anche Nelson Mandela, don Chisciotte e la maglia autografata di Ronaldo.

Comandante? Direttore? Come la chiamo? Sono qui perché su Dono&Vita... conosce?

Intanto diamoci del tu che lo preferisco. Conosco eccome Dono&Vita. Sono donatore dal 1988 a Roma. E sono avisino “veneto” da quando arrivai a Verona: quasi 20 anni fa. Lo ricevo e lo leggo con piacere e interesse.

Il prossimo numero conterrà una inchiesta sulla violenza di genere, con focus sulla “riabilitazione” e recupero degli uomini violenti. Tu hai scritto un libro, su storie raccolte in lunghi anni di esperienza. Cosa ne pensi?

Penso che sia un’ottima idea affrontare la questione anche dal punto di vista del recupero dei violenti. La condanna giusta per chi commette un reato va scontata, ma bisogna ripartire dal supporto e dalla rieducazione, anche culturale, del rapporto uomo-donna. Potremmo dire anzi che è la mentalità di una parte del genere maschile che va “guarita”. Bisogna iniziare fin dai banchi di scuola.

Hai visto nella tua carriera fatti anche tragici, eppure descritti con levità nel tuo libro.

Tanti, troppi. Questo genere di violenza ha tante facce, non è solo fisica, quella che arriva alle estreme conseguenze. È violenza, ulteriore, usare anche certe parole. Penso ai mass media, per esempio, quando ci sono fatti di femminicidio o violenza. Fra le righe, a volte, la colpevole sembra la vittima. Parliamo dei titoli “Raptus di gelosia”? Che significa “raptus improvviso” quando, dopo aver fatto stalking verso la propria ex, ti presenti a parlarle con un coltello o una bottiglia di acido in tasca?

Oggi sempre più donne trovano il coraggio di denunciare. Ma sta crescendo la “violen-

Il racconto dei... racconti

Signor Presidente, non so a dire il vero per quale motivo le sto scrivendo, ma lo faccio comunque; e non so se gli uomini del Quirinale le faranno mai arrivare sulla scrivania le mie parole, ma ci provo lo stesso. Non le sto inviando una fredda email che non sa di nulla e neanche una pagina scritta al computer, sto usando carta e penna e scrivo con la mia calligrafia non proprio chiarissima, ma vera; mi scusi se ogni tanto troverà anche qualche correzione, ma non mi è piaciuto scrivere “in bella copia” e sono poi convinta che dopo ogni correzione ci sia sempre una parola migliore rispetto a quella cancellata. Per essere sicura che almeno al suo palazzo arrivi, non la spedirò, ma la porterò domani, a mano, arrivando davanti a quell’immenso portone con la mia bici rosa.

Come le dicevo, non so bene il motivo per il quale le sto scrivendo, ma di sicuro so quello che non le voglio dire.

Non le sto scrivendo per raccontarle che in almeno sette colloqui su dieci i datori di lavoro, o chi per loro doveva decidere, mi dicevano che mi avrebbero dato una risposta solo dopo una cena.

Non le sto scrivendo per dirle che, dopo aver studiato per non ricordo quante notti, perché di giorno lavoravo, un professore all’università mi promise il trenta se fossi andata sotto la sua scrivania.

Non le sto scrivendo di persone importanti, o presunte tali che, solo dopo una notte insieme, mi avrebbero garantito un posto in televisione in qualche programma importante.

Non le sto scrivendo per raccontarle di alcuni politici che, invitandomi ad andare con loro, mi parlavano dei programmi delle loro sere e delle loro vacanze e non dei loro partiti.

Non le sto scrivendo per dirle di tutte le volte in cui, dopo aver fatto il mio dovere e averlo fatto bene, mi hanno ripetuto all’infinito: “Non l’avrei mai detto”.

Non le sto scrivendo neanche per dirle di quando, appena uscita dall’ospedale con la mia minigonna rotta e gli stivali sporchi, dopo essere stata violentata, mi sono sentita dire ‘Te la sei cercata’.

Non le sto scrivendo per darle il numero delle volte in cui

hanno preso il mio seno e il mio culo per sbatterlo sopra

le riviste, nelle pubblicità, negli schermi di un computer e ovunque ci fosse uno spazio da riempire.

Non le sto scrivendo neanche per dirle di come, passeggiando di sera, in una strada isolata e da sola, il buio sia per me più buio e i rumori siano più assordanti e la paura più paura.

za” anche tramite le nuove tecnologie.

Sì, anche se - secondo la mia esperienza - dipende molto da chi riceve la denuncia o la segnalazione. Se una donna suona di notte a una caserma, trafelata, non puoi dire “ripassi domattina”. Devi sapere che ha bisogno, subito, devi essere empatico. È recente l’episodio di un centralinista del 113, a Milano, che alla richiesta “vorrei ordinare una pizza” non ha detto “ha sbagliato numero”, ma ha colto il dramma della donna che stava per essere picchiata a morte. E sono arrivate le volanti all’indirizzo della “pizza”. Per le nuove tecnologie non mi stancherò mai di ripetere - anche quando vado nelle scuole a parlare ai ragazzi - che ciò che va in rete o che si invia per chat “non è più roba nostra” e può finire in mano a chiunque. L’uso abnorme del cellulare, secondo me, sta atrofizzando i cervelli, il modo di pensare: veloce, spasmodico, senza più riflettere o approfondire: un pensiero breve.

Una battuta sull’altra tua passione: Poliziotto scrittore o Scrittore-poliziotto?

Prima di tutto sono un poliziotto, è il mio lavoro che amo. Poi sì, amo anche scrivere...

È in cantiere un prossimo libro?

Un romanzo, non racconti, sul bullismo.

Ci concedi un tuo racconto? Vado oltre? E un pezzo per numero come rubrica?.

Un vero piacere, per il giornale dei donatori. Non fossi poliziotto, farei il giornalista...

CHI È Gianpaolo Trevisi. Nasce a Roma, 53 anni fa, da genitori Romagnolo-Salentini. Dopo la maturità classica pensa di iscriversi a Lettere. Voleva fare il giornalista, ma anche il poliziotto. Vira quindi su Giurispudenza e sulla Scuola superiore di Polizia. Terminati gli studi quinquennali è assegnato (novembre 1993) alla Questura di Verona come Vice Commissario nelle Volanti. Nel 2001 è a capo del Commissariato di Borgo Roma. Nel 2002 è responsabile dell’Ufficio immigrazione, per poi passare a dirigere la Squadra Mobile (2009). Da 10 anni è direttore della Scuola Allievi Agenti di Peschiera del Garda. Dal 2014 è promosso Primo dirigente di Polizia. Insomma, per dirla con i gradi dell’esercito, è un Colonnello.

Il “vizio di scrivere” però non lo perde mai. Il suo primo libro, “Fogli di Via”, (2008 la prima edizione) descrive con racconti toccanti il dramma degli immigrati. Storie vere “vissute” in prima persona dall’autore. Seguono: “Un treno di Vita” (2009), “dodici racconti italiani” di viaggi in treno, “Coriandoli” (2012) una raccolta di delicate poesie. un libro illustrato per l’infanzia “La casa delle cose” e infine, per ora, “L’amore che non è”, racconti di violenza sulle donne, basati su casi affrontati come come Capo della Mobile, ma intrisi di poesia e di... speranza.

Non le sto scrivendo per dirle delle volte in cui mi hanno preso a schiaffi con mani di cemento, mi hanno spinto con il sangue negli occhi, mi hanno colpita con sassi nel cuore, tagliata con dita affilate, bruciata, gettandomi addosso, acido, benzina, odio. Non le sto scrivendo delle volte in cui mi hanno trattata come una “cosa” usata, strofinata come uno straccio per la polvere, dimenticata come un soprammobile in un cassetto, posseduta come un oggetto e non considerata, come un’ombra in una giornata di sole. Non le sto scrivendo, signor Presidente, delle volte in cui, subito dopo aver comunicato al lavoro che aspettavo un

bambino, mi hanno invitata

a licenziarmi o a farmi da parte, dicendomi che la carriera ormai era “saltata”.

Non le sto scrivendo di quando, indossando la divisa, l’intera curva di uno stadio mi ha chiamato “mignotta” o un treno intero di tifosi in partenza che intonando cori mi ha invitata con gesti ad aprire la bocca e a mettermi in ginocchio davanti a loro; non le parlerò neanche delle volte in cui gli uomini in divisa, che io credevo colleghi, ai quali dovevo dare delle direttive, si giravano, pensando o dicendo: “Io da una donna non prendo ordini”.

Ecco, forse è questo il motivo per il quale le sto scrivendo: per dirle che mai e poi mai mi metterò in ginocchio davanti a un uomo.

Le avrei potuto scrivere mille altre storie diverse, ma tutte, più o meno, avrebbero avuto un finale molto simile, un finale che non c’entra niente con l’amore; le potrei scrivere che mi sono stancata di essere donna, ma le scrivo in realtà per dirle che

mi sono stancata di questi uomini.

Le assicuro, mentre le scrivo, che se lei invece di essere il Presidente della Repubblica fosse il genio della lampada, potrei chiederle tutti i desideri possibili tranne quello di diventare un uomo, pur sapendo bene che la vita di un uomo è sempre un

milione di volte più semplice di quella di

una donna; le scrivo anzi per dirle che da oggi voglio essere ancora più donna, solo che mi piacerebbe essere libera di essere donna.

Le scrivo infatti, non per chiedere “quota rosa” o di qualunque altro colore, non per chiederle aiuti, vantaggi e “occhi di riguardo”, ma semplicemente per partire,

insieme agli uomini, dagli stessi blocchi

di partenza, perché saremo noi alla fine ad arrivare prime al traguardo, senza avere l’obbligo di ringraziare nessuno, se non noi stesse. (…)

So ancora sognare e sogno che grazie a lei, ci saranno giorni nuovi e nessuna donna si consumerà per l’amore che non è…

(Dal libro “L’amore che non è”, Gianpaolo Trevisi. Gabrielli Editore, 2017)

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