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Negli anni bui dell’Aids il Veneto “inventò” il conto lavorazione

Negli anni bui dell’Hiv, il Veneto “inventò” il Conto lavorazione

Vale la pena di chiudere con un po’ di storia del “modello italiano” per la produzione di medicinali plasmaderivati. Anche perché è nato proprio qui, nel nostro Veneto, per intuizione di medici “eroici”. Fu anche per la fermezza che dimostrò l’Avis regionale nell’opporsi alla cessione del plasma (il contratto era già quasi firmato dalla Regione) alla più influente multinazionale del plasma di allora. Correva l’anno 1985... Ma raccontiamo prima un po’ di antefatti.

Gli Stati Uniti avevano già sperimentato e iniziato a sfruttare commercialmente, il frazionamento e la trasformazione industriale dei plasmaderivati fra la metà e la fine degli anni ‘60. In particolare invasero il mercato mondiale con i fattori della coagulazione per combattere l’emofilia. In Italia arrivarono i “concentrati antiemofilici” fra il 1969 e 1970. Era ricavato da donatori, allora come oggi, “mercenari” e raccolto (decine di atti di processi internazionali lo certificano) nelle parti più misere degli stessi USA e del Terzo mondo.

In Italia, invece, si raccoglieva ancora il sangue intero in flaconi di vetro. Quando serviva plasma o siero per i primi rari “usi clinici”, si usava un siringone per estrarre la parte liquida. Vi lasciamo immaginare con quale sicurezza in quanto a batteri. Il plasma in eccesso, invece, andava

nella migliore delle ipotesi buttato via, nella peggiore... Passavano a ritirare i “bottiglioni” non ben identificabili addetti.

In Italia le prime sacche doppie, poi triple, per permettere la separazione degli emocomponenti fra cui il plasma e il crioprecipitato (ricco di fattori della coagulazione) furono sperimentate in rarii Centri trasfusionali “apripista”. All’epoca erano perfino osteggiati dalla quasi totalità della comunità scientifica. Fra questi centri - anni ‘70 - c’era anche la Banca del sangue di Torino, diretta dal dottor Francesco Peyretti. Per inciso fu uno dei fondatori della Società scientifica dei trasfusionisti, oggi Simti, nata nel 1954 come AICT (Associazione italiana centri trasfusionali). Poi si segnalarono anche Lodi, Tradate (VA) e Pavia. Dalla seconda metà degli anni ‘60, prima a Modena, poi a Castelfranco Emilia, infine dal 1973 a Castelfranco Veneto (TV) anche un ematologo-trasfusionista, il prof. Agostino Traldi, aveva già iniziato con pochi mezzi e molti nemici sul “mercato” a curare l’emofilia con metodi alternativi ai concentrati d’importazione. Furono prima il plasma, separato con sacche “fuorilegge” poi i crioprecipitati ricavati da donatori volontari e non remunerati Avis. Forse non tutti lo ricordano, ma fino all’avvento della Legge 107 del 1990, la dazione a pagamento, pur se minoritaria, era ancora “legale” anche in Italia. Comunque Traldi,

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