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Tutti i nostri giovani impegnati nel Servizio Civile: che forze
Uno per uno tutti i ragazzi del Veneto che si stanno impegnando nel Servizio civile Avis. Entrati a febbraio, sono stati praticamente subito “bloccati” a casa, da dove hanno ugualmente continuato a collaborare.

a cura di / Asmae Bibaouen /
Asmae Bibaouen, 28 anni, ve l’abbiamo già presentata sul numero scorso, non stampato ma sul web. Le abbiamo dato l’incarico di raccogliere e scrivere notizie sui giovani del Servizio civile nelle Avis del Veneto, ve la ripresentiamo. E lei poi vi presenterà tutt i suoi “colleghi”. Tutti insieme e nella loro unicità, quest’anno sono davvero una Forza!
Regionale - Asmae è diplomata in scienze sociali, studentessa in Lingue, civiltà e scienze del linguaggio (studia anche la lingua dei segni, Lis) all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Vive nel trevigiano ed è in Italia da 17 anni. Ha scelto il servizio civile in Avis per il ruolo e la funzione importante che l’associazione e i donatori hanno nel territorio e per la bellezza del gesto del dono, che va oltre le differenze. In sede a Treviso, dov’è seguita dall’Olp Laura Cendron, ha modo di avere una visione d’insieme di come Avis si muove sul territorio veneto e di collaborare al nostro periodico “Dono&- Vita”, data la sua passione per il giornalismo.
Avis provinciale di Padova - Abbiamo tre ragazze, accolte le prime due a febbraio e la terza ad aprile dall’Olp Orietta Novello e dalla segreteria tutta. Linda Zorzi, ha 29 anni ed è di Padova. Diplomata ad un istituto tecnico ad indirizzo linguistico, ha scelto di svolgere il servizio civile presso Avis perché crede molto nel concetto di donazione in tutte le sue sfumature. Nella sua famiglia, purtroppo, negli ultimi anni hanno avuto spesso bisogno di trasfusioni di sangue e lei vuole ricambiare donando il suo tempo ad Avis, le è sembrata una conseguenza naturale. Irene Boato ha 19 anni, diplomata all’istituto tecnico turistico nel 2019. Ha scelto il servizio civile per fare un’esperienza formativa sia in campo umanistico, relazionandosi così con la gente e con il lavorare in gruppo, sia in campo amministrativo entrando così, piano piano, nel mondo del lavoro. Simona Bracchi, 23 anni, studia scienze psicologiche cognitive e psicobiologiche all’Università di Padova. Conosceva Avis già prima della selezione e ha avuto modo di saperne di più grazie alla volontaria che poi è diventata la sua Olp, Orietta. Spiega che ha scelto di fare servizio civile in Avis per avvicinarsi di più all’associazione sia come volontaria, sia poi come donatrice, dato che fino ad ora non è mai riuscita a diventarlo.
Avis comunale di Rovigo - Qui c’è Maiga Ali Soumalia ha 24 anni. Viene dal Niger, studia alle superiori all’Itis di Rovigo. Maiga Alì é in Italia da quasi tre anni e ha cominciato il servizio civile a marzo 2020 nella sede di Rovigo, accolto dall’Olp Lisa Cavallaro e da Francesco. Il motivo per cui ha scelto Avis è dovuto ai suoi amici che hanno già fatto il servizio e ne hanno parlato molto bene. Ha deciso di partecipare per fare nuove esperienze, conoscere nuova gente…
In Avis provinciale Rovigo è arrivato Alessandro Paganini, 22 anni, di Rovigo. Ha studiato presso il Liceo Linguistico della sua città ottenendo il diploma
nel 2017 e oggi frequenta il secondo anno del corso “Batteria e percussioni jazz” al Conservatorio “F. Venezze” di Rovigo. Ha iniziato a fare servizio civile a febbraio con l’Olp Alessia Altieri che gli ha spiegato con chiarezza le sue mansioni in ufficio. Alessandro ha deciso di intraprendere questa esperienza grazie a un amico che, avendo già prestato servizio civile l’anno prima, l’ha consigliata con entusiasmo. Inoltre, ha sempre ammirato i donatori di sangue e poter contribuire a diffondere l’importanza di questo gesto e aiutare i meno fortunati lo fa sentire una persona migliore.
All’Avis provinciale di Venezia ci sono due ragazze. Micol Rossi ha 28 anni ed è di Venezia. Per motivi di salute, Micol (che frequentava il liceo classico) non è riuscita a terminare gli studi. Ha iniziato il suo percorso di servizio civile accolta dalla Olp Giovanna Gobbo. Micol ha scelto di fare servizio civile in Avis “perché è grazie ad Avis e alle donazioni se sono ancora qui”. Non è, quindi, una donatrice, ma una ricevente. È conosciuta sui social per il suo “Diario di una Crohniana” dove parla delle sue patologie e delle sue lotte. Il suo obiettivo sarebbe quello di educare soprattutto i più piccoli e avvicinarli al mondo della donazione. Micol è conosciuta anche per la sua impresa folle (come l’ha definita) di volare dal campanile di San Marco durante l’apertura del Carnevale di Venezia del 2019, in onore di tutte le persone malate.
Giuliana Marinaro, 29 anni, è laureata in scultura all’Accademia delle Belle arti nel 2015. Ha scelto il servizio civile in Avis perché fa già parte della grande famiglia avisina come donatrice. L’obiettivo di Giuliana è di vivere questo mondo dall’interno, in particolare seguendo il progetto scuola, che le interessa molto, entrando in contatto con i ragazzi e sensibilizzandoli sull’importanza del dono.
Nella Comunale Avis Chioggia presta servizio Nicolò Boscolo, 20 anni. Ha frequentato il Liceo scientifico G. Veronese di Chioggia e ha iniziato il suo anno di servizio civile il 22 febbraio, accolto da Claudia Rossi e Nevio Boscolo Cappon, addetta all’accoglienza e segretario della sede comunale. Nicolò spiega “Ho scelto il progetto con Avis perché, oltre alla vicinanza a casa, quando ho donato mi sono sempre sentito bene e benvoluto e sentivo che il mio gesto era decisamente apprezzato, quindi ho deciso di ricambiare la stessa sensazione”.
In Avis comunale Verona ci sono due giovani. Sofia Lai, 22 anni, studentessa al terzo anno della facoltà di Beni culturali a Verona, ha iniziato il servizio civile a metà aprile, accolta dalla segretaria e Olp Emanuela Bighellini e dalla presidente Paola Silvestri. In realtà la sua prima scelta, studiando beni culturali, era di svolgere servizio civile nei musei, ma non essendo ancora laureata, non ha potuto. Perciò, avendo comunque un’indole altruista e il padre donatore, ha scelto di entrare nel mondo di Avis.
Hind Yassam, 24 anni, nata in Marocco, vive in Italia da quando aveva due anni. Hind frequenta la Facoltà di Medicina a Verona ed ha iniziato servizio civile il 18 febbraio. Con questo anno di impegno vuole acquisire nuove conoscenze e competenze in un campo molto affine alla sua formazione.
Chiudiamo con Avis del Trentino dove presta servizio John Beker Macor, 23 anni. Viene da Haiti ed è in Italia da ben 14 anni. John frequenta il primo anno di università al corso di Lingue Moderne all’Università di Trento. In Avis è seguito dall’Olp Franco Anesi. Essendo uno studente fuorisede, ha visto nel servizio civile un modo per essere un po’ indipendente, fare esperienza nel campo lavorativo e aiutare i suoi genitori ad affrontare le spese dei suoi studi. Ha scelto Avis perché è anche già donatore... Fidas.


Quarantena, ma per l’egoismo!
di / Vanda Pradal / presidente Avis Provinciale Treviso
Treviso. Il virus che arriva da lontano, e per certi versi ancora sconosciuto, ha portato alla luce aspetti che parevano appartenere alle sole analisi sociologiche e talora sullo sfondo anche di queste.
Prima di tutto il contagio dilagante dell’insicurezza e dell’ansia. Singolare osservare come i comportamenti collettivi finiscano con l’essere guidati più dall’affidamento alle emozioni che alla ragione. Le scelte dettate più dalla paura che dalla conoscenza scientifica. E la paura alla fine genera aridità: una preoccupazione esagerata per sé, protezione per sé, accaparramento per sé, indifferenza per la sorte dell’altro. Mentre le paure portano alla luce l’individualismo, la stessa diffusione del virus costringe a constatare la realtà dell’interconnessione: non esiste più il vicino e il lontano. Ciò che succede in Cina succede anche da noi. Apparteniamo in una società globale in cui il contagio non è qualcosa di accidentale ma è la cifra del vivere sociale: il contagio delle comunicazioni, delle mode, delle informazioni, delle idee, delle relazioni. Il contagio è inevitabile.
Siamo interconnessi costantemente. Un tempo bastava un fossato, un ponte levatoio, una catena montuosa, un confine fisico. Ora dobbiamo arrenderci ad un’evidenza: nessuna città è un’isola. E ad uno sguardo più in profondità possiamo dire citando John Donne che la nostra condizione originaria è sempre stata quella per la quale: “nessun uomo è un’isola”. Nessuno può permettersi di pensare di bastare a se stesso o che qualcun altro debba bastare a se stesso. Nessuno può permettersi di pensare di non essere parte dell’umanità o che qualcun altro non faccia parte dell’umanità. Sono destituiti di senso i tentativi di mettere confini, di porre distanze tra città e città, tra paese e paese, tra uomo e uomo, siamo parte di una casa comune: l’umanità.
Emblematica e paradossale questa esperienza del contagio da virus: non solo ci fa sentire parte di un tutto universale ma in questo tutto ci fa sperimentare ruoli che pensavamo fossero di altri. Ci fa sentire fragili e vulnerabili, attaccabili dalle malattie nonostante le conoscenze scientifiche ed il progresso tecnologico. E più ancora ci costringe a vestire i panni ed a sperimentare la condizione degli indesiderati ed indesiderabili. Respinti alle frontiere. Forestieri nel nostro stesso Paese. Produce il rovesciamento del nord e del sud del Paese, del nord e del sud del mondo. Sovrani con sovranità limitata.
Esperienza difficile quella che stiamo passando, ma anche esperienza di realismo. E poi del resto come è per le esperienze umane più significative, opportunità di reperire proprio dentro alla difficoltà gli anticorpi che la trasformano in una vicenda positiva.
E sono gli stessi anticorpi di cui il volontariato ha bisogno e di cui deve farsi portatore.
Ed allora vedere da vicino l’instabilità prodotta dall’emotività ci fa ritrovare il desiderio di rivalutare la virtù della ragionevolezza, di cercare legami stabili, di riconsiderare l’importanza degli impegni duraturi, la capacità di tenere duro.
La constatazione dell’aridità prodotta dalle paure finisce col generare la lotta per il suo contrario. Per un vivere sostenuto da patti di solidarietà, abitato dall’attenzione effettiva ai bisogni dell’altro, dalla rinuncia ai personalismi, dalla condivisione delle conoscenze, dalla capacità di trasformare i conflitti in opportunità di confronto, da progetti fondati sull’etica del dono e della responsabilità. Sperimentare il deserto delle relazioni fa percepire il richiamo profondo e la nostalgia per i legami autenticamente umani.
Mai come ora sentiamo necessario il senso di responsabilità per le nostre comunità.
Mai come ora diventa una virtù da praticare anche nella nostra Associazione.
Lo spirito di servizio, la capacità di mettersi a disposizione della comunità, l’attitudine a far vincere la squadra e a rinunciare ai personalismi, la competenza per le cose associative. La vocazione a far propri i valori su cui si fonda il nostro servizio.
Ecco la sfida per il prossimo futuro: mettere in quarantena l’aridità e gli egoismi e non permettere alle nostre paure di vincere sulle speranze e sul coraggio di guardare avanti e di guardare in alto.
Noi non molliamo mai, ma le istituzioni non ci ignorino!
di / Gina Bortot / presidente ABVS provinciale Belluno
Belluno. Non abbiamo mai mollato! Sin dall’inizio e nel corso della pandemia, anche nei momenti più difficili, tra chiusure forzate e notizie confuse, l’Abvs provinciale ha sempre lavorato. Nel seguire e riorganizzare la raccolta, seguire i donatori, garantire la sicurezza.
I dipendenti, che ringrazio, sono sempre stati presenti. I dirigenti e i volontari tutti, dopo le prime comprensibili incertezze, sempre impegnati a far fronte all’emergenza Covid. All’inizio il problema (scattata la quarantena e i continui solleciti dalla Regione a stare a casa), è stato far capire ai donatori che loro potevano, invece, uscire per venire a donare.
Avevano paura e non so quante ore abbiamo passato tutti al telefono, a spiegare che accedere ai centri di raccolta non era accedere all’ospedale, che venivano rispettate tutte le norme di sicurezza dettate da Crat e Centro nazionale sangue, che misurazione della temperatura, distanziamento e altri dispositivi erano per garantire la massima tutela. Abbiamo fatto del nostro meglio per tranquillizzarli.
Tant’è che subito dopo, partiti gli appelli al dono da ogni dove, c’è stato anche da noi il boom di affluenza. Si sono fatti avanti così tanti donatori e aspiranti da rimanere sbalorditi. In altre, lunghe telefonate abbiamo cercato di spiegare che troppo sangue tutto insieme, visto anche il rallentamento di molti interventi chirurgici negli ospedali, avrebbe significato eccedenza e che sarebbe stato un bene spalmare le donazioni nelle settimane e nei mesi successivi.
I donatori, con molta pazienza e molta intelligenza, hanno capito e ci hanno seguito. Loro sono stati grandiosi, noi abbiamo fatto tutto quello che era umanamente e professionalmente possibile fare, ma le istituzioni?
Non bastassero le gravi carenze di personale che attanagliano i nostri centri, ad oggi (al momento di andare in stampa, n.d.r.) rimangono chiusi due centri preziosi per l’Abvs. In una lettera pubblicata sui quotidiani bellunesi e inviata a Ulss1, Regione, Crat, Provincia, Conferenza dei sindaci e Prefetto, scriviamo:
“In seguito alla pandemia del Covid-19 le strutture di Agordo e Pieve di Cadore sono state chiuse e le donazioni (per quanto riguarda l’Abvs) possono essere effettuati solo a Belluno.
Un iniziale messaggio, non coordinato e male finalizzato alla donazione di sangue, lanciato da ogni oratore a ogni finestra, ha provocato notevoli disagi che hanno determinato grande esubero di sangue a rischio scadenza. I donatori Abvs sono stati invitati a non donare per non aggravare la situazione.
Ora la situazione ospedaliera sta riprendendo e con essa la richiesta di sangue. Ma Agordo e Pieve di Cadore non riaprono, perché? Ci è stato risposto che non ci sono medici. Abbiamo, però, il sospetto che non sia solo un problema di personale, ma anche di altro che non viene detto.
Ciò che è certo, è che i 24/26 donatori convocati per seduta di prelievo che potrebbero donare ad Agordo una volta ogni 15 giorni e a Pieve di Cadore 1 volta la settimana, non possono farlo. Qualcuno di loro farà 60 oppure 120 chilometri (tra andata e ritorno), pari a 2 ore e mezza di tempo in strada, per andare a donare a Belluno. Vorremmo che chi di competenza desse una risposta chiara agli 844 donatori dell’Agordino e ai 1.137 donatori del Cadore che desiderano fare la loro donazione nei locali ospedali, dotati di spazi a norma di legge e che hanno superato tutte le ispezioni previste. Nel caso di un’altra emergenza o quando saranno di nuovo operative al 100% le sale operatorie, ci saranno ancora i nostri donatori?
Come possiamo pretendere di poter contare su di loro, se non viene consentito di continuare a donare periodicamente e nei punti di prelievo di riferimento del loro territorio?”
A queste domande esigiamo delle risposte chiare!

Molti aspiranti donatori, però...
di / Giovanni Vantin / presidente Avis provinciale Vicenza
Vicenza. Il periodo dell’emergenza da Covid 19 l’abbiamo vissuto nel vicentino come in qualsiasi altra parte del Veneto: con incredulità, disorientamento, blocco di tutte le iniziative di sensibilizzazione al dono.
Da subito, con la “chiusura” dell’intera regione, ci siamo confrontati all’interno del Dipartimento e tra associazioni per seguire l’evoluzione della situazione, capire che fare, come muoverci.
Le nostre Comunali erano disorientate, i donatori ci chiedevano se potevano andare a donare o no, se la donazione era contemplata dalle autocertificazioni. Incertezze che non hanno mai spaventato i donatori, che anzi si sono fatti avanti più numerosi del solito, in particolare dopo gli appelli.
Molti anche gli aspiranti donatori: cittadini di tutte le età, ma in prevalenza giovani, si sono resi disponibili per dare una mano. Purtroppo, per decisione del Dimt, le idoneità a un certo punto sono state bloccate per lasciar spazio ai già donatori e solo a inizio giugno sono riprese.
La decisione non mi ha trovato del tutto d’accordo, perché gli aspiranti donatori sono una risorsa fondamentale per le nostre associazioni e rinviare la loro idoneità di settimane e mesi è sempre un rischio. Significa soffocare entusiasmo e motivazione, e rinviare tante prime donazioni che invece sarebbero utili nel periodo estivo, che sappiamo essere critico.
Speriamo di recuperarli tutti, anche grazie alle domeniche dedicate alle idoneità (come al Centro trasfusionale di Montecchio) e al grande lavoro delle nostre sedi.
A questo proposito, desidero ringraziare tutte le Avis comunali, i dirigenti e i volontari della provincia di Vicenza che non si sono risparmiati, dimostrando ancora una volta, anche in un’emergenza così imprevedibile e strana, la grande forza del volontariato del sangue.
Intanto, come a Schio, le Avis non “dormono”
Avis attiva sul territorio:
Due volontarie Avis a Schio, all’entrata della Casa della Salute per mettere a disposizione dei cittadini i DPI per il Coronavirus. Intanto crescono le donazioni di plasma

Schio. Durante il coronavirus, volontari e donatori dell’Avis Schio Alto Vicentino hanno risposto ancora una volta “presente”. A fine aprile la richiesta di sangue è diminuita per la sospensione di molti interventi chirurgici e di terapie non urgenti ma, da metà maggio, la raccolta è proseguita regolarmente anche grazie al collaudato sistema organizzativo e gestionale scledense. In tanti hanno risposto ai numerosi appelli di donazione di plasma che è stata incentivata con l’obiettivo di raggiungere l’autosufficienza di farmaci plasmaderivati. Tra loro anche tanti cittadini che hanno scelto di diventare nuovi donatori per dare una mano. Ma il grande impegno profuso dall’Avis durante l’emergenza non si è limitato alla sola raccolta di sangue e plasma.
Diversi volontari si sono resi disponibili a presidiare l’entrata della Casa della Salute di Schio misurando la temperatura, controllando la posizione della mascherina, invitando ad igienizzare le mani e fornendo indicazioni utili. Altri hanno assicurato il ristoro dopo la donazione.
La nostra Avis ha, inoltre, deciso di sostenere con un contributo economico la Croce Rossa, impegnata su diversi fronti a fronteggiare l’emergenza. Un altro contributo economico è stato dato al Comune di Santorso per la sistemazione di alcune stanze di Villa Miari, dove sono stati alloggiati medici ed infermieri dell’ospedale Alto Vicentino, alcuni dei quali costretti a dormire in auto, che avevano deciso di non rientrare in casa per non correre il rischio di contagiare i propri familiari. “Sono fiero dei nostri donatori la cui generosità supera ogni confine e non conosce ostacoli – commenta il presidente Giulio Fabbri - nemmeno di fronte ad un’emergenza come quella che stiamo vivendo!”.
Covid-19, una spinta a crescere
di / Michela Maggiolo / presidente Avis provinciale Verona
Verona. Il 2020 era iniziato con tanti buoni propositi, progetti, riapertura, anche se ridotta, di alcuni centri di raccolta chiusi nel 2019. A febbraio si era tornati ad avere il segno positivo delle donazioni raccolte, poi, all’improvviso, verso fine mese, ecco presentarsi un’emergenza a cui nessuno era pronto.
Vengono sospese le attività associative (comprese le ultime assemblee delle Avis comunali), mentre continuano le donazioni e ci si ritrova a dover gestire donatori e dirigenti associativi in un turbinio di notizie e informazioni in continua evoluzione. All’inizio di marzo, inevitabile, assistiamo al calo delle donazioni, per la paura dei donatori a recarsi negli ospedali e nei centri di raccolta, per la mancanza di informazioni certe e per i provvedimenti restrittivi che non permettevano di uscire di casa, se non per motivi di necessità.
A metà marzo, a seguito degli appelli e delle rassicurazioni del Centro nazionale sangue e alla precisazione che le donazioni sono livelli essenziali di assistenza per il nostro sistema sanitario, si inverte la tendenza e parte l’assalto all’Ufficio di prenotazione interassociativo da parte dei donatori veronesi e aspiranti tali, con telefonate (per alcuni giorni quasi triplicate rispetto all’andamento normale), mail e messaggi. Tutti pronti a tendere il braccio.
Le donazioni nella seconda metà di marzo hanno permesso di raggiungere un livello ottimale di scorte di tutti i gruppi sanguigni. Contemporaneamente, inizia la diminuzione dei consumi per la riduzione di alcune attività ordinarie e differibili. Per regolare quanto raccolto e quanto consumato, si concorda a livello dipartimentale, tra Associazioni/Federazioni di donatori di sangue e medici trasfusionisti, una riduzione delle donazioni di sangue intero per le settimane successive. Obiettivo: modulare le donazioni per evitare un’elevata iper datazione delle emazie nel mese di aprile e una possibile carenza tra maggio e luglio. Nella seconda metà di aprile, con la riduzione progressiva dell’eccesso delle scorte e con un lento, ma progressivo aumento dei consumi, si è reso necessario prevedere un aumento progressivo della raccolta nel nostro Dipartimento. Maggio si è concluso con dei segnali di ripresa.
Nei primi giorni e nelle prime settimane di emergenza Coronavirus, non è stato semplice comunicare con tempestività quanto stava accadendo ai donatori e ai dirigenti associativi. Era fondamentale far arrivare notizie corrette, in tempi talvolta molto stretti, a volte tra notizie contrastanti o non ufficiali. Ci siamo ritrovati a gestire non solo l’emergenza legata alla donazione, ma anche questioni burocratiche contingenti. Da un lato c’era chi chiedeva delucidazioni di vario tipo e dall’altra non c’erano indicazioni certe, come ad esempio come e quando si sarebbero svolte le assemblee delle Avis comunali e quelle delle sovraordinate che erano state sospese. Seguendo le normative ministeriali e regionali, a luglio si concluderà con le assemblee comunali e provinciali e lo si farà diversamente da come si era abituati, limitando le presenze, mantenendo le distanze e adottando tutte le precauzioni sanitarie imposte e/o suggerite per evitare nuovamente il diffondersi del Coronavirus.
Tra le attività inizialmente sospese c’erano anche le riunioni, i consigli direttivi, che si è cominciato a svolgere a distanza, in videoconferenza, per noi un modo nuovo di lavorare, ma che ci permette di proseguire in parte con l’attività associativa. Sono state sospese le feste del donatore, solitamente concentrate in primavera e autunno e tutte le partecipazioni a eventi e manifestazioni a livello locale o provinciale per promuovere il dono del sangue. Non si sono potuti fare molti incontri già calendarizzati o in fase di programmazione nelle scuole e nei centri estivi. Anche per la scuola probabilmente bisognerà pensare a nuove modalità di incontro.

Verona: ripensare a nuove modalità di incontro e promozione, anche nelle scuole di ogni ordine e grado.
Donare ai tempi del Covid-19
colloquio con / Barbara Garbellini / presidente Avis provinciale Rovigo zione e programmazione delle donazioni, anche
Rovigo. Avis ai tempi del coronavirus. Intervista alla presidente di Avis provinciale, Barbara Garbellini. a cura della nostra redazione rodigina.
La diffusione del Covid-19 è stato un fulmine a ciel sereno. È stato istituito il lockdown, ma che non ha coinvolto la necessità di sangue. Come si è organizzata Avis?
È stato un momento difficile per tutti e che ci ha colti di sorpresa. Come Avis provinciale Rovigo, di concerto con il Dipartimento di medicina trasfusionale dell’Ulss5 Polesana, abbiamo cercato di dare tempestive e corrette informazioni sia ai dirigenti associativi del nostro territorio che ai donatori. In un primo momento, in ottemperanza all’ordinanza di febbraio 2020 emessa dal Ministro della Salute di intesa con il presidente della Regione Veneto, in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, e viste le circolari delle nostre Avis sovraordinate, si è provveduto a sospendere le attività associative quali assemblee, feste, iniziative promozionali.
Le donazioni presso i tre Centri trasfusionali (Ct) polesani, invece, sono continuate regolarmente seguendo le misure di sicurezza trasmesse dal Coordinamento attività trasfusionale regionale e dal Centro nazionale sangue e informando i donatori in tal senso. Successivamente, protraendosi il periodo di lockdown ed essendo state bloccate le attività sanitarie considerate non urgenti, come le attività chirurgiche programmate differibili, c’è stato un calo dei consumi clinici di sangue. Si è reso necessario, quindi, programmare le donazioni in modo da evitare gli assembramenti nei luoghi di visita e determinato un’ulteriore riorganizzazione del si
raccolta e trasfusione, e da garantire la distanza di sicurezza, per non vedere vanificati gli sforzi e la generosità dei donatori avisini.
Come ha funzionato l’Ufficio unico di chiamata?
Ritengo che in questo periodo di emergenza epidemiologica, l’Ufficio unico di chiamata donatori della Provincia di Rovigo abbia svolto un formativo.
Gli impiegati del nostro ufficio, di concerto con il personale del Dimt, costantemente aggiornati in materia di prevenzione e sicurezza Covid-19 da trasmettere ai donatori e/o aspiranti donatori, hanno permesso di gestire al meglio la prenotadurante la chiusura del Centro trasfusionale di Trecenta, in quanto l’ospedale era stato destinato a Covid. L’ufficio ha assunto il massimo significato della sua ragion d’essere al fine di non vedere vanificate le generose donazioni. Importante, inoltre, è risultata la programmazione donazionale, evitando l’iper afflusso ai Ct.
Come hanno risposto i donatori?
I donatori polesani hanno risposto numerosi e tempestivamente agli appelli “Donate”, andando oltre ai timori di un virus sconosciuto, con la garanzia di Centri trasfusionali in massima sicurezza e tutela. A mio avviso, i donatori hanno intelligentemente capito che questo periodo di emergenza imprevisto, particolare e che si protrae, non ha solo rivoluzionato gli stili di vita e le abitudini di tutti, ma ha anche determinato una riorganizzazione del sistema donazione. Sistema che, oltre alla prenotazione con programmazione, ha visto l’aggiunta di controlli in merito allo stato di salute, nonché gli accessi contingentati.
Le linee guida adottate per la sicurezza sia del donatore che del ricevente hanno creato difficoltà?
In un primo momento sono stati una novità, ma a mio parere tutti noi donatori ci siamo adeguati velocemente e senza particolari problemi. Di sicuro, tali misure adottate non hanno fermato la voglia di donare.
Come hanno affrontato i donatori dell’Alto Polesine la chiusura del Ct di Trecenta?
La chiusura del Trasfusionale di Trecenta ha ruolo importante sia di coordinamento che in
stema donazionale. I donatori dell’alto Polesine, grazie anche alla collaborazione dei dirigenti delle Avis comunali, hanno in ogni caso capito le esigenze del periodo e molti sono andati anche a donare al Ct di Rovigo.
Che considerazioni finali si sente di fare? Ripensando al lungo periodo, mi chiedo cosa
si potesse fare di più e se si poteva fare meglio. Nell’immediatezza mi viene da rispondere che ci sono sempre margini per migliorare, ma che di sicuro abbiamo cercato, come Avis, di fare del nostro meglio, ponendo costante attenzione all’evolversi delle disposizioni in materia Covid e cercando di dare informazioni precise ed esaustive sia ai dirigenti associativi che ai donatori e/o aspiranti donatori. Mi piace pensare, in ogni caso, che tutti noi donatori siamo andati oltre ad eventuali carenze e/o disagi del periodo, consapevoli che il nostro gesto d’amore è necessario per salvare una vita: “non so per chi, ma so perché!”. Un grazie di cuore a tutti!
Venezia tiene nonostante tutto
di / Silvano Vello / segretario Avis Provinciale Venezia
Venezia. Auspicando che il peggio sia ormai alle nostre spalle, vorrei tirare le somme di questo periodo di emergenza sanitaria che va dalla fine di febbraio ai primi di giugno del 2020. Possiamo, innanzitutto, dire che la sede del Provinciale è sempre rimasta aperta al mattino dalle 8.30 alle 12.30 dal lunedì al sabato, grazie alla presenza di una nostra dipendente Avis.
Un altro nostro collaboratore avisino ha lavorato in smart working per tre mattinate (martedì, mercoledì e venerdì, con orario 8.30-14.30).
I due volontari del servizio civile, obbligatoriamente, lavoravano da casa. Poche persone sono comunque giunte fisicamente in sede.
L’accoglienza nei Centri trasfusionali con personale Avis è proseguita a Chioggia, Dolo, Mestre, Mirano e a Portogruaro. In altri centri, ove operano volontari o dipendenti delle Comunali, il servizio è continuato regolarmente come a Jesolo, Noale e Venezia. A San Donà di Piave, invece, è stato temporaneamente sospeso il servizio di accoglienza.
Per ciò che concerne la raccolta associativa di Src, alcune sedi non hanno purtroppo ottenuto l’accesso ai locali dell’Asl (distretti) per la normale raccolta associativa e altri locali non hanno avuto l’autorizzazione per poter svolgere il medesimo servizio per motivi normativi. Fra questi sono compresi i locali utilizzati dall’Avis dello scrivente ad Annone Veneto.
Nel primo caso, invece, rientrano i punti di raccolta di Cavallino, Favaro Veneto, Noventa di Piave, Quarto D’Altino e Scorzè. Le altre 13 sedi sono rimaste aperte con le prescrizioni del caso (accesso con mascherina, guanti, misura della temperatura e uso del gel disinfettante), usate da tutti. La prenotazione è ormai diffusa in quasi tuti i Centri trasfusionali. Fra quelli in cui non è ancora attiva ricordiamo il Centro trasfusionale dell’ospedale Civile di Venezia.
Le assemblee di Avis comunali che si dovevano svolgere a fine febbraio, bloccate per il covid-19, sono andate tutte in porto. fra queste: Fossalta di Portogruaro, di Marcon, Scorzè, Torre di Mosto e Vigonovo.

L’assemblea Avis provinciale di Venezia si terrà il 25 luglio a Pramaggiore, in presenza, invece del 14 marzo a Portogruaro come previsto ante Covid-19. Ringrazio quindi la disponibilità della comunale di Pramaggiore per poter svolgere l’assemblea provinciale nel suo territorio, sperando, in un prossimo futuro, di poterla nuovamente organizzare a Portogruaro.
Per quanto riguarda la Banca del plasma, di cui molto si è parlato in queste settimane di emergenza, in giugno sono state raccolte nove sacche di plasma iperimmune in varie realtà della Città Metropolitana .
Da segnalare il cortometraggio della Provinciale, opera di Eleonora e Giuliana, del Provinciale, diffuso via social per la Giornata mondiale del donatore di sangue che ha coinvolto varie persone con brevi video poi uniti in uno unico, volto alla promozione della donazione.
Mesi difficili nella provincia Euganea, ma la ripresa... c’è
di / Roberto Sartori /
Padova. La raccolta nel Dimt (Dipartimento interaziendale di medicina trasfusionale) di Padova, analizzando i dati aggiornati al 30 maggio 2020, evidenzia una perdita totale di circa 3000 sacche di sangue intero, mentre la raccolta di plasma si mantiene in linea con i primi mesi dell’anno precedente.
A registrare il calo più consistente è stato il Centro di raccolta dell’ospedale di Schiavonia. Sin dall’inizio del mese di marzo, il centro è stato completamente chiuso essendo la struttura adibita a “ospedale Covid-19”.
Un calo drastico, senza che ci fosse la possibilità di indirizzare i donatori presso strutture limitrofe. Non solo. Oltre a quello di Schiavonia, è stato chiuso il punto prelievi di Montagnana, successivamente riaperto dal mese di aprile.
La raccolta associativa ha visto alla fine di maggio un calo di circa 459 unità di sangue intero. Durante il periodo di isolamento forzato, l’associazione ha tenuto chiusi gran parte dei punti esterni di raccolta. Gli accessi dei relativi donatori sono stati organizzati presso le sede principale, in via Trasea a Padova, al fine di garantire lo svolgimento dell’attività in sicurezza per i donatori e per il personale sanitario.
Tutte le norme di sicurezza emanate dal Crat (coordinamento regionale attività trasfusionale) e dal Centro nazionale sangue sono state applicate e seguite alla lettera.
Ora, con il riavvio delle attività esterne, negli undici punti prelievo la situazione si è normalizzata. L’obiettivo rimane quello di garantire il trend di crescita degli ultimi anni, che ci ha permesso di ridurre notevolmente lo storico gap negativo nel rapporto raccolta-trasfuso.
I centri che hanno registrato una maggiore decrescita sono stati: Schiavonia -1763 al 31 maggio 2020 a causa della chiusura completa dell’attività di raccolta, l’ospedale dei Colli con -505 sacche di sangue intero e Cittadella con -317 sacche di sangue intero. In aggiunta alla perdita della raccolta associativa in convenzione con un -459, arriviamo alle tremila sacche mancanti.
È diminuito ovviamente anche l’uso del sangue nel periodo di chiusura dovuto ad una drastica riduzione dell’attività chirurgica, ma grazie all’organizzazione di chiamata e prenotazione messa in campo, ci auguriamo di riuscire a coprire le necessità del Dipartimento nei prossimi mesi di ripresa delle attività.
Schiavonia: Il moderno ospedale, trasformato in Hub-Covi il cui Centro trasfusionale è rimasto forzatamente chiuso da marzo a giugno.
