Una nuova vita

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Una nuova vita pone un’attenzione costante al coinvolgimento attivo di ragazze e ragazzi per avvicinarli alla lettura in modo naturale e spontaneo.

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3 I personaggi

A casa Guarda la lezione digitale Il sistema dei personaggi e rispondi per iscritto alle seguenti domande: Che cosa si intende con l’espressione “sistema dei personaggi”? Che differenza c’è fra ruolo e personaggio? Attraverso quali elementi il narratore può caratterizzare i suoi personaggi? In classe Confronta le tue definizioni con quelle dei compagni e delle compagne e discutetene insieme (eventualmente correggi e integra le tue). Quindi, a coppie, scegliete un racconto breve che avete letto di recente, individuate il protagonista e riportate in forma di schema o di tabella gli elementi che lo caratterizzano. Cambiate ora uno o due d ei suoi tratti caratteristici: cambia anche la storia? Come? Provate a riscriverla.

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Come funzionano i testi

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Snoopy, Lucy, Charlie Brown e Linus, alcuni dei Peanuts creati da Charles Schulz.

LEZIONE DIGITALE

VIDEOLEZIONE LA PAROLA ALL’AUTORE PERCORSO DIGITALE


Nel 1947 il disegnatore americano Charles Schulz (1922-2000) ha inventato Charlie Brown, e la storia dei fumetti è cambiata. Dopo aver combattuto in Europa, nel corso della Seconda guerra mondiale, Schulz torna negli Stati Uniti e comincia a pubblicare su un settimanale di Minneapolis alcune storie a fumetti intitolate Li’l Folks (“Persone piccole”). Queste storie raccontano le avventure di un gruppo di ragazzi, e tra questi ragazzi ce n’è uno particolarmente imbranato, dolce e di buon carattere che si chiama Charlie Brown: un nome ordinario per un ragazzino ordinario. Il lavoro di Schulz viene notato alla United Feature Syndicate, uno dei grandi distributori americani di storie a fumetti, che nel 1950 chiede a Schulz di creare una nuova serie a fumetti che s’intitolerà Peanuts (“Noccioline”). I protagonisti, come in Li’l Folks, sono sempre ragazzini (nei Peanuts non si vedono mai figure adulte), ma il numero dei personaggi aumenta, e si approfondisce e complica anche la loro personalità. Charlie Brown è sempre il protagonista, ma insieme a lui, a poco a poco, entrano in scena altri ragazzini: la sorellina Sally, gli amichetti Linus, Lucy e tanti altri. Ma il personaggio più importante di tutti non è un essere umano, è un cane: un bracchetto di nome Snoopy. Le storie di Charlie Brown e dei suoi amici sono state pubblicate per il successivo mezzo secolo in un numero enorme di giornali e periodici americani, e poi in tutto il mondo. Qualcuno ha calcolato che, alla morte di Schulz, le strisce pubblicate erano quasi diciottomila. In questo lungo arco di tempo, i personaggi di Schulz sono rimasti gli stessi. Charlie Brown è sempre insicuro, indeciso, un po’ depresso. Lucy è sempre aggressiva e caciarona. Linus è sempre ingenuo e affettuoso, e ha un po’ paura della vita (per questo si porta sempre dietro una coperta e si succhia il dito). Schroeder è sempre fissato con Beethoven e con il suo pianoforte. E Snoopy è sempre incredibilmente sfacciato, egoista, arrogante, ma anche irresistibilmente simpatico. Non sono invecchiati, non sono cambiati. Ma è proprio questa la ragione per cui i lettori di tutto il mondo li amano. Perché mentre tutto intorno a noi cambia, mentre niente della vita reale resta fermo, loro hanno sempre la stessa età, gli stessi problemi, le stesse piccole ansie che anche noi avevamo da piccoli. Nel gennaio del 2000 Schulz, che sarebbe morto di lì a pochi giorni, pubblicò la sua ultima striscia, che contiene una lettera ai suoi milioni di lettori: «Cari amici, ho avuto la fortuna di disegnare Charlie Brown e i suoi amici per quasi 50 anni. È stata la realizzazione dei miei desideri di bambino. Purtroppo non ho più la forza di pubblicare una striscia a fumetti ogni giorno […] perciò sono qui ad annunciare il mio pensionamento». Sotto la lettera, la firma è quella di Schulz. Ma nel disegno accanto, chino sulla macchina da scrivere, c’è il fedele cane Snoopy.

3. I personaggi

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RACCONTO COMPLETO

ARUTTEL AREBIL

LIBERA LETTURA

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Il sistema dei personaggi Holly Black

Una storia brevissima

Audiolibro

Questo breve racconto della scrittrice americana Holly Black (1971), descrive il rituale della buonanotte di una bambina, che fatica a prendere sonno per paura delle creature soprannaturali che potrebbero farle del male.

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Zoe è seduta sul letto, con la mamma ai suoi piedi. La luce sul soffitto è accesa, e investe gran parte della stanza, anche se ai margini delle ombre strisciano ancora sui muri. – Stai qui con me fino a che non mi addormento – dice Zoe. C’è una festa in corso al piano di sotto. La mamma di Zoe esita. Sente i bicchieri tintinnare, gli scoppi di risa soffocati. È irrequieta, vorrebbe tanto poter ritornare laggiù ma Zoe se ne starebbe tutto il tempo da sola nel letto illuminato, ad aspettare che sua madre torni per finire il rituale. Zoe, altrimenti, non si addormenterebbe. – Okay – dice la madre di Zoe. – Mettiti sotto. Zoe si accoccola sotto le coperte. – Dimmi perché i vampiri non possono venire a prendermi. – I vampiri non possono entrare se non sono stati invitati – dice la madre di Zoe, come sempre. – E i lupi mannari? La mamma di Zoe fa finta di guardare dietro le tende. – Niente luna piena stanotte. Gli occhi di Zoe si chiudono, ma la bimba è ben lungi dall’addormentarsi. Ha una domanda nuova, una che le è appena venuta in mente. – E i fantasmi? Sua madre s’interrompe, si guarda le mani. Infine le risponde. – I fantasmi non vogliono far male a nessuno. Se lo fanno, è solo per errore. – E se mi fanno male per errore? – chiede Zoe, alzando gli occhi su sua madre. – Possono far male solo ai vivi – risponde la madre con voce sommessa. – Oh – dice Zoe. Dopo qualche istante, Zoe dorme. La mamma si china per darle il bacio della buonanotte, ma è come baciare fumo. (H. Black, Storie del terrore da un minuto, a cura di S. Rich, tradotto dall'inglese da G. Iacobacci, Feltrinelli, Milano 2021)

PRIMA LETTURA 1. Quali reazioni ha suscitato in te il colpo di scena finale? 2. Quali emozioni rivelano secondo te i gesti della mamma dopo la domanda di Zoe sui fantasmi?

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Come funzionano i testi


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Il sistema dei personaggi

Chi sono i personaggi Nei primi due capitoli abbiamo riflettuto sulla possibilità di raccontare gli eventi in ordine diverso e da punti di vista differenti, a seconda delle reazioni che si vogliono suscitare nel lettore. Ma perché un evento possa essere raccontato è necessario che qualcuno partecipi, osservi, o almeno immagini di aver fatto una di queste due cose. Non possiamo raccontare una festa a cui non siamo stati invitati, né una partita di campionato che ci siamo persi. O, meglio, possiamo farlo solo se riusciamo a immaginare che cos’hanno fatto gli invitati, il festeggiato, l’arbitro, i giocatori,… Possiamo dire perciò che un avvenimento coinvolge un certo numero di partecipanti, animati o inanimati. In un testo narrativo, i partecipanti animati si chiamano “personaggi”. Questo capitolo parla di loro.

La gerarchia dei personaggi Come si può facilmente intuire, i personaggi possono essere più o meno coinvolti nelle vicende narrate. Tornando all’esempio della festa, è verosimile che il festeggiato sia molto coinvolto, idealmente più di chiunque altro. I suoi vicini di casa, invece, borbotteranno un po’ per la musica troppo alta, nei casi peggiori chiameranno i carabinieri ma, se tutto fila liscio, dovrebbero essere meno coinvolti. Tra gli invitati, ci sarà chi cercherà di rubare la scena al festeggiato, chi se ne starà in disparte, chi approfitterà dell’occasione per fare nuove amicizie: insomma, ciascuno parteciperà a modo suo e con un diverso grado di coinvolgimento. Ebbene, si può dire che anche in letteratura, a seconda del loro livello di coinvolgimento, i personaggi occupino posizioni diverse nella gerarchia, cioè nella rete dei rapporti che li legano. Potremo così distinguere tra: • personaggi principali: svolgono un ruolo di primo piano nella storia, che si sviluppa e ruota intorno a loro. Nel caso della festa, il festeggiato è il personaggio principale, mentre in Una storia brevissima sono Zoe e sua madre; • personaggi secondari: hanno un ruolo di secondo piano, ma sono comunque essenziali per lo svolgimento dell’azione, come gli invitati alla festa. Nella saga di Harry Potter scritta da J.K. Rowling, Severus Piton e Albus Silente sono personaggi secondari: la storia ruota attorno a Harry, ma senza di loro non sarebbe la stessa; • comparse: si tratta di personaggi appena nominati, se non addirittura anonimi, che rimangono sullo sfondo della scena, senza svolgere un ruolo di rilievo nella vicenda. Per intenderci, i vicini di casa del festeggiato sono comparse: magari per protestareranno per il rumore, ma la maggior parte degli invitati non li vedrà neanche. LETTURA ESPERTA 1. Nel racconto di Holly Black, le persone che festeggiano al piano inferiore sono personaggi principali, secondari o comparse?

3. I personaggi

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I ruoli dei personaggi In un testo narrativo, i personaggi possono svolgere diversi ruoli. Questi sono i più comuni: • eroe/eroina o protagonista: è il personaggio principale, attorno al quale ruota la vicenda. I protagonisti possono essere uno (e spesso, ma non sempre, dare il titolo al testo, come Ulisse, Enea, Pinocchio, Harry Potter,…) o più di uno. Nella tragedia Romeo e Giulietta (1597) di William Shakespeare, sono i due innamorati, mentre nella serie TV Stranger Things sono addirittura sei. Quando il ruolo di protagonista è assegnato a un gruppo di personaggi, come accade ad esempio in Stranger Things o nei Malavoglia (1881) di Giovanni Verga, che racconta le vicende di una famiglia di pescatori siciliani, parliamo di protagonista collettivo; • antagonista o avversario/a: è il rivale del protagonista e tenta di impedirgli di ottenere ciò che desidera e di realizzare i suoi sogni. Anche gli antagonisti possono essere numerosi: in Stranger Things, i protagonisti devono lottare contro creature mostruose, come la Demogorgone, Vecna e il Mind Flayer, ma anche sventare le insidie di uomini malvagi e pericolosi, come il dottor Brenner, lo scienziato che gestisce il laboratorio segreto da cui Undici è riuscita a scappare. Nella saga di Harry Potter, Lord Voldemort è l’antagonista di Harry; • donatore/donatrice: è il personaggio che offre all’eroe un oggetto, a volte dotato di poteri magici, che lo aiuterà a superare le prove che dovrà affrontare nel corso della narrazione. Ad esempio, nel primo episodio della trilogia di Matrix (1999), Morpheus è colui che dona al protagonista, Neo, due pillole magiche, una delle quali gli consentirà di sfuggire al mondo virtuale in cui è rinchiuso e risvegliarsi nel mondo reale. Nel Signore degli Anelli (1955) di J.R.R. Tolkien, la regina degli elfi Galadriel dona a ciascun membro della Compagnia dell’Anello diversi oggetti fatati che si riveleranno preziosi durante il loro viaggio verso il Monte Fato; • aiutante: è il personaggio che aiuta l’eroe a raggiungere i suoi obiettivi. Ad esempio, nella serie TV La fantastica signora Maisel, la manager Susie Myerson, con i suoi consigli e il suo costante incoraggiamento, aiuta la casalinga Miriam Maisel a scoprire il proprio talento e a diventare un’attrice comica di successo. Anche gli aiutanti possono essere più di uno. Nel romanzo di Fëdor Dostoevskij Delitto e castigo (1866), ad esempio, Sonia aiuterà Raskolnikov a sopportare i lavori forzati in Siberia, e Razumichin si prenderà cura della madre e della sorella del protagonista durante la sua assenza; • oggetto del desiderio: è l’obiettivo che il protagonista tenta di raggiungere. Può essere una persona, un animale, un oggetto, una condizione, un luogo. Per esempio, nell’Orlando furioso di Ludovico Ariosto, Angelica, la principessa del Catai, è l’oggetto del desiderio del protagonista (e di molti altri cavalieri). Nel film di Stephen Hopkins Race (2016), l’oggetto del desiderio del protagonista Jesse Owens è diventare campione olimpionico di atletica leggera;

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Come funzionano i testi


Oskar Schlemmer, Gruppo di dodici con interni, 1930, Collezione privata.

• mandante: è chi dà al protagonista il compito di cercare l’oggetto del desiderio o di superare una o più prove. Nel romanzo di Michael Ende La storia infinita (1979), l’Infanta Imperatrice del Regno di Fantàsia incarica il giovane e coraggioso Atreiu di trovare una cura per la misteriosa malattia che affligge lei e il suo reame. Il mandante non è necessariamente un personaggio positivo, ma può essere anche neutrale o, addirittura, ostile al protagonista, come Jafar, che affida ad Aladdin l’incarico di trafugare la lampada magica e, così facendo, dà inizio alle sue avventure. Nelle narrazioni più complesse, può capitare che lo stesso personaggio ricopra più ruoli contemporaneamente (l’Infanta Imperatrice di Fantàsia è la mandante del viaggio di Atreiu, ma anche la donatrice del talismano magico Auryn, che lo proteggerà fino alla fine del romanzo), o che cambi ruolo nel corso della storia. Nel Signore degli Anelli, ad esempio, Boromir entra a far parte della Compagnia dell’Anello con lo scopo di aiutare Frodo, svolgendo quindi il ruolo di aiutante. Successivamente, però, diffida delle capacità del protagonista e cerca di sottrargli l’anello del potere, assumendo così il ruolo di antagonista. Infine, pentitosi di quel gesto, sacrifica la sua vita per salvare quella del giovane hobbit, tornando a ricoprire il ruolo di aiutante. L’insieme dei ruoli e dei rapporti che legano i personaggi tra loro si chiama convenzionalmente sistema dei personaggi. LETTURA ESPERTA 1. Qual è il ruolo di Zoe nel racconto di Holly Black che hai appena letto? E quello di sua madre? Sono possibili altre interpretazioni?

3. I personaggi

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Il sistema dei personaggi

Mappa interattiva

Esercizi interattivi

I personaggi, animati o inanimati, partecipano alla storia protagonisti La gerarchia dei personaggi: non tutti hanno la stessa importanza

personaggi secondari comparse eroe/eroina o protagonista

I ruoli dei personaggi

antagonista o avversario/a donatore/donatrice aiutante oggetto del desiderio mandante

VERIFICA LE CONOSCENZE 1. Scrivi una definizione sintetica dei seguenti concetti: a. antagonista; b. aiutante; c. comparsa. 2. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. a. In un testo narrativo, non tutti i personaggi hanno V F la stessa importanza. b. I personaggi possono interpretare un unico ruolo V F nell’arco della narrazione. c. L’oggetto del desiderio è sempre dotato di poteri V F magici. 3. Quale tra i seguenti non è uno dei ruoli ricorrenti dei personaggi? A Il donatore. B Il mandante.

4. Indica la risposta corretta. 1. gli antagonisti sono: A personaggi secondari. B personaggi principali. C comparse. 2. Le comparse sono: A personaggi di contorno. B individui. C tipi fissi.

ESERCITA LE COMPETENZE 5. Scrivi un breve testo ispirato al testo di Holly Black proposto in apertura di lezione, in cui però il protagonista è uno degli invitati alla festa al piano di sotto.

C L’investigatore. Per continuare a lavorare sul sistema dei personaggi puoi leggere questi testi: A. Christie, Omicidio su misura, p. 500, G.R.R. Martin, Il fardello della giustizia, p. 622, G. Orwell, «Quante dita sono queste, Winston?», p. 683.

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Come funzionano i testi


RACCONTO COMPLETO

Come sono i personaggi Croci

Audiolibro

In questo breve racconto dello scrittore americano George Saunders (1958), un figlio delinea la figura del padre e la storia della sua vita attraverso le trasformazioni di un semplice oggetto.

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Ogni anno la sera del Ringraziamento1 seguivamo come un gregge papà che trascinava il vestito da Babbo Natale in giardino e lo sistemava su una specie di crocefisso che aveva costruito con un palo di metallo. La settimana del Super Bowl2 la croce portava una maglia da football e il casco di Rod, e Rod doveva chiedere il permesso a papà se voleva riprendersi il casco. Il Quattro Luglio la croce diventava lo Zio Sam3, il giorno dei caduti un soldato, ad Halloween un fantasma. La croce era l’unica concessione di papà all’entusiasmo. Potevamo prendere solo un pastello per volta dalla scatola. Una volta la notte di Natale papà sgridò Kimmie perché aveva sprecato uno spicchio di mela. Quando versavamo il ketchup ci ronzava intorno dicendo: Basta, basta, basta. Le feste di compleanno erano a base di merendine, niente gelato. La prima volta che ho portato a casa una ragazza lei mi ha detto: Perché tuo padre ha messo quei due pali in croce?, e io non sapevo dove guardare. Siamo andati via di casa, ci siamo sposati, siamo diventati genitori, abbiamo scoperto che il seme della grettezza fioriva anche dentro di noi. Papà ha cominciato a decorare la croce con più complessità e con una logica più ermetica. Il Giorno della Marmotta4 l’ha coperta con una specie di pelliccia e ha trascinato fuori un riflettore per creare un effetto ombra. Quando c’è stato un terremoto in Cile ha abbattuto la croce e dipinto una crepa per terra con lo spray. È morta mamma e ha mascherato la croce da Morte e sul braccio orizzontale ha appeso le foto di mamma da piccola. Passavamo a salutarlo e trovavamo strani talismani della sua gioventù disposti ai piedi della croce; medaglie dell’esercito, biglietti del teatro, vecchie felpe, cosmetici di mamma. Un autunno ha pitturato la croce di giallo vivo. E in inverno l’ha coperta d’ovatta per tenerla al caldo e fornita di prole piantando col martello sei mini croci in giardino. Ha passato pezzi di spago tra la croce e le mini croci e ci ha attaccato lettere di scusa, ammissioni d’errore, richieste di comprensione, tutto su cartellini scritti con mano affannosa. Ha dipinto e appeso alla croce un cartello con la scritta AMORE, poi un altro che diceva PERDONARE? e poi è morto in corridoio con la radio accesa e abbiamo venduto la casa a una giovane coppia che ha sradicato la croce e l’ha lasciata sul ciglio della strada perché la portasse via il camion dell’immondizia.

ARUTTEL AREBIL

George Saunders

LIBERA LETTURA

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SENSO DELLA VITA

(G. Saunders, Dieci dicembre, tradotto dall'inglese da C. Mennella, minimum fax, Roma 2013)

PRIMA LETTURA 1. Che idea ti sei fatto della personalità del padre? Qual è il suo rapporto con i figli e la moglie? 2. Secondo te, che significato ha la croce di metallo per il padre del narratore?

1. Ringraziamento: antica festa in cui i coloni inglesi giunti in America ringraziano Dio per i benefici concessi; cade il 4 novembre. 2. Super Bowl: finale del campionato di football americano. 3. Il Quattro luglio … Zio Sam: il 4 luglio negli Stati Uniti si celebra l’indipendenza. «Zio Sam» è l’immagine-simbolo degli Stati Uniti. 4. Giorno della Marmotta: festa che si celebra in Nord America il 2 febbraio. Una marmotta viene fatta uscire dalla sua tana: se rientra subito nella tana l’inverno sarà ancora lungo; se resta fuori, l’inverno finirà presto. 3. I personaggi

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Come sono i personaggi

La presentazione dei personaggi Incontrare un personaggio è un po’ come conoscere una persona per la prima volta. Possiamo già avere un’idea di chi ci troviamo di fronte perché qualcuno ce ne ha già parlato, ad esempio; oppure possiamo entrare in relazione con una persona della quale non sappiamo niente.

Presentazione diretta e presentazione indiretta Il narratore può adottare diverse strategie per presentarci un personaggio; in generale, possiamo distinguere i tipi di presentazione in due grandi categorie: la presentazione diretta e quella indiretta. Si ha una presentazione diretta quando il racconto viene sospeso per introdurre la descrizione di un nuovo personaggio. Questa presentazione può essere fatta dal narratore, che deciderà quali informazioni condividere con i lettori, da un altro personaggio, che inevitabilmente ci offrirà un ritratto da un punto di vista personale, oppure dal personaggio stesso. Per quest’ultimo caso, è un esempio memorabile l’inizio delle Memorie dal sottosuolo di Dostoevskij, narrato in prima persona dal protagonista: Sono un uomo malato... Sono un uomo cattivo. Un uomo sgradevole. (F. Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo, Rizzoli, Milano 2000)

Abbiamo una presentazione indiretta, invece, quando i personaggi non vengono descritti direttamente, ma presentati attraverso le loro parole o i loro comportamenti o, ancora, attraverso ciò che ne dicono gli altri personaggi nei loro discorsi. Il racconto di Saunders che abbiamo letto all’inizio della lezione, per esempio, è di fatto una presentazione indiretta del padre del protagonista, che lo descrive attraverso i suoi bizzarri comportamenti.

La caratterizzazione dei personaggi Nella lezione precedente abbiamo visto che i personaggi si distinguono a seconda del ruolo (o dei ruoli) che svolgono nella vicenda. È però possibile distinguerli anche in base al loro aspetto esteriore, alla loro personalità, ai loro gusti, alle azioni che compiono... In base, cioè, alla loro caratterizzazione, ovvero all’insieme delle caratteristiche che li definiscono (non è un caso che in inglese “personaggio” si dica character).

La caratterizzazione fisica Si parla di caratterizzazione fisica per indicare la descrizione dell’aspetto esteriore di un personaggio: altezza, costituzione, colore dei capelli o degli occhi, e così via. Ovviamente, fanno parte di questa categoria anche aspetti anagrafici come il genere e l’età. 110

Come funzionano i testi


Osserviamo, per esempio, la quantità di particolari con cui Emilio Salgari descrive Sandokan nel primo romanzo in cui fa la sua comparsa, Le tigri di Mompracem (1900): Era alto di statura, ben fatto, con muscoli forti come se fili d’acciaio vi fossero stati intrecciati, dai lineamenti energici, l’anima inaccessibile a ogni paura, agile come una scimmia, feroce come la tigre […], generoso e coraggioso come il leone dei deserti africani. Aveva una faccia leggermente abbronzata e di una bellezza incomparabile, resa truce da una barba nera, con una fronte ampia, incorniciata da fuligginosi e ricciuti capelli che gli cadevano con pittoresco disordine sulle robuste spalle. Due occhi di una fulgidezza senza pari, che magnetizzavano, attiravano, che ora diventavano melanconici come quelli di una fanciulla, e che ora lampeggiavano e schizzavano come fiamme. (E. Salgari, Le tigri di Mompracem, Einaudi, Torino 2013)

La caratterizzazione psicologica La caratterizzazione psicologica è la descrizione dell’interiorità dei personaggi: i loro gusti e interessi, i sentimenti che provano e il modo in cui essi si riflettono sui loro comportamenti. Per descrivere la psicologia dei personaggi l’autore può ricorrere a metafore o a similitudini: ad esempio, nei Promessi sposi, Manzoni scrive a proposito di Don Abbondio che non era «nato con un cuor di leone» e che era «un vaso di terracotta costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro», vale a dire che si tratta di un uomo timoroso e servile nei confronti dei potenti.

Glyn Warren Philpot, Gabrielle e Rosemary, 1928, Oxford, Ashmolean Museum.

La caratterizzazione socio-culturale La caratterizzazione socio-culturale comprende tutte le informazioni che riguardano la cultura e la condizione sociale del personaggio, come ad esempio la professione, gli studi compiuti, la classe sociale, la situazione economica. Leggi, ad esempio, come comincia il romanzo Stoner (1965) di John Williams: [William Stoner] Era nato nel 1891 in una piccola fattoria al centro del Missouri, vicino a Booneville, un paesino a circa quaranta miglia da Columbia, sede dell’università. Benché i suoi genitori, all’epoca, fossero ancora giovani – suo padre aveva venticinque anni, sua madre neppure venti –, Stoner, fin da piccolo, aveva sempre pensato che fossero anziani. A trent’anni, suo padre ne dimostrava già cinquanta; piegato dalla fatica, fissava disperato l’arido pezzo di terra che di anno in anno dava da campare alla sua famiglia. Sua madre sopportava la vita con pazienza, come una lunga disgrazia destinata a finire. (da J. Williams, Stoner, Fazi, Roma 2012)

3. I personaggi

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La caratterizzazione ideologica Si parla di caratterizzazione ideologica quando l’autore sceglie di descrivere le credenze di un personaggio e i valori in cui si riconosce. Talvolta questo tipo di informazioni può emergere indirettamente dalle altre forme di caratterizzazione, specialmente da quella psicologica. È ciò che accade nel racconto di Saunders: attraverso i rimproveri che rivolge ai suoi figli, il padre del narratore viene presentato al lettore come un uomo morigerato, che crede nel valore della parsimonia e della frugalità, ma a volte arriva ai limiti della spilorceria. Potevamo prendere solo un pastello per volta dalla scatola. Una volta la notte di Natale papà sgridò Kimmie perché aveva sprecato uno spicchio di mela. Quando versavamo il ketchup ci ronzava intorno dicendo: Basta, basta, basta. LETTURA ESPERTA 1. A quale tipo di caratterizzazione ricorre Saunders per descrivere il personaggio del padre nel racconto in apertura di lezione? 2. Quali elementi del carattere del padre emergono dalla narrazione?

La complessità dei personaggi Leggendo un libro, o guardando un film, spesso si può notare che non tutti i personaggi sono descritti con la stessa precisione: di alcuni sappiamo molto, di altri meno, di altri ancora poco o niente. Spesso (ma non necessariamente) ciò dipende dal ruolo che interpretano nella vicenda: ci aspettiamo di conoscere approfonditamente i personaggi principali, mentre per quelli secondari ci accontentiamo di un ritratto più abbozzato. Possiamo raggruppare i personaggi in diverse tipologie in base alla quantità e alla qualità delle informazioni che riceviamo su di loro.

Personaggi dinamici e personaggi statici Possiamo fare una prima suddivisione sulla base di quanto un personaggio cambia durante la narrazione. Accade spesso, infatti, che la caratterizzazione di un personaggio subisca una variazione man mano che la storia prosegue: • fisica: è sufficiente che un personaggio invecchi. Pensa alle narrazioni che abbracciano un periodo molto lungo, come le cosiddette saghe familiari, che raccontano le vicende di una famiglia lungo un arco cronologico che si estende per generazioni. Possono essere esempi validi Pastorale americana di Philip Roth, o La casa degli spiriti di Isabel Allende; • psicologica: un personaggio può spesso cambiare gusti o atteggiamenti; abbiamo già fatto l’esempio di Boromir, che nel Signore degli Anelli passa dal voler proteggere Frodo a cercare di sottrargli l’anello, per tornare infine a proteggere il suo compagno di viaggio e a redimersi;

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Come funzionano i testi


• socio-culturale: accade frequentemente che un personaggio cambi condizione sociale, anche più volte nella stessa narrazione; è il caso di Jean Valjean, protagonista dei Miserabili di Victor Hugo, che da ex galeotto riesce a diventare addirittura sindaco di una piccola cittadina; • ideologica: è frequente che un personaggio cambi idea nel corso della storia. Pensa a Elizabeth, la protagonista di Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen, che inizialmente considera Darcy un uomo orgoglioso e arrogante, ma approfondendo la sua conoscenza finisce addirittura per innamorarsi di lui. Definiamo dinamici i personaggi che cambiano e si evolvono nel corso della narrazione e statici quelli che conservano le stesse caratteristiche dall’inizio alla fine.

Tipi e individui In base alla complessità e al livello di approfondimento della loro caratterizzazione, possiamo suddividere i personaggi in due grandi categorie: • tipi: questi personaggi hanno personalità semplici, lineari, caratterizzate da un’unica o da poche qualità. Pensiamo a Sancho Panza, fedele scudiero di don Chisciotte, che incarna il tipo del contadino bonario, dotato di buon senso e di un elementare gusto per la vita. O pensiamo – a un inferiore livello di coscienza letteraria – a certi personaggi della commedia dell’arte (l’astuto Arlecchino, l’insolente Brighella); oppure a quei veri e propri stereotipi che sono i personaggi della Disney creati da Carl Barks: l’avarissimo zio Paperone, il fortunato Gastone, il distratto (e un po’ tonto) Pippo; • individui: sono i personaggi più complessi, quelli caratterizzati in modo più ricco e approfondito. In questa categoria rientra la maggior parte dei protagonisti della narrativa e del teatro. In genere, la loro personalità, il loro sistema di valori, il loro atteggiamento nei confronti della vita evolvono nel corso della narrazione. Per esempio, nel dramma di Henrik Ibsen Casa di bambola, la protagonista, Nora, si presenta all’inizio come una moglie obbediente e una madre devota. Soltanto in un secondo momento il marito Helmer e lo spettatore scoprono che nasconde un segreto. La reazione violenta di Helmer fa sì che Nora prenda coscienza della propria inferiorità nel contesto familiare e di essere stata trattata per tutta la vita come una bambola. Decide perciò di abbandonare la famiglia e di vivere un’esistenza coerente con le sue convinzioni. LETTURA ESPERTA 1. Rileggi il brano di Saunders proposto all’inizio della lezione: riesci a individuare, pur nella sua brevità, tipi e individui? 2. Pensa ai libri o ai fumetti che hai letto, o ai film che hai visto: chi erano, in queste opere, i tipi e chi gli individui?

3. I personaggi

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Come sono i personaggi La presentazione dei personaggi può avvenire in modo

Mappa interattiva

diretto

descrizione del narratore o di un personaggio

indiretto

descrizione attraverso discorsi, gesti o parole del personaggio stesso

Esercizi interattivi

fisica La caratterizzazione dei personaggi può essere

psicologica socio-culturale ideologica

I personaggi possono essere I personaggi possono essere

dinamici statici

non cambiano

tipi

più semplici (stereotipi)

individui

VERIFICA LE CONOSCENZE 1. Scrivi una definizione sintetica dei seguenti concetti: a. individuo; b. tipo; c. caratterizzazione psicologica; d. aratterizzazione socio-culturale. 2. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. a. Spesso la descrizione fisica di un personaggio ci offre informazioni anche su alcuni tratti V F del suo carattere. b. Un tipo è un personaggio con un carattere V F sfaccettato e complesso. c. Un personaggio che si evolve nel corso V F della narrazione si definisce dinamico. V F d. Gli antagonisti sono personaggi statici. e. La caratterizzazione ideologica ci offre informazioni sul livello di istruzione e sulla classe V F sociale a cui un personaggio appartiene.

cambiano nel corso della storia

più complessi

3. Indica la risposta corretta. 1. La presentazione di un personaggio A deve avvenire all’inizio della narrazione. B può essere affidata al narratore o a un altro personaggio. C si limita alla sua caratterizzazione fisica. 2. La caratterizzazione ideologica di un personaggio riguarda A la sua concezione del mondo. B il contesto sociale a cui appartiene. C il suo aspetto esteriore.

ESERCITA LE COMPETENZE 4. Leggi il brano seguente, e indica quale tipo di caratterizzazione ha usato il narratore.

Era alta, magra, aveva soltanto un seno fermo e vigoroso da bruna – e pure non era più giovane – era pallida come se avesse sempre addosso la malaria, e su quel pallore due occhi grandi così, e delle labbra fresche e rosse, che vi mangiavano. (G. Verga, La Lupa, Feltrinelli, Milano 2022)

Per continuare a lavorare sulla presentazione e la caratterizzazione dei personaggi puoi leggere questi testi: G. Pontiggia, La perfezione. Venturini Ezio, p. 315, P. Levi, Ferro, p. 364, A. Ernaux, A scuola, p. 410, A.C. Doyle, Sherlock Holmes, p. 528, R. Chandler, Philip Marlowe, p. 532, D. Risi, Il dottor Maucci, p. 561, I. Asimov, Bugiardo!, p. 642. 114

Come funzionano i testi


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EMOZIONI

NOI E GLI ALTRI

Shirley Jackson

Colloquio

Audiolibro

Shirley Jackson (1916-1965) è stata un’importante autrice statunitense di racconti horror e di fantasmi, spesso ispirati dall’ambiente provinciale e claustrofobico di North Bennington, il villaggio del Vermont in cui Jackson ha vissuto per vent’anni con il marito e i figli. Il suo romanzo principale, L’incubo di Hill House (1959), è stato recentemente adattato come serie televisiva nella prima stagione di The Haunting (2018).

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Il dottore aveva un’aria competente e perbene. Mrs Arnold fu vagamente confortata dal suo aspetto, e si sentì un po’ meno agitata. Quando si sporse per farsi accendere la sigaretta capì che si era accorto che le tremava la mano, e fece un sorriso di scusa, ma lui la guardò serio. «Sembra turbata» disse gravemente. «Sono molto turbata» disse Mrs Arnold. Cercò di parlare con calma, con intelligenza. «È uno dei motivi per cui sono venuta da lei invece di andare dal dottor Murphy... il nostro medico abituale, cioè». Il dottore si accigliò lievemente. «Mio marito» proseguì Mrs Arnold. «Non voglio che sappia che sono inquieta, e forse il dottor Murphy avrebbe ritenuto necessario dirglielo». Il dottore annuì, senza compromettersi, notò Mrs Arnold. «Qual è, diciamo, il problema?». Mrs Arnold fece un respiro profondo. «Dottore,» disse «da cosa si capisce se uno sta diventando matto?». Il dottore alzò la testa. «Che stupida» disse Mrs Arnold. «Non volevo dire così. È già abbastanza difficile da spiegare, senza andare sul drammatico». «L’infermità mentale è più complicata di quel che pensa» disse il dottore. «Lo so che è complicata» disse Mrs Arnold. «Questa è la sola cosa di cui sono veramente sicura. L’infermità mentale è una delle cose che intendo». «Mi scusi?». «Il mio guaio è questo, dottore». Mrs Arnold si accomodò sulla sedia e tolse i guanti da sotto la borsetta, mettendoli sopra. Poi li prese e li rimise sotto la borsetta. «Me ne parli, liberamente» disse il dottore. Mrs Arnold sospirò. «Tutti gli altri capiscono, pare,» disse «e io no. Ecco». Si sporse e parlando gesticolò con la mano. «Non capisco come vive la gente. Una volta era tutto così semplice. Da bambina vivevo in un mondo dove vivevano anche tanti altri e tutti vivevano insieme e le cose andavano avanti così, tranquillamente». Guardò il dottore. Era di nuovo accigliato, e Mrs Arnold proseguì, alzando un poco la voce.

3. I personaggi

ARUTTEL AREBIL

Come parlano e come pensano i personaggi

LIBERA LETTURA

RACCONTO COMPLETO

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«Ecco. Ieri mattina mio marito andando in ufficio si è fermato a comprare il giornale. Compra sempre il “Times” e lo compra sempre dallo stesso giornalaio, e ieri il giornalaio non aveva una copia del “Times” per mio marito e iersera quando è tornato a casa per cena mio marito ha detto che il pesce era bruciato e che il dolce era troppo dolce e tutta la sera se ne è stato a parlare da solo». «Avrebbe potuto provare in un’altra edicola» disse il dottore. «Spesso nelle edicole in centro i giornali durano più che in quelle di zona». «No,» disse Mrs Arnold, adagio e spiccicando le parole «forse è meglio che ricominci daccapo. Quando ero bambina...» disse, e si fermò. «Senta,» disse «una volta c’erano, parole come medicina psicosomatica? O cartelli internazionali? O centralizzazione burocratica?». «Dunque» cominciò il dottore. «Che cosa significano?» incalzò Mrs Arnold. «In un periodo di crisi internazionale,» disse gentilmente il dottore «quando si ha, per esempio, una disgregazione dei modelli culturali...». «Crisi internazionale» disse Mrs Arnold. «Modelli». Cominciò a piangere in silenzio. «Mio marito ha detto che il giornalaio non aveva il diritto di non tenergli da parte una copia del “Times”» disse istericamente, frugandosi in tasca in cerca di un fazzoletto «e si è messo a parlare di programmazione sociale a livello locale e di reddito al netto dell’addizionale e di concetti geopolitici e di inflazione deflazionistica». La voce di Mrs Arnold si levò gemente. «Ha detto proprio inflazione deflazionistica». «Mrs Arnold,» disse il dottore, venendo al di qua della scrivania «questo non servirà a migliorare le cose». «E che cosa servirà?» disse Mrs Arnold. «Possibile che siano tutti pazzi tranne me?». «Mrs Arnold,» disse il dottore severamente «si controlli, la prego. In un mondo disorientato com’è oggi il nostro, spesso l’alienazione dalla realtà...». «Disorientato» disse Mrs Arnold. Si alzò. «Alienazione» disse. «Realtà». Prima che il dottore potesse fermarla andò alla porta, la aprì. «Realtà» disse, e uscì. (S. Jackson, Colloquio, tradotto dall'inglese da F. Salvatorelli, Adelphi, Milano 2007)

PRIMA LETTURA 1. Che cosa significa, secondo te, la storia del marito che la protagonista a un certo punto racconta al dottore? 2. Che tipo di persona è, secondo te, Mrs Arnold?

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Come funzionano i testi


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Come parlano e come pensano i personaggi

Le parole dei personaggi Come si esprimono i personaggi? L’autore ha a disposizione diverse strategie per riferire al lettore le loro parole, ma nella maggior parte dei casi si serve del discorso diretto, del discorso indiretto o del monologo, talvolta combinandoli tra loro.

Discorso diretto, discorso indiretto, monologo il discorso diretto Il discorso di un personaggio si definisce diretto se l’autore lo

riporta testualmente, così come è stato pronunciato. Il discorso diretto si definisce legato quando è introdotto dal verbo dire o da altri verbi dal significato simile (affermare, chiedere, rispondere… i cosiddetti verbi dichiarativi), seguiti da alcuni segni di punteggiatura caratteristici che introducono la citazione letterale (in genere i due punti seguiti dalle virgolette o da un trattino). Il racconto di Shirley Jackson è costruito sul dialogo tra un dottore e la sua paziente. Per riferire il loro colloquio, l’autrice ricorre prevalentemente al discorso diretto legato, come puoi osservare rileggendo questo scambio di battute: «Che stupida» disse Mrs Arnold. «Non volevo dire così. È già abbastanza difficile da spiegare, senza andare sul drammatico». «L’infermità mentale è più complicata di quel che pensa» disse il dottore. «Lo so che è complicata» disse Mrs Arnold.

Il discorso diretto si definisce invece libero se le parole dei personaggi sono riportate direttamente, senza essere introdotte da alcun verbo dichiarativo, ma soltanto dalle virgolette o dai trattini. Come abbiamo già osservato, in Colloquio prevale il discorso diretto legato, ma talvolta l’autrice ricorre anche al discorso diretto libero, come in questo caso: «Mi scusi?». «Il mio guaio è questo, dottore».

Talvolta, il discorso diretto libero non è delimitato neanche dai segni di interpunzione caratteristici di cui abbiamo parlato, ma interrompe bruscamente la voce narrante, come accade in questo brano del romanzo di Antonio Fogazzaro Piccolo mondo antico, nel quale sembra di sentir parlare il protagonista, indignato per essere stato diseredato dalla nonna a causa del suo matrimonio segreto con la popolana Luisa: Adesso cominciava a vederci chiaro. Non poteva servirsi con dignità di quel testamento disonorante per la nonna nella forma e nella sostanza […] No, mai. Conveniva dire al professore di bruciare tutto. Così, signora nonna, trionferò di te: facendoti grazia della roba e dell’onore senza curarmi di dirtelo! Assaporandosi questo proposito, Franco si sentì quasi alzar da terra. (A. Fogazzaro, Piccolo mondo antico, Mondadori, Milano 2020)

3. I personaggi

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In questo caso, si riconosce il discorso diretto libero grazie al passaggio dalla terza alla prima persona singolare e al cambiamento di tempo verbale (dall’imperfetto al futuro semplice). LETTURA ESPERTA 1. Nel racconto di Shirley Jackson che hai letto all’inizio della lezione sottolinea tutti i verbi che introducono il discorso diretto legato, e cerchia i segni interpuntivi che aprono e chiudono le battute di discorso diretto libero. Secondo te, la scelta dell’autrice di alternare le due tipologie di discorso diretto è casuale o intenzionale?

il discorso indiretto Il discorso di un personaggio si definisce indiretto se è riportato e riformulato dal narratore e non è delimitato dai segni interpuntivi caratteristici del discorso diretto. Anche il discorso indiretto può essere definito legato, se le parole dei personaggi sono introdotte da verbi dichiarativi, come in questo brano:

Anna disse che doveva andar via, doveva prepararsi la valigia perché l’indomani partiva. Lui la pregò di restare ancora un momento, le voleva dire ancora una cosa, Anna aspettò col cuore che batteva forte. Lui si scacciò via il ciuffo dalla fronte e le chiese se l’aveva fatta molto soffrire, adesso anche lui aveva sofferto e sapeva cos’era, sapeva d’essere stato molto crudele con lei. No, Anna disse, no. (N. Ginzburg, Tutti i nostri ieri, Einaudi, Torino 2014)

Il discorso indiretto si definisce invece libero se le parole dei personaggi sono riportate in terza persona dal narratore, che assume il punto di vista di un personaggio, favorendo così l’immedesimazione da parte del lettore. Il discorso indiretto libero conserva i costrutti sintattici, lo stile informale e il lessico colloquiale (o perfino dialettale e gergale) tipici del parlato. Leggiamo per esempio questo brano tratto dai Malavoglia (1881) di Giovanni Verga: La Zuppidda ne aveva le tasche piene di quel fare melato della Santuzza, che persino la Signora si voltava a discorrere con lei, colla bocca stretta, senza badare agli altri, con que’ guanti che pareva avesse paura di sporcarsi le mani, e stava col naso arricciato, come se tutte le altre puzzassero peggio delle sardelle, mentre chi puzzava davvero era la Santuzza, di vino e di tante altre porcherie, con tutto l’abitino color pulce che aveva indosso, e la medaglia di Figlia di Maria sul petto prepotente, che non voleva starci. (G. Verga, I Malavoglia, Feltrinelli, Milano 2014) Edward Hopper, Conferenza di notte, 1949, Wichita (Kansas), Wichita Art Museum.

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Come funzionano i testi


È come se a parlare non fosse l’autore, ma il personaggio soprannominato Zuppidda, una paesana pettegola e maligna. Per ottenere questo effetto, l’autore omette i verbi dichiarativi, ricorre a similitudini e a immagini proprie del mondo di pescatori da cui il personaggio proviene («come se tutte le altre puzzassero peggio delle sardelle»), imita la sintassi propria del parlato e ricorre a formule enfatiche. Il discorso indiretto libero può essere utilizzato anche per riportare i pensieri dei personaggi. Nell’esempio che segue Jane Austen interrompe bruscamente la narrazione degli eventi per riferire al lettore i pensieri tumultuosi di Elizabeth, la protagonista di Orgoglio e pregiudizio (1813), che rimugina sull’incontro inaspettato con il presuntuoso e arrogante signor Darcy nella tenuta di Pemberley: Allora gli altri la raggiunsero, e manifestarono la loro ammirazione per il suo aspetto, ma Elizabeth non sentì una parola e, tutta presa dalle proprie sensazioni, li seguì in silenzio. Era sopraffatta dalla vergogna e dall’irritazione. Essere andata lì era stata la cosa più infelice, la più sconsiderata al mondo! Come doveva essergli sembrato strano! Come avrebbe potuto non restarne colpito un uomo così presuntuoso! Poteva sembrare come se lei si fosse di proposito rimessa sulla sua strada! Oh! perché era venuta? o anche, perché lui era arrivato in questo modo, un giorno prima del previsto? […] Continuava ad avvampare ripensando a quell’incontro così disgraziato. (J. Austen, Orgoglio e pregiudizio, Einaudi, Torino 2014)

il monologo Il termine monologo deriva dal greco mònos, “solo”, e lògos, “discorso”.

Con quest’espressione si indica il discorso con cui un personaggio si rivolge a un interlocutore che lo ascolta senza tuttavia intervenire. Nei Fratelli Karamazov (1879) di Fëdor Dostoevskij, ad esempio, Ivan si rivolge al fratello Aleksej, che si è fatto monaco, per spiegargli le sue idee circa il potere temporale della chiesa. Per sostenere il suo punto di vista, racconta una leggenda allegorica di sua invenzione, la cosiddetta “Leggenda del grande inquisitore”, mentre il fratello resta in ascolto fino alla fine del discorso, che finisce così per trasformarsi in un monologo.

I pensieri dei personaggi Soliloquio, flusso di coscienza e monologo interiore In che modo l’autore può riferirci i pensieri dei personaggi che ha creato? Anche in questo caso ha diverse opzioni tra cui scegliere. il soliloquio L’autore può riportare le riflessioni che un personaggio fa tra sé e

sé o che rivolge a un interlocutore immaginario attraverso il soliloquio, come in questo passo del Giorno della civetta (1961) di Leonardo Sciascia, in cui il capitano Bellodi riflette sul ruolo delle banche nell’amministrazione del denaro “sporco” e sui rapporti tra mafia e politica: “Questo è il punto” pensò il capitano “su cui bisognerebbe far leva. È inutile tentare di incastrare nel penale un uomo come costui: non ci saranno mai prove sufficienti, il silenzio degli onesti e dei disonesti lo proteggerà sempre […]. Bisognerebbe, di colpo, piombare sulle banche; mettere mani esperte nelle contabilità, generalmente a doppio fondo, delle grandi e delle piccole aziende; revisionare i catasti. E tutte quelle volpi, vecchie e nuove, che stanno a sprecare il loro fiuto dietro le idee politiche o le tendenze

3. I personaggi

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o gli incontri dei membri più inquieti di quella grande famiglia che è il regime, e dietro i vicini di casa della famiglia, e dietro i nemici della famiglia, sarebbe meglio si mettessero ad annusare intorno alle ville, le automobili fuori serie, le mogli, le amanti di certi funzionari: e confrontare quei segni di ricchezza agli stipendi, e tirarne il giusto senso. (L. Sciascia, Il giorno della civetta, Adelphi, Milano 2002)

il flusso di coscienza Con questa tecnica narrativa l’autore può registrare i pensieri

dei personaggi così come scorrono nella loro mente, secondo un ordine apparentemente incoerente e casuale. Il flusso di coscienza simula la rapidità e la caoticità del flusso dei pensieri e si caratterizza per l’assenza di punteggiatura, la sintassi irregolare e sconnessa, il salto da un argomento all’altro senza un chiaro legame logico. Uno degli esempi più noti di questa tecnica, a cui gli scrittori hanno fatto ricorso a partire dalla fine dell’Ottocento, si trova all’inizio del romanzo La signora Dalloway di Virginia Woolf. La protagonista, Clarissa Dalloway, si immerge nel fiume dei suoi ricordi mentre passeggia per le strade di Londra in cerca dei fiori per la festa che sta organizzando: La signora Dalloway disse che i fiori li avrebbe comperati lei. Quanto a Lucy aveva già il suo daffare. Si dovevano togliere le porte dai cardini; gli uomini di Rumpelmayer sarebbero arrivati tra poco. E poi, pensò Clarissa Dalloway, che mattina – fresca come se fosse stata appena creata per dei bambini su una spiaggia. Che gioia! Che terrore! Sempre aveva avuto questa impressione, quando con un leggero cigolio dei cardini, lo stesso che sentì proprio ora, a Bourton spalancava le persiane e si tuffava nell’aria aperta. Com’era fresca, calma, più ferma di qui, naturalmente, l’aria la mattina presto, pareva il tocco di un’onda, il bacio di un’onda; fredda e pungente, e (per una diciottenne com’era lei allora) solenne, perché in piedi di fronte alla finestra aperta, lei aveva allora la sensazione che sarebbe successo qualcosa di tremendo, mentre continuava a fissare i fiori, e gli alberi che emergevano dalla nebbia che a cerchi si sollevava fra le cornacchie in volo. E stava lì e guardava, quando Peter Walsh disse: “In meditazione tra le verze?” Disse così? O disse: “Io preferisco gli uomini ai cavoli”? Doveva averlo detto a colazione una mattina che lei era uscita sul terrazzo – Peter Walsh. (V. Woolf, La signora Dalloway, Feltrinelli, Milano2013)

il monologo interiore Questa tecnica ri-

produce i pensieri dei personaggi nella successione spontanea in cui si affacciano alla loro mente, ma, a differenza del flusso di coscienza, rispetta le regole sintattiche e conserva un’interna coerenza. Generalmente, la narrazione è in prima persona e al tempo presente e non prevede alcun intervento o commento da parte del narratore. Nell’esempio che segue Renzo, il protagonista dei Promessi sposi di Alessandro Manzoni, riflette tra sé e sé sulle disavventure a cui è andato incontro mentre si trovava a Milano: Glyn Warren Philpot, Lady Melchett, 1935. Collezione privata.

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Come funzionano i testi


Andava dunque dove la strada lo conduceva; e pensava. – Io fare il diavolo! Io ammazzare tutti i signori! Un fascio di lettere, io! I miei compagni che mi stavano a far la guardia! Pagherei qualche cosa a trovarmi a viso a viso con quel mercante, di là dall’Adda (ah quando l’avrò passata quest’Adda benedetta!), e fermarlo, e domandargli con comodo dov’abbia pescate tutte quelle belle notizie… (A. Manzoni, I promessi sposi, Petrini, Milano, 2018)

LETTURA ESPERTA 1. Adesso conosci le tecniche per riportare le parole e i pensieri dei personaggi. Prova a riscrivere Colloquio, il racconto che hai letto in apertura di lezione, alternando alle battute di dialogo i pensieri del medico e della sua paziente in forma di flusso di coscienza o di monologo interiore.

Mappa interattiva

Come riportare le parole dei personaggi

Come parlano e come pensano i personaggi

Esercizi interattivi

discorso diretto

legato

discorso indiretto

legato

Come riportare

libero

dei personaggi

soliloquio

libero

i pensieri

flusso di coscienza monologo interiore

monologo

VERIFICA LE CONOSCENZE

ESERCITA LE COMPETENZE

1. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. a. Il discorso diretto si definisce legato se le parole pronunciate da un personaggio V F sono introdotte da verbi dichiarativi.

4. Riscrivi il brano seguente trasformando i discorsi indiretti in discorsi diretti.

b. Monologo e soliloquio sono la stessa cosa.

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F

2. Quale tra le seguenti tecniche narrative può essere utilizzata per comunicare al lettore i pensieri di un personaggio?

Sotto la luna e le colline nere Nuto una sera mi domandò com’era stato imbarcarmi per andare in America, se ripresentandosi l’occasione e i vent’anni l’avrei fatto ancora. Gli dissi che non tanto era stata l’America quanto la rabbia di non essere nessuno, la smania, più che di andare, di tornare un bel giorno dopo che tutti mi avessero dato per morto di fame. (C. Pavese, La luna e i falò, Einaudi, Torino 1950)

A Il flusso di coscienza. B Il discorso diretto libero. C Il discorso diretto legato. 3. Completa le seguenti frasi: a. Il discorso diretto può essere libero o …………………………………………………… b. Si definisce monologo il discorso che un personaggio rivolge a ……………………………………………………

Per continuare a lavorare sul modo in cui vengono riportati parole e pensieri dei personaggi puoi leggere questi testi: A. Djebar, Giorno di Ramadan, p. 297, J. Joyce, Il coraggio di Stephen, p. 302, G. Falco, Bussare alle porte degli sconosciuti, p. 380, H. Murakami, Vedendo una ragazza perfetta al 100%, in una bella mattina di aprile, p. 397, L. Sciascia, Gioco di società, p. 517.

3. I personaggi

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L GU ETT ID UR AT A A

EMOZIONI

Stendhal

ORIENTAMENTO Audiolibro

Julien leggeva

Lettura interattiva

STENDHAL (Grenoble, 1783 – Parigi, 1842) Stendhal, o, per chiamarlo con il suo vero nome, Henri Beyle nasce in una famiglia borghese e trascorre l’infanzia e la prima giovinezza a Grenoble, una piccola città del sud della Francia. Rimasto orfano di madre quand’era ancora un bambino, cresce con suo padre, che disprezza tanto quanto la vita di provincia che è costretto a vivere. Infatti, a soli sedici anni lascia Grenoble e la sua famiglia per trasferirsi nella capitale, Parigi, piena di opportunità per un ragazzo ambizioso come lui. L’anno seguente – è il 1800 – si arruola nell’esercito al comando di Napoleone Bonaparte. Il giovane Henri è un uomo d’azione: ama le donne, i viaggi e il combattimento, non pensa ancora a scrivere. Ha poco più di trent’anni quando la sconfitta di Napoleone nella battaglia di Waterloo stronca la sua carriera militare. Costretto ad abbandonare l’esercito, si stabilisce in Italia e, in mancanza di alternative, inizia a scrivere. E scrive capolavori. Il protagonista del primo, Il rosso e il nero (1830), si chiama Julien ed è un Henri con qualche anno di meno: detesta suo padre, sogna una vita migliore e Napoleone è il suo eroe, anche se non lo ha mai conosciuto di persona. La scalata di Julien verso il successo finirà tragicamente. Qualche anno dopo, Stendhal pubblica La certosa di Parma (1839), un romanzo ambientato in Italia. Il personaggio principale, Fabrizio Del Dongo, ha combattuto a Waterloo come volontario nell’esercito napoleonico e, dopo la sconfitta, è stato esiliato a Parma, dove è conteso da due donne innamorate di lui.

L’inizio del romanzo Il rosso e il nero è ambientato in una città immaginaria della provincia francese, Verrières, dove vivono alcuni dei personaggi principali. Tra questi c’è il sindaco, il signor de Rênal, che vorrebbe assumere il protagonista, Julien, come insegnante privato per i suoi figli, perché è uno dei pochi abitanti della città ad aver studiato e a conoscere il latino. Il signor de Rênal chiede il permesso di assumerlo al padre di Julien, il signor Sorel. Quest’ultimo va a cercare suo figlio nella segheria di famiglia per riferirgli la proposta del sindaco.

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Avvicinandosi alla segheria, papà Sorel chiamò Julien con la sua voce stentorea1. Nessuna risposta. Vide solo i figli maggiori, sorta di giganti che, con una grossa ascia, squadravano i tronchi di abete2 che poi avrebbero trasportato alla segheria. Concentrati a seguire con precisione il segno nero sul tronco, da cui ogni colpo d’ascia staccava enormi frammenti, non udirono la voce del padre. Questi si diresse al capannone; entrando, cercò invano Julien là dove avrebbe dovuto stare, cioè vicino alla sega. L’avvistò cinque o sei piedi3 più in alto, a cavalcioni su una trave del tetto.

1. stentorea: forte, potente. 2. squadravano i tronchi di abete: lavoravano il legno per ridurlo a sezione quadra, cioè in forma di parallelepipedo.

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Come funzionano i testi

La presentazione di papà Sorel e dei suoi figli maggiori si concentra sulla loro forza fisica, che si manifesta nella voce «stentorea», cioè alta e potente, del padre, e nella corporatura imponente dei figli maggiori. Queste caratteristiche rendono ancora più evidente il contrasto con il figlio minore, Julien, che è molto diverso dai suoi familiari sia dal punto di vista fisico sia da quello caratteriale.

3. piede: unità di misura oggi usata soltanto nel Regno Unito e, con minime variazioni, negli Stati Uniti. Corrisponde a poco più di trenta centimetri.


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4. Leggili di sera… dal parroco: Julien trascorre le serate dal parroco Chélan, che gli insegna latino e teologia. 5. pertica: asta di legno. 6. rudemente: in modo brusco.

La prima volta che lo incontriamo, Julien sta leggendo. Questa informazione è particolarmente utile a caratterizzare il personaggio: a differenza dei suoi fratelli, impegnati nel lavoro manuale così come il padre si aspetta da loro, Julien è immerso nella lettura e trascura il compito che gli è stato assegnato. I suoi interessi sono distanti da quelli della sua famiglia e il ragazzo li coltiva anche di nascosto, nonostante i rimproveri del padre. Il signor Sorel disprezza suo figlio per la sua «corporatura snella», inadatta ai lavori manuali che sarebbe destinato a svolgere, essendo nato in una famiglia di taglialegna e in una società in cui era difficile intraprendere una professione diversa da quella dei propri genitori. La debolezza fisica di Julien è il primo tratto che lo distingue in modo evidente dai suoi fratelli, molto più adatti di lui a lavorare nella segheria. Ma a irritare papà Sorel è soprattutto l’amore di Julien per la lettura, una mania odiosa che egli interpreta come un gesto di aperta ribellione nei suoi confronti, e che lo fa sentire inferiore: lui, infatti, è analfabeta. Julien è così preso dalla lettura che sulle prime non sente neppure la voce di suo padre. La reazione di papà Sorel è violenta. Il signor Sorel considera gli studi del figlio una perdita di tempo, perché impediscono a Julien di lavorare e di rendersi utile nella segheria. Julien soffre più per aver perso il libro che stava leggendo che per le botte. Il libro caduto nel torrente è il Memoriale di Sant’Elena, che raccoglie i ricordi e le riflessioni di Napoleone all’epoca dell’esilio: il libro simboleggia il desiderio di riscatto di Julien, e la sua ammirazione per il grande generale francese. Per questo gli è così caro.

7. Il Memoriale di Sant’Elena: il Memoriale di Sant’Elena contiene ricordi e pensieri di Napoleone Bonaparte raccolti da Emmanuel de Las Cases durante l’esilio dell’imperatore sull’isola di Sant’Elena. Il libro, pubblicato nel 1823, ebbe uno straordinario successo di pubblico.

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LETTURA GUIDATA

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Invece di sorvegliare con attenzione il funzionamento della macchina, Julien leggeva. Era la cosa che più irritava il vecchio Sorel; forse avrebbe perdonato a Julien la sua corporatura snella, poco idonea ai lavori pesanti, e così diversa da quella dei fratelli maggiori; ma la mania della lettura gli era odiosa: lui non sapeva leggere. Invano chiamò Julien due o tre volte. L’attenzione che prestava al libro, più che il rumore, impedì al ragazzo di sentire la terribile voce di suo padre. Che alla fine, nonostante l’età, saltò agilmente sul tronco sottoposto all’azione della sega, e da lì sulla trave che reggeva il tetto. Un violento ceffone fece volare nel torrente il libro che Julien teneva in mano; un secondo scappellotto sulla testa, altrettanto violento, gli fece perdere l’equilibrio. Sarebbe caduto da un’altezza di dodici o quindici piedi, tra le leve della macchina in moto, che l’avrebbero stritolato, se suo padre non l’avesse trattenuto con la mano sinistra. – Ma insomma, fannullone! Devi sempre leggere i tuoi maledetti libri mentre stai di guardia alla sega? Leggili di sera, almeno, quando vai a perdere tempo dal parroco4. Julien, benché stordito dalla violenza del colpo, e sanguinante, si avvicinò al suo posto, accanto alla sega. Aveva le lacrime agli occhi, non tanto per il dolore fisico quanto per aver perso il libro che adorava. – Scendi, bestia, che ti devo parlare –. Il rumore della macchina impedì di nuovo a Julien di sentire quell’ordine. Suo padre, che era sceso, e non aveva nessuna voglia di risalire, andò a prendere una lunga pertica5 per scrollare le noci, e lo colpì sulla spalla. Non appena Julien fu a terra, il vecchio Sorel lo spinse rudemente6 davanti a sé, verso casa. «Sa Iddio cosa mi farà!» si diceva il ragazzo. Passando, guardò con tristezza il torrente dove era caduto il libro; era quello a cui era più affezionato, il Memoriale di Sant’Elena7.


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Aveva le guance rosse e gli occhi bassi. Era un ragazzo di diciotto o diciannove anni, debole in apparenza, dai lineamenti irregolari ma delicati, e con il naso aquilino. I grandi occhi neri, che quando era tranquillo rivelavano riflessione e ardore, in quel momento erano animati dall’espressione dell’odio più feroce. I capelli castano scuro, dall’attaccatura bassa, gli facevano la fronte piccola e, quando era in collera, gli davano un’aria di cattiveria. Tra le infinite varietà della fisionomia umana non ce n’è forse un’altra che presenti una caratteristica più sconcertante. La corporatura snella e ben fatta rivelava più agilità che vigore8. Fin dall’adolescenza la sua aria molto pensierosa e il suo grande pallore avevano fatto pensare al padre che non sarebbe vissuto a lungo, o sarebbe stato di peso alla famiglia. Schernito da tutti, in casa, odiava i fratelli e il padre; la domenica, nei giochi in piazza, veniva sempre sconfitto. Da meno di un anno, il suo bel viso cominciava a procurargli qualche simpatia tra le ragazze.

Questa sequenza descrittiva completa la presentazione fisica e psicologica di Julien, in parte anticipata da alcune informazioni introdotte nei paragrafi precedenti. In queste righe scopriamo che il protagonista, fin da bambino, è stato deriso e umiliato dai familiari a causa della sua debolezza. Per questo, il suo cuore è pieno di odio («I grandi occhi neri […] erano animati dall’espressione dell’odio più feroce»; «odiava i fratelli e il padre»). I tratti delicati del suo viso e l’aria pensierosa lo fanno sembrare estraneo al mondo a cui appartiene.

Nel capitolo successivo, il narratore rievoca l’infanzia di Julien per chiarire al lettore l’origine dell’ipocrisia del ragazzo.

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Sin dalla più tenera età, vedendo alcuni dragoni del 6°9, con i lunghi mantelli bianchi e gli elmetti ornati di pennacchi neri, che di ritorno dall’Italia10 legavano i cavalli all’inferriata di una finestra della casa di suo padre, si era follemente innamorato della carriera militare. […] Ma quando Julien aveva quattordici anni, a Verrières cominciarono a costruire una chiesa che si può definire magnifica per una città così piccola. Furono soprattutto quattro colonne di marmo a colpire Julien: divennero celebri in tutta la regione perché suscitarono un odio mortale tra il giudice di pace e il giovane viceparroco, mandato da Besançon, che aveva fama di essere una spia della Congregazione11. Il giudice di pace rischiò di perdere il posto12, o per lo meno così pensavano tutti. Non aveva forse osato scontrarsi con un prete che quasi ogni quindici giorni andava a Besançon, dove – a quanto si diceva – incontrava monsignor vescovo? […]

8. vigore: forza fisica, resistenza. 9. dragoni del 6°: i cavalieri dell’esercito napoleonico appartenenti al 6° reggimento. 10. di ritorno dall’Italia: allude alle spedizioni napoleoniche in Italia negli anni 1796-1797.

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Come funzionano i testi

Julien comincia a essere attratto dalla vita militare «sin dalla più tenera età», ma durante l’adolescenza comprende il potere esercitato dagli uomini di chiesa, la cui influenza è tale da mettere in pericolo addirittura la carriera di un giudice.

11. Congregazione: la Congregazione della Santa Vergine, un’istituzione ecclesiastica molto influente in Francia negli anni successivi alla caduta di Napoleone. 12. Il giudice di pace rischiò di perdere il posto: il giudice cerca di opporsi allo strapotere del clero.


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All’improvviso Julien smise di parlare di Napoleone; annunciò che intendeva farsi prete, e nella segheria del padre lo si vide costantemente impegnato a imparare a memoria una Bibbia in latino che gli aveva prestato il parroco. Quel buon vecchio, stupefatto dai suoi progressi, passava intere serate a insegnargli la teologia. Di fronte a lui Julien manifestava solo sentimenti di devozione. Chi avrebbe potuto indovinare che quel volto da fanciulla, così pallido e così dolce, nascondesse la determinazione incrollabile a rischiare mille volte la vita pur di fare fortuna? Per Julien fare fortuna significava innanzitutto andarsene da Verrières; aborriva13 il suo luogo natale. Tutto ciò che vedeva raggelava la sua immaginazione. Fin dalla prima infanzia aveva avuto momenti di esaltazione. Allora si beava14 al pensiero che un giorno sarebbe stato presentato alle belle donne di Parigi; sarebbe riuscito a mettersi in luce con qualche azione clamorosa. Perché una di loro non avrebbe dovuto amarlo, come Bonaparte, ancora povero, era stato amato dalla brillante signora de Beauharnais15? Da molti anni Julien non aveva quasi passato un’ora della sua vita senza dirsi che Bonaparte, oscuro tenente privo di risorse, era diventato padrone del mondo con la spada. Questa idea lo consolava delle sue disgrazie, che riteneva grandi, e raddoppiava la sua gioia quando ne aveva una. La costruzione della chiesa e le sentenze del giudice di pace lo folgorarono; gli venne un pensiero che lo fece come impazzire per qualche settimana, e alla fine si impadronì di lui con la prepotenza della prima idea che un animo focoso crede di avere inventato. «Quando Bonaparte fece parlare di sé, la Francia temeva di essere invasa; il valore militare serviva ed era di moda. Oggi si vedono preti che, a quarant’anni, guadagnano centomila franchi, il triplo dei celebri generali di divisione di Napoleone. Hanno bisogno di collaboratori. Quel giudice di pace, tanto saggio, tanto perbene fino a questo momento, ecco che si disonora per paura di dispiacere a un viceparroco di trent’anni. Bisogna farsi prete». Una sola volta, nel pieno della sua nuova devozione – studiava teologia già da due anni –, Julien fu tradito dal prorompere dell’ardore che gli divorava l’animo16. Accadde

13. aborriva: detestava, odiava. 14. si beava: godeva, era felice. 15. signora de Beauharnais: Giuseppina Beauharnais, prima

Julien prende la decisione di farsi prete in modo improvviso: non per un’autentica vocazione ma per calcolo. Emerge qui un altro aspetto del carattere di Julien, l’opportunismo. L’aspetto pallido e mite del ragazzo, che in passato era stato motivo di scherno e umiliazioni, in queste nuove circostanze si trasforma in un punto di forza, perché gli permette di ingannare il parroco e di convincerlo della bontà delle sue intenzioni. L’ambizione senza scrupoli di Julien è dissimulata dalle sue apparenze innocue, quasi «da fanciulla». Proprio come Stendhal, anche Julien desidera allontanarsi dalla cittadina di provincia in cui è nato, dove non gli è possibile realizzare i suoi sogni di gloria. Julien sogna di seguire le orme di Napoleone, che come lui era nato in una famiglia povera ed era partito dai livelli più bassi della carriera militare ma, grazie alla sua bravura e alla sua intelligenza, era riuscito a farsi strada e a diventare «padrone del mondo». Questo paragrafo rivela al lettore il ragionamento che ha indotto Julien a mettere da parte i sogni che coltivava da bambino: Julien capisce che le circostanze storiche sono cambiate, e che la carriera ecclesiastica è ormai più promettente di quella militare.

moglie di Napoleone, fu imperatrice dei francesi dal 1804 al 1809. 16. prorompere dell’ardore… l’animo: cioè da un eccesso di entusiasmo.

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a casa di don Chélan; a una cena di preti, durante la quale il buon parroco l’aveva presentato come un pozzo di scienza, gli capitò di tessere l’elogio appassionato di Napoleone. Si legò il braccio destro al petto, disse di esserselo slogato spostando un tronco di abete, e lo tenne per due mesi in quella scomoda posizione. Dopo questa punizione corporale si perdonò. Ecco chi era il ragazzo di diciannove anni, ma in apparenza debole, e con l’aria di averne al massimo diciassette, che con un fagottino sotto il braccio entrava nella magnifica chiesa di Verrières.

Julien non riesce a nascondere la sua ammirazione per Napoleone, e quest’ingenuità rischia di compromettere la sua carriera ecclesiastica. Per questo si punisce: se vuole realizzare i suoi obiettivi, dev’essere in grado di non manifestare ciò che pensa e che prova davvero.

(Stendhal, Il rosso e il nero, tradotto dal francese da M. Botto, Einaudi, Torino 2014)

PRIMA LETTURA 1. Il padre di Julien non comprende il suo impegno nello studio, la sua passione per i libri. Non sempre i nostri genitori approvano le nostre ambizioni e assecondano i nostri desideri. Quando hai scelto di iscriverti alla scuola che frequenti, sei stato/a influenzato/a dalle aspettative della tua famiglia o hai deciso liberamente? 2. Credi che le opinioni dei tuoi genitori potrebbero condizionare le tue scelte future?

Nel testo LEGGERE E COMPRENDERE 1. Perché papà Sorel non sopporta che Julien passi il tempo a leggere? 2. Come mai gli occhi di Julien sono animati dall’«odio più feroce»? 3. Quale evento insolito accade a Verrières? 4. Secondo Julien, qual è la prima cosa da fare per migliorare la propria condizione sociale? 5. Qual è il modello a cui si ispira Julien? RIFLETTERE SULLA LINGUA 6. Individua nel testo almeno tre metafore e spiega il loro significato. 7. lessico Sottolinea nel racconto tutti gli aggettivi utilizzati per descrivere Julien e sostituiscili con dei sinonimi. ANALIZZARE 8. Julien e suo padre sono molto diversi. Sottolinea nel testo con due colori diversi tutti i termini e le espressioni che servono a caratterizzare i due personaggi dal punto di vista fisico, psicologico, socioculturale e ideologico. Ritieni che Julien sia un tipo o un individuo? E suo padre?

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Come funzionano i testi

9. La presentazione di Julien è diretta o indiretta? Motiva la tua risposta.

Oltre il testo SCRIVERE 10. eMoZioNi Riscrivi dal punto di vista di Julien il momento in cui viene sorpreso dal padre a leggere. Soffermati sui suoi pensieri, sulla sua passione per la lettura, sul suo odio per il lavoro fisico e sui suoi sentimenti per il padre. 11. scrittura creativa Scrivi un dialogo tra Julien e uno dei suoi fratelli sottolineando il contrasto tra le loro personalità e i loro interessi. PARLARE 12. eDucaZioNe civica orieNtaMeNto Julien è un ragazzo ambizioso e senza scrupoli, pronto a tutto pur di raggiungere il successo. Pensi che l’ambizione sia un pregio o un difetto? Ti consideri una persona ambiziosa? Secondo te, è giusto o comunque accettabile rinnegare i propri princìpi morali per avere successo? E sacrificare le altre persone? Discutetene in classe.


AMORE E AMICIZIA

ORIENTAMENTO

Trish Cook

Audiolibro

Una ragazza come tante TRISH COOK (1967) è una scrittrice statunitense specializzata nella narrativa per giovani adulti (young adult è oggi il nome di un vero e proprio genere letterario) e nel ghostwriting, ossia la scrittura di libri e articoli che vengono poi pubblicati con la firma di un’altra persona. I temi che affronta sono quelli che riscuotono maggiore interesse tra gli adolescenti: la scoperta dell’amore e del sesso, i rapporti con i genitori, la costruzione della personalità, il rapporto con i coetanei. Il sole a mezzanotte, da cui è tratto il brano che abbiamo antologizzato, è il suo romanzo più noto (ne è stato tratto anche un film con Bella Thorne). Katie Price è una ragazza come tante: ha diciassette anni, è iscritta all’ultimo anno delle scuole superiori, suona la chitarra e ha una cotta per un compagno di scuola, Charlie Reed, che non sa nemmeno che lei esiste. Eppure, qualcosa la distingue dalle sue coetanee: una malattia rarissima le impedisce di esporsi ai raggi del sole. Se lo facesse rischierebbe la vita. Per questo, durante il giorno, vive reclusa in casa, studiando con l’aiuto di suo padre. La vita vera per Katie incomincia al tramonto, quando finalmente può uscire a suonare le sue canzoni per strada e nelle stazioni dei treni, dove una sera, per caso, incontrerà proprio Charlie.

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Ciao! Mi chiamo Katie Price. Magari vista da fuori – per esempio dalle finestre di casa mia, anche se è impossibile dato che ci sono speciali vetri oscuranti per bloccare qualunque spiraglio di raggi UV – potrei sembrarvi una patetica ragazzina malata che se ne sta affacciata a guardare la vita scorrerle davanti, ma in realtà non sono diversa dai miei coetanei, salvo per il “piccolo” particolare che non posso uscire di giorno. Suono la chitarra, scrivo canzoni e poesie, e canto benissimo sotto la doccia. Ho una passione per l’astronomia e da grande vorrei fare l’astrofisica. Detesto i cavolini di Bruxelles, adoro la cucina cinese, penso che i carlini siano i più bei cani al mondo e ho il terrore dei ragni. Morgan, la mia migliore amica – diciamola tutta: la mia unica amica nella vita vera (detta così mette proprio tristezza, vero?) –, è una che spacca. E di certo vi spaccherà la faccia se non siete d’accordo. Ah, giusto, poi ci sarebbe anche da dire che ho una cotta tremenda per Charlie Reed. È da quando mi hanno diagnosticato l’XP1 in prima elementare, e trascorro le mie giornate esiliata in casa, che lo osservo passare qui davanti mentre va a scuola. Aspettarlo alla finestra è ormai parte della mia routine, insieme alle frequenti visite dal dottore, al fatto di dormire di giorno e stare sveglia di notte (che a quanto pare è il sogno di tutti quelli della mia età) e suonare. In settimana, Charlie è l’ultima persona che vedo prima di andare a letto la mattina e la prima quando mi sveglio il pomeriggio. Mentre io dormo lui va a scuola e poi agli allenamenti di nuoto. Fa la sua perfetta vita assolutamente normale. L’ho letteralmente visto crescere e farsi sempre più carino sotto i miei occhi. Adesso frequenta l’ultimo anno delle superiori, è alto e magro, con bellissimi capelli lisci e uno sguardo che scioglierebbe un iceberg più in fretta del riscaldamento globale. L’unico ostacolo alla nostra meravigliosa storia 1. XP: sono le iniziali della malattia genetica di cui soffre Katie, lo xeroderma pigmentoso.

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SENSO DELLA VITA

VE PER RI LA FIC A

Fëdor Dostoevskij

Sono un uomo cattivo

Audiolibro

FËDOR DOSTOEVSKIJ (Mosca, 1821 – San Pietroburgo, 1881) Qualcuno ha detto che Dostoevskij scrive delle tragedie calandole nella forma del romanzo. Di fatto, come accade nelle tragedie, i suoi racconti e i suoi romanzi ruotano attorno a violenti conflitti ideali che spesso diventano conflitti sanguinosi, fino all’omicidio, come accade nei capolavori dello scrittore: Delitto e castigo, I fratelli Karamazov e soprattutto I demòni, che racconta le trame e i delitti di un’organizzazione terroristica nella Russia degli zar. Nato a Mosca nel 1821 in una famiglia benestante, Fedor Michajlovič Dostoevskij si diploma come ingegnere nel 1843, ma decide quasi subito di dedicarsi alla letteratura. Nel 1848 conosce Michail Petraševskij, animatore di un circolo di intellettuali che s’ispira al pensiero del socialista Francois Fourier. Dostoevskij non ha lo spirito di un rivoluzionario, ma frequenta le riunioni e si dichiara favorevole all’abolizione della servitù della gleba e a provvedimenti contro la censura. Nell’aprile del 1849 viene arrestato con l’accusa di cospirazione. Condannato a morte, la pena gli viene commutata all’ultimo momento (quando si trova ormai davanti al plotone d’esecuzione) in quattro anni di lavori forzati da scontare in Siberia: anni terribili, che lo scrittore racconterà nel memoir intitolato Memorie da una casa di morti. Dopo altri cinque anni trascorsi nell’esercito, si stabilisce a Pietroburgo e qui, nei vent’anni successivi, scrive i suoi romanzi e racconti più celebri: Il giocatore (racconto in parte autobiografico: Dostoevskij era un incallito giocatore d’azzardo), Delitto e castigo, L’idiota, I demòni, I fratelli Karamazov. A sessant’anni, è ormai lo scrittore russo più celebre e più amato insieme a Tolstoj, di pochi anni più giovane. Muore nel gennaio del 1881 a Pietroburgo.

Il protagonista del romanzo Memorie dal sottosuolo è un ex impiegato del governo russo che si chiude in casa per vivere lontano dagli altri e riflettere sulla propria esistenza. Quello che stiamo per leggere è l’inizio del romanzo in cui il protagonista si presenta al lettore.

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Sono un uomo malato... Sono un uomo cattivo. Un uomo sgradevole. Credo di avere mal di fegato. Del resto, non capisco un accidente del mio male e probabilmente non so di cosa soffro. Non mi curo e non mi sono mai curato, anche se rispetto la medicina e i dottori. Oltretutto sono anche estremamente superstizioso; be’, almeno abbastanza da rispettare la medicina. (Sono abbastanza colto per non essere superstizioso, ma lo sono.) Nossignori, non voglio curarmi per cattiveria. Ecco, probabilmente voi questo non lo capirete. Be’, io invece lo capisco. Io, s’intende, non saprei spiegarvi a chi esattamente faccia dispetto in questo caso con la mia cattiveria; so perfettamente che neppure ai medici potrò “farla” non curandomi da loro; so meglio di chiunque altro che con tutto ciò nuocerò unicamente a me stesso e a nessun altro. E tuttavia, se non mi curo, è per cattiveria. Il fegato mi fa male, e allora avanti, che faccia ancor più male! È già da molto tempo che vivo così: una ventina d’anni. Ora ne ho quaranta. Prima lavoravo, ma adesso non lavoro. Ero un impiegato cattivo. Ero villano e ne ricavavo piacere. Infatti non prendevo bustarelle1, dunque dovevo pur gratificarmi in qualche 1. bustarelle: somma di denaro consegnata di nascosto a un funzionario in cambio di favori.

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modo. (Pessima battuta; ma non la cancellerò. L’ho scritta pensando che sarebbe risultata molto arguta; ma ora che mi son reso conto che volevo soltanto pavoneggiarmi in modo disgustoso, apposta non la cancellerò!) Quando alla scrivania a cui lavoravo si avvicinavano dei postulanti2 per chiedere informazioni, io digrignavo i denti contro di loro e provavo un indicibile godimento, quando mi riusciva di dare un dispiacere a qualcuno. Mi riusciva quasi sempre. Per la maggior parte era gente timida; si sa: postulanti. Ma fra i bellimbusti non potevo sopportare soprattutto un ufficiale. Lui non voleva in nessun modo sottomettersi e faceva un abominevole baccano con la sciabola. Per un anno e mezzo fra me e lui ci fu una guerra per quella sciabola. Finalmente la spuntai3. Egli smise di far baccano. Del resto, questo accadeva ancora nella mia giovinezza. Ma lo sapete, signori, in che consisteva il punto fondamentale della mia cattiveria? Proprio lì stava tutto il nocciolo, proprio lì era racchiusa l’infamia peggiore: che in ogni momento, perfino nel momento della rabbia più accesa, vergognosamente riconoscevo dentro di me che non solo non ero un uomo cattivo, ma neppure ero inasprito, che spaventavo soltanto inutilmente i passeri4 e così mi consolavo. Ho la schiuma alla bocca, ma portatemi un bambolotto, datemi una tazza di tè con un po’ di zucchero, e magari mi calmerò. Anzi, il mio animo s’intenerirà, anche se poi, probabilmente, digrignerò i denti contro me stesso e per la vergogna soffrirò d’insonnia per diversi mesi. Ormai ci ho fatto l’abitudine. Poco fa ho mentito sul mio conto, dicendo che ero un impiegato cattivo. Ho mentito per cattiveria. Facevo solo i capricci, tanto con i postulanti che con l’ufficiale, ma in realtà non ho mai potuto diventare cattivo. In ogni momento riconoscevo in me molti, moltissimi elementi quanto mai in contrasto con ciò. Sapevo che fermentavano5 in me, questi elementi contrastanti. Sapevo che per tutta la vita avevano fermentato in me e che cercavano di uscire all’esterno, ma io non lasciavo, non lasciavo, apposta non lasciavo che si sprigionassero. Mi torturavano fino a farmi vergognare; mi conducevano fino alle convulsioni e alla fine mi sono venuti in odio, come mi sono venuti in odio! Ora non vi sembra, signori, ch’io mi stia pentendo di qualcosa dinanzi a voi, che vi chieda perdono di qualcosa?... Sono certo che ne avete l’impressione... Ma, del resto, vi assicuro che per me fa lo stesso, se anche ne avete l’impressione... Non solo cattivo, ma proprio nulla sono riuscito a diventare: né cattivo, né buono, né furfante, né onesto, né eroe, né insetto. E ora vegeto nel mio cantuccio,6 punzecchiandomi con la maligna e perfettamente vana consolazione che l’uomo intelligente non può diventare seriamente qualcosa, ma diventa qualcosa soltanto lo sciocco. Sissignori, l’uomo intelligente del diciannovesimo secolo deve ed è moralmente obbligato a essere una creatura essenzialmente priva di carattere; mentre l’uomo di carattere, l’uomo d’azione, dev’essere una creatura essenzialmente limitata. Questa è la mia quarantennale convinzione. Ora ho quarant’anni, e quarant’anni sono tutta una vita; sono la più decrepita vecchiezza. Vivere più di quarant’anni è indecente, volgare, immorale! Chi vive oltre i quarant’anni? Rispondete sinceramente, onestamente. Ve lo dirò io chi: gli sciocchi e i mascalzoni. Lo dirò in faccia a tutti i vecchi, a tutti quei vecchi venerandi7, a

2. postulanti: persone che chiedono favori o concessioni con molta insistenza. 3. la spuntai: la ebbi vinta. 4. spaventavo soltanto… i passeri: come dire "non far paura a nessuno".

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5. fermentavano: crescevano, aumentavano. 6. vegeto nel mio cantuccio: vivo in uno stato di inerzia, in una condizione di abbandono fisico e spirituale, nel mio angoletto. 7. venerandi: degni di venerazione.

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tutti quei vegliardi8 profumati e dalle chiome d’argento! Lo dirò in faccia a tutto il mondo! Ho il diritto di dirlo, perché io stesso camperò fino a sessant’anni. Fino a settant’anni, vivrò! Fino a ottant’anni, vivrò!.. Aspettate! Lasciatemi riprender fiato... Probabilmente pensate, signori, che voglia farvi ridere? Vi siete sbagliati anche in questo. Non sono affatto l’uomo allegro che credete o che forse credete; del resto, se voi, irritati da tutte queste chiacchiere (io già lo sento, che siete irritati), avrete l’idea di domandarmi chi sono, in fin dei conti, allora vi risponderò: sono un assessore di collegio9. Lavoravo per avere qualcosa da mangiare (ma unicamente per questo), e quando l’anno scorso un mio lontano parente mi lasciò seimila rubli10 per testamento, diedi subito le dimissioni e mi sistemai nel mio angolo. Anche prima vivevo in quest’angolo, ma adesso mi ci sono sistemato. La mia stanza è squallida, brutta, ai confini della città. La mia serva è una donna di campagna, vecchia, cattiva per stupidità, e per giunta sempre puzzolente. Mi dicono che il clima pietroburghese mi diventa nocivo e che con i miei scarsi mezzi è troppo costoso vivere a Pietroburgo. Tutto questo lo so, lo so meglio di tutti questi esperti e savissimi11 consiglieri dall’aria saccente. Ma resterò a Pietroburgo; non me ne andrò da Pietroburgo! Non me ne andrò perché... Uff ! Ma è assolutamente indifferente che me ne vada oppure no. E del resto: di che può parlare un uomo perbene con il maggior piacere? Risposta: di sé. E dunque anch’io parlerò di me. (F.M. Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo, tradotto dal russo di M. Martinelli, Rizzoli, Milano 2000) 8. vegliardi: anziani che ispirano rispetto (ironico). 9. assessore di collegio: uno dei più alti gradi della gerarchia burocratica russa.

10. rubli: il rublo è la moneta nazionale russa. 11. savissimi: molto saggi.

Nel testo LEGGERE E COMPRENDERE 1. Qual è il rapporto del protagonista con la medicina e con i medici? 2. Che lavoro faceva il protagonista? Quale atteggiamento aveva mentre lavorava? 3. Che cosa pensa il protagonista della sua età e, in generale, della vecchiaia? 4. Che cosa spinge il protagonista a lasciare il lavoro? RIFLETTERE SULLA LINGUA 5. Sottolinea nel testo tutte le parole e le frasi in cui il protagonista si esprime con sarcasmo e ironia.

6. Sottolinea tutti i termini e le espressioni che riguardano il corpo; poi, scrivi perché, secondo te, il protagonista insiste tanto su questo tema. ANALIZZARE 7. Nel brano affiorano i ricordi e i pensieri del narratore: secondo te, si tratta di un flusso di coscienza o di un monologo interiore? Individua nel testo gli elementi che te lo fanno capire. 8. Sottolinea con quattro colori diversi le parole e le frasi che contribuiscono a caratterizzare il protagonista dal punto di vista fisico, psicologico, socio-culturale e ideologico.

Oltre il testo SCRIVERE 9. scrittura creativa seNso Della vita Il protagonista è un uomo ormai privo di illusioni, estraneo al mondo in cui vive e insofferente verso le altre persone. Scrivi un dialogo immaginario tra lui e il suo datore di lavoro, in cui il protagonista spiega le ragioni per cui ha deciso di licenziarsi e respinge tutte le possibili obiezioni del suo capo.

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Come funzionano i testi


AL CINEMA

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AL CINEMA

I personaggi e l'interpretazione Come i racconti scritti, anche i film e le serie televisive sono popolati da personaggi che mandano avanti l’azione. Tali personaggi, però, devono essere interpretati da attori che ne assumono il carattere e le movenze, e gli attori naturalmente non sono tutti uguali. C’è un solo Amleto, quello creato da Shakespeare nella tragedia omonima; ma ogni Amleto interpretato da questo o quest’altro attore (poniamo: dal grande attore britannico Laurence Oliver, o dal grande attore italiano Vittorio Gassman) ha peculiarità sue proprie, che dipendono appunto dal modo in cui l’attore si appropria del personaggio.

Come cambia la recitazione Ora, il lavoro dell’attore cambia radicalmente a seconda che reciti a teatro o al cinema, in un film comico o drammatico, in una soap opera o in una serie poliziesca. Ciò che è perfettamente appropriato in una forma può essere completamente fuori luogo in un’altra. Rispetto al teatro, gli audiovisivi consentono agli attori di praticare una recitazione meno enfatica: piccoli cambiamenti nell’espressione del volto possono avere più importanza dei gesti e dei movimenti, per il semplice motivo che sullo schermo il volto è molto più visibile.

L'importanza della coreografia La recitazione comprende, oltre alle espressioni del volto, ai gesti e alle battute, anche una coreografia, cioè l’orchestrazione complessiva dei movimenti di tutti i personaggi presenti sulla scena. Prendiamo il film di Tom Hooper Il discorso del re (2010). Nel 1925, il principe Albert, figlio del re Giorgio V, deve tenere in diretta radiofonica il discorso di chiusura della celebrazione nazionale che si è appena svolta allo stadio di Wembley, a Londra. Come scopriremo Albert, che tutti chiamano “Bertie”, è balbuziente, cosa percepita con estremo imbarazzo dalla casa reale, perché mina la sua autorevolezza. Quello

Una scena del film Amleto (1996), regia di Kenneth Branagh.

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che sembra solo un problema di etichetta si trasformerà in una questione di vita o di morte: nel 1937 il principe diventerà re Giorgio VI, e nel 1939 dovrà annunciare alla radio l’entrata in guerra della Gran Bretagna contro la Germania nazista. Come può il re balbettare mentre chiama la nazione alla guerra?

L’importanza dell’ambientazione e della coreografia Qui la recitazione di Colin Firth, che interpreta il principe Albert, è l’elemento davvero cruciale del dramma: la sua espressione contrita e spaventata trasmette molto bene il terrore che pervade il personaggio all’idea di dover parlare in pubblico, come si vede nella successione di primi piani che punteggiano l’intera sequenza ( fig. 1). Il terrore del principe Albert non ci viene comunicato solo dal suo viso, ma anche da vari gesti: tiene il foglio del discorso bene in vista, come uno studente che stia ripassando all’ultimo minuto prima dell’interrogazione; la moglie Elizabeth lo tiene sottobraccio, quasi lo sorreggesse. Inoltre, tutti gli parlano con grande condiscendenza, come se fosse un bambino. Prima di decidersi a salire le scale, il principe deve essere spronato ben cinque volte, con un ritmo molto preciso. La prima volta un commesso lo chiama dalle scale: «In onda fra due minuti, altezza reale» ( fig. 2). Poiché il principe non risponde, il commesso lo chiama una seconda volta: «Sir?». A questo punto il commesso scende le scale e si avvicina per incoraggiarlo: «Lasciate fare al microfono, sir». Vedendo la sua incertezza, si aggiunge l’arcivescovo lì presente: «Sono sicuro che sarete splendido, andate avanti con calma». Il re ancora non si muove, così interviene la moglie, che lo bacia delicatamente sulla guancia, sussurra: «È ora di andare» e lo sprona ulteriormente con una piccola carezza sull’avambraccio. La salita verso le gradinate dello stadio ha una tappa intermedia, in cui il commesso informa il re (e noi spettatori) sul funzionamento della luce che segnala l’inizio della trasmissione: «Tre lampi, poi rosso fisso e siete in diretta». Da questo momento il principe è sempre più solo: mentre sale l’ultima rampa di scale la moglie e tutti gli altri sono più lontani rispetto a prima, e non appena arriva in alto gli spettatori si alzano in piedi tutti insieme e si girano verso di lui. Questa coreografia, sapientemente orchestrata, chiarifica la narrazione, conferisce un certo ritmo alla progressione degli eventi e contribuisce a creare il senso di tensione, comunicando la paura del microfono, il senso di inadeguatezza, e anticipando la vergogna che seguirà.

Fig. 1. Il discorso del re, primo piano di Colin Firth.

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Fig. 2. Il discorso del re, luce fredda.


GUARDIAMO UN FILM

AL CINEMA

Quarto potere (1941) «Sono fortunato se mi lasciano fare un secondo film». Fu questo, pare, il commento di Orson Welles a proposito di Quarto potere (titolo originale Citizen Kane, “Il cittadino Kane”), uno dei film più importanti mai realizzati, ma che all’uscita nelle sale fu un mezzo fiasco. All’inizio degli anni Quaranta Welles è considerato un enfant prodige dalla cultura americana. I suoi adattamenti radiofonici di testi letterari hanno fatto scalpore, soprattutto quando, nell’ottobre del 1938, ispirandosi al romanzo di fantascienza La Guerra dei mondi, è riuscito a far credere agli ascoltatori che i marziani stavano davvero invadendo la Terra. Il film Quarto potere, che rappresenta il suo esordio nella regia, è il ritratto di un uomo, ricostruito da un immaginario giornalista attraverso le testimonianze di persone che gli sono state vicine. Charles Foster Kane (questo il nome del protagonista, interpretato dallo stesso Welles) è un uomo ricchissimo, che controlla una buona fetta della stampa americana. In lui, gli spettatori del tempo non potevano non riconoscere William Randolph Hearst, l’editore miliardario, uno degli uomini più potenti e temuti dell’epoca. Il quarto potere del titolo italiano (quarto rispetto ai tre poteri istituzionali: esecutivo, legislativo, giudiziario) è dunque quello del giornalismo: magnate della carta stampata, Kane usa la comunicazione come grimaldello per entrare nelle stanze del potere, manipolando senza alcuno scrupolo le notizie e le persone. Un tema, questo della manipolazione, che ossessionerà Welles per tutta la sua carriera, e che lo porterà più volte a mostrare come, negli uomini di potere, la corruzione morale e il fascino siano le due facce di una stessa medaglia (suo, negli anni Cinquanta, sarà un memorabile Otello cinematografico). Oltre che per l’originalità della trama e della tecnica di ripresa, Quarto potere è un film straordinario per la qualità della recitazione di Welles, che – all’epoca poco più che venticinquenne – riesce a dare al personaggio di Kane una fisionomia quasi demoniaca, facendone uno dei grandi “cattivi” della storia del cinema americano (ma anche uno dei “cattivi” più seducenti). DOPO LA VISIONE 1. Prova a vedere l’inizio del film (lo trovi facilmente su YouTube), poi fai una ricerca in rete sulla parola che il protagonista mormora sul letto di morte: «Rosebud». Che cosa significa? Di che cosa è simbolo? 2. In Quarto potere, Welles adopera alcune tecniche cinematografiche innovative, come il piano sequenza e il long-take. Di che cosa si tratta? Fai una ricerca in rete o – meglio ancora – in biblioteca (dove potrai trovare qualche buon dizionario dedicato al cinema). 3. Perché il giornalismo è stato definito “quarto potere”? Credi che lo sia ancora, ai giorni nostri, o che il potere di orientare le idee e le scelte del pubblico risieda altrove? 4. Chi era William Hearst, il magnate dei media che ha ispirato Welles? Fai una ricerca in rete. 5. Se oggi Welles dovesse fare un film su un grande industriale o un uomo di potere, chi sceglierebbe? Elon Musk? Jeff Bezos? Rupert Murdoch? O un grande campione dello sport? Argomenta la tua risposta.

3. I personaggi

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A casa Guarda la videolezione La narrativa psicologica e prendi appunti schematizzandone sul quaderno i contenuti fondamentali. Tra le tue letture personali ci sono un racconto o un romanzo psicologico particolarmente significativi, che puoi associare a un momento importante della tua vita? Quali? In classe Confronta con un compagno o con una compagna le annotazioni che hai ricavato dalla videolezione e discutetene insieme. Condividete poi la scelta del testo di narrativa psicologica che più si è dimostrato importante nel vostro percorso di crescita e costruite una o due slide per segnalare alla classe i vostri titoli.

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LEZIONE DIGITALE

VIDEOLEZIONE PODCAST I libri che mi hanno cambiato la vita PERCORSO DIGITALE


Perché mai – potremmo domandare – le opere dei grandi narratori dovrebbero interessarci? Perché dovremmo ascoltare la loro voce? Una risposta possibile è questa: perché nei loro racconti essi mettono in scena personaggi che ovviamente non siamo noi, e che tuttavia vivono esperienze che anche noi abbiamo vissuto o vivremo, pensano cose che anche a noi capita di pensare, provano emozioni che conosciamo bene, e insomma descrivono un mondo interiore che ci è familiare. Essendo artisti, tuttavia, e spesso grandi artisti, lo descrivono molto meglio di come sapremmo fare noi, e ci aiutano a mettere a fuoco le nostre esperienze, i nostri pensieri e le nostre emozioni con una chiarezza che noi non possediamo: leggendo i loro libri o guardando i loro film, assorbiamo la loro intelligenza e la loro saggezza; osservando i personaggi che hanno creato, impariamo qualcosa su di noi. La domanda: “A che cosa serve l’arte?” può avere molte risposte diverse, ma questa è forse una delle più sensate: l’arte serve a vedere come altri esseri umani hanno affrontato i problemi che anche noi dovremo affrontare nella vita, e insomma serve a non essere soli con noi stessi. Ora, in questa impresa gli scrittori hanno un ovvio vantaggio nei confronti degli altri artisti: hanno il tempo di approfondire le vicende e i personaggi che sono al centro dei loro libri. La pagina di un libro “dura” molto di più della sequenza di un film o di una serie televisiva, per non parlare del ritornello di una canzone; e soprattutto, nella pagina di un libro noi non vediamo soltanto lo sviluppo di una determinata azione, ma possiamo ascoltare la voce dell’autore che riflette su ciò che pensano, ciò che dicono, ciò che sono i suoi personaggi. La pagina scritta contiene più cose e va più in profondità di una serie d’immagini sullo schermo. Alla domanda: “A che cosa serve la letteratura?” potremmo dunque rispondere così: serve, tra l’altro, a restituire tutta la complessità interiore degli esseri umani, una complessità che gli altri generi artistici non possono attingere. Nelle pagine seguenti abbiamo raccolto alcuni brani che illustrano aspetti diversi di questa complessità. Li abbiamo riuniti sotto il titolo Osservare sé stessi perché, in tutti quanti, la voce narrante riflette su certi aspetti del carattere o della mentalità del personaggio o dei personaggi che sono al centro del racconto, su come sono fatti questi personaggi. La voce narrante (che può essere quella dell’autore o del personaggio stesso) guarda, per così dire, nel loro animo, e riferisce a noi lettori ciò che vede. Ebbene, ciò che vede ci riguarda, perché il nostro animo non è in fondo troppo diverso da quello dei personaggi rappresentati in queste pagine di romanzo. Anche noi ci innamoriamo, anche noi ci vergogniamo dei nostri sentimenti, dei nostri modi o della nostra condizione sociale (o, specie da adolescenti, dei nostri genitori!), anche noi abbiamo paura degli altri, del fallimento, della morte, anche noi speriamo, ci disperiamo, ci illudiamo...

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RACCONTO COMPLETO

SENSO DELLA VITA

ORIENTAMENTO

Natalia Ginzburg

ERALPMESE OTSET

TESTO ESEMPLARE

Le scarpe rotte

Natalia Ginzburg, (1916-1991) è una scrittrice con un dono raro: quello di saper parlare della sua esistenza riuscendo a darle un valore universale. Ginzburg, infatti, parte sempre dalla sua esperienza personale, ma lo fa per trovare in essa ciò che ci rende simili, ciò che fa sì che ognuno di noi possa rapportarsi con gli altri e comprenderli. Nel brano che stiamo per leggere, osservando lo stato miserevole delle sue scarpe, Natalia Ginzburg ci parla dell’amicizia, del piacere di scrivere, dell’affetto che proviamo per i nostri cari; e ci suggerisce che proprio guardando le scarpe che portiamo ai piedi è possibile capire «quale via sceglieremo per i nostri passi».

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Io ho le scarpe rotte e l’amica con la quale vivo in questo momento ha le scarpe rotte anche lei. Stando insieme parliamo spesso di scarpe. Se le parlo del tempo in cui sarò una vecchia scrittrice famosa, lei subito mi chiede: «Che scarpe avrai?» Allora le dico che avrò delle scarpe di camoscio verde, con una gran fibbia d’oro da un lato. Io appartengo a una famiglia dove tutti hanno scarpe solide e sane. Mia madre anzi ha dovuto far fare un armadietto apposta per tenerci le scarpe, tante paia ne aveva. Quando torno fra loro, levano alte grida di sdegno e di dolore alla vista delle mie scarpe. Ma io so che anche con le scarpe rotte si può vivere. Nel periodo tedesco1 ero sola qui a Roma, e non avevo che un solo paio di scarpe. Se le avessi date al calzolaio avrei dovuto stare due o tre giorni a letto, e questo non mi era possibile. Così continuai a portarle, e per giunta pioveva, le sentivo sfasciarsi lentamente, farsi molli ed informi, e sentivo il freddo del selciato sotto le piante dei piedi. È per questo che anche ora ho sempre le scarpe rotte, perché mi ricordo di quelle e non mi sembrano poi tanto rotte al confronto, e se ho del denaro preferisco spenderlo altrimenti, perché le scarpe non mi appaiono più come qualcosa di molto essenziale. Ero stata viziata dalla vita prima, sempre circondata da un affetto tenero e vigile, ma quell’anno qui a Roma fui sola per la prima volta, e per questo Roma mi è cara, sebbene carica di storia per me, carica di ricordi angosciosi, poche ore dolci2. Anche la mia amica ha le scarpe rotte, e per questo stiamo bene insieme. La mia amica non ha nessuno che la rimproveri per le scarpe che porta, ha soltanto un fratello che vive in campagna e gira con degli stivali da cacciatore. Lei e io sappiamo quello che succede quando piove, e le gambe sono nude e bagnate e nelle scarpe entra l’acqua, e allora c’è quel piccolo rumore a ogni passo, quella specie di sciacquettìo. La mia amica ha un viso pallido e maschio, e fuma in un bocchino3 nero. Quando la vidi per la prima volta, seduta a un tavolo, con gli occhiali cerchiati di tartaruga e il suo viso misterioso e sdegnoso, col bocchino nero fra i denti, pensai che pareva un generale cinese. Allora non lo sapevo che aveva le scarpe rotte. Lo seppi più tardi.

1. Nel periodo tedesco: nel corso della Seconda guerra mondiale, dopo l’annuncio dell’armistizio firmato dal governo italiano (8 settembre 1943), le truppe tedesche occuparono l’Italia centrosettentrionale. Roma venne liberata dagli Alleati tra il 4 e il 5 giugno 1944.

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2. qui a Roma… poche ore dolci: a Roma, nel carcere di Regina Coeli dove era stato rinchiuso, il 5 febbraio 1944 morì il primo marito di Natalia Ginzburg, ovvero il letterato Leone Ginzburg (1909-1944), ebreo e animatore della Resistenza antifascista nella capitale.


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Noi ci conosciamo soltanto da pochi mesi, ma è come se fossero tanti anni. La mia amica non ha figli, io invece ho dei figli e per lei questo è strano. Non li ha mai veduti se non in fotografia, perché stanno in provincia con mia madre, e anche questo fra noi è stranissimo, che lei non abbia mai veduto i miei figli. In un certo senso lei non ha problemi, può cedere alla tentazione di buttar la vita ai cani4, io invece non posso. I miei figli dunque vivono con mia madre, e non hanno le scarpe rotte finora. Ma come saranno da uomini? Voglio dire: che scarpe avranno da uomini? Quale via sceglieranno per i loro passi? Decideranno di escludere dai loro desideri tutto quel che è piacevole ma non necessario, o affermeranno che ogni cosa è necessaria e che l’uomo ha il diritto di avere ai piedi delle scarpe solide e sane? Con la mia amica discorriamo a lungo di questo, e di come sarà il mondo allora, quando io sarò una vecchia scrittrice famosa, e lei girerà per il mondo con uno zaino in spalla, come un vecchio generale cinese, e i miei figli andranno per la loro strada, con le scarpe sane e solide ai piedi e il passo fermo di chi non rinunzia, o con le scarpe rotte e il passo largo e indolente di chi sa quello che non è necessario. Qualche volta noi combiniamo dei matrimoni fra i miei figli e i figli di suo fratello, quello che gira per la campagna con gli stivali da cacciatore. Discorriamo così fino a notte alta5, e beviamo del tè nero e amaro. Abbiamo un materasso e un letto, e ogni sera facciamo a pari e dispari chi di noi due deve dormire nel letto. Al mattino quando ci alziamo, le nostre scarpe rotte ci aspettano sul tappeto. La mia amica qualche volta dice che è stufa di lavorare, e vorrebbe buttar la vita ai cani. Vorrebbe chiudersi in una bettola a bere tutti i suoi risparmi, oppure mettersi a letto e non pensare più a niente, e lasciare che vengano a levarle il gas e la luce, lasciare che tutto vada alla deriva pian piano. Dice che lo farà quando io sarò partita. Perché la nostra vita comune durerà poco, presto io partirò e tornerò da mia madre e dai miei figli, in una casa dove non mi sarà permesso di portare le scarpe rotte. Mia madre si prenderà cura di me, m’impedirà di usare degli spilli invece che dei bottoni, e di scrivere fino a notte alta. E io a mia volta mi prenderò cura dei miei figli, vincendo la tentazione di buttar la vita ai cani. Tornerò ad essere grave6 e materna, come sempre mi avviene quando sono con loro, una persona diversa da ora, una persona che la mia amica non conosce affatto. Guarderò l’orologio e terrò conto del tempo, vigile ed attenta ad ogni cosa, e baderò che i miei figli abbiano i piedi sempre asciutti e caldi, perché so che così dev’essere se appena è possibile, almeno nell’infanzia. Forse anzi per imparare poi a camminare con le scarpe rotte, è bene avere i piedi asciutti e caldi quando si è bambini. (N. Ginzburg, Le piccole virtù, Torino, Einaudi 2013)

3. bocchino: oggetto, spesso in giada o in bachelite, che si utilizza per fumare una sigaretta. Era un oggetto molto di moda nella prima metà del Novecento, specialmente tra le donne.

4. buttar la vita ai cani: sprecare, gettare via la propria vita come fosse un avanzo da dare in pasto ai cani. 5. notte alta: notte fonda. 6. grave: aspra, spiacevole, pesante.

PRIMA LETTURA 1. Ti ha stupito l’importanza che l’autrice attribuisce al fatto di avere delle scarpe rotte? 2. Secondo te, in questo brano le scarpe rotte sono anche il simbolo di qualcosa di più profondo? 3. «Mettersi a letto e non pensare più a niente» (rr. 49-50). È una tentazione che ti è capitato di avere? Perché? Come l’hai superata?

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La narrativa introspettiva Le caratteristiche

La narrativa è lo strumento espressivo che ci permette di conoscere meglio e di seguire più a lungo i pensieri di qualcuno. Con un film, un dipinto, una canzone tutto ciò è molto più difficile: innanzitutto perché non è possibile farlo altrettanto a lungo e con la stessa intensità, e poi perché, mentre guardiamo e ascoltiamo, siamo distratti da altro: dalle immagini, dai colori, dalla musica. Nella letteratura, invece, possiamo entrare davvero dentro la testa di chi parla e per pagine e pagine non fare altro che seguire quel che accade nella sua mente: in altre parole, riusciamo a vedere tutto quello che da fuori non si vede. Si capisce allora perché la narrativa sia sempre stata la terra d’elezione per opere introspettive, in cui una voce ci racconta – dall’interno – il flusso dei propri pensieri. Riprendendo le parole del romanzo Il ponte (2007) di Vitaliano Trevisan, potremmo dire che in ogni romanzo o racconto psicologico il motto del protagonista è: «Le cose così come sono andate nella testa, solo questo mi interessa, perché tutto ciò che accade, accade per me nella testa».

La definizione

Non esiste un termine generale che possa indicare con precisione romanzi o racconti introspettivi. A ben guardare, ogni opera narrativa ha una parte di indagine psicologica, nella quale vengono descritti e analizzati i pensieri, i sogni, i segreti che ogni personaggio custodisce dentro di sé. Tuttavia, esistono opere in cui l’attenzione si concentra quasi esclusivamente sull’interiorità di uno o più personaggi, opere in cui l’autore segue da vicino quelle che il grande scrittore francese Marcel Proust (1871-1922) ha definito, con una bellissima immagine, «le intermittenze del cuore». Se volessimo quindi classificare i libri che presentano queste caratteristiche, potremmo servirci di espressioni come «romanzo di introspezione», «romanzo psicologico», «narrativa autoriflessiva», «lavoro di autoanalisi».

Le opere

I romanzi e i racconti che fanno parte di questo genere di testi sono moltissimi. Un caso emblematico è rappresentato dalle opere dello scrittore russo Fëdor Dostoevskij (1821-1881), che spesso mette al centro dei suoi libri personaggi contorti, complessi, introspettivi fino all’ossessione. È celebre, per esempio, l’inizio di uno dei suoi romanzi brevi, Memorie dal sottosuolo (1864): «Io sono una persona malata, sono una persona cattiva», nel quale il protagonista quasi aggredisce il lettore con una confessione che si annuncia spietata. Ma forse il romanzo di introspezione più celebre, e ineguagliato, è proprio Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust: un’opera gigantesca, articolata in sette volumi, nel corso della quale l’autore fa un viaggio all’interno della propria coscienza, riportando a galla immagini e sensazioni che la memoria ha sepolto e stratificato dentro di lui. Seguire la sua voce in questo cammino alla ricerca di ciò che si è perduto è una delle avventure più belle che un lettore possa vivere. Marcel Proust in una fotografia del 1896.

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RACCONTO COMPLETO

AMORE E AMICIZIA

Haruki Murakami

Vedendo una ragazza perfetta al 100% in una bella mattina di aprile Haruki MurakaMi (Kyoto, 1949) Parlando della sua vita, una volta Murakami ha detto: «La maggior parte della gente – nella società giapponese, perlomeno – prende un diploma, poi trova un lavoro e dopo un po’ di tempo si sposa. Anch’io all’inizio avevo intenzione di seguire questo percorso. […] In realtà, prima mi sono sposato, poi ho iniziato a lavorare, e dopo, finalmente, mi sono laureato. Insomma, ho fatto tutto al contrario». In un certo senso, anche i suoi primi romanzi sono nati al contrario, perché Murakami li ha scritti di notte, seduto al tavolo della cucina, al rientro dal lavoro in un piccolo locale di musica jazz che aveva aperto con la moglie alla periferia di Tokyo. Nel corso degli anni Ottanta, Murakami ha poi conosciuto il successo ed è diventato lo scrittore giapponese più famoso e letto in tutto il mondo: il suo romanzo pubblicato nel 1987, Norwegian Wood (che racconta la travagliata storia d’amore tra Watanabe e Naoko e riprende, nel titolo, una canzone dei Beatles molto amata dal protagonista) ha venduto infatti milioni di copie e gli ha permesso di dedicarsi alla scrittura a tempo pieno. Ogni suo libro successivo (da Dance Dance Dance, del 1988, al recentissimo La città e le sue incerte mura) è stato un bestseller. Tra gli elementi che hanno garantito il successo delle opere di Murakami c’è senz’altro l’originalità dei temi che ha saputo trattare: la solitudine, l’abbandono, la ricerca di persone care scomparse, la presenza in sottofondo della musica (di tutti i generi) ma, soprattutto, l’esplorazione dell’incerto confine tra reale e irreale: i personaggi dei suoi libri, infatti, si muovono sempre in un mondo dai contorni sfumati, in una dimensione che a poco a poco scolora in una realtà alternativa rispetto a quella che crediamo essere l’unica vera e razionale.

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Quante volte, camminando per strada, ci è capitato di incrociare lo sguardo di una persona e pensare: «Però, come sarebbe bello se potessimo conoscerci»? E quante volte, osservando uno sconosciuto che cammina al nostro fianco o che viaggia nel nostro stesso scompartimento in treno, ci è capitato di immaginare la sua vita, o di chiederci che cosa potrebbe succedere se da un momento all’altro ci rivolgessimo la parola? Nel racconto che stiamo per leggere, Murakami immagina proprio una situazione del genere. Una mattina di aprile del 1981, in una strada di Harajuku, un sobborgo di Tokyo, il narratore dice di aver incontrato la ragazza giusta per lui, quella «perfetta al 100%». Non le ha parlato, non si ricorda nulla di lei, non saprebbe nemmeno dire quanti anni avesse, quale fosse la forma del suo viso («non ricordo neppure se avesse un naso», ammette). Ha solo la certezza che quella ragazza, incontrata per caso, sarebbe stata per lui la donna perfetta al 100%. Lo sarebbe stata se solo avesse trovato il coraggio di fermarla, e di raccontarle una storia, una storia che «cominciava con “c’era una volta”... e finiva con “non pensa che sia una storia molto triste?”».

In una bella mattina di aprile, in una via laterale del quartiere di Harajuku1, sono passato accanto ad una ragazza perfetta, al 100%. Non era una gran bellezza. E nemmeno di un’eleganza strepitosa. I capelli dietro la testa le avevano preso una brutta piega dormendo e doveva essere vicino alla trentina. Eppure già a cinquanta metri di distanza avevo capito che era la ragazza perfetta per me. Dal momento in cui la vidi il mio battito cardiaco divenne irregolare e l’interno della bocca mi si fece secco come la sabbia del deserto.

1. Harajuku: cittadina ormai inglobata nella megalopoli di Tokyo, famosa per la sua vivacità culturale e per la varietà e l’eccentricità delle persone che la frequentano.

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Forse anche a voi piace un tipo particolare di ragazza. Quelle che hanno le caviglie sottili, per esempio, o dei grandi occhi, o delle belle mani... non so, magari vi attirano quelle che amano mangiare con calma, lentamente, o qualche altra prerogativa del genere. Ovviamente ho anch’io il mio tipo. Mi è già successo di andare al ristorante e restare affascinato dal naso della ragazza che sedeva alla tavola accanto. Nessuno però può dire come deve essere quella perfetta al 100%. Prendiamo la ragazza di quel mattino, non ricordo neppure che forma avesse, il suo naso. Anzi, non ricordo neppure se avesse un naso. Tutto quello che ricordo è che non era una gran bellezza. Molto strano, vero? – Ieri sono passato accanto alla ragazza perfetta al 100% – dico a uno. – Ah sì? – mi risponde lui. – Era molto bella? – No, no direi. – Allora era proprio il tuo tipo? – Non mi ricordo. Ho dimenticato tutto, che forma avessero i suoi occhi, se avesse molto seno o no... – Strano. – In effetti. – Allora cos’hai fatto? – continua lui con aria annoiata. – Le hai parlato, l’hai seguita? – Non ho fatto nulla – rispondo io. – Le sono semplicemente passato accanto. Lei camminava da est a ovest, io da ovest a est. In una mattina di aprile veramente piacevole. Avrei voluto parlarle, anche soltanto per una mezz’oretta. Chiederle di lei, raccontarle di me. E soprattutto spiegarle le complicate combinazioni del destino che avevano fatto sì che noi due passassimo uno accanto all’altra in una strada laterale di Harajuku in una bella mattina di aprile del 1981. Di sicuro tutto ciò era denso di caldi segreti, come un antico meccanismo costruito in tempi di pace. Dopo aver parlato di queste cose, avremmo potuto pranzare insieme, andare a vedere un film di Woody Allen, fermarci al bar di qualche albergo a bere qualcosa. E con un po’ di fortuna, magari finire insieme in un letto. Una tale possibilità bussava alla porta del mio cuore. La distanza tra lei e me si era ridotta a quindici metri. “Bene, adesso le rivolgo la parola”, ho pensato. “Ma cosa le dico?” “Buongiorno. Posso parlarle un momento, per favore? Mi bastano trenta secondi.” Assurdo, mi avrebbe preso per un rappresentante di una compagnia di assicurazioni. “Mi scusi, sa se c’è una tintoria aperta ventiquattr’ore su ventiquattro, da queste parti?” Ancora peggio. Tanto per cominciare, non avevo neanche la borsa con la roba sporca! Che fosse meglio dirle subito tutta la verità? “Buongiorno. Lei per me è la ragazza perfetta al 100%” Non mi avrebbe mai creduto. E anche supponendo il contrario, era probabile che non avesse nessuna voglia di parlare con me. “Io per lei sarò pure la ragazza perfetta, ma lei per me non è affatto l’uomo perfetto”, mi avrebbe risposto. In tal caso mi sarei sentito perduto, ne sono certo. Ormai ho trentadue anni, tutto sommato invecchiare significa proprio questo. Le sono passato di fianco davanti a un negozio di fiori. Un lieve spostamento d’aria tiepida mi ha accarezzato la pelle. Il marciapiede d’asfalto era bagnato d’acqua, ho I libri e il mondo


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sentito un profumo di rose. Non le ho rivolto la parola, non ce l’ho fatta. Lei indossava una maglia bianca e nella mano destra teneva una busta bianca alla quale mancava il francobollo. Una lettera per qualcuno. A giudicare dagli occhi terribilmente assonnati, poteva darsi che avesse passato tutta la notte a scriverla. Poteva darsi che quella busta contenesse tutti i suoi segreti. Ho fatto pochi passi e quando mi sono voltato la sua figura era già scomparsa tra la folla. Naturalmente adesso so benissimo in che modo avrei dovuto abbordarla, quella volta. Ma comunque sarebbe stato un discorso troppo lungo, non avrebbe funzionato. Le idee che mi vengono in mente non sono mai pratiche. Ad ogni modo quel discorso cominciava con “c’era una volta”... e finiva con “non pensa che sia una storia molto triste?” C’erano una volta in un posto lontano, un ragazzo e una ragazza. Il ragazzo aveva diciotto anni, la ragazza sedici. Né l’uno né l’altra potevano dirsi molto belli, erano soltanto due ragazzi normali e solitari come ce ne sono ovunque. Però erano fermamente convinti che da qualche parte al mondo esistessero la ragazza e il ragazzo perfetti per loro, al 100%. Un giorno camminando per la strada si trovarono faccia a faccia. – Che sorpresa, ti ho cercata dappertutto – disse il ragazzo alla ragazza. – Forse non mi crederai, ma tu per me sei la ragazza perfetta al 100%. – Anche tu per me sei il ragazzo perfetto al 100% – disse la ragazza. – Sei esattamente come ti immaginavo, in tutto e per tutto, mi sembra di sognare. I due sedettero su una panchina nel parco e parlarono, parlarono, senza stufarsi mai. Non si sentivano più soli. Trovare il compagno, la compagna perfetta, ed essere a propria volta trovati da lui, da lei, che cosa meravigliosa! Nel cuore però nutrivano un piccolo, piccolissimo dubbio. Era giusto che un sogno si realizzasse così facilmente? – Senti, facciamo un’altra prova – disse allora il ragazzo in una pausa della conversazione. – Se siamo veramente perfetti al 100% l’uno per l’altra, di sicuro un giorno ci incontreremo di nuovo da qualche parte e quando ci rincontreremo, se ci troveremo ancora perfetti al 100%, ci sposeremo subito, lì sul posto. Sei d’accordo? – Sì, sono d’accordo – rispose la ragazza. Così i due si separarono. Invece non c’era alcun bisogno di fare un’altra prova. Erano assolutamente perfetti l’uno per l’altra, al 100%. Ma le onde inevitabili del destino si presero gioco di loro. Un inverno, entrambi si buscarono una brutta influenza che imperversava quell’anno, e dopo essere rimasti per molte settimane tra la vita e la morte, al risveglio avevano dimenticato completamente il proprio passato. Le loro teste erano vuote come il salvadanaio del giovane D.H. Lawrence2. Siccome però erano due ragazzi intelligenti e perseveranti, a costo di molti sforzi acquisirono una nuova coscienza e nuove capacità emotive e tornarono a fare magnificamente parte della società. Furono di nuovo in grado di prendere la metropolitana, di cambiare linea, di andare alla posta per spedire una raccomandata. E sperimentarono di nuovo l’amore, al 75 o all’85%.

2. D.H. Lawrence: David Herbert Lawrence (1885-1930), scrittore, poeta e drammaturgo inglese. Figlio di un minatore, visse gli anni della giovinezza tra gravi ristrettezze.

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Intanto il ragazzo aveva compiuto trentadue anni, la ragazza trenta. Il tempo era passato a una velocità strabiliante. Poi, in una bella mattina di aprile, lui stava camminando in una via laterale di Harajuku, da ovest a est, per fare colazione al bar, mentre lei percorreva la stessa strada da est a ovest per spedire una raccomandata. Si incrociarono a metà strada. Per un attimo un barlume dei vecchi ricordi illuminò i loro cuori. “È la ragazza perfetta per me, al 100%”, si disse lui. “È il ragazzo perfetto per me, al 100%”, si disse lei. La luce dei loro ricordi però era troppo debole, le loro parole non erano chiare come quattordici anni prima. Si passarono accanto senza parlarsi e scomparvero tra la folla in direzioni opposte. Non pensa che sia una storia molto triste? È così che avrei dovuto parlarle. (H. Murakami, L’elefante scomparso e altri racconti, tradotto dal giapponese da A. Pastore, Einaudi, Torino 2013)

PRIMA LETTURA 1. Anche a te è successo di incontrare (o anche soltanto di sfiorare) una persona e di convincerti che, se vi foste parlati, sarebbe nato qualcosa tra di voi? 2. Quella ragazza era davvero, come dice il protagonista, «la ragazza perfetta al 100%»? Che cosa glielo fa pensare?

COMMENTO Mondo di qua, mondo di là In molti libri e racconti di Murakami, l’elemento caratteristico è la tensione continua che si crea tra il mondo di qua (in giapponese kotchi no sekai), cioè il mondo legato alla quotidianità, all’evidenza, a tutto ciò che in una parola chiamiamo «reale», e il mondo di là (atchi no sekai) ovvero l’insieme delle possibilità alternative, di tutti quegli eventi che potrebbero verificarsi se abbandonassimo per un attimo le convinzioni che ci tengono ancorati alla realtà immediata, al tran-tran quotidiano. Anche il racconto che abbiamo letto gioca su questa alternativa. Il protagonista, infatti, dice di aver incontrato una ragazza perfetta al 100%, lungo una strada di Harajuku in una mattina di aprile: non ha elementi per dichiararlo, visto che non si trattava di una persona memorabile né dal punto di vista estetico («Tutto quello che ricordo è che non era una gran bellezza», rr. 1516) né dal punto di vista caratteriale («Non ho fatto nulla. […] Le sono semplicemente passato accanto», r. 27). Eppure, è convinto che quella mattina di primavera del 1981 sarebbe potuto accadere qualcosa di magico se avesse deciso di rivolgere la parola a quella ragazza.

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Se soltanto… Il racconto nasce quindi come riflessione su questa eventualità mancata, su questa ipotesi introdotta dal «se…» che non ha avuto seguito (una struttura che in analisi del periodo si chiama, non a caso, “periodo ipotetico dell’irrealtà”). Il protagonista, infatti, ha visto la ragazza, le è andato incontro sapendo che si trattava di una ragazza perfetta al 100%, ma non è riuscito a trovare le parole giuste. Il racconto è fatto soltanto delle «complicate combinazioni del destino» (r. 31) (tutte immaginarie!) che avrebbero potuto verificarsi se solo fosse riuscito a stabilire un contatto con lei. Troppo tardi Come spesso accade nella vita, anche il protagonista del racconto di Murakami trova le parole giuste soltanto dopo che la ragazza si è persa tra la folla, quando ormai è troppo tardi per poterle pronunciare. In francese esiste una bella espressione per definire questa sensazione che tutti abbiamo provato almeno una volta nella vita: esprit de l’escalier, letteralmente «spirito della scala»: quando qualcosa che avremmo potuto o dovuto dire in un determinato mo-


mento ci viene in mente quando ormai quel momento è passato, e ci ritroviamo appunto (metaforicamente) da soli sulle scale, con la porta chiusa alle nostre spalle, e l’occasione è svanita. In questo caso, le parole giuste trovate dal narratore sono addirittura quelle di un’intera storia (introdotta dal tipico «C’era una volta»): sarebbe bastato raccontarla a quella ragazza per convincerla di essere la donna perfetta per lui. Ma è proprio questo racconto

nel racconto a dare a tutto il brano un’atmosfera malinconica, abbastanza tipica dell’opera di Murakami: i protagonisti della storiella sono infatti il ragazzo e la ragazza stessi che, pur accorgendosi di essere perfetti l’uno per l’altra, pur essendosi promessi di aspettarsi e ritrovarsi insieme al momento giusto, non sono riusciti a riconoscersi quando è capitata loro, di nuovo, l’occasione propizia, una mattina di aprile, in una strada del quartiere di Harajuku.

Nel testo LEGGERE E COMPRENDERE 1. Il protagonista a un certo punto afferma: «Ormai ho trentadue anni, tutto sommato invecchiare significa proprio questo» (rr. 50-51). Che cosa intende dire? Che cosa significa invecchiare secondo lui? 2. Il protagonista dice anche che il discorso che immaginava di fare alla ragazza sarebbe stato comunque «troppo lungo, non avrebbe funzionato. Le idee che mi vengono in mente non sono mai pratiche» (rr. 62-63). Sei d’accordo con lui? Perché? RIFLETTERE SULLA LINGUA 3. Cerca nel testo due esempi di periodo ipotetico, e indica di quale tipo si tratta. Perché secondo te il narratore opera questa scelta? 4. Riscrivi questo brano trasformando tutti i discorsi diretti in discorsi indiretti.

Un giorno camminando per la strada si trovarono faccia a faccia. – Che sorpresa, ti ho cercata dappertutto – disse il ragazzo alla ragazza. – Forse non mi crederai, ma tu per me sei la ragazza perfetta al 100%. – Anche tu per me sei il ragazzo perfetto al 100% – disse la ragazza. – Sei esattamente come ti immaginavo, in tutto e per tutto, mi sembra di sognare. ANALIZZARE 5. Individua nel testo la sezione metanarrativa (ovvero tutta la parte in cui viene raccontata una “storia nella storia”). 6. Individua e sottolinea nel testo tutte le espressioni che descrivono la ragazza.

Oltre il testo SCRIVERE 7. scrittura creativa Scrivi una pagina immaginando che la ragazza abbia effettivamente notato il narratore mentre passava per la strada. Potresti cominciare così: «Stamattina ho incontrato un ragazzo perfetto, al 100%. Però…». PARLARE 8. Fai una ricerca in rete sul cosiddetto «esprit de l’escalier» e prepara una presentazione da esporre in classe in circa 10 minuti. 9. flipped classroom Il racconto si svolge ad Harajuku, uno dei quartieri più caratteristici di Tokyo. Prepara una presentazione (corredata di opportune immagini) che permetta ai tuoi compagni e alle tue compagne di classe di capire com’è fatta quella parte della città e l’atmosfera che vi si respira.

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RACCONTO COMPLETO

LEGALITÀ

IMPEGNO

Varlam Šalamov EDUCAZIONE CIVICA

Latte condensato VarLaM ŠaLaMoV (Vologda, 1907 - Mosca, 1982) Varlam Šalamov è nato nel 1907 ed è morto a settantacinque anni, povero e invalido, in una casa di riposo alla periferia di Mosca. L’aspetto più sorprendente della sua vita è forse proprio questo: che sia riuscito ad arrivare alla vecchiaia nonostante tutte le traversie che ha dovuto affrontare. Šalamov, infatti, ha passato ben diciassette anni tra prigioni e Gulag, i campi di lavoro forzato dove venivano rinchiusi gli oppositori del regime sovietico negli anni della dittatura di Stalin. Dopo un primo arresto nel 1929, Šalamov fu internato definitivamente in un Gulag nel 1937, ovvero nell’anno in cui Stalin scatenò una violenta caccia ai presunti nemici della Rivoluzione (le cosiddette “purghe”). La destinazione che gli venne assegnata era tra le più terribili: le miniere della Kolyma, una regione gelida e inospitale della Siberia nordorientale, dove i prigionieri lavoravano quattordici ore al giorno, scavando nella terra come schiavi, esposti al freddo, alla fame, alle malattie. Ritornato in libertà e riabilitato (ovvero scagionato da tutte le accuse) dopo la morte di Stalin, Šalamov si dedicò a raccontare quello che aveva visto e vissuto: ne nacque una raccolta di racconti straordinaria (I racconti della Kolyma, appunto) che, arrivata clandestinamente in Occidente, lo fece conoscere in tutto il mondo. Per Šalamov, però, fu un successo amaro: allarmate da questo interesse internazionale, le autorità sovietiche continuarono a controllarne l’attività e soprattutto lo costrinsero a sconfessare con un documento pubblico i testi in cui aveva descritto la realtà atroce dei Gulag. Šalamov morì in disgrazia senza vedere mai pubblicata l’edizione in russo della sua opera, che uscì soltanto dopo la sua morte. «La nostra epoca è riuscita a far dimenticare all’uomo che è un essere umano» scriveva Šalamov a un suo amico, lo scrittore Boris Pasternak (autore del celebre romanzo Il dottor Živago). È una frase tremenda, ma vera: il Novecento è stato il secolo in cui la crudeltà dell’essere umano contro i suoi simili ha raggiunto livelli prima di allora impensabili. Come mai era accaduto in precedenza, infatti, governi, partiti e apparati statali hanno escogitato metodi per imprigionare e uccidere, sulla base di motivazioni ideologiche, religiose e razziali, il maggior numero di persone possibile. I Gulag (campi correttivi di lavoro forzato) sono stati una di queste invenzioni tremende: in Unione Sovietica, soprattutto negli anni del regime di Stalin, milioni di persone sono state costrette a vivere e lavorare in condizioni disumane, con l’accusa (spesso infondata) di essere oppositori del regime, spie di nazioni straniere, agenti della controrivoluzione. Nel brano che stiamo per leggere, Šalamov racconta un episodio che ci permette di capire che cosa significava vivere in un Gulag. Tutti i prigionieri sognano di evadere, ma il campo si trova a migliaia di chilometri da Mosca, mentre a nord, lontanissime, si estendono le acque gelide del Mar Glaciale Artico. Perciò, quando un compagno gli propone di fuggire, il narratore capisce subito che si tratta di una trappola. E decide allora di sfruttare la situazione a suo vantaggio.

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1. intorpidito: annebbiato. 2. tavolaccio: i giacigli dei detenuti erano sostanzialmente delle panche in legno, spesso sovrapposte l’una sull’altra come dei letti a castello. 3. delitti comuni: reati di delinquenza non legati a opinioni politiche, sanzio-

nate invece con il celebre Articolo 58 del codice penale sovietico. Chi si macchiava di reati politici era appunto accusato di una colpa più grave, quella di essere un «nemico del popolo». 4. prospezione geologica: mezzo attraverso il quale è possibile ricavare infor-

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La fame aveva smussato e intorpidito1 la nostra capacità di provare invidia, come tutti gli altri nostri sentimenti. Non avevamo la forza di provare sentimenti, di cercarci un lavoro più leggero, di andare, domandare, pregare... Invidiavamo soltanto i nostri conoscenti, quelli insieme ai quali eravamo arrivati in questo universo: quelli che erano riusciti a sistemarsi negli uffici, in ospedale, nella scuderia, a tenersi lontani dal lavoro fisico pesante, di molte ore, che veniva glorificato sul frontone dell’ingresso di tutti i lager come una «questione di coraggio e di eroismo». In una parola, eravamo invidiosi soltanto di Šestakov. Soltanto qualcosa che provenisse dall’esterno poteva farci uscire dalla nostra indifferenza, distoglierci dalla morte che si avvicinava lentamente. Una forza che venisse dall’esterno, non dall’interno. Dentro di noi tutto era stato bruciato, distrutto, tutto ci era indifferente e i nostri progetti non andavano mai al di là del giorno successivo. E anche adesso volevo andarmene alla baracca e stendermi sul tavolaccio2, e invece continuavo a stare in piedi accanto alla porta dello spaccio alimentare. In questo spaccio potevano fare acquisti soltanto i condannati per delitti comuni3, e persino i ladri recidivi, classificati come «amici del popolo». Noi non avevamo niente da fare da quelle parti, e tuttavia ci era impossibile staccare gli occhi dalle pagnotte color cioccolato: il profumo dolce e pesante del pane fresco solleticava le narici, faceva addirittura girare la testa. Io restavo lì impalato, senza sapere quando avrei trovato la forza per tornarmene alla baracca, e tenevo gli occhi fissi sul pane. Fu a questo punto che mi chiamò Šestakov. Conoscevo Šestakov già dalla «terraferma», dalla prigione di Butyrki, dove eravamo stati compagni di cella. Là però non eravamo diventati amici, eravamo semplici conoscenti. Al giacimento Šestakov non lavorava agli scavi. Era un ingegnere minerario e lo avevano messo a lavorare alla prospezione geologica4 – in un ufficio, dunque. E il fortunato rivolgeva appena il saluto ai suoi conoscenti moscoviti. Noi non ce la prendevamo, chissà cosa potevano avergli ordinato a questo riguardo. E uno tiene alla propria pelle... «Tieni, fuma» disse Šestakov. E mi tese un pezzo di giornale, lo riempì di machorka5, accese un fiammifero, un vero fiammifero... Mi misi a fumare. «Ho bisogno di parlarti» fece Šestakov. «A me?». «Si». Ci appartammo dietro alle baracche e ci sedemmo sull’orlo di un vecchio scavo. Le mie gambe si fecero subito pesanti mentre Šestakov dimenava allegramente le scarpe di ordinanza6 nuove di zecca che emanavano un lieve odore di olio di fegato di merluzzo. L’orlo dei pantaloni salì lasciando intravedere dei calzini a scacchi. Esamazioni sulla struttura del sottosuolo in una determinata posizione. 5. machorka: tipo di tabacco molto forte, molto diffuso in Unione Sovietica. 6. le scarpe di ordinanza: le scarpe previste dal regolamento.

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Prigionieri in un Gulag in una fotografia degli anni Trenta.

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minavo i piedi di Šestakov pieno di autentica ammirazione e persino di una punta d’orgoglio: almeno uno della nostra cella non se ne andava in giro con addosso delle pezze da piedi. La terra sotto di noi era scossa da sorde deflagrazioni7: stavano preparando il suolo per il turno di notte. Minute pietruzze ricadevano accanto alle nostre gambe frusciando, grigie e quasi invisibili, come uccelli. «Spostiamoci un po’ più in là» disse Šestakov. «Non ti uccidono, non aver paura. I calzini non si rovineranno». «Me ne frego dei calzini» fece Šestakov, e con un dito m’indicò l’orizzonte. «Che ne pensi di tutto questo?» «Moriremo di sicuro» dissi io. Era la cosa a cui avevo meno voglia di pensare. «No, a morire non ci sto». «E allora?». «Ho una mappa» disse Šestakov fiaccamente. «Prendo degli operai, prendo te, e ce ne andiamo alle Sorgenti Nere – sono a una quindicina di chilometri da qui. Avrò un lasciapassare. E poi ce ne andremo verso il mare. D’accordo?». Mi spiattellò tutto questo in tono indifferente, come uno scioglilingua. «E quando saremo arrivati al mare? Andiamo a nuoto?». «Non importa. L’importante è cominciare, Così non è possibile vivere: “Meglio morire in piedi che vivere in ginocchio”» sentenziò solennemente. «Chi l’ha detto?». Già, era una frase che conoscevo. Ma non avevo la forza di ricordare chi e quando avesse pronunciato quelle parole. Tutto quello che era scritto nei libri era stato dimenticato, non ci credevamo più. Mi rimboccai i pantaloni e mostrai a Šestakov le piaghe rosse dovute allo scorbuto8.

7. sorde deflagrazioni: esplosioni sotterranee, attutite appunto dal terreno soprastante.

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8. scorbuto: malattia che colpisce chi assimila per lungo tempo vitamina C, contenuta soprattutto negli agrumi.


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«Ti curerai nella foresta,» disse Šestakov «con le bacche, con le vitamine. Ti guiderò io, conosco la strada. Ho la carta». Chiusi gli occhi e mi misi a riflettere. Erano tre le strade che portavano al mare, e tutte e tre erano lunghe almeno cinquecento chilometri. Non io soltanto, nemmeno lo stesso Šestakov ci sarebbe arrivato. Non meditava per caso di portarmi dietro come cibo? No, certo. Ma allora perché mentiva? Sapeva tutto quanto me: e all’improvviso ebbi paura di Šestakov, l’unico tra noi che fosse riuscito a lavorare secondo la propria specializzazione9. Come c’era riuscito, e a quale prezzo? Giacché si deve pagare per tutto. Con il sangue altrui, con la vita altrui. «Sono d’accordo» dissi riaprendo gli occhi. «Solo che ho bisogno di rimettermi in carne». «Bene, benissimo. È indispensabile rimettersi in carne. Ti porterò delle scatolette. Noi abbiamo un sacco di roba...». Al mondo esistono molte varietà di conserve: di carne, pesce, frutta, verdura... Ma la migliore è il latte, il latte condensato. Naturalmente non bisogna berlo allungato con l’acqua calda. Bisogna mangiarlo con il cucchiaio, o spalmarlo sul pane, o inghiottirlo a poco a poco, dal barattolo, lentamente, osservando i riflessi giallastri della liquida massa chiara, la stellina di zucchero che si appiccica al barattolo... «Domani» dissi, sentendomi soffocare dalla felicità. «Di latte». «Va bene, va bene. Di latte». E Šestakov se ne andò. Ritornai alla baracca, mi stesi e chiusi gli occhi. Non era facile raccogliere le idee. Per la prima volta ebbi una percezione concreta, quasi palpabile, della materialità della nostra psiche. Pensare era doloroso. Ma dovevo farlo. Avrebbe organizzato l’evasione e ci avrebbe «consegnati» – era perfettamente chiaro. Per il suo lavoro in ufficio avrebbe pagato con il nostro sangue, con il mio sangue. Noi saremmo stati uccisi là, alle Sorgenti Nere, oppure ci avrebbero riportati indietro vivi per poi processarci e darci altri quindici anni10. Non poteva assolutamente non sapere che era impossibile uscire da qui. Ma il latte, il latte condensato... Mi addormentai, e nel mio confuso sogno di affamato vidi il barattolo di latte condensato di Šestakov – un barattolo smisurato con un’etichetta blu come una nuvola. L’enorme barattolo, blu come il firmamento notturno, era forato in mille punti e il latte ne colava fuori e scorreva formando il largo fiotto11 della Via Lattea. E io riuscivo facilmente a raggiungere il cielo con le mani, e bevevo quel denso, dolce latte stellare. Non ricordo quello che feci quel giorno, come lavorai. Aspettavo, aspettavo che il sole tramontasse, il nitrito dei cavalli, che meglio degli uomini intuiscono l’approssimarsi della fine di una giornata di lavoro. La sirena emise il suo roco ululato e io andai alla baracca dove viveva Šestakov. Mi stava aspettando davanti all’ingresso. Le tasche della giubba imbottita erano gonfie. Ci sedemmo al tavolone ben lavato della baracca, e Šestakov tirò fuori dalle tasche due barattoli di latte condensato. Con l’angolo di un’accetta forai uno dei barattoli. Un denso getto bianco fiottò sul coperchio, sulla mia mano.

9. lavorare secondo la propria specializzazione: secondo la professione che il detenuto svolgeva, o secondo gli studi che aveva seguito, prima di essere internato.

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10. altri quindici anni: estensione della condanna, con altri quindici anni di prigionia. 11. scorreva… fiotto: andamento simile alle onde del mare.

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«Bisogna farci un altro buco. Per l’aria» disse Šestakov. «Non fa niente» risposi, leccandomi le dita sporche, dolciastre. «Passate un cucchiaio» fece Šestakov rivolgendosi agli operai che ci attorniavano. Dieci cucchiai brillanti, meticolosamente leccati, mi vennero protesi al di sopra del tavolo. Tutti se ne stavano in piedi e mi osservavano mentre mangiavo. In questo non c’era alcuna mancanza di delicatezza, o il segreto desiderio di partecipare al banchetto. Nessuno di loro sperava che io dessi via un po’ del mio latte. Una cosa simile non s’era mai vista. Il loro interessamento per il cibo di un altro era del tutto distaccato. E io sapevo che è impossibile distogliere lo sguardo dal cibo che scompare nella bocca di un altro uomo. Mi sistemai più comodamente sulla sedia e mangiai il latte senza pane, sorseggiando di tanto in tanto dell’acqua fresca. Vuotai entrambi i barattoli. Gli spettatori si allontanarono – lo spettacolo era finito. Šestakov mi guardava con simpatia. «Vuoi sapere una cosa?» dissi leccando accuratamente il cucchiaio. «Ci ho ripensato. Andate senza di me». Šestakov capì e uscì senza dire una parola. Era, ovviamente, una vendetta insignificante, debole come tutti i miei sentimenti. Ma che altro potevo fare? Mettere in guardia gli altri? Non li conoscevo. E invece avrei dovuto farlo: Šestakov fece in tempo a convincere cinque persone. Scapparono una settimana più tardi, due furono ammazzati non lontano dalle Sorgenti Nere, tre vennero processati un mese dopo. La pratica di Šestakov fu «stralciata dalle istanze giudiziarie»12, poco dopo venne trasferito da qualche parte, sei mesi più tardi lo incontrai in un altro giacimento. Per l’evasione non gli avevano aumentato la pena: i superiori erano stati leali con lui, ma sarebbe anche potuta andare diversamente. Lavorava alla prospezione geologica, era ben rasato e sazio, e i suoi calzini a scacchi erano sempre intatti. Non mi salutò, e fece male: due barattoli di latte condensato non erano in fin dei conti una gran cosa… (V. Šalamov, Racconti della Kolyma, tradotto dal russo da Marco Binni, Adelphi, Milano 1999)

12. stralciata dalle istanze giudiziarie: lo stralcio indica l’eliminazione di un procedimento o di un incartamento.

PRIMA LETTURA 1. Ti ha stupito il comportamento del narratore di fronte alla proposta di Šestakov? 2. Che cosa pensavi sarebbe successo, dopo la proposta di evasione?

COMMENTO Fame nera La prima parola che compare nel brano è fame: in un Gulag, è la fame il pensiero dominante, l’ossessione capace di annullare tutti gli altri sentimenti, di intorpidire la volontà, di spegnere qualsiasi desiderio che non sia legato alla sopravvivenza quotidiana: «Dentro di noi tutto era stato bruciato, distrutto, tutto ci era indifferente e i nostri progetti non andavano mai al di là del giorno successivo», (rr. 11-13), scrive Šalamov. A causa della fame e delle privazioni, anche il ricordo

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della vita che continua a esistere fuori dal campo a poco a poco scompare: i prigionieri, infatti, non invidiano le persone libere, che vivono tranquille nelle loro case di Mosca o di Leningrado, ma coloro che sono riusciti a trovare un’occupazione meno pesante all’interno del Gulag, ottenendo un incarico che li esenta dal lavoro fisico massacrante a cui è condannata la maggior parte dei prigionieri (per esempio un posto nelle scuderie, nell’infermeria, in un ufficio).


La beffa L’incontro tra il protagonista e Šestakov avviene in un luogo fortemente simbolico, proprio di fronte allo spaccio di generi alimentari, il piccolo negozietto precluso a chi, come Šalamov, era detenuto per reati politici. Ed è proprio la fame disumana a risvegliare nel protagonista un barlume di astuzia: grazie

Nel testo LEGGERE E COMPRENDERE 1. Perché il narratore descrive con insistenza l’aspetto fisico e l’abbigliamento di Šestakov? 2. Quale sbaglio rischia di commettere il protagonista? 3. Che cosa intende il narratore quando dice che Šestakov «avrebbe organizzato l’evasione e ci avrebbe “consegnati”» (r. 87)? RIFLETTERE SULLA LINGUA 4. Che cosa significa, secondo te, l’espressione «Per la prima volta ebbi una percezione concreta, quasi palpabile, della materialità della nostra psiche» (rr. 85-86)? 5. Come definiresti la frase che il narratore dice a Šestakov: «Non ti uccidono, non aver paura. I calzini non si rovineranno» (r. 46)? ANALIZZARE 6. Da che cosa possiamo capire che la proposta di Šestakov è, con ogni probabilità, una trappola?

ad essa, e senza correre alcun pericolo, riuscirà infatti a ottenere due confezioni di latte condensato con cui sfamarsi a sazietà almeno per un giorno. Più che la beffa giocata ai danni del diabolico Šestakov, però, a restarci impresse nel finale del racconto sono soprattutto due cose: la prima è la scena davvero memorabile del protagonista che divora le sue confezioni di latte condensato sotto lo sguardo incantato degli altri prigionieri. La seconda è invece una riflessione amara del narratore: pur avendo intuito le mire di Šestakov, egli si accorge di non aver fatto nulla per impedire che costui attirasse nella sua rete altri prigionieri inconsapevoli. La conclusione conferma perciò quello che Šalamov dice all’inizio del racconto: due barattoli di latte condensato non sono «in fin dei conti una gran cosa» (r. 132) ma la fame è capace di annullare in un essere umano tutti gli altri sentimenti, primo tra tutti il senso di solidarietà.

7. Individua nel testo le espressioni attraverso le quali viene descritto il modo in cui la prigionia nel Gulag modella il comportamento (le idee, i sentimenti, le reazioni) dei detenuti.

Oltre il testo SCRIVERE 8. scrittura creativa Immagina che il narratore prenda parte al tentativo di evasione. Che cosa potrebbe accadere? Scrivi un breve testo che racconta la sua fuga. PARLARE 9. Il narratore scrive che «La fame aveva smussato e intorpidito la nostra capacità di provare invidia, come tutti gli altri nostri sentimenti. Non avevamo la forza di provare sentimenti, di cercarci un lavoro più leggero, di andare, domandare, pregare...» (rr. 1-3). Che cosa significano queste espressioni? Discutine in classe con i tuoi compagni e le compagne, cercando altre testimonianze di persone rinchiuse nei Gulag sovietici.

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Una trappola L’ambiguo Šestakov è proprio uno di questi prigionieri fortunati, attorno ai quali aleggia sempre il sospetto di fare il doppio gioco, cioè di essere delle spie al servizio dei carcerieri. Per questo, quando Šestakov lo invita a prendere parte a un’evasione, il protagonista si allarma: si tratta evidentemente di una proposta folle, senza alcuna speranza di successo; oppure, al contrario, è una mossa ben ragionata, grazie alla quale Šestakov spera di ottenere ulteriori vantaggi nel Gulag: «Per il suo lavoro in ufficio avrebbe pagato con il nostro sangue, con il mio sangue», commenta il narratore (rr. 88-89).


Guarda il video: • Diritti

Lager e Gulag, l’inferno sulla Terra Nel corso del Novecento si è assistito a un fenomeno sconvolgente: milioni di persone sono state recluse in enormi centri di detenzione costruiti dagli uomini per ridurre in schiavitù e sterminare altri esseri umani. Questa pratica disumana ha trovato espressione soprattutto in due nazioni, la Germania nazista e l’Unione Sovietica durante gli anni di Stalin, rendendo tristemente celebri i termini con cui erano indicati i campi di sterminio e di lavoro forzato (lager e Gulag). Aleksandr Solženicyn

Un arcipelago fuori dal mondo In questo brano, lo scrittore russo Aleksandr Solženicyn racconta del suo arresto e della sua detenzione nelle carceri sovietiche, che definisce come un arcipelago sconosciuto e misterioso (Arcipelago Gulag è infatti il titolo del libro che, portato clandestinamente in Occidente, fece conoscere al resto del mondo la realtà tremenda dei campi di lavoro dell’Unione Sovietica).

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Come si arriva a questo misterioso Arcipelago? Aerei, navi, treni partono ogni ora per raggiungerlo, ma non portano alcuna scritta che indichi la destinazione. Gli impiegati agli sportelli, gli agenti del Sovturist e dell’Inturist1 sarebbero stupefatti se chiedeste loro un biglietto per l’Arcipelago. Non ne conoscono l’insieme, e neppure una delle sue innumerevoli isole; non ne hanno mai sentito parlare […]. Coloro che vi moriranno, come voi e me, cari lettori, devono obbligatoriamente e unicamente passare attraverso l’arresto. L’arresto!! Occorre dire che è lo scompiglio di tutta la vostra vita? Che è un vero fulmine che si abbatte su di voi? Che è uno sconvolgimento spirituale inimmaginabile al quale non tutti possono assuefarsi e che spesso fa scivolare nella follia? […] Ma la vostra mente ottenebrata è incapace di abbracciare questi spostamenti del creato, i più raffinati come i più ingenui di noi sono smarriti e in quell’attimo non trovano nient’altro da estrarre dalla esperienza di tutta la loro vita che un: «Io?? Perché?!?», domanda ripetuta milioni e milioni di volte prima di noi senza che abbia mai avuto una risposta. L’arresto vi getta, vi precipita, vi trapianta da uno stato in un altro con una istantaneità stupefacente. Nel percorrere la lunga via tortuosa della vita, nel filare a cuor leggero o nel vagare come un’anima in pena, eravamo passati e ripassati più volte davanti a delle palizzate. Palizzate di legno marcio, mura di argilla e paglia, di mattoni, di cemento, 1. Sovturist… Inturist: aziende statali che si incaricavano di controllare gli accessi e gli spostamenti dei turisti all’interno dell’Unione Sovietica.

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sbarre di ferro. Non ci eravamo chiesti che cosa ci fosse dall’altra parte. Non abbiamo mai cercato di gettare un’occhiata di là, o di immergervi furtivamente l’intelletto. Ora è proprio lì che comincia il paese di GULag2, proprio accanto, a due metri da noi. Non abbiamo neppure notato le innumerevoli porte e porticine praticate in quelle palizzate, solidamente fissate e mascherate con cura. Tutte quelle porte, assolutamente tutte, erano state preparate per noi, ed ecco che una di esse, fatidica, si è schiusa rapidamente e quattro mani, bianche, d’uomini non abituati al lavoro ma prensili, ci afferrano il collo, le braccia, le gambe, il copricapo, le orecchie, ci trascinano come un sacco di patate e chiudono la porta alle nostre spalle; la porta della nostra vita anteriore, la chiudono per sempre. È fatta, siete arrestato. E voi non troverete altro da rispondere che un belato da agnello: «I-io?? Perché??». Ecco cos’è, l’arresto: un lampo accecante, una folgorazione che respinge istantaneamente il presente nel passato e fa dell’impossibile un presente di pieno diritto. […] È una brusca scampanellata nel cuore della notte o un colpo brutale alla porta. È la gagliarda irruzione di stivali sporchi, d’insonni agenti. È, nascosto dietro le loro spalle, il testimone, impaurito e mortificato, che essi hanno reclutato d’autorità. (A che serve questo testimone? Le vittime non osano fare domande e gli agenti non ricordano più a che cosa serva, ma la sua presenza è richiesta dal regolamento e dovrà rimanere tutta la notte per controfirmare il verbale all’alba. Anche per il testimone, strappato dal suo letto, è un supplizio: notte dopo notte andare in giro e assistere all’arresto di vicini e conoscenti.) (A. Solženicyn, Arcipelago Gulag, tradotto dal russo da Marija Olsuf’eva, Mondadori, Milano 1974-1978)

2. GULag: l’acronimo GULag è formato dalle parole russe «Glavnoe Upravlenie (ispravitel’no-trudovych) Lagerej», ovvero “Direzione generale dei campi (di lavoro correttivi)”.

COMPRENDERE E ANALIZZARE 1. Quali metafore usa Solženicyn per descrivere le conseguenze dell’arresto sulla vita di una persona? 2. Che cosa intende l’autore quando scrive che «Nel percorrere la lunga via tortuosa della vita, nel filare a cuor leggero o nel vagare come un’anima in pena, eravamo passati e ripassati più volte davanti a delle palizzate. […] Non ci eravamo chiesti che cosa ci fosse dall’altra parte» (rr. 18-21)? INTERPRETARE E RIFLETTERE 3. Qual è il ruolo del testimone nella procedura dell’arresto? Che cosa se ne può dedurre circa le condanne che venivano inflitte alle persone poi recluse nei Gulag? 4. Qual è, secondo te, l’aspetto più inquietante di questo brano di Solženicyn? Per quale motivo?

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VERSO L’ESAME

Scrivere un testo espositivo-argomentativo Fai una ricerca (in rete o in biblioteca) sulle figure di due grandi scrittori del Novecento che hanno raccontato la reclusione in un campo di concentramento (Primo Levi in un lager nazista, Varlam Šalamov in un Gulag sovietico). Puoi soffermarti sul fatto che entrambi sopravvissero alla prigionia dopo essere stati assegnati a una mansione meno pesante durante l’internamento (Šalamov nell’ospedale da

campo, Levi nell’industria chimica del lager) e cercare nelle loro opere il racconto di questa particolare esperienza. Inoltre, cerca di descrivere come entrambi vissero il periodo successivo alla liberazione e gli anni che passarono come uomini liberi dopo l’esperienza di prigionia (ritorno in libertà, senso di colpa, difficoltà a essere creduti e/o ascoltati).

VERSO L’ESAME

Scrivere un testo argomentativo Come ricorda Šalamov, all’ingresso dei Gulag sovietici campeggiava questa scritta: «Il lavoro è una questione di onore, di gloria, di valore e di eroismo». Fuori dai lager nazisti invece c’era scritto «Arbeit macht frei», ovvero “Il lavoro rende liberi”. Nel presentare la prima edizione dei Racconti della Kolyma in Occidente, lo storico Michail Geller scriveva che la Kolyma «era un’industria sovietica, una fabbrica che dava al paese oro, carbone, stagno, uranio, nutrendo la terra di cadaveri. Era una gigantesca impresa schiavista che si distingueva da tutte quelle conosciute della storia per il fatto che la forza-lavoro fornita dagli schiavi era assolutamente gratuita. Un cavallo alla Kolyma costava infinitamente di più di uno schiavo-detenuto. Una vanga costava di più». Anche Aleksandr Solženicyn, autore di Arcipelago Gulag, intitola la prima parte della sua opera «Industria carceraria». A partire da questi due spunti – e basandoti su quanto hai studiato e sulle informazioni che puoi trovare nelle

L'ingresso del campo di concentramento di Auschwitz.

fonti storiografiche e nelle opere letterarie – argomenta le tue opinioni riguardo alle analogie e alle differenze tra i lager nazisti e i gulag staliniani, concentrandoti soprattutto sul ruolo che veniva assegnato al lavoro dei detenuti.

VERSO L’ESAME

Esposizione orale Leggi l’intero capitolo L’arresto, nel primo volume di Arcipelago Gulag e metti poi a confronto le parole di Solženicyn con le prime pagine del romanzo di Kafka Il processo. Prepara quindi una presentazione che

Sull’eBook puoi compilare la scheda di AUTOVALUTAZIONE

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I libri e il mondo

metta in evidenza eventuali somiglianze tra i due testi, che descrivono situazioni apparentemente opposte: un arresto reale e un’incriminazione surreale, frutto dell’invenzione dell’autore.


EMOZIONI

Emmanuel Carrère

«Occupatevi dei vivi» EMMaNuEL CarrèrE (Parigi, 1957) La biografia di Emmanuel Carrère si trova sparsa nei suoi libri. Dalla pubblicazione de L’avversario, infatti, Carrère ha scritto opere in cui la sua vita privata si intreccia continuamente a quella di persone reali, dalla cui storia è rimasto colpito al punto di volerla raccontare. L’avversario, uscito nel 2000, parla di Jean-Claude Romand, un uomo che per quasi vent’anni ha fatto credere a familiari e amici di lavorare a Ginevra per l'Organizzazione Mondiale della sanità, mentre non si era mai laureato e trascorreva le giornate tra boschi e aree di servizio. Temendo di essere scoperto, Romand ha ucciso la moglie, i due figli, i genitori e poi ha dato fuoco alla propria casa, da cui è stato estratto agonizzante. In Vite che non sono la mia (2009) Carrère racconta invece due vicende parallele: la morte della figlia di due turisti francesi, conosciuti in Sri Lanka prima dello tsunami el 2004, e la malattia di sua cognata Juliette. Limonov (2011) è dedicato all’omonimo protagonista, un russo dalle mille vite (barbone, uomo politico, guerrigliero, scrittore di successo). Nei suoi due libri più recenti, infine, Carrère ha affrontato due vicende altrettanto drammatiche: in Yoga (2021) parla del proprio rapporto con questa disciplina orientale e soprattutto del suo ricovero in un ospedale psichiatrico, mentre in V13 (2023) ricostruisce il processo per gli attentati terroristici avvenuti a Parigi il 13 novembre del 2015.

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IMPEGNO Audiolibro

La sera di venerdì 13 novembre 2015 un commando di terroristi ha fatto irruzione nel teatro Bataclan, a Parigi, sparando sugli spettatori di un concerto rock; contemporaneamente, altri quattro complici hanno fatto fuoco con i loro kalashnikov sulle persone che si trovavano all’esterno di alcuni locali del centro della città, mentre altri tre terroristi si sono diretti verso lo Stade de France, dove era in corso la partita Francia-Germania: dopo aver trovato i cancelli chiusi, si sono fatti esplodere all’esterno dell’impianto. Questi attacchi terroristici hanno provocato centotrenta morti, cui vanno aggiunte le centinaia di feriti e di persone traumatizzate. Nel settembre del 2021 si è aperto a Parigi il processo contro l’unico attentatore sopravvissuto (Salah Abdeslam, catturato in Belgio quattro mesi dopo gli eventi) e i complici dei terroristi. Emmanuel Carrère ha deciso di seguire giorno per giorno tutte le udienze di questo processo straziante, e ne ha ricavato cronache settimanali poi raccolte nel libro V13 (la sigla con cui viene indicato il processo per gli attentati). In questo brano, leggiamo la testimonianza di due delle vittime, un fratello e una sorella rimasti gravemente feriti quella notte.

La trapezista e il rugbista Alice e Aristide sono fratello e sorella. Si somigliano: capelli neri, volti scolpiti, corpi slanciati, entrambi molto belli. Lei aveva ventitré anni, lui ventisei. Lei è un’artista circense professionista: trapezista. Il suo mestiere consiste nel lanciarsi nel vuoto all’indietro, con le mani nelle mani di un ricevitore1, ma lei lo dice in maniera diversa: «Il mio lavoro è far sognare la gente con le mie braccia». Aristide, invece, è un rugbista, anche lui professionista. Gioca e vive in Italia. Sono entrambi atleti di alto livello, ai quali i severi allenamenti lasciano poco tempo per vedersi, così quando si ritrovano a Parigi per una cena è una festa. Vanno al Petit Cambodge, di fronte al Carillon2, perché i bo bun3 sono squisiti, ma quella sera all’aperto non c’è posto,

1. ricevitore: acrobata che deve prendere la trapezista che si getta nel vuoto, abbandonando il trapezio.

2. Petit Cambodge… Carillon: nome di due locali parigini colpiti durante gli attentati. 3. bo bun: pietanza vietnamita a base di verdure, carne ed erbe aromatiche.

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e dentro nemmeno. Stanno pensando a un piano B quando l’auto da pusher con i vetri oscurati si accosta al marciapiede; ne scende un uomo che somiglia tantissimo a uno dei migliori amici di Aristide, sennonché ha un kalashnikov, lo alza e comincia a sparare. Alice non ha visto, ha sentito soltanto i primi spari, è già a terra. Con i suoi riflessi da rugbista, Aristide l’ha placcata4, le si è buttato addosso e la protegge con tutto il suo corpo. È il caos, assordante, non si sa se dura secondi o minuti. A un certo punto Alice sente un dolore che neanche immaginava potesse esistere, il suo braccio evidentemente spuntava da sotto il corpo di Aristide che viene colpito, a sua volta, da tre di quei proiettili mostruosi. Alice dirà che Aristide le ha salvato la vita buttandosi sopra di lei. Aristide dirà che Alice gli ha salvato la vita riuscendo, nel tumulto dei primi soccorsi, dei gemiti, delle agonie, a farlo trasportare in ospedale dove gli sarà diagnosticato uno stato di «morte imminente». Lei sarà operata due volte nella stessa notte, in due ospedali diversi, e poi altre cinque volte, riuscendo così a salvare il braccio ma non a recuperarne la funzionalità. Aristide, invece, aveva ferite ai polmoni, seri danni cerebrali, e gli hanno detto che anche la sua gamba destra era salva, nel senso che non sarebbe stata amputata, ma che non avrebbe più camminato. Qualche mese dopo, Aristide camminava; ha persino cercato di correre ma il dolore era così forte, la disperazione così grande, che ha passato mesi in un ospedale psichiatrico. Chiudere con il rugby è stato un processo lungo e doloroso. Ancora oggi non riesce ad avvicinarsi a una televisione che trasmette un incontro: è sopraffatto dalla tristezza. Anche Alice è rimasta invalida, non può più fare forza sulle braccia, «ma non ho abbandonato il mio lavoro» dice. «Con i miei ricevitori invento nuovi modi di muovermi facendo forza sui piedi. Voglio continuare a far sognare la gente. È difficile». Ripete: «E difficile», c’è un momento di silenzio, le trema il mento, la bocca si contrae, e da questa contrazione nasce un sorriso miracoloso. Raccontano anche, entrambi, quel che raccontano tutti gli altri, l’ipervigilanza5, gli incubi, la definitiva perdita della spensieratezza, ma pure che sono grati al destino: la moneta è caduta dalla parte giusta, sono vivi. Combattono, ma contro nessuno. Per loro stessi, con loro stessi, con gli altri. Non sono le frasi fumose del positive thinking6, ma una verità che hanno diritto di dire per averla pagata a caro prezzo. Aristide: «Ho cercato di capire perché dei giovani decidano, così, di sparare su altri giovani. Non capisco, forse non c’è niente da capire. Ma sono contento che possano essere ascoltati. Sono contento che questo processo si tenga. Penso che la mia generazione e quella che sta crescendo abbiano un gran bisogno di credere nella giustizia». Guarda per un attimo verso il box degli imputati, alla sua sinistra, distoglie subito lo sguardo. Guarda la Corte, davanti a sé, ben piantato sulle sue gambe. Li guardiamo, lui e Alice. Che ci parlino, è già giustizia.

4. placcata: il “placcaggio” è una mossa tipica del rugby, con cui si afferra e si scaraventa a terra l’avversario, sovrastandolo con il proprio corpo.

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5. ipervigilanza: stato emotivo di perenne allarme, frequente in chi è stato coinvolto in un attacco terroristico. 6. positive thinking: letteralmente, “pen-

siero positivo”. Scuola di pensiero che propone di concentrarsi su pensieri ottimistici, in modo da influenzare positivamente il proprio approccio alla vita.


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L’accento della verità Questo processo ha una smisurata ambizione: mostrare, nel corso di nove mesi, da ogni angolatura, dal punto di vista di tutti gli attori, che cos’è successo quella notte. Prima ci sono state due settimane di ricostruzione dei fatti. Poliziotti, gendarmi7, medici sono venuti a descrivere ciò che avevano visto. Quegli uomini rotti a tutto8 piangevano. Adesso stiamo entrando in un’altra dimensione. Per cinque settimane ascolteremo le testimonianze delle parti civili, vale a dire i sopravvissuti e i familiari dei morti. Quelli a cui questa cosa è successa. Ci sono circa quindici testimonianze al giorno, talmente intense da lasciare sgomenti. Sono iniziate da quattro giorni, e ci sembra che sia passato un mese. Le udienze cominciano alle 12.30 e terminano in teoria alle 19.30, spesso più tardi. Siccome uscire dal Palazzo di Giustizia e poi rientrarvi è complicato, perché bisogna ripassare tutti i controlli, praticamente non vediamo più la luce del giorno: alle 6 di sera sembra che siano le 3 del mattino. Il resto della vita si allontana. Una cena con gli amici diventa del tutto fuori luogo. Il presidente, di cui ci piace la bonaria fermezza9, ha avuto un’uscita goffa di cui si è subito scusato: per non appesantire troppo il programma, gli avvocati di parte civile dovrebbero trovare un accordo, tra loro e con i loro assistiti, onde «evitare ripetizioni». Cosa vorrebbe dire «evitare ripetizioni»? Naturalmente, ci sono cose che dicono tutti quelli che erano seduti fuori dai locali – perché questa settimana tocca a loro. Che all’inizio avevano creduto di sentire dei petardi e poi di essere finiti dentro un regolamento di conti, prima di realizzare questa cosa folle: degli uomini erano scesi da un’auto con armi da guerra per ucciderli. Che quando è finito tutto, quando l’auto è ripartita, c’è stato quello che qualche volta, senza pensarci, si chiama un silenzio di morte, ma in quel caso era davvero un silenzio di morte, e soltanto dopo sono iniziate le urla. Che era un carnaio, un macello, un groviglio di corpi con enormi fori da cui uscivano sangue, carne, organi, e quando sono arrivati i primi soccorsi si sentiva ripetere questa frase: «Occupatevi dei vivi». Ma non ci sono e non ci possono essere ripetizioni, perché quegli stessi momenti ciascuno li ha vissuti con la sua storia, con le sue conseguenze, con i suoi morti, e li racconta adesso con le sue parole. Non sono fatti che si elencano e si esauriscono, ma voci che si esprimono, e tutte – insomma, quasi tutte – suonano esatte. Quasi tutte hanno l’accento della verità. Ecco perché questa lunga serie di testimonianze non è soltanto terribile ma magnifica, e non è per morbosa curiosità che noi che seguiamo il processo non cederemmo i nostri posti per niente al mondo, né ci parrebbe accettabile la prospettiva di perdere anche una sola giornata. Ho letto, sentito dire e qualche volta pensato che viviamo in una società vittimaria, che alimenta una compiacente confusione tra lo status di vittima e quello di eroe. Può darsi, ma gran parte delle vittime che ascoltiamo giorno dopo giorno mi sembrano davvero degli eroi. Per il coraggio di cui hanno avuto bisogno per ricostruirsi, per il modo di abitare questa esperienza, per la forza del legame che le unisce ai morti e ai vivi. Rileggendo queste righe mi accorgo che sono enfatiche10, ma non so come dirlo con meno enfasi: a questi giovani – poiché sono quasi tutti giovani – che si avvicendano alla sbarra, gli si vede l’anima. Siamo grati, spaventati, arricchiti. (E. Carrère, V13, tradotto dal francese da F. Bergamasco, Adelphi, Milano 2023)

7. gendarmi: la Gendarmerie Nationale è un corpo di polizia francese. 8. uomini rotti a tutto: espressione idiomatica, vale come “uomini con grande esperienza di vita, che hanno visto di tutto”.

9. bonaria fermezza: questa espressione è un ossimoro: il presidente, col suo atteggiamento mite e affabile, rimane nondimeno fermo nello svolgere le sue funzioni. 10. enfatiche: eccessive, retoriche.

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PRIMA LETTURA 1. Che cosa hai pensato, quando hai scoperto che anche i due fratelli protagonisti del brano erano stati colpiti durante gli attentati del 13 novembre 2015? 2. Ti è mai capitato di trovarti in una situazione in cui il tuo primo pensiero è stato soccorrere o proteggere tuo fratello, tua sorella, un tuo familiare? Che cosa hai provato?

COMMENTO Ascoltare gli altri Come spesso capita nei libri di Carrère, anche in questo caso l’autore non inventa una trama immaginaria, ma racconta la vera storia di altre persone, dalla quale è rimasto colpito: può trattarsi di criminali, di sconosciuti incontrati in vacanza, di parenti stretti. In V13, questa caratteristica è portata a un punto estremo: per mesi, infatti, Carrère non ha fatto altro che ascoltare decine di storie di uomini e di donne, ovvero di tutti coloro che, seduti in un’aula di tribunale, raccontavano la drammatica esperienza vissuta la sera del 13 novembre 2015. Carrère ascolta e riporta da diversi punti di vista gli eventi di quella notte di sangue: il trauma delle vittime, i ricordi dei testimoni, le relazioni dei poliziotti, le giustificazioni degli imputati che tentano di difendersi da accuse gravissime. Vite che non sono la sua In questo diluvio di storie e di parole, la bravura di Carrère risiede nella capacità di selezionare dei racconti che, in poche righe, riescono a commuoverci per la loro umanità. È il caso del brano che abbiamo appena letto. All’inizio, l’autore ci descrive due persone dalla vita eccezionale, brillanti e molto legate tra loro, e nel farlo sceglie di usare i verbi al presente: lei, Alice, «è un’artista circense professionista», (rr. 2-3), mentre lui, Aristide, è un rugbista di livello, «che gioca e vive in Italia». Ben presto, però, capiamo che questa normalità ormai fa parte del passato ed è stata spazzata via la sera del 13 novembre 2015: Alice «è rimasta invalida, non può più fare forza sulle braccia» (rr. 28-29), mentre suo fratello, che pure ha ripreso a camminare nonostante le previsioni pessimistiche dei medici, «ha passato mesi in un ospedale psichiatrico». (r. 26). Nella vita dei due fratelli, insomma, c’è stata una cesura netta, e questa frattura fra il prima e il dopo si è verificata la sera del 13 novembre 2015. La «forza dei legami» Carrère ha dichiarato in un’intervista che la cosa a cui assegna più valore – e che cerca di descrivere nei suoi libri – è la «forza dei legami», ovvero la capacità non solo di essere legati alla persona

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che si ama, ma anche di entrare in empatia con gli altri: ed è proprio usando questa stessa espressione («la forza del legame che le unisce ai morti e ai vivi», rr. 80-81) che Carrère giustifica la propria decisione di seguire in prima persona i nove mesi del processo V13 e di raccontare le testimonianze più toccanti che ha ascoltato. Riferendo vicende come quella di Alice e Aristide, Carrère prova a dar corpo a questa sua convinzione relativa all’importanza dei legami con le persone che più ci stanno a cuore: entrambi i fratelli hanno avuto la vita devastata, entrambi hanno perso tutto quello che avevano di più caro, ma proteggendosi a vicenda si sono salvati (lui coprendola col suo corpo, lei riuscendo a chiamare in tempo i soccorsi), e oggi sono in grado di raccontare quanto è accaduto loro senza far ricorso a parole d’odio («combattono, ma contro nessuno», dice l’autore). Quando l’accento cade sui sentimenti positivi, si rischia sempre di essere enfatici, retorici o banali; ma, come giustamente nota Carrère, Aristide e Alice possono permettersi di farlo, di raccontare la propria esperienza con una nota di speranza, perché la loro voce ha «l’accento della verità», una verità (r. 72) «che hanno diritto di dire per averla pagata a caro prezzo». (r. 37) Fiori e candele davanti al Bataclan in memoria delle vittime dell'attacco terroristico del 13 novembre 2015.


Nel testo LEGGERE E COMPRENDERE 1. Secondo te perché il narratore riferisce le parole con cui Alice definisce il proprio lavoro da trapezista: «Il mio lavoro è far sognare la gente con le mie braccia» (rr. 4-5)? 2. Dove, nel testo, questa frase ricompare in forma leggermente modificata, a seguito degli interventi chirurgici subiti da Alice? RIFLETTERE SULLA LINGUA 3. Prova a spiegare il significato di questa espressione: «La moneta è caduta dalla parte giusta, sono vivi» (rr. 34-35). ANALIZZARE 4. Individua nel testo tutte le espressioni che si riferiscono alla vita di Aristide e Alice prima degli attentati. 5. emoZioNi Individua nel testo le frasi che confermano questa affermazione del narratore a proposito della vita attuale di Aristide e Alice: «Combattono, ma contro nessuno» (r. 35).

Oltre il testo SCRIVERE 6. Con un piccolo gruppo di compagni o compagne, immagina di dover fare un’intervista a Alice e Aristide. Scrivete una breve presentazione dell’uno e dell’altro per il pubblico italiano, documentatevi sulla loro vita attuale e scrivete almeno cinque domande che intendereste rivolgere a entrambi.

Intelligenza Artificiale Nelle sue opere Emmanuel Carrère indaga le vite di persone che “non sono lui”: con grande sensibilità empatica, riesce a cogliere ragioni e sentimenti che, probabilmente, non ha mai provato alla maniera dei suoi personaggi, riuscendo a ottenere un vivido risultato artistico. Prova a costruire, con il chatbot, il profilo di un personaggio con alcune caratteristiche che ritieni estranee al tuo aspetto o al tuo carattere. Per esempio: Traccia il profilo di un personaggio maschile, di mezza età, di professione poliziotto, cinico e disincantato. Adesso scrivi tu un breve racconto che usi il profilo appena tracciato. Compiamo la stessa operazione con l’IA, sfidandola a produrre essa stessa un brano narrativo, con il personaggio appena descritto come protagonista: Scrivi una pagina di romanzo che parli del personaggio appena descritto. Adesso confronta il tuo racconto con quello prodotto dal chatbot: quali soluzioni narrative ti sembrano simili? Quali diverse?

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I R O SS LI FI

Florian von Donnersmarck

La sonata per gli uomini buoni

fLoriaN VoN DoNNErSMarCk (Colonia, 1973) Le vite degli altri, uscito nel 2006, è il primo film di Florian von Donnersmarck, che l’ha scritto e diretto. Se si escludono infatti un cortometraggio e alcune esperienze da studente di cinema, il regista tedesco è riuscito a vincere un Oscar per il migliore film straniero al suo primo tentativo dietro alla macchina da presa. Il conte Florian von Donnersmarck era comunque considerato un tipo originale anche prima di riuscire in questa impresa. Altissimo (supera i due metri) e spettinatissimo, erede di una ricca casata austriaco-tedesca risalente al XV secolo, dice di aver iniziato a fare cinema – dopo essere cresciuto tra l’Europa e l’America, aver imparato cinque lingue, aver ottenuto una laurea in filosofia a Oxford e l’abilitazione all’insegnamento del russo – per seguire una passione nata durante l’infanzia. Ha spiegato anche di aver girato finalmente il suo film di debutto perché alla soglia dei trent’anni si era stufato di dover rispondere alla domanda «Cosa fai nella vita?» con la frase «Ho fatto un cortometraggio». Per scrivere la prima stesura della sceneggiatura, sostiene di essersi chiuso per un mese intero in una minuscola cella monacale messa a disposizione dallo zio, abate emerito dell’antichissimo monastero cistercense di Heiligenkreuz. Dopo tre anni di ricerche storiche e riscritture, Le vite degli altri è stato realizzato con un budget ridottissimo (poco meno di 2 milioni di euro; il film guadagnerà quasi quaranta volte tanto), ma von Donnersmarck è riuscito a convincere alcuni celebri attori tedeschi, come Ulrich Mühe e Martina Gedeck, a recitare per lui. Il film è stato rifiutato alla principale rassegna di cinema tedesco, la Mostra del Cinema di Berlino, perché il regista avrebbe accettato di partecipare solo se candidato nel concorso principale, e non in quelli dedicati ai registi emergenti. Nei dodici anni successivi alla vittoria dell’Oscar, il “conte” von Donnersmarck si limiterà a girare soltanto altri due film, The Tourist (2010), con Angelina Jolie e Johnny Depp, e Opera senza nome (2018), basato sulla vita del pittore Gerhard Richter, con cui ha ottenuto un’altra candidatura all’Oscar. 428

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Le vite degli altri è ambientato nel 1984 nella Repubblica Democratica Tedesca, un regime socialista i cui cittadini sono costantemente sorvegliati dalla potente polizia segreta, la Stasi. Il capitano della Stasi Gerd Weisler è uno dei suoi uomini migliori: completamente assorbito dal suo ruolo di spia, non ha interessi o passioni o amori. Le cose cominciano a cambiare quando Weisler riceve l’incarico di sorvegliare il celebre scrittore Georg Dreyman e, dopo aver piazzato numerosi microfoni nel suo appartamento, inizia ad ascoltare ogni momento della vita dell’uomo, che convive con l’attrice ChristaMaria Sieland. Weisler si appassiona alla vita dei due, al loro amore e al legame tra Dreyman e il suo amico Albert Jerska, un talentuoso regista teatrale che, essendo sgradito al regime, non può lavorare da anni. Quando Jerska si suicida, Dreyman decide di scrivere un articolo anonimo che denuncia le drammatiche condizioni di vita nella Germania dell’Est e che verrà pubblicato su un’importante rivista della parte occidentale del Paese. Weisler capisce di aver sempre combattuto dalla parte sbagliata e decide di proteggere Dreyman, ingannando i suoi superiori ed evitandogli il carcere. Il suo doppio gioco viene però scoperto, e la sua carriera è rovinata. Molti anni dopo, caduto il regime, Dreyman scoprirà per caso ciò che è avvenuto e per ringraziare Weisler pubblicherà un romanzo in cui racconterà la sua storia, intitolato Sonata per uomini buoni. Quello che stiamo per vedere è un momento cruciale del film: Gerd sta già iniziando a interessarsi alla poesia amata da Dreyman, ma il suo cambiamento diventa irreversibile quando ascolta la Sonata per gli uomini buoni che lo scrittore ha ricevuto in regalo dall’amico suicida. Da quel momento, Gerd cessa di essere l’uomo che era: fare la spia – e quindi rovinare le vite degli altri – non gli è più possibile. Lo vediamo nell’ultima scena in cui, contravvenendo al suo dovere di spia della Stasi, Gerd decide di non approfittare dell’innocenza di un bambino per raccogliere una testimonianza compromettente contro suo padre.


La scena si svolge in casa di Georg e ChristaMaria. Georg è seduto alla scrivania. GEORG: Hai visto il libro di poesie di Brecht? CHRISTA-MARIA: Che libro? GEORG: Poesie di Brecht... CHRISTA-MARIA: No, non l’ho visto. GEORG: Strano, l’ho lasciato qui.

La macchina da presa stacca su Gerd, che si trova nel suo appartamento, sdraiato sul divano, e legge proprio il libro che Georg sta cercando: evidentemente, glielo ha sottratto entrando di nascosto in casa sua. GERD (voce fuori campo): “Un giorno di settembre, il mese azzurro, tranquillo sotto un giovane susino io tenni l’amor mio pallido e quieto tra le mie braccia come un dolce sogno. E su di noi nel bel cielo d’estate c’era una nube ch’io mirai a lungo: bianchissima nell’alto si perdeva e quando riguardai era sparita.”

La scena cambia di nuovo, spostandosi in avanti di qualche giorno. Ora Gerd è nella soffitta del palazzo dove vive Dreyman, e sta ascoltando ciò che accade grazie ai microfoni nascosti nell’appartamento. Il telefono suona: Georg va a rispondere, Gerd ascolta la conversazione. GEORG: Sì? WALLNER (al telefono): Georg? Sono Wallner. GEORG: Che c’è? WALLNER (al telefono): Volevo dirti di Jerska. È morto, si è impiccato ieri sera. [Lungo momento di silenzio, in cui Georg rimane impietrito.] Georg? GEORG: Devo riattaccare.

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Georg, ancora scosso, si mette al pianoforte. Osserva lo spartito che Jerska gli ha regalato per il suo compleanno, dal titolo Sonata per uomini buoni, poi inizia a suonare. Gerd ascolta in silenzio. Georg suona con passione, ricordando l’amico suicida. Chista-Maria gli abbraccia le spalle. Gerd sembra molto colpito dalla musica; una lacrima gli scende sul volto. GEORG: Penso a che cosa ha detto Lenin della Appassionata di Beethoven. “Non devo ascoltarla o non terminerò la Rivoluzione.” Ma come fa chi ha ascoltato questa musica… Ma veramente ascoltato... a rimanere cattivo?

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La scena cambia: Gerd sta rincasando nel suo palazzo. Un bambino gioca a palla nell’androne, poi entra con lui in ascensore tenendo la palla in mano. BAMBINO: Davvero tu sei della Stasi? GERD: Ma lo sai che cos’è, la Stasi? BAMBINO: Sì, papà dice che sono degli uomini tanto cattivi che mettono la gente in prigione. GERD: Davvero? E come si chiama... [Gerd si interrompe.] BAMBINO: Come si chiama, chi? GERD: La tua palla. Il nome della tua palla. BAMBINO: Ma che domande, le palle non ce l’hanno un nome! Le porte si aprono e Gerd esce dall’ascensore di fretta, senza rispondere al bambino.

[Le vite degli altri (Das Leben der Anderen, 2006), regia di Florian Henckel von Donnersmarck]

COMMENTO Ideologia contro sentimento Le vite degli altri fa i conti con un periodo molto recente e ancora doloroso della storia tedesca, un passato che i tedeschi hanno ancora assai vivido nella mente. Per esempio, Ulrich Mühe, l’attore che interpreta Weisler, ha avuto un’esperienza diretta del clima oppressivo che si respirava nella Germania Est: per tutta la sua carriera teatrale nella Berlino Est degli anni Settanta e Ottanta era costantemente sorvegliato da agenti e da informatori della Stasi, e persino la donna che all’epoca era sua moglie lavorava per la polizia segreta. Quando gli è stato chiesto come si è preparato per il ruolo dello spietato capitano Gerd Weisler, cacciatore implacabile di dissidenti e spia dei suoi concittadini, ha risposto soltanto: «Ricordando».

Tuttavia, von Donnersmarck ha spiegato che il film non nasce come “un film sulla DDR”, ma proprio dalla frase di Lenin che abbiamo letto nel brano: parlando della Appassionata di Beethoven, una sonata che amava moltissimo, Lenin disse scherzosamente al poeta Maksim Gor’kij di non poterla ascoltare troppo spesso, o «gli sarebbe venuto il desiderio di accarezzare gli esseri umani per essere capaci di una simile bellezza, quando invece era il caso di colpirli senza pietà: se continuassi ad ascoltarla, non riuscirei a portare a termine la rivoluzione». Von Donnersmarck ha spiegato che leggendo questo aneddoto gli era venuta in mente una scena simbolica: Lenin da solo, al centro di una stanza, con le cuffie, costretto ad ascoltare l’Appassionata.

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La potenza della bellezza Da questa scena prende le mosse l’intero film. L’immaginaria Sonata per uomini buoni, composta in realtà dal musicista libanese Gabriel Yared, autore della colonna sonora, è il momento di non ritorno per Gerd: i suoi sentimenti, da tempo soffocati dall’adesione all’ideologia del regime, si risvegliano, ed egli inizia a provare amore ed empatia per il prossimo al punto di non essere più in grado di agire con la crudeltà di prima, anche a costo di sacrificare sé stesso per loro. Alla fine del film,

il capitano Weisler finirà infatti per perdere tutto, per proteggere Dreyman. La lacrima che scende sul suo volto è forse un espediente un po’ scontato e retorico, ma sottolinea molto bene il valore simbolico di quel momento. Più che cambiare, possiamo dire che Weisler riscopre sé stesso, o meglio una parte fondamentale di sé: fa l’esperienza della bellezza, un’esperienza che aveva escluso dalla sua vita di funzionario e spia. Il messaggio fondamentale del film è racchiuso in quei secondi di silenzio in cui Weisler ascolta la Sonata e si rende conto di tutto ciò a cui ha rinunciato fino a quel momento. Un’ideologia forte tende a dividere gli uomini, a farli diventare violenti, a metterli in competizione tra di loro, ma l’arte e i sentimenti li avvicinano nuovamente, fanno scoprire un po’ degli altri in noi stessi: una persona che si commuova di fronte alla bellezza, ci dice von Donnersmarck, in fondo al cuore non può essere davvero cattiva.

Nel testo

Oltre il testo

LEGGERE E COMPRENDERE

SCRIVERE

1. Riassumi brevemente le tre scene che hai visto.

5. Ti è mai capitato di commuoverti fino alle lacrime per qualcosa di bello (una canzone, un quadro, una poesia, un film, ma anche un episodio che hai vissuto o a cui hai assistito)? È un’esperienza che ti ha cambiato? Ti sembra che ti abbia reso una persona migliore? Perché? Scrivi un breve testo in cui racconti cosa ti è successo.

«Improvvisamente, in quel momento, ho capito che era questa la vera essenza dell’ideologia: il totale dominio del principio sul sentimento. Mi fu chiaro che una delle più grandi sfide della vita è trovare il giusto bilanciamento tra principio e ideologia, quando affrontiamo una scelta morale. Lenin scelse un estremo, il principio, ma in un certo senso la sua frase è anche una bella testimonianza del potere umanizzante delle Arti.»

RIFLETTERE SULLA LINGUA 2. «Ma come fa chi ha ascoltato questa musica… Ma veramente ascoltato... a rimanere cattivo?» Questa frase di Georg è corretta, dal punto di vista grammaticale? Che cosa vuole sottolineare il personaggio, ripetendo ascoltato? ANALIZZARE 3. Osserva il contrasto tra la casa di Georg e Christa-Maria e l’ambiente in cui Gerd ascolta le loro conversazioni. Quali sono le differenze negli spazi, negli arredi, nel tipo di luce? Che cosa vuole mostrare il regista, attraverso questa contrapposizione? 4. Il film è ambientato nell’anno 1984. La data allude a una celebre opera che parla di regimi totalitari. Quale? Se non ti viene in mente niente, prova a cercare su Internet.

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PARLARE 6. Leggi in classe il testo che hai preparato per l’esercizio 5, e ascolta quello dei tuoi compagni e compagne di classe. Davvero fare un’esperienza commovente cambia in meglio le persone? Davvero il mondo sarebbe un posto migliore, se tutti coltivassero l’arte e i sentimenti? Rifletteteci insieme, con l’aiuto dell’insegnante.


Io e mia madre

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Marcel Proust Audiolibro

Io non distoglievo gli occhi da mia madre; sapevo che quando fossero stati a tavola non mi avrebbero consentito di restare per tutta la durata del pranzo, e che, per non contrariare mio padre, la mamma non avrebbe permesso ch’io la baciassi più volte davanti a tutti, come se fossimo stati in camera mia. Perciò mi ripromettevo, in sala da pranzo, quando avessero cominciato a mangiare ed io sentissi l’ora approssimarsi, di fare, prima di quel bacio che sarebbe stato così breve e furtivo, tutto quello che ne potevo fare da solo: scegliere con lo sguardo il punto della gota1 che avrei baciato, preparare il mio pensiero per avere la possibilità, grazie a quell’inizio di bacio mentale, di consacrare intero il minuto che la mamma m’avrebbe accordato a sentire la sua gota contro le mie labbra, come un pittore che, non potendo ottenere se non brevi pose, prepara la tavolozza, e ha fatto già prima a memoria, servendosi dei propri appunti, tutto quello per cui può anche rinunziare alla presenza del modello. Ma ecco che, prima che suonassero per il pranzo, il nonno ebbe l’inconscia ferocia di dire: – Il bambino ha l’aria stanca, dovrebbe andar disopra e mettersi a letto. Del resto si pranza tardi stasera –. E mio padre, che non era così scrupoloso come la nonna e la mamma nel serbare fede ai trattati, disse: – Sì, andiamo, va’ a coricarti –. Feci per dare un bacio alla mamma, e in quel momento si sentì la campana del pranzo. – Ma no, via, lascia stare la mamma, vi siete dati abbastanza bene la buona notte così, sono ridicole codeste espansioni. Su, va’ disopra! – E mi toccò andarmene senza viatico2; mi toccò salire uno dopo l’altro i gradini della scala, davvero «a malincuore»: il salire mi faceva male al cuore, che avrebbe voluto tornare dalla mamma, poiché lei non gli aveva dato, baciandomi, licenza di seguirmi. […] Giunto in camera, mi toccò serrare ogni uscita, chiudere le imposte, scavarmi la tomba con le mie stesse mani, preparando le coltri3, vestire il sudario4 della camicia da notte. Ma, prima di seppellirmi nel letto di ferro […] ebbi un moto di ribellione, e volli tentare un’astuzia da condannato. Scrissi alla mamma supplicandola di venire su per una cosa grave che non le potevo dire nella lettera. Il mio timore era che Françoise, la cuoca della zia, incaricata di badare a me quando ero a Combray5, si rifiutasse di portare il mio biglietto. Capivo che fare una commissione alla mamma mentre c’era gente, le sarebbe parso altrettanto impossibile come al portinaio d’un teatro il consegnare una lettera a un attore che è in scena. Ella aveva, riguardo alle cose che si possono o non si possono fare, un codice imperioso, vasto, sottile e intransigente […]. […] Ma, per avere una probabilità di vittoria, non esitai a mentire, asserendole che non ero stato io, per nulla, ad aver voluto scrivere alla mamma, ma proprio la mamma invece, nel lasciarmi, m’aveva raccomandato di non dimenticare di mandarle una risposta riguardo a un oggetto che m’aveva pregato di cercare; e certo, se non le avesse consegnato quel biglietto, si sarebbe arrabbiata moltissimo. Immagino che Françoise

1. gota: guancia. 2. viatico: il conforto, il sostegno del bacio della madre. 3. coltri: coperte (ma con il termine “coltre” si indica anche il drappo funebre che ricopre la bara).

4. sudario: fazzoletto utilizzato per detergere il sudore o coprire il volto dei morti. Il termine può essere anche utilizzato per indicare il lenzuolo in cui si avvolgono i cadaveri. 5. Combray: cittadina nel Nord della Francia.

3. Osservare sé stessi

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non mi credesse, giacché, come gli uomini primitivi, i cui sensi erano più potenti dei nostri, discerneva immediatamente, da segni inafferrabili per noi, qualsiasi verità che volessimo tenerle nascosta; guardò la busta per cinque minuti come se l’esame della carta e l’aspetto della scrittura dovessero chiarirle la natura del contenuto o apprenderle a quale articolo del suo codice le occorresse richiamarsi. Poi uscì con un’aria rassegnata, che sembrava significare: «È poco una disgrazia per i genitori avere un figlio così!» Tornò dopo un istante a dirmi che erano appena al gelato, che il maggiordomo non poteva in quel momento consegnare la lettera davanti a tutti, ma, quando avessero dato l’acqua per le mani, si sarebbe trovato il modo di passarla alla mamma. Subito quella mia ansietà scomparve; adesso non era più come poco prima, che avevo lasciato la mamma fino a domani, poiché almeno il mio biglietto, mettendola senza dubbio in collera (e doppiamente, perché quel traffico m’avrebbe reso ridicolo agli occhi di Swann6) stava per introdurmi invisibile e beato nella stanza dov’era lei, e parlarle di me all’orecchio; quella sala da pranzo proibita, ostile, dove solo un attimo prima, il gelato – una granita – e le coppette mi sembravano racchiudere piaceri malvagi e mortalmente tristi, poiché la mamma li godeva lontano da me, mi si apriva, e, come un frutto divenuto dolce che rompa il suo involucro, avrebbe fatto scaturire, proiettare fino al mio cuore inebriato l’attenzione della mamma, mentre leggeva quelle mie righe. Ora non ero più diviso da lei; le barriere erano cadute, un filo delizioso ci congiungeva. E poi, non era soltanto questo: la mamma sarebbe venuta certamente. (M. Proust, La strada di Swann, tradotto dal francese da N. Ginzburg, Einaudi, Torino 1978) 6. Swann: è la persona invitata a cena.

1. Perché nel testo si dice che il nonno parla con inconscia ferocia (riga 13)? A

Perché il nonno, segretamente d’accordo con il padre, si adopera per far andare a letto il protagonista, rendendo quest’ultimo terribilmente infelice.

B

Perché, senza accorgersene, usa un tono della voce particolarmente crudele.

C

Perché si comporta da incosciente.

D

Perché manda a letto il nipote, provocando in lui, senza esserne consapevole, una terribile sofferenza.

2. Il pronome gli (riga 22) si riferisce A

al viatico.

B

al cuore.

C

al bacio.

D

al padre.

3. Alla riga 22 termina la prima sequenza del testo perché A

inizia un nuovo capoverso.

C

termina il dialogo a cena.

B

entra in scena un nuovo personaggio: la cuoca Françoise.

D

cambia il luogo in cui si svolgono le azioni.

4. Il protagonista descrive il momento in cui va a letto con alcuni termini tipici del lessico funebre. Individuali e trascrivili qui sotto: A B C D 434

I libri e il mondo


A

In entrambi i casi sta a indicare un insieme di regole.

B

Alla riga 32 ci si riferisce a un manoscritto antico, alla riga 41 ad una raccolta di norme giuridiche.

C

In entrambi i casi rimanda a qualcosa di segreto, nascosto.

D

Alla riga 32 designa un sistema di comunicazione, alla riga 41 qualcosa di difficile da decifrare, da capire.,

VERSO L'INVALSI

5. Il termine codice appare due volte nel testo alle righe 32 e 42.

6. Come si sente il protagonista dopo la consegna del biglietto a Françoise? A

Si sente beato, quasi fuori di sé dalla felicità, tanto che immagina di essere fisicamente presente nella sala di pranzo dove c’è la madre.

B

È tranquillo, anche se un po’ preoccupato perché sicuramente la madre si sarebbe arrabbiata.

C

Si sente risollevato perché quel biglietto avrebbe portato su di sé l’attenzione della madre e l’avrebbe fatta salire in camera.

D

È divorato dalla gelosia per la madre .

7. In corrispondenza dei tre puntini di sospensione racchiusi tra parentesi quadre A

chi legge deve fare una lunga pausa.

B

il traduttore segnala che un’espressione o una fase del testo non è stata resa in modo letterale.

C

il redattore avverte che una nota presente nel testo originario è stata tolta.

D

una parte del testo originario è stata omessa.

8. Quale figura retorica ricorre frequentemente nel testo, dalle prime alle ultime righe? A

L’ossimoro.

B

La similitudine.

C

La sinestesia.

D

L’anafora.

9. Il titolo assegnato al brano è di pura fantasia e non è presente nel testo originario. Quale titolo, tra i seguenti, ti pare sintetizzerebbe altrettanto efficacemente il contenuto del testo che hai letto? A

Le ansie un giovane ribelle.

B

Il bacio della buonanotte.

C

Tra padre e madre.

D

Lo stratagemma del biglietto.

10. Per quanto riguarda lo stile utilizzato dall’autore si può dire che A

i periodi sono piuttosto lunghi e ricchi di subordinate e incisi.

B

abbondano le coordinate, così come spesso avviene quando emergono pensieri e ricordi.

C

l’utilizzo di una fitta punteggiatura dà enfasi e rilievo alle sensazioni del protagonista.

D

il lessico è particolarmente ricercato, con chiara predominanza di termini letterari.

3. Osservare sé stessi

435


COMPITO DI REALTÀ

L’Open Day: ci presentiamo Con un documento del 22 maggio 2018 il Consiglio dell’Unione europea ha invitato gli Stati membri a rivedere le strategie dei propri sistemi formativi sulla base delle trasformazioni economiche, sociali e culturali in atto. Il pilastro europeo dei diritti sociali […] sancisce come suo primo principio che ogni persona ha diritto a un’istruzione, a una formazione e a un apprendimento permanente di qualità e inclusivi, al fine di mantenere e acquisire competenze che consentono di partecipare pienamente alla società e di gestire con successo le transizioni nel mercato del lavoro. […] Le competenze richieste oggi sono cambiate: più posti di lavoro sono automatizzati, le tecnologie svolgono un ruolo maggiore in tutti gli ambiti del lavoro e della vita quotidiana e le competenze imprenditoriali, sociali e civiche diventano più importanti per assicurare resilienza e capacità di adattarsi ai cambiamenti. (Premessa alla Raccomandazione del Consiglio dell’Unione Europea del 22 maggio 2018 relativa alle competenze chiave per l’apprendimento permanente)

La Raccomandazione rafforza e amplia il legame che collega la scuola con il mondo del lavoro e attribuisce alla scuola il compito, difficile, di rendere le persone non solo istruite, ma consapevoli di sé stesse e del proprio ruolo nella comunità in cui vivono. La scuola ha risposto a questa Raccomandazione. Da una parte ha cercato di rinnovarsi sperimentando metodi e strategie di insegnamento innovativi, dall’altra ha messo in atto alcune attività di orientamento: una delle più diffuse è l’organizzazione degli Open Day.

COMPITO

Il Dirigente Scolastico della tua scuola ha deciso di organizzare delle attività di Open Day per presentare le offerte didattiche dell’Istituto agli studenti della scuola superiore di primo grado che devono scegliere il loro percorso di studi e alle loro famiglie. La comunicazione alle famiglie avviene attraverso diversi canali informativi. Il Dirigente Scolastico ha chiesto agli studenti di partecipare all’evento per presentare il proprio indirizzo: durante la manifestazione verrà loro affidato uno spazio riservato all’interno della scuola per organizzare delle attività e presentare dei materiali. I vostri insegnanti vi hanno proposto di partecipare e voi avete aderito.

PRODOTTO ATTESO

Traguardi di competenza

Dovrete creare un micro-evento all’interno dell’Open Day dell’Istituto. Il vostro lavoro si articolerà in più fasi: ▶ la progettazione dell’evento e la produzione di materiali pubblicitari e promozionali; ▶ la partecipazione all’Open Day e la presentazione ai visitatori del vostro indirizzo di studi; ▶ la valutazione post-evento, basata sull’analisi dei dati raccolti durante l’evento.

DESTINATARI

Gli studenti delle scuole superiori di primo grado potenzialmente interessati a scegliere la vostra scuola e a iscriversi al vostro indirizzo per il prossimo anno scolastico.

436

I libri e il mondo


RISORSE, STRUMENTI

▶ Collegamento a Internet e bacheca digitale per raccogliere gli spunti progettuali ▶ Programmi gratuiti di infografica e di presentazione per predisporre il materiale informativo ▶ Dispositivi personali per fare brevi video o fotografie ▶ Postazioni PC per elaborare i materiali raccolti ▶ Spazio di archiviazione digitale condiviso ▶ Ambiente virtuale per incontri di programmazione e di coordinamento dei gruppi ▶ Disponibilità di una/due aule con LIM ▶ Postazioni PC per registrare i visitatori e far loro compilare il questionario di gradimento

TEMPI E FASI

Lo svolgimento dell’attività richiederà 11 ore e si distribuirà nell’arco di tempo di un mese circa. ▶ 7 ore curricolari: • 2 con tutta la classe per introdurre obiettivi, definire contesto e target dei destinatari, delineare l’evento, definire gruppi e assegnare ruoli e compiti, organizzare la tempistica delle varie attività e raccogliere il materiale prodotto • 4 in momenti diversi e con i diversi gruppi per il tutoraggio dell’insegnante • 1 ora con tutta la classe per la restituzione e la condivisione dei dati e la valutazione dell’esperienza ▶ 4 ore extracurricolari per la raccolta dei dati, dei documenti e la produzione di materiale informativo. L’evento avrà la durata prevista dal programma di Istituto dell’Open Day.

PRIMA FASE: PROGETTAZIONE DELL’EVENTO, PIANIFICAZIONE DELLE ATTIVITÀ E PREDISPOSIZIONE DEI MATERIALI

L’insegnante presenta alla classe gli obiettivi del progetto, il contesto, il target dei destinatari definiti dalla circolare pubblicata dal Dirigente Scolastico. Ricorda che il contenuto delle informazioni che verranno date nel corso dell’evento deve essere corretto, e che le fonti devono essere verificate; gli studenti sono liberi, però, di scegliere le forme e le modalità della comunicazione e di esprimere la loro creatività nella realizzazione dei materiali informativi. Per quanto riguarda le interviste audio e video, occorre chiedere alle persone coinvolte una dichiarazione firmata di disponibilità alla registrazione per la tutela della privacy. ▶ Si lancia un brainstorming per raccogliere spunti e idee che si trascrivono su una bacheca digitale, che consente poi di riordinare e organizzare le idee definendo una check list delle attività. Alcuni spunti potrebbero essere i seguenti:

• Produzione di materiale informativo sull’indirizzo. I materiali informativi possono essere di varie

tipologie e devono essere pensati tenendo conto del luogo in cui si troveranno: opuscoli, cartelloni, presentazioni, infografiche, sezioni dedicate sul sito istituzionale della scuola.

• Creazione di un sito dedicato. Si può pensare di creare un piccolo sito dedicato all’indirizzo

che presentate in cui raccogliere il materiale prodotto; questo sito potrà essere collegato tramite un link al sito istituzionale dell’Istituto e sarà consultabile anche dopo l’evento.

• Apertura di profili dedicati su Facebook, Twitter, Instagram. • Predisposizione di un blog da mantenere aggiornato anche dopo la conclusione dell’evento. • Raccolta di documentazione audio-video sulle strutture dell’Istituto (aule speciali, laboratori, biblioteca, locali e spazi comuni per attività ricreative…).

3. Osservare sé stessi

437

COMPITO DI REALTÀ

MODALITÀ DI LAVORO

Si prevedono momenti di lavoro in plenaria, ma la maggior parte delle attività verrà svolta in modalità collaborativa, a piccoli gruppi, con una suddivisione di compiti e ruoli. L’insegnante svolgerà la funzione di tutor e di coordinatore; potranno essere coinvolti anche docenti di altre discipline.


• Si possono raccogliere testimonianze sulle attività promosse nell’Istituto o sui concorsi a cui ha

partecipato; esperienze di tirocini in azienda degli studenti; interviste con ex allievi per focalizzare l’attenzione sugli sbocchi professionali offerti dall’indirizzo.

• Laboratori didattici. Si possono organizzare brevi laboratori dimostrativi (20-30 minuti) con

la collaborazione dei vostri docenti di disciplina (per esempio giochi in lingua inglese, piccoli esperimenti di chimica o fisica...); i laboratori si possono svolgere in presenza durante l’evento o possono essere realizzati nei giorni precedenti, filmati e poi presentati nel corso dell’Open Day.

• Predisposizione di un modulo di registrazione. I partecipanti dovranno compilarlo con i propri

dati personali, i contatti, il nome dell’Istituto di provenienza. In questo modo saranno disponibili dati utili nella fase di rielaborazione finale sull’utenza che ha preso parte all’evento.

• Preparazione di un piccolo questionario di gradimento, da far compilare, in forma anonima, al termine della visita, che sarà analizzato dopo l’evento nel corso della fase di valutazione.

▶ Si decide quali attività organizzare e quali materiali produrre. ▶ Si organizzano dei gruppi di lavoro con una precisa distribuzione di compiti e di responsabilità. ▶ Si pianificano i tempi definendo un cronoprogramma delle cose da fare.

Il diagramma di Gantt

Questi ultimi tre aspetti del progetto devono essere monitorati. Per farlo si può utilizzare il diagramma di Gantt, cioè un diagramma cartesiano in cui si dispone sull’asse orizzontale la scala temporale di durata del progetto, dall’inizio alla deadline (cioè al termine), e sull’asse verticale tutte le cose da fare. Con una barra colorata si mette in evidenza quanto deve durare un’attività e la si assegna a un gruppo.

Ecco un esempio: IIS. / ITIS / LICEO …………………………………........................……… - A.S. 20....…-20....… - CLASSE ………………...……… PROGETTO ……………………………………………………………………….……………………..................................………… CRONOPROGRAMMA azioni/tempi

i settimana

ii settimana iii settimana iv settimana

Brainstorming - Progettazione Scelta attività

Plenaria: tutti

Raccolta documentazione dati

Gruppi 1 e 2

Gruppi 1 e 2

Raccolta documentazione video e foto

Gruppi 3 e 4

Gruppi 3 e 4

Produzione cartelloni questionari

attività post-evento

Gruppo/i: … Gruppo/i: …

Allestimento sito - aggiornamento - analisi feedback

Gruppo: …

Gruppo: …

Gruppo: …

Apertura profili Facebook, Twitter, Instagram e gestione

Gruppo: …

Gruppo: …

Gruppo: …

Impostazione blog

Gruppo: …

Gruppo: …

Gruppo: …

Gruppo: … Docente: …

Se in presenza

Tutti

Gruppi a turni

Organizzazione interviste ai testimonial

Gruppo/i: … Gruppo/i: … Gruppo/i: …

Organizzazione laboratori didattici

Gruppo: … Docente: …

Presentazione: prove generali e all’evento Accoglienza visitatori Valutazione-autovalutazione

438

evento

I libri e il mondo

Gruppo: … Docente: …

Gruppo: … Docente: …

Gruppi a turni Plenaria: tutti


Si tratta di uno strumento che può essere utile anche per organizzare il proprio tempo quando si devono conciliare attività di studio, attività sportive, frequenza a scuola; o quando si deve studiare per verifiche di diverse materie che si possono sovrapporre… ▶ A ridosso della data dell’evento si raccolgono tutti i materiali e si postano i documenti che

devono essere condivisi online.

SECONDA FASE: PARTECIPAZIONE ALL’EVENTO Per partecipare all’evento può essere utile una riorganizzazione dei gruppi in funzione dei compiti di gestione dell’evento stesso: ▶ prepararsi alla presentazione dei materiali ai visitatori: questa presentazione può essere

proposta per piccoli gruppi, in modo da avere la possibilità di interagire meglio con i visitatori;

▶ organizzare i turni alle postazioni PC per la registrazione dei visitatori e per il monitoraggio del

gradimento.

TERZA FASE: VALUTAZIONE DEI RISULTATI Nei giorni successivi all’evento occorre procedere con l’esame dei dati raccolti. Le informazioni richieste ai visitatori possono essere analizzate sia nella resa dei dati sul foglio di calcolo, sia nella rappresentazione di sintesi attraverso dei grafici fornita dal programma: i dati raccolti daranno informazioni sull’Istituto comprensivo frequentato dai visitatori, sul paese o sul quartiere di provenienza, sulla distribuzione per generi…

VALUTAZIONE DEL PRODOTTO ATTESO

Il questionario di gradimento compilato dai visitatori può dare indicazioni sull’apprezzamento che l’iniziativa ha incontrato nel suo complesso o in relazione a particolari aspetti o momenti dell’evento. Se avete creato un sito dedicato e avete previsto la possibilità di lasciare un feedback o di mettere un “like”, avrete un ulteriore riscontro del gradimento suscitato dal vostro evento, che dovrà essere però valutato a distanza di un po’ di tempo, per raccogliere più accessi possibile. Questionario di autovalutazione

RIFLESSIONE E AUTOVALUTAZIONE

Riflettete sul lavoro svolto aiutandovi con il Questionario di autovalutazione disponibile nell’eBook.

Ti è piaciuto realizzare il micro-evento nella giornata dell’Open Day proposto in questo compito di realtà? Potresti scegliere di far diventare il tuo contributo all’organizzazione dell’evento il tuo CAPOLAVORO, cioè l'esperienza che consideri più significativa fra quelle portate avanti in prima persona nell'ambito della scuola o al di fuori della scuola, il progetto che più rappresenta chi sei e cosa sai fare, che valorizza i tuoi talenti e le tue attitudini. Prova a spiegare le ragioni della tua scelta riflettendo sui seguenti punti: • quali abilità hai messo in evidenza durante il progetto? quali difficoltà hai superato? • quali dei tuoi aspetti hai migliorato durante la realizzazione del progetto? • al termine del progetto la tua autostima è cresciuta?

3. Osservare sé stessi

439

COMPITO DI REALTÀ

L’utilizzo di questo strumento: ▶ offre una visione d’insieme di tutte le attività del progetto in modo semplice e completo; ▶ permette di monitorare e seguire l’evoluzione dei lavori; ▶ aiuta a gestire il progetto e le possibili emergenze non previste dalla pianificazione; ▶ è semplice da realizzare: si può predisporre con un foglio di calcolo condiviso oppure su un cartellone da appendere in classe in modo che tutti lo possano consultare.



Preparare il domani con la scuola di oggi Un progetto Deascuola inclusivo, paritario, sostenibile e innovativo per essere più vicini a chi insegna e a chi studia

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Una nuova vita pone un’attenzione costante al coinvolgimento attivo di ragazze e ragazzi per avvicinarli alla lettura in modo naturale e spontaneo.

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In viaggio tra le poesie

STRATEGIE DI LETTURA E DI SCRITTURA

Che cosa troverai in questa sezione?

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In questa sezione leggerai poesie e incontrerai poeti: saranno proprio loro a insegnarti alcune delle tecniche che hanno sperimentato e a mostrarti gli strumenti del loro mestiere. Per la poetessa milanese Alda Merini (1931-2009):

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I poeti lavorano di notte quando il tempo non urge su di loro, quando tace il rumore della folla e termina il linciaggio delle ore. I poeti lavorano nel buio come falchi notturni od usignoli dal dolcissimo canto e temono di offendere iddio ma i poeti nel loro silenzio fanno ben più rumore (A. Merini, Il suono dell’ombra, Mondadori, Milano 2010) di una dorata cupola di stelle.

I poeti, proprio come gli artigiani, lavorano (non solo di notte) con le idee e con le parole: descrivono, creano connessioni tra mondi, ci mostrano le cose sotto un altro punto di vista. Alda Merini dice che con il loro silenzio «fanno ben più rumore di una dorata cupola di stelle»: un’immagine sognante e piena di meraviglia che ci stupisce e ci riempie di domande. Stanno in silenzio o fanno rumore? E perché «temono di offendere Dio»? Leggere una poesia significa vedere la realtà con gli occhi del poeta e fare un piccolo viaggio, che, esattamente come un viaggio reale, ci apre mondi che non immaginiamo. Per immergersi nella poesia occorre prendersi un po’ di tempo: le parole dei poeti, come un incantesimo, devono poter risuonare dentro di noi. L’insegnante può iniziare a leggere ad alta voce, e poi potete continuare voi, a turno. In questo modo le poesie vi “entreranno nell’orecchio”, proprio come succede con le canzoni, e resteranno impresse nella vostra memoria. Leggerete di luoghi che fanno sognare, di sere d’estate, di regali di compleanno, di animali guida, di oggetti smarriti, di locande affollate… In queste immagini cercherete qualcosa che parli di voi, della vostra vita e dei vostri ricordi. Al termine del percorso, sarà bello raccogliere tutte queste suggestioni in una poesia da condividere con i compagni. Ti aiuteranno lungo il percorso: – spunti di scrittura e riflessione; – i box Ricalco poetico, che ti aiuteranno a imitare alcune poesie; – i box Trova le tue idee, per raccogliere pensieri, ricordi ed esperienze. La scrittrice Anna Maria Ortese diceva che «Scrivere è cercare la calma, e qualche volta trovarla. È tornare a casa. Lo stesso che leggere». Ma quindi partiamo o torniamo a casa? La poesia, come un incantesimo, tiene insieme esperienze che sembrano opposte e forse scopriremo che, leggendo delle poesie, invece di allontanarci, siamo arrivati – tornati – in un posto che ci appartiene e parla di noi.

ATTRAVERSO LE POESIE: STRATEGIE DI LETTURA E DI SCRITTURA


Costruiamo la comunità dei lettori: a noi piace la poesia?

STRATEGIA Iniziare a riflettere sulla poesia, costruire la “comunità dei lettori” e creare un clima di empatia e ascolto in classe. INDICAZIONI DI LAVORO / 1 Le poesie di Wisława Szymborska non contengono grandi certezze ma, guardando il mondo con gli occhiali dell’ironia, ci regalano una visione alternativa della realtà. E chi meglio di una poetessa può dirci cos’è la poesia? Leggete più volte ad alta voce la poesia in classe.

Wisława Szymborska

Ad alcuni piace la poesia Ad alcuni – cioè non a tutti. E neppure alla maggioranza, ma alla minoranza. Senza contare le scuole, dove è un obbligo, 5 e i poeti stessi, ce ne saranno forse due su mille. Piace – ma piace anche la pasta in brodo, 10 piacciono i complimenti e il colore azzurro, piace una vecchia sciarpa, piace averla vinta, piace accarezzare un cane. 15 La poesia –

ma cos’è mai la poesia? Più d’una risposta incerta è stata già data in proposito. Ma io non lo so, non lo so e mi aggrappo a questo 20 come all’àncora di un corrimano.

STRATEGIE DI LETTURA E DI SCRITTURA

A che cosa serve la poesia? È utile o del tutto superflua? Quanti poeti viventi conoscete? Li avete mai incontrati? Avete un loro libro di poesie a casa? Ne conoscete qualcuna a memoria? E come si fa scrivere una poesia? Ne avete mai scritta una? Insomma: vi piace la poesia? Per iniziare a riflettere su questo argomento così ampio e variegato, ti proponiamo due testi molto diversi tra loro: ▶ una poesia di Wisława Szymborska, la poetessa polacca che ha ricevuto il premio Nobel per la Letteratura nel 1996; ▶ un breve testo in cui il cantante Jovanotti (Lorenzo Cherubini) risponde a una domanda di Nicola Crocetti, un editore di libri di poesia.

(W. Szymborska, La gioia di scrivere, Tutte le poesie 1945-2009, tradotto dal polacco da P. Marchesani, Adelphi, Milano 2009)

ATTRAVERSO LE POESIE: STRATEGIE DI LETTURA E DI SCRITTURA

193


STRATEGIE DI LETTURA E DI SCRITTURA

Jovanotti.

194

INDICAZIONI DI LAVORO / 2 Leggete ad alta voce questa riflessione di Jovanotti.

Jovanotti, secondo te la poesia è necessaria? Non so se “necessaria” è la parola che userei per definire la poesia, perché è ridondante. Di fatto si può vivere bene anche senza, però se si incontra la poesia si vive meglio, non si è mai soli, si è sempre circondati da queste voci, dalle invenzioni, dalle immagini, è come ridiventare animali, i sensi sono più acuti. Dopo aver letto una poesia si è diversi, tutto appare di nuovo per la prima volta. La poesia rigenera. In un’epoca di “consumatori” ci rende anche un po’ “generatori”, il che non è niente male. (N. Crocetti, Jovanotti, Poesie da spiaggia, Crocetti Editore, Milano 2022)

SCRIVI Ora, come hanno fatto i due autori che abbiamo letto, scrivi sul quaderno (in una sezione dedicata) per almeno 10 minuti tutte le immagini che ti vengono in mente (anche fantasiose…) per completare la tabella.

La poesia serve a…

La poesia è…

• vivere meglio

• un generatore

• …………………………………………………………………………

• …………………………………………………………………………

• …………………………………………………………………………

• …………………………………………………………………………

• …………………………………………………………………………

• …………………………………………………………………………

• …………………………………………………………………………

• …………………………………………………………………………

A CLASSE INTERA

Infine potete condividere le vostre riflessioni e scrivere sulla lavagna:

■ a che cosa serve la poesia ■ che cos’è la poesia

scegliendo tra le tante cose che avete scritto quella che vi convince di più.

MEMO

Ci siamo scambiati impressioni e idee sulla poesia, riflettendo su che cosa sia, a che cosa serva (o non serva). Ovviamente le nostre attuali considerazioni possono cambiare nel corso della nostra vita e grazie alle nostre letture. Abbiamo visto che ogni poesia è un oggetto talmente unico che può essere paragonata a qualunque cosa, che non ci sono limiti razionali. Ricordalo quando ti troverai a scrivere la tua: non aver paura di osare!

ATTRAVERSO LE POESIE: STRATEGIE DI LETTURA E DI SCRITTURA


ST R AT EG

IA

SEZIONE 1 - Da che cosa nasce la poesia?

1

Parlare di sé

1. S. Romani, Saffo, la ragazza di Lesbo, Einaudi, Torino 2022.

STRATEGIA Riconoscere gli elementi che caratterizzano l’io lirico del poeta e iniziare a mettere a fuoco se stessi.

INDICAZIONI DI LAVORO / 1 Leggete ad alta voce la poesia, più volte.

Saffo

La cosa più bella

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Un esercito di cavalieri, dicono alcuni, altri di fanti, altri di navi, sia sulla terra nera la cosa più bella: io dico, ciò che si ama.

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È facile far comprendere questo a ognuno. Colei che in bellezza fu superiore a tutti i mortali, Elena, abbandonò il marito pur valoroso,

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e andò per mare a Troia; e non si ricordò della figlia né dei cari genitori; ma Cipride la travolse innamorata. […]

STRATEGIE DI LETTURA E DI SCRITTURA

Il nostro percorso nella poesia parte proprio dall’inizio: nell’antica Grecia, nell’isola di Lesbo, sette secoli prima della nascita di Cristo. Qui Saffo, la nostra protagonista, dirigeva un tìaso, una specie di collegio in cui le ragazze aristocratiche si dedicavano allo studio, alla poesia, alla danza, e dove restavano fino al momento del matrimonio. Un luogo di formazione e di passaggio all’età adulta. L’opera di Saffo ci è giunta in frammenti brevi, in citazioni raccolte da altri autori. Silvia Romani scrive: «I frammenti di Saffo sono come microcosmi di luce circondati dall’ombra e in questi microcosmi la poetessa è la prima artista ad avere usato in modo risoluto la prima persona singolare».1 Saffo è stata la prima scrittrice che, nella storia della poesia, ha detto io e ha fatto sentire a tutti la sua voce. È con le sue opere che inizia la storia della poesia lirica (chiamata così perché accompagnata dal suono della lira): nei suoi testi Saffo parla di sé, dei suoi sentimenti e turbamenti; il tema centrale delle sue poesie è spesso l’amore.

Donna con tavolette cerate e stilo (la cosiddetta “Saffo”), Napoli, Museo Archeologico Nazionale.

11. Cipride: aggettivo che definisce la dea Afrodite, regina di Cipro.

STRATEGIA 1. Parlare di sé

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STRATEGIE DI LETTURA E DI SCRITTURA

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Ora mi ha svegliato il ricordo di Anattoria che non è qui; e io vorrei vedere il suo amabile portamento, lo splendore raggiante del suo viso più che i carri dei Lidi e i fanti che combattono in armi.

13. Anattoria: una delle fanciulle del tiaso, ora lontana. Tra le ragazze del tiaso spesso nascevano legami d’amore.

(Lirici greci, tradotto dal greco da F. Sisti, Garzanti, Milano 2016)

INDICAZIONI DI LAVORO / 2 Chi era Saffo e che cosa ci sta raccontando di sé? Cerca di individuare e sottolineare nella poesia tutti gli elementi che ci permettono di mettere a fuoco la sua individualità: ■ verbi e pronomi alla prima persona singolare; ■ elementi che rendono diversa la poetessa (e da chi), elementi che la rendono simile (e a chi).

A CLASSE INTERA Insieme alle compagne, ai compagni e all’insegnante confrontate le risposte.

SCRIVI Se dovessi dire qual è per te la cosa più bella, la cosa che ti sta più a cuore, che cosa sceglieresti? Scrivi per 10 minuti secondo la modalità che conosci: non fermare la penna e non correggere. Prova a soffermarti su qualcosa che ti descrive in modo unico (per esempio: a tutti piace…, a me invece…); metti in evidenza le tue passioni e cerca di andare in profondità.

MEMO

La poesia lirica mette al centro la personalità del poeta e ci permette di capire chi è e che cosa gli sta a cuore. Segui gli indizi che l’autore dissemina su di sé nelle sue poesie. Lo stesso farai tu scrivendo la tua: raccontare qualcosa di te e di ciò che ti piace o che senti.

Lawrence Alma-Tadema, Saffo e Alceo, 1881, Baltimora, Walters Art Museum.

ATTRAVERSO LE POESIE: STRATEGIE DI LETTURA E DI SCRITTURA


RICALCO POETICO Chandra Livia Candiani, Allora senti Allora senti ci sarà e sarà tu sarai

Dovrai tener caldo alle parole tenerle in un orto sotto la camicia a stretto contatto con la pelle. Bruceranno e graffieranno. Lasciati bruciare.

Dovrai (scegli un’azione speciale che spiegherai bene nei

Passerete dalle città non levarti mai la benda anche quando sentirai chiamare lusingare invocare resta dritta in piedi in groppa al lupo.

Passerete

La memoria è una fabbrica che non smette mai fa i turni di notte e non ha festivi. Il lupo slaccerà i ricordi uno per uno ne farà fiocchi di neve. Il vuoto sarà vasto e alto e profondo lo chiamerai carezza.

(scegli un’immagine finale per chiudere la poesia)

Allora senti.

Allora senti.

Non ci sarà bisogno di avrà e tu

versi successivi)

(descrivi il luogo in cui andrete)

(C.L. Candiani, Fatti vivo, Einaudi, Torino 2007)

INDICAZIONI PER IL RICALCO Prova a riscrivere la poesia seguendo le indicazioni nella colonna di destra (è solo una traccia, puoi modificarla). Scegli un animale guida che ti identifichi e che ti accompagni, un’azione importante che faresti con lui e un’emozione, una sensazione, qualcosa che istintivamente abbini al tuo animale e di cui vuoi parlare nella poesia. La poetessa Chandra Livia Candiani ha scelto un lupo bianco e ha fatto una riflessione profonda sui ricordi (sulle parole che porta con sé, sul restare fedeli a se stessi, sulla memoria). E tu? Quale animale e quale tema scegli per la tua poesia?

STRATEGIA 1. Parlare di sé

STRATEGIE DI LETTURA E DI SCRITTURA

Allora senti ci sarà un lupo e sarà bianco tu sarai bendata e gli starai in groppa in piedi correrete insieme slacciàti dalla ragione legittimi alla velocità dell’aria. Non ci sarà bisogno di fidarsi avrà fiuto e tu equilibrio.

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IA ST R AT EG

STRATEGIE DI LETTURA E DI SCRITTURA

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Il poeta e il mondo

Come abbiamo visto, al centro di ogni poesia c’è un poeta che dice io e che ci racconta ciò che pensa e prova; spesso lo fa mettendosi a confronto, in dialogo, con gli altri, con la realtà in cui vive. Proprio raccontandoci ciò che lo circonda, spesso, ci fa capire meglio chi è e cosa vuole dire. Le parole di un poeta possono raccontare qualunque tipo di sentimento e di situazione: non hanno limiti di contenuto e di forma, di tempo e di spazio (leggiamo Saffo dopo quasi 3000 anni e le sue parole ci appaiono ancora piene di verità: ciò che amiamo è per noi la cosa più bella al mondo). Sapevi che con una poesia è possibile salutare, ringraziare, pregare, fantasticare, sognare un viaggio; e pure maledire, augurare disgrazie, mettere in ridicolo e fare testamento?! Ora vi proponiamo una poesia attraverso cui il poeta si congeda(da una persona, da un luogo) e una poesia usata come dono (nel box Ricalco poetico).

STRATEGIA Riconoscere alcune forme fondamentali dell’atteggiamento poetico: il dono e il congedo. INDICAZIONI DI LAVORO Leggete più volte, ad alta voce, questa poesia. Ricorda: la poesia deve risuonare come una canzone.

Nazim Hikmet

Come siamo arrivati ce ne andiamo Come siamo arrivati ce ne andiamo arrivederci, fratello mare abbiamo preso un po’ della tua ghiaia anche un po’ del tuo sale azzurro intenso 5 e un poco della tua illimitatezza e un po’ della tua luce anche un pochino della tua afflizione qualcosa ci hai svelato del destino di un mare 10 un po’ più speranzosi un po’ più uomini siamo diventati come siamo arrivati ce ne andiamo arrivederci, fratello mare (N. Crocetti, Jovanotti, Poesie da spiaggia, tradotto dal turco da F. Beltrami, Crocetti Editore, Milano 2022)

GIRATI E PARLA

Rifletti insieme al tuo compagno di banco su questi spunti:

■ rintraccia le formule di saluto usate dal poeta e rifletti su questa scelta; ■ in questa poesia c’è un prima e un dopo: quali cambiamenti sono avvenuti? ■ quali sono i doni che il poeta ha ricevuto dal mare?

ATTRAVERSO LE POESIE: STRATEGIE DI LETTURA E DI SCRITTURA


SCRIVI Scrivi per 10 minuti senza staccare la penna dal foglio partendo da questo incipit: Questa poesia mi fa pensare a quella volta che… (Che cosa o chi hai salutato? Era un addio o un arrivederci? Che cosa ti ha lasciato questo incontro?)

MEMO

RICALCO POETICO Guido Catalano, Per il tuo compleanno Ti ho comprato l’estate, un sommergibile e un motel un gatto volante, un annaffiatoio di cristallo, un fischietto ti ho comprato una zucca, un albero di giuggiole, nove tipi di pane, ti ho comprato un pesciolino d’oro un tamburello, ti ho comprato un cappotto verde delle scarpe di corallo, un letto a cinque piazze e mezzo, una casetta dalle finestrelle che sorridono. Ti ho comprato una spada di liquirizia, un topo infrangibile, una banana parlante e ti ho comprato un misuratore di sciocchezze, ti ho comprato diecimila biglie, delle nacchere fosforescenti, un’ora di tuoni e fulmini, una falce di zucchero, ti ho comprato una scala coi pioli di cioccolato uno scoiattolo di lapislazzuli vivo. Ti ho comprato dodicimila paia di calze a righe colorate, una gonna svolazzina e una collezione completa di pozzanghere, ti ho comprato una canna da pesca di pongo. Ti ho comprato una mina anticretino, un abbonamento per fare colazione con me per cent’anni, uno zombi a molla, una scatola di fiammiferi, un cestino di lamponi. Ti ho comprato un piccolo specchio nel quale potrai vedere quanto sei bella. Non sono mai stato un granché bravo a fare i regali. Però questa volta secondo me qualcosa che ti piace c’è.

Scandisci la poesia con l’anafora: ti ho comprato. Scegli dettagli molto precisi. Aggiungi ai dettagli aggettivi altrettanto precisi.

Aggiungi a quelli reali anche elementi surreali, come la collezione di pozzanghere. Aggiungi elementi che facciano sorridere, come la mina anticretino.

(G. Catalano, Ogni volta che mi baci muore un nazista, Rizzoli, Milano 2018)

INDICAZIONI PER IL RICALCO Hai mai pensato di regalare… le parole di una poesia? Metti a fuoco una persona speciale per te; puoi prendere un foglio e appuntarti al volo le idee che ti vengono in mente pensando a lei: cose che le piacciono, ricordi condivisi, colori, numeri, esagerazioni… Ora prova a riscrivere la poesia di Guido Catalano tenendo come guida (puoi mantenerle uguali) le sue parole sottolineate.

Comincia con: Ti ho comprato… STRATEGIA 2. Il poeta e il mondo

STRATEGIE DI LETTURA E DI SCRITTURA

A dispetto di chi dice che la poesia non serve… la poesia ha in verità molti scopi: per esempio può servire a salutare, a dire arrivederci e anche addio. E non è nemmeno necessario parlare la stessa lingua: in poesia si può avere una conversazione persino con il mare.

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