DISCIPLINE Sportive - Nuova Edizione

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sportive

Per i cinque anni del Liceo sportivo

METODOLOGIA DELL’ALLENAMENTO

CON ESPANSIONI DIGITALI

STORIA DELLO SPORT

INTERDISCIPLINARITÀ

Nicola Lovecchio | Matteo Merati | Paola Vago
NUOVA EDIZIONE
AUDIO E VIDEO SUL TUO SMARTPHONE

CORPO E ALLENAMENTO

Ж I presupposti scientifici per l’allenamento 70

Ж La prestazione e le sue variabili 76

Ж Il lavoro muscolare 85

Ж Allenamento e cuore 91

Ж Rendimento e prestazione 99

Ж I parametri dell’allenamento 105

Ж I contenuti dell’allenamento 114

Ж Iniziare e finire l’allenamento 137

I presupposti scientifici per l’allenamento

Il concetto incrementale di allenamento

Partendo dalle scoperte in biologia da cui è derivato il concetto di sindrome generale di adattamento („ pag. 72), le teorie dell’allenamento si sono evolute con l’obiettivo di organizzare in modo razionale le sedute di lavoro, per migliorare i livelli di prestazione di atlete e atleti.

In particolare, le analisi prodotte dai preparatori atletici si sono sempre basate su un concetto/modello di allenamento incrementale. Tale concetto riguarda non solo il volume di lavoro annuale – che è considerevolmente aumentato negli anni (tabella 1) –, ma

anche quanto svolto nelle singole sedute e nei cicli di allenamento, grazie al maggior tempo a disposizione degli atleti professionisti e alle maggiori conoscenze scientifiche sul funzionamento del corpo umano. Sebbene il concetto incrementale rimanga un fondamento delle programmazioni di allenamento, si può intuire il suo limite oggettivo: non si possono aumentare le ore di lavoro in modo infinito. Per questo motivo, da anni tecnici e allenatori adottano criteri aggiuntivi per cercare costantemente di innalzare l’efficienza massima nei loro atleti.

I valori riportati si riferiscono al trentennio 1960-1990: nel tempo c’è stato un notevole incremento dei volumi di lavoro e del numero delle sedute di allenamento (tabella tratta da V. Platonov, Allenamento sportivo, teoria e metodologia, 1996, con aggiornamento).

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TABELLA 1 Indici del lavoro dall’allenamento Sport Corsa su medie distanze Corsa su lunghe distanze NuotoCanottaggioCiclismo su pista Ciclismo su strada Anni Sessanta Volume del lavoro (km) 3000 40001800200013.00020.000 Numero di sedute dall’allenamento 200-220190-200200-230200-240220-290200-250 Anni Novanta Volume del lavoro (km) 6500 85003300600022.00035.000 Numero di sedute dall’allenamento 500-550530-600550-600500-550550-600500-550 Anni Duemila Volume del lavoro (km) 800012.0004000800025.00038.000 Numero di sedute dall’allenamento 1500 17001400120010001400 Principi e metodologia dell’allenamento

Attualmente i metodi più seguiti prevedono:

• l’aumento della percentuale di lavoro specifico, in cui si tralascia il lavoro di iniziale condizionamento, supponendo che l’atleta sia già in forma. L’atleta viene invitato a lavori specifici, destinando il lavoro generico (per esempio, la corsa) per i giorni di riposo, che in questo caso viene definito “riposo attivo”;

• il miglioramento dei mezzi e dei materiali di lavoro. A parità di pianificazione del volume di lavoro, esercizi e tempi di riposo, si utilizzano attrezzature più ergonomiche e sicure, che aiutano la modulazione delle esercitazioni. Inoltre, strumenti come le agility ladders consentono esercitazioni in cui le esecuzioni sono più finalizzate e meno noiose, mantenendo così alta la motivazione e l’entusiasmo dell’atleta;

• l’aggiornamento scientifico, avvalendosi del progredire delle conoscenze circa la fisiologia dell’esercizio, che di anno in anno diventano sempre più dettagliate e specifiche per le diverse categorie di atleti (per esempio, sull’accumulo di acido lattico in corridori, ciclisti o canottieri).

RIFLETTI Spiega quali sono i limiti oggettivi dell’allenamento incrementale e con quali metodi vengono ovviati.

Allo scopo di innalzare sempre più gli stimoli allenanti, questi criteri sono diventati decisivi e vengono applicati spesso dai preparatori, perché molti sport presentano lunghi periodi di gara che non permettono una progettazione dell’allenamento annuale con una netta distinzione tra periodi di preparazione intensa (pre-campionato) e periodi caratterizzati da esercitazioni meno intense a favore di contenuti più specifici e tecnici (in prossimità delle gare).

L’indimenticato velocista italiano Pietro Mennea, oro olimpico nei 200 m alle olimpiadi di Mosca del 1980, è stato un esempio per la serietà e costanza negli allenamenti.

NELLA MIA CARRIERA SPORTIVA MI SONO ALLENATO 5-6 ORE AL GIORNO, TUTTI I GIORNI, PER 365 GIORNI L’ANNO, TRA GARE E ALLENAMENTI, PER QUASI VENTI ANNI».

Pietro Mennea

71 I presupposti scientifici per l’allenamento
Le vasche per il nuoto controcorrente, in grado di generare un flusso di acqua che simula quello naturale di un fiume, consentono di allenarsi anche in spazio ristretti, lontano dagli impianti sportivi. L’atleta impegnato nella nuotata, rimane in pratica fermo, opponendosi alla corrente d’acqua che gli viene incontro, a sua volta regolabile (per gentile concessione del Coni).
«I RISULTATI SI OTTENGONO SOLO CON MOLTO LAVORO.

La supercompensazione

PREREQUISITI La prestazione; la compensazione; l’adattamento

Come avete incominciato a comprendere, l’allenamento è un insieme di stimoli, opportunamente dosati, che agiscono in modo efficace sull’organismo allo scopo di incrementare o almeno mantenere a un dato livello le capacità prestative.

Come visto nel capitolo La teoria dell’allenamento nella sezione 1 („ pag. 25), con l’allenamento il nostro corpo reagisce agli stimoli (stressors) che determinano una situazione generale di affaticamento, alla quale si adatta. Questo meccanismo, che si crea anche solo con una seduta di allenamento, fu descritto per la prima volta dal medico austro-canadese Hans Selye (1907-1982) come sindrome generale di adattamento e consiste in una serie di risposte ormonali aspecifiche e specifiche che coinvolgono tutto il corpo.

In sintesi, l’organismo cerca costantemente di mantenere un equilibrio interno stabile (omeòstasi); gli allenamenti “minano” il livello di performance del corpo, che reagisce agli stimoli stres-

santi con un temporaneo disadattamento. Dopo questa diminuzione di capacità, il sistema tende a recuperare (compensare) le funzioni di base dell’organismo, in modo che un successivo stimolo (della stessa entità del precedente) non venga più subìto come disagio o stressor, ma come nuovo livello di base.

L’allenamento, quindi, è un adattamento per sostenere stress sempre più intensi, oppure per sopportare lo stesso carico con minore fatica e minore dispendio energetico.

GLOSSARIO

Risposte ormonali aspecifiche e specifiche • Le risposte ormonali aspecifiche avvengono sempre a conclusione di un’attività motoria, mentre quelle specifiche dipendono in modo selettivo dal tipo di attività svolta (per esempio, sono diversi gli ormoni prodotti dopo una corsa o dopo il getto del peso).

F R

CORPO E ALLENAMENTO 3 72
RISPONDI Qual è la funzione dell’omeòstasi?
Livello della capacità di prestazione sportiva Tempo Stimolo del carico F R 1 0
La parte discendente del grafico rappresenta il calo di prestazione indotto dalla fatica, mentre la curva verde rappresenta la compensazione che il corpo attua a seguito degli stressor. In particolare la curva verde supera l’asse delle ascisse per descrivere il surplus di compensazione, chiamato appunto supercompensazione. L’innalzamento del livello di performance è quindi dato dalla differenza tra livello 1 e livello 0 e tra livello 2 e livello 1. I momenti in cui si è all’apice della supercompensazione sono quelli ideali per sostenere nuovi allenamenti.
2

Il concetto appena enucleato presuppone che inizialmente venga ristabilita l’omeòstasi continuando con un adattamento in eccesso ma entro un certo periodo di tempo: questo adattamento, detto supercompensazione, permette all’organismo di compiere un lavoro maggiore rispetto allo stato prestress. Le prime reazioni di adattamento includono la mobilitazione delle riserve energetiche, l’aumento della concentrazione ematica di glucosio, acidi grassi, aminoacidi e l’abbassamento della frequenza cardiaca. Il concetto di adattamento è strettamente legato a quello di stress che, sempre secondo Hans Selye (1963), si intende come uno stato di tensione generale dell’organismo provocato da uno stimolo estremamente forte (detto appunto stressor). La cosa interessante che il medico ricercatore canadese scoprì è che, in risposta allo stress (riconosciuto dall’ipotalamo), si produce un’attivazione dell’ipofisi (ghiandola endocrina situata alla base del cranio) che porta all’aumento della produzione dell’ormone adrenocorticotropo (ACTH), il quale stimola l’attività della corteccia surrenale (sopra il rene). Gli ormoni della corteccia surrenale, cortisolo e aldosterone, a loro volta stimolano meccanismi adattativi dell’organismo. La continua stimolazione del sistema nervoso simpatico, causata dallo stress, attiva a sua volta il rilascio di altri due neurormoni, adrenalina e noradrenalina, che determinano una generale alterazione del metabolismo.

Infine, anche se verranno ripresi nei paragrafi successivi, bisogna sottolineare che gli effetti ricercati attraverso l’allenamento sottostanno, oltre che all’interazione tra diversi stimoli e mezzi utilizzati, anche alla soggettività dell’individuo, allo stile di vita dell’atleta e all’ambiente in cui vive.

RISPONDI Come funziona la supercompensazione?

ipotalamo

stimola produce ACTH che stimola

ipofisi corteccia surrenale produce cortisolo e aldosterone

73 I presupposti scientifici per l’allenamento
L’allenamento può essere definito come una forma organizzata di stressor.
Meccanismo fisiologico della produzione di cortisolo e aldosterone. LA RISPOSTA FISIOLOGICA ALLO STRESS

Substrati energetici ed esercizio

PREREQUISITI Concetti base di alimentazione ed energetica

Quando si parla di esercizio fisico e di performance non ci si può esimere dal riflettere sui substrati energetici, che potremmo definire il “carburante” del corpo umano. Anche se il funzionamento del nostro organismo è decisamente più delicato, preciso e complesso, possiamo per semplicità paragonarlo a quello di un’autovettura ibrida, dotata di due motori che utilizzano due diversi tipi di carburante: benzina e corrente elettrica. Tra poco vedremo come funzionano questi due motori nel corpo umano ma, per il momento, possiamo già anticipare che come fonte di energia utilizzano carboidrati e lipidi, mentre i protidi svolgono un ruolo minore, motivo per cui non li coinvolgeremo nei ragionamenti che seguono.

Inoltre, come in un’automobile oltre ai carburanti troviamo altri liquidi necessari al suo funzionamento (l’olio lubrificante, i liquidi di raffreddamento ecc.), così anche nel corpo umano, oltre ai substrati energetici, troviamo elementi come acqua, sali minerali e vitamine, che senza essere direttamente coinvolti nella produzione di energia necessaria al movimento sono fondamentali alla vita.

Tutti i substrati necessari al nostro vivere – compresi lipidi e glucidi, cioè grassi e zuccheri – vengono introdotti nell’organismo attraverso gli alimenti.

Premesso che, grazie a una sana ed equilibrata alimentazione, disponiamo di riserve lipidiche e di glicogeno, è bene comprendere a livello energetico come il nostro corpo utilizzi tali riserve. In altre parole, tornando alla metafora automobilistica: quando usiamo il motore elettrico e quando quello a benzina? Il corpo umano si procura l’energia per produrre attività fisica e mentale con la scissione dell’ATP (adenosintrifosfato). L’ATP si trasforma quindi in ADP (adenosindifosfato) + P (fosforo) + energia. Come fa l’organismo a procurarsi l’ATP? Attraverso tre diversi meccanismi:

• il meccanismo aerobico, di bassa potenza ma di enorme capacità. In sostanza può produrre tantissimo ATP, ma impiega un po’ di tempo, perché deve utilizzare un meccanismo – il ciclo di Krebs – che sfrutta l’ossigeno ventilato per consentire reazioni utili al rinnovo della molecola energetica;

• il meccanismo anaerobico lattacido, di capacità limitata ma di notevole potenza. Produce solo due molecole di ATP per ogni ciclo di glicolisi anaerobica – cioè senza utilizzare ossigeno, quindi al di fuori dei mitocondri cellulari in cui è presente l’O2 –, ma è di rapido impiego. Purtroppo, quando è eccessivamente sollecitato, questo meccanismo mette in circolo quello che comunemente viene detto acido lattico (HL), che rappresenta un fattore limitante la prestazione quando presente in quantità eccessiva ovvero quando è richiesto uno sforzo intenso ma prolungato;

GLOSSARIO

Glicogeno • Riserva di carboidrati conservata nei muscoli scheletrici e nel fegato sotto forma di molecole costituite da unità di glucosio.

Glicolisi • Processo metabolico che nei tessuti animali provoca la demolizione del glucosio ad acido lattico. Si svolge nei muscoli in stretto rapporto con l’attività contrattile, specialmente durante l’attività sportiva o gli sforzi muscolari intensi.

CORPO E ALLENAMENTO 3 74
Un atleta si rifornisce con il gel durante una gara di endurance.

• il meccanismo anaerobico alattacido, potentissimo ma brevissimo. Produce una sola molecola di ATP dalla scissione del CP – creatinfosfato o fosfocreatina – presente nei muscoli che, per quanto ci si alleni, è sempre disponibile in quantità modeste.

Quali sono i substrati energetici chiamati in causa nelle diverse attività? Senza entrare troppo nel dettaglio, ma tenendo presente che nel corpo umano si usano sempre i due carburanti simultaneamente, si può dire che:

• per le attività di durata (meccanismo aerobico) il nostro organismo predilige substrati lipidici, in una modalità paragonabile alla fase elettrica dell’auto;

• per attività più limitate nel tempo il nostro organismo sfrutta la degradazione degli zuccheri nella modalità glicolitica anaerobica (meccanismo anaerobico lattacido), paragonabile alla spinta a benzina.

BIOLOGIA L’ATP

L’adenosintrifosfato (ATP) è considerato dai biologi la “moneta” energetica della vita. Infatti, questa molecola immagazzina l’energia di cui abbiamo bisogno per realizzare tutto quello che facciamo. È presente nel citoplasma e nel nucleoplasma di ogni cellula e, sostanzialmente, tutti i meccanismi fisiologici che richiedono energia la ottengono direttamente dall’ATP. Gli esseri viventi utilizzano quindi l’ATP come una batteria, che fornisce la potenza necessaria alle reazioni chimiche cedendo uno dei suoi gruppi fosfato (P) e trasformandosi in ADP (adenosindifosfato). A livello cellulare, i mitocondri – gli organelli cellulari responsabili della produzione di energia – sono in grado di utilizzare i nutrienti ricavati dall’alimentazione per riconvertire l’ADP in ATP, in modo da avere di nuovo a disposizione energia e ricominciare il ciclo.

Seguire le stagioni

I gel

Una modalità relativamente recente di rifornire il proprio organismo di substrati energetici durante le competizioni di resistenza prevede l’utilizzo dei gel. Sostituti più digeribili delle barrette – che vanno benissimo quando non si è in gara – i gel sono in grado di fornire il corretto apporto energetico e sali-vitaminico necessario ai diversi tipi di competizione. In commercio vi sono vari tipi di gel, utili a seconda della competizione da affrontare. Così l’ultrarunner non utilizzerà lo stesso gel del triatleta, ma entrambi vedranno soddisfatte le proprie necessità specifiche.

Naturalmente, nel nostro corpo non vi è una distinzione così rigida nell’utilizzo dei substrati, perché le variabili di cui deve tenere conto l’organismo nella scelta dei carburanti o della miscela da usare per ogni tipologia di esercizio dipende da molti fattori, di cui durata e intensità – capisaldi dell’allenamento sportivo – sono solo le due punte dell’iceberg. Proprio per questo motivo, solo un’accurata analisi delle prestazioni richieste all’atleta –anche all’interno di una stessa squadra, dove a ruoli diversi corrispondono performance diverse – può consentire un training adeguato e quindi calibrato sull’utilizzo di un determinato substrato energetico o di una corretta miscelazione.

In ambito alimentare – e quindi di approvvigionamento delle riserve di substrati (energetici e non) – è consigliato utilizzare alimenti tipici della stagione in corso. In particolare, si prestano a tale criterio di scelta frutta e verdura, categorie di alimenti spesso poco amati dai giovani, ma che possono invece rappresentare un primo passo nella ricerca della miglior salute, propria e del pianeta. Per esempio, il consumo di carni rosse può essere sostituito dalle diverse varietà di legumi, abbinate ai cereali.

75 I presupposti scientifici per l’allenamento
RISPONDI Analizza lo sport che preferisci praticare. Quale tipo di substrato energetico sfrutti in prevalenza?

La prestazione e le sue variabili

I fattori della prestazione

PREREQUISITI I carichi; i muscoli e la forza muscolare; le differenze fisiologiche fra uomo e donna

Per il grande mondo della prestazione sportiva bisogna, più che in altri ambiti, considerare l’essere umano – che è costituito da componenti corporee, cognitive, affettive e psicologiche – nella sua complessità. A questo livello si rende pertanto necessario approfondire tutti gli elementi che concorrono, in misura diversa a seconda della disciplina, al risultato di una prestazione sportiva. Esso dipende:

• dal tipo di attività

- individuale: in cui si fa affidamento solo sulle proprie capacità oppure solo sulla personale tecnica nell’uso di un attrezzo;

- di squadra: dove si ha la possibilità – e il dovere – di cooperare con altri compagni e compagne;

• dalle proprie capacità

- condizionali: paragonabili alla cilindrata del proprio motore;

- coordinative: corrispondenti al proprio livello tecnico;

• dalle condizioni fisiche

- allenamento: permette di innalzare le proprie capacità e migliorare l a t ecnica esecutiva;

- recupero: osservare adeguati periodi di riposo permette di mantenere alti livelli di prestazione;

• dagli aspetti tattici

- offensivi: che valorizzano le doti dei singoli e del gruppo;

- difensivi: che tentano di minimizzare le debolezze e di contrastare le doti dell’avversario;

- valutativi: che nelle competizioni individuali consentono di gestire la gara in base al proprio andamento e a quello degli avversari;

• dagli aspetti cognitivi

- motivazione: capace di far mantenere alto l’impegno dell’atleta (come nella maratona);

- concentrazione: permette di pianificare e agire coerentemente (come nel tiro con l’arco);

- emotività: la tensione e l’ansia spesso fanno commettere errori (come può accadere tirando un rigore durante una finale mondiale);

• dagli aspetti ambientali

- forze esterne: che ostacolano l’atleta o che devono essere assecondate (come nella canoa);

- terreno: che richiede l’uso di calzature specifiche, che induce variazioni di tecnica (come nell’orienteering o in una corsa campestre disputata nel fango);

- luminosità: che può essere a favore o a sfavore (come in una partita di beach volley sulla spiaggia);

- temperatura: che rallenta tutte le fasi di avvio della pratica e rende meno piacevole l’attività (come nelle gare di sci di fondo disputate con temperature molto rigide, o nella maratona in presenza di temperature e tasso di umidità elevati);

• dagli aspetti temporali

- nella programmazione delle trasferte in altri continenti: per esempio, osservando il calendario dei Gran Prix di Formula 1 possiamo notare come in tempi ravvicinati siano fissate gare in circuiti molto distanti (dall’Australia a Singapore, dal Bahrein alla Russia, dalla Cina al Giappone, dall’Azerbaijan agli USA e dal Canada al Messico), con la necessità di risolvere i disturbi legati al jet leg. Oltre a ciò, vanno considerate particolari situazioni locali: per esempio, la gara di Singapore, che dura quasi due ore ed è una delle più lunghe del campionato, si svolge in notturna e termina non prima delle 22:00 ora locale;

- nel processo di risincronizzazione: dopo una trasferta, per riportare l’organismo nelle migliori condizioni funzionali sono necessari da 1 a 10 e più giorni in funzione di numerosi fattori, tra cui la distanza del viaggio, la direzione dello spostamento (l’atleta sopporta meglio il trasfe-

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rimento da oriente a occidente) e il carattere di allenamenti e gara che precede il trasferimento (la velocità di adattamento al cambiamento di fuso orario di atleti che partecipano spesso a gare in continenti diversi, costretti quindi ad allenarsi nei diversi periodi della giornata, è più elevata). Molti atleti cambiano l’orario delle sedute di allenamento e quelle delle abitudini di vita a partire da 10-15 giorni prima di un trasferimento; ciò facilita il cambiamento dei ritmi circadiani secondo le condizioni e il luogo delle gare e favorisce la risincronizzazione delle funzioni biologiche una volta giunti a destinazione;

• dagli aspetti tecnologici

- meccanici: importanti per definire a priori un vantaggio (come i motori nelle discipline automobilistiche);

- di assetto: che permettono un uso migliore dell’attrezzo (come la regolazione della tensione delle corde nelle racchette da tennis in base al tipo di gioco o di fondo, e delle lamine degli sci in funzione del tipo di neve);

• da fattori imponderabili

- gli infortuni: che limitano o bloccano l’attività di un atleta;

- il caso: che a volte decide di un risultato oltre il valore dei contendenti;

Curiosità

• Nel 2022 la Yakutia Cold Pole Marathon ha stabilito un nuovo record come maratona più fredda al mondo: 65 atleti hanno terminato la competizione affrontando una temperatura minima di -53 °C. Il vincitore, Vasily Lukin, ha fatto segnare il tempo di 3 ore e 22 minuti.

• Una freccia in carbonio scoccata con un arco professionale può raggiungere la velocità di 300 km/h.

• La massima velocità raggiunta con gli sci nel chilometro lanciato è di 254,9 km/h, primato di Ivan Origone.

- l’incidente meccanico: malfunzionamento o rottura della propria attrezzatura.

Questi fattori possono essere adattati secondo le peculiarità delle differenti discipline anche seguendo le proprie esperienze ma, come testimoniano tutti i praticanti, i primi ingredienti indispensabili alla buona riuscita sono una profonda dedizione e un costante allenamento. In particolare, quest’ultimo diviene il più importante fattore che influenza il sistema muscolare e l’apparato cardiocircolatorio, che nell’essere umano risultano allo stesso tempo efficientissimi e complessi.

SPIEGA Fai esempi di aspetti tattici, ambientali e meccanici che possono influenzare in positivo e in negativo una prestazione sportiva.

Gli aspetti ambientali influiscono in modo rilevante sulla prestazione sportiva e sono considerati nella valutazione di un risultato atletico: per esempio, per la maggior rarefazione dell’aria, l’energia che un ciclista spende per un’impresa a 2000 m d’altezza è assai superiore a quella che, a parità di impresa, spende sul livello del mare.

77 La prestazione e le sue variabili
La capacità di “fare squadra” è un aspetto che influisce in modo determinante sulla prestazione sportiva.

Nap e sport

Quando possibile, bambini, adolescenti, adulti e anziani, senza distinzione di genere, fanno volentieri un “pisolino” (nap) nelle prime ore del pomeriggio, alcune volte per recuperare dalla stanchezza delle attività svolte, altre per ridurre la sonnolenza dovuta al poco sonno della notte precedente, altre ancora per il semplice piacere di farlo. Introdurre questa pratica nelle abitudini dell’atleta può favorire un miglioramento della performance, soprattutto quando sono elevati i livelli di stanchezza dovuti a un cattivo sonno. I disturbi del sonno in risposta a condizioni specifiche dello sport mostrano un’elevata variabilità inter- e intra- individuale e gli atleti possono manifestare sintomi di insonnia associati a maggiori indici di frammentazione del sonno, latenze del sonno più lunghe ed eccessiva sonnolenza diurna. In questo contesto, il pisolino diurno rappresenta una strategia compensatoria comune utilizzata dall’atleta per aumentare la durata del sonno nell’arco delle 24 ore e potenzialmente contrastare la sonnolenza diurna associata alla restrizione del sonno. Una serie di fattori è in grado di influenzare i benefici ottenibili dal nap. I processi omeostatici e i ritmi circadiani possono condizionare la qualità del pisolino, come anche la qualità e la quantità del sonno precedente. Altri fattori, come le caratteristiche del soggetto (età, sesso, abitudine nel fare riposini), possono avere un’influenza sugli effetti attesi. Numerosi studi hanno esaminato i benefici della pratica del napping rispetto ad altre contromisure per la sonnolenza, come l’uso di caffeina e farmaci stimolanti.

I benefici del pisolino sulla prestazione fisica si evidenziano soprattutto in:

• tempi di reazione più rapidi;

• prestazioni neurocomportamentali migliorate;

• riduzione della sonnolenza;

• miglioramento della precisione;

• miglioramento della vigilanza e del ragionamento logico.

Evidenze scientifiche permettono di affermare che l’orario migliore per fare un pisolino sia tra le 13:00 e le 16:00 e che una durata del sonno di 20-30 minuti riduca la sensazione di stanchezza mentale e fisica dopo un allenamento intenso. Ciò può essere dovuto a una riduzione dei livelli extracellulari di adenosina Diversi studi hanno confermato che un pisolino fatto tra le 16:00 e le 20:00 influenza negativamente il sonno notturno. Inoltre, se la durata del nap è inferiore ai 10 minuti gli effetti sono minimi mentre, al contrario, si ottengono i benefici già citati riposando per almeno 20.

GLOSSARIO

Latenza del sonno • Il tempo che intercorre tra il momento in cui si chiudono gli occhi e quello in cui ci si addormenta.

Adenosina • Nucleoside presente in tutte le celle dell’organismo, riveste un ruolo fondamentale nei processi biochimici, come per esempio nel trasferimento di energia (nel passaggio da ATP ad ADP) e nella trasduzione del segnale.

CORPO E ALLENAMENTO 3 78

I caratteri specifici

L’ETÀ

È necessario adeguare l’allenamento rispetto all’età, dosando carichi di lavoro in base al livello di crescita dei soggetti. Per esempio, durante l’infanzia e l’adolescenza, l’età biologica svolge un ruolo determinante per quanto riguarda la capacità di prestazione e di carico. Molti bambini e bambine talentuosi ottengono risultati di rilievo solo perché dal punto di vista biologico si trovano in anticipo di vari mesi rispetto ai loro coetanei. Soprattutto in relazione all’impostazione del carico, in età infantile e in adolescenza bisogna considerare che le caratteristiche individuali dell’apparato osteoarticolare – ossa, cartilagini, tendini e legamenti – rappresentano un fattore che limita la prestazione proprio per la mancanza di resistenza delle strutture stesse, che è tipica dell’organismo adulto. In generale gli stimoli ideali in età giovanile sono quelli di tipo submassimale che sollecitano in forma polivalente le strutture (per esempio, nella ginnastica generale, nei giochi presportivi e nelle attività di avviamento alle diverse discipline). I carichi troppo elevati e/o non programmati adeguatamente possono portare ad alterazioni dell’apparato locomotore, che necessita di diverse settimane di adattamento agli stimoli allenanti. Questo lento processo, che si

aggiunge alle spinte di crescita, richiede che negli allenamenti dei bambini e bambine sia presente una giusta progressione di carichi per evitare dannose conseguenze.

Quindi, per sfruttare il potenziale di prestazione esistente, i carichi di allenamento devono essere programmati tenendo conto dell’età biologica e non di quella cronologica (a volte i bambini possono dimostrare un’età diversa da quella che realmente hanno e avere un livello di maturazione fisica in anticipo o in ritardo rispetto ai coetanei).

Sarebbe opportuno sfruttare le cosiddette fasi sensibili, cioè quei periodi dello sviluppo particolarmente favorevoli per l’incremento e il miglioramento di determinati fattori della prestazione.

Non considerare queste fasi significherebbe ignorare che in certe età risulta più semplice migliorare alcune capacità, come quelle coordinative, che, se non vengono apprese in tenera età, richiedono più tempo per la loro strutturazione.

RIFLETTI Spiega quali caratteristiche devono avere i carichi di allenamento in età giovanile, soffermandoti sulla differenza fra età biologica ed età cronologica.

79 La prestazione e le sue variabili
I giovani atleti non sono piccoli adulti, ma soggetti in fase di crescita che necessitano di metodi e mezzi di allenamento adeguati all’età. PREREQUISITI I carichi; i muscoli e la forza muscolare; le differenze fisiologiche fra uomo e donna

La prestazione motoria generalmente migliora con l’accrescimento dell’individuo, in particolare durante l’infanzia e l’adolescenza. La crescita somatica e la maturazione fisica sono strettamente dipendenti da fattori genetici e ambientali, che agiscono attraverso la mediazione di ormoni o di fattori di crescita; se non interviene alcun impedimento, gli ormoni consentono nel tempo l’espletamento del pieno potenziale genetico del soggetto. Questi fattori si connotano come esogeni (ambientali, nutrizionali, affettivi, socio-economici) ed endogeni (genetici, ormonali). Tra i fattori endogeni il principale è rappresentato da quello genetico; la crescita di numerose componenti quali la statura, la forza della mano, la maturazione sessuale risultano essere sotto controllo genetico, presentando un accentuato carattere di familiarità, mentre il contributo totale dei caratteri ereditari alle forme e alle dimensioni corporee dell’adulto varia con le circostanze ambientali che interagiscono fra loro durante l’intero periodo della crescita.

RIFLETTI Prova a ripensare alle attività sportive che svolgevi quando eri bambina/bambino: quali caratteristiche avevano le lezioni? Come sono cambiati gli allenamenti durante la tua crescita?

LE DIFFERENZE GENETICHE

La prestazione atletica è influenzata anche dal patrimonio genetico di ogni singolo individuo. Ma esistono differenze genetiche di gruppi etnici così marcate da fare la differenza nelle competizioni? La forte predominanza in alcune gare (nella corsa veloce, come i 100 m piani, di atleti giamaicani e afroamericani; nella corsa di resistenza degli atleti keniani) potrebbe far pensare di sì. In realtà la questione è complessa e priva di dati inconfutabili.

Secondo alcuni studi, gli atleti dell’Africa occidentale, così come gli statunitensi di origine africana e i giamaicani (i cui antenati furono deportati come schiavi proprio dall’Africa occidentale), presenterebbero una maggior percentuale di fibre muscolari a contrazione veloce, o fibre bianche, che li avvantaggerebbe nelle corse brevi. Inoltre, in un recente studio, due professori statunitensi hanno analizzato i dati provenienti dalle documentazioni militari di diversi Paesi e hanno concluso che le popolazioni dell’Africa occidentale hanno un baricentro mediamente più alto del 3% rispetto al resto della popolazione mondiale, il che darebbe loro un vantaggio medio di circa 0,15 secondi.

L’ultima frazione della staffetta 4x100 maschile alle Olimpiadi di Tokyo 2020, vinta dalla squadra italiana.

CORPO E ALLENAMENTO 3 80

Altre ricerche puntano a dimostrare la presenza di caratteristiche particolari nelle popolazioni dell’Africa orientale, da cui provengono i corridori più forti sulle lunghe distanze. Le velocità dei venti migliori atleti keniani dai 5 km alla maratona risultano, infatti, significativamente superiori a quelle dei venti migliori europei. Inoltre, i più forti tra i keniani provengono da una piccola regione della Rift Valley, chiamata Nandi, e in particolare da un gruppo di otto tribù di 4,4 milioni di persone (il Kenya ne ha oltre 40) con nome Kalenjin. Questa popolazione vive normalmente in villaggi tra i 1500 e i 2400 m sul livello del mare ed è solita spostarsi a piedi – data anche la mancanza di strutture e di mezzi di trasporto.

Da questo esempio si può comprendere come la prestazione atletica sia il risultato di più componenti combinate tra loro: la selezione genetica, l’adattamento a lungo termine all’altitudine, la particolare struttura muscolare, la miglior prestazione energetica e biomeccanica della corsa e – da non trascurare – il fattore culturale, perché quel tipo di società valorizza l’indipendenza personale e la resistenza fisica. Le ricerche presentate forniscono, tuttavia, risultati parziali e non possono dare una spiegazione esaustiva del fenomeno, soprattutto perché un atleta non può essere valutato separatamente dal contesto sociale in cui vive: si pensi soltanto allo

stimolo che i giovani giamaicani hanno nel loro Paese, dove la corsa su brevi distanze è uno degli sport nazionali con enorme seguito di pubblico. Infine, negli ultimi anni lo stesso concetto di etnia è stato sottoposto a revisione e critica: per gruppo etnico si intende, infatti, una popolazione che condivide una stessa religione, una stessa lingua e cultura, oltre che comuni tratti morfologici.

SPIEGA Fornisci alcuni esempi su come le caratteristiche di alcune popolazioni possono influire sulle prestazioni sportive.

IL GENERE

I modelli di sviluppo delle prestazioni non sono uniformi per tutti i soggetti, si nota infatti un’ampia variabilità intra- e inter-individuale, che può arrivare a determinare cambiamenti perfino giornalieri. In media, le differenze di genere che si osservano nelle principali capacità motorie sono di solito minime, ma costantemente a favore dei maschi per ciò che riguarda le prestazioni nella corsa, nel salto e nel lancio. Esistono, infatti, caratteristiche fisiche che condizionano le prestazioni e sia i maschi sia le femmine ne hanno di proprie.

All’inizio dell’adolescenza le ragazze presentano generalmente dimensioni maggiori dei coetanei in quanto il loro scatto puberale precede quello maschile; le di-

81 La prestazione e le sue variabili
La finale 4x100 uomini di Tokyo 2020 • La maratona: record mondiale maschile e femminile
Il record mondiale della maratona maschile è di 2h 1' 09'', stabilito il 25 settembre 2022 nella maratona di Berlino dal keniano Eliud Kipchoge, alla media di 2' 52''/km. Il record mondiale della maratona femminile è di 2h 14' 04'', stabilito da Brigid Kosgei (Kenya) il 13 ottobre 2019 a Chicago.

mensioni dei ragazzi però superano nel tempo quelle delle ragazze non appena lo scatto puberale prende l’avvio e continua fino all’età adulta. Gli atleti maschi che praticano parecchi sport –salvo rare eccezioni – tendono a essere in media più precoci nella maturità biologica della popolazione di appartenenza, mentre le femmine molto impegnate negli sport hanno un’età al menarca (ossia la comparsa della prima mestruazione) posticipata (dati riscontrati anche da studiosi nel contesto italiano). I maschi hanno statura e peso superiori con minore percentuale di massa grassa (fino al 10% in meno in soggetti normopeso) e maggior massa muscolare. La massa muscolare in un maschio corrisponde al 40% circa della sua massa totale, mentre in una femmina si aggira intorno al 35%, con il 20% di massa grassa. In generale la forza muscolare della donna è inferiore di circa il 35-40% rispetto ai valori degli uomini ma, se la si esprime in funzione del peso corporeo o della stima della massa magra, questa differenza si abbassa fino ad annullarsi quando si calcola la forza per superficie di sezione trasversa del muscolo. È ormai ampiamente dimostrato che la forza sviluppata da una pari quantità di massa muscolare della donna è uguale a quella dell’uomo, mentre esiste una minore velocità di reclutamento della forza rispetto ai maschi; a parità di percentuale di forza usata nelle femmine non allenate, il tempo di reclutamento è più lungo di circa l’80% rispetto ai maschi, ma tale differenza si riduce molto nelle donne allenate.

La pratica dello sport per genere in Italia

In Italia, seppur in diminuzione, esiste un divario tra praticanti uomini e donne. Tra gli uomini il tasso di sportività si attesta intorno al 37%, mentre tra le donne si ferma al 22%. Se si analizza la pratica sportiva, non a livello agonistico, le donne superano gli uomini con una pratica del 33% a fronte del 28% maschile. Questa constatazione è significativa di una certa cultura sportiva: le donne sembrano praticare l’attività per il benessere personale, mentre gli uomini sono maggiormente legati agli aspetti competitivi e ludici.

GLOSSARIO

Massa • Secondo il modello anatomo-funzionale, il corpo umano è costituito da due compartimenti principali, noti come massa magra o massa libera dal grasso (fat free mass, FFM) e massa grassa (fat mass, FM). Dal punto di vista chimico la FFM comprende: proteine, glicogeno, sali minerali e acqua; la FM comprende soprattutto lipidi.

acqua corporea e di temperatura, che possono essere paragonati agli additivi della benzina che migliorano la combustione nei motori più potenti.

L’altra grande differenza di genere è il gap ormonale: per esempio, il testosterone prodotto a livello endogeno, cioè dall’organismo, in un maschio è compreso fra 270 e 1070 nanogrammi per decilitro di siero (ng/dl), mentre in una femmina si attesta tra i 15 e i 70 ng/dl. Bisogna inoltre osservare altri aspetti meno evidenti, per esempio la distribuzione del grasso corporeo (profondamente diversa nei due sessi), che influenza alcune discipline come il nuoto.

Per ciò che riguarda la struttura ossea, l’esperienza e l’osservazione ci fanno notare come in genere le ossa nel sesso femminile siano più piccole e si accompagnino a una minore densità.

Anche la pompa cardiaca nel maschio è più voluminosa, e può risultare anche del 30% più grande rispetto alla femmina. A questo aspetto si correla un maggior flusso di sangue e quindi più rapidi processi di depurazione dai prodotti di scarto del metabolismo o di rifornimento energetico.

La grande differenza, poi, che caratterizza la fisiologia della donna è il ciclo mestruale. Durante questi giorni nella donna variano i livelli ormonali, di ferro, di

Ovviamente diversità morfologiche riguardanti la lunghezza delle leve (per esempio, gli arti inferiori), l’ampiezza della gabbia toracica (di minor volume nelle donne) o la larghezza del bacino (maggiore nelle donne) possono determinare differenze di prestazione sia per la lunghezza della falcata sia per il grado di ventilazione.

Pur essendo difficile effettuare valutazioni, anche l’aspetto psicologico genera diversità: sembra infatti che le femmine raggiungano una condizione di stress più velocemente dei maschi, ma che in compenso siano più facilmente motivabili.

RISPONDI Descrivi le principali differenze fisiologiche tra maschi e femmine. Come variano durante la crescita?

CORPO E ALLENAMENTO 3 82

Il podio delle donne

Le donne e lo sport nell’epoca moderna

La prima presenza ufficiale delle donne ai Giochi olimpici risale all’edizione di Parigi del 1900, ma per una presenza femminile più consistente, pari al 10%, bisognerà attendere le Olimpiadi di Berlino del 1936, durante le quali l’italiana Ondina Valla si aggiudicò la medaglia d’oro negli 80 m ostacoli.

Da quell’anno crebbero le discipline e le tipologie di gara aperte alla partecipazione femminile. La prima partecipazione di atlete di religione musulmana si segnala ai Giochi di Los Angeles del 1984, con la marocchina Nawal El Moutawakel.

Nelle Olimpiadi di Rio de Janeiro 2016 circa il

45% degli atleti era di genere femminile e già dall’edizione precedente (Londra 2012) tutte le nazioni avevano schierato almeno un’atleta donna.

— Nawal El Moutawakel è un’ostacolista e velocista marocchina, vincitrice della medaglia d’oro nei 400 m a ostacoli ai Giochi olimpici di Los Angeles del 1984. Questa vittoria è ricordata in quanto è stata la prima medaglia d’oro del Marocco, la prima di un’atleta africana e la prima di una donna musulmana ai Giochi olimpici.

Le Olimpiadi di Tokyo 2020 segnano un ulteriore passo avanti: raggiungono quasi il 49% di atlete tra i partecipanti e il 42% di donne nel comitato organizzatore. La novità più emblematica si registra però nella nuova formulazione del giuramento olimpico, che segna un ulteriore passo avanti verso l’inclusione e la parità. Nel nuovo testo, pronunciato durante la cerimonia di apertura dei Giochi, si legge: «Promettiamo di prendere parte a questi Giochi olimpici, nel rispetto delle regole e nello spirito di fair play, inclusione e uguaglianza. Insieme siamo solidali e ci impegniamo nello sport senza doping, senza imbrogli, senza alcuna forma di discriminazione». Un grande passo, se si pensa che il testo originale è stato scritto dal barone Pierre de Coubertin che si era opposto fermamente alla partecipazione femminile ai Giochi nel 1896. Egli infatti considerava lo sport praticato dalle donne «la cosa più antiestetica che gli occhi umani potessero contemplare».

—  Il nuoto artistico (detto nuoto sincronizzato fino al 2017) è stato inserito nel programma olimpico per i Giochi di Los Angeles del 1984. L’evento olimpico attuale è tutto al femminile e comprende gare di coppia e di squadra. In altre competizioni, anche di livello mondiale, la partecipazione è stata resa possibile anche ai maschi.

Rispetto alle discipline olimpiche, negli anni si è creata uniformità tra maschi e femmine. All’inizio molte specialità erano riservate agli uomini, ma in seguito, sia per una maggiore libertà concessa alle donne, sia per l’interesse dei Paesi ad avere più possibilità di mettersi in mostra, è aumentato il numero di quelle aperte anche alle donne. Oggi la lotta greco-romana è l’unico sport olimpico riservato ai soli uomini, mentre le due discipline esclusivamente femminili sono la ginnastica ritmica e il nuoto artistico, che in questo ultimo periodo si sta affermando anche con la categoria mista. La vela è uno dei rari casi, tuttora esistenti, in cui non c’è una distinzione per genere. Altre discipline, pur essendo praticate da entrambi i sessi, presentano alcune differenze: per esempio, nell’atletica leggera alle donne è riservato l’eptathlon invece che il decathlon, e nella ginnastica artistica sono previste specialità differenti per maschi e femmine.

83 La prestazione e le sue variabili

Le donne italiane e lo sport professionistico

In pochissime parti del mondo e solo in specifiche discipline sportive le donne hanno il privilegio di essere inquadrate come atlete professioniste. In Italia, la quasi totalità delle atlete figura come dilettante, costretta ad accettare contratti senza garanzie assicurative o contributive. Per questo motivo, buona parte del sistema sportivo nostrano è fortemente dipendente dai gruppi delle forze armate, dove atleti e atlete vengono formalmente inseriti nei ranghi, ottengono uno stipendio da ispettori, marescialli o appuntati, con le relative tutele, e possono dedicarsi agli allenamenti della loro disciplina. Naturalmente ci riferiamo solo a chi pratica sport a livello agonistico e vive di questo, una categoria in cui devono essere inclusi istruttori, allenatori, direttori sportivi e team manager. Si parla dunque di sportivi dilettanti: il loro lavoro è lo sport, ma il riconoscimento è spesso sotto forma di rimborsi o accordi molto deboli, per lo più scritture private che – nel caso femminile – escludono in modo categorico la maternità. Chi non è professionista non può avere un vero contratto. Si stipula un accordo finanziario, una scrittura privata o un semplice agreement con la parte datoriale, che tipicamente è un’associazione sportiva dilettantistica, con la quale si stabiliscono determinati criteri. L’atleta è però priva di qualsiasi tutela e non ha la possibilità di ricevere, per esempio, un trattamento previdenziale, un’adeguata tutela infortunistica, il trattamento di fine rapporto e tutte quelle voci che sono invece normali per chi fa dello sport il proprio lavoro. Solo gli atleti più celebri si avvalgono del contributo delle sponsorizzazioni.

La legge sul professionismo sportivo

Da qualche tempo, però, si parla di cambiamento epocale nello sport femminile italiano. Infatti, un emendamento inserito nella legge di bilancio dalla Commissione bilancio del Senato ha riconosciuto la possibilità, per le atlete donne, di diventare professioniste anche sul fronte contrattuale

Ciò comporta finalmente un’equiparazione ai colleghi uomini e il riconoscimento delle tutele e garanzie rispetto alle prestazioni lavorative sportive, così come previsto nella legge n. 91 del 1981 per il professionismo sportivo maschile. Quest’ultima norma, tuttavia, non specifica quali siano i rapporti di lavoro sportivo professionistico, demandando tale aspetto al sistema sportivo. Pertanto, oggi solo le singole Federazioni possono indicare quali atleti sono professionisti e hanno diritto alle tutele e garanzie previste per legge. L’approvazione di questa legge, che chiamiamo “legge sul professionismo sportivo”, contiene molti punti interessanti e utili, perché parla per la prima volta di vero e proprio lavoro sportivo e ha modificato lo scenario cercando di regolamentare protezioni e tutele. Permane, però, il problema già anticipato: il legislatore ha demandato al CONI e alle Federazioni sportive il compito di decidere quali siano le discipline sportive professionistiche e, quindi, quali atleti e atlete possano avvalersi di questo strumento di legge. Al momento, in Italia, le Federazioni che riconoscono il professionismo sono solo quattro: calcio, basket, golf e ciclismo. Da qualche anno, infatti, hanno abbandonato questo gruppo il motociclismo, che ha chiuso il settore nel 2011, e la boxe, che l’ha fatto nel 2013.

Solo il calcio dal luglio 2022 è riuscito a fare il passaggio verso il professionismo femminile, perché la Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC) ha comunicato di voler attingere al fondo previsto dalla legge, con un conseguente sgravio fiscale per le società che ne beneficeranno, aprendosi a questo importante cambiamento.

CORPO E ALLENAMENTO 3 84
— La squadra femminile della Juventus festeggia la vittoria nella Supercoppa 2022 disputata in finale contro il Milan.
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Nicola Lovecchio | Matteo Merati | Paola Vago

L’AMBIENTE NATURALE: ATTIVITÀ FISICA E SPORT

Ж Muoversi nella natura 54 Ж Il trekking, un’attività per tutti 56 Ж L’orienteering 58 Ж Sperimentare l’orienteering 69

Muoversi nella natura

L’attività motoria in ambiente naturale: come e perché

Descrivere l’attività motoria in base all’ambiente in cui è praticata porta inevitabilmente a una riflessione: i primi atti motori attuati dall’essere umano sono da sempre classificati dagli studiosi con l’espressione “gesti naturali”, evidenziando così una vera e propria associazione con l’ambiente outdoor, in cui sino a duecento anni fa si svolgeva l’intera vita di relazione e lavorativa delle persone. Successivamente, con la definizione degli sport moderni si è assistito alla nascita di palestre e palazzetti, che hanno confinato le attività ludiche e sportive in ambienti artificiali… cioè non naturali.

Negli ultimi anni però – soprattutto con il termine dei confinamenti imposti per prevenire la diffusione del Covid-19 –, le persone hanno riscoperto la bellezza e la positività di muoversi in ambienti naturali, dove non si hanno limiti di spostamento imposti artificialmente e si riesce anche a praticare quei movimenti naturali (o primari) che hanno guidato l’evoluzione dell’essere umano, come arrampicarsi, camminare in salita o saltare verso il basso. Le motivazioni che spingono alla pratica di un’attività outdoor possono essere distinte in base a due criteri, il primo legato ad aspetti personali-ecologici, il secondo a vantaggi di natura scientifica.

GLI ASPETTI PERSONALI-ECOLOGICI

Si tratta di motivazioni molto intuitive. L’attività outdoor, infatti:

• è per tutti. Chiunque può praticare attività all’aperto senza limitazioni, se non quelle date dalle preferenze personali (mare o montagna, caldo o freddo, fatica o diporto) e questo è uno stimolo psicologico positivo, anzi propositivo!

• può essere svolta ovunque. Ogni ambiente naturale, sia esso selvaggio o antropizzato, rappresenta una palestra “naturale” per la pratica motoria o sportiva. Non si deve pensare che siano necessari ambienti difficili o pericolosi, ma bisogna essere prudenti rispetto all’imprevedibilità che la natura è ancora in grado di offrire;

• è piacevole. Praticare sport all’aperto è spesso determinato da affinità e gusti personali per l’ambiente che si frequenta e ciò costituisce un forte stimolo psicologico, anche in assenza di risultati di tipo competitivo;

• è sinonimo di intraprendenza. L’attività outdoor spesso richiede iniziativa personale e accettazione del rischio (attenzione, non del pericolo);

• sviluppa l’autocontrollo. Bisogna essere capaci di scegliere e di valutare l’ambiente in base alle proprie abilità, gestendo anche gli sforzi, perché il termine dell’attività implica sempre il tornare a casa;

• è sinonimo di rispetto. Naturale “fa rima” con bellezza e, soprattutto ai giorni nostri, anche con rispetto. La consapevolezza della necessità di salvaguardare la natura matura fortemente in chi decide di muoversi e/o fare sport fuori dai muri di una palestra.

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GLI ASPETTI SCIENTIFICI

Le motivazioni di carattere scientifico sono semplici da comprendere. L’attività outdoor:

• consente aereazione. La pratica in ambiente naturale permette di respirare, solitamente, aria più pulita e comunque non viziata o riciclata. Di conseguenza la muscolatura risponde meglio agli stimoli, anche se va ricordato che in alta quota l’ossigenazione non aumenta;

• consente l’irraggiamento solare . Stare all’aria aperta sottopone maggiormente l’organismo ai raggi del Sole stimolando la produzione di vitamina D, fondamentale per l’assorbimento di calcio e di fosforo, sali minerali in grado di determinare una maggior densità ossea e quindi di combattere malattie cronico-degenerative invalidanti come l’osteoporosi;

• stimola il buon umore. La grande quantità e varietà di stimoli tattili, olfattivi e visivi che si hanno all’aperto rispetto al chiuso aumenta la produzione di un antidepressivo naturale, la serotonina, che innalza il senso di benessere;

• è energetica. Muoversi all’aperto aumenta il consumo calorico, sia per i maggiori adattamenti organico-muscolari sia per le condizioni climatiche che, stimolando un alto e costante processo di termoregolazione, induce un importante consumo calorico, soprattutto con temperature fredde;

• combatte le infezioni. L’ambiente naturale non permette a sostanze patogene come virus e batteri di concentrarsi, come avviene invece nei luoghi chiusi, e quindi l’organismo è meno soggetto alla trasmissione di malattie.

Qualche consiglio per muoversi in ambiente naturale

Svolgere un’attività motoria in ambiente naturale presuppone, oltre alla padronanza di gesti e tecniche specifici dell’attività scelta, anche la piena consapevolezza dell’ambiente in cui agiamo e delle regole di comportamento più appropriate per muoversi in sicurezza. Ecco quindi una breve lista di consigli generali cui fare riferimento.

• Mantenersi sempre vigili e non isolarsi dall’ambiente esterno. Spesso incidenti o eventi spiacevoli accadono in luoghi apparentemente privi di insidie, per cui è importante imparare a osservare e ascoltare ciò che ci circonda.

• Rispettare le più elementari regole di prudenza. Ciò aiuta a salvaguardare l’incolumità nostra, di chi ci accompagna e di eventuali soccorritori che dovessero intervenire in caso di necessità.

• Controllare con attenzione le condizioni meteorologiche, soprattutto in contesti come l’alta montagna, dove il tempo può mutare con estrema rapidità.

• Pianificare in anticipo l’attività, informandosi circa percorsi e condizioni ambientali. Se si prevede un’attività di gruppo, è consigliabile che un “capo gruppo” effettui una ricognizione preventiva.

• Rispettare l’ambiente e chi ci vive. L’ambiente naturale non è semplicemente una palestra a cielo aperto, ma un luogo in cui abitano una molteplicità di creature – persone, animali e piante – con cui necessariamente interagiamo nel corso dell’attività. Ricordiamo che siamo solo “ospiti”.

• Rimuovere e portare con sé gli eventuali rifiuti prodotti, per un corretto smaltimento, e non danneggiare gli elementi naturali. La consapevolezza di contribuire, anche con piccoli gesti, alla salvaguardia ambientale è una delle maggiori soddisfazioni dell’attività all’aria aperta.

• Godersi l’ambiente e il panorama è parte integrante, e gratificante, dell’attività outdoor.

Il rapporto che si instaura con l’ambiente naturale, anche nell’attività fisica più intensa, è uno dei maggiori benefici psicologici della pratica outdoor.

55 Muoversi nella natura

Il trekking, un’attività per tutti

Le diverse forme di cammino

Dovendo scegliere un’attività all’aperto che sia autoincentivante, è bene partire dalla gestualità peculiare dell’essere umano. Studi di statica e dinamica dimostrano che il nostro organismo predilige la stazione eretta, ma ricerche più recenti provenienti dal mondo anglosassone affermano addirittura che siamo nati per camminare, se non addirittura per correre. Quindi ecco che tra le attività d’elezione nel mondo dell’outdoor spicca il termine, un po’ abusato, di trekking, sul quale vanno fatte preliminarmente alcune precisazioni. Fare trekking significa camminare per più giorni consecutivi, anche in maniera un po’ impegnativa e ricorrendo ad attrezzatura specifica, come uno zaino piuttosto pesante e scarpe adatte. Come vedremo, quest’attività può essere poi svolta in diversi modi. Chi invece è solito fare escursioni di una giornata si dedica all’hiking, una forma di cammino nella natura meno intensa in termini di dislivello o di quota. Infine, chi percorre molti kilometri camminando per le zone verdi di una città – quindi in parchi, giardini, lungo torrenti o spiagge – si dedica al walking, oggi praticato sempre più spesso con l’ausilio di bastoncini (nordic walking), per stimolare anche la parte superiore del corpo.

La camminata nordica (nordic walking) prevede il movimento alternato delle braccia in sincronia con l’andatura, coadiuvato dall’uso di bastoncini simili a quelli utilizzati nello sci di fondo. È un’attività sempre più diffusa e praticata anche nei parchi urbani.

A OGNUNO IL SUO TREKKING

Per un amante dello sport in ambiente naturale, fare trekking è un’esperienza entusiasmante. La modalità più nota e più diffusa – perché alla portata di tutti –è quella a piedi, ma nulla vieta di allargare un po’ il significato del termine e di considerare il trekking in bicicletta, sugli sci o in canoa. Il trekking a piedi – che è la forma più adattabile, perché necessita solo di un ambiente naturale attraversato da sentieri e che offra la possibilità di trovare un riparo per la notte – può essere declinato in diverse modalità:

• trekking itinerante, un’escursione di più giorni che parte da una località e arriva a un’altra;

• trekking a stella, una versione in cui, stabilita una base in modo strategico, ogni giorno ci si impegna in un’escursione che consenta il rientro alla base al termine della giornata;

• trekking in piano o con salite, modalità con cui possono essere affrontate tutte e due le versioni precedenti. A tale proposito, non si deve credere che la versione in piano sia necessariamente meno impegnativa di quella con saliscendi, perché molto dipende dalla durata della tappa;

• trekking al mare, in collina o in montagna, in cui le versioni già citate possono essere praticate in ambienti diversi. Ciò rende il trekking davvero per tutti e alla portata di tutti, in funzione delle preferenze personali, delle stagioni e delle condizioni climatiche;

• trekking di collegamento, cioè trekking “ufficiali” (come il Sentiero Italia, la Via francigena, il Cammino di Santiago, il Sentiero del viandante ecc.) che portano l’escursionista a raggiungere mete anche molto lontane dal punto di partenza, ma che possono offrire – quando non percorse nella loro interezza – un buon esercizio e un buon punto di partenza per chi si voglia cimentare in questa splendida attività in mezzo alla natura.

L’ESPERIENZA DEL RIFUGIO

Anche se, come visto, il trekking non ha regole stringenti, solitamente i praticanti di questa disciplina trovano riparo per la notte nei rifugi montani o nei posti tappa situati più a valle. Si tratta di esperienze straordinarie a cui, ormai, non tutti sono più abi-

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tuati: il rifugio, per sua natura, non è dotato di tutti i comfort a cui siamo avvezzi – camera privata, acqua calda, bagno personale, lenzuola – ma richiede un certo spirito di adattamento e risorse personali in grado di compensare eventuali mancanze, talvolta al prezzo di qualche “inconveniente”, come il portare con sé il sacco a pelo o il più leggero sacco lenzuolo. Arrivati al rifugio, solitamente un po’ stanchi, si ha il tempo di rilassarsi e di attendere la cena conversando con altri escursionisti, un po’ come accadeva tra viandanti provenienti da diversi paesi nei secoli passati. Certamente un’esperienza da non perdere.

MATERIALI, BAGAGLIO E BUON SENSO

Il materiale necessario al trekking deve essere pensato in funzione del tipo di escursione che si andrà a fare: in montagna, nelle stagioni fredde, è necessario coprirsi; al mare, nei mesi estivi, non c’è questa necessità. Se il trekking è itinerante, è utile conoscere in anticipo se ci sarà la possibilità di rifornirsi di cibo e di acqua durante il cammino o se ci si deve portare sin dal primo giorno il pranzo al sacco, un problema meno sentito per un trekking a stella. Il tracciato pianeggiante rispetto a quello mosso determina

la scelta delle calzature, sempre tecniche, ma differenti. Queste differenze di materiale comportano un bagaglio diverso, soprattutto in termini di peso, che va ben valutato qualora si decida di camminare per più giorni di fila. Se invece si pratica un trekking a stella, dopo lo sforzo del primo giorno per arrivare al campo base, si potrà prevedere un bagaglio giornalmente più leggero.

Per chiudere, trattandosi di attività all’aperto, non ci si può scordare del buon senso, che è di fatto l’elemento determinante per la buona riuscita di questo tipo di esperienza. Vanno quindi presi in considerazione diversi fattori tra cui: il grado di allenamento e la fatica richiesta dal percorso; la possibilità di interrompere l’uscita per rientrare alla base in caso di necessità; le condizioni climatiche e/o le previsioni meteo; il peso che si è in grado di portare sulle spalle; l’aver rodato il materiale, soprattutto le scarpe tecniche; qualità e quantità delle scorte alimentari.

Infine, non va mai sottovalutato il rischio di pioggia: per questo è sempre utile che ogni cosa nello zaino sia avvolta in un sacchetto di plastica.

57 Il trekking, un’attività per tutti
Trekking: i 5 errori più comuni
Sia che si scelga un itinerario a bassa quota, sia che si intraprenda un percorso con dislivelli medio-alti, la morfologia del territorio e il clima sono elementi che contribuiscono a rendere unica l’esperienza del trekking.

L’orienteering

Una disciplina diversa

L’orienteering (corsa di orientamento) è chiamato anche lo sport dei boschi e nessuna definizione è più adatta a descrivere questa disciplina, il cui aspetto peculiare è il totale contatto con la natura e il grande senso di libertà che riesce a trasmettere. Niente palestre, niente piste, niente percorsi predefiniti: dalla partenza si deve arrivare al traguardo passando da un certo numero di punti, ma ognuno può scegliere la via che preferisce. Essendo la partenza a cronometro, ognuno si trova da solo nel bosco, a misurarsi prima di tutto con sé stesso.

GLI STRUMENTI DELL’ORIENTEERING

I punti dai quali bisogna transitare sono rappresentati sulla carta da cerchietti di colore rosso magenta e nella realtà sono segnalati da una lanterna, un prisma di stoffa di colore bianco e arancione dotato di un apparecchio elettronico chiamato stazione che serve a registrare il passaggio dei concorrenti. Gli strumenti a disposizione per portare a termine la gara sono solo tre:

• la bussola;

• il brichetto, un chip che, inserito nella stazione, permette di dimostrare che si è passati da quel punto e ne registra il tempo di passaggio;

• la mappa, che viene consegnata solo al momento del via insieme alla descrizione punti (una tabella che fornisce indicazioni aggiuntive rispetto alla posizione della lanterna). La mappa è solitamente in scala 1:10.000 o 1:15.000 (1 cm sulla carta corrisponde a 100 o 150 m sul terreno) e presenta un grado di dettaglio assai più definito di quello delle comuni cartine escursionistiche, non solo per il livello di scala, ma perché queste carte sono realizzate appositamente per questo sport e dunque segnalano, con una simbologia specifica, la presenza di buche, radici, canalette, rocce, massi, edifici, sorgenti e ogni altro oggetto distinguibile si possa incontrare nell’area. I simboli sono realizzati con colori o campiture che danno informazioni sul tipo di vegetazione – il giallo è il prato, il bianco è un bosco rado, il verde è un bosco tanto più fitto quanto più il colore è scuro – e sulla percorribilità

del sottobosco. A simboli e colori si aggiungono infine le curve di livello, linee di colore marrone che descrivono in modo molto dettagliato le forme del terreno, dalla collina più pronunciata all’avvallamento più lieve, e forniscono informazioni sulla ripidità del versante (quanto più le linee sono fitte, tanto maggiore è la pendenza).

LE QUALITÀ DELL’ORIENTISTA

Il senso dell’orientamento non è una qualità indispensabile per l’orientista. Colpo d’occhio, velocità di scelta e rapidità di corsa sono le doti necessarie per primeggiare in questa specialità. Fondamentale è la capacità di leggere una mappa, di trovare le corrispondenze fra quanto riportato sulla carta e quanto si incontra nella realtà e, soprattutto, di riuscire a fare entrambe le cose mentre si corre. Se, infatti, con un poco di preparazione può risultare relativamente semplice passeggiare per il bosco leggendo una carta, imbattersi in un masso, fermarsi a controllare dove è segnalato, decidere dove dirigersi dopo averlo superato e avviarsi con calma al riferimento successivo, assai più complesso è cercare di farlo in velocità, sia perché la lettura in movimento è più difficoltosa sia perché la fatica riduce la capacità di concentrazione.

58
L’orienteering Il sito ufficiale della Federazione Italiana Sport Orientamento
Un atleta, mentre riparte dalla lanterna, deve aver già presente la direzione da prendere per raggiungere la stazione successiva.

LE REGOLE DELL’ORIENTEERING

Le categorie di gara sono distinte per sesso e per età, e difficoltà tecniche e fisiche sono dosate in funzione di questi parametri, permettendo sia al ragazzino di 14 anni sia alla signora di 65 di cimentarsi in competizioni stimolanti, ma non troppo faticose. Le gare possono essere sprint, middle (o di media distanza) e long, e ciascuna tipologia richiede capacità e caratteristiche fisiche diverse.

• Le gare sprint hanno una durata di circa 15 minuti e si corrono spesso in centri abitati.

• Le gare middle hanno tempi compresi fra 30 e 45 minuti: la resistenza fisica inizia a diventare importante, così come la capacità di alternare tratte brevi e tecnicamente semplici ad altre più lunghe e che richiedono buona capacità di lettura della carta.

• Le gare long possono superare gli 80 minuti, comprendono una o più tratte molto lunghe (anche 1 o 2 km) e comportano due o più scelte possibili che spesso determinano la classifica finale.

La Federazione Italiana Sport

Orientamento

La pratica dell’orienteering è regolamentata dalla Federazione Italiana Sport Orientamento (FISO), cui riferiscono anche l’orienteering invernale con gli sci da fondo, quello di precisione (trail-o) e la versione che si pratica con la mountain bike. Sul sito della Federazione (www.fiso.it) sono disponibili regolamenti, manuali, mappe e notizie sull’organizzazione di gare ed eventi.

La maggior parte delle gare si corre nei boschi, ma si organizzano anche competizioni in città: molto conosciuta è quella che si organizza a Venezia. Pur richiedendo minor abilità nella lettura della carta e nel riconoscimento della morfologia del terreno, la gara cittadina risulta divertente quanto quella che si svolge in un ambiente naturale, perché richiede una maggiore velocità nel prendere le decisioni e riduce notevolmente le possibilità di correggere la scelta compiuta senza dover ritornare sui propri passi.

59 L’orienteering
Concorrente impegnato in una gara in un centro abitato. Cartina con sovrastampa di percorso long.

Teoria e pratica

Praticare l’orienteering significa avanzare sul terreno tra due punti definiti con l’aiuto di una carta e di una bussola. Muovendosi sul terreno l’orientista esegue, più o meno automaticamente a seconda della propria esperienza e del proprio livello di preparazione, una precisa sequenza di operazioni:

• orienta la carta secondo il terreno;

• effettua una scelta di percorso;

• memorizza parte del percorso scelto;

• avanza sul terreno confrontando carta e terreno.

Per farlo al meglio, è utile conoscere alcuni concetti che possono essere considerati l’abc dell’orienteering: linea di conduzione, linea d’arresto, punto di attacco e azimut.

LE LINEE DI CONDUZIONE

Sono elementi riconoscibili in modo agevole sia sulla mappa sia nella realtà. Le linee di conduzione più facili da seguire sono i sentieri, le strade, i ruscelli, gli avvallamenti, i muretti o i recinti, mentre richiedono un po’ più di esperienza i limiti di vegetazione – per esempio il bordo di un prato o la linea di separazione fra una zona di bosco più fitto e una di bosco meno fitto – e le curve di livello. Nell’esempio riportato nella figura 1 il sentiero (rappresentato dalla linea nera tratteggiata) può essere usato come linea di conduzione dalla lanterna 4 alla 5, il limite del prato (la linea che separa la zona bianca da quella gialla) dalla 5 alla 6, la curva di livello (la linea marrone) dalla 6 alla 7 e la linea dell’alta tensione (la linea nera con i trattini perpendicolari) dalla 7 alla 8.

L’AMBIENTE NATURALE: ATTIVITÀ FISICA E SPORT 60
Il regolamento dell’orienteering
1
FIGURA

L’atleta, dopo aver testimoniato il proprio passaggio alla lanterna, riparte nella direzione che – in base alle proprie caratteristiche e alle informazioni ricavate dalla mappa – dovrebbe consentire di arrivare alla lanterna successiva nel minor tempo possibile.

il cocuzzolo dove è posta la lanterna (rappresentato in carta da un puntino marrone), mentre il dosso vicino alla 5 (rappresentato in carta da una piccola forma irregolare chiusa) è visibile più da lontano rispetto alla buca dove è posta la lanterna (rappresentata da un semicerchio).

L’AZIMUT

LE LINEE DI ARRESTO

Sono particolari del terreno molto ben visibili, scelti come riferimento, situati poco prima o poco dopo il punto in cui si vuole arrivare. Nel primo caso avvisano che il punto è ormai nelle vicinanze, nel secondo permettono di capire che si è andati troppo avanti e che bisogna tornare indietro. Nella figura 1, il bordo del prato è un’ottima linea di arresto prima della lanterna 5, così come la linea dell’alta tensione lo è prima della 7 o il recinto (la linea nera con i trattini obliqui) lo è dopo la 8.

IL PUNTO DI ATTACCO

È un riferimento posto nei dintorni della lanterna, che può essere riconosciuto più facilmente, o prima di quello presso cui si trova la lanterna stessa. Nella figura 1, l’angolo di sentiero vicino alla 4 è un buon riferimento per lasciare il sentiero e dirigersi verso

È una tecnica che consiste nell’individuare in base alla mappa la direzione da prendere e nel procedere in linea retta orientandosi solo con la bussola. È utile in assenza di buone linee di conduzione e di punti di attacco, ma richiede notevole abilità sia nel procedere esattamente nella direzione giusta sia nello stimare correttamente la distanza, per non andare troppo oltre o non fermarsi troppo presto. Nella figura 1, la tecnica dell’azimut è utile per raggiungere le lanterne dai punti di attacco descritti o per muoversi dalla 6 alla 7 in modo più veloce e più facile che non procedendo lungo la curva di livello. Una volta che si padroneggiano questi concetti e che si conosce bene la simbologia della mappa e della descrizione punti, a fare la differenza, oltre naturalmente ai mezzi fisici, è soprattutto il numero di ore trascorse in un bosco, che permette agli atleti più esperti di ottimizzare scelte e modalità di lettura della carta in base alle proprie caratteristiche. Come si è detto, per spostarsi da una lanterna all’altra è possibile scegliere il percorso che si preferisce, e la scelta può essere molto diversa a seconda del livello tecnico e fisico: chi è molto bravo nella lettura della carta ma non molto veloce nella corsa sceglierà il percorso più breve, anche se più complesso da riconoscere confrontando cartina e terreno; chi è molto veloce ma meno abile nel trarre informazioni sulla direzione da elementi poco visibili – per esempio, modesti avvallamenti o cambi di vegetazione poco accentuati – privilegerà invece scelte di percorso più lunghe, ma che permettano di utilizzare riferimenti più sicuri come prati, rilievi molto evidenti o sentieri. Per svolgere al meglio una gara di orienteering è necessario trovare un giusto compromesso fra una lettura della carta approssimativa, che permette di correre più velocemente, aumentando però le probabilità di perdersi, e una molto accurata, che riduce il rischio di errore ma comporta una progressione più lenta, perché esige un più frequente confronto fra carta e terreno.

61 L’orienteering

Strumenti e tecniche di apprendimento

Come abbiamo visto, l’orienteering presenta, accanto a una dimensione fisica notevole, una dimensione tecnica di importanza quasi equivalente ed è quindi fondamentale, per trarre soddisfazione da questo sport e migliorare le proprie performance agonistiche, curarle entrambe.

GLI ALLENAMENTI IN CARTA E A SECCO

Gli allenamenti specifici per la corsa di orientamento si svolgono in carta o a secco: entrambi utilizzano le carte, ma solo i primi si svolgono nel luogo da esse rappresentato; i secondi sono quelli che si effettuano in palestra o comunque non in loco.

Gli allenamenti a secco sono molto importanti per prendere dimestichezza con la simbologia delle carte, migliorare la memoria e imparare a scegliere fra diverse possibilità di percorso da un punto all’altro, valutandone le caratteristiche. Per le prime due finalità si possono, per esempio, svolgere esercizi di tipo memory, basati sui simboli convenzionali utilizzati dai cartografi o su sezioni di carte. Per aumentare la capacità di valutazione è invece molto utile studiare i tracciati di gare già effettuate, analizzando tratta per tratta i possibili percorsi alternativi.

Per questo tipo di allenamento sono di grande aiuto le numerosissime carte di gara disponibili in internet, sulle quali è possibile non solo provare a compiere scelte, ma anche confrontarle con quelle di chi ha effettivamente corso la gara.

Per rendere gli allenamenti a secco più simili al contesto di gara, dove lo sforzo mentale è sempre accompagnato da quello fisico, è utile combinare questi esercizi con attività motorie. In particolare è molto utile effettuare gli esercizi di valutazione delle scelte di percorso durante un allenamento di corsa, perché in questo modo si migliora anche la capacità di leggere una carta mentre si corre, abilità molto importante in gara, quando fermarsi per leggere fa perdere tempo.

Gli allenamenti in carta riproducono sostanzialmente le situazioni che si presentano in gara e richiedono quindi che venga tracciato un percorso e che siano posate sul terreno le lanterne da questo previste. Nel loro svolgimento possono essere utilizzate tutte le informazioni che la carta della zona scelta è in grado di offrire oppure solo una parte di queste informazioni, per affinare in modo particolare singoli aspetti della tecnica orientistica.

Per esempio, è possibile riportare il percorso su una carta in cui sono indicate solo le curve di livello, in modo da potenziare la capacità di muoversi nel bosco basandosi solo sulla morfologia del territorio oppure cancellare sezioni della carta fra un punto e l’altro per migliorare le capacità di stima delle distanze e di mantenimento di una direzione precisa in assenza di punti di riferimento sul terreno e con il solo ausilio della bussola.

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Usare una carta con le sole curve di livello accresce le capacità di trarre informazioni dalla morfologia del territorio, perché l’atleta deve raggiungere i punti di controllo pur avendo a disposizione meno informazioni rispetto a una carta completa.

In ogni carta da orienteering è sempre presente l’indicazione del Nord in modo da sfruttare facilmente la tecnica di avanzamento ad azimut.

Gli orientisti usano indicare in rosso a mano il percorso da loro effettuato per poterlo confrontare con quello di compagni e compagne di squadra e/o avversari.

Ogni carta da orienteering riporta in un angolo le indicazioni del nome della località rilevata, della scala e dell’equidistanza, oltre a un dato che non si trova in molte altre carte e cioè la data dei rilievi, in modo che gli atleti possano anche da questo semplice numero avere un’indicazione utile su quale sia l’attendibilità della mappa.

La descrizione punti – nell’immagine fatta con la simbologia internazionale – serve all’atleta per conoscere il codice della lanterna che sta cercando e altri dettagli utili alla sua identificazione sul terreno.

Capita talvolta di trovare una carta con una sovrastampa rossa tratteggiata in diagonale per indicare che quella zona di carta è al momento della competizione non attraversabile e/o utilizzabile in gara.

Da ormai più di vent’anni la cartina di orientamento è riconosciuta dal Coni come un vero e proprio impianto sportivo. Se si pensa a quanti utenti la possono usare nello stesso tempo – a volte si parla di migliaia di atleti – , a quanto ridotti siano i costi rispetto a uno stadio o un palazzetto e soprattutto a quanto questo impianto non modifichi il territorio, si può apprezzare ancora meglio lo spirito ecologista di questa disciplina.

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Carta di un atleta della nazionale italiana con le sue scelte di percorso durante un allenamento in Valsugana.

Le specificità dei programmi di allenamento

Se è stato possibile individuare una sequenza di esercitazioni specifiche per allenare chi pratica la corsa d’orientamento, a maggior ragione è possibile, e necessario, individuare programmi utili a chi voglia cimentarsi in questa affascinante disciplina e a chi, già praticandola, voglia migliorare le proprie performance.

Come in ogni disciplina non esclusivamente atletica, la difficoltà sta nell’organizzare un lavoro che sia al contempo condizionale e coordinativo, ma con un problema in più: perché, oltre alla coordinazione motoria tipica di altre discipline, per l’orienteering si deve prevedere una forte componente cognitiva, che deve essere allenata anche in condizioni di stress fisico e in presenza di elevate quantità di acido lattico. Per la verità, alcuni studi hanno dimostrato che chi è stanco fisicamente è spesso più attento ai dettagli della carta, ma ciò non toglie che si debba riservare un pensiero alla fatica mentale

Un altro aspetto che merita attenzione è quello relativo alla lunghezza della gara per cui ci si deve allenare nell’immediato, perché se è vero che la capacità di scelta del percorso migliore – in sostanza del più veloce – è basilare, è altrettanto vero che la preparazione atletica per una gara da 15 minuti è organicamente diversa da quella necessaria per una gara da 80: cambiano infatti i ritmi delle tratte, la velocità di decisione, le ripartenze e le possibilità di errore.

In sostanza, ogni buon programma di allenamento per l’orienteering deve prevedere:

• continuità, perché non si può pensare di terminare la stagione a novembre e poi ripartire in primavera senza un costante allenamento. Un buon programma potrà concedere al massimo due settimane di riposo assoluto;

• preparazione tecnica, che deve prevedere sia esercitazioni specifiche legate all’orienteering (azimut, memoria, lettura della mappa ecc.), a secco o in carta, sia esercitazioni che potenzino la capacità di elaborazione dei dati, soprattutto in condizioni fisiche di affaticamento. Non basta infatti sapere come funziona una tecnica (padronanza concettuale), ma occorre applicarla praticamente (padronanza sperimentale), con efficacia (padronanza automatica) e quando serve (padronanza tattica);

• gare, essenziali per entrare nello spirito agonistico, per prepararsi psicologicamente ad appuntamenti agonistici più importanti e per verificare il grado di preparazione sul campo;

• preparazione atletica, argomento che è affrontato nel prossimo paragrafo;

• misurazione e raccolta dati, per individuare attraverso un’attenta analisi i punti di forza e di debolezza – per esempio, della stagione precedente o delle ultime dieci gare – così da pianificare un lavoro più adeguato alle reali necessità.

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Atleta a una lanterna nell’atto di inserire il brichetto nella stazione per testimoniare il proprio passaggio da quel punto.

La preparazione atletica

L’aspetto fisico della corsa d’orientamento rientra tra le componenti a secco, ma non si tratta solo di correre: a parte, infatti, la necessità di allenarsi tecnicamente anche quando non si abbia la possibilità di essere in carta, è importante prepararsi fisicamente tenendo conto che l’orienteering:

• può essere svolto su distanze diverse, perciò richiede allenamenti differenti per durata e intensità;

• prevede di spostarsi su terreni diversi – strade asfaltate, sentieri, carrarecce, prati, terreni paludosi, bosco aperto – e questo obbliga a cimentarsi con ogni tipologia di superficie;

• può comportare il superamento di importanti dislivelli – salita, discesa, costa della montagna – e questo richiede esperienze e training con quelle particolari caratteristiche.

Non bisogna infine trascurare l’importanza di potenziare la coordinazione, che su un percorso in un ambiente naturale – per di più con in mano carta e bussola e un occhio a ciò che sta attorno – non è affatto automatica.

Partendo da questi presupposti, sono tre i fronti su cui agire principalmente: la resistenza organica, la forza muscolare e la capacità di correre nel bosco.

• La resistenza organica è intesa come:

capacità di correre senza fermarsi per lungo tempo (capacità aerobica), che in questo contesto significa correre per qualche minuto in più del tempo previsto per le gare in programma;

capacità di correre a ritmo sostenuto, anche dopo che comincia a prodursi acido lattico (potenza aerobica e capacità anaerobica), che si può ottenere anche con sforzi brevi e ripetuti che richiamino il numero di tappe previste per le gare della propria categoria.

• La forza muscolare – in specifico dei muscoli estensori, flessori e stabilizzatori dell’arto inferiore, degli addominali e dei lombari – è presupposto per la corsa su terreni difficili, ricchi di ostacoli e con dislivelli molto importanti. Pertanto si deve potenziare sia sfruttando le asperità naturali del terreno sia prevedendo altre attività – dalla pratica di giochi sportivi per i più giovani alle sedute in sala pesi per i più maturi – in grado di stimolare la muscolatura in maniera mirata.

• La capacità di correre nel bosco è fondamentale per gli adattamenti specifici di tipo organico, muscolare e coordinativo che il terreno di gara impone. La corsa nel bosco deve essere molto frequente, soprattutto nel periodo di gara, e deve quindi essere combinata con la corsa destinata al miglioramento della resistenza organica, che non sarà effettuata esclusivamente su terreni facili, ma deve prevedere uscite podisticamente tecniche. A tale scopo può essere molto utile predisporre un percorso fisso che comprenda tratte con ogni tipo di terreno incontrabile in gara e cronometrare sia i passaggi su tali tratte – soprattutto le salite, per verificare se si migliora in questa fondamentale capacità – sia il tempo totale, in modo da quantificare i progressi.

65 L’orienteering
Atleta in discesa: solitamente l’orientista non si fa spaventare dalle tratte di questo tipo e le sfrutta per guadagnare secondi preziosi e talvolta anche per recuperare.

Le tattiche di gara

Le gare di corsa di orientamento si coprono su tre distanze: per le gare sprint e middle, che per durata e caratteristiche tecniche richiedono il più elevato ritmo di corsa per tutta la gara, non si può parlare di vere e proprie tattiche di gara. Al contrario, per una gara di lunga distanza, che anche gli atleti migliori solitamente non concludono in meno di 70 minuti, è essenziale sia saper dosare le energie sia adottare strategie diverse nell’arco del suo svolgimento. Tratte corse ad alta velocità si alterneranno dunque ad altre corse a velocità più moderata, in funzione della parte della gara che si sta svolgendo e delle caratteristiche del terreno.

In genere le prime lanterne di una long si utilizzano per “entrare in carta”, cioè per comprendere in che modo quella specifica carta rappresenta il terreno. Una volta presa confidenza con il terreno e con la sua rappresentazione, la velocità di corsa viene modulata generalmente sulla difficoltà tecnica del tracciato, per cui sulle tratte che non presentano particolari difficoltà di scelta di percorso e orientamento fine si spinge al massimo, mentre su quelle più complesse la velocità viene ridotta, per ridurre il rischio di errore. Bisogna sottolineare come anche nelle competizioni valide per i campionati mondiali sia molto raro che un concorrente riesca a portare a termine una gara senza commettere alcun errore, a dimostrazione di quanto questa disciplina sia impegnativa anche per chi la pratica ad altissimi livelli. Come si è accennato, molto spesso la classifica finale delle gare long si gioca sulla tratta lunga, quando un errore di

La peculiarità delle carte di gara

scelta del percorso migliore o una velocità di corsa leggermente minore di quella degli avversari, su distanze importanti come 1 o 2 km, può determinare distacchi difficilmente colmabili.

GLOSSARIO

Orientamento fine • Tattica di gara che si usa in terreni pieni di particolari o in zona punto e che consiste nel controllare tutto ciò che circonda l’atleta, così da accertarsi di muoversi nella giusta direzione. Si tratta di una tattica precisa ma lenta, che va quindi usata solo quando non se ne possa fare a meno.

Nonostante debbano rispettare una normativa cartografica riconosciuta a livello internazionale (ISOM, International Specification for Orienteering Maps), le carte di gara possono avere caratteristiche molto differenti, in base al loro grado di accuratezza, alle scelte compiute dal cartografo per rilevare la morfologia del terreno e alla sua abilità tecnica nella rappresentazione. Per esempio, le curve di livello di una carta realizzata su rilievi aerei descriveranno le forme del terreno in modo molto più preciso di quelle realizzate su rilievi effettuati sul territorio. I massi di piccole dimensioni saranno riportati sulla carta di una zona poco sassosa, mentre su quella di una zona ricca di massi il cartografo valuterà quali sia opportuno riportare in funzione della leggibilità complessiva della carta.

L’AMBIENTE NATURALE: ATTIVITÀ FISICA E SPORT 66
Prima della partenza, gli atleti cercano di concentrarsi, per “entrare in carta” quanto prima e sfruttare al meglio le indicazioni da essa fornite.
Le specifiche internazionali per carte di orientamento

Il trail-o

Il trail-o nasce per dare la possibilità a tutti di praticare in modo competitivo l’orienteering, a prescindere dalla propria capacità di movimento, ed esalta le componenti tecniche di lettura della carta e riconoscimento del terreno tipiche della corsa di orientamento, annullando completamente la componente fisica. Per questo motivo, soprattutto in Italia, il trail-o è stato inizialmente considerato una disciplina dedicata alle persone diversamente abili, per attrarre in seguito l’interesse generale quale disciplina che permette di cimentarsi in prove di orienteering di precisione, l’altra definizione con cui questo sport è conosciuto.

Come nella corsa di orientamento, gli elementi principali che caratterizzano il trail-o sono le lanterne e la carta, ma con un utilizzo completamente diverso: nel trail-o l’obiettivo non è il transito nel minor tempo possibile da tutte le lanterne indicate sulla carta, ma il riconoscimento, fra tutte le lanterne posizionate sul terreno, di quelle indicate sulla carta. La classifica non viene quindi stilata in base al tempo impiegato, ma al numero di lanterne correttamente individuate Al momento della partenza – che avviene individualmente a intervalli di un paio di minuti fra un concorrente e l’altro – l’atleta riceve una carta (in

67 L’orienteering
Esempio di cartellino di una gara di trail-o. Atleta impegnato in un punto di decisione durante una gara di trail-o. LE CARATTERISTICHE DELLA GARA DI TRAIL-O

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