MUSAE COMITES

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COMITES

I. L’età arcaica e repubblicana EDIZIONE ORO

Con versionario, prove per la certificazione e materiali per l’esame di Stato

VIAGGIO
NELLA STORIA DELLA LETTERATURA LATINA Paolo FEDELI | Ermanno MALASPINA | Luca ANTONELLI
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Plauto

Da quando Plauto è morto, la Commedia è in lacrime, il palcoscenico è vuoto, poi il Riso, il Gioco, lo Scherzo e i metri infiniti tutti insieme si sono messi a piangere.

Questo è il presunto epitafio di Plauto riportato da Aulo Gellio (II secolo d.C.). Il legame privilegiato tra Plauto e la comicità che questi versi testimoniano è vero ancora oggi: a tutti è capitato infatti di ridere a crepapelle guardando un film comico, anche se di rado la trama è perfetta, i personaggi sono coerenti e viene trasmesso un messaggio profondo. Ciò che fa divertire gli spettatori sono le gag, le situazioni assurde, i giochi di parole, le battute a doppio senso, gli scambi di persona, lo sbeffeggiamento del cattivo, le prese in giro, gli inganni, i travestimenti. Tutti elementi peculiari del meccanismo comico plautino.

Mentre la satira politica nasce con la commedia antica greca nell’Atene del V secolo a.C., a Roma, nel III secolo a.C., Plauto creò il comico di situazione, che ha saputo regalare (e ancora regala) al pubblico un’ilarità spontanea, spensierata e contagiosa. Come ha detto il più grande studioso italiano di Plauto, Cesare Questa (1943-2016), «nella commedia plautina lo spazio è quello della vita, della giocondità, del trionfo vitale dei giovani innamorati su vecchi sordidi e libidinosi. A questo servono i “bellissimi inganni” dei servi, nei quali non è lecito vedere né tracce di autobiografia né la “protesta sociale” del poeta o quanto altro del genere certa nostra ideologia ci può oggi suggerire».

(Aulo Gellio, Noctes Atticae, I, 24, 3)
80 UNITÀ 3
Clavis aurea Plauto • Percorso digitale

1. La vita e le opere

Le umili origini italiche

Scarse e poco attendibili sono le notizie biografiche su Tito Maccio Plauto (FOCUS, I tria nomina: una questione di identità nazionale, p. 82), che nacque intorno al 255/250 a.C. nella città umbra (ora in Emilia-Romagna) di Sàrsina, alleata di Roma dal 266 a.C.

L’estrazione socio-economica di Plauto doveva essere molto umile: infatti le biografie antiche tramandano la notizia della sua condizione sociale modesta e persino della sua povertà.

Un’ipotesi fantasiosa

A questo proposito, in assenza di informazioni certe e secondo una notizia quanto mai sospetta, Plauto fu costretto, a causa di giovanili sperperi in attività commerciali, all’infamante fatica di girare la mola di un mulino, una punizione più volte riservata agli schiavi nelle sue stesse commedie. Pertanto, è facile ipotizzare che, sulla base dei passi delle opere in cui si minaccia un tale castigo ai più riottosi, si sia creata una tradizione secondo cui Plauto, per sopravvivere, si sarebbe messo al servizio di un mugnaio e in tale periodo avrebbe scritto due commedie, Saturio (“Il panciapiena”) e Addictus (“Lo schiavo per debiti”).

La morte

Altrettanto dubbie e poco credibili sono altre notizie ricavabili da accenni e allusioni contenuti nelle commedie, mentre sicura è la data della morte, avvenuta a Roma nel 184 a.C., l’anno della censura di Marco Porcio Catone.

La questione dell’autenticità

Il numero delle commedie scritte da Plauto era incerto anche per gli antichi, visto che il grande successo aveva fatto sì che i suoi lavori rimanessero nel repertorio delle varie compagnie teatrali anche dopo il 184 a.C. Ciò comportò inevitabilmente che i capocomici non soltanto modificassero i testi per adattarli a nuove circostanze, ma anche che rappresentassero in scena come plautine le commedie di altri autori, per ottenere il favore del pubblico.

Le commedie “varroniane”

Nel I secolo a.C. Marco Terenzio Varrone, eruditissimo conoscitore delle antichità romane, mise ordine tra le circa 130 commedie che la tradizione aveva conservato sotto il nome di Plauto. Varrone considerò autentiche 21 commedie; inoltre ritenne che 19 presentassero alcuni elementi riconducibili al teatro plautino, mentre rifiutò come spurie le restanti 90. L’autorità di Varrone si è rivelata decisiva nella trasmissione del testo, dato che oggi possediamo solamente le 21 commedie da lui indicate come plautine e tramandate nei manoscritti in ordine alfabetico, come esito dell’edizione critica di uno sconosciuto grammatico dei primi secoli dopo Cristo. Attraverso le citazioni di altri autori, dunque per tradizione indiretta, ci sono pervenuti frammenti relativi ad almeno una trentina di altri titoli, il che fa pensare che anche la seconda e forse la terza selezione varroniana contenessero qualche commedia autentica.

LINEA DEL TEMPO 255/250 a.C. 264 a.C. 241 a.C. Nasce
a Sàrsina
Compone l’Aulularia e il Curculio; prima rappresentazione dello Stichus Compone il Miles gloriosus, l’Asinaria e la Cistellaria
Guerra
Prima
Seconda guerra punica 228 a.C. 219 a.C. 202 a.C. 200 a.C. 191 a.C. 184 a.C. Muore a Roma PLAUTO EVENTI 81
Prima rappresentazione dello Pseudŏlus contro gli Illiri
guerra punica

FOCUS

I tria nomina: una questione di identità

nazionale

Ai cittadini romani maschi spettavano tre nomi, secondo il sistema dei tria nomina: per esempio in Appio Claudio Cieco Appius è il praenomen, ossia il nome assegnato alla nascita, Claudius è il nomen, che denotava l’appartenenza a una gens (la gens Claudia in questo caso), infine Caecus è il cognomen, che indicava una caratteristica propria di una persona e che passava poi ai suoi discendenti (la familia). A questa triade poteva essere talora aggiunto un ulteriore soprannome (agnomen) come “l’Africano” per Publio Cornelio Scipione.

Il manoscritto più antico che trasmette le opere di Plauto ne riporta il nome nella forma Titus Maccius Plautus, che in apparenza rispetta il sistema romano dei tria nomina, ma che è anche molto sospetto: infatti, non è altrimenti attestata una gens Maccia e non ci sono prove che Plauto abbia mai ricevuto la cittadinanza romana, necessaria per l’attribuzione dei tria nomina. Inoltre, Maccius rinvia a Maccus, il nome che Plauto si attribuisce in modo esplicito, ma che deriva da una maschera dell’atellana (p. 36).

Il cognomen Plautus nasceva invece da un

difetto fisico: in base all’ipotesi più accreditata, erano chiamati plauti quelli che avevano i piedi piatti. Lo conferma il grammatico Sesto Pompeo Festo, vissuto nel II secolo d.C., affermando che «il poeta era umbro di Sàrsina, a motivo dei piedi piatti fu dapprima chiamato Plotus e poi Plautus» (275 L.; nella pronuncia italica è normale la presenza di o al posto di au). In questa forma, quindi, il nome completo sembra avere ben poco a che fare con un cittadino romano, di cui invece sembrano essere parodiati i tria nomina, lasciando ben evidenti i segni di

un’origine popolaresca e legata al mestiere dell’attore, professione moralmente disdicevole per un Romano (p. 50).

Tuttavia, prima che a inizio Ottocento venisse trovato l’antico manoscritto, Plauto era erroneamente noto come Marcus Accius Plautus, secondo una formulazione più “romana”, in quanto la gens Accia era attestata, e in base alla quale era legittimo ritenere che il poeta avesse la cittadinanza.

La scoperta, grazie all’antico manoscritto, dell’errata divisione di MACCIUS in M. ACCIUS provocò, però, la reazione

di alcuni studiosi italiani, che non accettavano una tale “degradazione”, da Accio, cittadino romano, a Maccio, attore, che sembrava minare la nobiltà della poesia latina delle origini.

Simili polemiche sono oggi del tutto superate, ma è curioso notare come la questione dell’identità nazionale di Plauto abbia suscitato non soltanto l’interesse, ma anche la sensibilità “patriottica” degli studiosi.

OFFICINA

• Perché alcuni studiosi italiani contestarono la più antica forma attestata dei tria nomina di Plauto?

82 1. LE ORIGINI E L’ETÀ ARCAICA

La cronologia

Problemi irresolubili sono di ostacolo a una sicura determinazione dell’anno della prima rappresentazione di una commedia plautina. Il criterio più sicuro è costituito dalle didascalie , ma per Plauto si sono salvate soltanto quelle dello Stichus (200 a.C.) e dello Pseudŏlus (191 a.C.), mentre, in genere, le commedie non offrono riferimenti chiaramente databili a eventi contemporanei. Si è quindi fatto ricorso a criteri interni, quali l’estensione delle parti liriche, l’uso di vocaboli greci, la presenza di trame più o meno complesse, l’abbondanza di monologhi e così via, per definire le tappe di un’evoluzione stilistica, ma i risultati sono fortemente opinabili. Infatti, una semplice statistica delle commedie più o meno ricche di cantica non può trasformarsi in una cronologia basata sul pregiudizio che un autore tenda sempre a una maggiore perfezione e che quindi siano più antiche le commedie metricamente meno complesse. Il testo, infatti, veniva redatto anche in funzione della bravura degli attori di cui si poteva di volta in volta disporre, cosicché alcune commedie plautine – certamente tra le più antiche –sono molto ricche di parti liriche, al contrario di altre, che con ogni probabilità appartengono a fasi più tarde: infatti, quando si trovava sprovvisto di buoni cantori, Plauto doveva limitare il numero dei cantica. Pertanto, soltanto per la cronologia di alcune commedie c’è un consenso sostanziale:

● Asinaria, Mercator, Miles gloriosus e Cistellaria sono considerate le opere più antiche e vengono datate prima del 201 a.C.;

● Stichus, Aulularia e Curculio sono poste in un periodo intermedio, intorno al 200 a.C.;

● Pseudŏlus, Bacchides, Casĭna, Truculentus e forse Amphitrŭo, Persa, Trinummus risalgono alla vecchiaia dell’autore.

2. I temi e i personaggi

La struttura

Le commedie di Plauto rispettano uno schema tripartito, che prevede il prologo, la parte centrale, in cui si sviluppa l’intrigo, e l’epilogo o scioglimento finale. I prologhi a noi giunti sono sostanzialmente originali, ma alcuni di essi recano tracce evidenti e talora dichiarate di interventi successivi, fatti in occasione di repliche messe in scena anche dopo la morte del loro autore.

Le funzioni delle singole parti

Il prologo non si limita a fornire notizie sull’antefatto, ma di norma dà un’anticipazione dello svolgimento della trama e della conclusione della commedia. La decisione di fare a meno di ogni forma di suspense non deve sorprendere, perché per lo spettatore antico la trama e i personaggi erano scontati, e l’interesse risiedeva nella comicità delle trovate e delle situazioni che portano l’intrigo alla sua naturale soluzione. Questo scioglimento finale, infatti, rimette le cose al posto giusto, con la sconfitta del lenone e del vecchio libertino, con il trionfo dell’amore fra i giovani protagonisti, con la restituzione della propria identità a chi anni prima l’aveva persa in seguito a un rapimento o a uno smarrimento ecc. Il ritorno all’ordine originario doveva suonare rassicurante per un pubblico non abituato ad assistere, nella vita di tutti i giorni, al trionfo dello schiavo sul padrone o del figlio sul padre.

didascalia

Il termine didascalia oggi indica la spiegazione che accompagna un’immagine, su un libro, un giornale o un sito online. La sua origine è però più complessa: la parola greca didaskalía, dal verbo didásko, “insegnare”, voleva dire “istruzione”, “spiegazione”. Venne usata come termine tecnico dagli eruditi di Alessandria d’Egitto (IV-II sec. a.C.) per indicare la breve voce che redigevano per segnalare in modo pratico le caratteristiche salienti delle opere di cui approntavano l’edizione critica*. Tale pratica filologica fu acquisita anche a Roma e se ne trova talvolta traccia nei manoscritti (nomi dell’autore, del capocomico e dei magistrati preposti all’organizzazione degli spettacoli, data della prima pubblicazione).

CONVERSA DIDAXIS La fortuna del “doppio”

Domi  Leggi il paragrafo 2 I temi e i personaggi e i testi T3 e T4 antologizzati, quindi consulta attentamente le risorse suggerite dal docente. In schola  Suddivisi in gruppi di 4/5 persone, preparate una presentazione multimediale in cui sia approfondito il tema del “doppio”. L’esposizione di ogni gruppo dovrà sviluppare uno dei seguenti argomenti:

1. una variante del mito della guerra di Troia: Elena e il suo “doppio”;

2. l’amore per il proprio “doppio”: Narciso e Dorian Gray;

3. trasformare e trasformarsi: il “doppio” e il mito della metamorfosi.

LE
PAROLE E IL LORO SIGNIFICATO
83 Unità 3 PLAUTO

parasītus

Il nome greco parásitos (da pará, “a fianco”, e sítos, “grano” e in generale “cibo”), traslitterato in latino parasītus, indica colui che mangia a casa di un’altra persona, ripagandola con complimenti e lusinghe. In italiano il termine ha assunto valore dispregiativo, nel senso di “scroccone”, colui che vive senza lavorare e sfruttando gli altri, oppure tecnico, per indicare gli animali e le piante che per vivere hanno bisogno di un altro organismo, di cui sono ospiti e che danneggiano (questa è la differenza tra il parassitismo e la simbiosi, che invece produce vantaggio reciproco).

Atti e scene

L’azione scenica al tempo di Plauto era continuativa e veniva interrotta soltanto da intermezzi musicali, indipendenti dalla vicenda in scena.

I manoscritti, invece, rispecchiando una prassi di qualche secolo dopo, presentano una suddivisione del testo in atti e degli atti in scene, che è tuttora mantenuta nella forma divenuta canonica grazie all’umanista Giovan Battista Pio, che nel 1500 pubblicò a Bologna un’importante edizione delle commedie plautine.

I ruoli fondamentali

I personaggi plautini ricalcano quelli della commedia nuova ellenistica (NEXUS, Il teatro in Grecia, p. 49), anche se sono soprattutto i “cattivi” a mettere in azione la fantasia del poeta, che nei loro confronti non esercita alcun tipo di critica moralistica: anzi, tutti appaiono orgogliosi del loro modo d’agire e Plauto ne accentua i tratti di sfrontatezza e l’assenza di scrupoli. Nelle commedie si trovano personaggi ricorrenti e convenzionali:

● il senex, il vecchio padre di famiglia, spesso ossessionato da una moglie dispotica, che entra in conflitto con il figlio spendaccione (T6, T7), ma talora diviene suo rivale in amore;

● l’adulescens, cioè il giovane innamorato e squattrinato, che di solito si fa forte della solidarietà di uno schiavo per sottrarre al padre del denaro o per risolvere i suoi intricati problemi;

● il servus callidus (“astuto”), tessitore di inganni indispensabile perché la commedia trovi lo scioglimento desiderato, è il vero protagonista del teatro plautino. Può apparire sorprendente, se si considera la realtà sociale del mondo romano, che la figura del servo abbia sempre un ruolo di spicco e appaia addirittura come l’elemento risolutore dell’intreccio. Senza di lui l’azione si ridurrebbe a ben poca cosa, perché spetta al suo personaggio il compito di inventare le straordinarie trovate che rimettono costantemente in moto l’intreccio (T10, T19);

● la merĕtrix, che è oggetto dell’amore dell’adulescens Accanto a loro si muove una folla multiforme di personaggi minori, che interpretano i ruoli di antagonisti o aiutanti: il parasītus (“parassita”, T11), il miles (il “soldato”), la fidicĭna (la “suonatrice di lira”), il cocus (il “cuoco”), il leno (il “lenone”, lo sfruttatore di prostitute) e il suo corrispettivo al femminile, la lena (T9), avidi e cinici, infine la matrona, che favorisce le avventure amorose del figlio e contrasta i tentativi erotici del marito, spesso grazie all’indipendenza economica garantitale dalla dote (uxor dotata).

I motivi-guida

Leggendo gli argomenti delle commedie si nota subito quanto le trame siano complicate, ma ripetitive, dal momento che giocano con infinite variazioni intorno ad alcuni motivi-base, derivati dalla commedia nuova greca (NEXUS, Il teatro in Grecia, p. 49). Semplificando molto, il principale meccanismo narrativo, presente in tre quarti delle commedie, è quello del passaggio di un bene (nella maggior parte dei casi una donna, di estrazione

LE PAROLE
E IL LORO SIGNIFICATO
84 1. LE ORIGINI E L’ETÀ ARCAICA

tanto libera quanto servile, ma in altri è il denaro o la libertà) dall’antico proprietario, quasi sempre un lenone o un soldato, a un nuovo possessore (generalmente il giovane innamorato). Il trasferimento avviene grazie a una beffa ordita dal servus ai danni dei suoi antagonisti, che sono soprattutto lenones e lenae, ma anche senes libidinosi, milites smargiassi e altri personaggi caricaturali.

Alcune commedie, come Amphitrūo, Bacchides, Menaechmi, sfruttano invece il tema dei simillĭmi, ovvero dello scambio di persona, che genera infinite situazioni comiche (T3, T4).

A questi due meccanismi principali si aggiungono di volta in volta altri spunti ricorrenti:

● Mercator, Stichus, Mostellaria, Trinummus uniscono alla beffa il motivo del viaggio, dal quale derivano lunghe assenze, improvvisi ritorni e arrivi inaspettati che innescano il meccnismo comico;

● Captivi, Casĭna, Persa e, a modo suo, anche l’Amphitrŭo ricorrono al travestimento come ingrediente della trama e come generatore di situazioni comiche;

● prediletto da Plauto è il ricorso all’agnizione o riconoscimento, presente nella Cistellaria, nel Curculio, nell’Epidicus, nel Poenulus e nella Rudens

Il procedimento, ereditato anch’esso dalla commedia greca ellenistica, consente di risolvere l’intreccio in modo favorevole: proprio quando le cose stanno volgendo verso un esito infausto, attraverso la scoperta casuale della vera identità di un protagonista, spesso la giovane amata, che si dimostra di nascita libera o legata da parentela a uno dei personaggi.

3. Plauto tra imitazione e originalità

I rapporti con i modelli

Per tutto il XIX secolo e nei primi decenni del XX gli studiosi che si occupavano di Plauto ne avevano sottolineato l’originalità, ma intendevano soprattutto determinare il suo rapporto con i modelli della commedia nuova greca (NEXUS, Il teatro in Grecia, p. 49), di cui si possedevano allora soltanto frammenti poco significativi. Tutto questo, però, non era tanto funzionale a una migliore conoscenza del poeta comico latino, quanto piuttosto a una ricostruzione dei testi greci perduti, ritenuti più significativi in quanto originali e in quanto greci.

85 Unità 3 PLAUTO
Scena di commedia, part., affresco, I secolo d.C. Pompei, area archeologica, Casa di P. Casca Longus.

Da una settantina di anni, invece, fortunati ritrovamenti papiracei hanno portato alla luce intere opere di Menandro (342-291 a.C.), che della commedia nuova è stato il rappresentante più noto e celebrato, e al tempo stesso hanno consentito di vagliare in modo concreto i rapporti di Plauto con la produzione comica ellenistica (non solamente Menandro, ma anche Dìfilo e Filèmone). Si è potuto così scoprire che, come già Livio Andronìco e Nevio, anche Plauto aveva reso in latino con molta libertà i suoi modelli. Del resto, i personaggi della néa, raffinati e creati per gli spettatori colti di Atene, non potevano aver presa sul pubblico romano, che non era raffinato, ma prevalentemente plebeo, dal momento che alle rappresentazioni, organizzate dallo stato, potevano accedere tutti, senza alcuna distinzione sociale.

FOCUS La rielaborazione del modello: le Bacchides

Nel 1968 è stato pubblicato un papiro con una decina di versi della commedia di Menandro# dal titolo Dìs exapatón (“Colui che inganna due volte” oppure “Il duplice inganno”), che è stata il modello delle Bacchides. I pochi versi dell’originale giunti trovano corrispondenza in una ben più ampia sezione di versi plautini (vv. 495-560). Già questa semplice constatazione ci fa capire con quale libertà Plauto si sia comportato nei confronti dell’originale, ampliando e modificando alcuni particolari e la struttura stessa della commedia.

Rispetto al modello, Plauto ha cambiato innanzitutto il titolo (Bacchides contiene una chiara allusione ai riti bacchici, allora oggetto di dibattito politico, che non avrebbe mancato di attirare il pubblico alla rappresentazione; p. 28), poi i nomi dei personaggi. Il cambiamento più significativo riguarda proprio il nome del servus inventor dell’inganno, che non è più Siro, come in Menandro, ma Crìsalo; in tal modo Plauto può

introdurre tutta una serie di divertenti giochi di parole che implicano sia un rapporto con il termine greco chrysós (“oro”) sia un riferimento puramente fonico alla parola latina crux (la “croce”), che serve a ricordare la pena più temuta dagli schiavi. Plauto è intervenuto in modo cospicuo anche sulla struttura stessa della commedia greca: ha eliminato due dialoghi e fuso due monologhi dell’adulescens in uno solo, al quale ha

accordato uno sviluppo notevole, perché, grazie a un abile gioco di frasi assenti nel modello, venisse ridicolizzata la mancanza di coerenza del personaggio. Inoltre, mentre trova ampio spazio il dialogo fra due giovani, perché consente a Plauto di sviluppare adeguatamente la tematica dell’equivoco con i suoi riflessi comici, vengono eliminate parti della commedia ritenute irrilevanti all’intreccio (in particolare i dialoghi del padre con il figlio).

Mutato, infine, è anche il metro, perché il trimetro giambico* dell’originale, che veniva recitato, è sostituito dai settenari trocaici*, per i quali è legittimo supporre l’accompagnamento musicale.

OFFICINA

• La scoperta della commedia menandrea Dìs exapatón consente di dimostrare l’operazione di “imitazione creativa” attuata da Plauto. Spiega il senso dell’affermazione.

86 1. LE ORIGINI E L’ETÀ ARCAICA

Il “plautino” in Plauto

Molti studiosi hanno tentato di individuare nelle commedie di Plauto gli elementi originali. Una simile ricerca si scontra con molte difficoltà, la maggiore delle quali è l’esiguo numero di testi greci a noi pervenuti, che rende impossibile un confronto su basi solide. Comunque, sembrano esistere differenze non irrilevanti fra la néa e il teatro plautino.

In primo luogo Plauto non esitò a ricorrere alla contaminatio , ossia all’inserimento nella trama dell’opera greca scelta come fonte principale di scene tratte da altre commedie, allo scopo di integrare nell’intreccio particolari giudicati comicamente più efficaci.

L’adattamento

ai gusti romani

In secondo luogo, gli originali greci dovevano essere riadattati alla realtà dei gusti di Roma. Infatti, dalla Poetica di Aristotele (383-322 a.C.) Menandro e la néa avevano ereditato l’importanza della verosimiglianza delle vicende rappresentate, della loro funzione pedagogica e, infine, della catarsi finale; i Romani, invece, preferivano l’intreccio avventuroso, i duelli verbali scurrili, le scene movimentate da ballerini e da cantanti in una policromia stilistica e metrica.

Il teatro come gioco

Inoltre, mentre i personaggi della commedia nuova greca si sforzavano di comportarsi in modo realistico, quelli plautini vogliono essere in tutto e per tutto personaggi comici, anche a scapito della verisimiglianza e del logico svolgimento dell’azione drammatica: preso da uno spettacolo rapido e incalzante, lo spettatore romano non si poneva interrogativi sulla coerenza spaziale e temporale dell’intreccio, e perdonava facilmente all’autore quelle che noi, sulla base di un’analisi minuziosa di un testo ormai destinato alla lettura, riteniamo illogicità. Questo perché il pubblico sapeva bene di assistere a un ludus, non a una raffigurazione della vita reale.

I cantica

Mentre la néa era divisa in atti, delimitati da quattro intermezzi corali (NEXUS, Il teatro in Grecia, p. 49), la commedia latina si svolgeva senza l’intervento del coro, dando allo spettatore l’impressione di una progressione serrata dell’azione. La monotonia era però scongiurata da un’altra specificità latina, ovvero l’uso abbondante di parti liriche in metri vari cantate dagli attori a suon di musica. Per tale ricchezza metrica i cantica di Plauto erano riconosciuti già dagli antichi come il culmine della sua arte: lo attestano i «numeri innumeri» del suo presunto epitafio (FOCUS, Numeri innumeri: i metri plautini, p. 136) e soprattutto Varrone che, nel redigere una classifica dei maggiori autori romani di teatro, per la varietà delle scelte metriche poneva al primo posto proprio Plauto. Va notato, infine, che i cantica non sono estranei all’azione, ma sono a essa funzionali perché addirittura la fanno progredire (T13): da questo punto di vista – come ha notato Cesare Questa – la palliata è uno spettacolo paragonabile all’opera buffa italiana o al Singspiel tedesco del tardo Settecento (si pensi al Ratto dal serraglio di Mozart), con vere e proprie arie, duetti, terzetti, che non interrompono la vicenda, ma sono essi stessi azione (NEXUS, Dalla palliata al teatro musicale, p. 95).

LE PAROLE E IL LORO SIGNIFICATO contaminatio

La parola latina contaminatio è molto tarda; al suo posto in età arcaica e classica si usava il verbo contamĭno, con buone probabilità etimologicamente legato a tango (“toccare”). Il primo significato è “entrare in contatto con”, da cui “inquinare per contatto” e infine “contaminare”. In letteratura questo termine indica l’integrazione in un testo letterario di elementi (personaggi, episodi…) desunti da altre opere. Negli studi filologici si riferisce alla contaminazione di un codice con congetture provenienti da un codice di diversa tradizione.

87 Unità 3 PLAUTO

CONVIVIUM

LA VOCE DELLA CRITICA

La “commedia musicale” di Plauto

Gianna Petrone, una delle studiose più sensibili alle peculiarità della lingua plautina, analizza quanto il dato fonico-musicale incida su quello sintattico, stilistico e semantico nei cantica plautini

Fraenkel individuava il tenore musicale della commedia plautina nella subordinazione del contenuto al ritmo, fenomeno essenziale per la costruzione delle arie. Battute perfettamente simmetriche e strettamente corrispondenti anche nelle ripetizioni delle parole si incontrano nei duetti, dove i personaggi dialogano cantando e a volte la corrispondenza non si limita alle singole frasi ma si articola in una corresponsione di interi brani. Questa tecnica, che sarà una maniera dell’opera, svela la prevalenza del suono nella costruzione dei versi e nella selezione delle parole. A questa conclusione è arrivata una delle più interessanti acquisizioni degli studi che, andando al di là della nota constatazione delle infinite figure foniche della poesia plautina, ne ha scoperto il metodo, secondo cui è il suono a determinare e a creare la forma [...].

Il raggiungimento di questa ricca complessità musicale insieme alla riconosciuta grandezza stilistica fa capire come siano sbagliate quelle letture che attribuiscono a Plauto un preteso realismo popolaresco, del tutto inesistente e quanto mai lontano dal suo registro. È un’altra cosa rispetto al riconoscere che la commedia dà voce di per sé al lato basso dell’esistente, al cibo, al corpo, al sesso. Plauto mantiene queste promesse conciliando il basso con l’alto e facendo toccare ai suoi personaggi le vette della parodia epica e tragica e quelle, sublimi, dell’immaginazione comica più spinta sul terreno della fantasia. Il termine “farsà” non è inadatto ma favorisce l’ambiguità: si ride e molto, ma sul

1. Filologo tedesco (1888-1970). Il lavoro di ricerca Petrone presuppone il saggio dell’insigne studioso Elementi plautini in Plauto (trad. F. Munari, La Nuova Italia, Firenze 1960) nonché l’importante contributo del classicista italiano Alfonso Traina (1925-2019) dal titolo Forma e suono. Da Plauto a Pascoli (Pàtron editore, Bologna 1999).

tracciato di brillanti e spiritosissime metafore in cui il greve è in genere respinto e l’oscenità rara e indiretta. Anche un litigio accalorato in cui ci si scaglia insolenze, una scena gradita al pubblico più semplice, ha l’impronta di una fattura elaborata; come avviene nella rissa tra il lenone e lo schiavo nel Persa (vv. 405 ss.), dove le ingiurie dell’uno sono bilanciate da quelle in pari numero dell’altro, secondo rispondenze foniche e rime ricercate, cosicché la zuffa, gustosa, evapora in una sorta di delizioso duetto.

Le enumerazioni, elenchi in serie di termini affini e sinonimi, inventati in una proliferazione abbondante e con un’inesauribile vena ma sempre sotto controllo ritmico, sono un “elemento plautino” dello stile e così anche le neoformazioni, a volte uniche e non più ripetute anche perché nate per quel particolare contesto. La varietà dei toni racchiude l’intero spettro letterario: non solo la paratragedia è, come si è visto, molto praticata, ma anche il linguaggio autentico dell’epos è a disposizione dell’autore, che ne fa sfoggio nell’Amphitruo, dove il resoconto di Sosia è tutto scritto nella lingua e negli stilemi dell’epos contemporaneo.

Le commedie plautine rappresentano un mondo molto personale, nel quale troviamo un’interpretazione di tutto il reale, almeno di quello che può entrare in commedia, nel segno della vitalità e dell’ottimismo.

(G. Petrone, Storia del teatro latino, Carocci editore, Roma 2020)

OFFICINA

• In che modo la complessità “musicale” del teatro plautino stempera alcune letture che ridurrebbero il suo contenuto a mero realismo popolaresco?

88 1. LE ORIGINI E L’ETÀ ARCAICA

La lingua

Il peculiare impasto stilistico presente nelle commedie plautine risente in modo determinante della vivacità della lingua parlata (sermo cotidianus): non quella sgrammaticata e incolta degli strati bassi, ma quella della conversazione familiare. Di essa Plauto riproduce la predilezione per la paratassi, il ritmo incalzante, basato su un succedersi di domande e risposte, l’abbondanza delle espressioni ellittiche e delle ripetizioni, creando un linguaggio straordinariamente vivo, mai legato agli schemi sintattici e alle scelte lessicali consuete.

Le trovate stilistiche plautine

Nel sermo cotidianus vanno a inserirsi i giochi di parole, i doppi sensi, le riprese parodiche di linguaggi specialistici, l’uso di metafore comiche. Su tutto domina la creazione di straordinari neologismi, talora destinati a non riapparire più nella latinità, e di singolari nomi parlanti. Basti pensare a due grecismi del Miles gloriosus, in cui il soldato Pirgopolinice è il “vincitore (níke) di molte (polý) città turrite (pýrgos)”, mentre il parassita Artotrogo è il “rodipagnotte” (trógo, “rodere”, + ártos, “pane”). I neologismi sfruttano anche le possibilità della lingua latina, come nel caso di dentilĕgus (“raccoglidenti”, detto di chi sta per subire un pestaggio), ma spesso sono ottenuti dalla contaminazione di termini latini e greci, come nel caso di flagritrĭba (“logorastaffile”), da flagrum, “frusta”, e il verbo greco tríbo, “consumare”.

Nei contesti in cui vuole raggiungere una maggiore comicità, Plauto fa la parodia dello stile solenne della preghiera (Exemplar, p. 96) o della tragedia, in modo tale che sia manifesto il divario fra la situazione ridicola e lo stile altisonante impiegato per descriverla.

La rottura dell’illusione scenica

Per raggiungere effetti comici, Plauto ama scherzare sulla finzione che sovrintende all’attività teatrale: si diverte a svelarne i meccanismi, coinvolgendo così il pubblico e rendendolo complice delle sue trovate.

In questa tecnica si inseriscono gli “a parte” (cioè le battute pronunciate da un personaggio in modo tale che nessuno sulla scena le senta), spesso usati per capovolgere ironicamente il senso del discorso, e i frequenti richiami agli spettatori, che talora sono addirittura invitati a intervenire nell’azione (T16).

Il “metateatro”

Il più rilevante tra gli esempi di rottura dell’illusione scenica è quello che viene definito “metateatro”, cioè “teatro nel teatro”. Si tratta di casi in cui al pubblico vengono svelati i meccanismi dell’intrigo oppure particolari dell’organizzazione teatrale dal personaggio che interpreta il servo, il quale:

● nello Pseudŏlus agisce come regista in scena dello sviluppo ulteriore della trama;

● nel Poenulus chiarisce agli spettatori che i 300 filippi d’oro contenuti nella borsa non sono veri, ma al posto loro si trovano lupini, “oro da commedia”;

● nel Persa spiega al pubblico che è il capocomico a occuparsi dei costumi degli attori.

89 Unità 3 PLAUTO

AMPHITRŬO (“Anfitrione”): è l’unica commedia in cui agiscono personaggi divini Giove si è innamorato di Alcmena, moglie di Anfitrione, re di Tebe, e riesce a sedurla prendendo l’aspetto del marito, che sta guidando l’esercito in guerra; aiutante di Giove è Mercurio, che ha assunto le sembianze di Sosia, lo schiavo fidato di Anfitrione. Inevitabili sono i comici scambi di persona al ritorno dei “veri” Sosia e Anfitrione (T3). La commedia si conclude con l’annuncio della nascita di Ercole dall’unione tra Giove e Alcmena.

ASINARIA (“La commedia degli asini”): grazie alla somma di denaro che il servus ha ricavato dalla vendita di alcuni asini, il giovane Argirippo riesce a riscattare la bella Filenio; suo complice è anche il padre, che si invaghisce della giovane e vorrebbe farla sua. Il vecchio verrà però svergognato dalla moglie autoritaria.

AULULARIA (“La commedia della pentola”): il vecchio avaro Euclione (T7) è entrato in possesso di una pentola piena d’oro (T2) e vive nel terrore che qualcuno gliela possa sottrarre (T2, T6, T16). Il terrore si muta in disperazione quando la pentola scompare: artefice del furto è lo schiavo di un giovane innamorato della figlia di Euclione. La restituzione del bene sottratto consentirà di celebrare le nozze tra i due ragazzi.

BACCHIDES (“Le Bàcchidi”): l’identità dei nomi serve a costruire l’intreccio. Un giovane ama la cortigiana Bàcchide, della cui omonima sorella si invaghisce il suo migliore amico, dando inizio a una serie di comici fraintendimenti Quando, finalmente, i giovani comprenderanno che si tratta di due donne diverse, anche i loro genitori verranno sedotti dalle grazie delle due Bàcchidi e si uniranno ai figli nella baldoria generale.

CAPTIVI (“I prigionieri”): si tratta dell’unica commedia priva di una vicenda d’amore. Egione compra due prigionieri di guerra, padrone e schiavo, per poter riscattare il figlio, a sua volta ostaggio dei nemici. Lo schiavo, però, si finge padrone e viene trattenuto come pegno, mentre il vero padrone, di nome Tíndaro, è spedito in patria per concretizzare lo scambio. Tíndaro, invece di scegliere la libertà, rispetta i patti e fa ritorno da Egione dopo averne riscattato il figlio. Nel finale, si scoprirà che Tíndaro è un altro figlio di Egione che era stato rapito da bambino.

CASĬNA (“Càsina”, ossia “La fanciulla del caso” o “La fanciulla dal profumo di cannella”, kasía in greco): Càsina, che non compare mai sulla scena, è una trovatella di cui si sono innamorati sia un vecchio sia suo figlio. Astutamente l’anziano padre organizza le nozze della giovane con il suo fattore, che si ripromette di sostituire nei doveri coniugali; la moglie, però, scopre la tresca e fa travestire da sposa il fido scudiero. Il vecchio impenitente verrà sbeffeggiato e il figlio potrà coronare il suo sogno d’amore con Càsina, che sarà riconosciuta di nascita libera

CISTELLARIA (“La commedia della cestella”): una cortigiana ha allevato una neonata, che era stata esposta in una piccola cesta insieme con alcuni giocattoli. Proprio grazie a quei giocattoli costei verrà riconosciuta di nascita libera e potrà sposare il giovane di cui è innamorata (T5).

CURCULIO (“Gorgoglione”, è il nome di un insetto parassita del grano): lo schiavo-parassita Curculione riesce a estorcere a un soldato la somma necessaria al riscatto della fanciulla di cui è innamorato il suo giovane padrone. Nella conclusione della commedia si scoprirà che la fanciulla è di nascita libera ed è sorella del soldato (T9, T18).

EPIDICUS (“Epídico”): la commedia si basa sugli intrighi del servus Epídico per ottenere il denaro necessario al figlio del padrone Stratíppocle, che prima si innamora di una suonatrice e poi di una schiava tebana, senza avere il denaro necessario per il riscatto. Nella conclusione si scoprirà che la schiava tebana è, in realtà, la sorella di Stratíppocle, rapita in tenera età: il giovane, di conseguenza, farà ritorno all’amore per la suonatrice.

MENAECHMI (“I Menecmi”): un giovane in cerca del gemello smarritosi da bambino, giunge nella città in cui costui abita. Prima che i due – identici nell’aspetto – si incontrino, gli inevitabili scambi d’identità producono equivoci esilaranti e situazioni paradossali (T4).

LE COMMEDIE • Le trame 90

MERCATOR (“Il mercante”): un giovane torna da un viaggio d’affari con un’avvenente cortigiana; se ne innamora follemente il padre e l’affida a un vicino di casa. La tresca, però, è scoperta e i due vecchi vengono svergognati.

MILES GLORIOSUS (“Il soldato fanfarone”): il soldato Pirgopolinice, invaghitosi di Filocomasio che ama il giovane Plèusicle, la conduce a Efeso: lì Plèusicle si fa ospitare nella casa accanto e, grazie a un foro nella parete, può incontrarsi quando vuole con Filocomasio (T1, T11). La tresca viene sostenuta dall’abilità del servo Palestrione, che convince il soldato a lasciare allontanare i due amanti per soddisfare le presunte voglie di una donna, che sarebbe follemente innamorata di lui. Si tratta, in realtà, di un inganno e il povero Pirgopolinice, entrato in casa della presunta amante confidando in un facile successo, viene preso a sferzate dagli schiavi.

MOSTELLARIA (“La commedia del fantasma”): mentre il padre è in viaggio d’affari, un giovane compra una cortigiana con del denaro preso a usura e con lei gozzoviglia insieme con gli amici e con la complicità dello schiavo Traniòne (T17). Quando all’improvviso giunge il padre, Traniòne gli impedisce di entrare sostenendo che in casa abita un fantasma; finge, poi, che proprio per questo il figlio ha dovuto comprare un’altra casa e si fa dare dal padre la somma necessaria a risarcire l’usuraio. La verità verrà a galla nel finale, ma il giovane e il servo saranno perdonati.

PERSA (“Il persiano”): l’originalità della commedia risiede negli amori servili su cui è intessuta la trama. Lo schiavo Tòssilo ama Lemniselène, ma non ha il denaro per sottrarla al lenone. Lo aiutano Sagaristiòne e il parassita Saturione: il primo, travestito da Persiano, si reca a casa del lenone Dòrdalo per proporgli l’acquisto di una schiava avvenente, che in realtà è la figlia del parassita. Dòrdalo si lascia convincere e versa la somma necessaria: a quel punto giunge il parassita, che, facendosi forte della legge, reclama la restituzione della figlia legittima.

POENULUS (“Il Cartaginese”): un giovane si invaghisce di una ragazza, che da bambina è stata rapita insieme con la sorella e venduta a un lenone. Lo schiavo del giovane organizza una trappola giudiziaria ai danni del lenone, che è costretto a cedere le due sorelle: l’improvviso arrivo del loro padre, un Cartaginese, farà sì che esse vengano riconosciute di nascita libera.

PSEUDŎLUS (“Psèudolo”): un giovane ama una cortigiana, che però è venduta dal lenone a un soldato macedone. Costui, dopo il pagamento della somma necessaria, invia il servus Àrpace con una lettera di riconoscimento per esigere la giovane. Ma Psèudolo, schiavo del giovane innamorato, con l’inganno si fa consegnare la lettera e la ragazza. Il prezzo del riscatto è pagato dal padre del giovane, che nel frattempo aveva scommesso sul fallimento del difficile inganno (T19, T20, T21).

RUDENS (“La gòmena”, cavo per ormeggiare le barche): presso Cirene fanno naufragio due ragazze, Palestra e Ampelisca, che cercano di sfuggire al lenone; vengono assistite e protette dal vecchio Demone e dal giovane Pleusidippo, che è l’amante di Palestra. Nel frattempo uno schiavo con una gomena riesce a pescare e a trarre in salvo un bauletto, in cui Palestra conservava i suoi giochi d’infanzia: si viene, così, a scoprire che la giovane è figlia di Demone; di conseguenza potrà sposare Pleusidippo (T8, T14).

STICHUS (“Stico”): un padre vorrebbe convincere le due figlie ad abbandonare i loro mariti, che da tre anni sono lontani per affari, ma i suoi sforzi sono vani. Finalmente i due giovani fanno ritorno a casa, dopo aver accumulato un’ingente fortuna, e rendono felici sia le mogli sia il suocero

TRINUMMUS (“Le tre monete”): partendo per un viaggio d’affari, Càrmide affida all’amico Càllicle la cura della figlia e dello scapestrato figlio Lesboníco (T15). Quando costui mette in vendita la casa per pagare i suoi debiti, Càllicle si affretta a comprarla, sapendo che in essa è nascosto un tesoro; ne preleva una parte per fornire di dote la figlia di Càrmide, fingendo che sia stato un amico a mandargli uno schiavo con la somma necessaria (in realtà il finto schiavo è stato ingaggiato per tre monete: di qui il titolo della commedia). In tal modo, al ritorno del padre la vicenda si conclude con un duplice matrimonio: della figlia e anche del figlio, che, ravvedutosi, sposa la figlia di Càllicle.

TRUCULENTUS (“Lo zoticone”): Truculento è il nome di uno dei tre amanti che la cortigiana Fronesio sfrutta contemporaneamente. L’abile profittatrice è riuscita addirittura a far credere a uno di loro (un soldato) che da lui ha avuto un figlio. L’inganno, però, viene scoperto e uno degli altri due giovani sposerà la madre del bambino, una ragazza libera che aveva precedentemente sedotto.

VIDULARIA (“La commedia del baule”): di questa commedia si sono salvati soltanto un centinaio di versi iniziali. Si può solamente capire che l’intreccio prevedeva il riconoscimento grazie a un baule ritrovato da un pescatore.

91 Unità 3 PLAUTO

4. Un mondo alla rovescia

Plauto e la politica

A Roma gli spettacoli teatrali erano controllati dallo stato, che mostrava notevole intolleranza nei confronti delle critiche alla classe dirigente, come l’episodio della prigionia di Nevio testimonia (p. 57). In più, la condizione sociale modestissima di Plauto, certamente inferiore a quella di Nevio, lo obbligava a toccare con estrema cautela questioni legate alla politica contemporanea.

Ciononostante, nelle prime commedie plautine, databili verso la fine della seconda guerra punica (201 a.C.), come l’Asinaria e il Miles gloriosus, si trovano accenni che potremmo definire “patriottici”: infatti, le allusioni alla sicura vittoria dell’esercito romano avevano certamente un’incidenza positiva sul pubblico. Per gli anni successivi, invece, si sono voluti riconoscere punti di contatto fra alcuni passi plautini e le posizioni conservatrici di Catone, in relazione alle critiche al lusso delle matrone (Aulularia) o ai Baccanali, vietati nel 186 a.C. con un senatoconsulto ispirato proprio da Catone (Amphitrūo e Casĭna), o ancora alla lode per la campagna e all’atteggiamento critico nei confronti dei Greci. Non è però possibile con un materiale così limitato individuare le simpatie politiche dell’autore; anzi, alcuni studiosi hanno osservato che Plauto potrebbe aver introdotto allusioni gradite ai vari edìli, che si occupavano dello svolgimento dei ludi, adattandosi alle circostanze. Infine, non si deve dimenticare che alcuni motivi presenti nelle opere plautine potevano esserlo già negli originali: è il caso, per esempio, della lode della campagna in contrapposizione alla vita della città, che costituisce un tópos* non soltanto della commedia, ma anche della poesia ellenistica.

Teatro e vita sociale

Anche se la scarsezza di allusioni a fatti contemporanei fa escludere che il teatro di Plauto sia da porre in rapporto con gli avvenimenti storici recenti o che possa presentare le caricature di uomini politici in vista, tuttavia i pochi temi in esso sviluppati dovevano comunque avere un rilievo nella vita sociale, in particolare il dissidio fra il padre e il figlio o la dipendenza dello schiavo dal padrone. Consideriamo anche il caso dell’adulterio femminile, su cui pendeva una pesante condanna nella società romana: se si può tollerare che un uomo strappi una cortigiana a un lenone (Curculio) o a un soldato (Miles gloriosus), non è certo ammissibile che qualcuno sottragga una matrona al legittimo sposo. Un’unica commedia plautina tratta il tema dell’adulterio femminile, ma è sintomatico che si tratti dell’Amphitrŭo, in cui l’adultera Alcmena tradisce il marito Anfitrione nientemeno che con Giove: perché, dunque, l’adulterio possa costituire materia d’intreccio, occorre che l’adultero abbia addirittura una qualifica divina.

Il lieto fine

Le commedie hanno tutte un lieto fine, ma è sintomatico che esso non sia sempre il matrimonio fra i due innamorati: se la cortigiana conserva il suo status fino al termine della commedia, l’amore trionfa senza sfociare nel matrimonio; se, invece, la ragazza viene riconosciuta di nascita libera,

92 1. LE ORIGINI E L’ETÀ ARCAICA

la commedia si conclude con l’annuncio delle nozze. Si capisce bene il motivo di un simile atteggiamento: le convenzioni sociali non avrebbero consentito il matrimonio fra un uomo libero e una donna di condizioni servili.

L’evasione dalla realtà quotidiana

In definitiva, cifra tipica delle commedie plautine sono gli inganni portati a termine da personaggi appartenenti alle classi inferiori o che si trovano in condizioni più deboli: gli schiavi nei confronti dei padroni, i figli nei confronti dei padri. Sarebbe però errato dedurne che Plauto volesse farsi portatore di aspirazioni rivoluzionarie di giustizia sociale. A dominare è piuttosto la legge del rovesciamento, un’inversione dei rapporti normali che fa del testo plautino un “teatro carnevalesco”. Si tratta dello stesso rovesciamento che a Roma si realizzava un giorno solo all’anno, nella libertas Decembris dei Saturnali, quando i rapporti fra padroni e schiavi si invertivano, per essere poi ristabiliti alla fine della festa. Il pubblico plautino, sostanzialmente plebeo, si immedesimava del tutto nella finzione scenica, vivendola come una momentanea evasione dalla realtà, e si illudeva che la realtà fosse quella della fantasia. Ci si può, dunque, divertire, si può ridere e scherzare, ma soltanto nell’illusione di un’ora. Questa dimensione della comicità racchiude in sé una coscienza amara del rapporto con la realtà quotidiana; d’altronde, il comico affonda sempre le sue radici nel tragico della vita e dalle situazioni più serie trae la sua linfa vitale. Ed è proprio nella capacità di far ridere e di lasciar comprendere al tempo stesso che questa è un’illusoria e momentanea finzione che consistono la grandezza e la straordinaria novità del teatro plautino.

5. Plauto dopo Plauto

Pare che Plauto talora non volendo altro che far ridere e satireggiare, della verisimiglianza non si curasse, anzi a bello studio cercasse l’inaspettato, non già l’inaspettato verisimile che si raccomanda in poesia, ma l’inaspettato inverisimile e grossolano che però appunto è più ridicolo.

(G. Leopardi, Zibaldone, 1898)

Alcune tipologie di maschere utilizzate nelle rappresentazioni teatrali, bassorilievo in marmo, II secolo d.C. Città del Vaticano, Musei Vaticani.

Fortune alterne

Le commedie di Plauto godettero di ampio successo fino al I secolo a.C. In seguito, in età augustea, il poeta Orazio lo accusò di preoccuparsi poco dei personaggi e di essere rozzo nella messa in scena (Epistole, II, 1, vv. 170-176).

L’opera di Plauto venne nuovamente apprezzata dagli esponenti del gusto arcaizzante in voga fra il I e il II secolo d.C. e, poi, dai grammatici e commentatori del IV-V secolo d.C. Tuttavia, nei secoli successivi la predilezione per Terenzio, ritenuto stilisticamente perfetto e moralmente istruttivo – e quindi accolto nel canone degli autori scolastici – fece cadere nell’oblio la produzione plautina, di cui soltanto alcune commedie continuarono a essere note e copiate.

“ „
93 Unità 3 PLAUTO

Dall’età umanistica al Rinascimento Durante l’Umanesimo fu il ritrovamento a Colonia di un codice con il corpus completo delle commedie plautine a segnare la definitiva riscoperta di Plauto, anche se ciò avvenne non senza contrasti: se, per esempio, Plauto fu insieme con Virgilio l’autore preferito da Martin Lutero (1483-1546), che ne portò con sé un esemplare nel monastero di Erfurt nel 1508, per Erasmo da Rotterdam (1466-1536) continuò a essere di gran lunga preferibile Terenzio, sia per lo stile sia per la moralità. Le rielaborazioni di commedie plautine cominciarono in Italia già verso la fine del XV secolo con, per esempio, La Cassaria (1508) e I suppositi (1509) di Ludovico Ariosto, e la Clizia (1525) di Niccolò Machiavelli, per continuare con una tale fortuna nel corso dei secoli che si può legittimamente asserire che sulle commedie di Plauto – oltreché su quelle di Terenzio e sulle tragedie di Seneca (I sec. d.C.) – si è fondato il teatro europeo.

Rielaborazioni e revival

La fortuna di alcune commedie continuò ininterrotta. L’Amphitrŭo conobbe numerose rielaborazioni a partire da Molière (Anfitrione, 1668) fino al Novecento quando lo scrittore francese Jean Giraudoux intitolò una sua commedia Amphitryon 38 (1929), perché era la trentottesima rielaborazione in ordine cronologico. L’Aulularia è stata ripresa da Molière (L’avaro, 1668); alla Casĭna devono non poco Le allegre comari di Windsor (1597-1601) di Shakespeare e Le nozze di Figaro (1784) di Beaumarchais; ai Menaechmi si ispirò la Commedia degli errori (1589-1594) sempre di Shakespeare. La Mostellaria ebbe fortuna soprattutto in età rinascimentale, mentre lo Pseudŏlus è spesso presente nella programmazione dei teatri: non si devono dimenticare a questo proposito le frequenti riprese sulle scene anche di altre fabulae plautine, che trovano spazio, soprattutto in Italia, nelle rassegne dedicate al teatro antico, tra le quali ha assunto da decenni particolare rilievo il Plautus Festival di Sàrsina

Oltre la prosa teatrale

Plauto attinge ad alcuni meccanismi comici universali (il paradosso, i giochi di parole, il doppio senso, la sostituzione, la burla, l’inganno, il travestimento ecc.), che è facile ritrovare nel cabaret teatrale, nei monologhi degli umoristi e nella commedia cinematografica, dai film di Totò (1898-1967) ai prodotti più commerciali, senza che si debba vedere in ciò alcuna allusione o ripresa, anche solo inconscia, dei testi plautini. Invece, se dovessimo trovare un punto di confronto tra il teatro antico e quello moderno, non lo dovremmo ricercare sul terreno della commedia, ma nel campo dell’opera lirica e del melodramma, cioè di quel genere, nato nel Seicento, ma in voga soprattutto tra Settecento e Ottocento, in cui l’azione teatrale è demandata in buona parte al canto (mélos in greco): innegabili sono le riprese plautine nelle opere di Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791) e di Gioacchino Rossini (1792-1868), per citare solo i due compositori più famosi (NEXUS, Dalla palliata al teatro musicale, p. 95). Per esempio, Cesare Questa, nel suo volume II ratto dal serraglio (Urbino 1997), ha analizzato con molta finezza l’intreccio dell’Elena e dell’Ifigenìa in Tauride di Euripide e del Miles, notando delle costanti evidenti con II ratto dal serraglio di Mozart e L’Italiana in Algeri di Rossini intorno al soggetto comune del rapimento (“ratto”, da raptus) dell’innamorata dalle grinfie del cattivo di turno. Bibliografia

94 1. LE ORIGINI E L’ETÀ ARCAICA

NEXUS Dalla palliata al teatro musicale

La palliata plautina rivela un obiettivo della scrittura e della messa in scena che va oltre la coerenza dell’azione drammatica: catturare lo spettatore con ogni mezzo e strategia durante tutto il corso della rappresentazione.

Le commedie di Plauto puntano al coinvolgimento del pubblico tanto nella forma quanto nella sostanza. E se, sul fronte della scrittura teatrale, all’arte di Plauto strizzano l’occhio i drammaturghi del Seicento e del Settecento quali Molière e Carlo Goldoni, sul fronte della messa in scena si trovano affinità con un genere più lontano, il teatro musicale settecentesco

Dall’opéra-comique francese alla zarzuela spagnola, dal Singspiel tedesco all’opera buffa italiana, tutti hanno qualche familiarità con l’arte e gli artifici di Plauto, a cominciare dall’alternanza tra parti recitate e parti cantate Nel teatro musicale del Settecento, proprio come nella palliata di Plauto, il rapporto tra parola recitata (deverbia / monologhi, dialoghi)

e parola cantata, accompagnata da strumenti musicali (cantica / arie, duetti, terzetti ecc.), è paritario, sullo stesso piano drammaturgico. Le parti cantate non sono più un intermezzo avulso dalla vicenda narrata, come accadeva nel Seicento, ma in esse possono accadere fatti cruciali della storia. Dunque lo spettatore deve prestare loro attenzione dall’inizio alla fine e il canto deve essere semplice, chiaro e non indugiare nel virtuosismo. Questo cambiamento rispetto al teatro musicale precedente è alla base di una celebre disputa nota come la querelle des bouffons (“guerra dei buffoni”) che portò alla definizione di alcune regole: una struttura musicale più lineare, una trama che investe tanto il parlato quanto il cantato, un linguaggio e dei

LETTERATURA E... MUSICA

personaggi più vicini possibile al gusto “popolare”. Alla luce di questi canoni ritroviamo strette somiglianze tra le commedie di Plauto e alcuni dei titoli più celebri del teatro musicale del XVIII secolo. E tra i soggetti che avevano più presa sul pubblico spiccano servitù e amori intriganti, fascino dei luoghi d’Oriente, fiabe e magie.

Nella Serva padrona, opera buffa di Giovanni Paisiello (1781), protagonista è la scaltra e capricciosa Serpina che al servizio del conte Uberto ne combina “di cotte e di crude” fino a indurlo a sposarla; Zémire et Azor, opéra-comique di André Grétry (1771), invece, è un’opera ambientata in un Oriente favoloso; mentre nel Flauto magico, Singspiel di Wolfgang Amadeus Mozart (1791),

il protagonista Tamino per ritrovare la sua amata Pamina combatte contro le forze del male con uno strumento magico insieme con Papageno, servo della Regina della Notte. Equivoci, inganni, scambi di persona, malintesi e colpi di scena rimarranno centrali nel teatro musicale tra la fine Settecento e i primi anni dell’Ottocento. Valgano su tutti, come esempio, i capolavori di Mozart e Gioachino Rossini, Le nozze di Figaro (1786) e Il barbiere di Siviglia (1816), opere buffe ispirate al medesimo drammaturgo Beaumarchais e al suo personaggio, l’astuto barbiere Figaro.

OFFICINA

• Quali regole, scaturite dalla querelle des bouffons, caratterizzano la produzione del teatro musicale settecentesco?

95 Unità 3 PLAUTO

150

Exemplar

Serenata (Curculio, vv. 147-154)

Fèdromo è innamorato della bella Planesio, prigioniera di un perfido lenone. Approfittando dell’assenza del carceriere, il giovane invoca la porta, dietro la quale è rinchiusa la ragazza, perché si spalanchi e consenta l’incontro dei due innamorati. Questo brano è uno dei più famosi cantica di Plauto: si tratta di una serenata rivolta ai chiavistelli (pessŭli) personificati dell’uscio della casa, che dovranno saltar via per il magico effetto del canto. Plauto, dissacrando generi e stili letterari differenti, parodia qui il paraklausíthyron* (dal greco, “canto davanti alla porta chiusa” della donna amata), offrendone il primo esempio nella letteratura latina.

Pessŭli , heus pessŭli , vos saluto lubens , vos amo , vos volo , vos peto atque opsĕcro , gerite amanti mihi morem , amoenissumi , fite causa mea ludii barbari, sussilīte, opsĕcro , et mittite istanc foras, quae mihi misero amanti ebĭbit sanguinem. hoc vide ut dormiunt pessŭli pessumi nec mea gratia commŏvent se ocius!

Pessŭli ... pessŭli : l’anafora* mette in evidenza la personificazione* con cui Fèdromo si rivolge ai battenti della porta, umanizzandoli e rendendo così il suo canto estremamente patetico, e dunque tragicomico agli occhi del pubblico. vos saluto ... / vos amo, vos volo, vos peto : l’apostrofe* accorata ai chiavistelli, così gonfia e retorica, conferisce all’invocazione una coloritura volutamente esagerata, dall’indubbio effetto comico tra gli spettatori, che colgono la forte sproporzione tra il contenuto, di per sé romantico e sdolcinato, e la forma solenne in cui esso viene espresso. Ciononostante, il pubblico solidarizza con il personaggio, sentendosi direttamente coinvolto.

lubens, opsĕcro, amoenissumi : si tratta di forme arcaiche rispettivamente per libens, obsĕcro, amoenissimi, pessimi. I superlativi amoenissumi e poi pessumi (arcaismo* per pessimi) conferiscono un tono enfatico e magniloquente,

Chiavistelli, chiavistelli, che piacere salutarvi! Io vi amo, io vi scongiuro e desidero implorarvi: fate grazia all’amor mio, chiavistelli miei carini, trasformatevi in mio onore in Romani ballerini, vi scongiuro, sussultate, consegnatemi il mio amore che mi fa morire e beve tutto il sangue del mio cuore. Guarda un po’, non hanno fretta, se la dormono i poltroni, non si muovono per me! Chiavistelli birbaccioni!

(trad. E. Paratore)

che connota in senso sentimentale l’invocazione dell’innamorato, così come l’anafora* di opsĕcro, che rimarca la richiesta supplichevole del giovane affinché si apra la porta dell’amata.

amanti mihi morem, mihi misero amanti : l’allitterazione* della m riproduce la voce singhiozzante e commossa del protagonista, che mette in musica il suo mal d’amore. dormiunt : come si è già visto anche nell’apostrofe* iniziale, la personificazione* dei pessŭli è funzionale a umanizzare l’intera sequenza, come se l’opera di persuasione intrapresa dallo iuvenis potesse risultare efficace solo se posta in relazione a degli oggetti. pessŭli pessumi : il gioco fonico costituisce un paragramma*, tratto espressivo dell’inventiva linguistica del poeta, che si diverte a creare accostamenti di vocaboli tra loro assonanti.

Apprendimento attivo 96 1. LE ORIGINI E L’ETÀ ARCAICA
ANAFORA   APOSTROFE   ARCAISMO   PERSONIFICAZIONE   ALLITTERAZIONE   PARAGRAMMA

Le strategie del comico

PLAUTO Antologia

1. È lei o non è lei? (Miles gloriosus, vv. 411-480)

2. Il mio tesoro (Aulularia, vv. 608-662)

3. L’equivoco allo specchio (Amphitrŭo, vv. 394-462)

4. Identikit del gemello (Menaechmi, vv. 1105-1162)

I personaggi

5. I dolori del giovane innamorato (Cistellaria, vv. 203-229)

6. Avarizia e paranoia di un senex (Aulularia, vv. 40-119)

7. Ritratto di un vecchio spilorcio (Aulularia, vv. 280-320)

8. Il lamento del ruffiano (Rudens, vv. 1281-1287)

9. La lena: una donna di spirito (alcolico) (Curculio, vv. 96-109)

10. I doveri del buon ser vus (Aulularia, vv. 587-607)

11. Elogi interessati di un parassita (Miles gloriosus, vv. 1-78)

Il “plautino”

in Plauto

L’INVENTIVA LINGUISTICA

12. Sono il factotum della città! (Curculio, vv. 280-298)

13. Il canticum degli squattrinati (Bacchides, vv. 635-640)

14. Il coro dei pescatori (Rudens, vv. 290-305)

I

15. Silenzio in sala, grazie (Trinummus, vv. 1-22)

16. «Venite in mio aiuto» (Aulularia, vv. 713-726)

SCENE D’INTERNO E SCENE NOTTURNE

17. Specchio delle mie brame… (Mostellaria, vv. 248-281)

18. Galeotta fu la notte (Curculio, vv. 1-95)

19. Servo e poeta (Pseudŏlus, vv. 394-414)

20. Psèudolo, un vero eroe! (Pseudŏlus, vv. 574-593)

21. Pseudolo salvaci tu! (Pseudŏlus, vv. 702-707)

97
Pseudŏlus, una commedia tutta da ridere
PROLOGHI, IL PUBBLICO E IL METATEATRO
Nozioni metriche Biblioteca digitale

Le strategie del comico

Gli intrecci delle commedie plautine, pur nella loro complessità, fanno leva su due espedienti narrativi ricorrenti: la contesa di un bene e lo scambio di persona. All’interno di questi scenari si alternano equivoci, inganni e colpi di scena che assicurano uno straordinario effetto comico alla rappresentazione.

1. È lei o non è lei? (Miles gloriosus, vv. 411-480)

Il soldato fanfarone Pirgopolinice custodisce in casa propria ad Efeso una ragazza, Filocomasio, amata dal giovane Plèusicle. Lì accanto si trova l’abitazione del vecchio Periplectomeno, dove è ospitato proprio Plèusicle. Il servus Palestrione ha forato il muro divisorio tra le due case, riuscendo in tal modo a far incontrare in gran segreto i due giovani. Periplectomeno, però, riferisce che uno schiavo del soldato ha visto i giovani che si baciavano. Palestrione, allora, elabora un piano, affinché il miles non si accorga dell’inganno: bisogna fargli credere che sia giunta in città la sorella gemella di Filocomasio con il suo innamorato e che i due risiedano a casa di Periplectomeno.

Nel brano seguente, a Scèledro, un servus del soldato che giura di aver visto Filocomasio sbaciucchiare un ragazzo, Palestrione dimostra, con un coup de théâtre, che si tratta della gemella della donna.

FILOCOMASIO (nelle vesti della gemella, rivolta a uno schiavo) Accendi il fuoco sull’ara perché io possa lieta lodare e ringraziare Diana di Efeso e far sì che si levino fumi dolcemente impregnati di profumi arabi: la dea mi ha salvato dalle furie del regno di Nettuno da quelle onde tremende ove ho tanto sofferto.

SCELEDRO Palestrione, oh, Palestrione!

PALESTRIONE Sono qui, Sceledro! Che vuoi?

SCEL. Quella donna che è appena uscita da lì è Filocomasio o non lo è?

PAL. Per Ercole , sembra proprio lei! Ma è stranissimo che sia riuscita a passare da là a qui, se di lei si tratta.

SCEL. Hai qualche dubbio che non sia lei?

PAL. Veramente sembra lei.

SCEL. Avviciniamoci e rivolgiamole la parola. Ehi, Filocomasio, che stai facendo? Che c’entri con questa casa, che stai combinando? Perché non rispondi? Parlo con te.

PAL. Mi sembra invece che tu stia parlando con te stesso, perché quella non apre bocca.

SCEL. Sto parlando con te, svergognata e viziosa , che te ne vai a zonzo dai vicini.

1. La parentesi indica, qui e altrove, una didascalia scenica, utile all’attore per interpretare la battuta. Si tratta di un’aggiunta moderna necessaria per orientarsi nella lettura del testo.

2. Altare su cui si effettuavano i sacrifici alla divinità o venivano deposte le offerte.

3. È questo un tipico intercalare plautino, un’interiezione molto comune, specie in bocca ai servi.

4. È frequente trovare nella commedia affermazioni del genere, a sfondo maschilista, apprezzate dal pubblico di Plauto, ben poco sensibile alle questioni di genere.

98 1. LE ORIGINI E L’ETÀ ARCAICA
415 420

FIL. Con chi te la prendi?

SCEL. Oh bella! Con te.

FIL. Tu chi sei e che cosa hai a che fare con me?

SCEL. E mi vieni anche a chiedere chi sono?

FIL. Perché non dovrei chiedertelo, dato che non lo so?

PAL. Dimmi almeno chi sono io, se questo non lo conosci.

FIL. Siete due scocciatori, chiunque voi siate.

SCEL. Davvero non ci conosci?

FIL. Né l’uno né l’altro.

SCEL. Comincio ad avere una gran paura...

PAL. E di che cosa?

SCEL. Che abbiamo smarrito noi stessi da qualche parte... Costei dice di non conoscere né me né te.

PAL. Voglio andare a fondo, Sceledro, per vedere se per caso non siamo veramente più noi e se qualcuno dei vicini, senza che ce ne siamo accorti, ci abbia scambiato in altri .

SCEL. Ma io mi sento me stesso.

PAL. Anch’io per Polluce! E tu, Filocomasio, stai cercando guai, ti avverto!

FIL. Sei fuori di te, per caso, dato che parli a vanvera, chiamandomi con un nome complicato che non è il mio?

PAL. Oh bella! Allora come ti chiami?

FIL. Mi chiamo Dicea.

SCEL. Bugiarda! Sostieni di avere un nome falso, Filocomasio. Dicea , cioè Giusta? Ah, no! Tu sei ingiusta e offendi il mio padrone.

FIL. Io?

SCEL. Sì, tu.

FIL. Io che appena ieri sera sono giunta qui a Efeso da Atene, con il mio fidanzato, un giovane ateniese?

PAL. Dimmi un po’, che ci fai qui a Efeso?

FIL. So che qui abita la mia sorella gemella e sono venuta a cercarla.

SCEL. Bugiarda!

FIL. Scema, piuttosto, per Castore, che sto a parlare con voi! Me ne vado.

SCEL. Ma io non ti lascio andare.

FIL. Lasciami!

99 Unità 3 PLAUTO Antologia
5. Palestrione si diverte della stupidità del suo compare e finge di condividere la sua comica paura d’aver cambiato personalità. 6. Altra esclamazione tipica del linguaggio della commedia. Questa volta si invoca Polluce, uno dei Dioscùri, insieme al fratello gemello Càstore.
425 430 435 440
7. Dal greco díke, “giustizia”; si tratta di un “nome parlante” che permette al poeta di giocare, con intento parodistico, sull’inganno.

SCEL. No che non ti mollo! Ti ho colto in flagrante.

FIL. Tra poco sentirai il suono dei miei schiaffi sul tuo muso, se non mi lasci.

SCEL. (a Palestrione) E tu, idiota, perché te ne stai lì impalato? Perché non l’afferri dall’altra parte?

PAL. Non voglio impicciarmi a procurare guai alla mia schiena . Che ne so se questa è Filocomasio o un’altra che le somiglia?

FIL. Mi molli o non mi molli?

SCEL. Neanche per idea! Se non ci vieni spontaneamente ti trascinerò in casa con le cattive.

FIL. Ma questa casa è straniera per me: la mia casa e il mio padrone sono ad Atene! A me di questa casa non importa niente e, quanto a voi, non so di che razza siate!

SCEL. E tu ricorri alla legge! Io non ti lascerò andare da nessuna parte, a meno che tu non mi giuri che, se ti lascio, entrerai in casa. (indica quella di Pirgopolinice)

FIL. Mi costringi con la forza, illustre sconosciuto! Ebbene ti giuro che, se mi lasci, entrerò lì dove tu vuoi .

SCEL. Sei libera.

FIL. Bene! Me ne vado. (entra invece nella casa di Periplectomeno)

SCEL. Si è comportata da donna, slealmente!

PAL. Sceledro, ti sei lasciato scappar di mano la preda! Quella è sicuramente l’amante del padrone! Vuoi farmi un piacere, subito?

SCEL. Che devo fare?

PAL. Va’ dentro e portami qui la spada.

SCEL. A che cosa ti serve?

PAL. Irromperò difilato in quella casa e a chiunque sorprenderò a baciare Filocomasio mozzerò la testa senza esitazione .

SCEL. Ti sembrava che fosse lei?

PAL. Non ci sono dubbi: era lei.

SCEL. Ma come fingeva bene!

PAL. Vai! E portami la spada!

SCEL. Subito.

PAL. Non c’è soldato, cavaliere o fante che sia tanto audace da agire con la spregiudicatezza di una donna . Come se l’è cavata bene, recitando due parti, e come l’ha fatta in barba a quel furbacchione del mio compagno che le fa la guardia! Che trovata, però, quel passaggio attraverso la parete !

8. Gli schiavi venivano spesso puniti con punizioni corporali, come le fustigazioni.

9. Non manca una velata allusione sessuale, che strizza l’occhio ai gusti disinibiti degli spettatori.

10. L’affermazione è così esagerata da

suscitare l’ilarità collettiva.

11. Filocomasio ha partecipato alla beffa con doti di attrice consumata, non inferiori a quelle tipiche del servus callidus: Palestrione è costretto a riconoscerlo, ma le sue parole si trasformano nell’ennesimo

intervento misogino, che riprende il tópos* letterario, diffuso nell’antichità, della critica dei difetti femminili.

12. È il foro nel muro che consente a Filocomasio di passare da una casa all’altra, senza farsi vedere.

100 1. LE
ORIGINI E L’ETÀ ARCAICA
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SCEL. Ehi, Palestrione, la spada non serve più.

PAL. No? Che cosa succede?

SCEL. Te la trovo in casa, l’amante del padrone!

PAL. In casa?

SCEL. Ma sì! Se ne sta a letto.

PAL. Per Polluce, ti sei cacciato in un bel guaio, se è come tu dici. SCEL. E perché?

PAL. Perché hai osato mettere le mani addosso a quella donna che sta dal vicino!

SCEL. Per Ercole, ho sempre più paura!

PAL. È evidente che quella è la sorella gemella di questa qui: è lei che hai visto mentre dava via baci.

SCEL. Certo, è evidente, è lei, come dici tu! Poco mancava che finissi male, se l’avessi denunciata al padrone!

PAL. Perciò taci, se hai buon senso. I servi devono sapere molto e parlare poco . Io me ne vado, caro mio, non voglio averci a che fare con te: andrò qui dal vicino. I tuoi pasticci non mi piacciono. Se viene il padrone e mi cerca, sono là. Fammi chiamare. (trad. G.

GUIDA ALLA LETTURA

Analisi del testo

Temi e motivi

La divertente scena del Miles gloriosus ritrae Filocomasio, Scèledro e Palestrione alle prese con un meccanismo tipico della comicità plautina, ossia l’equivoco determinato dallo scambio di persona

Tuttavia, a differenza di quanto accade in altre commedie caratterizzate dal medesimo tema, come l’Amphitrŭo o i Menaechmi (T3 e T4), qui lo scambio d’identità è fittizio ed è volto a beffare Scèledro, lo sciocco schiavo di Pirgopolinice. Dicea è infatti la stessa Filocomasio, che cerca di coprire l’inganno amoroso tessuto ai danni del miles

Fondamentale per la riuscita del piano è lo scaltro Palestrione, che orchestra la buona riuscita della messinscena: il servus callidus si conferma pertanto il motore comico del teatro plautino, vero alter ego

dell’autore e regista sul palcoscenico, che mette in secondo piano l’astuzia tutta femminile di Filocomasio, liquidandola con una battuta misogina.

LAVORO SUL TESTO

Comprendere

1. Palestrione invita Scèledro a prendere in casa una spada. Quale ragione apparente adduce? Qual è invece il vero motivo?

Analizzare

2. In quali parti del testo emerge chiaramente il “doppio gioco” di Palestrione?

Interpretare

3. Quali meccanismi comici sono ricorrenti nelle scene plautine di scambio di persona? Rispondi alla domanda facendo riferimento anche ad altre situazioni della commedia di Plauto a te note.

101 Unità 3 PLAUTO Antologia
Faranda)
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13. È una sententia* di ordine generale: il servo deve lavorare nell’ombra e in silenzio perché il suo piano abbia successo.

2. Il mio tesoro (Aulularia, vv. 608-662)

Il vecchio Euclione, dopo aver nascosto la pentola d’oro nel tempio di Fides per paura che gli venga rubata, si allontana per prepararsi al sacrificio propiziatorio delle nozze della figlia, promessa a Licònide. Un oscuro presentimento, però, lo riporta sui suoi passi, consentedogli così di scoprire Stròbilo, il servus di Licònide, che sta cercando di sgraffignare l’ambito tesoro. Ne segue un vivace battibecco, che rientra nel gusto farsesco di Plauto.

EUCLIONE (esce dal tempio) Attenta, Fede ! Non rivelarlo a nessuno che il mio tesoro è qui. Non ho paura che qualcuno lo trovi, dato che è nascosto a regola d’arte. Accidenti, però, che razza di colpo farebbe chi arrivasse a scoprirla, la mia pentola piena zeppa d’oro! Perciò ti imploro, Fede, di impedire ’sto fatto... Ora vado a lavarmi per celebrare il sacrificio. Non voglio essere in ritardo per quando arriva lo sposo, che se la porti via subito mia figlia. Fa’ in modo, o Fede – ancora ti supplico, ancora – che io possa riportarmela a casa, tutta sana, la pentola mia. Alla tua fede , Fede, ho affidato il mio bene, che si trova nel tuo bosco e nel tuo tempio.

SERVO Dei immortali! Che razza di affare mi è capitato di sentire da quest’uomo! Che lui ha nascosto qui dentro, nel tempio della Fede, una pentola colma d’oro. Ti prego, Fede, non essere più fedele a lui che a me. Il vecchio è il padre, se non sbaglio, della ragazza di cui il mio padrone è innamorato. M’infiltrerò qui dentro, io, perquisirò tutto il tempio, io, mentre il vecchio è occupato, e cercherò di trovare il suo tesoro . Ma se lo scopro, Fede, lo sai cosa ti offro? Un boccale da tre litri di vino mielato . Sì, farò proprio così: io te l’offro a te ma me lo scolo me. (Entra nel tempio)

EUC. (esce dalla sua casa) Se un corvo mi canta come adesso dalla parte sinistra, non è mica un caso, eh no. Raspava la terra con le zampe mentre gracchiava con quella sua voce: subito il mio cuore si è messo a danzare, bum bum, a sobbalzarmi nel petto . Ma perché non mi metto a correre?

EUC. (esce dal tempio trascinandosi dietro il servo di Liconide) Vieni fuori, tu, verme sbucato appena dalla terra, tu che non ti facevi vedere, eh, ma adesso che ti fai vedere, muori. Per Polluce , ti accolgo come meriti, razza di imbroglione

SER. Che canchero ti agita? Vecchio, che hai da spartire con me? Perché mi tampini ? Perché mi trascini? E per quale motivo mi bastoni?

EUC. Me lo chiedi anche, pelle da bastonate, tu, ladro tre volte?

1. Euclione si rivolge alla personificazione* di Fides a cui è dedicato il tempio dove ha nascosto la sua pentola piena d’oro.

2. Nota il gioco di parole, che si ripete per tutto il brano.

3. Come si vede dall’anafora* del pronome soggetto “io”, il servo esalta il progetto che ha in mente, pronto com’è a soddisfare la volontà del giovane padrone.

4. È purtroppo intraducibile il gioco di

parole plautino intorno al termine fides (… o Fides, mulsi congialem plenam faciam tibi fideliam): fidelia è infatti il nome tecnico di un recipiente per liquidi. L’offerta del servo, che guarda con accortezza al proprio guadagno, fa da contraltare alla supplica accorata di Euclione.

5. Il verso del corvo che gracchia sul lato destro era considerato un auspicio favorevole nell’antica Roma: Euclione

è dunque allarmato, perché il suono gli giunge dalla parte opposta.

6. T1, nota 6.

7. Euclione, da padrone arrogante quale è, non risparmia epiteti ingiuriosi, che suscitano il riso anche nel prosieguo dello scontro verbale.

8. “Mi stai addosso”, “mi molesti”.

610 615 620 625 630 103 Unità 3 PLAUTO Antologia

SER. Che cosa ti ho rubato?

EUC. Avanti, rendimelo!

SER. Che cosa vuoi che ti renda?

EUC. E me lo chiedi?

SER. Ma io non ti ho preso niente.

EUC. Rendimi quel che mi hai rubato. Ti sbrighi?

SER. Sbrigarmi perché?

EUC. Tanto non puoi portarlo via.

SER. Che vuoi?

EUC. Dammelo!

SER. Vecchio, mi sa che il vizio di darlo ce l’hai tu

EUC. Caccia fuori, via! Niente scherzi, eh, perché io faccio sul serio.

SER. Ma cosa debbo darti? La cosa, chiamala col suo nome. Accidenti, non ho toccato nulla, io, non ho preso nulla.

EUC. Mostrami le mani.

SER. A te. Ecco, te le ho mostrate.

EUC. Vedo. Su, mostrami la terza .

SER. (piano, tra sé) Gli spiriti stralunano ’sto vecchio, le furie, la follia. (Forte) Ma tu ce l’hai con me? Oppure no?

EUC. Certo che sì. Specie perché non stai spenzolando da una forca . Ma questo accadrà subito, se non confessi.

SER. Confessarti che?

EUC. Che cosa hai rubato, qui?

SER. Gli dei mi fottano, se mai t’ho preso qualcosa. (Piano) Magari l’avessi fatto!

EUC. Avanti, scuoti questo tuo mantello.

SER. Come vuoi tu.

EUC. Ce l’hai sotto la tunica?

SER. Vuoi tastarmi? Tastami.

EUC. Guarda come fa il carino, ’sta canaglia. Per farmi credere che lui non ha rubato. Li conosco, i trucchi. Avanti, si ricomincia. Qua, mostrami la destra.

SER. Eccola.

EUC. E adesso la sinistra.

SER. Ecco, te le mostro tutte e due.

9. Non manca un doppio senso sessuale, che non sfugge affatto al burbero Euclione.

10. Euclione è ossessionato dalle mani dei ladri (poco prima aveva addirittura

alluso a Gerione, mitico mostro con sei braccia).

11. Si tratta di una forma di tortura cui erano spesso condannati gli schiavi nel mondo romano.

12. L’uso del dimostrativo con funzione deittica riproduce bene la mimesi dell’azione drammatica, come accade anche in seguito, quando Euclione chiede ancora al servo di mostrargli le mani.

635 640 645 650 104 1. LE ORIGINI E L’ETÀ ARCAICA

EUC. Basta, non ti frugo più. Restituisci!

SER. Restituire cosa?

EUC. Tu, scherzi, sì, ma certo ce l’hai.

SER. Io ho? Che cosa?

EUC. Vorresti ascoltarlo da me? Non te lo dico. Ciò che è mio, qualunque cosa sia, restituiscilo.

SER. Tu vaneggi. Mi hai perquisito, no? Come volevi, e cos’hai trovato? Niente.

EUC. Alto là. Chi è l’altro? Quello che se ne stava là dentro con te? Sono rovinato, per Ercole! Quello, intanto, là dentro butta tutto all’aria; però se mollo questo, l’altro si squaglia. Però... Questo qui l’ho già perquisito, non ci ha niente addosso, lui. Tu fila, dove ti pare.

SER. Che Giove e gli dei ti fottano.

EUC. Come ringrazi bene! Entrerò là dentro e lo prenderò per il collo, il tuo complice. Ti togli dai piedi, tu? Squagli o non squagli?

SER. Squaglio.

EUC. E bada bene di non ritornare . (Entra nel tempio)

GUIDA ALLA LETTURA

Analisi del testo

Temi e motivi

Euclione rappresenta l’avaro per eccellenza, colui che farebbe qualsiasi cosa per difendere il proprio patrimonio. La tipizzazione del personaggio, che ben si esplica nella scena in esame, è certamente di derivazione greca, visto che ricorda non soltanto la spilorceria di Smìcrine nell’Aspís di Menandro, ma anche l’ossessione e la maniacalità di alcuni protagonisti della commedia di Aristofane (NEXUS, Il teatro in Grecia, p. 49). Tuttavia, pur nella riproposizione di un modello di consolidata tradizione, la vera cifra comica del dialogo tra i due personaggi va ascritta all’inventiva plautina, capace di tessere una scena magistralmente costruita su equivoci e inganni Infatti, Euclione, avvertito dal gracchiare del corvo, che solletica il suo atteggiamento paranoico, intuisce quanto sta accadendo, ma, purtroppo per lui, non

del tutto. Stròbilo ha infatti la possibilità di recitare la parte dell’innocente ingiustamente sospettato, nonostante il suo vero intento sia proprio impossessarsi del tesoro. La determinazione di Euclione è pertanto efficace soltanto in apparenza e il vecchio, accecato dalla sua avarizia, nel seguito della commedia sarà nuovamente beffato dalla scaltrezza del servus, che ruberà la pentola con l’intenzione di usare il danaro per le necessità amorose del suo padroncino.

LAVORO SUL TESTO

Comprendere

1. Perché Euclione decide di tornare al tempio?

Analizzare

2. Individua nel testo i possibili doppi sensi.

Interpretare

3. A tuo avviso, perché è significativo che Euclione nasconda il suo tesoro nel tempio di Fides?

(trad. V. Faggi) 13. Da vero paranoico Euclione crede che Stròbilo abbia un complice che ancora fruga nel tempio alla ricerca della pentola. 14. T1, nota 3 15. Come a rimarcare il suo ruolo di padrone, Euclione ritaglia per sé la battuta
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finale del serrato dialogo che costituisce l’interrogatorio e la perquisizione del servo sospetto.

L’avaro da Plauto a... Gollum

L’Aulularia, in qualità di commedia di carattere, e in particolare il personaggio tipizzato dell’avaro hanno influenzato molti intrecci narrativi successivi: dai copioni teatrali, alle trame di romanzi, alle sceneggiature per il cinema

L’Avaro di Molière (1668) rappresenta l’opera più interessante da confrontare con l’originale latino. Pur nella somiglianza strutturale e nell’analogo uso delle maschere, tuttavia, la commedia francese, rivolgendosi a un pubblico con gusti differenti rispetto a quelli degli spettatori romani, si concentra molto di più sull’intreccio amoroso

Oltre alla giovane coppia di innamorati, già presente in Plauto, si aggiunge infatti un secondo duo formato dal figlio di Arpagone (l’Euclione plautino, il cui nome deriva dal verbo greco harpázo, “saccheggiare”) e una giovinetta di cui il vecchio si è invaghito. Ciò consente a Molière di riprendere un tema assente in Plauto, ma già molto apprezzato sulle scene latine, ovvero la controversia tra nuove

e vecchie generazioni, le prime scialacquatrici e romantiche, le seconde taccagne, ma ancora interessate all’eros La differenza più forte tra le due opere consiste, però, nel diverso trattamento che i due autori riservano alla figura dell’avaro. Se Plauto delinea Euclione secondo i luoghi comuni del vecchio avido e misantropo, Arpagone invece, come ricorda Luigi Lunari, «è un antico avaro che si va trasformando in un moderno finanziere; mentre l’avarizia tradizionale si configura come una deformazione maniacale di un’economia tesaurizzatrice, l’avarizia di Arpagone [...] ha caratteristiche decisamente più moderne, e si inquadra più propriamente in una civiltà e un’economia mercantilistica o addirittura capitalistica»

(L. Lunari, L’avaro di

Molière fra teatro e realtà, in Molière, L’avaro, BUR Teatro, Milano 1981, pp. 22-23).

La maschera dell’avaro, pur in un clima ben lontano da quello della commedia, torna anche nella saga letteraria di J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli (1955), oggetto di un fortunato kolossal cinematografico. Il pacifico hobbit Gollum trova per caso, insieme con un amico, il leggendario anello forgiato dal malvagio Sauron, signore di Mordor, che stravolge la mente a chi lo possiede, ma conferisce incredibili poteri. Preso da un’irresistibile brama, Gollum, ovvero il suo alter ego Smeagol, uccide il compagno e si ritira in solitudine a contemplare ossessivamente il prezioso oggetto. Smeagol difenderà fino alla morte il diabolico anello, per evitare che

Frodo, protagonista della saga, lo distrugga e spezzi il malvagio incantesimo. Anche Gollum, come Euclione, è acceccato da una folle brama di possesso, e ogni suo pensiero è orientato verso la custodia esasperante del suo tesoro. A differenza, però, del personaggio plautino, nello hobbit gli aspetti più divertenti e grotteschi della maschera tradizionale dello spilorcio lasciano spazio a una personalità malefica e a una psiche disturbata e delirante.

OFFICINA

• In base a quanto hai letto in questa scheda su Gollum/Smeagol di Tolkien e alle tue conoscenze sull’avaro plautino, scrivi un breve saggio (max 10 righe) in cui esponi analogie e differenze dei due personaggi.

NEXUS
LETTERATURA E... CINEMA
106 1. LE ORIGINI E L’ETÀ ARCAICA

8. Il lamento del ruffiano (Rudens, vv. 1281-1287)

Il leno, cioè il ruffiano, personaggio avido, cinico e senza scrupoli, è l’antagonista dell’adulescens innamorato, in quanto dispone a suo piacimento delle cortigiane tanto desiderate. È una figura ai margini della scala sociale e si comporta in modo tracotante e sfrontato, consapevole del suo ruolo di sfruttatore e del potere che ha sui giovani.

Nel brano seguente Làbrace, il leno della Rudens, lamenta la sua cattiva sorte.

LABRAX Quis me est mortalis miserior qui vivat [alter hodie, quem ad recuperatores modo damnavit Plesidippus?

Abiudicata a me modo est Palaestra . Perditus sum

Nam lenones ex Gaudio credo esse procreatos, ita omnes mortales, si quid est mali lenoni, gaudent .

Nunc alteram illam quae mea est visam huc in [Veneris fanum, saltem ut eam abducam, de bonis quod restat [reliquiarum.

1. Magistrato che nei processi nominava gli arbitri (recuperatores) per dirimere le liti sulla proprietà (T7, nota 10).

2. Palestra è la ragazza, di proprietà del lenone, della quale si è innamorato Plesidippo. Riconosciuta di nascita libera,

GUIDA ALLA LETTURA

Analisi del testo

Temi e motivi

1285

LABRACE C’è in vita oggigiorno un mortale più infelice di me? Plesidippo mi ha fatto condannare dagli arbitri indicati dal pretore , Palestra mi è stata tolta. È la fine . Secondo me, i ruffiani sono figli della Gioia, poiché tutti in terra gioiscono , se a un ruffiano càpita una disgrazia. Ora andrò a cercare l’altra ragazza nel tempio di Venere. È mia, vorrei portar via almeno lei, l’ultimo rimasuglio che mi resta dei miei beni. (trad. C. Carena)

Palestra ha potuto affrancarsi dal ruffiano per sposare il suo innamorato.

3. È un’espressione tipica di molti personaggi plautini, quando si accorgono di non aver più speranze di farla franca.

4. L’odiosità del mestiere del leno

In questo breve monologo, il lenone Làbrace dà voce al proprio scoramento causato dalla scena di agnizione precedente, in cui Demòne aveva scoperto che Palestra è la figlia un tempo rapita. In seguito di questa rivelazione, il lenone è stato privato di una delle sue due cortigiane e, nonostante sia intenzionato a riavere almeno la seconda, Ampelisca, non sa ancora di essere destinato a perdere anche

comporta che egli diventi oggetto di scherno quando gli capita qualche disgrazia. Nota nel testo latino il poliptoto* Gaudio gaudent (vv. 1284-1285).

5. Si tratta di Ampelisca, la seconda cortigiana sotto la protezione di Làbrace.

quella. Del resto, la condanna da parte del pretore per aver truffato Plesidippo è il segnale dell’inevitabile destino comico a cui il suo personaggio deve far fronte: benché si creda il più scaltro, la sorte del lenone è infatti quella di essere beffato alla fine della commedia. Non a caso, Làbrace afferma che i lenoni sono «figli della Gioia», proprio perché la loro sconfitta non può che portare giovamento a tutti i personaggi, vittime delle sue angherie e dei suoi inganni. È pertanto evidente che Plauto sta portando

121 Unità 3 PLAUTO Antologia
METRO: settenari giambici*
1285

E L’ETÀ ARCAICA

sulla scena un principio etico caro al mondo romano e, di conseguenza, al suo pubblico: la giustizia si impone sempre su chi è vittima di soprusi e la fine del leno ne è diretta testimonianza.

Lingua e stile

L’inziale domanda retorica – quasi un capovolgimento dello schema del makarismós* – insieme con il lapidario Perditus sum (v. 1283) caratterizza la scena con una tragicità eccessiva rispetto alle vicende e allo status sociale di Làbrace

Tale sproporzione è la principale cifra comica del monologo, in cui il leno viene ritratto nei panni di uno sgangherato eroe tragico, intento a piangere la propria sorte.

LAVORO SUL TESTO

Interpretare

• Rispetto al servus, come viene caratterizzato il leno? Potrebbero essere giudicati due personaggi complementari nello schema comico plautino?

9. La lena: una donna di spirito (alcolico)

(Curculio, vv. 96-109)

Il corrispettivo femminile del leno è la lena, la mezzana, filtro indispensabile tra la cortigiana e i suoi spasimanti. Ha infatti il compito di vegliare sulla giovane perché non si innamori di un unico uomo, trascurando così gli altri pretendenti. Dal punto di vista degli spasimanti, dunque, questo personaggio è uno degli ostacoli che si frappongono al coronamento dell’amore e per questo gli sono attribuiti caratteri negativi.

Nel Curculio la lena nutre una smodata passione per il vino e di questa sua debolezza approfitta il giovane Fèdromo, che ha spruzzato con l’adorata bevanda la porta per attirare la vecchia lontano dall’amata. Se il dio del lenone era il denaro, quello della lena è Bacco: a lui la mezzana intona, nel passo seguente, un canticum che suona come una serenata d’amore

LENA Flos veteris vini meis naribus obiectust, eius amor cupidam me huc prolicit per tenebras.

Ubi ubi est, prope me est. Euax, habeo.

Salve, anime mi, Liberi lepos.

Ut veteris vetus tui cupida sum.

Nam omnium unguentum odor prae tuo nautea est, tu mihi stacta, tu cinnamum, tu rosa, tu crocinum et casia es, tu telinum , nam ubi tu profusu’s , ibi ego me per velim sepultam.

1. Il paragone con la sentina (parte della barca in cui si raccolgono i reflui di scarto) crea un forte contrasto olfattivo con le fragranze aromatiche inebrianti che

100

solleticano la sete vorace della lena.

LENA Fragranza di vino vecchio mi è giunta alle narici, il mio amore per lui mi attira fin qui nelle tenebre piena di brama. Dovunque sia, è vicino a me. Evviva! Ce l’ho! Ti saluto, grazia di Bacco, anima mia. Come sono desiderosa, io vecchia, di te vecchio. Sì, perché anche l’odore di tutti i profumi raccolti assieme sa di acqua di sentina in confronto al tuo. Tu per me sei mirra, cinnamomo, rosa, olio di zafferano e lavanda, essenza di fieno greco . Lì dove tu vieni versato , proprio lì io vorrei essere sepolta.

pubblico di Plauto.

2. Elenco di piante e fiori rinomati per il loro profumo e le proprietà terapeutiche. Emerge qui il tipico gusto per l’Oriente del

3. Come in seguito, l’espressione si carica di un colorito sessuale (nota nel latino l’aferesi* profusu’s).

122 1. LE
ORIGINI
100
METRO: canticum polimetrico

105 Sed quom adhuc naso odos obsecutust meo, da vicissim meo gutturi gaudium . Nil ago tecum: ubi est ipsus? Ipsum expeto tangere, invergere in me liquores tuos , sine, ductim. Sed hac abiit, hac persequar.

Ma visto che finora soltanto l’odore è giunto al mio naso, vedi di procurare gioia anche alla mia gola . Con te, odore, non ci faccio un bel niente: dov’è lui? Lui desidero toccare: voglio rovesciare dentro di me il tuo liquido , o boccale, a grandi sorsate. Si dev’essere allontanato per di qua: per di qua mi metterò sulle sue tracce.

4. Si raggiunge qui il vertice della lussuria: la donna, godereccia, non si accontenta dell’essenza, ma vuole anche

GUIDA ALLA LETTURA

Analisi del testo

Temi e motivi

la sostanza (nota nel testo originale l’allitterazione* gutturi gaudium).

5. Altra immagine con doppio senso

erotico, espresso tramite il plurale poetico liquores tuos

Assoldata per controllare la giovane cortigina Planesio, la lena di questo celebre canticum è una ianitrix (“custode”) non molto attenta ai propri doveri. È infatti sufficiente il poco vino spruzzato da Fèdromo sugli stipiti della porta per indurla a disattendere ai propri compiti e a uscire alla ricerca dell’agognata bevanda. Come l’adulescens è desideroso di incontrare l’amata, così la lena è mossa da una sua singolare, quanto irresistibile, passione: attraverso questo gioco di specchi tra le due coppie – Fèdromo e Planesio / la lena e il vino – si sviluppa la comicità del brano, la cui assurdità è enfatizzata dallo scarto generazionale tra i protagonisti. Infatti, secondo un giudizio ricorrente in Plauto, l’amore dei due giovani è lecito e delicato, mentre la passione della lena per il vino, di per sé inappropriata per le donne, secondo il costume romano, appare innaturale e animalesca

Lingua e stile

La lena esegue un canticum notevole per estensione (vv. 96-157) e rifinitura artistica, che ne fanno uno dei passi lirici più celebri del teatro plautino. La sezione presentata è mirabile per la raffinata rielaborazione letteraria del modello: a essere parodiata è l’illustre tradizione della poesia innodica, un genere letterario che si era sviluppato in Grecia nel VII-VI secolo a.C. con i cosiddetti inni omerici, rivolti agli dèi del pantheon classico. Infatti, la lena intona goffamente un inno al

vino, assunto a sua personale divinità. La struttura del monologo segue da vicino quella tipica dell’inno: la donna inizia con l’invocatio (l’“invocazione”) in cui accenna alla genealogia del suo idolo, il vino, ricordandone l’invenzione da parte di Bacco (Liberi lepos, v. 99, dove Libero è uno dei nomi di Dioniso), passa poi alla precatio, cioè alla preghiera, dal momento che il suo obiettivo è quello di trovare la bevanda, e sviluppa infine un elenco delle prerogative del celestiale nettare, ricorrendo alla seconda persona, come di consueto in queste sezioni (vv. 101-104).

Oltre alla tradizione innodica, nel Curculio è parodiato un altro genere letterario: la tragedia greca. Infatti, caratterizzando la lena come succube della passione per il vino, Plauto mette in ridicolo le baccanti, le donne invasate che facevano parte del corteggio di Dioniso e che danno il titolo all’omonima tragedia di Euripide. Inoltre, il grido gioioso della mezzana (Euax, v. 98) richiama l’evoé, la tipica esclamazione bacchica.

LAVORO SUL TESTO

Analizzare

1. Individua nel brano la struttura innodica, mettendo in luce le parti in cui è evidente la parodia di tale genere letterario.

Interpretare

2. Quali sono i tratti di maggiore comicità della scena? Esiste, a tuo avviso, un’attitudine misogina nel trattamento della lena?

123 Unità 3 PLAUTO Antologia
105

10. I doveri del buon servus (Aulularia, vv. 587-607)

Abile macchinatore di inganni, furbo e senza scrupoli, a volte pigro e indolente, il servus rivela un’impareggiabile autonomia creativa, gestisce quasi interamente lo sviluppo dell’azione comica e rivendica sulla scena uno spazio eccezionale rispetto a quello che gli è di norma riservato nella vita reale.

Come spesso accade nella commedia di Plauto, anche nell’Aulularia, lo schiavo Stròbilo è l’aiutante fedele dell’adulescens innamorato e nelle battute seguenti esprime la consapevolezza del proprio dovere insieme con l’orgogliosa affermazione di un ruolo addirittura salvifico nei confronti del padrone. Emerge anche la lucidissima visione della propria condizione di schiavo, protagonista di un effimero momento di notorietà.

Metro: settenari trocaici*

STROBILUS Hoc est servi facinus frugi, facere quod ego persequor, ne morae molestiaeque imperium erile habeat sibi.

Nam qui ero ex sententia servire servos postulat, in erum matura, in se sera condecet capessere.

Sin dormitet, ita dormitet, servom sese ut cogitet.

Nam qui amanti ero servitutem servit, quasi ego servio, si erum videt superare amorem, hoc servi esse officium reor, retinere ad salutem, non enim quo incumbat eo impellere.

Quasi pueri qui nare discunt scirpea induitur ratis, qui laborent minus, facilius ut nent et moveant manus, eodem modo servom ratem esse amanti ero aequom censeo , ut <eum> toleret, ne pessum abeat tamquam **

† erile imperium ediscat, ut quod frons velit oculi sciant; quod iubeat citis quadrigis citius properet persequi.

STROBILO È questo il compito di un buon servitore: fare come sto facendo io, perché l’ordine del padrone non soffra ritardi o negligenze. Eh sì, il servo che vuol servire il padrone secondo i suoi desideri, dev’essere sollecito nel curare gli interessi del padrone, lento nei propri. Il servo ha voglia di dormicchiare? Dormicchi, ma sempre col pensiero che lui è solo uno schiavo.

Chi serve un padrone innamorato, e questo tocca a me, se nota che l’amore lo scombicchera, deve cercare di salvarlo, dico io, di non spingerlo verso il precipizio. Come ai bambini che imparano a nuotare si dà un salvagente di giunco, perché nuotino più facilmente e muovano le mani, così il servo, dico io, dev’essere un salvagente per il suo padroncino innamorato, deve tenerlo su, che non affondi come uno scandaglio . Deve intuire, il servo, cosa vuole il padrone; i suoi occhi debbono leggerne sulla fronte i desideri. Gli ordini, poi, più veloce di una veloce quadriga . Chi

similitudine* marinaresca fa emergere quanto il servus sia indispensabile per la salvezza del

padrone, una sorta di salvagente che non lo fa sprofondare negli abissi della vita.

1. La 2. La metafora* rimanda all’ambito dei
124 1. LE ORIGINI E L’ETÀ ARCAICA 590 595 600 590 595 600
ludi circenses che tanto piacevano al pubblico romano.

Qui ea curabit, abstinebit censione bubula, nec sua opera rediget umquam in splendorem compedes .

Nunc erus meus amat filiam huius Euclionis pauperis; eam ero nunc renuntiatum est nuptum huic Megadoro dari. Is speculatum huc misit me, ut quae fierent fieret particeps. Nunc sine omni suspicione in ara hic adsidam sacra; hinc ego et huc et illuc potero quid agant arbitrarier.

segue queste regole si salva dal nervo di bue, non rende più lucide le catene a suo danno . Ora come ora, il mio padrone è cotto della figlia di quello spiantato di Eucliòne. E cosa vanno a soffiargli? Che viene data in moglie a Megadoro. Il padrone mi ha spedito qui ad esplorare perché gli dia notizia di quel che succede. Ora io mi piazzo sul sacro altare, qui, proprio qui , per non destar sospetti. Da qui potrò scoprire che cosa sta succedendo, da una parte e dall’altra. (trad. V. Faggi)

3. Stròbilo fa riferimento a situazioni ben note a tutti gli schiavi, abituati a ricevere pene corporali come la fustigazione

GUIDA ALLA LETTURA

Analisi del testo

Temi e motivi

(bubula, lett. “nervo di bue”, è sineddoche* per “frusta”) e la catena.

4. Da vero regista dell’azione narrativa,

lo schiavo sorveglia ogni movimento sul palcoscenico.

Il brano potrebbe essere definito come il manifesto del servus plautino. Stròbilo rivendica qui il proprio ruolo guida nella vita del padrone, specialmente nelle vicende amorose. In quanto schiavo fedele deve farsi interprete dei desideri del suo patronus ed essere un rapido esecutore dei suoi ordini. Lo stato servile però è fuori discussione. Infatti, la rapida obbedienza ai comandi impartiti non comporta nessun riconoscimento per i servi, ma li salva da severe e dolorose punizioni. Pertanto, non si deve sopravvalutare il messaggio di contestazione sociale che emerge dalle commedie, poiché esso trova un suo senso soltanto nel ribaltamento dei ruoli che regolarmente si verifica nel teatro comico.

Lingua e stile

Nel brano sono evidenti molte caratteristiche tipiche della lingua plautina. In particolare, si nota un insistito uso delle figure di suono e di ripetizione, che dovevano essere particolarmente apprezzate dal pubblico in una performance orale. Del resto, le numerose allitterazioni* (facinus frugi, facere, v. 587;

sententia servire servos, v. 589; in se sera condecet capessere, v. 590; servom sese, v. 591; servitutem servit … servio, v. 592), l’anadiplosi* (dormitet … dormitet, v. 591) e le figure etimologiche* (servire servos, v. 589; servitutem servit, quasi ego servio, v. 592) contribuiscono a dar vita alla celebre lingua d’arte di Plauto. Interessante, infine, dal punto di vista linguistico, è l’utilizzo della desinenza -om (servom, vv. 591, 597; aequom, v. 597), in uso fino al I secolo d.C. per evitare la ripetizione di due grafemi uguali (seruum, aequum): ricorda infatti che la differenza tra u e v era ignota al mondo antico, che conosceva un unico fonema, ora vocalico (per es. in unus) ora semiconsonantico (per es. in uinum, pronunciato non con la /v/ dell’italiano “vino”, ma con il suono dell’inglese want).

LAVORO SUL TESTO

Comprendere

1. Chi deve aiutare Stròbilo? Con che fine?

2. Quali sono i rischi che un servus può correre nello svolgimento del suo compito?

Analizzare

3. Rifletti sulla similitudine presente nel testo e spiegane il significato in relazione al contesto di utilizzo.

125 Unità 3 PLAUTO Antologia
605 605

LATIN LOVERS Plautus on the stage

IL LATINO INCONTRA L'INGLESE

Le opere plautine influenzarono profondamente William Shakespeare (1564-1616) nella stesura dei suoi copioni. Per esempio, il Miles gloriosus agì da modello per la caratterizzazione del megalomane e millantatore Falstaff dell’Enrico IV (1598), protagonista spaccone di alcune delle pagine più divertenti del teatro elisabettiano. Pseudolo, il servo dell’omonima commedia latina, è il precursore letterario di Prospero, che nella Tempesta shakespeariana (1611) sovrintende allo sviluppo del dramma, mascherando così, dietro al suo ruolo, la presenza dell’autore, proprio come accade in Plauto.

Ma è nella Bisbetica domata (1594) che si trovano due servi che portano gli stessi nomi degli schiavi della Mostellaria plautina: Curzio e Grumio, impegnati, nel passo qui proposto, in un battibecco.

“GRUMIO Fie, fie on all tired jades, on all mad masters, and all foul ways! Was ever man so beaten? Was ever man so rayed? Was ever man so weary? I am sent before to make a fire, and they are coming after to warm them. Now were not I a little pot and soon hot , my very lips might freeze to my teeth, my tongue to the roof of my mouth, my heart in my belly, ere I should come by a fire to thaw me. But I with blowing the fire shall warm myself, for, considering the weather, a taller man than I will take cold. Holla, ho! Curtis!

Enter Curtis

CURTIS Who is that calls so coldly?

1. Tricolon* allitterante.

2. Apostrofe* autodiretta, come se ne incontrano molte nelle commedie plautine.

3. Come il poeta latino, Shakespeare si avvale di proverbi popolari: in questo caso, si tratta di un detto secondo il quale le persone basse sarebbero più suscettibili all’ira.

4. Si richiama qui una canzone popolare (ballad), che risuona pressappoco così (una sorta di canticum): Scotland’s burning, Scotland’s burning, / See yonder! / Fire, fire! Fire, fire! / Cast on

GRU. A piece of ice. If thou doubt it, thou mayst slide from my shoulder to my heel with no greater a run but my head and my neck. A fire, good Curtis.

CUR. Is my master and his wife coming, Grumio?

GRU. O ay, Curtis, ay – and therefore fire, fire, cast on no water

CUR. Is she so hot a shrew as she’s reported?

GRU. She was, good Curtis, before this frost. But thou know’st winter tames man, woman, and beast ; for it hath tamed my old master, and my new mistress, and myself, fellow Curtis.

CUR. Away, you three-inch fool! I am no beast.

GRU. Am I but three inches? Why, thy horn is a foot , and so long am I at the least. But wilt thou make a fire, or shall I complain on thee to our mistress, whose hand – she being now at hand – thou shalt soon feel, to thy cold comfort, for being slow in thy hot office?”

water! Cast on water!

5. Climax* ascendente.

6. Unità di misura in uso nel mondo anglosassone e corrispondente a poco più di 30 cm.

7. Arcaismo per your. L’inglese shakespeariano è per molti aspetti lontano da quello odierno, così come la lingua plautina, rispetto al latino classico, presenta svariate forme lessicali e morfosintattiche desuete.

126 1. LE ORIGINI E L’ETÀ ARCAICA

GRUMIO Mannaggia a tutti i ronzini sfiancati, a tutti i padroni pazzi, a tutte le strade infangate! Ma s’è mai visto un uomo tanto a pezzi? Un uomo tanto inzaccherato? Un uomo tanto esausto? Mi hanno mandato avanti per accendere il fuoco, e poi verranno a riscaldarsi loro. Non fossi così piccolo e così fumino, prima di trovare un fuoco che mi sciolga , le labbra si congelerebbero coi denti, la lingua col palato, il cuore con lo stomaco. Ma per scaldarmi mi basterà soffiare per accendere il fuoco; ma con questo tempaccio, uno più alto di me si prenderebbe un accidente. Ehilà, ehi, Curzio!

CURZIO Chi mi chiama in maniera così fredda?

GRU. Un ghiacciolo. Se non ci credi, puoi scivolarmi dalla spalla al calcagno, senza altra rincorsa che lo spazio che ho qui fra capo e collo. Un fuoco, buon Curzio.

CUR. Stanno arrivando il padrone e la padrona, Grumio?

GRU. Oh, sì, Curzio; e, quindi fuoco, fuoco; e non buttarci l’acqua

CUR. Ma lei è davvero, come dicono, una bisbetica che si scalda subito?

GRU. Lo era, buon Curzio, prima di questa gelata; ma tu sai che l’inverno doma l’uomo, la donna e anche la bestia ; infatti ha domato il mio vecchio padrone, la mia padrona nuova, e pure me, caro Curzio, mio simile.

CUR. Va’ là, nanerottolo alto tre dita! Io non sono una bestia.

GRU. Sono alto tre dita? Beh, arrivo almeno a un piede , quanto le tue corna. Ma lo fai questo fuoco, o devo denunciarti alla nuova padrona, la cui mano – e guarda che ormai è a portata di mano – ti darà presto i brividi, visto che sei così freddo nel farci da fuochista?

(W. Shakespeare, La bisbetica domata, atto IV, scena I, trad. e note di G. Bulla, Newton Compton, Roma 2011)

OFFICINA

1. Trovi somiglianze tra le figure retoriche presenti nel testo inglese e quelle normalmente ricorrenti nelle opere di Plauto?

2. Quali sono le caratteristiche umane stereotipate nei due schiavi in scena? Trovi somiglianze con i personaggi plautini?

127 Unità 3 PLAUTO Antologia

Pseudŏlus, una commedia tutta da ridere

Calidoro è triste perché l’amata Fenicio, cortigiana del lenone Ballione, sta per essere venduta a un soldato macedone per 20 mine. Psèudolo, solerte schiavo del giovane, progetta allora un astuto stratagemma per riscattare la ragazza, prima che le ultime 5 mine del pagamento vengano depositate nelle casse del ruffiano.

19. Servo e poeta (Pseudŏlus, vv. 394-414)

Per il servus Psèudolo la macchinazione di un piano per procurare al padrone il denaro necessario a riscattare l’amata ha una dignità pari all’ispirazione di una composizione poetica. Le sue bugie, pertanto, sono paragonabili alle fantastiche finzioni della poesia.

394. Calidoro, padrone di Psèudolo, è appena uscito di scena e il servus medita astuti progetti per riscattare Fenicio, di cui il giovane è innamorato. Postquam ... Pseudole: la prop. temporale precede il verbo principale astas (da ad + stare, lett. “stare fermo in piedi”), tipico del linguaggio teatrale e insieme anche notazione di regia, che suggerisce l’immobilità del personaggio sul palcoscenico. 395-400. Inizia il soliloquio di Psèudolo che, rivolgendosi a se stesso in seconda persona, affronta la pianificazione del suo piano da una prospettiva oggettiva. 395-398. Quid ... scio: costruisci Quid acturu’s (= acturus es, perifrastica attiva con aferesi*) nunc, postquam, dapsĭlis (“generoso”, grecismo, regge l’ablativo) dictis, largitu’s (= largitus es)

PSEUDOLUS Postquam illic hinc abiit, tu astas solus, Pseudole. Quid nunc acturu’s, postquam erili filio largitu’s dictis dapsilis? Ubi sunt ea? Quoi neque paratast gutta certi consili, neque adeo argenti – neque nunc quid faciam scio. Neque exordiri primum unde occipias habes, neque ad detexundam telam certos terminos. Sed quasi poeta, tabulas quom cepit sibi, quaerit quod nusquamst gentium, reperit tamen,

erīli filio? Ubi sunt ea? (“dove sono andate a finire?”): lo schiavo si rende conto di aver fatto promesse a vuoto) Quoi (arcaico per cui, nesso relativo con costruzione del dativo di possesso: “tu che…”) neque gutta paratast (= parata est, aferesi*) certi consili (lett. “non hai a disposizione nemmeno una goccia di un piano efficace”) neque adeo (sott. gutta paratast) argenti (“e neppure il becco d’un quattrino”) – neque nunc scio quid faciam (prop. interrogativa indiretta). Il servus sembra senza speranze e privo di idee, cosa che lo sconvolge, perché di norma è sempre pronto a risolvere la situazione. 399-400. Neque ... terminos: costruisci Neque habes unde primum (“per prima cosa”) occipias (cong. di occipio, da ob+capio, lett. “iniziare”) exordīri (deponente da exordior:

puoi rendere l’espressione molto ridondante con “non sai da dove cominciare”) neque (sott. habes) terminos certos (intendi, “misure certe”) ad telam detexundam (“per tessere la tela”; detexundam arcaico per detexendam, da detexo). La metafora* tessile rende bene l’immagine dell’intricata rete di intrighi che va intessendosi. 401-405. Psèudolo crea una similitudine tra il mestiere dello schiavo e quello del poeta. 401-403. Sed ... est: “Ma come (quasi) il poeta, quando (quom, arcaico per cum) prende in mano (sibi, dativo etico) le tavolette, cerca ciò che non esiste ancora (nusquamst, aferesi* per numquam est) tra la gente (gentĭum; gen. partitivo dipendente dall’avverbio), e alla fine (tamen) lo trova, e rende simile al vero

151 Unità 3 PLAUTO Antologia
METRO: senari giambici*
395 400
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(veri simile) ciò che (illud … quod) è fittizio”. Si coglie una nota autobiografica da parte di Plauto: anche la creazione poetica, al pari delle attività del servus, è una finzione (pensa all’inglese fiction). 404-405. nunc ... tamen: “ora io (ego; cogli l’accento enfatico posto sul pronome) mi trasformerò (fiam) in un poeta: troverò (invenĭam) finalmente (tamen) 20 mine che ora non esistono ancora tra la gente” (nota la somiglianza con il v. 402). È presumibile che Psèudolo accompagnasse la battuta con un gesto rivolto al pubblico, come a richiedere le monetine.

406-408. Il servus ripensa alla promessa fatta al giovane padrone, andata in fumo per via dell’intromissione di Simone, padre di Calidoro Atque ... prius: costruisci Atque

facit illud veri simile, quod mendacium est, nunc ego poeta fiam: viginti minas, quae nusquam nunc sunt gentium, inveniam tamen. Atque ego me iam pridem huic daturum dixeram et volui inicere tragulam in nostrum senem; verum is nescio quo pacto praesensit prius. Sed comprimunda vox mihi atque oratiost: erum eccum video huc Simonem una simul cum suo vicino Calliphone incedere. Ex hoc sepulcro vetere viginti minas effodiam ego hodie, quas dem erili filio. Nunc huc concedam, unde horum sermonem legam.

ego (nota l’insistenza sul pronome) iam prīdem (“già prima”) dixĕram me daturum (sott. esse) huic (cioè a Calidoro, sott. viginti minas) et volui inicĕre tragŭlam (lett. “rete da pesca”, metafora* gergale per “tirare un colpo”) in senem nostrum (cioè Simone); verum (“a dire la verità”, avverbio) is (Simone), nescio quo pacto (“non so come”), praesensit prius (“se ne è accorto in anticipo”); nota le allitterazioni* al verso 408. 409-414. Compaiono sulla scena Simone e l’amico Callifone; a Psèudolo, giunto al termine del suo ragionamento, non resta che aspettare pazientemente. 409. Sed ... oratiost: comprimunda (arcaico per comprimenda) mihi è una perifrastica passiva; vox ... oratiost endiadi* (oratiost = oratio est).

410-411. erum ... incedĕre: eccum, forma del latino parlato che deriva da ecce illum/eum; una simul cum introduce un compl. di compagnia. 412-413. Ex hoc ... filio: Psèudolo sa che riuscirà a cavare fuori (effodio, “disseppellire”) da Simone (Ex hoc sepulcro, metafora* funebre che riprende effŏdiam, a indicare la gravezza decrepita del vecchio) la somma di denaro da dare (dem cong. della relativa impropria) al figlio del padrone (erīli). 414. Nunc ... lĕgam: “Ora mi ritiro qui (huc) da dove carpirò (lĕgam, da lĕgo, “raccogliere”) il loro discorso”; concēdam lĕgam omeoteleuto*. Come sempre, lo schiavo si acquatta in disparte per osservare, non visto, l’evolversi della situazione.

PSEUDOLO Adesso anch’egli se n’è andato, sei qua solo, Pseudolo. Ebbene, cos’intendi fare, dopo aver generosamente elargito promesse al tuo padroncino? Su che cosa si fondano quelle promesse? Non hai niente di pronto: neppure l’ombra d’un piano sicuro, né un tantino di denaro… – Né ho un’idea di quel che devo fare! –Non sai da che punto cominciare a ordire la tua tela, né sai con certezza dove finirai di tesserla… – Sì, ma come il poeta, prese le sue tavolette, cerca ciò che non esiste in nessuna parte del mondo, e tuttavia lo trova, riuscendo a rendere verosimile quel ch’è menzogna, così farò io: diverrò poeta, e le venti mine che attualmente non esistono da nessuna parte del mondo finirò col trovarle. Del resto, gliel’avevo detto da un pezzo che gliele avrei date, ed era mia intenzione dar la stoccata al nostro vecchio; ma quello, non so come, ne ha avuto il presentimento… Ora però bisogna che io trattenga la voce e che la smetta di parlare; ecco il mio padrone Simone che arriva qui col suo vicino Callifone. Oggi caverò fuori da questo vecchio sepolcro venti mine, per darle al mio padroncino. Mi tirerò in disparte; da qui raccoglierò la loro conversazione.

152 1. LE ORIGINI E L’ETÀ ARCAICA
405 410
Traduzione d’autore (M. Scàndola) 395 400 405 410 ................................................ ................................................ ................................................ ................................................ ................................................ ................................................ ................................................

GUIDA ALLA LETTURA

Analisi del testo

Temi e motivi

Il celebre monologo di Psèudolo è uno dei manifesti del metateatro plautino. Il servo, infatti, concentrato nella macchinazione del piano perfetto per aiutare il giovane padrone, azzarda un audace paragone (vv. 401-404) tra la propria attività e quella del poeta: come il servus ordisce ogni tipo di inganno, in cui verità e menzogna si mescolano in maniera indistinguibile, così il poeta nella sua opera artistica costruisce una realtà soltanto fittizia. In questo gioco di finzioni il servus-poeta Pseudŏlus è particolarmente versato, come rivela il suo stesso nome parlante, derivato dal greco pséudos, “falsità”, “bugia”. Il paragone ideato dal servo è finalizzato a esaltare la

capacità “creatrice” del poeta che dà vita a una nuova dimensione – quella dell’opera letteraria –inesistente fino a quel momento. Si conferma ancora una volta la tipica identificazione tra il servus callidus, vero protagonista del teatro comico plautino, e lo stesso autore, che, come il suo personaggio, deve ricorrere a ogni tipo di espediente per dar vita alla creazione teatrale.

LAVORO SUL TESTO

Comprendere

1. Chi deve essere aiutato da Psèudolo?

2. In che senso il nome parlante di Psèudolo può spiegare la sua attitudine per gli inganni?

3. Che cosa sono le tabulae a cui si fa riferimento al verso 401?

Psèudolo e Calidoro si presentano al bordello per contrattare sul prezzo di Fenicio, ma Ballione, inamovibile, sostiene che consegnerà la giovane soltanto a chi, tra loro e il soldato macedone, pagherà per primo l’ultima rata che gli spetta. I due, allora, escogitano un tranello per estorcere al padre di Calidoro, Simone, il denaro necessario.

20. Psèudolo, un vero eroe! (Pseudŏlus, vv. 574-593)

Dopo un intermezzo eseguito da una flautista, di cui non sono rimaste tracce nei manoscritti, il servus rientra baldanzosamente in scena per informare il pubblico di aver pronto un piano infallibile per attaccare e sgominare i suoi antagonisti: il leno e il senex.

Traduzione d’autore

METRO: polimetro, con prevalenza di anapesti*

PSEUDOLUS Pro Iuppiter, ut mihi, quidquid ago, lepide omnia [prospereque eveniunt: neque quod dubitem neque quod timeam, meo in pectore conditumst [consilium.

574-578.  Psèudolo, un po’ vanesio, si compiace della propria abilità nell’affrontare grandi imprese. 574. Pro ... eveniunt : il servus si compiace di come qualsiasi cosa faccia gli vada per il verso

giusto; mihi è un dat. di vantaggio; lepĭde prospereque intendi “alla grande e per il meglio”. 575. neque ... consilium : “nel mio cuore ( meo in pectore , anastrofe*; Psèudolo si batte il petto) è nascosto

( conditumst , aferesi* per conditum est ) un piano su cui non ho dubbi né timori”; dubitem e timeam sono congiuntivi di due prop. subordinate relative improprie.

153 Unità 3 PLAUTO Antologia
575
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576-578. Nam ... facias : con frasi sentenziose lo schiavo asserisce che è sciocco ( stultitiast , aferesi* per stultitia est ) affidare ( credere , nel senso di “confidare in”, regge il dativo) a una persona codarda ( timido cordi , sineddoche*) un inganno complesso ( facinus magnum ), dato che ogni cosa ( omnes res ) dipende da come la si svolge e da quanto la si stimi ( facias magni , gen. di stima)”; ut , in anafora*, introduce due prop. condizionali. L’uso del “tu” generico nelle forme agas e facias dipende dal valore di massima universale che Psèudolo attribuisce al concetto; facinus magnum / timido cordi è un chiasmo*.

578-583. Il servus continua ad autoelogiarsi valendosi di un’estesa metafora militare. 578-580. nam ... congrediar: costruisci nam ego paravi prius (“con largo anticipo”) in meo pectore copias (“le mie milizie”), dolos perfidias duplicis triplicis (intendi “su due e tre file”), ita ut (introduce una prop. consecutiva), ubiquomque (arcaico per ubicumque) congrediar hostibus; la metafora* militare si esplicita attraverso i termini copias e hostibus, e nell’espressione duplicis triplicis da rendere in traduzione come se gli imbrogli e le astuzie (dolos, perfidias) fossero soldati. 581-582. maiorum ... fraudolenta: “parlerò (dicam)

Nam ea stultitiast, facinus magnum timido cordi credere; nam omnes res perinde sunt ut agas, ut eas magni facias; nam ego in meo pectore prius *** ita paravi copias, duplicis triplicis dolos perfidias, ut, ubiquomque hostibus congrediar –maiorum meum fretus virtute dicam, mea industria et malitia fraudolenta –facile ut vincam, facile ut spoliem meos perduellis meis perfidiis. Nunc inimicum ego hunc communem meum atque vostrorum omnium, Ballionem, exballistabo lepide: date operam modo; hoc ego oppidum admoenire, ut hodie capiatur, volo. Atque huc meas legiones adducam; si expugno –facilem hanc rem meis civibus faciam –post ad oppidum hoc vetus continuo meum exercitum protinus obducam: ind’ me et simul participes omnis meos praeda onerabo atque opplebo, metum et fugam perduellibus meis me ut sciant natum.

facendo leva (frētus) sul valore dei miei antenati (meum, poetico per meorum, in allitterazione* con maiorum), sul mio spirito di iniziativa (meā industriā) e sulla mia astuzia ingannatrice (malitiā fraudolentā)”; l’inciso parentetico offre una sintetica carrellata genealogica di Psèudolo, con lo scopo di esaltare la sua “nobile” ascendenza. 583. facile ... perfidiis: ut dipende dal precedente paravi (v. 579) e ha valore consecutivo; costruisci ut vincam facile (“di modo che possa vincere senza difficoltà”), ut facile spoliem (“possa spogliare”, verbo tipico del saccheggio) meos perduellis (= perduelles; voce epicheggiante) meis perfidiis. Nota l’elaborazione stilistica: l’anafora* di facile ut, l’allitterazione* di m e di p, e il poliptoto* del possessivo, a rimarcare il protagonismo del personaggio. 584-589. Nulla più si può intromettere tra Psèudolo e il suo avversario, destinato a soccombergli 584-585. Nunc ... modo: “Ora io scaccerò con le (mie) baliste questo (hunc, con funzione deittica) Ballione qui con eleganza (lepide, è detto con ironia), (lui) nemico (inimicum, un avversario personale e di vecchia data) comune a me e a tutti voi (cogli l’effetto di metateatro): ora (modo) statemi a sentire (date operam, frase idiomatica)”. Al verso 585 exballistabo è un hapax* e un

neologismo* del linguaggio militare: le baliste o balestre erano macchine da guerra usate negli assedi; l’allitterazione* Ballionem, exballistabo rende esilarante la scena. 586. hoc … volo: il pronome ego torna in anafora*; il termine oppidum, che ancora rimanda all’ambito militare, pare indicare la scenografia alle spalle di Psèudolo, su cui forse era dipinta la casa di Ballione, vista come una fortezza da espugnare. 587-589. Atque ... natum: costruisci Atque addūcam huc (“condurrò qui”, pare a dire “su questo palco”) meas legiones; si (introduce un periodo ipotetico del 1° tipo) expugno (sott. hoc oppidum) – faciam hanc rem facilem meis civibus (dat. di vantaggio) –, post obdūcam protinus (“riporterò subito indietro”) meum exercitum ad hoc oppidum vetus, ind’ (elisione per inde) onerābo atque opplēbo (“gratificherò e riempirò”, endiadi* e omeoteleuto*) praedā (“con il bottino”, abl. strumentale o di limitazione) me et simul omnis (= omnes) meos participes, ut sciant me natum (sott. esse) metum et fugam (pred. dell’oggetto) meis perduellibus (“i miei contendenti”, voce epicheggiante, cfr. v. 583)”. Al verso 588, simul rimarca l’egualitarismo di Psèudolo che, da buon comandante, è disposto a dividere il bottino con equità, a differenza dei comuni generali di Roma. Ricorrono

154 1. LE ORIGINI E L’ETÀ ARCAICA
................................................ ................................................ ................................................ ................................................ ................................................ ................................................ ................................................ ................................................ ................................................ 580 585 586a

Eo sum genere gnatus: magna me facinora decet efficere, quae post mihi clara et diu clueant.

Sed hunc quem video, quis hic est qui oculis meis obviam ignobilis obicitur?

Lubet scire quid hic venit cum macchaera et huic, quam rem agat, hinc [dabo insidias.

ancora alcuni termini a supporto della lunga metafora* militare iniziata al verso 579: meas legiones, expugno (verbo tipico degli assedi), meum exercitum (in variatio* rispetto a meas legiones), oppidum (ovvero la casa di Simone) 590-593. Dopo l’iperbolica presentazione di se stesso, Psèudolo si nasconde nell’ombra al sopraggiungere di Arpace. 590-591. Eo ... clueant: “Sono nato (gnatus sum = natus sum) da quella stirpe (intendi “dalla stirpe cui prima accennavo”): spetta a me (me

decet) portare a termine (efficĕre, composto di facio) le grandi gesta che in seguito (post) e per lungo tempo (diu) mi (dat. di vantaggio) valgano la fama (clueant clara, espressione ridondante e allitterante). 592-593. Sed ... insidias: costruisci Sed quis est hic, quem (pron. relativo) video, qui ignobĭlis (“sconosciuto”, predicativo del soggetto, con sfumatura dispregiativa) obvĭam obicĭtur (“si presenta davanti”; figura etimologica*) meis oculis? Lubet (arcaico per libet) scire

quid venit hic (nota l’interrogativa all’indicativo in variatio* con la successiva) cum macchaera (“con la spada”, grecismo epico) et quam rem agat: hinc (“di qui”) dabo insidias (“tenderò agguati”) huic (dat. di svantaggio) Nota il voluto solecismo*, a imitazione del parlato, di hunc iniziale attratto all’accusativo dal successivo quem, quando grammaticalmente dovrebbe essere al nominativo (infatti è ripreso da hic nello stesso verso).

GUIDA ALLA LETTURA

Analisi del testo

Temi e motivi

Il monologo presenta Psèudolo nei panni di un eroe, che però mantiene tutti i tratti comici tipici del servus. Psèudolo è pronto ad affrontare il lenone Ballione: le sue armi non saranno i dardi, ma i suoi stessi inganni, schierati come soldati nel campo di battaglia (vv. 579-580). Entrato nel ruolo di combattente, Psèudolo si comporta ormai proprio come un eroe dell’epica: non soltanto vanta la sua potenza di fronte al nemico, ma vagheggia anche la gloria imperitura che gli deriverà dall’impresa (vv. 590-591). In questo contesto, Ballione non può che svolgere la figura dell’antieroe, ostile a Psèudolo e alla società intera.

Le certezze eroiche del servus, tuttavia, si infrangono con l’arrivo sulla scena di Àrpace, l’attendente di un vero miles: la sola vista della spada del nuovo venuto

è sufficiente perché Psèudolo abbandoni la sua autocelebrazione e si acquatti nell’ombra.

Lingua e stile

La comicità del canticum è costruita su una serie esilarante di metafore* militari. Il macchinare contro Ballione è infatti presentato nei termini di una guerra (vv. 584-585), in vista della quale Psèudolo dovrà schierare i propri soldati (vv. 579-580), e del conseguente bottino, di cui è già pronto a godere (v. 588).

LAVORO SUL TESTO

Analizzare

1. Quali parti del monologo di Psèudolo mettono in luce il suo valore di soldato? Quale è la finalità comica?

Interpretare

2. In quale precedente brano presente nell’antologia si incontra un’altra evidente parodia del genere epico? Quali meccanismi comici ricorrenti individui?

Psèudolo si imbatte in Arpace, lo schiavo del miles rivale di Calidoro inviato a casa di Ballione con la somma restante e la contromarca per concludere il riscatto di Fenicio. Psèudolo riesce a farsi consegnare il segno di riconoscimento (ma non i soldi) mentre Arpace va a rifocillarsi in osteria.

Nel frattempo sopraggiunge Calidoro, con le 5 mine, in compagnia di Carino, che dovrebbe prendere parte al piano escogitato da Psèudolo.

155 Unità 3 PLAUTO Antologia
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590

21. Pseudolo salvaci tu! (Pseudŏlus, vv. 702-707)

Psèudolo ha finalmente trovato le risorse per soddisfare le richieste del suo padrone e, tutto tronfio e goduto, esalta il successo del suo piano meticoloso con una tirata tragicomica, puntualmente messa in ridicolo dalle caustiche repliche degli attori sulla scena.

METRO: settenari trocaici*

PSEUDOLUS Io, io te te, turanne, te te ego, qui imperitas Pseudolo, quaero, quoi ter trina triplicia, tribus modis tria gaudia, artibus tribus tris demeritas dem laetitias, de tribus fraude partas per malitiam et per dolum et fallacias; in libello hoc obsignato ad te attuli pauxillulo.

CALIDORUS Illic homost. CHARINUS Ut paratragoedat carnufex.

702-706. Psèudolo entra in scena per tessere il proprio, sperticato, elogio. 703-705a. Io ... fallacias: costruisci Io, io, te, te (“Ehilà, tu!” interiezione), ego (forte enfasi sul pronome) quaero te (“sto cercando te”), turanne, te, qui imperĭtas Pseudolo (nota l’uso del frequentativo imperĭto, che indica l’alta frequenza di ordini propinati da Calidoro al suo schiavo; il verbo regge il dativo di relazione), quoi (arcaico per cui, introduce una relativa impropria) dem ter triplicia, tria gaudia, trina tribus modis (“tre volte gioie, tre felicità, in tre modi, sotto tre forme”), tris (= -es) laetitias demeritas tribus artibus (“tre gioie conquistate con triplo sotterfugio”), partas de fraude tribus

(“ottenute con fraudolenza in tre modi diversi”), per malitiam, per dolum et fallacias (“con l’imbroglio, con l’astuzia e con le furfanterie”). In tutta la battuta di Psèudolo l’accumulo del numero tre è davvero vorticoso ed è enfantizzato dalla successione di poliptoti* allitteranti del numerale. Al verso 705a in per malitiam, per dolum et fallacias riconosci un tricolon* e una climax* ascendente. 706. in libello … pauxillŭlo: costruisci attŭli ad te (“ti ho portato”; l’attore accompagnava l’enunciato mostrando il pacchetto che aveva in mano) in hoc pauxillŭlo libello obsignato (“in questo pacchettino sigillato”; pauxillŭlo è un diminutivo).

Nota come l’estesa allitterazione* abbia chiaro intento paratragico (ricorda il celebre passo di Ennio, Annales, fr. 104 Skutsch: o Tite, tute, Tati, tibi tanta, turanne, tulīsti).

707. Calidoro e Carino rimangono sbigottiti dinnanzi alla megalomania del servus, che rassomiglia, a tutti gli effetti, a un consumato attore tragico. Illīc ... carnŭfex!: letteralmente Illic homost vale “Eccolo lì il tizio!” (homost è aferesi* per homo est). Il verbo paratragoedat è neologismo* e hapax* plautino, mentre carnŭfex (“pendaglio da forca”, arcaico per carnĭfex) è un insulto rivolto soprattutto agli schiavi.

Il vecchio Simone ha incontrato Ballione al mercato e lo ha messo al corrente dell’intrigo che va intessendosi a suo danno: il furbo ruffiano aspetta così in casa la prima mossa di Psèudolo per poter contrattaccare. Intanto, Scimmia, un servo di Carino, edotto sul piano per beffare il lenone e sottrargli la ragazza, si presenta al bordello e, con incredibile astuzia, riesce a raggirare Ballione, facendogli credere di essere Àrpace, il messo mandato dal soldato macedone. Quindi scappa via con Fenicio. Subito dopo, il vero Àrpace giunge dal lenone e così l’inganno viene smascherato. Colpito dall’acuta pianificazione di Psèudolo, Simone paga la somma promessa e la commedia si conclude con una festosa scena di banchetto.

156 1. LE ORIGINI E L’ETÀ ARCAICA
Traduzione d’autore
705 705a
................................................ ................................................ ................................................

LA VITA

● Scarse notizie biografiche.

● Nasce tra il 250 e il 255 a.C. nella città umbra di Sàrsina.

● Di estrazione umile e a causa di sperperi giovanili, si sarebbe messo al servizio di un mugnaio, a girare la mola di un mulino (punizione riservata agli schiavi delle sue commedie).

● Muore a Roma nel 184 a.C.

Sintesi visiva

Plauto

LE OPERE

LE COMMEDIE

● 21 commedie palliatae di certa attribuzione; frammenti relativi a oltre 30 titoli.

● Cronologia incerta (sono certe solo le date dello Stichus, 200 a.C., e dello Pseudŏlus, 191 a.C.).

● Modelli: commedia nuova greca (Menandro, Dìfilo e Filèmone).

● Struttura:

– prologo: notizie circa l’antefatto e lo sviluppo della trama;

– azione scenica continuativa (dialoghi, monologhi e intermezzi musicali);

– epilogo con lieto fine.

● Trame: meccanismi narrativi ripetitivi (passaggio di un bene, scambio di identità, beffe e agnizioni finali).

● Personaggi: stereotipati e ricorrenti (il servus callidus, l’adulescens innamorato, il senex avaro o libidinoso, la meretix, il leno o la lena, il miles).

● Poetica:

– ricorso alla contaminatio tra i modelli;

– adattamento dei modelli greci ai gusti romani;

– ricerca della comicità (anche caricaturale e grossolana) a scapito della verisimiglianza;

– gusto per la parodia del genere epico-tragico;

– numerose parti cantate (cantica) in vari metri.

● Teatro come gioco: inversione dei ruoli, metateatro e rottura dell’illusione scenica.

● Lingua e stile: sermo cotidianus, arricchito con grecismi, arcaismi e neologismi; ritmo incalzante e paratattico; ricorso a ellissi, ripetizioni, figure di suono.

157 Unità 3 PLAUTO Sintesi

VERIFICA DELLE CONOSCENZE

1. Indica la risposta corretta tra quelle proposte.

1. Plauto si accostò agli originali greci della commedia nuova:

riproducendone fedelmente la trama e la struttura metrica. adattando liberamente il testo in relazione alle proprie esigenze drammatiche e alla diversità del contesto socioculturale. mantenendo e aumentando la presenza del coro.

utilizzando per i personaggi gli stessi nomi presenti nelle corrispondenti commedie di Menandro

2. Nelle commedie plautine il prologo serve spesso a: polemizzare con altri commediografi latini in merito a questioni letterarie. informare gli spettatori circa i soli antefatti della vicenda. celebrare gli edili incaricati di organizzare i ludi informare sugli antefatti e anticipare la trama della commedia, compreso il suo scioglimento conclusivo.

3. A esaminare l’autenticità delle commedie tramandate sotto il nome di Plauto fu: Varrone. Catullo. Cicerone. Cornelio Nepote.

4. Il servus può essere considerato il vero protagonista del teatro plautino perché: grazie alle sue aspirazioni “rivoluzionarie” spesso riesce a ottenere l’emancipazione dal proprio padrone.

le sue azioni sono sempre tese a impedire il lieto fine della vicenda. per la sua capacità di tessere continui inganni, è il vero motore dell’intreccio comico.

è il solo personaggio a intonare le parti liriche cantate (cantica).

5. L’agnizione, un tipico meccanismo delle commedie plautine, consiste: nell’improvvisa scoperta dell’origine servile dei personaggi. in una serie di equivoci, che costringono i due innamorati a dividersi. nel riconoscimento della vera identità di uno dei protagonisti, che conduce al lieto fine della vicenda. nello sdoppiamento di persona causato dell’identico aspetto di due personaggi.

2. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false.

1. L’Amphitruo è l’unica commedia di Plauto di argomento mitologico. V F

2. È possibile ricostruire la cronologia di tutte le commedie plautine sulla base dell’evoluzione stilistica. V F

3. I ritrovamenti papiracei del XX secolo hanno permesso di capire che il commediografo greco Menandro fu la sola fonte di Plauto. V F

4. La suddivisione delle commedie plautine in atti e scene non è ascrivibile al loro autore. V F

5. Le parti liriche (cantica) sono composte sempre in anapesti. V F

6. Il controllo da parte dello Stato sugli spettacoli teatrali non facilitò l’inserimento all’interno delle commedie di tematiche legate alla politica contemporanea. V F

3. Che cos’è la contaminatio e perché deve essere tenuta in considerazione nell’analisi dei testi plautini?

4. Qual è la funzione degli inserti metateatrali? Cita qualche esempio tratto dalle commedie.

5. Quali sono le principali caratteristiche dello stile plautino?

6. Perché il teatro di Plauto può essere definito “carnevalesco”?

158 1. LE ORIGINI E L’ETÀ ARCAICA
A B C D A B C D A B C D A B C D
A B C D

DALLE CONOSCENZE ALLE COMPETENZE

Traduci il brano e rispondi alle domande.

Genealogia di un parassita (Stichus, vv. 155-165)

Gelasimo, che vive di stenti compiendo i lavori più umili, apre il secondo atto dello Stichus con un buffo monologo in cui riconduce l’origine della propria misera condizione a un fantasioso quanto bizzarro albero genealogico.

GELASIMUS Famem ego fuisse suspicor matrem mihi, nam postquam natus sum, satur numquam fui. Neque quisquam melius referet matri gratiam quam ego meae matri refero – invitissimus.

[...]

Nam illa me in alvo menses gestavit decem, at ego illam in alvo gesto plus annos decem. Atque illa puerum me gestavit parvolum, quo minus laboris cepisse illam existumo: ego non pauxillulam in utero gesto famem, verum hercle multo maximam et gravissimam; uteri dolores mihi oboriuntur cotidie, sed matrem parere nequeo, nec quid agam scio.

2. In che senso Gelasimo è grato alla madre invitissimus?

3. Spiega il paragone presente ai versi 160-165.

Nel teatro plautino sono frequenti gli scambi di ruolo. Qui ti proponiamo un gioco analogo, con la finalità di imparare a guardare il mondo da altri punti di vista.

Competenze per la vita

L’insegnante, che gestisce tutte le fasi del gioco, descrive una situazione “critica” che si verifica a scuola: una verifica andata male a tutta la classe, l’organizzazione delle interrogazioni programmate, la scelta della meta per la gita scolastica… A questo punto la classe si divide in gruppi e ciascun gruppo immagina di essere al posto della/del docente che deve risolvere la situazione: come reagirà? Quali decisioni assumerà? Con quali motivazioni?

Al termine del gioco si discute tutti insieme.

• relazioni
• empatia 159 Unità 3 PLAUTO VERIFICHE
efficaci
1. Gelasimo – parassita della commedia – sta qui ricostruendo la propria genealogia. A suo dire, chi è sua madre e perché?
155 157a 160 165

LABORATORIO DELLE COMPETENZE

Nello specchio deformante

Il tema del doppio è un espediente utilizzato in numerosi linguaggi espressivi: dall’immagine riflessa di Narciso, al teatro e alle situation comedy televisive, dallo sdoppiamento letterario del dottor Jekyll e di Mr Hyde alle indagini della psicoanalisi. L’ambiguità e l’ambivalenza del doppio hanno stimolato profonde riflessioni sulla percezione dell’io e della realtà, ma anche liberatorie risate, scaturite dal gioco degli equivoci.

L’io duplicato (Menaechmi, vv. 708-751)

Menecmo I, che risiede a Epidamno, ha un’amante, la cortigiana Erozio, alla quale ha regalato un mantello e dei gioielli sottratti alla moglie. Menecmo II, giunto a Epidamno in cerca del fratello, viene scambiato per quest’ultimo da Erozio, che gli affida gli oggetti che le erano stati donati. Nel frattempo, la moglie di Menecmo I, accortasi del furto, minaccia il marito di divorzio, se i suoi oggetti non le saranno restituiti. Poi, vedendo Menecmo II, lo scambia per suo marito e gli si fa incontro. Il dialogo tra la matrona gelosa e Menecmo II sfocia inevitabilmente in una comica lite.

MA. […] (Forte) Non ti vergogni di presentarti a me, delinquente, conciato in quel modo?

MEN. II Che succede? Che cosa ti piglia, donna?

MA. E hai anche il coraggio, svergognato, di pronunciare anche una sola parola davanti a me?

MEN. II Quale sarebbe mai la colpa che avrei commesso per cui dovrei vergognarmi di parlare?

[…]

MA. Io non posso sopportare queste offese. Preferirei restar vedova per il resto della vita che tollerare il tuo comportamento scandaloso.

MEN. II E che c’entro io col fatto che tu riesca a sopportare tuo marito o voglia lasciarlo? È forse un’abitudine di questo paese raccontare i fatti propri al primo straniero che si incontra?

MA. Quali fatti propri? Insisto: preferirei d’ora in avanti vivere da sola che tollerare il tuo comportamento.

MEN. II Per quel che mi riguarda, vivi pure da vedova anche fino alla fine del regno del Giove!

MA. Ma tu poco fa protestavi di non averlo rubato (indica il mantello) e ora me lo sbandieri davanti agli occhi! Non ti vergogni?

MEN. II Senti un po’, donna! Sei davvero sfacciata e malvagia. Oseresti sostenere che questo mantello ti è stato rubato, quando è stata un’altra donna a darmelo perché lo portassi ad aggiustare?

MA. Per Castore, questa poi… Manderò a chiamare mio padre e lo informerò di tutti i tuoi misfatti. Su, Decio , vai a cercare mio padre e accompagnalo qui da me: digli che la situazione è tesa. (A Menecmo II) Io poi lo metterò al corrente di queste tue azionacce.

MEN. II Sei pazza? Di quali azionacce parli?

160 1. LE ORIGINI E L’ETÀ ARCAICA
1. È un servo della matrona. 710 720 725 730 735

MA. Tu ti prendi il mio mantello, saccheggi la casa e porti via i miei gioielli per trasferirli dalla tua amante. Ho ragione o no?

MEN. II Fammi un favore, donna! Conosci un rimedio a cui possa ricorrere per sopportare la tua arroganza? Allora indicamelo. Perché io non so proprio chi tu credi ch’io sia. Ti conosco come conosco Portaone.

MA. Se ti prendi gioco di me, non potrai farlo con mio padre che sta venendo qui. Voltati a guardarlo! Lo conosci o no?

MEN. II Lo conosco come conosco Calcante . L’ho incontrato quello stesso giorno che ho incontrato te, prima di oggi.

MA. Sostieni di non conoscermi? E di non conoscere mio padre?

MEN. II Fa’ venire anche tuo nonno. Dirò lo stesso di lui. (trad. G. Faranda)

omerica che partecipò alla guerra di Troia.

UN CONFRONTO TRA LINGUAGGI DIVERSI

Roberto Benigni è regista e interprete del film Johnny Stecchino (1991). Il protagonista, Dante, un ingenuo e stralunato autista di scuolabus, è il sosia del boss mafioso Johnny, che rischia di finire vittima delle vendette dei suoi rivali per aver collaborato con la giustizia. I complici del malavitoso, tra cui la moglie Maria, decidono allora di sfruttare la straordinaria somiglianza di Dante per farlo uccidere al posto di Johnny. Nascono equivoci divertenti che scaturiscono dal contrasto tra la somiglianza fisica e l’estrema diversità di temperamento tra i due uomini.

▶ Guarda la scena tratta dal film Johnny Stecchino e prova a confrontarla con il passo di Plauto sopra riportato. Quindi rispondi alle seguenti domande.

1. Che cosa hanno in comune le due scene?

2. Qual è il meccanismo da cui scaturisce il comico?

3. Come reagiscono i due protagonisti della scena? Mettine in luce le differenze.

COMPITO DI REALTÀ

Prova con le tue compagne/i tuoi compagni a rappresentare la scena dei Menechmi proposta. Dividetevi in due gruppi e all’interno di ciascuno attribuite i ruoli necessari per la messa in scena (attori, registi, scenografi ecc.). Procedete come segue:

1. ciascun gruppo sceglie un dominus gregis (la/il regista);

2. le due registe/i due registi provvedono a fare dei brevi provini all’interno del proprio gruppo per scegliere gli attori che interpreteranno Menecmo II e la matrona;

3. i protagonisti imparano la parte e provano, seguendo le indicazioni della/del regista;

4. il resto dei componenti dei due gruppi allestisce una scenografia che rappresenti la città di Epidamno e reperisce i costumi idonei;

5. entrambi i gruppi rappresenteranno la scena in un giorno concordato di fronte a una giuria composta da studenti di un’altra classe, che avrà il compito di giudicare l’allestimento migliore.

161 Unità 3 PLAUTO LABORATORIO DELLE COMPETENZE
2. Famoso indovino e personaggio dell’Iliade
740 745 750

DISPUTATIO verso la disputa classica

LA MOZIONE

Aveva ragione il mercante dell’Asinaria a dire: Lupus est homo homini, non homo

CONTESTUALIZZAZIONE

Nella IV scena del II atto dell’Asinaria il mercante, che deve consegnare a Demeneto 20 mine per la vendita di alcuni asini, ha ingenuamente rivelato a Leònida, servo di Demeneto, di non conoscere Saurea, la persona a cui deve dare il denaro. Così, lo scaltro servo decide di fingersi Saurea, sperando di appropriarsi della somma al posto del suo padrone. Il mercante, però, non si fida e, con una celebre sententia, dichiara di non voler dare i soldi a uno sconosciuto.

LEONIDA […] nemo etiam me accusavit merito meo, neque me alter est Athenis hodie quisquam, cui credi recte aeque putent. MERCATOR Fortassis. Sed tamen me numquam hodie induces, ut tibi credam hoc argentum ignoto. Lupus est homo homini, non homo, quom qualis sit non novit.

LEONIDA […] Finora nessuno ha avuto motivo di accusarmi e oggi ad Atene non c’è un altro, in cui la gente abbia più stima e incondizionata fiducia che in me.

MERCANTE Può darsi. Tuttavia oggi non mi convincerai mai ad affidarti questo denaro senza conoscerti. Quando un uomo non si sa di che pasta sia, non è un uomo, ma un lupo per l’altro uomo.

(Plauto, Asinaria, vv. 491-495; trad. G. Augello)

Il mercante ricorre all’immagine del lupo per spiegare che per lui ogni uomo sconosciuto è come un predatore di cui non ci si deve fidare. Anche il filosofo inglese Thomas Hobbes (1588-1679) nel suo trattato politico De cive (1642) si servì della medesima frase proverbiale, ma le diede un senso più ampio, per indicare che è connaturato all’essere umano il voler affermare se stesso a scapito dei propri simili e che quindi la “lotta per la sopravvivenza” e l’istinto alla sopraffazione sarebbero connaturati all’uomo.

Per la genesi e l’evoluzione di questo motto puoi leggere: A QUESTO LINK R. Tosi, Homo homini lupus: da Plauto a Erasmo a Hobbes, «Eikasmòs», XIX, 2008, pp. 387-395 (https://u.deascuola.it/2022-22001-5317).

162 1. LE ORIGINI E L’ETÀ ARCAICA
495 495

PRO  Si dimostri che gli uomini tendono a combattersi l’un l’altro per sopravvivere.

● Lo storiografo greco Tucidide (460 ca-395 a.C.) riporta il discorso dei Meli agli ambasciatori di Atene giunti per chiedere loro la sottomissione: «Non solo tra gli uomini, come è ben noto, ma […] anche tra gli dèi, un necessario e naturale impulso spinge a dominare su colui che puoi sopraffare. Questa legge […] avrà valore eterno. E sappiamo bene che chiunque altro, ed anche voi, se vi trovaste a disporre di una forza pari alla nostra, vi comportereste così» (La guerra del Peloponneso, 105).

● Il naturalista Carlo Linneo (1707-1778) affronta il tema della lotta per la sopravvivenza, convinto che l’ordine della Natura si conservi grazie alla reciproca distruzione: Dio ha voluto «che si mantenesse una giusta proporzione fra tutte le specie, e che fosse impedito che alcune si moltiplichino più del dovuto» (Oeconomia naturae, 1749; Politia naturae, 1760).

● Alessandro Manzoni (1785-1873) con una riuscita metafora riconosce a uno dei suoi personaggi una scarsa attitudine alla lotta per la vita: «Il nostro Abbondio non nobile, non ricco, coraggioso ancor meno, s’era dunque accorto […] d’essere, in quella società, come un vaso di terra cotta, costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro» (I Promessi sposi, cap. I).

● Charles Darwin (1809-1882) nel suo famoso trattato L’origine delle specie afferma: «Adopero il termine lotta per l’esistenza in un senso largo e metaforico, comprendente le relazioni di mutua dipendenza degli esseri organizzati, e (ciò che più conta) non solo la vita dell’individuo, ma le probabilità di lasciare una posterità. […] Quindi nascendo un numero d’individui superiore a quello che può vivere, deve certamente esistere una seria lotta per l’esistenza, sia fra gli individui della medesima specie, sia fra quelli di specie diverse, oppure contro le condizioni fisiche della vita».

CONTRO  Si dimostri che gli uomini tendono ad aiutarsi con spirito altruistico.

● Il poeta greco Esiodo (VII sec. a.C.) nella fabula dello sparviero e l’usignolo afferma: «E tu, Perse, ascolta Giustizia, non fomentare violenza; Violenza è un male per il povero, ma neppure il potente facilmente può sopportarla e resta piegato sotto il suo peso, qualora si imbatta in Sciagura; la via che per altra strada conduce al bene è la migliore; la giustizia prevale sulla violenza quando si compie e lo sciocco lo impara a sue spese» (Le opere e i giorni; trad. S. Romani).

● Al verso 77 dell’Heautontimorúmenos Terenzio (II sec. a.C.) fa pronunciare a uno dei suoi personaggio una sententia divenuta il manifesto dell’humanitas: «Homo sum: humani nihil a me alienum puto» (T4, p. 235).

● In due passi del trattato De finibus bonorum et malorum Cicerone (106-43 a.C.) definisce lo spirito di solidarietà e fratellanza che unisce tutti gli uomini: «È naturale anche la reciproca solidarietà degli uomini fra di loro, per cui necessariamente un uomo non può risultare un estraneo per un altro uomo, per il fatto stesso che è un uomo. […] Non vi è nulla tanto illustre né di così vasta estensione quanto l’unione degli uomini fra di loro e per così dire una specie di alleanza e compartecipazione reciproca delle utilità e lo stesso vincolo di affetto fra il genere umano» (3, 63; 5, 65; trad. N. Marinone).

● Alessandro Manzoni (1785-1873) nel II capitolo dei Promessi sposi afferma: «I provocatori, i soverchiatori, tutti coloro che, in qualunque modo, fanno torto altrui, sono rei, non solo del male che commettono, ma del pervertimento ancora a cui portano gli animi degli offesi».

163 Unità 3 PLAUTO DISPUTATIO
Ti suggeriamo qualche spunto da approfondire per sostenere l’argomentazione e per controargomentare.

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