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#arteborghi: L'arte in piedi
L ’impegno “a volte grandioso, a volte immane” di Antonio Fraddosio per l’ambiente, una deflagrazione dello spirito contro il degrado ambientale. È l’esplosivo messaggio artistico dello scultore Antonio Fraddosio (Barletta, 1951) che afferma: «L’arte e ogni manifestazione creativa dell’intelletto non possono prescindere da valori spirituali». Sono queste le parole di un artista che si definisce militante, per il quale «creare un’opera d’arte in questo momento storico è soprattutto un atto politico di reazione a un potere economico-finanziario
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globalizzato che ci costringe sempre di più a una condizione servile». Così l’installazione Le tute e l’acciaio (Galleria d’Arte Moderna, Roma; 1° novembre 2018 - 3 marzo 2019) ha riesumato il problema ambientale del caso Ilva di Taranto, e il coinvolgimento emotivo dell’artista pugliese sulla problematica è evidente: «I miei ricordi di Taranto prima dell’Italsider sono netti, ancora vivi nella mia memoria. Taranto era una splendida città, posata tra due mari (…) colori e odori che da troppo tempo non esistono più (…) una città di pietra dorata».
Il caso Ilva
«A rrivavo da Martina Franca - prosegue Antonio Fraddosio - Taranto non c’era più. Vidi un inferno di fuoco e di fumo. La più grande acciaieria d’Europa aveva mangiato la città». Toccanti le parole dell’artista, intense le sue opere: «Il mio lavoro - spiega l’autore - non si limita a denunciare il degrado ambientale in sé, ma vuole indicarne le cause originarie». Ed è da questa volontà che scaturiscono, secondo una citazione di Gabriele Simongini (Catalogo GAM Roma), le «dieci grandi lamiere lacerate e contorte, potenti e misteriose, dai colori velenosi, mortali ispirati al
manto di ruggine, alla polvere pesante, rossastra, dalle sfumature marroni e nere, che avvolge e soffoca la città». Lamiere che, come tute di operai appese fuori dalle docce dopo il turno lavorativo, portano impresso il calco dei corpi e trasmettono dolore, morte e distruzione. Un’opera di grande impatto per i forti ideali dell’artista, che commenta: «La mia installazione è dedicata ai gravi effetti che il degrado ambientale ha sul territorio e sulle persone» ed è attraverso la denuncia del terribile disastro, da quelle lamiere contorte che emerge anche una visione di speranza.
I temi universali
Racconta l’autore il suo percorso artistico: «Sono arrivato a questi miei ultimi lavori dopo una serie di cicli di opere che osservano l’evoluzione complessiva degli ultimi decenni». Le tute e l’acciaio fa parte infatti di un ciclo artistico intitolato Quello che resta dello sviluppo, ma molti altri sono i temi di carattere universale portati avanti nell’opera di Antonio Fraddosio. Già negli anni 90 aveva dato il via al ciclo Animale sociale, ispirato alla condizione esistenziale dell’umanità contemporanea, seguito dal ciclo La costruzione della distruzione,
Umanità e libertà
Antonio Fraddosio continua a raccontare il proprio percorso artistico: i cicli Resistenti oltre si ispirano a figure che si sono battute per gli ideali di libertà e Salvarsi dal naufragio solleva invece il tema del grande esodo dei popoli del sud del mondo visto più nell’ottica di una deportazione. Nel 2011 interviene, come ospite, alla 54esima Esposizione Internazionale d’Arte Biennale di Venezia - Padiglione Italia e presenta l’opera cardine La bandiera nera nella gabbia sospesa. Afferma l’autore: «Si tratta di una grande bandiera lacerata
e pietrificata nel suo sventolare. Il colore nero simboleggia la più alta utopica forma di democrazia: l’anarchia. Quel vessillo non sventola più, è lacerato, chiuso in una vera e propria gabbia sospesa che, attraverso una serie di ingranaggi, ne consente pochi rigidi movimenti. Al contrario, una bandiera dovrebbe sventolare morbida, libera. In fondo il potere questo fa: distrugge lentamente l’essenza stessa dell’essere umano». (Testi originali liberamente tratti da un’intervista di Carmelita Brunetti all’artista).