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La Leggenda, di Papà Lucerna e del santo protettore dei guardiani dei fari
Siamo a Portovenere, in provincia della Spezia, e il nostro sguardo è rivolto a sud, verso quel tratto di mare che è molto caro ai naviganti di queste coste. In queste poche miglia nautiche sono nate non solo leggende marinare, ma anche un uomo leggendario. Un vero e proprio santo che ha dedicato gran parte della sua vita alla salvaguardia di chi il mare doveva navigarlo, un po’ per vivere, un po’ per necessità. Forse non a caso questo sant’uomo è nato su un’isola la cui nascita è legata alla leggenda di un altro personaggio leggendario. Non ci resta che iniziare dal principio e… salpare.
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Papà Lucerna
Papà Lucerna nacque debole e gracile tanto che la madre, vergognandosi del figlio, lo abbandonò. Una sua zia decise di adottarlo e per rimetterlo in forze usò uno stratagemma piuttosto particolare: lo appese al soffitto aspettando che il fumo e l’aria calda della casa lo rendessero più forte. Non solo lo stratagemma funzionò, ma addirittura Papà Lucerna divenne prestante e atletico. Non è chiaro se si deve alla strana cura anche il fatto che Papà Lucerna avesse una grande inventiva che metteva in pratica ogni qualvolta se ne presentava l’occasione: costruiva mirabili oggetti per la pesca che vendeva con discreto successo, per esempio.
Fratelli invidiosi
Visto il notevole miglioramento del figlio, la madre di Papà Lucerna lo riaccolse in famiglia ma i suoi quattro fratelli non fecero i salti di gioia per l’avvenimento. Lo vedevano con malanimo in quanto Papà Lucerna era in tutto, e di gran lunga, migliore di loro. Più forte, più bello, più intelligente, Papà Lucerna usava gli attrezzi di sua invenzione per la pesca e pescava molto più dei quattro fratelli, i quali, stracolmi di invidia, cercavano in tutti i modi di imitarlo con penosi e imbarazzanti insuccessi. Come la faccenda delle nasse. Si dice che Papà Lucerna inventò questo tipo di paniere di vimini che intrappolava i pesci grazie a un’apertura a tronco di cono. Una volta dentro, la preda non poteva più uscire. I fratelli di Papà Lucerna inventarono anche loro qualcosa di simile, ma non capirono che dotando i panieri di due aperture facevano sì che i pesci entrassero da una ma uscissero dall’altra. Tutti si fecero beffa di loro e questo fu lo smacco decisivo. Da quel giorno non vollero più Papà Lucerna in barca con loro e gli portarono via tutti gli attrezzi da pesca inclusi ami, esche e lenze.
La Palmaria e la grande nave
Ma Papà Lucerna non era tipo da farsi scoraggiare da certi mezzucci e torcendo una caviglia di ferro (attrezzo che serve a tenere insieme le assi delle navi) ne ricavò un amo che, unito a una fune, lanciò in mare dalla punta del promontorio di Portovenere. I quattro fratelli guardavano Papà Lucerna e quella sua lenza improvvisata con un’incuriosita aria di beffa ma dopo qualche istante, ecco uno strattone! Qualcosa aveva abboccato e sembrava essere bello grosso. Papà Lucerna raccolse tutte le sue forze e, davanti allo stupore generale, il pescatore tirò fuori dal mare un’intera isola: la Palmaria. Questa fu una delle ultime imprese di Papà Lucerna su queste coste prima di prendere il comando della sua grande nave. Una nave dalle dimensioni talmente grandi che i comandi del capitano venivano passati tramite messaggeri a cavallo e se si doveva andare da poppa verso prua, si partiva da giovani e si arrivava con i capelli bianchi. La grande nave di Papà Lucerna era destinata a navigare per sempre e non attraccare mai in nessun porto. Un equipaggio operoso e felice, guidato da un leggendario comandante, esperto, e dagli occhi buoni, su acque tranquille. Si dice che vederla all’orizzonte sia segno di buon auspicio e buona navigazione.
Venerio
Passarono secoli, o forse millenni, e su quella stessa isola tirata in secca da Papà Lucerna, Palmaria, nacque Venerio (circa nel 560 dopo Cristo). Nato da famiglia nobile e abile negli studi, Venerio fu presto ordinato sacerdote ma forse furono queste qualità, che avrebbero potuto portarlo sulla via della superbia, ad avvicinarlo a una vita monastica di povertà, meditazione e penitenza. Dopo aver sconfitto l’eresia che si stava insediando in Portovenere, Venerio ne divenne abate e, sempre con questa carica, sconfisse dei nuclei ariani sulle pendici rupestri di Capo Corvo. La sua vita monastica lo portò anche in Corsica dove diede vita a nuove comunità religiose. La fama di nobile uomo di chiesa si era ormai sparsa nel golfo della Spezia ma fu proprio questo che forse spinse Venerio a rifugiarsi sull’Isola del Tino, rinunciando volontariamente alla carica di abate, portando avanti una vita da eremita.
Il santo marinaio
La vita solitaria dell’isola non impedì a Venerio di fare del bene, anzi era un uomo miracoloso. Durante la sua permanenza sull’Isola del Tino fece molto: ogni notte accendeva dei grandi fuochi per fornire ai naviganti un riferimento nell’oscurità; resuscitò due annegati e un marinaio colpito da una roccia; propiziò il vento per la navigazione o suscitò tempeste quando ce ne fu bisogno e sembra fu responsabile per l’utilizzo della pratica dell’armo latino (una vela triangolare con antenna ideale per risalire il vento) in quelle acque. I fedeli del golfo gli portavano dell’orzo e questo cresceva anche fuori stagione grazie alla benevolenza divina. Sembra anche che Venerio ricacciò in mare un enorme pesce, forse un drago, che minacciava i naviganti e distruggeva imbarcazioni, chiedendoglielo nel nome della Santa Trinità. Per la sua fama di sant’uomo ricevette visite di ambasciatori da parte del papa Gregorio Magno, di cardinali di Roma e di Costantinopoli e forse anche dallo stesso imperatore Bizantino, Foca. Ma tutta questa notorietà era esattamente ciò che Venerio voleva evitare e un giorno scappò in Corsica con la promessa di tornare sulla sua isola solo dopo aver ricevuto la premonizione della propria morte. Quando questo avvenne, ottenne il passaggio da una nave diretta in Sardegna e, una volta giunto sull’Isola del Tino, morì.
Il suo faro
La vita di quello che ormai era già San Venerio era legata al mare e alla sua gente tanto che oggi è il Santo Protettore del golfo della Spezia, di Reggiolo, di Reggio Emilia ed è anche santo patrono dei fanalisti italiani (coloro che si occupano del funzionamento dei fari marittimi). Su quell’isola, tanto amata dal santo, fu eretto un monastero benedettino del quale si possono ancora vedere i resti e che dopo la morte del santo fu centro di divulgazione delle sue imprese in ogni angolo del Mar Ligure e dell’alto Mar Tirreno. Sempre sull’Isola del Tino, i Genovesi costruirono un torrione che venne utilizzato in seguito come basamento per l’attuale faro che, inizialmente, rischiarava le notti dei naviganti alimentato con oli vegetali. Nel 1840 venne costruita la torre del faro che ancora rischiara le notti di questa porzione di Mar Ligure. Il patrimonio dell’Isola del Tino è salvaguardato e valorizzato dalla Marina Militare Italiana e dal 2020 dall’Associazione Amici dell’Isola del Tino, un’associazione formata da un gruppo di persone appassionate di storia, mare, ambiente e navigazione. I primi a sostenere che l’Isola del Tino sia un’isola di luce.
Papà Lucerna e San Venerio. Due figure che rappresentano la devozione e il rispetto dell’uomo per il mare. Tornando brevemente alla grande nave di Papà Lucerna, mi immagino la grande nave, durante una notte senza luna, fare l’inchino alla luce del faro dell’Isola del Tino mentre il capitano dagli occhi buoni agita la mano in segno di saluto a San Venerio.