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LA PAROLA ALL’ESPERTO: Benessere animale arriva l’etichetta europea
Il Consiglio per l’agricoltura della UE lancia l’etichetta europea per il benessere animale. Meglio un’azione coordinata di tante iniziative singole che disorientano il consumatore BENESSERE ANIMALE, arriva l’etichetta europea
Giuseppe L. Pastori - Tecnologo Alimentare
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Tra i temi di attualità che possono interessare il settore del commercio e della lavorazione delle carni, legati anche al consumo e alla trasformazione in prodotti di salumeria, torna prepotentemente alla ribalta il progetto di un’etichetta europea relativa al benessere animale. Tale progetto richiede anche la creazione di un apposito logo e l’emanazione di una normativa armonizzata tra tutti gli Stati dell’Unione. Rilanciata dalla Germania nel corso del suo semestre di Presidenza dell’UE sul finire dello scorso anno, la mozione presentata in Commissione Agricoltura chiede un’etichetta basata sul rispetto di regole produttive che valorizzino le migliori pratiche zootecniche e le scelte etiche. La proposta è stata appoggiata da una decina di Paesi, tra cui Italia, Francia e Spagna con i distinguo di Danimarca, Polonia e Ungheria che insistono sulla necessità di mantenere un sistema volontario. Accantonata per il momento ogni discussione sul tipo di etichetta nutrizionale suppletiva da apporre nella parte anteriore della confezione per l’opposizione dell’Italia al Nutriscore, l’iniziativa tedesca rilancia l’impegno per spingere la Commissione a garantire un maggiore benessere degli animali in Europa. Questo in considerazione del fatto che, seppure la legislazione europea sul benessere degli animali esprima uno degli standard più elevati al mondo, i consumatori dell’UE nel corso degli anni hanno espresso il desiderio di essere meglio informati sulle condizioni di allevamento degli animali. Un recente sondaggio di Eurobarometro sull’atteggiamento degli Europei nei confronti del benessere animale [1] (argomento che puntualmente viene riproposto a distanza di qualche anno), mostra che i cittadini attribuiscono grande importanza al loro benessere in termini di sostenibilità: l’82% degli intervistati nel 2021 ritiene necessario innalzare gli standard di benessere animale. I cittadini dell’UE ritengono importante stabilire norme internazionali in materia di benessere e pensano che l’UE dovrebbe promuovere una maggiore consapevolezza su questo tema a livello mondiale (anche se questo potrebbe creare attriti al di fuori dell’Unione Europea). Il benessere animale rappresenta oggi per il consumatore uno dei requisiti fondamentali per l’acquisto di un prodotto di carne (più ancora della Food Security). Per questo le industrie europee più attente ai principi etici di sostenibilità (che hanno una filiera integrale) hanno già modificato, su base volontaria, metodi di allevamento e di produzione, soprattutto riguardo l’allevamento in gabbia (come ad esempio la gestazione delle scrofe) e l’impiego di antibiotici, sebbene in quest’ultimo caso un presidio veterinario per la cura delle malattie a volte sia necessario mantenerlo. I paesi extraeuropei, di riflesso, si stanno adeguando a questo cambiamento di rotta anche se permangono distinguo e talvolta critiche, specie tra i Paesi ad economia forte come gli USA che hanno affrontato più lentamente questo argomento. I cittadini dichiarano inoltre di essere disposti a pagare di più per prodotti rispettosi del benessere degli animali, ma ritengono che la loro disponibilità sia ancora limitata. L’applicazione di determinati standard per il
benessere degli animali genera sicuramente dei costi per gli operatori economici. Nel 2010 la DG SANTE ha stimato [2] che tali costi ammontavano al 2% del prodotto agricolo, ma ha anche concluso che i vantaggi di avanzati standard di benessere degli animali sono una maggiore produttività, una qualità dei prodotti superiore e una migliore immagine aziendale. È ampiamente provato [3] che il benessere degli animali influisca sulla qualità della carne. È importante un trattamento appropriato in azienda, durante il trasporto e nella fase precedente alla macellazione, perché la carne di animali feriti o sottoposti a stress può risultare meno pregiata in quanto pallida e meno tenera. L’opzione politica europea sta al passo con i cambiamenti e si adegua all’orientamento dei consumatori nel quadro della strategia “Farm to Fork”: in questo ambito la Commissione valuterà le opzioni per l’etichettatura del benessere degli animali per trasmettere meglio il valore attraverso la catena alimentare (tuttavia nell’ambito della riforma della PAC – Politica Agricola Comune per il periodo 2021-2027 non è al momento indicato come si prevede di finanziare questa attività). Da un lato la Commissione ha istituito – nell’ambito della piattaforma dell’UE sul benessere degli animali – un sottogruppo denominato “Animal welfare labelling” per assistere la Commissione stessa a raccogliere esperienze e opinioni riguardanti le informazioni da fornire ai consumatori sul benessere animale: analizzando i sistemi di certificazione esistenti, raccogliendo e stabilendo criteri per confrontare questi schemi, definendo linee base, indicatori e strumenti per monitorare i progressi delle azioni proposte. Dall’altro ha avviato, nel corso del primo semestre 2021, uno studio aperto al feedback dei cittadini al fine di preparare una revisione della legislazione sul benessere degli animali. Attualmente esiste un solo sistema di etichettatura obbligatorio in tutta l’UE sul benessere degli animali, che si applica alle uova da tavola. Si basa sulla normativa UE per le galline ovaiole [4] e definisce diversi metodi di produzione (gabbie, ruspanti, stalla, ecc.). Inoltre le norme UE sull’agricoltura biologica incoraggiano un elevato standard di benessere animale [5]. La UE mantiene un rigoroso strumento di controllo per garantire che le norme e i regolamenti in materia di prodotti biologici siano rispettati correttamente. E dato che l’agricoltura e l’allevamento biologici fanno parte di una catena di approvvigionamenti più ampia, che comprende i settori di trasformazione, di distribuzione e di vendita al dettaglio dei prodotti alimentari, anche questi ultimi sono soggetti a controlli.
LE LEGGI SUL BENESSERE DEGLI ANIMALI
Per oltre quarant’anni l’Unione europea ha promosso il benessere degli animali. Gli standard europei in questo ambito sono tra i più alti al mondo e l’UE è riconosciuta come leader globale. Il principio in base al quale “[…] l’Unione e gli Stati membri tengono pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti […]” è riportato a pieno titolo nell’art. 13 del Titolo II del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), risultato del Trattato di Lisbona del 2007 [6]. Le regole dell’UE hanno anche avuto un impatto positivo sulle norme dei paesi terzi. Tali norme riguardano principalmente animali da allevamento (in fattoria, durante il trasporto e al macello), ma anche la fauna, animali da laboratorio e animali domestici. Le prime norme a tutela degli animali da al-
levamento risalgono agli anni Settanta. La direttiva del 1998 stabilisce i criteri generici per la tutela degli animali allevati per la produzione di cibo, lana, pelle, pelliccia o per altri scopi - inclusi pesci, rettili e anfibi. La direttiva è basata sulla Convenzione europea sulla protezione degli animali negli allevamenti del 1978. Altre regole dell’UE stabiliscono i criteri per il benessere degli animali allevati durante l’abbattimento e la macellazione [7] e per le condizioni di allevamento di specifiche categorie di animali come vitelli, maiali e galline da uova. A ottobre 2018 gli eurodeputati hanno adottato un nuovo regolamento sui prodotti medicinali veterinari per ridurre l’uso di medicine volto a compensare condizioni di crescita povere o a far crescere più velocemente gli animali.
Il 10 giugno 2021 il Parlamento ha invitato la Commissione a presentare una proposta UE per vietare l’allevamento in gabbia entro il 2027
In linea con la strategia “dai campi alla tavola” per un’agricoltura più sostenibile, la Commissione europea sta attualmente rivalutando tutte le norme dell’UE sul benessere degli animali da allevamento. La strategia integrerà le norme già esistenti nell’UE e costituirà un quadro normativo generale per tutta la filiera alimentare. A corollario di questo quadro legislativo ci sono le norme UE per la protezione e il benessere degli animali durante il trasporto, approvate nel 2004. Tuttavia numerose sono le risoluzioni che da allora in poi il Parlamento europeo ha adottato per garantire che la politica agricola dell’UE migliori il benessere degli animali durante il trasporto. Il Parlamento ha chiesto alla Commissione di sostenere l’accorciamento delle catene di approvvigionamento, privilegiando il trasporto di carne a quello di animali vivi, oltre a garantire che le importazioni avvengano nel rispetto degli standard UE per il benessere degli animali. Il 10 giugno 2021 a seguito dell’iniziativa dei cittadini europei “End the Cage Age” [8] firmata da 1,4 milioni di cittadini europei, il Parlamento ha invitato la Commissione a presentare una proposta UE per vietare l’allevamento in gabbia entro il 2027. Altre iniziative legislative a favore degli animali riguardano la tutela della fauna e l’obiettivo di conservazione delle specie rare, minacciate o endemiche e degli habitat specifici; le regole sugli animali nei giardini zoologici (tra cui sistemazioni adeguate); un ampio quadro legislativo che regola gli studi condotti sugli animali (nella UE è vietato condurre test sugli animali per i cosmetici e vendere prodotti testati sugli animali); la tutela degli animali domestici per porre fine al commercio illegale di cani e gatti. Sostanzialmente il dibattito su come migliorare la comunicazione ai consumatori sul benessere degli animali nell’allevamento è in corso nell’UE da diversi anni, almeno dall’adozione nel 2002 del rapporto comunitario “Legislazione sul benessere degli animali d’allevamento nei paesi terzi e le implicazioni per l’UE” [9]. È stato poi ripreso dal Comitato economico e sociale europeo e dalla Commissione che nel 2007 hanno organizzato una conferenza intitolata “Benessere degli animali - Etichettare per migliorare?” [10], da cui è partito uno studio di fattibilità volto ad integrare le diverse politiche relative alla protezione degli animali. Ha poi prodotto una relazione concernente le opzioni di etichettatura relativa al benessere animale e l’istituzione di una rete europea di centri di riferimento [11]. Anche Eurobarometro ha effettuato a più riprese sondaggi sul tema, sia nel 2006 che nel 2015 laddove il 52% degli intervistati dichiarava di desiderare ricevere maggiori informazioni sulle condizioni in cui vengono trattati gli animali da allevamento [12]. Nulla però si è concretizzato fino ad oggi, tanto che nel 2018 la Corte dei Conti Europea in una relazione ufficiale sul benessere degli animali nella UE [13], osservava che le azioni comunitarie per accrescere il benessere animale hanno avuto un esito positivo sotto alcuni aspetti, ma la loro attuazione ha subito ritardi e persistono debolezze in determinati ambiti critici riguardanti il benessere degli animali in azienda, durante il trasporto e al macello.
LA SITUAZIONE ATTUALE IN GIRO PER IL MONDO: UNA GIUNGLA DI CERTIFICAZIONI NON TUTTE TRASPARENTI
Fornire un’informazione al consumatore più
completa possibile, per consentire una scelta consapevole dell’alimento (non solo per quanto concerne gli aspetti alimentari e nutrizionali ma anche sulle principali questioni etiche), sta diventando un fattore di competitività da non sottovalutare. Tuttavia la mancanza di regole comuni al di fuori di indirizzi definiti, non solo a livello Il punto di partenza per la preparazione di un’etichetta europeo ma oseremmo dire del commercio mondi tipo etico è che le diverse diale, portano al proliferaspecie animali e i metodi di re di iniziative volontarie o produzione abbiano i propri pseudo tali di regole prorequisiti standard: quindi occorre un’etichetta specifica che riguarda carni bovine, duttive legate soprattutto al benessere animale. latte, suini, uova, pollame Questo contribuisce a die ovini sorientare il consumatore piuttosto che aiutarlo e mettono in crisi la filiera dell’allevamento e della produzione, spesso costretta a prendere impegni diversi a seconda delle principali catene distributive. L’uso delle dichiarazioni sul benessere degli animali e sulla sostenibilità è aumentato notevolmente negli ultimi dieci anni, poiché i
Persistono debolezze consumatori sono diventati più consapevoli in determinati ambiti critici e preoccupati per la qualità del cibo e per riguardanti il benessere degli animali in azienda, durante il trasporto e al macello gli impatti negativi dell’agricoltura animale sull’ambiente. L’interesse del pubblico per queste affermazioni le rende mature per lo sfruttamento da parte delle aziende che vogliono attirare il crescente numero di consumatori alla ricerca di un’alternativa ai prodotti provenienti da sistemi di produzione intensiva: si diffondono a macchia di leopardo sulle confezioni di carne e uova etichette e sigilli che assicurano gli acquirenti che il bestiame, i maiali o i polli sono stati trattati bene. Però queste etichette possono altrettanto facilmente seminare confusione o persino indurre in errore gli acquirenti, che probabilmente sanno poco o niente del piccolo numero di
organizzazioni che creano la maggior parte di esse e controllano i produttori di cibo che le usano. Ciò che manca è un’effettiva assenza di trasparenza e di responsabilità, che in alcuni casi generano un vero e proprio inganno per i consumatori se le dichiarazioni dei produttori apposte in etichetta non sono supportate da alcuna prova a sostegno. In America, addirittura, l’istituto per il benessere degli animali (AWI), afferma che l’USDA non riesce a verificare le dichiarazioni delle etichette alimentari [14]. Perciò da più parti per proteggere i consumatori da affermazioni fuorvianti o fraudolente, si richiede alle Autorità governative ai massimi livelli di esercitare un maggiore controllo nell’approvazione dei diversi certificati che attestano il benessere animale, imponendo che gli organismi che li rilasciano siano a loro volta certificati da una terza parte indipendente. La situazione in Europa non è tanto differente riguardo questo tema, al punto che ogni azienda decide autonomamente se richiedere o meno un marchio. Ma fino ad oggi ci si è mossi all’interno di ciascuna nazione e non è evidente che tipo di impatto possa avere una certificazione nazionale al di fuori della nazione stessa se non si usa un linguaggio comune. Un prerequisito per il successo di un’etichetta di questo tipo è che attesti senza possibilità di equivoco che il prodotto sia il risultato di un preciso impegno volto effettivamente al benessere degli animali. Un prodotto etichettato in tal senso deve anche essere soggetto a un prezzo aggiuntivo di copertura dei costi che i consumatori sono disposti a pagare. È ovviamente necessario anche un volume di produzione sufficiente. Il punto di partenza per la preparazione di un’etichetta di tipo etico è che le diverse specie animali e i metodi di produzione abbiano i propri zione da cui proviene la carne, per rendere i consumatori protagonisti della transizione verso sistemi di allevamento più sostenibili, mediante una proposta di legge depositata in Parlamento lo scorso 25 maggio [16]. Questa proposta di legge è una battaglia che Legambiente e CIWF portano avanti da tempo per mettere ordine nelle informazioni riportate sulle etichette della carne oppure di latte e formaggi che troviamo al supermercato: diciture spesso generiche presentate come claim sul benessere animale, su bollini o bande adesive. Indicazioni di questo tipo non offrono in effetti alcuna garanzia sulle condizioni nelle quali sono tenuti gli animali negli allevamenti perché non ci sono indicazioni che permettano al consumatore di verificare la veridicità delle affermazioni (magari con un QR code che rimanda a una tracciabilità tipo blockchain). La proposta di legge vuole anche premiare e valorizzare gli allevamenti virtuosi che applicano su base volontaria standard di benessere superiori
La proposta di legge vuole premiare e valorizzare gli allevamenti virtuosi che applicano su base volontaria standard di benessere superiori rispetto ai requisiti minimi di legge
requisiti standard: quindi occorre un’etichetta specifica che riguarda carni bovine, latte, suini, uova, pollame e ovini. In Italia è stato istituito da poco il “Sistema di Qualità Nazionale per il Benessere Animale” (SQNBA), patrocinato dai Ministeri della Salute e delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali insieme con Accredia, l’Ente italiano di accreditamento, e inserito nella legge del 17 luglio 2020 numero 77, nell’articolo 224 bis [15]: “Al fine di assicurare un livello crescente di qualità alimentare e di sostenibilità economica, sociale e ambientale dei processi produttivi nel settore zootecnico, migliorare le condizioni di benessere e di salute degli animali e ridurre le emissioni nell’ambiente è istituito il “Sistema di qualità nazionale per il benessere animale”. Questo protocollo dovrebbe definire dei requisiti di salute e di benessere animale superiori a quelli delle pertinenti norme europee e nazionali. L’adesione al sistema è volontaria e vi accedono tutti gli operatori che si impegnano ad applicare la relativa disciplina e si sottopongono ai controlli previsti. Tuttavia il progetto ha destato forti preoccupazioni da parte di alcune associazioni come CIWF Italia (la divisione italiana dell’associazione Compassion in World Farming) e Legambiente, secondo cui il progetto è stato presentato in maniera generica, senza entrare nel merito dei criteri richiesti agli allevatori per acquisire la certificazione benessere animale. Per questo motivo, proprio Legambiente e CIWF Italia hanno proposto un’etichettatura volontaria ma unica e regolamentata a livello nazionale che specifichi quale tasso di benessere animale si raggiunga nel centro di produrispetto ai requisiti minimi di legge. Lo scopo di un’etichetta unica e regolamentata del benessere animale è anche quella di stimolare il mercato ad una produzione più attenta. La proposta di Legambiente e CIWF è attualmente articolata per gli allevamenti di capi di bestiame e per gli allevamenti di suini su cinque diversi livelli di benessere animale, identificati da 0 a 4 a partire dall’allevamento biologico che garantisce il massimo livello di benessere fino a quello di tipo intensivo in gabbia che si limita a rispettare i requisiti minimi di legge.
LE CONCLUSIONI A CUI È GIUNTA LA PIATTAFORMA EUROPEA PER UN’ETICHETTA SUL BENESSERE ANIMALE
La Piattaforma europea per il benessere animale - sottogruppo sull’etichettatura, istituita dalla Commissione, ha presentato il risultato dei suoi lavori lo scorso giugno. Il comitato condivide l’adozione di una etichetta volontaria che possa garantire un livello di informazione equivalente per i
consumatori di tutta l’UE, rendendo più trasparente il mercato (per l’intero ciclo di produzione, incluso il trasporto e la macellazione, interessando anche i prodotti trasformati o utilizzati nei servizi alimentari) e fornendo una migliore protezione ai produttori dell’UE che applicano standard elevati. L’etichetta sarebbe su base volontaria e rappresenterebbe un progresso, sapendo che l’accettazione di un’etichetta obbligatoria è limitata negli Stati membri, tuttavia potrebbe incappare nel rischio di avere un impatto limitato sul benessere degli animali se la copertura fosse ridotta. Sta alla Commissione però di sensibilizzare i consumatori attraverso una comunicazione sostanziale e verificando nel tempo, con controlli regolari, se si pongono le condizioni per arrivare a un’etichetta obbligatoria. Gli obiettivi di un marchio comune UE del benessere animale, declinato per ciascuna specie domestica presente sul mercato, è quello di: - rispondere alla domanda dei consumatori di informazioni chiare e affidabili; - offrire ai consumatori la possibilità di scegliere il livello in base a ciò che intendono pagare; - offrire agli operatori commerciali gli incentivi per migliorare i propri standard nel loro spazio; - offrire agli operatori commerciali la possibilità di mettere in campo iniziative di alto livello in tutte le occasioni di etichettatura del benessere; - fornire un quadro di riferimento per il miglioramento continuo dei livelli di benessere degli animali. Il Gruppo di lavoro raccomanda l’adozione di un’etichetta a più livelli perché offre una maggiore scelta e rende il prodotto più accessibile per i diversi consumatori. Un’etichetta multilivello permetterebbe un migliore adattamento delle etichette e degli standard esistenti nell’etichetta dell’UE. Come tale, l’etichetta deve presentare dei requisiti minimi di gestione, avere standard tecnici definiti, fornire adeguati metodi di controllo delle conformità e delle sanzioni. Deve, inoltre, avere un’applicazione flessibile per tener conto della diversità degli allevamenti nell’UE e delle etichette esistenti in materia di benessere degli animali, riconoscendo che ci sono già molte iniziative negli Stati membri che non dovrebbero essere accantonate se il sistema proposto dalla UE fosse rigido e inflessibile. A livello comunicativo il logo specifico o l’immagine che verrà adottata deve essere utile sia per i consumatori che i produttori.
LE POSSIBILI CONTROVERSIE NELL’AMBITO DEL WTO
Sebbene l’orientamento del Consiglio dell’Unione europea verso un’etichetta sul benessere degli animali sia consolidato negli atti [17] e lo si intenda come un valore aggiunto per aiutare i consumatori a identificare e premiare gli agricoltori che investono di più nella zootecnia, ci sono economisti che valutano questa azione in un’ottica di restrizione al commercio verso Paesi Terzi che esportano verso l’Europa. Secondo l’opinione del professor Marc L. Busch della Walsh School of Foreign Service della Georgetown University, il nuovo mar-
chio dell’UE potrebbe essere vulnerabile a una sfida ai sensi delle regole dell’Organizzazione del Commercio Mondiale (WTO) se diventasse effettivamente una restrizione “mascherata” al commercio. Dal punto di vista del professor Busch, gli agricoltori che esportano nell’UE “diranno che i requisiti di registrazione e verifica sono onerosi e sproUn’etichetta a più livelli porzionati rispetto alla quantità di informaoffre una maggiore scelta zioni sull’etichetta. Insisteranno sul fatto che e rende il prodotto più i criteri controllati dall’etichetta si basano su accessibile per i diversi consumatori come gli agricoltori europei fanno le cose, non sulla scienza. E sosterranno che i criteri alfanumerici o i colori sull’etichetta verranno scambiati per uno standard di qualità o sanitario” [18]. Mentre la Commissione europea lavora per formulare i dettagli di questo nuovo schema di etichettatura a livello dell’UE, con tutta probabilità le aziende agroalimentari che esportano nell’UE vorranno monitorare da vicino i progressi e sostenere un sistema che non diventi una forma di protezionismo che discrimina i loro prodotti. Sarebbe tuttavia saggio da parte dell’UE imporre degli standard equivalenti di benessere animale sulle importazioni di carne in entrata nell’UE, che siano conformi alle regole del WTO, a condizione che siano basati su “motivi etici”, vista la crescente attenzione al benessere degli animali nell’UE, che rappresenta un tema chiave della politica alimentare di punta dell’UE, la strategia Farm to Fork. Nell’ottica di migliorare gli standard di benessere degli animali, la strategia definisce un piano per la Commissione al fine di rivedere la legislazione sul benessere degli animali per allinearla alle più recenti prove scientifiche, ampliarne il campo di applicazione, renderla più facile da mettere in atto e, in definitiva, garantire un livello più elevato del benessere animale. Sebbene questa spinta verso standard più elevati di benessere degli animali sia stata ampiamente accolta dai ministri dell’agricoltura che hanno approvato le conclusioni della Piattaforma del gruppo di lavoro sull’etichettatura del benessere animale, gli agricoltori della Comunità europea sono sempre più preoccupati dal fatto che l’imposizione di
Gli agricoltori della Comunità europea sono sempre più preoccupati dal fatto che l’imposizione di questi standard possa penalizzare le loro attività nei confronti delle importazioni di carne prodotta con standard inferiori da paesi terzi
questi standard possa penalizzare le loro attività nei confronti delle importazioni di carne prodotta con standard inferiori da paesi terzi (anche se c’è da osservare per esempio che persistono i divieti all’importazione e al commercio di carne trattata con ormoni o di polli al cloro, pratiche permesse negli USA). Detto ciò, un sistema di etichettatura per il benessere degli animali a livello dell’UE potrebbe giustificare qualsiasi restrizione sulle importazioni ed evitare un provvedimento di infrazione da parte del WTO solo a condizione che fosse basata su preoccupazioni etiche dimostrabili [19].
CONCLUSIONI
Il benessere degli animali è un obiettivo di politica pubblica importante e legittimo, è interesse del Consiglio dell’UE di fare in modo che un’etichetta comune non crei discriminazioni né all’esterno né all’interno. Sul fronte interno infatti si dovranno trovare forme mediate per garantire che i criteri da osservare siano raggiungibili da parte di tutti gli Stati membri. L’etichetta nel suo insieme riguarderà tutto il bestiame in ogni fase della sua vita, trasporto e macellazione compresi, ma deve anche tenere in considerazione le diverse condizioni geografiche e climatiche in tutta Europa. Per gli allevatori dovranno essere previsti degli incentivi per migliorare gli standard di benessere degli animali, così come per tutti gli operatori economici coinvolti. La domanda dovrà essere sostenuta da azioni di comunicazioni che alzino il livello di consapevolezza dei consumatori. Il futuro sistema di etichettatura deve basarsi su metriche oggettive e non soggettive o emotive. Questi obiettivi devono basarsi su prove scientifiche e agronomiche (e L’EFSA può essere un valido supporto nel mettere a disposizione i propri gruppi di esperti scientifici sulla salute e il benessere degli animali), devono essere misurabili e facilmente applicabili a tutta la catena agroalimentare. Inoltre, è bene rammentare a tutti – specie nel contesto del nostro commercio esterno alla Comunità – che nella UE si applicano alcuni dei più alti standard di produzione animale in tutto il mondo e in molti Stati membri gli agricoltori stanno già andando oltre i requisiti legislativi, utilizzando anche le tecnologie nell’ottica di migliorare gli standard di produzione. In tutta Europa, la diffusione di tecnologie (come quelle digitali), offre un aiuto prezioso nella gestione degli allevamenti, a partire dalle condizioni climatiche nelle stalle, dall’ottimizzazione della razione alimentare in funzione delle esigenze nutrizionali di ogni animale o gruppi di animali, dall’uso prudente degli antibiotici (e solo se sono indispensabili), che comportano minori sprechi, minori emissioni e aumentano le condizioni di benessere animale. Il benessere degli animali è parte integrante della strategia Farm to Fork (dal produttore al consumatore) dell’Unione Europea, che mira a rendere le pratiche agricole in Europa più sostenibili attraverso una politica alimentare integrata che coinvolge l’intera filiera produttiva. Il principio di fondo riconosciuto (K.E. Belk et alii, op. cit.) è che quando il benessere animale è elevato, anche la qualità del prodotto cui dà origine lo è, che sia un taglio di carne o un prodotto trasformato. Per rendere operativo il sistema resta solo da definire una data. Quando entrerà in vigore?
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Gli autori sono responsabili delle opinioni espresse negli articoli e delle relative bibliografie
Il nuovo sistema dei CONTROLLI UFFICIALI
Angela Mucciolo, Dottore in Scienze e Tecnologie delle Produzioni Animali Claudio Mucciolo, ASL di Salerno, Dipartimento di Prevenzione Area Sud - Servizio Igiene Alimenti di O. A.
Icontrolli ufficiali e le altre attività ufficiali effettuati per garantire l’applicazione della legislazione sugli alimenti e sui mangimi, delle norme sulla salute e sul benessere degli animali, sulla sanità delle piante nonché sui prodotti fitosanitari hanno subito un profondo cambiamento a decorrere dal 14 dicembre 2019 essendo applicabile il regolamento n. 2017/625/UE. Tale regolamento, unitamente ai relativi regolamenti esecutivi e delegati, riprende ed integra una parte consistente del corpus normativo esistente ed abroga ben dieci atti legislativi, tra cui il regolamento n. 854/2004/CE ed il regolamento n. 882/2004/CE.
SINTESI DEL CONTENUTO DEL REGOLAMENTO N. 625/2017/UE
Partiamo con alcune definizioni. Ai fini del regolamento in esame, per «controlli ufficiali» si intendono attività eseguite dalle autorità competenti o dagli organismi delegati o dalle persone fisiche cui sono stati delegati determinati compiti riguardanti i controlli ufficiali a norma del regolamento stesso al fine di verificare: 1. a) il rispetto, da parte degli operatori, delle norme del regolamento e della normativa emanata dall’Unione o dagli Stati membri in applicazione della normativa comunitaria nei settori infra indicati; 2. b) che gli animali e le merci soddisfino i requisiti prescritti dalla predetta normativa anche per quanto riguarda il rilascio di un certificato ufficiale o di un attestato ufficiale. Per «altre attività ufficiali» si intendono attività, diverse dai controlli ufficiali, che sono effettuate dalle autorità competenti o dagli organismi delegati o dalle persone fisiche cui sono state delegate alcune altre attività ufficiali a norma del regolamento stesso e della ridetta normativa, incluse le attività tese ad accertare la presenza e/o a prevenire o contenere e/o a eradicare la diffusione di malattie animali o di organismi nocivi per le piante, a rilasciare autorizzazioni o approvazioni e a rilasciare certificati ufficiali o attestati ufficiali. Quanto all’oggetto e all’ambito di applicazione, il regolamento n. 2017/625/UE disciplina: 1. l’esecuzione dei controlli ufficiali e delle altre attività ufficiali effettuate dalle autorità competenti degli Stati membri; 2. il finanziamento dei controlli ufficiali; 3. l’assistenza amministrativa e la collaborazione tra gli Stati membri ai fini della corretta applicazione delle norme sopra indicate; 4. l’esecuzione dei controlli da parte della Commissione negli Stati membri e nei Paesi terzi; 5. l’adozione delle condizioni che devono essere soddisfatte in relazione ad animali e merci che entrano nell’Unione da un Paese terzo; 6. l’istituzione di un sistema informatico per il trattamento delle informazioni e dei dati relativi ai controlli ufficiali. Il regolamento si applica ai controlli ufficiali effettuati per verificare la conformità alla normativa, emanata dall’Unione o dagli Stati membri in applicazione della normativa dell’Unione nei seguenti settori relativi a: a) gli alimenti e la sicurezza alimentare, l’integrità e la salubrità, in tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione di alimenti, comprese le norme volte a garantire pratiche commerciali leali e a tutelare gli interessi e l’informazione dei consumatori, la fabbricazione e l’uso di materiali e oggetti destinati a venire a contatto con alimenti; b) l’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati (OGM) a fini di produzione di alimenti e mangimi; c) i mangimi e la sicurezza dei mangimi in qualsiasi fase della produzione, della trasformazione, della distribuzione e dell’uso di mangimi, comprese le norme volte a garantire pratiche commerciali leali e a tutelare la salute, gli interessi e l’informazione dei consumatori; d) le prescrizioni in materia di salute animale; e) la prevenzione e la riduzione al minimo dei rischi sanitari per l’uomo e per gli animali derivanti da sottoprodotti di origine animale e prodotti derivati; f) le prescrizioni in materia di benessere degli animali; g) le misure di protezione contro gli organismi nocivi per le piante; h) le prescrizioni per l’immissione in commercio e l’uso di prodotti fitosanitari e l’utilizzo sostenibile dei pesticidi, ad eccezione dell’attrezzatura per l’applicazione di pesticidi; i) la produzione biologica e l’etichettatura dei prodotti biologici; j) l’uso e l’etichettatura delle denominazioni di origine protette, delle indicazioni geografiche protette e delle specialità tradizionali garantite. Rientrano nell’ambito di applicazione del rego-
lamento in parola i controlli ufficiali eseguiti su animali e merci che entrano nell’UE e che sono destinati all’esportazione dall’UE. Come si può notare, il campo di applicazione del regolamento n. 625/2017/UE si estende al punto da ricomprendere pressoché l’intero settore agroalimentare, includendo disposizioni concernenti alimenti, mangimi, salute e benessere degli animali, sanità delle piante, prodotti fitosanitari, prodotti biologici ed OGM. In altri termini, il nuovo regolamento introduce una serie di regole generali al fine di creare un unico quadro giuridico uniforme per la certificazione ufficiale tra gli Stati membri, stabilendo norme atte a prevenire, eliminare o ridurre il livello di rischio per l’uomo, per gli animali e per le piante in tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione. Viene conservato l’approccio basato sul rischio, già presente nel regolamento n. 882/2004/CE, ma al concetto di rischio vengono conferite ulteriori connotazioni. In primis, la frequenza dei controlli attiene ai fattori di rischio che un prodotto o un processo presentano rispetto alla salute, alla sicurezza, al benessere degli animali o all’ambiente ed anche ai casi di frode, includendo nella valutazione del rischio anche i precedenti dati di conformità relativi all’operatore. Nel nuovo regolamento, il concetto di rischio non si limita al solo aspetto igienico sanitario, ma si estende alla mancata conformità a tutti gli aspetti della legislazione dell’Unione lungo tutta la filiera agroalimentare. Viene, quindi, rafforzata la lotta contro le frodi a mezzo della previsione dell’obbligo in capo alle autorità competenti di considerare la probabilità di pratiche ingannevoli o fraudolente al momento di decidere su di una appropriata frequenza dei controlli. In particolare, l’art. 9, relativo alle norme generali in materia di controlli ufficiali, stabilisce sul punto, alla lettera b), che le autorità competenti effettuano regolarmente controlli ufficiali su tutti gli operatori in base al rischio e con frequenza adeguata, in considerazione di eventuali informazioni indicanti la probabilità che i consumatori siano indotti in errore, in particolare relativamente alla natura, l’identità, le proprietà, la composizione, la quantità, il periodo di conservazione, il paese di origine o il luogo di provenienza, il metodo di fabbricazione o produzione degli alimenti [con ciò espressamente richiamando la disposizione di cui all’art. 7, parag. 1, lett. a) del regolamento n. 1169/2011/UE in materia di lealtà delle pratiche d’informazione ai consumatori]. Quanto al ruolo della pubblica autorità, una delle novità introdotte dal regolamento è il requisito specifico richiesto agli Stati membri di facilitare lo scambio di informazioni tra le autorità competenti e le altre autorità di controllo su eventuali ai prodotti di origine animale e ai sottoprodotti e prodotti derivati di origine animale provenienti da altri Stati membri. Il D. Lgs. n. 24/2021, è dedicato ai posti di controllo frontalieri del Ministero della salute, deputati ad effettuare i controlli ufficiali sulle partite destinate all’importazione nell’UE di animali, prodotti di origine animale, materiale germinale, sottoprodotti di origine animale, fieno e paglia, prodotti alimentari contenenti sia prodotti di origine vegetale sia prodotti trasformati di origine animale, nonché merci identificate come a rischio dalla Commissione europea o per le quali siano state adottate misure di emergenza o cautelari. Il D. Lgs. n. 32/2021 riguarda le modalità di finanziamento dei controlli e delle altre attività ufficiali, con la definizione, negli allegati, delle tariffe poste a carico degli o.s.a. [2]. Ma è il D. Lgs. n. 27/2021 ad assumere maggiore rilevanza, sia per il relativo contenuto sia per le questioni interpretative e pratico-operative generate, che hanno occupato pagine e pagine di commenti da parte degli stakeholders nelle ultime settimane e che si sono guadagnate il titolo di cui al presente scritto.
casi di non conformità, al fine di effettuare una ricerca più rapida ed efficiente. Per l’esecuzione dei controlli ufficiali, il regolamento demanda agli Stati membri il compito di designare le autorità preposte ai controlli stessi, che verranno eseguiti generalmente, salvo eccezioni, senza alcun preavviso, in tutte le fasi di produzione, trasformazione, distribuzione ed uso di animali, beni e sostanze in base al rischio [1]. Gli Stati membri possono designare una sola autorità (modello monocentrico) o anche più autorità competenti ai controlli ufficiali, a seconda del livello di governo nazionale o locale (modello policentrico). In ogni caso, ai sensi dell’art. 4, parag. 2, lett. b) del regolamento, è soltanto una l’autorità competente designata ad intrattenere i rapporti con la Commissione europea e con quelle degli altri Stati membri.
A livello nazionale, con L. 4 ottobre 2019, n. 117 “Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea – Legge di delegazione europea 2018”, è stato definito il quadro legislativo alla luce del quale il Governo italiano ha emanato i provvedimenti per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento n. 2017/625/UE. A mezzo della predetta legge di delega, il Governo italiano ha emanato, nel mese di febbraio 2021, quattro decreti legislativi, di seguito elencati: 1. Decreto legislativo 2 febbraio 2021, n. 23; 2. Decreto legislativo 2 febbraio 2021, n. 24; 3. Decreto legislativo 2 febbraio 2021, n. 27; 4. Decreto legislativo 2 febbraio 2021, n. 32. Il D. Lgs. n. 23/2021 è dedicato all’organizzazione e ai compiti degli uffici veterinari per gli adempimenti comunitari, che eseguono i controlli ufficiali relativi agli animali, al materiale germinale,
IL DECRETO LEGISLATIVO N. 27/2021: ALCUNI CONTENUTI E LE PRIME ECLATANTI ABROGAZIONI NELL’AMBITO DELLA L. 283/1962 E DEL DPR 327/1980
Il D. Lgs. n. 27/2021 reca le disposizioni per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2017/625 ai sensi dell’articolo 12, lettere a), b), c), d) ed e) della legge 4 ottobre 2019, n. 117. Il Ministero della salute è l’autorità designata come organismo unico di coordinamento, munito del ruolo di guida, responsabile dei rapporti con la Commissione europea e le autorità degli altri Stati membri, con l’ulteriore compito di redigere il Piano Nazionale di Controllo Pluriennale e di programmare ed eseguire i controlli ufficiali in
ambito alimentare avvalendosi dei propri uffici operativi, in collaborazione con le Asl. Il Ministero della salute, inoltre, è l’autorità competente anche alla vigilanza sulla conformità e sicurezza degli alimenti venduti online tramite il sistema e-commerce. Una riserva di competenza viene attribuita al Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (Mipaaf), in materia di vigilanza sugli aspetti commerciali (pratiche commerciali sleali, frodi, informazioni al consumatore, etichettatura di alimenti e mangimi), qualitativi (biologico, indicazioni geografiche come DOP e IGP) e sui fitosanitari/pesticidi [3]. Ma veniamo al sistema di abrogazioni introdotto all’alba di tale decreto. In particolare, l’art. 18, lett. b) dispone(va) l’abrogazione della legge 30 aprile 1962, n. 283, sulla disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande, facendo salve soltanto le disposizioni di cui agli art. 7, 10 e 22. La conseguenza principale è (stata) l’abrogazione, nello specifico, degli artt. 5, 6, 12 e 12-bis della legge 283/1962, ossia le norme relative alle ipotesi di reato per violazione delle regole igienico-sanitarie poste a presidio del corretto modus operandi dell’o.s.a. In particolare, l’art. 5 della legge 283/62 ha lo scopo di tutelare il cd. “ordine alimentare” vietando l’utilizzo, la detenzione per la vendita, la somministrazione e la distribuzione per il consumo di sostanze alimentari: a) private anche in parte dei propri elementi nutritivi, mescolate a sostanze di qualità inferiore o trattate in modo da variarne la composizione naturale, salvo quanto disposto da leggi e regolamenti speciali; b) in cattivo stato di conservazione; c) con cariche microbiche superiori ai limiti che saranno stabiliti dal regolamento di esecuzione o da ordinanze ministeriali; d) insudiciate, invase da parassiti, in stato di alterazione o comunque nocive, ovvero sottoposte a lavorazioni o trattamenti diretti a ma-
scherare un preesistente stato di alterazione; g) con aggiunta di additivi chimici di qualsiasi natura non autorizzati con decreto del Ministro per la sanità o, nel caso che siano stati autorizzati senza la osservanza delle norme prescritte per il loro impiego; h) che contengano residui di prodotti, usati in agricoltura per la protezione delle piante e a difesa delle sostanze alimentari immagazzinate, tossici per l’uomo. Tra gli altri articoli abrogati qui ricordiamo l’art. 6, relativo alle sanzioni penali (arresto e/o ammenda) per le violazioni delle disposizioni dell’art. 5 e l’art. 12, relativo al divieto di introdurre nel territorio nazionale sostanze non rispondenti ai requisiti di legge. La pressoché totale abrogazione della legge 283/1962 e, con essa, del citato articolo 5, è stata inizialmente considerata da alcuni come un’ipotesi di “depenalizzazione” della materia, residuando sanzioni amministrative alle quali, da quel momento in poi, si sarebbe dovuto fare riferimento per tutte le ipotesi di reato non implicanti la configurabilità dei delitti codicistici contenuti negli artt. 440 e ss. c.p. È stata, inoltre, ipotizzata un’ipotesi di incostituzionalità del decreto legislativo in parola, che sarebbe andato ben oltre i limiti della delega con-
ferita dal Parlamento al Governo, incidendo sulla materia sanzionatoria oltre quanto ragionevolmente riconducibile all’adattamento dell’ordinamento italiano al regolamento n. 2017/625/UE. Ex multis, il commento di V. Rubino merita di essere riproposto con trascrizione delle sue stesse parole: “(…) non di depenalizzazione si tratta, bensì di vera e propria abolitio criminis, con conseguenze non da poco sul piano processuale: a partire dal fatto che, rebus sic stantibus, i giudici avanti i quali pendono procedimenti penali per una delle molte fattispecie di cui agli artt. 5, 6 e 12 della l. 283/62 nel pronunciare sentenza assolutoria ai sensi dell’art. 530 co. 1 cpp (“perché il fatto non costituisce [più] reato”) non dovrebbero (rectius: non sarebbero tenuti a), disporre la contestuale trasmissione degli atti all’autorità amministrativa per la contestazione della ipotesi di illecito rinvenibile nelle corrispondenti (e sopravvissute) previsioni sanzionatorie amministrative. Infatti, come ha osservato la stessa Suprema Corte di Cassazione nella propria relazione 13/2021 del 17 marzo 2021 sulla materia “la derubricabilità in altrettanti illeciti amministrativi dei tralatizi fattireato articolati in una delle lettere componenti l’art. 5 l. n. 283 del 1962 non è né automatica né necessitata: non è praticabile in via generale, perché in subiecta materia non esiste un (primo) fronte di tutela amministrativa dal simmetrico contenuto omnicomprensivo. Le forme di “reazione” apprestate, in campo alimentare, a mero titolo amministrativo-sanzionatorio (in recepimento, per lo più, di regolamenti comunitari) sono segmentate per singolo comparto o per singola sostanza o processo tecnologico e si connotano in termini di marcata specialità, tant’è che la loro intrinseca frammentarietà e tassatività non sarebbe neppure superabile per via analogica (non consentita ex art. 14 prel.). In definitiva, quindi, la futura perseguibilità delle condotte un tempo ricadenti nell’alveo della legge 283/62 appare oggi “accidentale” e “pulviscolare”, a seconda del caso di specie. D’altra parte al medesimo risultato potrebbe giungersi anche ove si volesse riconoscere alla normativa in commento una volontà (intrinsecamente) depenalizzatrice: infatti, come ricordato da Cass. SS.UU. 28/6/2012, n. 25457, Campagne Rudie, laddove la norma abrogatrice (o, nell’ipotesi, depenalizzatrice) non contenga norme transitorie esplicite quali quelle di cui agli artt. 40 e 41 l. 689/81, “il giudice penale non ha l’obbligo di trasmettere gli atti all’autorità amministrativa competente a sanzionare l’illecito amministrativo”. In sostanza ci troveremmo di fronte a un vero e proprio “colpo di spugna” rispetto al passato, che determinerebbe non solo la cancellazione di tutti i procedimenti penali pendenti per le ipotesi di reato di cui sopra, ma anche al mancato avvio di altrettante contestazioni amministrative per via della mancata trasmissione degli atti da parte del giudice penale all’autorità competente a istruire il procedimento sanzionatorio. Un vero e proprio “pasticcio” uscito dalla penna di un legislatore frettoloso e maldestro, probabilmente preoccupato più di cogliere una occasione “storica” di superare il predominio delle “Procure” sulla materia alimentare che di dare vita a un sistema sanzionatorio chiaro, efficace, organico e completo”. Ora, il D. Lgs. n. 27/2021 è entrato in vigore il 26 marzo scorso. Acquisita la consapevolezza di avere introdotto una norma abrogativa con un effetto a dire poco dirompente, oltre che al di fuori di ogni logica, sia sul piano processuale sia anche su quello sostanziale, qualche giorno prima della data di entrata in vigore del D. Lgs. n. 27/2021, il Gover-
no ha emanato il Decreto Legge 22 marzo 2021, n. 42, contenente misure urgenti sulla disciplina sanzionatoria in materia di sicurezza alimentare, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 24 marzo scorso. Con tale DL si è provveduto a “salvare” molti degli articoli della L. 283/1962, precedentemente abrogati dall’art. 18 del D.Lgs. n. 27/2021. In particolare, l’art. 1 del DL così stabilisce: “All’articolo 18, comma 1, del D.lgs. 2 febbraio 2021, n. 27 sono apportate le seguenti modificazioni: - lettera b): «di cui agli articoli 7, 10 e 22» sono sostituite dalle seguenti: «di cui agli articoli 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 12-bis, 13, 17, 18, 19 e 22»; - lettera c): «fatta salva la disposizione di cui all’articolo 7» sono sostituite dalle seguenti:
«fatte salve le disposizioni di cui agli articoli 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10 e 12»; - alla lettera d): «fatta salva l’applicazione delle disposizioni di esecuzione degli articoli 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 12-bis, 13, 17, 18, 19 e 22 della legge 30 aprile 1962, n. 283, e successive modificazioni». Cosicché, a mezzo del ridetto decreto-legge, l’art. 18 del D. Lgs. n. 27/2021 si legge oggi nel modo seguente: “Art. 18 – Abrogazioni 1. Sono abrogati i seguenti provvedimenti: (…) 1. legge 30 aprile 1962, n. 283, recante modifica degli articoli 242, 243, 247, 250 e 262 del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265: disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande, fatte salve le disposizioni di cui agli articoli 5, 6, 7, 8, 9, 10 11, 12 ,12bis, 13, 17, 18, 19 e 22; 2. legge 26 febbraio 1963, n. 441, recante modifiche ed integrazioni alla legge n. 283 del 1962, fatta salva la disposizione di cui agli articoli 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 12; 3. decreto del Presidente della Repubblica 26 marzo 1980, n. 327, recante regolamento di esecuzione della legge 30 aprile 1962, n. 283, e successive modificazioni, in materia di disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande fatta salva l’applicazione delle disposizioni di esecuzione degli articoli 5, 6, 7, 8, 9, 10 11, 12, 12bis, 13, 17, 18, 19 e 22 della legge 30 aprile 1962, n. 283, e successive modificazioni; (…)”. Il DL 22 marzo 2021, n.42 è entrato in vigore il 25 marzo 2021, il giorno dopo la sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e, non a caso, un giorno prima dell’entrata in vigore del D. Lgs. n. 27/2021. Risolta in extremis la “faccenda” dell’abrogazione della 283, non è che il D. Lgs. n. 27/2021 ci abbia lasciato la più lineare e chiara delle discipline, specie con riferimento alle nuove disposizioni, contenute negli artt. 7 e 8, in materia di controlli ufficiali che si espletano a mezzo di campionamenti e prelevamenti. In particolare, proprio in relazione alle due norme sopra citate, la situazione che si è creata ha determinato confusione sulla modalità di esecuzione dei campioni nell’ambito dei controlli ufficiali e su quali misure adottare in caso di un esito analitico non conforme per il superamento del limite stabilito nella normativa, data l’antinomia che si è creata con l’adozione del decreto legge 22 marzo 2021, n. 42 rispetto le modalità operative e tecniche dei controlli ufficiali contenute nel decreto legislativo 27/2021 [4]. A seguito della pubblicazione del più problematico dei decreti legislativi – il n. 27/2021 – di adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento n. 2017/625/UE, analizziamo ora brevemente le due norme in esso contenute che hanno comportato maggiori questioni interpretative: gli articoli 7 e 8 dedicati, rispettivamente, alla controperizia ed alla controversia. Di tali due norme, delle questioni scaturenti dalla relativa applicazione in termini di garanzia del diritto di difesa dell’o.s.a. in sede penale e dei successivi interventi ad adiuvandum ad opera delle Regioni. Ci muoviamo nell’ambito del campionamento e del prelevamento di alimenti, in funzione dello svolgimento di controlli ufficiali, nonché delle conseguenze in punto di rilevata non conformità degli stessi. In particolare, l’art. 7 del D. Lgs. 27/2021, dedicato alla controperizia, così stabiliva prima dell’introduzione del DL 42/2021 (la norma viene riportata per estratti e con evidenziazioni aggiunte): Art. 7 – Controperizia 1. Se opportuno, pertinente e tecnicamente fattibile, le Autorità competenti (…), assicurano che, nel prelevare il campione, ne sia prelevata una quantità sufficiente per rendere disponibili tutte le aliquote previste, compresa quella destinata all’operatore per consentire allo stesso l’esame di parte presso un laboratorio di sua fiducia accreditato e quella per consentirgli l’espletamento dell’eventuale fase relativa alla controversia. Queste ultime aliquote non vengono prelevate in caso di espressa rinuncia dell’operatore o di un suo legale rappresentante, rinuncia che deve essere annotata nel verbale di prelievo.
In assenza di disposizioni specifiche europee e nazionali il campionamento viene effettuato secondo quanto riportato nell’allegato 1.
Per ciascun campione prelevato è compilato a cura dell’autorità competente un verbale di campionamento secondo le indicazioni riportate nell’allegato 1. 2. Qualora l’esito dell’analisi, prova o diagnosi da condurre non assicuri la riproducibilità dell’esito analitico, in considerazione della prevalenza e della distribuzione del pericolo negli animali o nelle merci, della deperibilità dei campioni o delle merci, come nel caso delle analisi microbiologiche finalizzate alla verifica dei criteri di sicurezza alimentare di cui alla normativa comunitaria e nazionale e per la ricerca di agenti patogeni negli altri settori (…), l’Autorità competente procede al prelievo del campione in un’unica aliquota specificando nel verbale di campionamento i relativi motivi che escludono la opportunità, la pertinenza o la fattibilità tecnica della ripetizione dell’analisi o della prova. Ai campioni di cui al presente comma non si applicano le disposizioni dell’articolo 223 del decreto legislativo n. 271 del 1989. 3. Il laboratorio ufficiale deve comunicare tempestivamente all’Autorità competente il risultato delle analisi, prove, diagnosi. 4. L’Autorità competente effettua la valutazione del risultato e comunica il più tempestivamente possibile alle parti interessate l’esito favorevole o sfavorevole delle analisi, prove, diagnosi. 5. Gli operatori (…) i cui animali o merci sono stati oggetto di controllo ufficiale mediante campionamento con esito sfavorevole, ai sensi dell’articolo 35 del Regolamento (n. 625/2017, n.d.a.) hanno diritto, a proprie spese, di fare condurre una controperizia a cura di un esperto di parte qualificato, consistente nell’esame documentale delle registrazioni inerenti le attività condotte dal momento del campionamento sino all’emissione del rapporto di prova relativo alla singola analisi, prova o diagnosi. L’esame documentale viene richiesto all’Autorità competente che ha effettuato il campionamento entro il termine
perentorio di quindici giorni dal ricevimento della comunicazione dell’esito sfavorevole.
Rientra nella controperizia l’esecuzione a proprie spese presso un laboratorio accreditato di propria fiducia dell’analisi, prova o diagnosi fatta effettuare dall’operatore sull’aliquota eventualmente resa disponibile al momento del campionamento. (…) L’allegato I del D. Lgs. 27/2021 – modalità di campionamento All’allegato 1 del decreto legislativo in parola sono riportate le modalità tecniche per l’effettuazione del campione. In particolare, ivi è previsto che il campione da inviare al laboratorio ufficiale per l’effettuazione delle analisi, prove, diagnosi è eseguito, di norma, in singola aliquota ed è accompagnato da copia del verbale anche in forma dematerializzata, nel rispetto del codice digitale della Pubblica Amministrazione. Qualora sia opportuno, pertinente e tecnicamente fattibile, vengono formate due ulteriori aliquote, omogenee tra loro, di cui: – una aliquota a disposizione dell’operatore per consentirgli l’effettuazione di un esame “di parte” a sue spese presso un laboratorio accreditato, di sua fiducia (controperizia ai sensi dell’art. 7 del decreto); – una aliquota per consentire, in caso di controversia ai sensi dell’art. 8 del decreto, l’esecuzione a spese dell’operatore di altre analisi, prove o diagnosi da parte dell’Istituto Superiore di Sanità. L’aliquota per la controperizia viene consegnata, al momento del prelievo, all’operatore o ad un suo rappresentante, corredata da una copia del verbale di prelievo, anche in forma dematerializzata. L’aliquota per le analisi in caso di controversia viene inviata al laboratorio ufficiale unitamente all’aliquota per l’analisi di prima istanza. Copia del verbale viene inviata in ogni caso all’impresa produttrice, qualora diversa all’operatore presso il quale è stato condotto il campionamento. L’aliquota per le analisi in caso di controversia rimane a disposizione dell’impresa produttrice, custodita presso il laboratorio ufficiale per 120 giorni. Superato tale termine il laboratorio può disporre dell’aliquota. Si veda, ora, l’art. 8 dedicato alla controversia: testo antecedente all’introduzione del DL 42/2021 (anche in tal caso, la norma viene riportata per estratti e con evidenziazioni aggiunte): Art. 8 – Controversia 1. L’operatore (…), che a seguito di controperizia effettuata con le modalità di cui all’articolo 7, comma 5 non condivida le valutazioni dell’autorità competente in merito alla non conformità può attivare, entro il termine perentorio di trenta giorni dal ricevimento
della comunicazione dell’esito sfavorevole, la procedura di controversia, richiedendo alle autorità competenti di potere far effettuare, a proprie spese, il riesame della documentazione relativa alla analisi, prova o diagnosi iniziale da parte dell’Istituto superiore di sanità (ISS). (…) L’ISS si esprime entro trenta giorni dal ricevimento della documentazione, trasmettendo l’esito della valutazione documentale alle parti interessate, all’Autorità competente e, per conoscenza, al laboratorio ufficiale che ha effettuato la prima analisi, prova o diagnosi. 2. Con apposita istanza e a proprie spese l’operatore, entro il termine perentorio di trenta giorni dal ricevimento dell’esito della valutazione della documentazione da parte dell’ISS, può chiedere allo stesso ISS, utilizzando l’eventuale apposita aliquota del campione di cui all’articolo 7, comma 1 del presente decreto, un’altra analisi, prova o diagnosi. (…) 3. L’ISS procede alla ripetizione dell’analisi, anche avvalendosi, laddove lo ritenga opportuno, di un altro laboratorio ufficiale, dallo stesso individuato, comunque diverso da quello che ha condotto la prima analisi prova o diagnosi. 4. L’Istituto superiore di sanità, entro sessanta giorni dal ricevimento dell’istanza, notifica all’operatore gli esiti della ripetizione dell’analisi prova o diagnosi effettuata in sede di controversia con le modalità stabilite agli articoli 137 e seguenti del c.p.c.. Gli esiti vengono comunicati anche all’Autorità competente che ha disposto il campionamento per l’adozione di eventuali ulteriori provvedimenti e al laboratorio ufficiale che ha eseguito la prima analisi, prova o diagnosi. 5. Nei settori di cui all’articolo 2, comma 1, le procedure di controversia contenute nel presente articolo sostituiscono: a) quelle stabilite dall’articolo 15 della legge 24 novembre 1981, n. 689, ivi compresa la revisione d’analisi; b) quelle stabilite dall’articolo 223 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271. Ora, proprio in relazione alle due norme sopra citate, la situazione che si è creata con il sistema di abrogazioni e “riesumazioni” trattato nella prima parte del presente elaborato, ha determinato confusione sulla modalità di esecuzione dei campioni nell’ambito dei controlli ufficiali e su quali misure adottare in caso di un esito analitico non conforme, in particolare a causa dell’esclusione dell’applicazione dell’art. 223 del D. Lgs. n. 271/1989 (ossia l’art. 223 disp. att. c.p.p.), espressamente prevista dai due articoli predetti, sia in sede di controperizia sia in relazione alla procedura di controversia. Si ricorda, sul punto, in particolare il comma 1 della norma da ultimo indicata, ove è stabilito che qualora nel corso di attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti si debbano eseguire analisi di campioni per le quali non è prevista la revisione, a cura dell’organo procedente è dato, anche oralmente, avviso all’interessato del giorno, dell’ora e del luogo dove le analisi verranno effettuate. L’interessato o persona di sua fiducia appositamente designata possono presenziare alle analisi, eventualmente con l’assistenza di un consulente tecnico. A tali persone spettano i poteri previsti dall’articolo 230 del codice (di procedura penale). Il che ha significato eliminare le garanzie per l’interessato – ergo, i presupposti per l’esercizio della difesa in sede penale – offerte dalla norma estromessa, da intendersi quale meccanismo diretto all’inserimento nel fascicolo del dibattimento dei verbali contenenti i risultati dell’attività di analisi svolta nel corso di attività amministrativa di ispezione o di vigilanza, in particolare avuto riguardo alle conseguenze giuridiche derivanti dalla tutt’altro che irrilevante ipotesi di patologia dei verbali stessi, che siano stati formati in violazione delle garanzie difensive previste proprio dal ridetto art. 223 disp. att. c.p.p. È così che, nell’ambito di questo “pasticciaccio brutto” costituito dalla ben poco felice formulazione del D. Lgs. 27/2021 e, in particolare nella sede qui considerata, dei relativi articoli 7 e 8, il DL 42/2021 è intervenuto non solo facendo “risorgere” buona parte delle norme della L. 283/1962, inspiegabilmente abrogate nel testo della prima ora del decreto n. 27 (vedasi la prima parte del presente elaborato) ma, con la relativa conversione in legge (L. n. 71/2021), si è anche provveduto: • da un lato, alla modificazione del comma 2 dell’art. 7, a mezzo della soppressione del periodo “Ai campioni di cui al presente comma non si applicano le disposizioni dell’articolo 223 del decreto legislativo n. 271 del 1989” e • dall’altro, alla modificazione del comma 5
dell’art. 8, mediante l’abrogazione della lettera b), che faceva – anch’essa – riferimento all’esclusione del medesimo art. 223 disp. att. c.p.p. in quanto sostituito dalle procedure di controversia previste all’art. 8 medesimo. Prima di pervenire a tale risultato, considerata l’antinomia venutasi a creare con l’adozione del DL 42/2021 (non ancora convertito in legge) rispetto alle modalità operative e tecniche dei controlli ufficiali contenute nel D. Lgs. 27/2021, la Commissione Salute della Conferenza StatoRegioni e delle Province autonome ha sentito l’esigenza di rappresentare ai Ministeri della salute e della giustizia e al Mipaaf l’urgenza di concordare un modus operandi valevole a garantire la continuità dei controlli ufficiali e delle azioni necessarie, in linea con le norme europee e nazionali di settore. Parimenti, il Coordinamento interregionale Area Prevenzione e Sanità pubblica ha a sua volta proposto al Ministero della salute le modalità di campionamento da seguire nei controlli ufficiali. In attesa, quindi, di appositi chiarimenti da parte del Ministero della salute, le Regioni hanno adottato un vademecum relativo: • alle modalità di campionamento e analisi in ipotesi di aliquota unica e diritto di difesa; • alle ipotesi di campionamento in 4 o 5 aliquote; • all’attività di monitoraggio; • alla procedura di valutazione e comunicazione dell’esito analitico. Successivamente, con Nota DGISAN n. 19604 dell’11 maggio 2021, il Ministero della salute, in risposta alla suddetta richiesta, è intervenuto fornendo indicazioni per l’esecuzione delle attività di campionamento e analisi di matrici afferenti agli ambiti di cui all’articolo 2, comma 1 del D. Lgs. 27/2021 nell’ambito dei controlli ufficiali di cui al regolamento (UE) 2017/625, in relazione alle disposizioni previste dal DL 22 marzo 2021 n. 42. In essa è chiarito che, al fine di evitare contenziosi tra le autorità competenti e gli operatori economici del settore alimentare dovuti alla differente garanzia del diritto alla difesa espressa nel regolamento (UE) 2017/625, esplicitata negli articoli 7 e 8 del decreto legislativo n. 27/2021, rispetto alla normativa nazionale in materia penale, per l’attività di campionamento si applicano le disposizioni previste dal DPR 327/1980 (ossia il regolamento di esecuzione della L. 283/1962). Qualora non venga assicurata la riproducibilità dell’esito analitico, in considerazione della prevalenza e della distribuzione del pericolo nelle merci, della deperibilità dei campioni o delle merci, come nel caso delle analisi microbiologiche finalizzate alla verifica dei criteri di sicurezza alimentare, l’autorità competente procederà ad effettuare un campione in unica aliquota specificando nel verbale di campionamento i motivi che escludono la opportunità, la pertinenza o la fattibilità tecnica per la ripetizione dell’analisi o della prova. A questi campioni si applicano le disposizioni previste nel comma 1 dell’articolo 223 del decreto legislativo n. 271 del 1989. A prescindere dalla modalità di campionamento adottata, la valutazione del risultato analitico compete all’autorità competente che ha effettuato il campionamento. L’Autorità competente deve comunicare il più tempestivamente possibile l’esito alle parti interessate. Qualora l’esito sia sfavorevole, gli operatori possono richiedere la controperizia documentale come previsto dai commi 3, 4 e 5 dell’articolo 7 del decreto legislativo 27/2021. Anche nel caso di controversia con ripetizione di analisi da parte dell’ISS, si applicano le procedure previste nel comma 2 dell’articolo 223 del decreto legislativo n. 271/1989 (ossia, l’art. 223 disp. att. c.p.p.). Solo dopo l’esito finale della controversia da parte dell’ISS l’autorità competente può dare seguito all’applicazione dell’articolo 5 della Legge 283/1962. L’esame documentale della controperizia e della controversia di cui agli articoli 7 e 8 del decreto legislativo 27/2021, si riferisce nello specifico alle registrazioni inerenti le attività condotte dal momento del campionamento sino all’emissione del rapporto di prova, escludendo la documentazione relativa all’accreditamento da parte di Accredia. Vengono, poi, specificate le modalità di campionamento che l’autorità competente deve applicare in assenza di specifiche disposizioni europee e/o nazionali: – 1 aliquota unica senza convocazione della parte in caso di indagini per la valutazione dei criteri di igiene di processo o comunque ove non ci sono limiti di legge sia chimici che microbiologici; – 1 aliquota unica nei casi previsti dall’art. 7, comma 2, con convocazione della parte ai sensi dell’art. 223 del decreto legislativo 271/89 (analisi unica irripetibile presso il primo laboratorio ufficiale con convocazione della parte ai sensi dell’art. 223 del decreto legislativo 271/1989); – 4/5 aliquote per i campionamenti per la determinazione analitica dei pericoli chimici ove sono previsti limiti di legge: 1. aliquota per analisi presso il primo laboratorio ufficiale; 2. aliquota per OSA presso cui è stato eseguito il campione che la fa analizzare presso laboratorio privato (Controperizia); 3. aliquota per OSA produttore in caso di preconfezionati (Controperizia); 4. aliquota per analisi di revisione presso l’ISS con convocazione della parte (Controversia); 5. aliquota a disposizione per eventuale perizia disposta dall’autorità giudiziaria presso primo laboratorio. Relativamente ai controlli sulle merci provenienti da Paesi terzi o da Paesi dell’UE, tenuto conto di quanto previsto dal Decreto legge recante “Misure urgenti sulla disciplina sanzionatoria in materia di sicurezza alimentare”, continuano ad applicarsi le modalità di campionamento indicate nella nota DGSAN n. 0015199-P del 10/05/2011. Resta fermo, anche per le attività di campionamento negli scambi intra-UE e nelle importazioni da Paesi terzi, quanto indicato nella nota in esame in relazione alle situazioni nelle quali è necessario procedere al prelievo di un campione in aliquota unica. Ed alla fine di questo raccapricciante iter, con la conversione nella L. 71/2021 del DL 42/2021 e, perciò, con la modificazione apportata ai suddetti commi degli articoli 7 e 8 del D. Lgs. 27/2021, i necessari chiarimenti offerti dal Ministero della salute con la predetta nota possono ritenersi, così, confermati.
Gli autori sono responsabili delle opinioni espresse negli articoli e delle relative bibliografie
BIBLIOGRAFIA
1 Tratto da M. GIOIA, Prime note sul regolamento n. 625/2017, in Diritto e Giurisprudenza Agraria Alimentare e dell’ambiente, www.rivistadga.it 2 Tratto da L. GALIZIA, Decreti nazionali sui controlli ufficiali, www.lexfood.it, 16 marzo 2021 3 L. GALIZIA, op. cit. 4 Così F. DE STEFANI, Applicazione del regolamento (UE) 2017/625 e della normativa correlata a seguito dell’entrata in vigore del DLvo 27/2021 e del DL 42/2021, LinkedIn, 13 aprile 2021.