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CHIEDETELO A
La rubrica “Chiedetelo a…” è uno spazio attraverso il quale i nostri lettori (ma anche la redazione stessa) possono avere risposte ad argomenti di diversa natura. Le domande devono essere inviate all’indirizzo email redazione@ecod.it I quesiti proposti saranno evasi da persone competenti negli specifici settori.
Peste suina africana, una malattia ancora presente sul territorio: cos’è ed è pericolosa per l’uomo?
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La peste suina africana (PSA) ha ripreso a dilagare in Europa: segnalata nel mese di novembre del 2021 in due allevamenti in Germania, ora è arrivata anche in Italia. All’inizio del 2022 è stata confermata la presenza di peste suina africana in tre carcasse di cinghiali selvatici, ritrovati in due comuni dell’alessandrino in Piemonte e in un comune della provincia di Genova. La peste suina africana è una malattia virale dei suini e dei cinghiali selvatici, solitamente letale. Non esistono vaccini né cure, i capi che contraggono l’infezione devono essere abbattuti e distrutti. È per questo che la malattia ha gravi conseguenze socio-economiche per il settore della suinicoltura nei Paesi in cui è diffusa. Gli esseri umani non sono sensibili alla malattia, anche se, avvertono gli scienziati, considerate le similitudini genetiche
tra suini e umani, le future mutazioni del virus potrebbero diventare pericolose. I segni tipici della peste suina africana sono simili a quelli della peste suina classica e, per distinguere l’una dall’altra, occorre una diagnosi di laboratorio. I sintomi tipici includono febbre, perdita di appetito, debolezza, aborti spontanei, emorragie interne con emorragie evidenti su orecchie e fianchi. Può verificarsi anche la morte improvvisa. I ceppi più aggressivi del virus causano il decesso entro 10 giorni dall’insorgenza dei primi sintomi. Tuttavia nel caso di ceppi virali meno aggressivi, gli animali possono superare la malattia, non mostrare i tipici segni clinici ed essere asintomatici, ma rimangono portatori del virus e possono contagiare altri suini sani. Maiali e cinghiali sani di solito vengono infettati tramite contatto diretto con animali malati (compreso il contatto tra suini che pascolano allo stato brado e cinghiali selvatici), tramite morsi di zecche infette o l’ingestione di carni o prodotti a base di carne di animali infetti; anche il contatto con qualunque oggetto contaminato dal virus, come abbigliamento, veicoli o attrezzature può trasmettere l’infezione. Secondo EFSA “la circolazione di animali infetti, i prodotti a base di carne di maiale contaminata e lo smaltimento illegale di carcasse sono le modalità più rilevanti di diffusione della malattia”. Nell’Africa sub-sahariana la peste suina africana è endemica (la PSA fu individuata per la prima volta fuori dal continente africano nel 1957 in Portogallo). Nel 2007 si sono verificati focolai infettivi in Georgia, Armenia, Azerbaigian nonché Russia
europea, Ucraina e Bielorussia. Da questi Paesi la malattia si è diffusa all’Unione Europea: nel 2014 sono stati segnalati i primi casi in Lituania, Polonia (dove compare anche nel 2019), Lettonia ed Estonia; nel 2017 la malattia è stata segnalata in Repubblica Ceca e in Romania; nel 2018 è comparsa in Ungheria, Bulgaria e Belgio. Nel 2020 sono stati segnalati i primi casi in Germania in animali selvatici e nello scorso anno è stato segnalato anche il primo caso di malattia nei suini domestici nella regione del Brandeburgo, vicino al confine con la Polonia. In Italia è presente dal 1978 in Sardegna. La Regione Sardegna ha applicato una rigida normativa per l’eradicazione della PSA, che ha di fatto eliminato il pascolo brado, riducendo il numero di animali non censiti e sanzionando chi non si fosse messo in regola. La certificazione di questo enorme lavoro di bonifica è stata confermata anche dagli ispettori UE e si prevedeva di terminarla al più tardi entro il 2020. Tuttavia fino a quando la PSA non verrà completamente eradicata e dichiarata indenne da questa regione, i mercati nazionali e internazionali non consentiranno l’ingresso dei prodotti trasformati - salsicce, prosciutti, ecc. - provenienti dalla Sardegna. Però ora che la malattia ha fatto la comparsa nel nordovest dell’Italia, diversi stati asiatici tra cui Cina, Giappone, Taiwan e Kuwait iniziano a sospendere le importazioni dall’Italia medesima (restrizioni sono state imposte anche dalla Svizzera), anche se al momento non risultano allevamenti colpiti e i Ministeri delle Politiche Agricole e della Sanità abbiano già avviato i protocolli per il contenimento e la sorveglianza come previsto dalle normative europee e nazionali. Gli allevamenti di suini sono soggetti a misure di biosicurezza elevate, conformemente all’ordinanza sull’igiene degli allevamenti, al fine di impedire l’ingresso di agenti patogeni di malattie dall’esterno, ma un particolare rischio di infezione esiste nel caso dell’allevamento all’aperto di suini domestici per cui occorre prestare attenzione per evitare il contatto con cinghiali selvatici. Tuttavia poiché non esiste oggi vaccino o cura e la malattia è spesso letale per l’animale colpito, è evidente che se il virus dovesse infettare un allevamento intensivo con grandi numeri di capi potrebbe causare ingenti danni alle produzioni zootecniche suine: sia direttamente a causa della mortalità, sia indirettamente a causa delle restrizioni al commercio nazionale e internazionale di suini e prodotti derivati che la presenza dell’infezione implica.
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Dal 2016 fino al 2020 si stima che l’Europa abbia perso 1.3 milioni di capi suini a causa della PSA, ma le conseguenze più letali e drammatiche sono avvenute in Cina dove dal 2018 al 2021 si stima – nonostante il governo cinese sia restio a comunicare i dati e a prendere provvedimenti contenitivi – che si sia perso almeno il 40% dell’intero patrimonio suinicolo. Ecco perché un aspetto evidente della crisi e dell’abbattimento di capi, soprattutto in mercati importanti come quello della Cina che del suino è un grande consumatore, è rappresentato dalle variazioni sensibili nei prezzi della carne di maiale anche sui mercati europei e nazionali, in relazione a domanda e offerta. L’unico modo per monitorare il rischio da PSA e pianificare le relative misure di controllo dovrebbe essere quello di acquisire dati sulle popolazioni di cinghiali selvatici. In Italia non è stato fatto molto fino ad oggi, anche se non è semplice monitorare la fauna selvatica non si è fatto molto per contenerla, tuttavia è possibile fermare la diffusione della malattia e proteggere i suini attraverso misure di individuazione, prevenzione e segnalazione ai servizi veterinari pubblici di qualunque caso, al fine di procedere con tempestività ai necessari accertamenti di laboratorio. In particolare, qualunque episodio di mortalità nel cinghiale rappresenta un caso sospetto e va segnalato. I provvedimenti del Governo, mediante l’ordinanza congiunta del Ministro della Salute d’intesa con il Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, dispongono il divieto di attività venatoria e altre attività all’aperto (trekking, jogging, mountain biking, la pesca e la raccolta di tartufi e funghi) che prevedono l’interazione diretta o indiretta con i cinghiali infetti o potenzialmente infetti, nella zona stabilita di 114 comuni situati in provincia di Alessandria, di Genova e in parte in quella di Savona. Con particolare riferimento alla trasmissione indiretta del virus, risulta fondamentale l’adozione di una serie di buone pratiche di prevenzione in caso di movimentazione di mezzi, animali e persone. Queste raccomandazioni sono particolarmente rivolte a chiunque provenga da aree in cui la malattia è presente e può, di conseguenza, rappresentare un veicolo inconsapevole di trasmissione del virus agli animali (turisti e viaggiatori, cacciatori, trasportatori, cittadini, ecc.): - disinfettare i mezzi con cui si trasportano gli animali; - non portare nella zona infetta prodotti a base di carne che non siano etichettati con bollo sanitario ovale; evitare di mangiare carni e salumi di ignota provenienza; - smaltire i rifiuti alimentari di qualunque tipo in contenitori idonei e chiusi e non somministrarli ai suini domestici; - non lasciare rifiuti alimentari, soprattutto quelli a base di carne, in aree accessibili ai cinghiali. Schede informative, infografiche e altri materiali comunicativi sono disponibili sui siti del Ministero della Salute e di EFSA.
Influenza aviaria: che cos’è? È pericolosa per l’uomo?
L’emergenza pandemica del Covid-19 non è la sola che preoccupa la sanità. In Europa stiamo assistendo a una delle più gravi forme influenzali che colpiscono gli animali: l’influenza aviaria, che può rientrare tra le zoonosi che possono nuocere all’uomo se la malattia viene trasmessa tramite il contatto con uccelli infetti oppure con superfici contaminate dalle loro feci, lettiere e piume. L’influenza aviaria è una malattia virale altamente contagiosa che colpisce principalmente il pollame e gli uccelli acquatici selvatici. I suoi virus sono ad alta patogenicità (HPAI, Highly Pathogenic Avian Influenza) o a bassa patogenicità (LPAI, Low Pathogenic Avian Influenza) a seconda delle caratteristiche molecolari del virus e della sua capacità di causare malattie e mortalità nei polli. Gli uccelli selvatici migratori sono ospiti naturali e serbatoi per tutti i tipi di virus dell’influenza aviaria, quindi svolgono un ruolo importante nell’evoluzione, nel mantenimento e nella diffusione di questi virus. Poiché non è possibile impedire totalmente il contatto del pollame con gli uccelli selvatici migratori e con i loro escrementi, ci sarà sempre un certo livello di rischio di introduzione dei virus dell’influenza aviaria dal momento che gli uccelli selvatici possono essere infettati dalla LPAI, ma più raramente dalla HPAI. L’influenza aviaria colpisce anche molte specie di uccelli domestici, tra cui polli da carne, tacchini, galline ovaiole, oche e altre specie di rilevanza alimentare. I fattori di rischio più importanti sono: - la potenziale mutazione del virus a bassa patogenicità
LPAI in virus ad alta patogenicità HPAI; - il contatto tra pollame e uccelli selvatici (principalmente uccelli acquatici migratori come oche e anatre, ma si contano oltre 50 specie di uccelli selvatici portatori sani); - il contatto con altri prodotti avicoli (feci, lettiera, piume e peluria); - il consumo di animali morti infettati nella catena alimentare animale e la diffusione (potenziale) tra altre specie. Poiché taluni ceppi di HPAI hanno affinità con i virus dell’influenza umana, gli esperti di salute pubblica ritengono plausibile che la forma HPAI potrebbe anche fondersi con il virus dell’influenza umana, saltare la barriera delle specie, diffondersi e avere un effetto devastante sulla popolazione umana. Tuttavia al momento questa è ritenuta ancora una ipotesi, in quanto i virus influenzali che colpiscono gli animali sono distinti dai virus dell’influenza umana e non si trasmettono facilmente tra le persone. Per la salute umana il rischio deriva dal contatto senza pro-
tezioni adeguate in ambienti contaminati con alta carica virale circolante e a stretto contatto con gli animali infetti, siano essi vivi o morti. Sono quindi situazioni a rischio i mercati di uccelli vivi, diverse fasi della lavorazione del pollame, come la macellazione, la spennatura, la manipolazione delle carcasse. Ciò avviene principalmente in Paesi a scarsa igiene come quelli dell’Asia centrale, soprattutto in Cina, dove periodicamente si manifestano nuovi focolai di infezione: la malattia si trasmette per stretto contatto con volatili domestici infetti attraverso secrezioni e feci disseccate degli animali, polveri inalate (respirate), oppure toccando con le mani - senza opportune protezioni (guanti, mascherina, ecc.) - oggetti o superfici contaminate e causare il contagio qualora fossero portate alla bocca, agli occhi o al naso. La sintomatologia è data da febbri alte e difficoltà respiratorie, simili all’influenza umana, con casi gravi che hanno portato al decesso di talune persone. Il rischio per la salute umana deriva anche dal consumo di cibo poco cotto ma è sufficiente mettere in pratica le indicazioni dell’OMS in materia di igiene alimentare nella manipolazione della carne cruda e nella preparazione degli alimenti con un’accurata cottura, per ridurre i rischi connessi a cibi contaminati. In Europa il rischio di trasmissione delle malattie da influenza aviaria per la popolazione in generale è considerato molto basso. Solo per le persone esposte in quanto lavoratori negli allevamenti è stimato ad un livello basso/medio, per lo più dovuto a inalazioni delle polveri poiché per lavorare è previsto di indossare appositi DPI – Dispositivi di protezione individuale. La legislazione UE stabilisce infatti specifiche disposizioni per la sorveglianza, il controllo e l’eradicazione dell’influenza aviaria. Dal 2003 gli Stati membri della UE devono attuare programmi di sorveglianza dell’influenza aviaria per l’individuazione precoce sia del virus ad alta patogenicità che di quello a bassa patogenicità. La sorveglianza è obbligatoria ai sensi del Regolamento di esecuzione (UE) n. 2020/690, a seguito dei focolai che si sono succeduti in questi ultimi anni (a partire dal 2016/2017). L’ondata epidemica del 2020/2021 risulta essere una delle più vaste mai accadute in Europa, a partire da ceppi euroasiatici di LPAI e da un riassortimento tra i virus HPAI europei, diffusasi dapprima nei Paesi dell’Europa dell’Est e del Nord, ora è arrivata anche in Italia. Al momento la regione più colpita risulta essere il Veneto, seguita da alcuni focolai in allevamenti di Lombardia ed Emilia-Romagna. Per tutti i casi sospetti di HPAI si devono prendere provvedimenti appropriati in conformità con il Regolamento (UE) 2016/429. Per limitare la diffusione, quando è accertato il virus ad alta patogenicità, devono essere attuate il più rapidamente possibile le misure di abbattimento, compresa la distruzione di tutti gli animali (prassi che va sotto il nome di “stamping out”). Anche i mangimi, le attrezzature contaminate, il letame e le lettiere devono essere distrutti o trattati per inattivare il virus. Per prevenire la diffusione della malattia, le Autorità competenti devono attuare restrizioni alla circolazione nell’intorno dello stabilimento interessato, definendo una zona di protezione e una di sorveglianza in un raggio di 3 o 10 chilometri. Se necessario le misure di abbattimento devono essere messe in atto anche negli stabilimenti vicini o che hanno avuto contatti con quello del focolaio. A livello di allevamento occorre prevenire il contatto diretto o indiretto del pollame con gli uccelli selvatici, insieme a misure igieniche preventive della stalla (pulizia, disinfezione). Tutte le misure adottate dalla Commissione mirano a fermare la diffusione della malattia, in linea con la legislazione comunitaria e i requisiti definiti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. All’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie è affidato il compito di monitorare la situazione in tutta Europa. Tutta la carne che arriva sul mercato è sicura perché i controlli veterinari sono efficaci: nessuna carne di pollame infetto o potenzialmente infetto potrà entrare o essere commercializzata in Italia (e in Europa, proveniente da paesi terzi, senza essere bonificata con adeguati trattamenti previsti dai regolamenti comunitari). Ciascun esercizio commerciale ha l’obbligo inoltre di documentare la tracciabilità dei prodotti acquistati e che vengono somministrati ai consumatori. In ogni caso il virus dell’influenza aviaria viene rapidamente inattivato dalla cottura. Il problema assume rilevanza economica poiché tutti i capi degli allevamenti infetti da HPAI (In Italia a dicembre 2021 si sono contati già 13 milioni di capi infetti) devono essere abbattuti ed eliminati e gli ambienti disinfettati accuratamente prima di reintrodurre nuovi animali sani.