![](https://assets.isu.pub/document-structure/210413082202-6728097ace04eba4cab9acc60b8323ce/v1/ab53754425c6226c26bc869b254345ad.jpg?width=720&quality=85%2C50)
4 minute read
Protegge i cibi e si può anche mangiare: è la “seconda pelle” degli alimenti
from GSA 7/2016
by edicomsrl
16
luglio 2016
protegge i cibi e si può anche mangiare: è la “seconda pelle” degli alimenti
Dalla Sicilia arriva un esempio virtuoso di economia circolare applicato al food: ecco le pellicole – eco studiate dal Cnr, e prodotte dagli scarti di agrumi, funghi e gamberetti. Aumentano la shelf life degli alimenti e sono perfettamente commestibili, senza alterare le proprietà organolettiche dei cibi.
Non sostituiscono il normale packaging dei cibi, ma avvolgono gli alimenti in una pellicola protettiva commestibile, totalmente inodore e insapore, che li protegge e ne aumenta considerevolmente la shelf life. Fino a oltre una settimana in più, mantenendone perfettamente le caratteristiche, e scusate se è poco.
Biopellicole dagli scarti degli agrumi
Stiamo parlando delle “biopellicole” a base di pectina e chitosano messe a punto dall’Isafom (Istituto per i sistemi agricoli e forestali del Mediterraneo) del Cnr Catania nell’ambito del progetto Pon Pectine coordinato dal Dipartimento bio agroalimentare (Disba) del Cnr, e già sperimentate in questi mesi su alcuni quintali di alimenti, dai carciofi ai fichi d’india. Ma facciamo un passo indietro e ascoltiamo Salvatore Raccuia, uno dei responsabili del progetto. “Nell’ambito di una serie di ricerche, partite anni fa, sulle nuove prospettive dell’economia circolare – spiega-, ci siamo occupati della valorizzazione di alcune tipologie di scarti. Tra questi, quelli provenienti dagli agrumi, di cui la Sicilia è ricchissima, e quelli dei carapaci dei gamberetti, anch’essi molto abbondanti nei nostri mari. Da questi ultimi, oltre che dai funghi, si può estrarre il chitosano, mentre dalle bucce degli agrumi si ricava la pectina, nella cui produzione la Sicilia è tra i leader mondiali.”
Un biofilm tutto naturale
La cosa interessante è che si tratta di due sostanze, già utilizzate nell’industria alimentare e quindi già registrate e indicabili in etichetta, con cui si può ottenere una soluzione, insieme ad acqua e acido citrico, in grado di “rivestire” alimenti come frutta e verdura. “Il procedimento è semplice” illustra Raccuia. “Basta immergere l’alimento in un “bagno” con la soluzione, ed esso ne emerge letteralmente rivestito dalla pellicola. Un po’ come mettere una mela nell’olio, insomma: solo che in questo caso si crea un biofilm che protegge il cibo perché crea, tra l’alimento e l’esterno, una barriera fisica e, in parte, chimica capace di contrastare spore o batteri. “Non per sempre –precisa il ricercatore-, perché trattandosi di prodotti naturali a un certo punto si crea una breccia da cui i microrganismi entrano. Ma quanto basta per aumentare anche considerevolmente la shelf life dell’alimento: protetti dalla nuova pellicola, i cuori di carciofo durano tra i 24 e i 28 giorni contro un massimo di 12 garantiti dalle pellicole di plastica, mentre i fichi d’India durano fino a 12 giorni, contro i 7 normali. Gli alimenti, comunque, devono essere conservati in frigorifero a 4 gradi centigradi, e venduti dentro le tradizionali vaschette.”
di Umberto Marchi
![](https://assets.isu.pub/document-structure/210413082202-6728097ace04eba4cab9acc60b8323ce/v1/4e6f299e2a278bd7b8a840bc2b274b4d.jpg?width=720&quality=85%2C50)
La sperimentazione
“Finora – prosegue Raccuia – abbiamo lavorato con fichi d’India pre-lavorati, che contenendo una grande quantità di zuccheri sono facilmente e rapidamente attaccabili dalle muffe, e cuori di carciofo già ripuliti e pronti al consumo, che contiene molti antiossidanti e tende ad indurirsi e annerirsi in fretta. Si tratta di due prodotti di nicchia che rappresentano molto bene il nostro territorio e richiedono una certa lavorazione per poter essere consumati, elemento che li ha resi particolarmente adatti a sperimentare le pellicole. E sinora ci siamo limitati a quantità relativamente basse, qualche quintale, grazie alla collaborazione di un’azienda locale. Nulla vieta però di pensare ad altre applicazioni, come frutti sbucciati o altro ancora, adatti per un certo tipo di consumatori, ad esempio quelli allergici alle bucce.”
Il costo: un limite che si può superare
Tra i limiti della soluzione c’è quello dei costi: “Abbiamo calcolato che i prodotti lavorati con il nostro biofilm possono arrivare a costare, al consumatore, anche il 20-25% in più rispetto al prezzo medio normale, perché il biofilm non si sostituisce al tradizionale packaging, ma si aggiunge ad esso incrementando i costi finali. Per ora, dunque, si potrebbe pensare ad alcuni prodotti di nicchia, ad esempio alcuni dell’agricoltura “bio”, su cui si spuntano prezzi più alti. Ma non dobbiamo scoraggiarci: “Finora abbiamo lavorato poche quantità di cibo, mentre con economie più di scala senza dubbio si potrebbe risparmiare qualcosa. Inoltre anche la stessa produzione delle materie prime potrebbe cambiare. Ad esempio stiamo pensando a creare, con scarti organici (e in questo caso si parla di tutti gli scarti organici, dai filtri del caffè a tutti i tipi di resti alimentari), un substrato dove coltivare funghi che, opportunamente sterilizzati, potrebbero fornire chitosano a minor costo. Nel breve periodo sappiamo bene che l’economia circolare comporta costi superiori rispetto a un’economia lineare. Ma sappiamo anche che i vantaggi a medio e lungo termine non tardano a farsi sentire.”
![](https://assets.isu.pub/document-structure/210413082202-6728097ace04eba4cab9acc60b8323ce/v1/15f382daaa2ee65a1b9e1e856ac30ca8.jpg?width=720&quality=85%2C50)
17
luglio 2016