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Prezzi di riferimento Anac in ambito sanitario. Dubbi sulla vincolatività

L’Anac, com’è noto, nel febbraio 2022, ha aggiornato i prezzi di riferimento in ambito sanitario dei servizi di lavanolo, di pulizia e di ristorazione, in considerazione delle dinamiche inflazionistiche registrate nel periodo attuale.Rispetto ai dati del 2013, il prezzo di riferimento del servizio di lavanolo (lavaggio e noleggio di biancheria) era stato rivalutato del 7,70 %, il servizio di pulizia del 10,55 %, e il servizio di ristorazione del 4,40%.

L’aggiornamento era stato effettuato sulla base degli indici dei prezzi Istat, in particolare: il FOI per i servizi di lavanolo (pubblicato da Istat il 22 febbraio); NIC mene per i servizi di ristorazione (pubblicato da Istat il 22 febbraio); indice dei prezzi alla produzione dei Servizi di pulizia e disinfestazione (terzo trimestre 2021) per i servizi di pulizia.Nel luglio 2022 (delibera n. 369 del 27.07.2022) l’Autorità è nuovamente intervenuta sui prezzi di riferimento del servizio di lavanolo, rivalutandoli dell’11,83%.L’aggiornamento è stato effettuato sulla base di un nuovo indice composito, denominato “Indice ponte”, appositamente elaborato da ANAC tenendo conto delle variazioni delle voci di bilancio delle imprese operanti nel settore lavanderia/ lavanolo rilevate tramite gli indici Istat.

L’elaborazione di un nuovo indice si è resa necessaria in seguito al significativo aumento dei costi di produzione –un incremento medio del 38% – che gli operatori economici del settore si sono trovati ad affrontare in seguito agli eventi straordinari dell’ultimo biennio (epidemia; crisi economica internazionale, guerra).

L’indice finora utilizzato per il calcolo dei prezzi di riferimento, infatti, si è rivelato poco sensibile all’impennata dei prezzi che ha riguardato in modo particolare energia e materie prime.

La citata delibera precisa che “i prezzi di cui all’allegato [alla medesima] andranno ad applicarsi ai contratti discendenti dalle nuove gare che verranno bandite successivamente alla pubblicazione della presente delibera, oltre che ai contratti già in corso ove siano previste clausole di revisione”.

La formulazione letterale usata dall’Autorità sembrerebbe potersi leggere nel senso della vincolatività dei prezzi di riferimento, sia per il calcolo delle basi d’asta delle procedure da bandire, sia per i contratti in corso che prevedano clausole di revisione dei corrispettivi. Tant’è vero che sempre più fre- quentemente gli operatori economici presentano istanze di revisioni prezzi alle stazioni appaltanti invocando la asseritamente doverosa applicazione dei prezzi di riferimento stessi.

La disciplina dei prezzi di riferimento

1. L’art. 17, comma 1, lett. a) del d.l. n. 98/2011, convertito con modificazioni nella legge n. 111/2011, prevedeva, nella sua versione originaria, che “nelle more del perfezionamento delle attività concernenti la determinazione annuale di costi standardizzati per tipo di servizio e fornitura da parte dell’Osservatorio dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture di cui all’articolo 7 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e anche al fine di potenziare le attività delle Centrali regionali per gli acquisti, il citato Osservatorio, a partire dal 1° luglio 2012, attraverso la Banca dati nazionale dei contratti pubblici di cui all’articolo 62-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, fornisce alle regioni un’elaborazione dei prezzi di riferimento, ivi compresi quelli eventualmente previsti dalle convenzioni Consip, anche ai sensi di quanto disposto all’articolo 11, alle condizioni di maggiore efficienza dei beni, ivi compresi i dispositivi medici ed i farmaci per uso ospedaliero, delle prestazioni e dei servizi sanitari e non sanitari individuati dall’Agenzia per i servizi sanitari regionali di cui all’articolo 5 del decreto legislativo 30 giugno 1993, n. 266, tra quelli di maggiore impatto in termini di costo a carico del Servizio sanitario nazionale.” La norma chiariva, inoltre, che la previsione era finalizzata a “mettere a disposizione delle regioni ulteriori strumenti operativi di controllo e razionalizzazione della spesa”, con l’ulteriore previsione che “Le regioni adottano tutte le misure necessarie a garantire il conseguimento degli obiettivi di risparmio programmati, intervenendo anche sul livello di spesa per gli acquisti delle prestazioni sanitarie presso gli operatori privati accreditati”.

2. L’art. 15, comma 13, lett. b) del d.l. n. 95/2012 (c.d. decreto spending review 2), convertito con modificazioni nella legge n. 135/2012, ha modificato la previsione di cui sopra sostituendone il quarto e quinto periodo come di seguito: “ Qualora sulla base dell’attività di rilevazione di cui al presente comma, nonché, in sua assenza, sulla base delle analisi effettuate dalle Centrali regionali per gli acquisti anche grazie a strumenti di rilevazione dei prezzi unitari corrisposti dalle Aziende Sanitarie per gli acquisti di beni e servizi, emergano differenze significative dei prezzi unitari, le Aziende Sanitarie sono tenute a proporre ai fornitori una rinegoziazione dei contratti che abbia l’effetto di ricondurre i prezzi unitari di fornitura ai prezzi di riferimento come sopra individuati, e senza che ciò comporti modifica della durata del contratto.” La medesima norma ha previsto, inoltre, che “In caso di mancato accordo, entro il termine di 30 giorni dalla trasmissione della proposta, in ordine ai prezzi come sopra proposti, le Aziende sanitarie hanno il diritto di recedere dal contratto senza alcun onere a carico delle stesse, e ciò in deroga all’articolo 1671 del codice civile” e che “Ai fini della presente lettera per differenze significative dei prezzi si intendono differenze superiori al 20 per cento rispetto al prezzo di riferimento”

La norma in questione ha stabilito, inoltre, che “Le aziende sanitarie che abbiano proceduto alla rescissione del contratto, nelle more dell’espletamento delle gare indette in sede centralizzata o aziendale, possono, al fine di assicurare comunque la disponibilità dei beni e servizi indispensabili per garantire l’attività gestionale e assistenziale, stipulare nuovi contratti accedendo a convenzioni-quadro, anche di altre regioni, o tramite affidamento diretto a condizioni più convenienti in ampliamento di contratto stipulato da altre aziende sanitarie mediante gare di appalto o forniture”.

Come si vede, quindi, nel 2012 la previsione dei prezzi di riferimento è stata “rafforzata” passando questi ultimi da meri “strumenti operativi di controllo e razionalizzazione della spesa”, a parametro per la rinegoziazione – ma in diminuzione – dei contratti in essere, alla quale le amministrazioni sono “tenute” ove il prezzo stabilito contrattualmente sia superiore al 20% rispetto a quello di riferimento.

Sintetiche considerazioni

La delibera Anac n. 369/2022 indica quale unico riferimento normativo il citato art. 17, comma 1, lett. a del d.l. n. 98/2011.

Come si è ricordato, la previsione è finalizzata espressamente al contenimento della spesa pubblica. Tant’è vero che viene previsto che “qualora sulla base dell’attività di rilevazione di cui al presente comma emergano differenze significative dei prezzi unitari le Aziende Sanitarie sono tenute a proporre ai fornitori una rinegoziazione dei contratti che abbia l’effetto di ricondurre i prezzi unitari di fornitura ai prezzi di riferimento”. Ecco, quindi, che l’eventuale vincolatività dei prezzi di riferimento (ormai soltanto in aumento) individuata da Anac contrasterebbe con la logica della previsione (art. 17) dalla quale derivano tali prezzi, finalizzata, come si è detto, alla riduzione della spesa pubblica e non già alla sua “esplosione”. In altri termini, la posizione degli operatori economici che richiedono l’applicazione “coattiva” dei prezzi in aumento Anac non trova riscontro nell’art. 17 del d.l. n. 98/2011, distorcendone completamente la finalità. Diversamente, uno strumento nato proprio per ridurre la spesa pubblica diverrebbe la leva per aumentarla in maniera esponenziale. Sul punto pare possa trarsi conferma nella decisione del Consiglio di Stato, Sez. III, 28.12.2020, n. 8359, ai sensi della quale “i prezzi [di riferimento] indicati nella delibera Anac hanno valore meramente indicativo e non vincolante per l’Amministrazione”, ciò in quanto “la delibera dell’Anac che trae la propria fonte di legittimazione dall’art. 17, comma 1 lett. a) del d.l. n. 98/2011 ha lo scopo di mettere a disposizione delle regioni e centrali di acquisto ulteriori strumenti operativi di controllo e razionalizzazione della spesa, con funzione ricognitiva dei prezzi di riferimento alle condizioni di maggiore efficienza .., ponendosi, dunque, come strumento di ausilio alle Amministrazioni cui sono rivolte per realizzare risparmi di spesa”. In altri termini, “la finalità dei prezzi standard indicati dall’Anac è quella di fornire alle stazioni appaltanti elementi di conoscenza allo scopo di realizzazione economie di spesa”.

In tale quadro, il Consiglio di Stato ha, quindi, ritenuto che legittimamente le stazioni appaltanti possano discostarsi in peius dai prezzi di riferimento.

Stante il quadro ora delineato, non pare giuridicamente corretto che gli operatori economici aggancino le richieste di revisione dei corrispettivi contrattuali ai prezzi di riferimento dell’Anac, invocandone la pretesa vincolatività. Sembra, in effetti, che le stazioni appaltanti possano, ma non debbano necessariamente dare corso all’applicazione di tali aumenti, proprio nell’ottica di contenimento della spesa che tali prezzi sono finalizzati a perseguire.

Revisione Prezzi Per I Contratti Di Fornitura Di Beni E Servizi

Nel campo dei contratti pubblici, c’è sempre stata una maggiore sensibilità del Legislatore ad intervenire, particolarmente in situazioni di mercato eccezionali quali guerre ed inflazione, al fine di consentire la revisione dei prezzi a favore degli operatori nella fase di esecuzione di contratti d’appalto con la P.A.. In tale ambito, l’istituto della revisione dei prezzi ha rivestito, da un lato, “la finalità di salvaguardare l’interesse pubblico a che le prestazioni di beni e servizi alle pubbliche amministrazioni non siano esposte col tempo al rischio di una diminuzione qualitativa, a causa dell’eccessiva onerosità sopravvenuta delle prestazioni stesse...e della conseguente incapacità del fornitore di farvi compiutamente fronte; dall’altro di evitare che il corrispettivo del contratto di durata subisca aumenti incontrollati nel corso del tempo tali da sconvolgere il quadro finanziario sulla cui base è avvenuta la stipulazione del contratto”1.

L’individuazione di meccanismi che definiscano i parametri sulla base dei quali riconoscere la revisione del corrispettivo consente di evitare che lo stesso subisca aumenti indefiniti e incontrollati, tali da sconvolgere l’equilibrio finanziario sulla cui base è stato concluso il contratto2. Solo in via mediata l’istituto in esame tutela l’interesse dell’impresa a non subire l’alterazione dell’equilibrio contrattuale a seguito della variazione dei costi che si verifichino durante l’arco del rapporto3 e che potrebbero indurla ad una surrettizia riduzione degli standards qualitativi delle prestazioni.

La giurisprudenza amministrativa, comunque, ha “modellato” il meccanismo della revisione prezzi di un contratto pubblico d’appalto al fine di preservare un certo equilibrio tra interessi della stazione appaltante e quelli degli operatori economici, evitando uno sbilanciamento a favore di questi ultimi; ciò in coerenza con il modello legale del contratto d’appalto che, presuppone, comunque, l’allocazione di un fisiologico margine di rischio in capo all’appaltatore (e non certo l’azzeramento sostanziale dello stesso).

Secondo l’impostazione giurisprudenziale formatasi sul tema nell’ambito dei contratti d’appalto pubblici, gli istituti volti al riequilibrio del sinallagma contrattuale non sono preordinati a “l’azzeramento del rischio di impresa connesso alla sopportazione in capo all’appaltatore dell’alea contrattuale normale riconducibile a sopravvenienze, quali l’oscillazione generale e diffusa dei prezzi”, dovendosi fare riferimento “non già ad aumenti di costi di fattori della produzione prevedibili, anche dal punto di vista della loro consistenza valoriale, nell’ambito del normale andamento dei mercati relativi”, bensì al fatto di aver fornito la prova “rigorosa”, non circa il “maggior costo sostenuto rispetto a quello ipotizzato in sede di offerta”, ma in merito alla “sussistenza di eventuali circostanze imprevedibili che abbiano determinato aumenti o diminuzioni nei costi”4. Difatti

1 In tal senso Cons. St., sez. V, 16 giugno 2020, n. 3874. Parimenti, Cons. St., sez. III, 20 agosto 2018, n. 4985; Cons. St., sez. III, 5 marzo 2018, n. 1337; Cons. St., sez. VI, 7 maggio 2015, n. 2295; Cons. St., sez. III, 4 marzo 2015, n. 1074; Cons. St., sez. V, 20 agosto 2008, n. 3994; Cons. St., sez. III, 19 luglio 2011, n. 4362; Cons. St., sez. V, 14 maggio 2010, n. 3019. Di recente, nei termini illustrati, si veda TAR Lazio Roma, sez. II, 4 novembre 2021, n. 11309; TAR Friuli Venezia Giulia Trieste, sez. I, 7 luglio 2021, n. 211.

2 Una variazione dell’importo contrattuale in fase di esecuzione, tuttavia, potrebbe ugualmente comportare problemi operativi per le stazioni appaltanti in quanto esse, in ipotesi, dovranno reperire risorse aggiuntive, rispetto a quelle previste nel quadro economico rimodulato in sede di aggiudicazione, ove, tra le somme a disposizione, non vi sia capienza per la maggior spesa.

Sul punto occorre segnalare che l’incremento dei costi connessi, in particolare, alla realizzazione di opere pubbliche, impatta negativamente anche sugli interventi finanziati a valere sui fondi del PNRR di derivazione comunitaria, atteso che, per effetto di molteplici fattori e soprattutto alla luce dell’imposizione dell’utilizzazione dei prezziari regionali del 2022, significativamente aumentati rispetto a quelli del 2021, possono insorgere gravi discrasie fra gli importi stimati e quelli effettivamente occorrenti per la concreta realizzazione dei lavori di volta in volta considerati.

3 TAR Lombardia Brescia, sez. I, 10 marzo 2022, n. 239, e, in senso conforme, dal TAR Lombardia Milano, sez. II, 10 giugno 2022, n. 1343, ove si statuisce che il presupposto essenziale per poter proporre l’istanza di revisione sia costituita dalla stipulazione del contratto. Per giurisprudenza ormai costante, inoltre, la revisione dei prezzi può essere disposta solo con riferimento ai lavori, servizi e forniture che abbiano un orizzonte temporale eccedente l’anno solare e ciò in quanto, anche in funzione mitigativa dei costi a carico delle stazioni appaltanti, essa non opera in riferimento alle attività, genericamente intese, che vengono svolte nello stesso anno solare di affidamento dell’appalto.

4 TAR Lombardia Milano, sez. I, 18 febbraio 2021, n. 435. In senso conforme anche Id., sez. IV, 26 gennaio 2022, n. 178; sul punto anche TAR Lombardia Brescia, sez. I, 03 luglio 2020, n. 504, il quale precisa che se il meccanismo in questione “deve prevedere la correzione

“risulterebbe singolare un’interpretazione che esentasse del tutto, in via eccezionale, l’appaltatore dall’alea contrattuale, sottomettendo in via automatica ad ogni variazione di prezzo solo le stazioni appaltanti pubbliche, pur destinate a far fronte ai propri impegni contrattuali con le risorse finanziarie provenienti dalla collettività”.5

I giudici di piazza Cavour sostengono, in vigenza dell’attuale codice dei contratti pubblici, che “il divieto della “revisione dei prezzi” e l’obbligatorietà del “prezzo chiuso”, da considerarsi principi regolatori degli appalti pubblici, sono ispirati a parametri di contemperamento tra diritti dell’appaltatore ed esigenze del committente affatto diversi rispetto a quelli della revisione prezzi, atteso che mentre quest’ultimo istituto tende a mantenere fermo l’originario rapporto sinallagmatico tra prestazione dell’appaltatore e controprestazione dell’Amministrazione, adeguando il corrispettivo alle variazioni dei prezzi di mercato, ove questi superino la soglia della normale alea contrattuale, i primi, invece, mirano ad assicurare alla P.A. beni e prestazioni alle migliori condizioni, nonché a soddisfare l’esigenza della certezza dell’impegno finanziario e di risanamento della finanza pubblica, e ciò mediante un’alea convenzionale forfetizzata per entrambi i contraenti attraverso un sistema di automatico computo degli aumenti sganciato da un preciso collegamento con l’inflazione reale”6.

Pertanto, la revisione prezzi deve consistere in un rimedio temperato di riequilibrio del sinallagma funzionale7, in modo da assolvere all’esigenza di assicurare continuità al rapporto contrattuale in corso di svolgimento, soprattutto nell’ottica del perseguimento del pubblico interesse, senza che si giunga ad una rideterminazione del prezzo originario del servizio o della fornitura8. L’obiettivo non è l’azzeramento del rischio di impresa connesso alla sopportazione in capo all’appaltatore dell’alea contrattuale normale riconducibile a sopravvenienze, quali l’oscillazione generale e diffusa dei prezzi. Un presupposto necessario, infatti, è dato dalla ricorrenza di circostanze eccezionali e imprevedibili, la cui esistenza non può essere ricondotta ad aumenti del costo di fattori della produzione prevedibili nell’ambito del normale andamento dei mercati relativi, dovendo invece a tal fine farsi riferimento ad eventi, appunto eccezionali ed imprevedibili, tali da alterare significativamente le originarie previsioni contrattuali. L’appaltatore dovrà provare non solo il maggior costo sostenuto rispetto a quello ipotizzato in sede di offerta, ma anche la sussistenza di eventuali circostanze imprevedibili che abbiano determinato aumenti o diminuzioni nei costi.

La clausola di revisione dei prezzi non determina in capo all’operatore economico una posizione di diritto soggetti- dell’importo previsto ab origine in esito al confronto comparativo - per prevenire il pericolo di un›indebita compromissione del sinallagma contrattale - il riequilibrio non si risolve in un automatismo perfettamente ancorato ad ogni variazione dei valori delle materie prime (o dei quantitativi), che ne snaturerebbe la ratio trasformandolo in una clausola di indicizzazione. In sostanza, è onere dell’appaltatore fornire la prova che nel corso del rapporto contrattuale i prezzi delle materie prime sia aumentato, a causa di circostanze eccezionali e imprevedibili, in misura tale da erodere in modo significativo l’utile di impresa derivante dalla commessa, compromettendo la capacità dell’imprenditore di far fronte compiutamente alle prestazioni oggetto dell’appalto”. Sul punto si veda anche Cass. civ., sez. I, 18 maggio 2016, n. 10165, che ha sottolineato come “anche in tema di appalti pubblici il contratto di appalto comporta che l’appaltatore assume il compimento di un’opera con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione proprie e a proprio rischio”

5 Cons. St., sez. III, 25 marzo 2019, n. 1980.

6 Cass. civ., sez. I, 21 luglio 2016, n. 15029. In tal senso TAR Lombardia Brescia, sez. I, 03 luglio 2020, n. 504 “Anche se la clausola di revisione dei prezzi deve essere obbligatoriamente inserita nei contratti ad esecuzione continuata e periodica (art. 115, d.lgs. n. 163/2006), essa non assume la funzione di eliminare completamente l’alea tipica di un contratto di durata, la quale costituisce proprio oggetto di specifico apprezzamento (al momento della formulazione dell’offerta economica) dei concorrenti che intendono concorrere alla gara d’appalto. Se indubbiamente il meccanismo deve prevedere la correzione dell’importo previsto ab origine in esito al confronto comparativo - per prevenire il pericolo di un’indebita compromissione del sinallagma contrattale - il riequilibrio non si risolve in un automatismo perfettamente ancorato ad ogni variazione dei valori delle materie prime (o dei quantitativi), che ne snaturerebbe la ratio trasformandolo in una clausola di indicizzazione”. Conforme pure TAR Friuli Venezia Giulia Trieste, sez. I, 7 luglio 2021 n. 211.

7 Cons. St., sez. III, 9 gennaio 2017, n. 25, Cons. St., sez. VI, 7 maggio 2015 n. 2295; Cons. St., sez. V, 20 agosto 2008 n. 3994, Cons. St., sez. V. 23 aprile 2014, n. 2052; Cons. St., sez. III, 4 marzo 2015, n. 1074; Cons. St. sez. V, 19 giugno 2009, n. 4079; Cons. St., sez. III, 9 maggio 2012, n.2682).

8 Cons. St., sez. V, 17 febbraio 2010, n. 935 e TAR Lombardia Milano, sez. IV, 26 gennaio 2022, n. 181.

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