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Assistente amministrativo SOC Gestione investimenti

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Sofia Melani

Assistente amministrativo SOC Gestione investimenti zona Firenze AUSL Toscana Centro

L’istituto del recesso nei contratti di appalto, previsto sin dalle origini dell’ordinamento italiano (cfr l’art.345 della legge sulle opere pubbliche, L. 20 marzo 1865 n. 2248) e già regolamentato dall’art. 134 del precedente codice dei contratti pubblici, approvato con il D.lgs. 12 aprile 2006, n.163, è attualmente disciplinato dall’articolo 109 del D. Lgs. n. 50 del 2016 (Codice dei contratti pubblici) che recita: “Fermo restando quanto previsto dagli articoli 88, comma 1 quater, e 92, comma 4, del Decreto Legislativo 06.09.2011, n. 159 (recesso relativo alla comunicazione e informazioni antimafia) la stazione appaltante può recedere dal contratto in qualunque momento previo il pagamento dei lavori eseguiti o delle prestazioni relative ai servizi e alla forniture eseguite nonché del valore dei materiali utili esistenti in cantiere nel caso di lavoro o in magazzino nel caso di servizi e forniture, oltre al decimo dell’importo delle opere, dei servizi e delle forniture non eseguite. Il decimo dell’importo delle opere non eseguite è calcolato sulla differenza tra l’importo dei quattro quinti del prezzo posto a base di gara, depurato del ribasso d’asta e l’ammontare netto dei lavori, servizi o forniture eseguiti”. Uno dei temi in discussione a proposito del recesso, è se sia consentito derogare alle previsioni del citato articolo 109 del D. Lgs. 50/2016, introducendo, ad esempio, una previsione più onerosa a carico dell’appaltatore, come la rinuncia al decimo delle spese di lavori, servizi o forniture non eseguite. Su questo aspetto, molto importante per le stazioni appaltanti, ci sono argomenti che depongono per la derogabilità dell’articolo 109 del codice dei contratti ed altri che invece la escludono. A favore della derogabilità all’art.109, si esprime, ad esempio, una recente ordinanza della Corte di Cassazione che, pur non motivando il proprio ragionamento ha statuito quanto segue “Nel caso specifico, il contratto stipulato fra le parti aveva previsto che il recesso del Comune nei casi indicati all’articolo 4 escludesse il diritto della Ditta Gros Effequattro F4 dei fratelli Panconi ad alcun indennizzo né per il personale assunto, né per i materiali o le attrezzature acquistate o per qualsiasi

La clausola esclusiva altra causa, così legittimamente derogando a quanto previdell’indennizzo può essere sto dall’articolo 345 della legge 20.3.1865, all. F, quand’anche impugnata solo dopo applicabile in tema di contratl’aggiudicazione, perché ti di fornitura, secondo cui è facoltà dell’Amministraziocome ha chiarito il CdS, ne di risolvere in qualunque l’operatività della stessa, tempo il contratto, mediante il pagamento dei lavori eseattiene alla fase esecutiva guiti e del valore dei materiali utili esistenti in cantiere, oltre del contratto al decimo dell’importo delle opere non eseguite” (Cass. Civ., Sez. I, ord. n. 21574 del 7.7.2022). Contro la derogabilità dell’articolo si evidenzia innanzitutto che esiste una differenza significativa fra quanto statuisce l’art. 109 e l’analogo istituto del diritto di recesso negli appalti tra privati, disciplinato dall’articolo 1671 del c.c. secondo cui “il committente può recedere dal contratto, anche se è stata iniziata l’esecuzione dell’opera o la prestazione del servizio, purché tenga indenne l’appaltatore dalle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno”. Negli appalti tra privati committente e appaltatore sono posti su un piano di effettiva parità, mentre negli appalti pubblici l’obbligazione della Stazione Appaltante è predeterminata in modo for-

fettario; se così non fosse sussisterebbe il rischio di un indebito vantaggio per la P.A. che potrebbe recedere da qualsiasi contratto senza obbligo di indennizzo. Inoltre il Consiglio di Stato (Cons. Stato, sez. III, 28.12.2020 n.8359) pur affermando di non potersi pronunciare sulla questione della conformità di una clausola della lex specialis , in quanto attinente alla fase esecutiva del contratto e dunque rimessa alla giurisdizione ordinaria, ha comunque rilevato la illegittimità della clausola di recesso perché contrasta effettivamente con l’articolo 109 del codice dei contratti nella parte in cui prevede che nell’eventualità del recesso dal contratto nel periodo di prova “all’aggiudicatario spetta il solo corrispettivo delle prestazioni già eseguite, escluso ogni altro rimborso o indennizzo a qualsiasi titolo e ogni ragione o pretesa di qualsiasi genere”. Sul punto, comunque, non ci sono posizioni giurisprudenziali consolidate: quello che possiamo dire è che la clausola esclusiva dell’indennizzo può essere impugnata solo dopo l’aggiudicazione, perché come ha chiarito il CdS nella pronuncia citata, l’operatività della stessa, attiene alla fase esecutiva del contratto (è solo in questa fase che l’appaltatore può vantare un interesse qualificato all’impugnativa) e che non serve a tutelare la stazione appaltante la sottoscrizione specifica, separata della clausola in oggetto, in quanto, secondo un orientamento consolidato della Cassazione “le clausole inserite in un contratto stipulato per atto pubblico o in forma pubblica amministrativa, ancorché si conformino alle condizioni poste da uno dei contraenti, non possono considerarsi come “predisposte” dal contraente medesimo ai sensi dell’art.1341 c.c. e pertanto, pur se vessatorie non richiedono approvazione specifica per iscritto...”(Cass.civ. Sez. I, 21.9. 2004, n. 18917).

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