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Il Partenariato Pubblico Privato nel contesto della riqualificazione del patrimonio immobiliare pubblico: i contratti di rendimento energetico

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Tommaso Tomaiuolo e Lorenzo Piscitelli - PwC TLS Avvocati e Commercialisti

Il partenariato pubblico privato (d’ora in avanti anche “PPP”) è diventato negli anni un fattore cruciale nelle scelte delle pubbliche amministrazioni per la realizzazione di opere pubbliche e per la gestione dei servizi di interesse economico generale. Il Decreto Legislativo n. 50 del 18 aprile 2016 (il “Codice” o il “D.Lgs 50/2016”) dedica ai contratti di PPP una disciplina organica con l’intento di incentivare la diffusione di opere pubbliche di significativa complessità mediante il coinvolgimento dell’imprenditoria privata non solo nella fase dell’esecuzione delle prestazioni (di costruzione e gestione dell’opera di pubblico interesse) ma anche in quella di reperimento delle fonti di finanziamento e, quindi, della assunzione del rischio correlato allo sfruttamento economico della infrastruttura da parte dell’operatore privato. Ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera eee) del D.Lgs 50/2016, il contratto di PPP è quel contratto a titolo oneroso con cui una o più pubbliche amministrazioni conferiscono a uno o più operatori economici, per un periodo determinato in funzione della durata dell’ammortamento dell’investimento o delle modalità di finanziamento fissate, un complesso di attività consistenti nella realizzazione, trasformazione, manutenzione e gestione operativa di un’opera in cambio della sua disponibilità, o del suo sfruttamento economico, o della fornitura di un servizio connesso all’utilizzo dell’opera stessa, con assunzione di rischio da parte dell’operatore. Ai sensi dell’articolo 180, comma 8, Codice dei Contratti Pubblici, rientrano tra le modalità di realizzazione del PPP: 1)la finanza di progetto; 2)la concessione di costruzione e gestione; 3)la concessione di servizi; 4)la locazione finanziaria di opere pubbliche; 5)il contratto di disponibilità; 6)qualunque altra procedura di realizzazione in partenariato di opere o servizi che presentino le caratteristiche

di cui all’articolo 180 del Codice dei Contratti Pubblici. Le forme di collaborazione fra la pubblica amministrazione e i soggetti privati nello svolgimento di attività d’interesse generale non si esauriscono dunque nell’affidamento di concessioni di lavori o di servizi ma rinvengono, nella prassi, una molteplicità di manifestazioni applicative. Detto altrimenti, il partenariato pubblico-privato, piuttosto che configurare un tipo contrattuale autonomo, può essere qualificato come un modulo procedimentale comprensivo di fattispecie distinte, ciascuna delle quali condivide la comune preordinazione alla gestione imprenditoriale di un’operazione economicamente complessa1 . I tratti distintivi comuni alle operazioni in PPP possono essere sintetizzati come segue: a)la lunga durata del rapporto instaurato tra i partner pubblici e privati (la durata di tali contratti è pari al periodo di tempo necessario al recupero degli investimenti da parte del partner privato, insieme ad una remunerazione del capitale investito – cfr. art. 168 del Codice); b)il finanziamento del progetto a carico dell’operatore privato (è prevista, tuttavia, la possibilità per il partner pubblico di sostenere la realizzazione del progetto con un contributo pari al massimo al 49% del costo complessivo dell’investimento – cfr. art. 180, co. 6 del Codice); c)l’allocazione dei rischi in capo all’operatore privato (il riferimento è, in particolare, ai rischi di costruzione, di disponibilità e di domanda – cfr. art. 3, co. 1, lett. aaa), bbb) e ccc));2 d)l’equilibrio economico-finanziario inteso come la contemporanea presenza delle condizioni di convenienza economica e sostenibilità finanziaria dell’operazione le quali sono, di regola, determinate sulla base di un piano economico-finanziario concordato tra le parti e allegato al contratto. L’equilibrio economico-finanziario e la ripartizione del rischio tra le parti costituiscono l’elemento discriminante

1 In termini si veda Consiglio di Stato, Sezione I, Parere n. 823/2020 del 28 aprile 2020. 2 Per rischio di costruzione si intende “il rischio legato al ritardo nei tempi di consegna, al non rispetto degli standard di progetto, all’aumento dei costi, a inconvenienti di tipo tecnico nell’opera e al mancato completamento dell’opera”; per rischio di disponibilità si intende “il rischio legato alla capacità, da parte del concessionario, di erogare le prestazioni contrattuali pattuite, sia per volume che per standard di qualità previsti”; per rischio di domanda, “il rischio legato ai diversi volumi di domanda del servizio che il concessionario deve soddisfare, ovvero il rischio legato alla mancanza di utenza e quindi di flussi di cassa”.

tra le fattispecie di PPP e i “tradizionali” appalti pubblici di lavori, servizi e forniture3 . Ciò premesso, arrivando al punto del presente contributo, il Decreto-Legge n. 76 del 16 luglio 2020 (convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 120 dell’11 settembre 2020, c.d. “DL Semplificazioni”) ha disposto l’inserimento dei contratti di rendimento energetico o di prestazione energetica (anche “EPC”) nel contesto dei meccanismi di PPP disciplinati dall’articolo 180 del Codice. Gli EPC sono stati introdotti nell’ordinamento europeo dalla Direttiva 2006/32/CE concernente l’efficienza degli usi finali dell’energia e i servizi energetici e sono attualmente regolati dal Decreto Legislativo n. 102 del 4 luglio 2014 in materia di efficienza energetica (il “D.Lgs 102/2014”). Nello specifico, per EPC si intende quell’accordo contrattuale tra il beneficiario e il fornitore di una misura di miglioramento dell’efficienza energetica, verificata e monitorata durante l’intera durata del contratto, dove gli investimenti (lavori, forniture o servizi) realizzati sono remunerati in funzione del livello di miglioramento dell’efficienza energetica stabilito contrattualmente o di altri criteri di prestazione energetica concordati tra le parti (cfr. art. 2, co. 1, lett. n), D.Lgs 102/2014). Nonostante la definizione fornita dal Legislatore, è bene rilevare che il contratto di prestazione energetica si è sviluppato , nella prassi, secondo modelli aventi connotazioni e contenuti differenti (e.g. “guaranteed savings”, il quale prevede un livello di risparmio garantito concordato e, in cambio, il pagamento in favore del privato di un canone fisso; “shared savings” nel quale le parti si accordano diversamente sulla ripartizione del risparmio conseguito grazie all’intervento dell’operatore privato; “first out” dove il privato è l’unico beneficiario dei ricavi derivanti dal risparmio energetico ottenuto così da ripagare l’investimento sostenuto; “first in”, nel quale il soggetto pubblico gode dei benefici economici derivanti da un risparmio energetico maggiore a quello minimo stabilito e paga all’operatore economico un canone fisso con conguaglio nel caso in cui il risparmio ottenuto sia superiore a quello garantito etc.). L’elemento caratterizzante dell’EPC è l’oggetto del contratto che è rappresentato dal miglioramento dell’efficienza energetica, rispetto al quale l’operatore economico assume una obbligazione di risultato, che costituisce anche il parametro in funzione del quale sono pagati gli investimenti effettuati dal privato.

3 Sul punto, Consiglio di Stato, Comm. Spec. n. 855/2016; Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 15 ottobre 2009, C-196/08: “un appalto pubblico di servizi» ai sensi delle direttive 2004/18 e 2004/17 comporta un corrispettivo che è pagato direttamente dall’amministrazione aggiudicatrice al prestatore di servizi (…) Si è in presenza di una concessione di servizi allorquando le modalità di remunerazione pattuite consistono nel diritto del prestatore di sfruttare la propria prestazione ed implicano che quest’ultimo assuma il rischio legato alla gestione dei servizi in questione. In merito è stato poi considerato – e va qui ribadito - che “la caratteristica precipua delle concessioni, idonea a differenziarle dagli appalti, è data proprio dall’assunzione di un rischio, che va ben al di là, ed è qualitativamente differente, da quello sopportato da un normale appaltatore. In mancanza, dunque, del trasferimento del rischio “operativo”, come ricorda la Corte di giustizia UE, il contratto dovrebbe essere definito come di appalto (…)”.

Proprio al fine di favorire la diffusione dell’applicazione di questo strumento contrattuale e di facilitare la realizzazione di operazioni di efficientamento energetico anche da parte della pubblica amministrazione, gli EPC sono stati espressamente inclusi tra le fattispecie di PPP a cui le amministrazioni possono ricorrere per il miglioramento dell’efficienza energetica dei propri immobili. Il riferimento è, in particolare, all’art. 180, co. 2 del Codice ai sensi del quale “nel caso di contratti di rendimento energetico o di prestazione energetica (EPC), i ricavi di gestione dell’operatore economico possono essere determinati e pagati in funzione del livello di miglioramento dell’efficienza energetica o di altri criteri di prestazione energetica stabiliti contrattualmente, purchè quantificabili in relazione ai consumi; la misura di miglioramento dell’efficienza energetica, calcolata conformemente alle norme in materia di attestazione della prestazione energetica degli immobili e delle altre infrastrutture energivore, deve essere resa disponibile all’amministrazione concedente a cura dell’operatore economico e deve essere verificata e monitorata durante l’intera durata del contratto, anche avvalendosi di apposite piattaforme informatiche adibite per la raccolta, l’organizzazione, la gestione, l’elaborazione, la valutazione e il monitoraggio dei consumi energetici. Considerate le caratteristiche di tale tipologia contrattuale, tra gli aspetti più rilevanti per la corretta programmazione, definizione ed esecuzione dei progetti di EPC rientra senza alcun dubbio la determinazione della c.d. baseline energetica (i.e. la fotografia dei consumi storici connessi agli immobili ed impianti relativamente ai quali devono essere svolti i relativi interventi di efficienza energetica). Quest’ultima è strutturata mediante un apposito audit energetico e che funge quale benchmark da utilizzare per confrontare e identificare i risparmi conseguiti nell’ambito degli interventi di efficientamento regolati tramite il contratto di prestazione energetica. Ne deriva, pertanto, che la corretta ed adeguata determinazione della baseline costituisce un elemento strategico dirimente ai fini del regolare funzionamento dell’intera struttura contrattuale, della corretta quantificazione delle performance energetiche e, conseguentemente, dell’effettiva congruità dei ricavi spettanti all’operatore privato (atteso che la remunerazione per i servizi forniti è basata, come detto, sul raggiungimento di miglioramenti sotto il profilo dell’efficienza energetica). Risulta pertanto essenziale la definizione di indicatori di prestazione (c.d. key performance index “KPI”) che consentano la misurazione, su base quantomeno annuale, del risparmio energetico effettivo rispetto agli obiettivi concordati tra le parti (quali il risparmio minimo garantito o a eventuali obiettivi incentivanti) assumendo come riferimento la baseline dei consumi storici4 . Tali indicatori sono particolarmente significativi in quanto correlati ai profili economici dei contratti di prestazione energetica, tra cui, a titolo esemplificativo: (a) il canone a carico del partner pubblico che è collegato al raggiungimento di obiettivi minimi di risparmio energetico ed è strutturato in connessione con i livelli di performance, con la previsione di decurtazioni nel caso di performance inferiori all’obiettivo minimo (underperformance) e/o di valori crescenti del canone in caso di performance superiori ai valori prefissati (overperformance); (b) le penali contrattuali che sono di regola collegate al mancato raggiungimento degli obiettivi di consumo o al mancato soddisfacimento delle performance qualitative del servizio erogato. Giova sottolineare, inoltre, che l’inserimento dell’EPC nell’ambito delle declinazioni del partenariato pubblico-privato può dare luogo a notevoli vantaggi rispetto ai tradizionali contratti di appalto per l’esecuzione di lavori e la prestazione di servizi. Segnatamente: • il finanziamento degli interventi di efficientamento e di riqualificazione energetica è a carico dell’operatore privato e non della pubblica amministrazione. Per la domanda pubblica si tratta, quindi, di un’ottima occasione per superare gli ostacoli rappresentati, inter alia, dai vincoli all’indebitamento, dalla riduzione dei margini di manovra della leva finanziaria e dalle nuove regole contabili che hanno drasticamente indotto un effetto di overshooting sulla finanza pubblica e, dunque, per inaugurare un percorso di valenza strategica diretto a promuovere lo sviluppo territoriale con poche risorse; • secondo la decisione dell’ufficio statistico europeo (Eurostat) dell’ 11 febbraio 2004 (Treatment of public-private partnership), riguardante il trattamento contabile nei conti nazionali dei contratti sottoscritti dalla pubblica amministrazione nel quadro di partenariati con imprese private, i beni (asset) oggetto di tali operazioni non vengono registrati nello stato patrimoniale delle pubbliche amministrazioni, ai fini del calcolo dell’indebitamento netto e del debito secondo le definizioni del regolamento europeo SEC (i.e. l’operazione non è qualificata in termini di indebitamento per la PA committente, ma ritenuta “off balance”); • la ricerca e il coinvolgimento del settore privato per le infrastrutture di pubblica utilità, può incentivare, grazie al know-how tecnico-commerciale proprio delle realtà private un miglioramento nella qualità progettuale e garantire una contrattualizzazione più adeguata dei servizi per la gestione e la manutenzione delle opere; • a differenza dei contratti di appalto che prevedono una

4 Tali KPI si riferiscono in via principale alle prestazioni energetiche/risparmio energetico da conseguire con riferimento all’energia elettrica o termica e possono essere espressi, ad esempio, in termini di TEP (Tonnellate Equivalenti di Petrolio), kWh, smc o Nmc (Standard o Normal metri cubi) di gas a seconda degli obiettivi di efficientamento individuati dalle parti.

durata massima pari a 9 anni (cfr. articolo 12, Regio

Decreto n. 2440 del 18 novembre 1923), la durata dei contratti di PPP, come detto, è pari al periodo di tempo necessario al recupero degli investimenti da parte dell’operatore individuato sulla base di criteri di ragionevolezza, insieme ad una remunerazione del capitale investito, tenuto conto degli investimenti necessari per conseguire gli obiettivi contrattuali specifici come risultante dal piano economico-finanziario; • il PPP è un contratto di durata e, in quanto tale, flessibile, con la conseguenza che al verificarsi di fatti non riconducibili al partner privato e che incidono sull’equilibrio del piano economico finanziario, è possibile negoziare con il partner pubblico la sua revisione da attuare mediante la rideterminazione delle condizioni di equilibrio (cfr. art. 182, co. 3 del Codice). In buona sostanza, il PPP sembrerebbe idoneo, da un lato, ad assicurare l’utilizzo di risorse private nel settore pubblico con conseguentemente allentamento delle restrizioni di bilancio e, dall’altro, a promuovere un significativo rinnovamento della pubblica amministrazione attraverso l’acquisizione di specifiche conoscenze tecniche e scientifiche proprie delle realtà private. Nonostante le sue potenzialità, nella prassi della pubblica amministrazione tale strumento parrebbe ad oggi avere ancora qualche difficoltà di impiego nell’edilizia pubblica ivi inclusa, quindi, l’edilizia sanitaria. Difatti, in termini generali le stazioni appaltanti sembrerebbero apparire ancora restie ad utilizzare tale forma contrattuale, preferendo ricorrere per l’efficientamento energetico ad appalti tradizionali, global service o, ancora, ai contratti Consip. Le ragioni dietro questa circostanza risiedono, probabilmente, nella complessità tecnica, economica e giuridica dello strumento del PPP e, dunque, nella necessità di mettere in moto una vera e propria professionalizzazione delle pubbliche amministrazioni. Il tema è stato d’altra parte evocato a più riprese sia dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri (Dipartimento per la Programmazione e il Coordinamento della Politica Economica) sia dall’ANAC e consiste nella necessità che le stazioni appaltanti siano dotate di adeguate strutture e competenze specifiche, in grado di comprendere gli aspetti tecnici, economici e giuridici dell’operazione di partenariato e di impostarla correttamente, di analizzare le proposte presentate dagli aspiranti aggiudicatari (svolgendo sufficienti approfondimenti tecnici e giuridici in merito al progetto e al piano economico finanziario) e di gestire lo strumento in fase esecutiva, assicurando che i rischi siano correttamente allocati ed effettivamente assunti dall’operatore economico privato, nonché mantenuti in capo allo stesso per tutta la durata del contratto5 . In poche parole, per raggiungere tali obiettivi è essenziale che siano stanziati investimenti su qualificazione e formazione del personale, in modo da avere a disposizione professionalità specializzate, in possesso di adeguate competenze tecnico-economiche per valutare, oltre agli aspetti tecnici e giuridici del progetto, anche la sua effettiva sostenibilità per assicurare in fase di esecuzione un costante monitoraggio delle tempistiche e delle performance gestionali. Va da sé che siffatta esigenza appare ancor più evidente in presenza di operazioni peculiari quali gli EPC, trattandosi di contratti dal carattere altamente tecnico, che richiedono l’impiego di esperti in materia energetica per costruire la baseline dei consumi e dei costi di gestione, per apprestare audit energetici, per predisporre/verificare la documentazione contrattualistica di tipo prestazionale, nonché per svolgere una adeguata attività di monitoraggio e di verifica delle prestazione per tutta la durata del contratto. È bene puntualizzare che in questo contesto è coinvolto pienamente anche il comparto immobiliare e tecnologico del Servizio Sanitario Nazionale, infatti, circa il 58% del patrimonio immobiliare del Servizio Sanitario Nazionale è stato realizzato prima del 1970 e proprio per questo, si tratta di un patrimonio tra i più energivori a livello comunitario, oltre che scarsamente coerente con le trasformazioni in atto nei modelli di servizio.6 In tale quadro il PPP e, nello specifico, i contratti di rendimento energetico potrebbero rappresentare un ottimo strumento per porre rimedio a tali inefficienze contribuendo alla progressiva riqualificazione energetica del patrimonio immobiliare sociosanitario (e.g. ospedali; case di cura; poli sanitari etc.). In quest’ottica fa ben sperare che tali necessità siano ben note al Legislatore al punto da essere evidenziate altresì nel quadro del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, fino a sostenere che l’implementazione del Piano (di cui l’efficienza energetica rappresenta uno degli assi portanti) debba passare per un cambio di paradigma e, nel segno, per una riforma strutturale della pubblica amministrazione con l’obiettivo di creare strutturalmente capacità amministrativa attraverso percorsi di selezione delle migliori competenze e qualificazione delle persone e di eliminare i colli di bottiglia che potrebbero rallentare l’attuazione degli investimenti pubblici e privati.

5 Si veda sul tema il Vademecum su PPP e EPC pubblicato dal Dipartimento per la Programmazione e il Coordinamento della Politica Economica nel maggio 2022 nonché la Delibera ANAC n. 219 del 21 aprile 2021 in cui l’ANAC da conto di avere registrato nel corso della propria attività di indagine, le maggiori criticità, sul piano soggettivo, laddove l’amministrazione interessata a concludere un PPP era di dimensioni ridotte ovvero quando non aveva, in materia, una pregressa e consolidata expertise. 6 Dati tratti dall’articolo del Sole 24 ore del 19 gennaio 2022 a cura di Veronica Vecchi, Niccolò Cusumano e Alessandro Furnari dal titolo

“Un nuovo approccio al partenariato pubblico-privato per la gestione strategica degli investimenti in sanità”.

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