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VIII Corso di Alta Formazione 2021/22 per Funzionari e Dirigenti in Sanità

Scuola Permanente di Formazione dei Buyer Pubblici della Sanità Area Provveditorato - Economato - Patrimonio

Il Federalismo vent’anni dopo la sua nascita

Tutor: Fabrizio Muzio

Gruppo di lavoro: Barni Sabrina ESTAR, Toscana Ferrante Angelo ASL BAT, Puglia Ozzo Francesco ATS CITTÀ METROPOLITANA DI MILANO, Lombardia Rizzi Valentina AZIENDA ZERO – CRAV, Veneto Rutigliano Antonia ASL BAT, Puglia Stacchini Erica ESTAR, Toscana Zanellati Nicola AZIENDA ZERO – CRAV, Veneto _______________________________________________________________________________________

Nel corso della presente trattazione si cercherà – sinteticamente e senza alcuna pretesa di esaustività – di delineare gli elementi fondamentali del Federalismo, soprattutto in ambito sanitario, esaminandolo a vent’anni dalla sua nascita nel contesto di alcune Regioni (Lombardia, Veneto, Toscana e Puglia) quali paradigmi in grado di evidenziarne problematiche e punti di forza sul territorio italiano nel suo complesso. Com’è noto, il termine «Federalismo» viene utilizzato principalmente in tre contesti interconnessi tra loro: socio-politico, inteso quale modalità organizzativa delle istituzioni di uno Stato che si articola in due livelli: centrale e federale; fiscale, il cui obiettivo prevalente consiste nel decentramento del potere fiscale, con l’attribuzione a livello locale di una maggiore autonomia finanziaria e la possibilità per gli enti del territorio di stabilire entrare e uscite proprie; e, infine, sanitario, che consiste nel reperimento e utilizzo autonomi delle risorse da destinare specificamente ai servizi sanitari. Quest’ultima impostazione, pur non scevra da critiche, consentirebbe di individuare con maggior accuratezza i bisogni specifici della comunità amministrata dalle singole realtà sanitarie territoriali, fornendo così le più adeguate risposte di politica sociale e sanitaria, nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. Chiaramente, si tratta di un tema complesso, visto che il settore sanitario occupa una porzione assai significativa della spesa pubblica. Basti pensare che nel 2021 la spesa sanitaria è risultata pari a 127.834 Mio €, come risulta dai dati della Sezione II “Analisi e tendenze della finanza pubblica” di cui al Documento di Economia e Finanza 2022 approvato lo scorso aprile. Ciò premesso, è pacifico come il settore sanitario rappresenti un costo che, come si avrà modo di esaminare, deve essere determinato sulla base dei fabbisogni standard delle singole Regioni, quali criteri di ripartizione del Fondo sanitario nazionale, al fine di assicurare i c.d. livelli essenziali di assistenza (LEA), così come stabiliti dal D.P.C.M. del 12 gennaio 2017. Pertanto, al fine di tratteggiare un quadro il più possibile completo sull’applicabilità di alcuni principi propri di un sistema di tipo federale all’ambito sanitario italiano e valutarne rischi e benefici, non si può prescindere da una breve analisi storica e normativa che ha portato all’attuale configurazione del nostro contesto socio-sanitario, partendo quindi dalle origini e dalla evoluzione del SSN. Possiamo suddividere la storia del nostro sistema sanitario in tre grandi fasi: la prima trae origine dalla nascita del Regno d’Italia nel 1861 e si conclude con la Seconda guerra mondiale; l’inizio della seconda risale al 1946, anno in cui viene costituita la Repubblica italiana, e culmina con l’istituzione del SSN (1978); il terzo periodo, infine, ancora in atto, è caratterizzato dai tentativi di rendere il sistema sanitario sostenibile, pur mantenendo intatte le sue peculiarità virtuose: equità nell’accesso alle cure indipendentemente dal reddito, dal ruolo sociale e dall’inquadramento lavorativo del singolo cittadino e alta qualità dei servizi offerti. Un primo momento di svolta significativo nell’organizzazione del sistema sanitario in Italia si registra nel 1888, anno in cui viene emanata la “Legge Crispi-Pagliani”. Con questo decreto si delinea una struttura piramidale, articolata in tre livelli gerarchici: centrale, provinciale e comunale. Il progetto riformatore del governo Crispi si completa nel 1890, quando viene promulgata la “Legge sulle opere pie”, che sancisce la trasformazione degli ospedali da “opere pie”, sostenute da elargizioni e donazioni benefiche, a “servizi di pubblica assistenza” (IPAB). Il 2 giugno 1946 i cittadini italiani sono chiamati alle urne. Tema del referendum è la scelta della forma di governo che l’Italia, appena uscita dalla Seconda guerra mondiale, dovrà assumere. Più di un anno di lavoro è necessario all’Assemblea costituente per dare vita alla Carta costituzionale dell’Italia repubblicana, che entra in vigore il 1° gennaio 1948,

con i suoi 139 articoli di cui gli artt. 2, 32 e 117 caposaldi nella “Tutela della Salute”. Subito dopo la Seconda guerra mondiale, l’ambiente ospedaliero vive un periodo di crisi, vittima del mancato aggiornamento tecnologico. La maggior parte dei presidî è, infatti, carente di attrezzature al passo con la modernizzazione della medicina. A metà degli anni Cinquanta ha avvio il fenomeno che, in Italia, viene definito “boom economico”, caratterizzato da una massiccia crescita economica e tecnologica che fa seguito alla fase di ricostruzione postbellica. Solo con la riforma ospedaliera attuata nel 1968 dal ministro della Sanità Luigi Mariotti con la Legge 12 febbraio 1968, n. 132, ci si avvicina a una piena attuazione dell’articolo 32 della Costituzione: ogni cittadino ha diritto ad avere un’assistenza ospedaliera appropriata e cure gratuite sono garantite a tutti i bisognosi. Vengono mossi i primi passi verso la regionalizzazione degli enti ospedalieri, che verrà definitivamente formalizzata nel 1974: lo Stato delega alle Regioni compiti di pianificazione e d’istituzione di nuovi enti e la responsabilità di emanare leggi riguardanti vigilanza e tutela dell’assistenza sanitaria e ospedaliera, all’interno dei limiti imposti a livello centrale. Si tratta dei piani ospedalieri regionali quinquennali. Viene inoltre disciplinata l’assistenza privata, ammettendo che una serie di enti possano svolgere assistenza ospedaliera. Nell’ambito pubblico, quindi, vengono riconosciuti enti ospedalieri, ospedali psichiatrici e istituti di ricovero e cura, nell’ambito privato, invece, case di cura e fondazioni. Al fine di superare i limiti d’inefficienza e inefficacia verificatisi nel sistema sanitario, la Legge 833 del 1978 prevede un radicale rinnovamento della sua impostazione, imperniato sul principio dell’“universalità dei destinatari”. Tale principio si basa sull’eliminazione della disparità socio-sanitaria presente nell’organizzazione fino ad allora vigente e sulla fondazione di un sistema sanitario nazionale UNICO. Con l’istituzione della nuova legge, il sistema sanitario nazionale viene strutturato secondo un modello definito “verticale”, al cui vertice troviamo lo Stato (livello centrale), seguito dalle Regioni (livello intermedio) e infine dagli enti locali (livello periferico), a ogni livello competono specifici compiti. Il modello di sanità introdotto dalla L. 833/78 fallì, sia a causa della gestione demandata ai Comuni e alle USL e sia a causa del sistema di finanziamento del servizio sanitario che, a fronte di una netta estensione delle prestazioni fornite e del principio di gratuità delle medesime, non prevedeva un rigoroso controllo della spesa ed una responsabilità in caso di eccessi di spesa. I limiti di questo assetto, apparsi già alla fine degli anni ’80, portarono alla necessità di rafforzare la responsabilità del livello regionale e ad abbandonare il modello USL, troppo frammentato (ben 652 USL) e politicizzato, da qui, quindi, prese l’avvio il processo di decentramento attraverso il D.lgs 502/92, la cd. “riforma della riforma”. Il D.lgs 502/92, sostanzialmente ha, da una parte, confermato gli obiettivi di fondo e i valori della L. 833/78 e dall’altra ha innovato gli strumenti per il raggiungimento degli obiettivi del SSN, perseguendo la regionalizzazione e l’aziendalizzazione della sanità italiana. I principali obiettivi della cd. “riforma della riforma”, sono stati: il rilancio della programmazione sanitaria, il raggiungimento di livelli uniformi di assistenza, la riorganizzazione della AUSL, la responsabilizzazione finanziaria delle Regioni, i meccanismi di partecipazione dei cittadini. A seguire, nell’evoluzione normativa, l’ultimo intervento organico in materia sanitaria è costituito dalla cd. “riforma ter”, adottata con il D.lgs. n. 229/1999. Con la cd. “riforma ter” viene completato il processo di regionalizzazione: il SSN diviene il «complesso delle funzioni e delle attività assistenziali dei Servizi sanitari regionali. Successivamente alla introduzione della riforma ter, è stata approvata la legge cost. n. 3 del 2001, nota come “riforma del Titolo V”, che ha modificato il riparto delle competenze Stato/Regioni, nello specifico: - 117 2c. competenza esclusiva dello Stato: lo Stato può legiferare, in via esclusiva su determinate materie (es. difesa, immigrazione, etc) - 117 3 c. competenza regionale concorrente: alle Regioni è attribuita la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali riservata alla legislazione dello Stato (es.tutela della Salute) - 117 4 c. competenza residuale esclusiva delle Regioni: spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato

Si ribalta quindi il principio di distribuzione delle competenze legislative fra Stato e Regioni: la competenza legislativa regionale pare aumentare nei contenuti ed essere potenzialmente aperta, idonea a legiferare su ogni materia altrimenti non riservata dalla costituzione ad altri soggetti. Ma questo non significa che allo Stato siano riconosciute competenze marginali e poteri ridotti o di scarso rilievo: le attribuzioni riservategli dalla costituzione sono infatti molte e molto rilevanti, in quanto attengono a settori fondanti dell’ordinamento generale (es. tutela dell’Ambiente). La modifica dell’assetto di governance della Sanità, da accentrato a federalista su base regionale, ha comportato anche il cambiamento del relativo sistema di finanziamento, che è passato dal modello di finanza derivata, in cui la sanità regionale era finanziata dai trasferimenti statali, al federalismo fiscale, con cui la sanità è finanziata con

tributi regionali, compartecipazione regionale ai tributi erariali e un sistema di perequazione volto a correggere gli squilibri territoriali. Questo cambiamento di passo è stato dettato dalla necessità di responsabilizzare le Regioni sia sul fronte della spesa sanitaria sia sul fronte del prelievo fiscale, in quanto gli amministratori regionali dovendo rispondere delle loro decisioni nei confronti dei cittadini-elettore sono stimolati ad assumere comportamenti più responsabili: in caso di bilancio regionale che chiude in disavanzo, non potendo più contare sul ripiano a piè di lista da parte dello Stato, le Regioni devono provvedere alla copertura con proprie risorse, per cui devono provvedere o all’aumento della pressione fiscale regionale oppure ridurre alcune voci di spesa del bilancio regionale. Il cambiamento del sistema di finanziamento della sanità è segnato da due provvedimento legislativi: 1) il D. Lgs 56/2000, che ha introdotto il federalismo fiscale in sanità; 2) il D. Lgs. 68/2011, che ha introdotto il criterio dei costi e fabbisogni standard nel settore sanitario. L’attuale sistema di finanziamento è quello derivante dal D. Lgs 56/2000. Con la legge di bilancio, previa intesa raggiunta in sede di conferenza Stato-regioni, viene determinato il fabbisogno sanitario nazionale standard. Con intesa della Conferenza Stato-Regioni le risorse del fabbisogno sanitario nazionale sono ripartite nelle due componenti “fabbisogno sanitario vincolato” e “fabbisogno sanitario indistinto”, viene inoltre determinata la quota spettante a ciascuna regione: • fabbisogno sanitario vincolato: sono le risorse destinate al perseguimento di specifici obiettivi ed è finanziato con il Fondo Sanitario Nazionale, dunque, con risorse a carico del bilancio statale (per es: medicina penitenziaria, finanziamento per il superamento degli Ospedali psichiatrici giudiziari, borse di studio per MMG, riabilitazione termale, assistenza ad extracomunitari irregolari, finanziamento Istituti Zooprofilattici Sperimentali) • fabbisogno sanitario indistinto: sono le risorse ripartite tra le varie regioni per l’erogazione dei LEA Il fabbisogno sanitario nella sua componente “indistinta” è finanziato dalle seguenti fonti: - entrate proprie degli enti del SSN: ticket e ricavi derivanti dall’attività intramoenia dei dipendenti - fiscalità generale delle Regioni: imposta regionale sulle attività produttive - IRAP nella componente di gettito destinata al finanziamento della Sanità, e addizionale regionale all’imposta sul reddito delle persone fisiche –

IRPEF - bilancio dello Stato: finanzia il fabbisogno sanitario non coperto dalle altre fonti di finanziamento ed avviene attraverso la compartecipazione delle Regioni all’Imposta sull’IVA e la compartecipazione alle accise sulla benzina e gasolio per autotrazione in relazione ai consumi avvenuti sul proprio territorio Questo sistema di finanziamento comporta che le Regioni con più alta capacità reddituale hanno maggiore capacità fiscale e, dunque, maggiori risorse per il finanziamento dei rispettivi SSR, per cui riescono ad erogare i LEA e livelli aggiuntivi di prestazioni; le Regioni con minori capacità reddituali dispongono di minori risorse per il finanziamento sanitario e questo comporta che a stento riescono ad erogare i LEA e a volte sono inadempienti ai LEA. Questa sperequazione è solo in parte compensata dalla misura perequativa delle diverse capacità fiscali. Conseguentemente, il sistema di finanziamento alimenta differenziazioni territoriali nel soddisfacimento dei bisogni e del diritto alla Salute. Il D. Lgs 68/2011 ha sostanzialmente confermato le succitate fonti di finanziamento della Sanità, ma ha introdotto quale elemento di novità che il livello di finanziamento garantito alle Regioni è quello che deriva dal computo dei LEA in base ai costi standard, che costituiscono il quantum di costo ideale, ossia il costo in condizioni di efficacia ed efficienza. Le Regioni che dovessero sostenere una spesa sanitaria superiore a quella che deriva dai costi standard, per la maggiore spesa dovranno provvedere con proprie risorse a carico del bilancio regionale. E’ notorio che i SSR presentano forti differenziazioni sotto il profilo della performance, intesa come rapporto tra risorse impiegate e risultati ottenuti, per cui Regioni con sistemi sanitari meno performanti, a seguito dell’introduzione dei costi standard a partire dal 2023 avranno ulteriori difficoltà ad erogare quel nucleo essenziale di prestazioni costituito dai LEA. Parlando di Federalismo, diamo uno sguardo alla Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, Regioni e Province Autonome di Trento e Bolzano (Conferenza) che rappresenta oggi la principale sede di confronto e coordinamento tra le prerogative dello Stato e quelle degli enti regionali. Compito di questo ente è contribuire alla formazione di una volontà unitaria tra Stato e Regioni, nelle materie di interesse regionale. Tra le sue prerogative principali, da segnalare l’influenza nella decisione dei criteri di ripartizione delle risorse finanziarie che la legge assegna alle Regioni. Con il progressivo decentramento delle funzioni statali, culminato con l’attribuzione alle regioni di nuove competenze a seguito della riforma del titolo V° della costituzione, la Conferenza Stato-Regioni ha acquisito un’importanza crescente, abbandonando la veste di organo meramente consultivo e accrescendo il suo ruolo negoziale e di influenza sul processo decisionale. Infatti lo Stato, se vuole intervenire in materie di infrastrutture, sanità, governo del territorio, protezione civile, non può prescindere dell’intesa con le Regioni (Sentenza n.74 Corte Costituzionale).

PANDEMIA COVID-19 Il 31 dicembre 2019 arrivava da Wuhan la notizia di una nuova forma di polmonite virale; dopo un mese, il 31 gennaio 2020, il governo Conte dichiara lo “stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario”, in risposta alla dichiarazione di “emergenza di sanità pubblica internazionale” dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) del giorno prima. Il 23 Febbraio 2020 viene emanato il Decreto Legge n.6 in seguito al quale il Presidente del Consiglio dei Ministri ha emesso ulteriori decreti recanti le norme sul contenimento del contagio. A fronte di tali provvedimenti nazionali (DPCM) le Regioni hanno emesso molteplici ordinanze mirate ad adeguare la disciplina dei DPCM alle esigenze espresse dal territorio locale. Nel marzo 2020 il Governo ha istituito le Unità Speciali di Continuità Assistenziale (USCA) per aiutare i Medici di Medicina Generale nella gestione sul territorio dei pazienti COVID o sospetti COVID. Ogni USCA ha il compito di assistere a domicilio i malati di COVID-19, ospedalizzando, precocemente ed esclusivamente, i casi gravi. ll caso Toscana: Il SSR della Toscana è regolato dalla L.R. 40/2005 rivista alla luce delle modifiche apportate dalla L.R. 84/2015 e ss.mm.ii. Nell’ambito della gestione delle attività, al fine della costituzione degli elementi innovativi, lo scenario del SSRT vede al centro l’individuazione delle Aree Vaste - la fusione delle Aziende Sanitarie - l’integrazione fra il sociale e il sanitario - la costituzione di ESTAR a supporto delle funzioni tecnico-amministrative delle Aziende Sanitarie stesse. L’Area Vasta è definita come “l’ambito di attuazione della programmazione strategica regionale nel quale sono integrate le programmazioni dell’azienda unità sanitaria locale e dell’azienda ospedaliera universitaria”. Sono state individuate tre Aree Vaste: AV Nord Ovest, AV Centro, AV Sud Est. A ciascuna AV afferisce una sola Azienda USL e l’Azienda Ospedaliero Universitaria di riferimento. La riduzione delle Aziende Sanitarie, ha permesso un’organizzazione più omogenea nell’erogazione dei servizi ai cittadini, il rafforzamento della programmazione di Area Vasta e la revisione dei processi di governance. Alle AUSL afferiscono le Società della Salute (SdS) che sono soggetti pubblici, costituiti per adesione volontaria dei Comuni di una stessa zona-distretto e dell’AUSL territorialmente competente, per l’esercizio associato delle attività sanitarie territoriali, socio-sanitarie e sociali integrate. Parimenti le sinergie tra AOU e AUSL compiute attraverso la programmazione di Area Vasta con rete ospedaliera integrata sui contesti più ampi, hanno permesso la valorizzazione del territorio, economia di scala sui diversi processi e governo regionale delle tecnologie. In tale assetto organizzativo, il SSRT non poteva che non focalizzare la questione sulla centralizzazione degli acquisti e non solo. Con L.R. 26/2014 è stato istituito ESTAR (Ente di Supporto Tecnico-Amministrativo Regionale) per l’esercizio, mediante dipartimenti di livello regionale, delle funzioni tecniche, amministrative delle Aziende Sanitarie, degli Enti del SSR e delle SdS. E’ competente in materia di approvvigionamento di beni e servizi - magazzini e logistica distributiva - tecnologie dell’informazione e della comunicazione - tecnologie sanitarie- procedure concorsuali e selettive per il reclutamento del personale- processi per il pagamento delle competenze economiche del personale afferente al SSR. La sua mission è l’ottimizzazione della spesa pubblica regionale mediante la gestione centralizzata e standardizzata delle funzioni delegate, applicando la programmazione regionale e partecipando alle strategie aziendali relative alle tecnologie con l’obiettivo di erogare prestazioni di qualità. ESTAR opera quale Centrale di Committenza per conto delle Aziende Sanitarie della Regione, ed è il soggetto avvalso per gli appalti sanitari del Soggetto Aggregatore della Regione Toscana. Ma il suo punto di forza è che ESTAR non è solo una Centrale Acquisti ma è anch’esso un Ente che fa parte del SSRT, del quale condivide l’obiettivo finale ovvero offrire ai cittadini prestazioni e servizi di qualità. App Toscana Salute: Nell’ offerta sanitaria la RT introdotto l’App Toscana Salute che consente al cittadino di accedere a vari servizi di sanità digitale (ca 30). L’App si scarica da Apple store o da Play store e si utilizza con lo SPID. Ad oggi è stata scaricata da ca un milione di cittadini e ca 5.360.000 sono stati gli accessi al FSE, 240.170 le prenotazioni Cup, 185.450 le televisite, 745.170 le prenotazioni di prelievi con zero code, 63.630.000 le ricette elettroniche inviate. Campagna vaccinale: A fine dicembre 2020 è stata avviata la campagna vaccinale contro il COVID-19, dando priorità agli operatori sanitari al fine di mantenere in piedi il sistema e ai fragili e agli anziani, per cercare di abbassare fin da subito il rischio di ricovero e decesso nella popolazione generale. Per tutto il 2021 l’epidemia non si è mai arrestata e, con l’avvento della variante Omicron, si sono registrati un numero di contagi mai raggiunto prima. Nel periodo preso in considerazione (gen.2021–gen.2022) rispetto agli eventi attesi, si sono osservate riduzioni di circa il 53% dei contagi, il 69% delle ospedalizzazioni, il 71% dei ricoveri in terapia intensiva, il 79% dei decessi. Senza i vaccini, l’impatto di questi contagi sui servizi ospedalieri e sulla salute delle persone sarebbe stato decisamente superiore e non sarebbe stato possibile affrontare quelle fasi, e quella in cui ancora oggi ci troviamo, senza introdurre limitazioni più stringenti alle attività. Il Caso Veneto: Il SSR si basa su quattro principi fondamentali: universalità delle prestazioni, equità, umanizzazione dell’assistenza socio-sanitaria, integrazione socio-sanitaria. Il PSSR 2019-2023 definisce un modello “Hub and Spoke” sviluppato in coerenza con quanto previsto dal DM 70/2015. Le tipologie di strutture previste sono: 5 Ospedali Hub con bacino di popolazione di circa 1 milione di abi-

tanti - 2 Ospedali di rilievo provinciale - 2 Hub di rilievo regionale - L’Istituto Oncologico Veneto Hub di rifermento per la patologia oncologica - Ospedali presidi di rete Spoke Ospedali nodi di rete e strutture integrative di rete - Strutture private accreditate. Il 25 ottobre 2016 è stata emanata la legge regionale n.19 che ha riformato il SSR istituendo la Centrale di Committenza regionale nota come Azienda Zero. Obiettivo di tale intervento è la razionalizzazione delle risorse e la contestuale efficace ed efficiente erogazione delle prestazioni sanitarie. La Regione Veneto ha inoltre operato il trasferimento ad Azienda Zero della Centrale Regionale Acquisti per tutta la Regione (CRAV) divenuto soggetto aggregatore ai sensi dell’art. 9 comma 1, del decreto legge n.66 del 2014, convertito con legge del 23 giugno 2014 n. 89, inserito nell’elenco ANAC dei soggetti aggregatori con delibera Anac 784/2016. La legge regionale n. 19/2016 oltre alla riorganizzazione territoriale delle aziende sanitarie ha affidato ad Azienda Zero la gestione dei flussi di cassa relativi al finanziamento del fabbisogno sanitario regionale. Azienda Zero provvede dunque ad erogare mensilmente le risorse finanziarie alle aziende sanitarie. I canali di finanziamento sono i seguenti: quota capitaria pesata - finanziamenti a funzioni - dotazioni e costi standard. Il modello di riparto delle risorse deve ricomprendere anche i criteri per l’assegnazione delle risorse pe l’erogazione dei LEA. Inoltre una peculiarità del Sistema regionale Veneto è il supporto dato dalla CRITE (Commissione Regionale per l’Investimento, Tecnologia e Edilizia). Questo organo di fondamentale importanza supporta la Giunta regionale nella funzione di definizione e realizzazione degli obiettivi di governo e di amministrazione (art. 54 comma 1 dello Statuto Regionale). Grande importanza assume il parere rilasciato da questo organo all’indizione delle gare. Infine uno sguardo alla gestione dell’emergenza sanitaria ha fatto emergere una debole collaborazione fra Governo e Regioni. La disciplina statale avrebbe potuto lasciare alle Regioni maggiori possibilità di intervento, sia in ragione delle loro competenze in materia sanitaria sia per la differente diffusione del virus sul territorio regionale in un quadro unitario. Soprattutto nelle situazioni di emergenza il modello di separazione delle competenze non è funzionale essendo necessaria un’azione coordinata tra gli enti, al fine di adottare soluzioni più efficaci, in grado di conciliare l’esigenza di decisioni accentrate che però tengano conto delle esigenze territoriali. Il Caso Puglia: a causa della diffusione del virus COVID-19, in Puglia è stato necessario un ripensamento dell’assistenza sanitaria ed ospedaliera, partendo dalla riconversione di alcuni ospedali per la gestione dei pazienti affetti da Covid-19, dovuta alla cronica carenza di posti letto nella regione Puglia, dopo circa 10 anni “soggetta” al Piano di Rientro della spesa sanitaria. Determinante nella gestione pandemica è stato il ruolo dei Dipartimenti di Prevenzione e della Telemedicina, una dimensione polivalente dell’assistenza sanitaria – ospedaliera, territoriale e integrata – con un aumento delle funzioni classiche dell’emergenza - urgenza e 118 sino alla funzione dell’Ospedale dedicato alle Maxi Emergenze ubicato presso la Fiera del Levante di Bari. Il Caso Lombardia: Le cure primarie sono la porta di accesso, il primo contatto delle persone, della famiglia e della comunità con il Servizio Sanitario. Le cure primarie rappresentano una vera e propria area-sistema dotata di caratteristiche peculiari e molto diverse da quelle, altrettanto tipiche, dell’assistenza ospedaliera. Nel 2020, la rete territoriale delle cure primarie facenti capo all’ATS di Milano, era composta da 400 Pediatri di Libera Scelta (PLS) e 2.089 Medici di Medicina Generale (MMG). Di questi ultimi solo 1.954 sono titolari, 122 sono medici in formazione e quindi con massimale ridotto e 107 gli incaricati provvisori. L’insieme è così ripartito nei territori:

Distretto Milano città Nord Milano Rhodense Ovest Milanese Melegnano e Martesana Lodi Totale MMG PLS

828 133

157 31 291 61 280 56 389 86 144 33 2.089 400

La DGR 3478/2020 della Medicina Generale ha introdotto nell’organizzazione territoriale delle cure primarie, come misura di contrasto alla pandemia da covid19, l’individuazione di modalità di condivisione delle informazioni e degli strumenti fra MMG appartenenti a territori omogenei. Sono stati a tal fine costituiti 62 Centri di Riferimento Territoriale (CRT), che raggruppano tutti i MMG secondo una logica territoriale, con l’intento di favorirne il coinvolgimento attraverso un approccio omogeneo delle attività comuni che sono proprie della medicina.

Azioni strutturali Nel 2021 come per il 2020, l’attività delle ATS e delle ASST è stata indirizzata in maniera prioritaria alla gestione della pandemia Covid-19. Sin dall’inizio dell’emergenza le ATS hanno progressivamente potenziato le funzioni e i servizi maggiormente coinvolti nella gestione della pandemia. Tutti i servizi aziendali e le diverse funzioni - nel rispetto delle indicazioni emanate da Regione Lombardia, Istituto Superiore di Sanità, Protezione Civile, Ministero della Salute e Governo – sono stati rimodulati in base all’evoluzione delle esigenze generate dalla diffusione del COVID-19. Azioni organizzative Relativamente alla gestione della pandemia l’attività delle ATS si è caratterizzata in tutte le linee di intervento per quanto di competenza e nel rispetto delle indicazioni regionali e nazionali fra cui: controllo andamento epidemiologico; gestione delle segnalazioni, dei casi sospetti e accertati; attività di tracciamento e sorveglianza, rapporto con le strutture per l’erogazione delle prestazioni diagnostiche, di ricovero e cura, assistenziali, di sorveglianza; rapporto con le Cure Primarie; organizzazione campagna vaccinale e implementazione delle iniziative territoriali di cui al Piano Territoriale approvato negli ultimi mesi del 2020. In particolare la campagna di vaccinazione per le diverse categorie della popolazione secondo le modalità e le tempistiche definite dalla Struttura Commissariale Nazionale e da Regione Lombardia ha costituito un ambito di estrema rilevanza e di grande impatto sulle attività dell’Agenzia. Altro elemento di particolare significatività che ha caratterizzato l’affronto della pandemia è stato il lavoro svolto in collaborazione con altre Istituzioni per consentire una ripresa dell’attività scolastica ad inizio d’anno e per approntare un monitoraggio costante della situazione specifica del mondo scuola fino al periodo delle vacanze estive. L’assetto federale in sanità presenta dei punti di forza, ma anche delle criticità che costituiscono aree di miglioramento. I punti di forza del federalismo convergono verso la identificazione di questo come strumento di efficientamento delle istituzioni: 1. La flessibilità: i governi regionali possono adottare soluzioni più rispondenti alle specificità locali. Possono garantire risposte più adeguate e coerenti alle differenti esigenze territoriali, perché diverse sono le caratteristiche demografiche, epidemiologiche e le connesse condizioni di salute della popolazione nelle diverse realtà regionali 2. La responsabilizzazione locale e la razionalizzazione della spesa: il sistema sanitario federale è funzionale alla gestione orientata all’efficacia ed efficienza nell’impiego delle risorse pubbliche disponibili, in quanto consente di responsabilizzare gli amministratori e decision maker regionali e locali, che rispondono delle loro decisioni nei confronti dei cittadini elettori, per cui sono stimolati ad assumere comportamenti più responsabili sia sul versante delle entrate fiscali sia quello della spesa sanitaria 3. Livelli di prestazioni ulteriori rispetto ai LEA: le Regioni, nell’esercizio della loro autonomia funzionale, gestionale, organizzativa, amministrativa e finanziaria, possono decidere di erogare livelli di prestazioni ulteriori rispetto ai

LEA con risorse a carico del bilancio regionale, che costituisce un’opportunità in più per i cittadini 4. Funzionale agli acquisti centralizzati di beni e servizi: questo consente di realizzare delle economie di scala che derivano dall’aggregazione della domanda e il risparmio di energie procedimentali 5. Limita la concentrazione del potere, riduce il rischio di errore, sviluppa soluzioni virtuose: il sistema sanitario federale ha una pluralità di centri decisionali, questo assetto tende a limitare la concentrazione del potere e riduce il rischio di errore, nel senso che in territori più piccoli diviene più semplice rimediare agli errori decisionali eventualmente commessi. In questa prospettiva possiamo considerare il federalismo del SSN come un assetto di governance, atto a sperimentare soluzioni organizzative diverse nei vari territori regionali, utile per esportare in altre Regioni soluzioni rivelatesi virtuose (c.d. best practice). Le criticità del sistema sanitario federale sono riscontrabili nelle grandi differenziazioni nel soddisfacimento dei bisogni e del diritto alla Salute: i cittadini residenti in Regioni diverse non possono contare, a fronte di analoghe esigenze (es: problemi oncologici, di diabete o di assistenza protesica) su una capacità di risposta e di presa in carico simile. Indicatori significativi di queste differenziazioni territoriali sono: 1. spesa pro-capite regionale: La spesa media nazionale è di € 1.866 (anno riferimento 2017). In Regioni come

Lombardia, Veneto, Emila-Romagna è superiore a € 1.900 pro-capite, mentre in alcune Regioni meridionali è di poco superiore a € 1700 (precisamente € 1.723 in Campania ed € 1.748 in Calabria). Queste differenze non sono dovute al fatto che al Sud ci sia un minor bisogno di salute ma derivano dal sistema di finanziamento, che assicura un livello di finanziamento superiore alle Regioni economicamente più sviluppate. Notoriamente i sistemi regionali al Nord hanno una gestione razionale delle risorse pubbliche, dunque, la loro maggiore spesa pro-capite si traduce inevitabilmente nella erogazione di un maggior livello qualitativo e quantitativo di prestazioni sanitarie.

2. erogazione dei LEA: Il monitoraggio dei Lea fotografa un Pese che marcia (almeno) a tre velocità.

Regioni di prima fascia: garantiscono un più elevato livello di adempimento nell’erogazione LEA: Veneto, Emilia

Romagna Toscana, Piemonte, Lombardia e Liguria

Regioni di seconda fascia: hanno raggiunto un punteggio intermedio; si tratta prevalentemente di Regioni del

Centro Italia: Umbria, Marche, Abruzzo, Lazio e Basilicata

Regioni di terza fascia: hanno il più basso livello di adempimento LEA, a stento raggiungono la sufficienza (punteggio sufficiente 160), quali Campania, Calabria e Molise. In particolare Calabria e Campania nell’anno 2018 hanno per la prima volta raggiunto la sufficienza, dopo anni di inadempimento nella erogazione del nucleo essenziale di prestazioni. 3. mobilità sanitaria: la disomogeneità tra le aree del Paese in termini di qualità dell’assistenza sanitaria produce il fenomeno della mobilità sanitaria interregionale. I pazienti spesso si rivolgono alle strutture sanitarie del Nord, ove i sistemi di sanità pubblica sono qualitativamente superiori, per cui le Regioni meridionali presentano una mobilità passiva superiore a quella attiva. 4. screening oncologici: i dati rilevati con riferimento ai tre principali programmi di screening, mammella, cervice uterina e colorettale, rilevano notevoli differenze tra le Regioni. In generale, al Sud si registra una più bassa percentuale di copertura della popolazione. 5. tempi di attesa per l’accesso alle prestazioni sanitarie: Il “tallone di Achille” di molti SSR sono i tempi di attesa per i ricoveri ospedalieri e per le prestazioni diagnostiche e specialistiche, che delineano sempre più una situazione in cui il cittadino deve scegliere tra accedere alle prestazioni sanitarie pubbliche (gratuite e con pagamento del ticket) aspettando tempi molto lunghi, oppure pagare per ridurre o azzerare l’attesa rivolgendosi alla Sanità privata o alle prestazioni intramoenia.

Conclusioni Il Gruppo di Lavoro ha preso in considerazione la genesi del nostro SSN, il Federalismo sanitario ed il suo sviluppo a più di vent’anni dalla nascita, i suoi valori declinati ed applicati con successo e non, così come - attraverso una rapida carrellata – tratteggiato le sue peculiarità con testimonianze di quattro ambiti regionali anche alla luce dell’esperienza Covid-19. Quello che è emerso è la sostanziale impreparazione riscontrata in diverse Regioni nell’affrontare il tema cruciale della ‘gestione federalistica’, per recepirne in modo efficace e strutturale le sue sfide, sinteticamente riconducibili alla gestione della ‘res publica’ finanziaria e sanitaria. Un’efficace applicazione del Federalismo in ambito sanitario, in questo senso, avrebbe dovuto rappresentare un punto di arrivo di un cammino compiuto dopo un percorso virtuoso nelle differenti componenti gestionali (sociale, sanitaria, economico-finanziaria, infrastrutturale e politica) di ogni Regione. Nella realtà, al momento della sua nascita, il Federalismo non ha visto tutte le Regioni allineate e pronte a questo importante cambiamento; la sua validazione - per effetto della riforma del Titolo V della Costituzione – è giunta in un quadro di competenze, disponibilità di dati, livelli di programmazione e pianificazione in materia sanitaria diversi tra le Regioni. La crescente domanda di salute e l’offerta di produzione sanitaria a livello regionale pongono i cittadini/pazienti nelle condizioni di poter scegliere (nella maggioranza dei casi) a quale struttura fare riferimento, in quale Regione andare, creando una migrazione sanitaria ed una conseguente asimmetria nell’erogazione delle prestazioni cliniche tra le Regioni. La Sanità pubblica, attraverso la rete dei suoi ospedali e delle strutture assimilabili, compie quotidianamente una grande opera di prevenzione, cura, riabilitazione, assistenza verso tutta la popolazione che ne fa richiesta. In questo senso è utile ricordare la necessità che le strutture pubbliche hanno di assicurare i LEA, attraverso un equo, efficiente ed appropriato impiego delle risorse disponibili. Ed è proprio sul tema delle risorse (e del loro impiego) che si concentra un punto vitale del Federalismo; i vari modelli adottati di ripartizione del FSN fino ad oggi non si sono rilevati perfetti, creando continue divergenze tra le Regioni che attingono principalmente a questi importi per la gestione sanitaria ordinaria e corrente. Abbiamo visto come anche nella gestione della pandemia, ci siano state modalità e tempi di attuazione differenti tra le Regioni, cosa che ha costretto il Governo ed il Ministero della Salute ad intervenire ripetutamente per assicurare - a livello nazionale - un’uniformità di interventi e decisioni fondamentali per il contrasto alla diffusione del virus. Da quanto emerso, non è possibile rispondere alla domanda se il Federalismo sia stato un bene o un male per la Sanità. Esistono certamente margini di miglioramento, ovunque. Poiché risulta impensabile modificare la Costituzione un’altra volta su questo tema, è ragionevole proseguire, con maggiore determinazione e disciplina, a lavorare su tutte le c.d. ‘aree grigie’’ che queste gestioni - sia regionali sia territoriali - hanno portato all’evidenza dell’attenzione pubblica. Il bisogno sanitario di ogni persona resta l’obiettivo principale da raggiungere e soddisfare, perché si possa affermare di vivere nella conoscenza scientifica ed in un Paese quale l’Italia si merita.

Tutor: Maria Grazia Colombo

Il settore acquisti in Sanitá: stato dell’arte e scenari futuri

Gruppo di lavoro: Francesca Bosini I.R.C.C.S. Policlinico “San Matteo”, Pavia Rossana Indiveri Azienda Sanitaria Locale, Lecce Giuseppe Licata Azienda Ospedaliera-Universitaria “Maggiore della Carità”, Novara Alessandra Micciché Azienda Sanitaria Provinciale, Ragusa Domenico Paolo Nitrato IzzoAzienda di Servizi alla Persona, Pavia Vincenza Piccione Azienda Sanitaria Provinciale, Ragusa Manuela Ronconi Fondazione CNAO, Pavia Marco Sirica Azienda Ospedaliera-Universitaria “Maggiore della Carità”, Novara _______________________________________________________________________________________

CAPITOLO PRIMO L’acquisto di beni e servizi tra passato e presente La figura del Provveditore nasce nel 1968 con la legge istitutiva degli Enti Ospedalieri, che codifica le categorie professionali di Provveditori ed Economi. La funzione annovera “la predisposizione degli atti riguardanti ogni acquisto e fornitura, la proposta di capitolati di appalto, la cura della regolare esecuzione dei contratti, le provviste in economia, il riscontro delle fatture e il successivo inoltro per la liquidazione”; in altre parole, le attività oggi identificate con il Provveditore. Dieci anni dopo, in seguito anche all’indebolimento della figura del Provveditore a causa della legge di riforma sanitaria, che lo vede come soggetto poco professionalizzato, il panorama legislativo risulta frammentario e stratificato, generando difficoltà interpretative ed applicative. La legge Merloni opera in questo senso, riordinando il quadro normativo e ponendosi come fonte di carattere generale, disponendo che eventuali “deroghe, modifiche o abrogazioni” delle norme in essa contenute possano essere disposte soltanto “per dichiarazione espressa con specifico riferimento a singole disposizioni” della legge stessa. In seguito al recepimento della direttiva dell’Unione Europea 2004/18/CE, che riunisce le procedure per gli appalti, il Codice De Lise (D.Lgs. 163/2006) abroga definitivamente la Legge Merloni, raccogliendo per la prima volta tutte le leggi sui contratti pubblici di lavori, forniture e servizi, portando a termine una vera e propria revisione del quadro normativo, raccogliendo in un unico testo tutte le leggi emanate in materia, dall’Unità d’Italia al 2006. Il nuovo codice degli appalti è stato emanato in attuazione di tre direttive europee, in risposta all’esigenza di semplificare le procedure, incrementare l’efficienza del sistema e garantirne la trasparenza. Rispetto alla precedente disciplina, è incentrato sullo snellimento delle procedure e sull’adozione di alcuni correttivi. Uno dei principali problemi che si è cercato di risolvere è l’incremento dei costi in cui si sono spesso imbattute le stazioni appaltanti, ma anche ulteriori obiettivi d’innovazione, sostenibilità ambientale, accessibilità degli appalti alle piccole e medie imprese e agli operatori dell’intero mercato europeo. Esso mette a punto un “sistema di qualificazione”, gestito da ANAC, delle stazioni appaltanti, che comporta processi di aggregazione tra le stesse, con l’obiettivo di ridurne il numero, ottenendo efficientamento e professionalizzazione del public procurement. La necessità della qualificazione appare intesa come problema non inerente esclusivamente a questi organismi, ma da ricondurre a criticità di fondo della situazione odierna della p.a., dove carenze organizzative e carenze di professionalità non solo producono gravi inefficienze e sprechi, ma anche un indebolimento della capacità di fronteggiare fenomeni corruttivi e criminali. Il nuovo Codice attribuisce all’ANAC il compito di definire una disciplina di maggiore dettaglio sugli ulteriori requisiti di professionalità: si richiede una specifica esperienza professionale e un’adeguata formazione finalizzata all’acquisizione di competenze in materia di project management per chi esercita il ruolo di RUP. L’ANAC caratterizza in dettaglio compiti specifici e requisiti di professionalità del RUP-Project Manager, chiamato ad operare secondo consolidati standard di conoscenza nazionali ed internazionali. Pur non intervenendo nella materiale esecuzione delle attività, al RUP compete un ruolo di coordinamento e verifica sul corretto operato e sul rispetto delle funzioni affidate ai propri collaboratori.

CAPITOLO SECONDO L’evoluzione della funzione di public procurement Riflettere sul futuro del Provveditorato equivale a prospettare un’innovazione del SSN. Il public procurement e i suoi modelli di funzionamento rappresentano il sistema di acquisti pubblici, il punto cardine intorno al quale ruota l’intero SSN e la salute dei cittadini. Gli strumenti del cambiamento degli ultimi anni sono rappresentati da: centralizzazione dei processi di acquisto: centrali di committenza nazionali e regionali e promozione di consorzi per gli acquisti di area vasta sovra-aziendale, ampliando i bacini di riferimento; standardizzazione: introduzione prezzi e contratti standard; digitalizzazione: adozione e implementazione di strumenti di e-procurement.

Le modalità di centralizzazione degli acquisti si inseriscono nel sistema di aggregazione della domanda pubblica, risultato di una stratificazione normativa avviata col sistema Consip. La centralizzazione, consente alle amministrazioni di beneficiare di economie di scala, ridurre gli intermediari, ottenere a prezzi più bassi e, riducendo le procedure, diminuiscono anche le spese. L’aggregazione degli acquisti contribuisce all’aumento della concorrenza che dovrebbe aiutare a professionalizzare la commessa pubblica. I soggetti aggregatori rientrano tra le centrali di committenza: questo modello operativo mira a gestire l’intero processo di procurement mediante la raccolta del fabbisogno dell’amministrazione di riferimento, la programmazione delle iniziative di acquisto e l’esecuzione delle procedure di approvvigionamento. Alle AS si impone di spendere meglio e ciò vuol dire fornire beni e servizi che permettano di garantire i più alti standard qualitativi (uguali su tutto il territorio, anche se esistono realtà ben diverse) e di mantenere inalterati i livelli di servizio della sanità pubblica. La centralizzazione degli acquisti da sola non produce risparmi: se manca un processo adeguato di analisi dei fabbisogni e di traduzione degli stessi in documenti di gara, il rischio è di generare maggiori costi e iniquità. Standardizzare non deve essere l’obiettivo, ma la conseguenza di una analisi dei fabbisogni. L’eccessiva standardizzazione in un contesto istituzionale in cui il controllo della spesa è inteso come riduzione dei prezzi di acquisto può deprimere il mercato e la sua capacità di innovazione. La centralizzazione ha portato alla costituzione di soggetti specializzati a livello regionale. Analizziamo qui di seguito i diversi modelli: - Modello lombardo. A.R.I.A. S.p.A. è l’Azienda Regionale per l’Innovazione e gli Acquisti della Lombardia e opera in tema di “public procurement” ed “e-procurement” rinforzando gli obiettivi regionali per l’ottimizzazione e l’innovazione della spesa pubblica regionale. A.R.I.A. fornisce alla Regione Lombardia, agli Enti del Sistema Regionale, agli Enti del

Servizio Sanitario Regionale e ad altre Pubbliche Amministrazioni il supporto e gli strumenti per migliorare l’efficienza delle attività di gara e per ridurre costi e tempi connessi alle procedure di selezione dei fornitori. Ultimamente, A.R.I.A. si sta muovendo verso l’utilizzo di sistemi dinamici di acquisizione (SDA). - Esperienza piemontese. Con la L.R. n. 19/2007, la Regione Piemonte ha istituito la Società di Committenza Regione

Piemonte S.p.A. (SCR), società di capitali interamente partecipata dall’amministrazione regionale. SCR è stata costituita quale centrale di committenza, il cui scopo è la razionalizzazione della spesa pubblica e l’ottimizzazione delle procedure di gara, con riguardo ai settori di infrastrutture, trasporti, telecomunicazioni e sanità. - Aggregazioni e centralizzazioni in Puglia. La Regione Puglia ha recentemente disciplinato con fonte legislativa il proprio sistema centralizzato di acquisti. Con L.R. n. 37/2014 ha designato la propria Società in house, Innovapuglia S.p.A. quale

Soggetto Aggregatore regionale. Il Soggetto Aggregatore della Regione Puglia (SArPULIA), nella sua qualità di centrale di committenza e di centrale acquisto territoriale, promuove e sviluppa il processo di razionalizzazione dell’acquisizione di lavori, beni e servizi delle amministrazioni e degli enti aventi sede nel territorio regionale e in particolare: presidia la spesa sostenuta dagli Enti del SSR, espleta gare aggregate per il SSR e per beni e servizi informatici nonché su delega per gli

Enti locali, sviluppa e gestisce gli strumenti informatici di e-procurement e la piattaforma EmPULIA per lo svolgimento delle procedure di gara telematiche. - Il sistema degli approvvigionamenti in Sicilia. Il modello di centralizzazione degli acquisti adottato si inserisce in un profondo disegno di rinnovamento del sistema sanitario regionale, che ha portato alla riduzione del numero di aziende sanitarie (da 29 a 17), suddivise in due Bacini (Occidentale ed Orientale), attraverso un processo di accorpamento e fusione.

La Centrale Unica di Committenza, che ha assunto il ruolo di Soggetto Aggregatore, provvede agli acquisti oltre che per i diversi rami dell’Amministrazione regionale anche per gli enti e le aziende del servizio sanitario regionale. Storicamente, la Governance e la Mission prevalente del S.S.N. sono state caratterizzate da profondi processi di trasformazione, che hanno generato fasi di circa 7-10 anni, durante le quali le configurazioni e gli obiettivi di fondo venivano concettualizzati e rappresentati come stabili. Il COVID invece ha determinato, in controtendenza, il susseguirsi di almeno quattro “epoche” di policy, di mission e di cultura istituzionale in soli due anni (2020- 2021). Alcune di queste fasi si sono in parte sovrapposte e contaminate reciprocamente, richiedendo al Management di co-gestire logiche istituzionali e priorità di policy contrapposte tra di loro, trasformando il S.S.N. in un sistema “mission e data driven” seppur con un unico obiettivo: la cura, il monitoraggio e la prevenzione del contagio. La spesa sanitaria nel 2020, trascinata dai massicci stanziamenti emergenziali, è cresciuta di oltre 6 miliardi rispetto al 2019 (+5%). Nel corso dei primi mesi dell’emergenza, il limite all’acquisizione delle risorse umane e materiali era rappresentato dalla carenza delle medesime o dalle procedure di acquisizione, benché meno stringenti rispetto al passato. Si prende atto di come i sistemi regionali o aziendali culturalmente più abituati a navigare velocemente attraverso le procedure amministrative, hanno avuto maggiore accesso a fattori produttivi aggiuntivi finanziati dagli straordinari stanziamenti. La progressiva trasformazione poi del COVID, da emergenza in situazione endemica sufficientemente controllata, ha condotto poi alla terza epoca. In pieno svolgimento invece è la quarta epoca, caratterizzata dall’attività di costruzione del portafoglio di progetti finanziabili con il Piano Nazionale di Ripresa e

Resilienza e riguardanti un ampio insieme di ambiti, dall’ospedale, al territorio, alla ricerca e allo stesso tempo di fattori produttivi aziendali, quali edifici, apparecchiature, sistemi informativi e tecnologie.

Sulla Gazzetta Ufficiale n. 129 del 31 maggio 2021 è stato pubblicato il D.L. 31 maggio 2021, n. 77 recante “Governance del Piano nazionale di rilancio e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure”. Il nuovo D.L. Semplificazioni, rispetto ai precedenti interventi, ha un “motore” aggiuntivo, poiché si inserisce nel quadro del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) trasmesso dal nostro Paese alla Commissione Europea. In particolare, il PNRR italiano, a sua volta, si inquadra nel programma comunitario Next Generation EU (NGEU), ossia il pacchetto da complessivi 750 miliardi di Euro varato dall’Unione Europea in risposta alla crisi pandemica, nell’ambito del quale l’Italia, ha potuto beneficiare della quota più alta, pari a 191,5 Mld di Euro rappresentati dal c.d. Recovery Fund, cui si aggiungono i 30,6 Mld del Fondo complementare, quest’ultimo coperto con scostamento di bilancio. L’intervento, prefigurato dall’U.E. e concretizzato dal nostro PNRR nazionale, intende porre rimedio ai danni economici e sociali causati della crisi pandemica e, allo stesso tempo contribuire a risolvere le debolezze strutturali dell’economia italiana, indirizzando il Paese verso un percorso di transizione ecologica e ambientale all’insegna della competitività, della formazione e dell’inclusione sociale, territoriale e di genere. Per quanto concerne in maniera specifica alle disposizioni in materia di appalti pubblici recate dal nuovo D.L. Semplificazioni, si evidenzia che, lo stesso interviene, sotto taluni aspetti in maniera significativa, sia su quelli specificamente legati alla realizzazione del PNRR, che sui contratti pubblici in generale. Questo “doppio binario” parrebbe rappresentare un primo elemento di difficoltà che incontra l’interprete nell’inquadramento della nuova normativa

CAPITOLO TERZO Ridefinizione di ruoli e spazi di manovra Qual è dunque la prospettiva della nostra professione? Quali sono le linee di sviluppo future, quali le strade che ancora non sono state del tutto aperte nell’operare quotidiano del nostro lavoro? Dove e come riscoprire le motivazioni e le convinzioni che ci spingono a svolgere il delicato mestiere del Provveditore pubblico? L’acquisizione di uno sguardo d’insieme è senz’altro un passo importante; assumere una prospettiva non meramente “legalitaria” e “difensiva” (ancora largamente prevalente) ma manageriale, che scende al livello concreto della conoscenza profonda della gestione dei processi, con tutto ciò che questo comporta. La risposta vincente sembra consistere in un approccio multidisciplinare, basato sul confronto dialettico tra professionalità complesse e strutturate che si riconoscono e si rispettano, un approccio che si ponga come obiettivo la conoscenza anche diretta dei processi di produzione dei servizi sanitari perché non si può pensare in modo manageriale e gestionale se non si considerano i fattori produttivi e i processi di produzione di cui si è attori coinvolti, se non si mettono a fuoco gli outcome (cioè i risultati) delle strutture sanitarie. Attenzione all’outcome vuol dire accendere i riflettori sull’appropriatezza, l’economicità, l’efficacia, la trasparenza e rispetto della legge. Conoscenza degli outcome vuol dire attenzione ai risultati e alla soddisfazione dei pazienti rispetto ai servizi erogati anche in termini di salute e di efficacia delle cure. In questo processo di aumento della conoscenza e di evoluzione dell’approccio del Provveditore si colloca l’orientamento al managing by walking around, una tecnica manageriale basata sulla conoscenza diretta e informale dei processi produttivi che ruota attorno ad un’idea non rigidamente gerarchizzata e settoriale ma basata sulla condivisione delle conoscenze e delle informazioni e su un accesso ad esse il più possibile diretto e informale quale può essere il dialogo diretto e destrutturato con gli attori coinvolti, allo scopo di comprenderne i punti di vista e le problematiche legate all’utilizzo dei beni acquisiti. Si tratta di un approccio nato negli Stati Uniti negli anni 70 e che oggi è utile riscoprire nella prospettiva che qui interessa: dare profondità e arricchire di contenuti il nostro lavoro ma soprattutto lanciare un messaggio alle nuove generazioni di Provveditori.

Le esigenze di professionalizzazione delle Pubbliche Amministrazioni indurranno necessariamente un’evoluzione del ruolo del buyer pubblico che vedrà da una parte l’erosione del proprio ruolo nelle procedure di acquisto e dall’altra un’estensione delle competenze sulla corretta gestione dei contratti pubblici spesso colpevolmente abbandonata a sé stessa. Una maggior professionalizzazione riguarderà sia i profili giuridici, chiamati a conoscere ed applicare l’elefantiaca normativa di settore che i profili economici chiamati all’analisi dell’economia applicata al ciclo dell’appalto passando per una sempre più importante conoscenza tecnologica soprattutto nel corretto uso delle piattaforme telematiche. Nello specifico settore sanitario il buyer pubblico sarà chiamato ad un sempre maggior dialogo con le figure professionali della Sanità che spesso, per incapacità comunicativa, non riescono nel fondamentale dialogo necessario ad un corretto approvvigionamento di beni e servizi. La professionalizzazione e la qualificazione delle Stazioni Appaltanti rappresenta il più importante gap da colmare nella Pubblica Amministrazione italiana che dovrà inevitabilmente essere il motore della ripresa attraverso una gestione oculata delle risorse

derivanti dal PNRR. La funzione del provveditorato dovrà evolversi verso il motore trainante dell’Azienda che non solo si occuperà della mera fase amministrativa ma che si ponga quale interlocutore dell’area medico sanitaria per il corretto soddisfacimento dei bisogni aziendali nonché della corretta gestione delle risorse economiche pubbliche. Una contaminazione, quella del provveditorato, necessaria al fine di ridurre per quanto possibile le asimmetrie informative contro le quali inevitabilmente si scontrano le Amministrazioni e che rendono gli operatori economici sempre maggiormente dominanti nel proprio mercato di riferimento. La Pubblica Amministrazione italiana è chiamata ad una rivoluzione che permetta la determinazione di un curriculum formativo comune con standard minimi per accedere a livelli più alti della carriera, in cui le competenze da acquisire siano sempre più tecnico-gestionali al crescere delle responsabilità che si ottengono nella funzione acquisti dell’organizzazione. L’attività del Provveditore è caratterizzata da una fisiologica, inevitabile tensione verso l’esterno che, sovente, si è concretizzata in una qualificata interlocuzione con il mercato ed il mondo delle imprese private. L’interazione pubblico-privato, nelle sue varie declinazioni, ha consentito la realizzazione di progetti significativi: il Servizio Sanitario Nazionale, negli ultimi quindici anni, ha fatto ricorso alle partnership pubblico-privato al fine di rinnovare il proprio capitale infrastrutturale e tecnologico, realizzare o ammodernare strutture sanitarie più o meno complesse e gestirne alcuni servizi. Tuttavia l’utilizzo delle forme tradizionali di appalto pubblico ha, finora, rappresentato l’opzione prevalente per l’affidamento di opere e/o servizi. È dato registrare, infatti, una risalente e persistente diffidenza della Pubblica Amministrazione nei confronti del Partenariato Pubblico Privato. Tale parsimonioso ricorso al PPP è verosimilmente ascrivibile, in sanità, ad una eccessiva prudenza ed alla consapevolezza della delicatezza della mission istituzionale di ogni Ente del SSN - la gestione del bene salute - che amplifica la percezione dell’eventuale ricaduta negativa di scelte sbagliate o azzardate. Senonchè, forte di referenze storiche inconfutabili, dell’ancoraggio giuridico al principio costituzionale di sussidiarietà (art. 118 Cost., ultimo comma) e, soprattutto, forte di alcune sue peculiarità (tra tutte, il trasferimento del rischio in capo al soggetto privato), nell’attuale contesto storico ed economico l’istituto del PPP si avvia a rivestire un ruolo strategico per varie ragioni, tutte strettamente correlate tra loro e riconducibili ad un acronimo, attuale e frequentemente evocato: P.N.R.R. Il proficuo utilizzo dei finanziamenti messi a disposizione dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza impone a settori che, come la sanità, vengono da una importante storia di contrazione della spesa, un repentino recupero di risorse, strumenti e coraggio per riempire di contenuti la sesta missione del P.N.R.R. e perseguire gli ambiziosi obiettivi ivi individuati: 1) il potenziamento dell’assistenza territoriale attraverso reti di prossimità, strutture intermedie e telemedicina, per un accesso equo e capillare alle cure; 2) la promozione dell’utilizzo di tecnologie nella medicina, mediante l’innovazione, la ricerca e la digitalizzazione del servizio sanitario nazionale. È l’occasione per portare a compimento il processo di deospedalizzazione e di valorizzazione della medicina del territorio ed è il momento in cui, attraverso il PNRR, l’Italia si impegna a fare un significativo passo avanti nell’ambito della digitalizzazione dei servizi sanitari: l’attivazione delle Centrali operative territoriali (COT), il completamento e la diffusione del fascicolo sanitario elettronico, la telemedicina che, con la tele-assistenza, il tele-consulto, il tele-monitoraggio e la tele-refertazione, garantirà la fruizione dei servizi sanitari al paziente presso il proprio domicilio attraverso uno scambio di dati, immagini, documenti e videochiamate, tra pazienti e professionisti sanitari, sono opportunità preziose e sfide importanti per affrontare le quali le aziende sanitarie devono strutturarsi in fretta. Ai buyer della sanità si richiede, con perentoria cogenza, un set di competenze elevate e critiche, dopo una progressiva erosione del proprio ruolo ascrivibile alla centralizzazione degli acquisti, che ha modificato gli scenari e, per molte categorie merceologiche di beni e servizi, ha ridisegnato ruoli ed alvei di competenza dei diversi attori, attribuendo alle singole aziende del SSN la titolarità della sola fase di esecuzione del contratto di fornitura, all’esito dell’aggiudicazione di appalti condotti, nella loro interezza, dalle Centrali Uniche di Committenza o dai Soggetti aggregatori regionali. Ebbene, soccorre il privato: il coinvolgimento del mercato, attraverso il partenariato pubblico-privato e le sue diverse metodologie attuative, la cui disciplina è dettata dagli art. 180 e ss. del D. Lgs. 50/2016, può senza dubbio rappresentare l’inizio di una positiva traiettoria evolutiva del sistema, favorendo una maggiore efficienza nella realizzazione e gestione di infrastrutture e servizi pubblici nonché generando importanti benefici derivanti, ad esempio, dalla fruizione del know how e dell’elevato livello di specializzazione del soggetto privato per ovviare alla perdita di capacità progettuale che paga ora la dimensione pubblica. Ma se il P.P.P. appare lo strumento più efficace per investire i fondi del PNRR, tuttavia l’expertise del privato non è sufficiente a garantire, da sola, il buon esito dei procedimenti. Occorre comunque un recupero di professionalizzazione delle stazioni appaltanti, imprescindibile per una scelta ponderata e la corretta gestione di strumenti contrattuali impegnativi come quelli del partenariato pubblico privato. In tempi che non concedono esitazioni ed impongono scelte veloci e coraggiose, il buyer pubblico deve recuperare un ruolo decisivo, facendo un efficace uso del quadro normativo vigente e sfruttando le opportunità offerte dal partenariato pubblico privato anche per progettualità che esulano dal perimetro di copertura finanziaria del P.N.R.R.

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