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IL “LUSSISMO” VUOLE L’ITALIA. MA NON GLI ITALIANI
from retail&food 04 2024
by Edifis
Da qualche tempo il dibattito attorno ai beni di consumo, moda in particolare, alle residenze e ancor più alle esperienze, penso a ristorazione e vacanze, si è orientato verso il travolgente concetto del “lusso”.
Recentemente Milano è divenuta la capitale mondiale dello shopping più esclusivo: gli affitti a metro quadro dei negozi di via Monte Napoleone sono i più costosi al mondo. Roma sta per essere invasa da una valanga di camere di nuovi hotel a 5 stelle, così come abbiamo già visto succedere a Milano o sul Lago di Como. E il presidente di Federalberghi ad un convegno ha recentemente dichiarato che “Il nostro Paese non è per tutti. Puntiamo a clienti altospendenti”.
Situazione non dissimile da quanto si può osservare in un numero crescente di stazioni sciistiche o balneari, dove sorgono spazi e servizi “vip” mentre si riducono quelli per la “gente”, il ceto medio: la ministra del Turismo è arrivata ad auspicare la privatizzazione di tutte le spiagge libere.
E che dire delle abitazioni, che in diverse città vedono a bocca asciutta i meno fortunati ma anche gli impiegati, i tranvieri o i camerieri mentre sulla stampa sono sempre più frequenti i racconti di nuovi edifici o quartieri di lusso. Anche qui, Milano eccelle.
Mi piace la Treccani e qui leggo che il sostantivo lusso deriva dal latino: “luxus -us «sovrabbondanza, eccesso nel modo di vivere». Il termine è probabilmente affine all’aggettivo luxus «slogato, storto», da cui luxare (lussare)”.
Non c’è allora qualcosa di “storto” in questa narrazione dell’Italia, destinata soltanto agli “altospendenti”, preferibilmente stranieri?
Intendiamoci, quando non volgari, i prodotti lussuosi sono meravigliosi, ambiti, ispirano, guidano le produzioni, poggiano su un artigianato antico, valorizzano le migliori materie prime. E spesso trainano le produzioni di massa.
Ma sono per pochi e, per definizione, escludono. È interessante anche il fatto che il termine “lusso” sia spesso associato a “esclusivo”, il contrario di “inclusivo”.
E l’inclusione è uno dei principi cardine della “S” di ESG.
Data l’indispensabilità dei beni di lusso, il nostro Paese deve trasformarsi in un giardino privato per ricchi ospiti stranieri, come sostiene Federalberghi? Siamo votati al “lussismo”?
O si può ancora progettare, creare e distribuire prosperità per 60 milioni di italiani e milioni di stranieri che vivono o viaggiano in Italia?
Una prosperità nuova, speriamo: sostenibile, diffusa, inclusiva, aperta, internazionale. Che sia linfa viva per le imprese di produzione e distribuzione ma anche per il commercio, l’accoglienza e la ristorazione. Si può?
Andrea Aiello