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“CATENE E BOTTEGHE STORICHE, A MILANO C’È SPAZIO PER TUTTI”

Incontro con Alessia Cappello, assessora per il commercio del capoluogo lombardo. Da NoLo a Porto di Mare, avanzano i nuovi quartieri. Ma anche in centro non mancano opportunità. Linea morbida sui dehor di Adriano Lovera

Milano corre veloce. Criticata, per il caro-affitti e per la vita a “due velocità”, ma sempre saldamente cuore economico del Paese. L’ultima rilevazione Confimprese-Jakala registra consumi in aumento da inizio anno, in città, in controtendenza con la media regionale. L’ultima Fashion Week ha portato il 15% di stranieri in più, con un indotto complessivo di 70 milioni in pochi giorni. E poi, ci sono i grandi brand, che fanno a fare per accaparrarsi gli spazi commerciali disponibili. Da End Clothing a Primark, da Chanel a Vuitton, da Jordan (Nike) a Primark, passando per Rituals, è sempre nutrito l’elenco delle insegne che desiderano posizionarsi all’ombra della Madonnina. O tutt’al più verso corso Buenos Aires. E quando un brand internazionale decide di sbarcare in Italia, questo è il primo punto. Un vanto, anche per l’amministrazione locale, che evidentemente riesce a preparare il “terreno” nel migliore dei modi.

Alessia Cappello è Assessora allo Sviluppo economico, Politiche del Lavoro e Commercio del Comune di Milano Giovane, nata nel 1985, origini vicentine, si è trasferita a Milano a 18 anni. E dopo anni di esperienze in azienda (tra cui L’Oreal e Luxottica), dall’autunno 2021 ricopre l’incarico in Giunta. L’abbiamo intervistata sul clima che si respira in città, sui nuovi progetti, sul commercio e sullo shopping.

La fine del 2022 è stata difficile, tra inflazione e consumi in bilico. In città, comunque, la ripresa rispetto al periodo buio del Covid è ormai consolidata. Qual è la sua sensazione circa le attività commerciali?

La ripresa è senz’altro in atto. Ma il commercio affronta un’epoca di cambiamento, per alcuni tratti complicato, che in modo particolare ha colpito le piccole attività. Queste, prima della pandemia, vivevano con un certo timore l’avvento del digitale. Poi il Covid ha funzionato da acceleratore e ha fatto comprendere che tecnologia e innovazione vanno cavalcate come opportunità, per crescere e per rispondere alle nuove esigenze dei consumatori, che nel frattempo sono cambiati. Oggi l’utente svolge tante operazioni tramite il cellulare, compresa la spesa. Allo stesso tempo, è allettato dalla possibilità di sfruttare i negozi di vicinato. Lo dimostrano gli investimenti messi in campo, su questo fronte, da tante sigle della GDO. In più, l’eCommerce pone questioni di logistica, che vanno governate a dovere. È uno scenario in evoluzione, ma promettente.

Ci sono quartieri in profonda trasformazione. Da Cascina Merlata a Porta Romana, dalla dorsale Buenos Aires-Loreto, fino a Porto di Mare, si progettano zone nuove o rinnovate, che rispondono alla filosofia della “città in 15 minuti”. È questo il futuro di una città come Milano?

La “città in 15 minuti” è stato un elemento cardine della campagna elettorale del sindaco Sala ed è un concetto che continuiamo a sostenere. Mi pare che sia la traiettoria seguita dalle grandi capitali europee. Andiamo a riqualificare dei quartieri portando i servizi che oggi mancano, favorendo la nascita di nuovi spazi aggregativi o sostenendo iniziative di riqualificazione o rilancio delle piccole imprese. Su questo tema abbiamo lanciato 4 bandi appositi, che hanno proprio l’obiettivo di favorire il commercio, l’artigianato o l’iniziativa imprenditoriale fuori dalla cerchia del centro e che si chiamano, non a caso, “Prossima impresa”, “Milano in 15 minuti”, “Crowdfunding civico” e “Scuola di quartieri”, per un totale di quasi 5 milioni di euro tra fondi del Comune, europei e della Camera di Commercio.

Più ancora di Roma, il capoluogo lombardo è il punto d’approdo prediletto di tanti marchi stranieri, della moda o della ristorazione, che partono da Milano per sondare il mercato italiano. Si dice, nel settore, che se un’attività ingrana a Milano, allora si può esportare nel resto del territorio. Qual è il ruolo dell’amministrazione?

Gli investimenti sono decisi dai privati, noi cerchiamo di far trovare un terreno ideale. Per esempio, abbiamo cercato al massimo di snellire alcuni passaggi, creando una Direzione apposita che si occupa solo di autorizzazioni per tutto ciò che non è di rilievo urbanistico, dalle licenze di somministrazione all’occupazione del suolo pubblico, con tante procedure come la Scia che si possono svolgere in digitale. Quando il rapporto con i privati è buono, arrivano risultati magari piccoli, ma significativi, come la recente apertura dell’ex garage Traversi, diventato uno store di Luis Vuitton, dove la maison ha investito per rifare le aiuole adiacenti piazza San Babila.

Gli spazi commerciali del centro, a partire dalla Galleria o via Torino, sono sempre molto ambiti dai brand. Milano presenta ancora tante opportunità?

Il centro non è ancora saturo. Gli spazi sono gli stessi ma c’è un ricambio frequente di insegne, dunque anche in futuro non mancheranno opportunità. È anche vero, di contro, che noi lavoriamo per far vivere tutta la città e tutti i quartieri. Basti pensare a via Paolo Sarpi oppure a NoLo (nord Loreto), dove la riqualificazione delle strade viene sempre seguita dall’insediamento di nuove attività, che spesso riescono a conservare alcune caratteristiche specifiche del luogo. E c’è ancora tanto lavoro da fare. Nei prossimi mesi, e anni, si vedrà il nuovo volto del Giambellino, del mercato di Lorenteggio, degli scali ferroviari oggi in disuso, a partire da Farini.

Si diffondono sempre di più le catene di negozi e ristorazione che replicano format uguali e riconoscibili. Un punto di forza, per alcuni. Un appiattimento, secondo altri, che intravedono il rischio di centri città “fotocopia” in giro per il mondo. Qual è la sua opinione?

Occorre trovare il giusto equilibrio. Le catene rappresentano un’opportunità. Quasi sempre sono controllate da proprietà che dispongono di capitali ingenti da investire, dunque sono le prime che aiutano il commercio a vivere e ripartire, come accaduto dopo il Covid. Rispetto al rischio di omologazione, il Comune è impegnato a salvare il commercio tradizionale, in modo particolare le “botteghe storiche”, quelle attive da almeno 50 anni, per cui è stato creato nel 2004 un apposito Albo. C’è spazio per entrambe le formule.

Veniamo a una questione specifica: i dehor. Durante la pandemia hanno invaso la città. Ma forse si è esagerato. A che punto siamo?

Tra 2020 e 2021, ci siamo trovati di fronte al raddoppio degli spazi esterni degli esercizi pubblici: da 80mila mq a circa 160mila. E in quella fase è stato giusto favorire il più possibile le attività, eliminando le tasse e le imposte dovute (Tosap e Cosap). Nel 2023 siamo tornati a regime rispetto ai pagamenti, mentre sulla possibilità di allestire tavolini all’esterno il Consiglio comunale ha mantenuto la più alta flessibilità e questo è stato gradito dagli esercenti. C’è stata solo una stretta sull’occupazione di aree verdi, le cui au- torizzazioni vengono rilasciate solo tra marzo e ottobre.

Veniamo a corso Buenos Aires e alla sua pista ciclabile. Secondo i commercianti toglie spazio per i parcheggi e finisce per rendere lo shopping più difficoltoso. Come finirà?

Ragionando insieme, troveremo un accordo. La Giunta promuove la mobilità dolce, naturalmente comprendiamo il desiderio di mantenere il proprio giro d’affari. Guardando ad altre esperienze, sia in città sia altrove, le piste ciclabili o pedonale possono creare un contraccolpo iniziale, ma sul medio-lungo periodo hanno sempre comportato un aumento dei passaggi e delle vendite. Non una diminuzione.

Piccoli appunti personali. L’assessore Cappello fa shopping nelle vie cittadine o al centro commerciale?

Cerco di risolvere la maggior parte delle commissioni nei negozi di quartiere, o vicino a casa, o vicino all’ufficio. Prediligo l’esperienza diretta della boutique, ma sfrutto molto l’online o per gli acquisti “pesanti”, penso alle bevande, oppure per quei capi di abbigliamento ripetitivi, che ormai non ho bisogno di provare. Su questo, l’eCommerce dei grandi marchi funziona bene. Sui centri commerciali, ammetto, li frequento poco.

L’eCommerce si lega al tema dibattuto dei “rider”. Anche Milano è ormai piena di ciclofattorini, a servizio delle app più diffuse. Qual è la sua posizione?

Il delivery è una parte del mercato dell’eCommerce che incontra l’interesse reciproco di consumatori e ristoratori. Io personalmente lo sfrutto poco, preferisco sempre uscire in compagnia al ristorante. Ma come amministrazione, siamo costantemente in contatto con gli operatori, sia quelli aderenti a Assodelivery sia gli indipendenti. Non possiamo entrare nel merito della contrattazione e dei rapporti di lavoro, ma stiamo lavorando ad alcune attività di formazione a favore dei loro collaboratori, soprattutto per quanto riguarda il codice della strada e la conoscenza dell’italiano.

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