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Il valore della fi ducia Emanuele Nasti
Il valore della fiducia
EMANUELE NASTI General manager Htms International enasti@htmsinternational.com
Ho trovato particolarmente interessante un articolo che ho recentemente intercettato su Linkedin e che richiamava il teorema di Covey sugli ingredienti della fiducia. Una sorta di mix algebrico che mette insieme requisiti personali quali trasparenza, integrità e autocontrollo con la sfera ben diversa ma egualmente importante che ha più a che fare con le competenze acquisite per mezzo di studi ed esperienze. Elementi indispensabili e facilmente riconoscibili, che generano, appunto, fiducia. Ebbene, se ci pensate, non sono forse queste qualità che cerchiamo di mettere in mostra con i nostri post sui social? D’altronde la fiducia è una merce di scambio indispensabile alla nostra sopravvivenza perché è alla base di ogni relazione intima o sociale. Non è forse la fiducia che i giovani anelano più di ogni altra cosa dai propri genitori e che poi da grandi, inesorabilmente, restituiscono ai loro figli a prezzo di notti insonni nel week-end? Che si tratti di relazioni sentimentali o di amicizia, è sempre la fiducia a regolare il flusso delle informazioni. Quanto più si ha fiducia verso l’altro, più ci si sente liberi di essere sé stessi fino in fondo. Senza questa piena verità nessuna relazione è destinata a durare. E qui veniamo a noi. La fiducia, infatti, è anche un elemento ricorrente di ogni buona comunicazione di marketing. La “brand reputation” è anch’essa una richiesta di fiducia verso la capacità di un marchio di soddisfare i bisogni del consumatore. Elementi quali etica ed esperienza sono sempre alla base di una buona pubblicità che a sua volta altro non è che una richiesta di fiducia. Ma qui intervengono quattro variabili che possono far saltare il banco. La prima è che la verità in una comunicazione commerciale è sempre relativa o incompleta; la seconda è che una azienda non può pretendere di essere consolata o perdonata per le sue debolezze da un consumatore che le vuole bene. Il consumatore è giustamente spietato e ha verso il suo fornitore un unico interesse: ottenere ciò che desidera per il prezzo che è disposto a pagare; la terza è appunto il fattore prezzo, a cui molti sono più sensibili che all’etica e all’esperienza; il quarto fattore è il più pericoloso di tutti ed è il famigerato fattore esterno. Chi organizza eventi è letteralmente ostaggio delle variabili fuori dal proprio controllo perché il suo ruolo principale è quello di mettere insieme tanti “fattori esterni”. Controllarli, organizzarli, unificarli. Ma come si può controllare l’imprevisto? Pensate ai bei vecchi tempi quando l’imprevisto peggiore che potesse capitare era un volo cancellato. Oggi, pandemie, guerre, crisi energetiche, svalutazione ci obbligano a parare colpo su colpo. Altro che imprevisto! Ormai ci tocca improvvisare. E pensare che nel nostro settore l’improvvisazione è sempre stata vista come il male supremo. Oggi invece è abbastanza comune ricevere dei brief anche abbastanza complessi con pochissime settimane di anticipo e non è sempre facile rispettare budget e scadenze dovendoci interfacciare con una filiera che è nella sua interezza, in grande sofferenza. Ci sono però limiti che non si possono superare. Viviamo tutti nello stesso mondo e non è difficile per nessuno comprendere che le condizioni generali siano profondamente mutate rispetto al 2019. Non si può però abusare della verità ed utilizzarla come scusa. Ciascuno deve assumersi l’onere e la responsabilità di andare oltre le difficoltà, cercare e trovare soluzioni. Per farlo è necessario liberarsi del lamentevole stato di torpore dell’era covidiana, recuperare energia, buone intenzioni, etica e attraverso una buona dose di capacità ed esperienza, tornare a meritarci la fiducia che cerchiamo dai nostri interlocutori. In questi momenti difficili, è possibile che questa fiducia, torni ad avere più valore del prezzo.