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L’IMPORTANZA DELLE SOFT SKILL

Alessandra Colonna*

Il tema delle “soft skill” è un po’ abusato ma è importante mettere in chiaro alcuni concetti di base. Su questo argomento circola ancora troppa confusione e intorno alle soft skill molti si giocano inconsapevolmente il futuro professionale.

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“Carneade, chi era costui?”, fa dire Manzoni a Don Abbondio. E le soft skill? Che saranno mai? Il mondo della formazione ha consolidato nel tempo questa odiosa dicotomia tra le competenze tecniche (hard) e le competenze relazionali (soft). Si aggiunga poi che il termine soft è stato tradotto in accessorio e meno importante e il patatrac è fatto. Se una cosa è percepita come accessoria, opzionale, leggera, un vezzo, perché dedicarvi tempo? Mi convinco di poterne fare serenamente a meno. Ecco perché spesso le persone trascurano la propria formazione comportamentale. E c’è di più. Poiché nella nostra scuola secondaria e universitaria la formazione sul come fare le cose è assente, è diffusa l’idea che per garantire una buona prestazione professionale sia sufficiente avere solo preparazione tecnica. Inoltre, come ha ben messo in luce in un articolo dell’Harvard Business Review dell’aprile 2013 Barbara Imperatori, professore associato di Organizzazione Aziendale presso l’Università Cattolica di Milano “…la socialità che caratterizza la nostra cultura ha in parte rallentato processi più strutturati di codifica e sviluppo di competenze manageriali relazionali, che spesso sono considerate un tratto caratteriale e psicologico naturale. La complessità attuale dei contesti organizzativi sta mettendo in luce le debolezze di questo modello manageriale”.

Spesso si confondono attitudini relazionali con capacità manageriali che in realtà richiedono competenze approfondite e strutturate, al pari di quelle tecniche.

L’inganno delle hard e soft skill La vera debolezza delle soft skill è che non piacciono, soprattutto a chi ha un background molto tecnico, perché non sono misurabili e sono viste come “cose da psicologi”. Per misurare ci vogliono regole e parametri di riferimento oggettivi. Decodifcare le competenze manageriali, scomporle e ricondurle a processi con output ben definiti, al pari di quelle tecniche, è difficile, lo so bene. La sfda è elevare il rango delle soft skill, espressione che, si sarà capito, non amo, per farne comprendere e apprezzare l’importanza e il valore, al pari delle competenze hard. Sono consapevole che molto dello scetticismo nasca dalla difficoltà di rendere oggettivo il concetto di managerialità efficace, delle capacità e dei comportamenti che la nutrono. La concretezza della capacità tecnica e la supposta intangibilità di quella manageriale nascerebbero proprio dalla misurabilità di conoscenza, processi e risultati, possibile nella prima e non nella seconda. Se uso male Excel, l’errore è visibile a tutti, oggettivo e imputabile a me, facilmente correggibile con l’acquisizione della relativa nozione, che mi eviterà di reiterarlo. Nel caso delle competenze manageriali come posso riconoscere in modo oggettivo e condiviso gli errori, miei e degli altri, senza processi, modelli e metodi di riferimento? Varrà tutto e il contrario di tutto. Meritocrazia e capacità

Quando si parla di capacità manageriale, e quindi anche di capacità negoziale e di comunicazione, tutto appare fluido e relativizzabile e di tutto posso essere non responsabile, perché assenza di processi e di metodo vuol dire anche questo.

Di certo una società fondata su reali processi di selezione meritocratici tende a valutare con maggiore attenzione i portatori di competenze, il più possibile oggettive, piuttosto che i millantatori di tali supposte capacità. L’assenza di strumenti per misurare e attestare il possesso di una capacità permette a tutti di dire di disporne, senza che nessuno possa provare o verificare il contrario, se non a fronte della comparsa di danni anche irreparabili.

Tutti affermiamo di possedere capacità negoziale e di comunicare solo per il fatto di svolgere determinati ruoli. Credo di non essermi mai imbattuta in un curriculum vitae in cui, nella sezione delle capacità relazionali, non fosse elencata la capacità di negoziazione e comunicare. Ma chi dice che ne dispongo? Chi lo attesta? Come lo dimostro? Come le misuro? Tempo fa ho raccolto la testimonianza di un direttore HR. La ritengo esemplare. Dovendo selezionare un dirigente, per il cui profilo la capacità negoziale era essenziale, incaricò una rinomata società di selezione. La persona assunta si rivelò inadatta al ruolo e incapace di negoziare. Il direttore HR mi disse che il suo errore fu dare per acquisita l’universalità del concetto di negoziazione. Aveva dato per scontato che tanto la società di selezione, quanto il candidato – che di tale capacità faceva ampiamente sfoggio nel proprio curriculum vitae –, intendessero allo stesso modo il concetto di “capacità negoziale”. Ma allora si può avere un metodo anche per negoziare e comunicare con efficacia? Si può, eccome. Ed è su questo che terrò la mia rubrica per qualche tempo, offrendo idee e spunti per potere negoziare e comunicare con consapevolezza e senza improvvisare. Chiudo la mia provocazione. La competenza tecnica è irrinunciabile. Ma la sostanza non basta, bisogna darle forma. Troppe volte mi capita di ascoltare persone preparate, ma incapaci di passare con chiarezza i loro messaggi. Effetto: chi è meno preparato nella sostanza ma più abile nella forma ha la meglio. Io voglio aiutare le persone che hanno sostanza ad avere anche forma affinché abbiano la meglio su chi ha solo forma.

*Alessandra Colonna, CEO di Bridge Partners® . Torinese di nascita e milanese d’adozione, Alessandra Colonna dal 2005 è CEO di Bridge Partners®, società specializzata in consulenza manageriale e alta formazione per lo sviluppo della capacità negoziale. Formatrice, consulente, imprenditrice, si dedica alla divulgazione di temi quali le capacità relazionali sul lavoro, e tra esse negoziazione e comunicazione efficace. Ha scritto il best seller Il Manager della Negoziazione, oggi alla sua seconda edizione.

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