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LA CULTURA CASHLESS: CHIMERA ITALIANA?
Jane Elisabeth Cassoli*
Negli ultimi tempi il sistema dei pagamenti in Italia ha fatto parecchi passi avanti, con un notevole utilizzo di carte e di moneta elettronica volto a una pluralità di obiettivi: maggiore tracciabilità nei movimenti monetari e riduzione nell’utilizzo del contante. La strada verso i pagamenti elettronici è però tutt’altro che in discesa.
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In ambito lavoristico, già con la Legge di Biancio n. 205/2017, si è previsto lo stop ai pagamenti in denaro contante per i datori di lavoro ai propri dipendenti, con rapporto di lavoro di tipo subordinato, di collaborazione o di cooperativa, e l’obbligo del versamento delle retribuzioni esclusivamente con le modalità previste dalla stessa Legge. Ora a partire dal 1^ luglio 2020, una nuova stretta applicata all’utilizzo della moneta è stata introdotta con decreto n. 124/2019. Si è, infatti, previsto un tetto massimo di 2000 euro per i pagamenti in contanti, che sarà ulteriormente ridotto a un massimo di 1000 euro a partire da gennaio 2022. Sono numerose le ricerche che dimostrano come il ricorso al contante sia una prerogativa del tutto italiana, fungendo da terreno fertile per l’economia sommersa. Fattori come quello economico, generato dal ritardo delle economie del sud rispetto a quelle del nord, quello culturale, non essendo elemento da sottovalutare l’importanza del senso civico e del rispetto delle regole, o ancora il fattore sociale, con la presenza di criminalità organizzata e l’ineffcacia dei controlli, non permettono di dirigersi verso un’elevata crescita generale. Si può dire che l’Italia, abbia tuttavia cercato di apportare delle modifche alle radicate abitudini del pagamento in contante dei propri cittadini ed aziende, con iniziative e investimenti sui nuovi metodi di pagamento, che la pandemia ha sicuramente contribuito ad accellerare nell’affermarsi, garantendo agli utenti sicurezza nell’utilizzo dei metodi richiesti, facilità nella fruizione dei servizi e risparmio di tempo. Ciononostante a penalizzare questo avanzamento tecnologico sono soprattutto i bassi livelli di competenze digitali che si traducono in uno scarso utilizzo dei servizi online, compresi i servizi pubblici digitali. Una recente statistica ha difatti dimostrato come solo il 74% degli italiani padroneggia l’utilizzo di internet e di conseguenza ha maggiore dimestichezza con i pagamenti online. Esempio lampante del lento affermarsi dell’uso dei digital devices è stata la recente esperienza della DaD (didattica a distanza), che in tempo di Covid-19 ha portato alla luce le numerose diffcoltà delle famiglie italiane, oltre che del personale addetto, nell’utilizzo di PC, tablet, smartphone e piattaforme connesse. Non c’è alcun dubbio che la diffusione delle competenze digitali e di una cultura cashless siano da intendersi come elementi complementari, volti ad uno sviluppo generale, per ridurre l’economia sommersa e con essa il
lavoro nero, le sotto fatturazioni e le retribuzioni ridotte a discapito dei lavoratori. Ecco perché, anche l’INL (Ispettorato Nazionale del Lavoro) si è espresso, fornendo un importante chiarimento sull’utilizzo della pericolosa combinazione tra lavoro nero e pagamento in contatti. L’Istituto ha previsto che, in questa situazione dove oltre a violare le disposizioni in tema di pagamenti tracciati, si confgura anche l’ipotesi d’irrogazione del noto provvedimento di maxi –sanzione per lavoro nero, si debbano applicare, senza alcun dubbio, entrambe le sanzioni, generando per il datore di lavoro colpevole un danno economico considerevole.
*Jane Elisabeth Cassoli
Giuslavorista e Consulente del Lavoro Chiunque desiderasse proporre o approfondire argomenti relativi a questa rubrica può scrivere a consulenza@studiocassoli.com