Inverno 2013 - Numero 29 - Periodico Trimestrale
POSTE ITALIANE S.P.A. - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE DL 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004N.46) ART.1, COMMA I, DCB MILANO
Editrice Novalis - www.librerianovalis.it
ARTEMEDICA
NEWSLETTER ANTROPOSOFIA OGGI
Numero speciale MART
RUDOLF STEINER: L’alchimia del quotidiano
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Un'esperienza di lettura Sofia Brugnatelli ci ha lasciati nel corso di una triste primavera a soli 17 anni. La sua vita è stata animata da una grandissima passione: scrivere. Questa sua passione non nasceva da una pura e semplice sete di espressione personale ma scaturiva in modo del tutto naturale dall’altra grande fonte di gioia che ha colorato molte delle sue giornate: la lettura. Leggere e scrivere. Queste due attività erano per Sofia le facce di una sola medaglia; da un lato la lettura le permetteva di entrare nel mondo affascinante e inesauribile dell’immaginazione, dall’altro la scrittura era il momento in cui modelli, idee e stimoli incontrati sulle pagine dei libri venivano messi al servizio delle sue esperienze personali, della sua fantasia. Per Sofia, insomma, la cultura non rappresentava un qualcosa di sacro e pedante cui accostarsi con reverenza e con un’adesione puramente intellettuale: i libri costituivano un tesoro ricchissimo, un'occasione di divertimento, di riflessione, di crescita individuale pienamente in sintonia con il resto della propria vita.
Un'emozione per Sofia Per ricordare Sofia Brugnatelli, la sua curiosità intellettuale e umana, la sua gioiosa e intelligente avventura di lettrice e scrittrice, il Comitato per Sofia bandisce per l'anno scolastico 2012/2013 la XVI edizione del Premio Letterario Sofia, patrocinato dalla Provincia di Milano. 1. Il concorso è riservato alle studentesse e agli studenti degli istituti superiori di Milano, Monza e delle rispettive province. L'esperienza di lettura di questa edizione è incentrata sul concetto di futuro, come evoluzione della realtà o come sua alternativa; la forma letteraria è libera. Può trattarsi di un racconto, di un saggio, di una poesia, può essere la riscrittura di un testo o l'elaborazione originale di sensazioni vissute di fronte a un'opera d'arte. 2. La giuria di quest'anno è composta da: Giuliano Pisapia - sindaco di Milano Andrea Kerbaker - scrittore, docente di Istituzioni e Politiche Culturali all'Università Cattolica di Milano Giacomo Poretti - del trio Aldo, Giovanni e Giacomo, attore e scrittore Barbara Sorrentini - giornalista e conduttrice di Radio Popolare 3. Le opere, non superiori alle tre pagine dattiloscritte, dovranno pervenire entro il 15 aprile 2013 all'indirizzo e-mail: concorso@premiosofia.it, accompagnate dai seguenti dati del partecipante: nome, cognome, età, indirizzo, numero telefonico dell'abitazione e nome della scuola frequentata. Questi dati saranno utilizzati esclusivamente al fine della realizzazione del Premio stesso; l'invio delle opere e dei dati - previa lettura dell'informativa sul sito www.premiosofia.it - costituisce consenso al loro utilizzo. 4. I testi ricevuti non saranno restituiti ma potranno essere raccolti in una dispensa offerta a tutti i partecipanti ed eventualmente pubblicati. La raccolta degli elaborati e i nomi dei premiati saranno inseriti sul sito www.premiosofia.it. L'adesione al bando costituirà consenso alla pubblicazione e alla diffusione degli stessi. 5. Il Premio Sofia ammonta a cinquecento euro; la casa editrice Bietti mette a disposizione un premio per il secondo e per il terzo classificato rispettivamente di trecento e duecento euro, mentre l'ANPI Barona conferirà alcuni premi in buoni acquisto libri da cento euro l'uno ai lavori ispirati ai temi della memoria, della Resistenza e della difesa della libertà. 6. La premiazione avrà luogo lunedì 3 giugno 2013 alle ore 20:45 presso lo Spazio Oberdan della Provincia di Milano in v.le Vittorio Veneto, 2 - Milano [MM1-Porta Venezia]. Per ulteriori informazioni: Comitato per Sofia - info@premiosofia.it
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L’architetto Stefano Andi ha accettato di scrivere un articolo per la nostra rivista in occasione della mostra “Rudolf Steiner - L’alchimia del quotidiano”, allestita al Mart di Rovereto. È una sorta di réplique della mostra, tenuta al museo di Wolfsburg (Germania) circa un anno fa. All’origine, a Wolfsburg, questa mostra era accoppiata con una seconda esposizione, “Rudolf Steiner e l’arte contemporanea” – qui assente per ragioni di spazio –, che presentava opere di artisti nostri contemporanei, che si dichiarano debitori di Rudolf Steiner per l’ispirazione e l’interesse che ne hanno tratto per la loro opera personale. Per sopperire a questa mancanza, l’associazione Ars Lineandi di Trento ha allestito una piccola mostra collaterale che verrà ospitata nella Biblioteca del Mart, la quale presenta una sintetica raccolta di progetti realizDIREZIONE CULTURALE zati da alcuni fra i più rappresentativi esponenti del movimento PAULETTE PROUSE organico vivente degli ultimi anni. La mostra Rudolf Steiner “L’alchimia del quotidiano “ dedica ampio spazio alle analisi steineriane sull’architettura, come si può dedurre dal programma, tuttavia è un’iniziativa non rivolta al passato in riferimento alla figura di Rudolf Steiner di quasi un secolo fa, ma porta degli spunti, delle soluzioni vitali con un approccio sempre innovativo. Un approccio aperto da cui deriva l’espressione di “architettura organica vivente”, che non si siede sul già conquistato, perché per sua natura segue l’evoluzione. Andi mette in luce la grande responsabilità dell’attività edilizia nella cultura moderna. Egli esprime seri dubbi se l’uomo abituato alla realtà virtuale, in cui siamo tutti un po’ prigionieri, sarà ancora capace di creatività. Credo che siamo tutti intimiditi, spiazzati dall’aspetto gigantesco e spesso provocatorio dell’architettura moderna, così rivolta a sbalordire un pubblico anonimo in cui scompare il singolo uomo, in quanto il costo di questa edilizia-spettacolo è in netto contrasto con la situazione economica dei cittadini. Questo sfarzo urta con la monotonia delle case dei quartieri cittadini, con la tristezza delle periferie delle nostre metropoli. Andi ci ricorda come, in ogni epoca, l’architettura esprime l’immagine dell’uomo e del suo livello di coscienza, e quindi, osservando la nostra epoca, si può constatare l’espansione dell’industria e dell’immagine meccanicistica dell’uomo, di cui abbiamo le conseguenze nelle abitudini della vita quotidiana. Immagine mescolata a quella dell’uomo animale derivata dal materialismo e dal darwinismo. Di cui abbiamo, in effetti, in Picasso il più geniale rappresentante. Ma sono anche falsi modelli dell’uomo moderno, poiché questi tende verso valori di libertà e di responsabilità. Steiner chiama la nostra epoca quella segnata dall’anima cosciente. Andi ci descrive l’architettura organica vivente con qualità attive, che ci fanno capire che siamo solo all’inizio del processo evolutivo che ci conduce verso una nuova coscienza. Egli parla di forze rigenerative, educative nel senso di uno scambio mediante moti dell’anima e dello spirito che ci permettono di instaurare, attraverso i nostri sensi, un dialogo vivo tra interiorità ed edificio. All’articolo di Giovanna Bettini sulla psicoterapia antroposofica apparso sullo scorso numero della rivista, segue un altro scritto di Pilar Di Valerio, anche lei socio dell’associazione Apai-Perseo, in cui vengono descritte le varie fasi del sonno con i rispettivi effetti sulla vita diurna, che possono essere rigenerativi oppure anche distruttivi. E, viceversa, il nostro modo di affrontare la vita diurna, con tutte le sue sfide, si ripercuote sulla qualità delle fasi notturne. È un po’ come un ping-pong che, se giocato male, può anche portare ad uno stato depressivo. Giovanni Simoncini ci porta una bellissima testimonianza del ricordo dell’amico Gianni Catellani, ci sensibilizza a non dimenticare l’altra parte dell’umanità, ossia quella che ha abbandonato il piano fisico. Ci dà una descrizione anche del lutto e della solitudine in cui si trova colui che ha perso il caro amico, che spesso si impara ad apprezzare dalla sua assenza più che da quando era presente. Infine, sulla mostruosa raccolta forzata degli organi dei praticanti del Falun Gong... no comment.
Paulette Prouse
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NEWSLETTER ANTROPOSOFIA OGGI n. 29 - Inverno iscritta al tribunale di Milano al n. 773 registro stampa, il 12.10.2005
Direttore Responsabile Lucia Abbà Direzione Culturale Paulette Prouse e Luca Sermoneta Redazione Anna Chiello Grafica e Copertina Joint Design sas Traduzioni Daniela Castelmonte Stampatore Mediaprint S.r.l. via Mecenate, 76 - 20138 Milano
LA PUBBLICITÀ SU ARTEMEDICA È ECONOMICA E EFFICACE unico concessionario per la pubblicità EDITRICE NOVALIS via Angera, 3 - 20125 Milano tel. 02 67116249 fax 02 67116222 www.librerianovalis.it INFORMAZIONI info@librerianovalis.it
Rudolf Steiner. L’alchimia del quotidiano La mostra al MART di Rovereto di Stefano Andi
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La terra geme In memoria di Gianni Catellani di Giovanni Simoncini
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Il cortometraggio realizzato da ANFFAS grazie anche a Uilca vince il premio SO.DOCU di Barbara Peres
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Paura, ma anche forza di resistenza fanno parte della cardiofobia di Markus Treichler
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Raccolta forzata di organi dai prigionieri di coscienza del Falun Gong
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C’è chi veglia e chi può dormire Il sonno e le sue fasi alla luce dell’indagine scientifico-spirituale di Giuseppina Pilar Di Valerio pag.
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Morire accompagnati a cura di Silvia Canepa
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Fedeli al sé Il senso nell’amore di Nada Starcevic
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Essere o divenire umani? Equivoci sull’origine dei primati antropomorfi e dell’uomo di Luca Sermoneta pag.
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La dispepsia di Giuseppe Mammero
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SOMMARIO
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RUDOLF STEINER. L’ALCHIMIA DEL QUOTIDIANO
LA MOSTRA AL MART DI ROVERETO di Stefano Andi CONSIDERANDO CHE LE BASI E I MOTIVI FONDAMENTALI DELL’OPERA STEINERIANA SONO DA TROVARSI NELLA SUA RICERCA FILOSOFICA, SCIENTIFICA E IN SENSO STRETTO SPIRITUALE, VOLENDO ESSERE QUESTO SCRITTO UN TESTO INTRODUTTIVO ALLA MOSTRA “RUDOLF STEINER. L’ALCHIMIA DEL QUOTIDIANO”, LA QUALE SI OCCUPA APPUNTO DELLA PRODUZIONE ARTISTICA STEINERIANA, NOI QUI CI CONCENTRIAMO SOLO SUL FRUTTO CONCRETO CHE QUELLA RICERCA HA DATO NEL CAMPO DELL’ARTE E IN PARTICOLARE DELL’ARCHITETTURA.
Il MART di Rovereto
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erché fare oggi una mostra sull’arte e l’architettura di Rudolf Steiner? L’impulso che questi diede, sulla base della sua ricerca filosofica, scientifica e spirituale, al campo dell’arte risale ormai a più di un secolo fa, a partire cioè dal 1907, anno in cui fece le prime prove, nel contesto di un importante convegno della Società Teosofica a Monaco di Baviera (società di cui egli allora faceva parte), di quella che culminò poi successivamente tra il 1913 e il 1925/28 con l’edificazione dei due edifici del Primo e Secondo Goetheanum, nella corrente dell’architettura organica vivente e dell’arte di ispirazione goetheanistica. A distanza quindi di oltre cento anni, il rischio infatti è di realizzare semplicemente una mostra celebrativa, un’esposizione museografica, un evento di intento storiografico, che magari colmi anche il vuoto di cono-
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scenza, soprattutto nel nostro Paese, che ancora perdura attorno alla figura e all’opera di Rudolf Steiner, ma che comunque abbia solo un sapore commemorativo, retrospettivo, rivolto al passato. Pur sperando in ogni caso di contribuire a colmare, appunto, in parte questo vuoto, l’intento alla base di questa iniziativa è invece di mostrare come molti dei temi che Rudolf Steiner trattò ed elaborò nelle sue opere sia nel campo conoscitivo che in quello artistico, che infine in quello sociale, sono ancora oggi attualissimi e i numerosissimi spunti che egli diede alla soluzione dei relativi problemi sono oggi sempre più fecondi e vitali. Se osserviamo la situazione odierna dell’architettura, le due direzioni programmatiche in cui oggi vengono rivolti i più grandi sforzi di ricerca e di applicazione e di investimento di pensieri, energie, denaro nel campo del costruire sono: 1) lo sviluppo di una tecnologia edilizia sempre più raffinata nell’ottenere prestazioni funzionali progredite al minor costo possibile, soprattutto nel campo del risparmio delle fonti energetiche, nello sfruttamento di quelle naturali (solare, eolico, geotermico, ecc.), nell’impiantistica, nell’automazione e industrializzazione dei processi edilizi, nella invenzione e diffusione di nuovi materiali, componenti e sistemi; 2) contrastare il fenomeno del consumo di territorio libero, con lo sfruttamento a nuovo di vecchie superfici già occupate, attraverso il riutilizzo di vecchie aree dimesse da impianti industriali abbandonati, da istallazioni militari smantellate (rigenerazione territoriale), il ricupero di volumi edilizi obsoleti, la ristrutturazione di strutture ormai inadeguate a nuovi utilizzi (rigenerazione urbana), ecc. Le due tendenze hanno entrambe alla base le preoccupazioni indotte dalla situazione ecologica del pianeta, che comunque si traducono inevitabilmente in termini di valori finanziari e pesi economici, che ogni comportamento e decisione operativa possiede. Questi due motivi fondamentali tra loro opposti, ma che spesso si intrecciano e danno luogo a sinergie più nefaste che virtuose (si veda per esempio il proliferare incontrollato degli impianti eolici, di dubbia utilità e sicura ricaduta negativa sull’ambiente; oppure analogamente degli impianti fotovoltaici, quando sottraggono grandi estensioni di terreno agli usi agricoli), sono oggi in cima all’agenda di ogni governo, ogni istituzione, ogni gruppo culturale e direttivo che si occupi responsabilmente di architettura e attività edilizia, soprattutto nei Paesi progrediti, in Occidente ed in Europa. In realtà però dietro le quinte agiscono due fattori ancora più essenziali, che riguardano come l’attuale civiltà considera l’essere umano e come concepisce il suo rapporto e la realtà naturale, la sua collocazione nel mondo.
Soffermandoci infatti ancora un attimo sul senso primo di questa duplice tendenza, non possiamo disconoscere che l’immagine dell’uomo che scaturisce da queste due tendenze dell’architettura, come specchio dell’uomo stesso, è da una parte quella dell’uomomacchina, modello astratto e meccanizzato, che se non vuole adattarsi alla sua essenza di essere naturale, in senso darwinistico quindi, rischia di straniarsi dalla natura distruggendola e consumandola; dall’altra quella dell’uomo-animale, che invece si inserisce emotivamente e istintivamente, visceralmente nel tessuto naturale del mondo, non staccandosene né distinguendosi qualitativamente. Il primo ambito citato, quello dello sviluppo tecnologico, va nella direzione di una totale meccanizzazione non solo dei processi costruttivi, ma anche della fase e dei modi progettuali e creativi dell’architettura, che tende oggi sempre più a diventare un prodotto industriale meccanizzato e anonimo, una “macchina per abitare”, come aveva già preconizzato quasi un secolo fa LeCorbusier. Alla base di questa tendenza – che invero oggi ha anche una sua necessità pratica e una ineluttabilità storica – sta infatti l’immagine dell’uomo appunto come macchina, ossia come meccanismo fisico intercambiabile, sostituibile e determinabile, condizionabile dall’esterno, privo di libertà e consapevolezza individuale. Questo quadro non ha solo risvolti sociali e di politica economica, ma prima ancora esistenziali, psicologici e spirituali. Perché l’ideale della meccanizzazione e automazione della vita quotidiana, ormai già sviluppata a un grado avanzato (si veda quanto dipende la nostra vita dalle macchine intelligenti: l’auto, la TV, il telefono cellulare, il computer, e tutti i loro succedanei) porta a un uomo avvolto e prigioniero di una realtà illusoria e virtuale, artificiale, che con la natura concreta della realtà ha un rapporto artefatto, solo astratto e teorico. Un uomo irrigidito in schemi mentali astratti, secondo protocolli comportamentali e intellettuali, freddo nei sentimenti e passivo nell’azione pratica, incapace di vera creatività. Per questo uomo la nostra società propone la sua controimmagine: l’abitazione “intelligente”, la casa passiva, l’edificio cibernetico, automatizzato, la città cablata. Se consideriamo poi la seconda tendenza, dietro ai pur condivisibili intenti ecologici, sta il concetto di una
L’IDEALE DELLA MECCANIZZAZIONE E AUTOMAZIONE DELLA VITA QUOTIDIANA PORTA A UN UOMO AVVOLTO E PRIGIONIERO DI UNA REALTÀ ILLUSORIA E VIRTUALE, ARTIFICIALE, CHE CON LA NATURA CONCRETA DELLA REALTÀ HA UN RAPPORTO ARTEFATTO, SOLO ASTRATTO E TEORICO
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I NUMEROSISSIMI SPUNTI CHE EGLI DIEDE ALLA SOLUZIONE DEI RELATIVI PROBLEMI SONO OGGI SEMPRE PIÙ FECONDI E VITALI
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Mario Merz, Tavolo a spirale in tubolare di ferro per Festino di Giornali datati il Giorno del Festino, 1976, © Kunstmuseum Wolfsburg
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convinta impossibilità, da parte della cultura contemporanea di tipo scientista, di potere rapportarsi attualmente con il mondo naturale e le forze della natura, se non in termini di consumo minaccia e sfruttamento, come è infatti successo almeno negli ultimi due secoli di storia. Il problema ecologico è nato infatti con la modernità, con lo sviluppo della civiltà industriale, con l’affermazione di una scienza, quella moderna, e della tecnica ad essa conseguente, che è estranea alla natura se non addirittura ostile alle forme di vita. Le catastrofi ecologiche, i cataclismi naturali, la desertificazione della terra, l’impoverimento degli alimenti, la distruzione delle foreste, l’inquinamento dell’aria, dell’acqua
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della terra, il consumo di suolo, appunto, sono gli effetti di una civiltà incapace di porsi in modo armonico e sostenibile nei confronti del mondo vivente e di cui l’attività edilizia del costruire gioca un importante ruolo impattante negativo. Da questa parte, quindi, per reazione, si oppone all’altra, alla prima, l’ideale dell’uomo dinamico e vitale, sportivo, appassionato e passionale, magari irrazionale quanto basta, trasgressivo quanto concede la moda, originale e sensuale. L’uomo che aspira al successo e all’esteriorità. Per quest’uomo che esalta in se stesso le pulsioni che ribollono nella sua natura soggettiva, nella volontà arbitraria e irriflessa, negli istinti, nelle brame, la sua parte animale, la moda offre oggi la casa glamour dotata di tutti i comfort, le attrezzature per soddisfare bisogni pratici fisici, emotivi, sensoriali, di piacere e cura del proprio corpo (quella propagandata dalle riviste e dai settimanali). La domanda è allora: deve prevalere l’ideale dell’Uomo macchina o quello dell’Uomo animale? Osserviamo ancora la situazione odierna dell’architettura costruita, al di là dei programmi e dei piani di
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L’ATTENZIONE AI VANTAGGI ECONOMICI, ALLO SVILUPPO, A UN MODELLO ECOLOGICO ASTRATTO E PURAMENTE QUANTITATIVO, A IDEOLOGIE ESTETICHE O A FORMULE DI SUCCESSO, HANNO VIA VIA ESPULSO L’ATTENZIONE ALLA VERA NATURA CORPOREA, ANIMICA E SPIRITUALE DELL’ESSERE UMANO rali o superficiali o decorativi) oppure a una elaborazione sofisticata di forme e volumi geometrici astratti, alla composizione più o meno casuale o arbitraria di volumi articolati e complessi, dettati dal gusto estetico del momento. L’individuazione, la rappresentazione e soprattutto il calcolo e la realizzazione concreta di queste strutture assai complicate è oggi possibile o addirittura suggerita, persino indotta, dall’uso delle attrezzature informatiche e di strumentazioni computerizzate. Se quindi da una parte la fattibilità di queste opere dipende ed è palesemente contrassegnata da un altissimo livello tecnologico e da una impostazione automatizzata e meccanizzata della concezione e della realizzazione degli edifici, l’impressione che invece poi ne ha il fruitore, l’abitante, lo spettatore è di sorpresa e sconcerto. Spesso è anche di incomprensione e non di rado di avversione, determinate frequentemente, bisogna dirlo, da sensazione di gratuità, di arbitrarietà, se non addirittura di voluta provocazione, di trasgressione immotivata e di forzatura violenta ed aggressiva. Comuni a questi due opposti esiti formali sono la immancabile ricercatezza tecnologica e raffinatezza impiantistica, e i costi altissimi e spesso spropositati, incommensurabili rispetto alla situazione corrente dell’economia media quotidiana.
Qual è l’esperienza fondamentale che l’uomo fa di questo tipo di produzione architettonica? Al di là del primo impatto che può essere di curiosità e novità, la sensazione è di stupore forzato, di illusione, di straniamento ed alienazione e di più o meno palese destabilizzazione, inquietudine, disorientamento se non addirittura di sofferenza e malattia. Qui domina il principio dello spettacolo, del messaggio insinuante, della seduzione e dell’illusione, del successo e l’uomo scompare come essere cosciente, responsabile, libero. Non tutto ciò che si trova in primo piano nelle cronache ha ovviamente questo carattere, poiché c’è anzi una nutrita messe, la maggioranza invero, di edifici anche di primaria importanza, sia per il nome degli autori che per l’importanza della committenza o del loro ruolo, che invece insistono sullo schema formale neorazionalista o iperrazionalista, minimalista, evidentemente di ormai vecchia concezione, benché riaggiornato di continuo: edifici dalla forma cubica, parallelepipeda, scatolari, in ferro cemento e vetro, rigorosamente in colore bianco, grigio, nero, al massimo beige. Dall’altra parte, sul piano della produzione edilizia corrente, e dell’attività costruttiva quotidiana, pur registrando lodevoli intenzioni e sforzi normativi organizzativi e tecnici apprezzabili (per es. l’housing sociale) i risultati concreti sono poi quelli di un minimalismo espressivo, di una povertà e monotonia di soluzioni, di una ristrettezza di mezzi e di intenti che contrassegnano da decenni i nuovo quartieri cittadini, l’edificato di espansione o di completamento degli abitati, le periferie delle metropoli e le nuove urbanizzazioni, là dove ancora ci sono capitali e spazio e necessità (forse) di crescita edilizia (in Paesi emergenti o di recente affermati, come la Cina per esempio). Qui domina il concetto di quantità, di numero e l’uomo scompare come individuo, come soggetto vivente e senziente e partecipante, diventa massa amorfa. In tutto ciò si può dire che manchi in realtà l’uomo nella sua natura concreta: l’attenzione ai vantaggi economici, allo sviluppo, a un modello ecologico astratto e puramente quantitativo, a ideologie estetiche o a formule di successo, hanno via via espulso l’attenzione alla vera natura corporea, animica e spirituale dell’essere umano. Ma consideriamo ancora da vicino l’essenza dell’architettura, il compito intrinseco dell’attività del costruire. Ogni civiltà nella storia ha coltivato una sua immagine dell’uomo, generata dalla coscienza che l’uomo stesso possedeva e da questa immagine anche le figure dell’arte erano ispirate, le architetture traevano le loro forme. Così nell’antica epoca egizia babilonese l’immagine del mondo retto dallo Spirito Solare al vertice di una gerarchia complessa di divinità operanti, corrispondeva alla struttura sociale e politica teocratica, con il faraone al sommo, e alla tensione dell’uomo verso un innalzamento animico spirituale mediante la purificazione, l’ascesi, il culto. Da questa molteplice figura proveniva la forma della Piramide
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politica edilizia più ampi, cioè qual è l’esperienza concreta dell’uomo nei confronti dell’aspetto della città e del suo modo di abitare. Troviamo anche qui una dualità radicale che pone l’abitante in una situazione straniata. Infatti nelle sue forme più avanzate, nella produzione d’avanguardia e d’elite, da una parte, e nella produzione quotidiana e nella sua diffusione più ampia civile e sociale, dall’altra, troviamo innanzitutto una profonda spaccatura, una radicale polarizzazione. L’architettura dei grandi interventi, che viene costruita dai grandi studi professionali, che esce dai concorsi internazionali, che viene pubblicata nelle riviste specializzate è caratterizzata prevalentemente da una ricerca formale spinta, talvolta anche innovativa e anticonformista, ma non di rado provocatoria e radicale. Il suo aspetto formale è oggi espressione di una immaginazione ispirata o alla struttura microscopica della materia (reticoli struttu-
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Rudolf Steiner nel laboratorio del Goetheanum lavorando sul "Gruppo ligneo", 1919, Déposé Otto Rietmann, © Staatsarchiv Basel-Stadt; Photo: Gertrud von Heydebrand-Osthoff
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egizia con la punta dorata che splendeva nel deserto come vertice solare. In Grecia l’immagine dell’uomo e del mondo cambia e la nascita della filosofia e dell’arte propria agli umani, insieme a molti altri cambiamenti, sono il frutto della nuova coscienza individuale, che misura all’interno della propria anima, e non più nel corso delle stelle, il rapporto con il mondo, con la natura e i cieli. Nell’equilibrio che essa coglie tra terra e cielo nell’ambito della propria psychè, l’uomo greco si trova, spesso in olimpica armonia, ma talvolta anche in modo drammatico, come autore del proprio destino: da qui proviene la figura del Tempio Greco, con il suo perfetto equilibrio e le sue misure e proporzioni tratte dall’uomo e dalla sua figura statuaria. In epoca medioevale infine, la figura centrale del Duomo gotico esprime in forme architettoniche e materia costruita l’anelito ascetico mistico e trascendente dello spirito umano del tempo, come anche il concentrarsi delle forze materiali di lavoro e artigianali di ingegno della comunità umana che si raccoglie in preghiera nel luogo sacro. La nostra epoca moderna ha anche da esprimere una propria immagine dell’uomo, che sia in sintonia con il suo stato di coscienza e le sue aspirazioni. Osservando lo sviluppo degli eventi, a vari livelli, degli ultimi tre secoli, non si può non constatare che sulla base dell’affermazione della concezione filosofica e scientifica riduzionistica e deterministica, dell’irrompere delle forze del vapore dell’elettricità del magnetismo (e ultima la forza atomica nucleare), della nascita ed espansione dell’industria, si è imposta l’immagine meccanicistica e materialista dell’uomo e del mondo. Ritroviamo al centro dell’immaginario dell’individuo colto, dell’intellettuale ma anche dell’uomo qualunque, la figura dell’uomo-macchina, che pervade con le sue conseguenze pratiche gli stili di vita, le abitudini e il quotidiano di ogni cittadino. Ma a questa figura meccanica è contrapposta, ma anche mescolata, l’altra, appunto dell’uomo-animale, derivata dall’interpretazione materialista e determinista dell’evoluzionismo darwinistico, come anche dal fantasma della psicoanalisi freudiana. Si pensi per esempio alla figura letteraria del Dr. Jekill e Mr. Hide. Anche questo modello impera oggi e pervade la nostra quotidianità con gli idoli metropolitani che ci circondano e le espressioni artistiche derivate (la musica rock, il teatro di denuncia, la moda, l’arte visiva contemporanea). Cosicché l’immagine finale che si erge ora sopra la nostra civiltà è quella di un mostro bivalente, a due corna, metà
macchina e metà animale, una sorta di drago meccanico moderno. In modo esemplare si può trovare espressa questa realtà nello sviluppo, a suo modo geniale, dell’arte di Pablo Picasso. Anche in architettura tutto ciò è espresso chiaramente: il ritratto presentato all’inizio di questo scritto ne è l’illustrazione sintetica. Esempi caratteristici opposti di questa doppia natura spettrale e selvaggia dell’architettura contemporanea sono, da una parte, il centro Beaubourg a Parigi di Renzo Piano e Richard Rogers, mostro meccanico nel cuore della ex-capitale del Gotico; e Las Vegas, dall’altra, agglomerato convulso e abbacinante di seduzioni di ogni tipo. Ma questi modelli sono in realtà le immagini false dell’uomo moderno, che non corrispondono alla sua natura originale e alla trasformazione della coscienza in senso evolutivo, bensì sono idoli distorti che lo sottraggono a se stesso e lo indirizzano verso condizioni degenerate e decadenti. L’intima natura dell’uomo è invece tesa, si può dire, in modo più o meno inconscio, verso lo sviluppo di una autocoscienza che poggia sui valori di libertà e responsabilità, su fantasia e moralità. Esattamente il contrario perciò, rispetto sia alla fredda e rigida omologazione meccanicistica, sia all’arbitrio sensuale e sfrenato. In questi estremi caratteri si trovano necessità ed obbligo, non libertà e fantasia; brama ed egoismo, non altruismo etico. Ma è possibile concepire oggi, in un’epoca di ferrea convinzione laica e relativistica, un’architettura, un’immagine artistica che non solo si sottragga a questi due estremi pervertiti, ma addirittura sia in grado di promuovere concretamente i valori della pienezza umana, della spiritualità libera e consapevole? È necessario per questo immaginare una architettura che si ponga al contempo come interprete, nel suo campo specifico, della vera dignità umana e dei suoi valori più profondi, ma anche capace di collocarsi in rapporto sano e costruttivo con l’ambiente naturale e con i criteri di economia e sviluppo tecnologico più responsabili, aperti e lungimiranti. L’architettura organica vivente, nata dall’impulso di Rudolf Steiner cento anni fa, ha ancora oggi, ben più di ieri, la possibilità di rispondere a queste caratteristiche. Essa si pone come organica, cioè come un sistema di elementi formali, funzionali, estetici, tecnici organizzati in modo organico e armonico, dei rapporti tra le parti e delle parti con l’intero: organica perché risponde al principio delle forme in metamorfosi caratteristiche degli esseri viventi come le piante o gli animali, adotta cioè per le sue forme il processo creativo della metamorfosi degli organismi; organica, ancora, perché con le sue caratteristiche costruttive (materiali naturali, tecnologie sostenibili, impianti ecologici), formali (forme plastiche in metamorfosi, appunto, colori vividi e trasparenti, spazi caratteristici ed accoglienti), funzionali (ambienti e articolazione degli spazi sensati e razionali), essa si pone in rapporto con l’ambiente circostante naturale ed artificiale, in accordo e sinergia. Le qualità vitali dell’organica architettonica istaurano per le caratteristiche intrinseche del loro processo creativo, un dialogo con le
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L’IMMAGINE FINALE CHE SI ERGE ORA SOPRA LA NOSTRA CIVILTÀ È QUELLA DI UN MOSTRO BIVALENTE, A DUE CORNA, METÀ MACCHINA E METÀ ANIMALE, UNA SORTA DI DRAGO MECCANICO MODERNO
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Rudolf Steiner, Colour spirals, February 1921, © Rudolf Steiner Archiv, Dornach
forze e gli esseri della natura, tale da favorire non solo il loro rispetto ma anche di interpretarne le valenze e di rivitalizzarne la presenza. In questo senso l’architettura organica vivente è la vera architettura ecologica. Oltre a ciò, l’architettura organica vivente si pone ap-
L’ARCHITETTURA ORGANICA VIVENTE SI PONE APPUNTO COME “VIVENTE”: LUNGI DALL’ESSERE OVVIAMENTE TALE IN SENSO PROPRIO, LETTERALE, ESSA PUÒ ESSERE COMUNQUE DOTATA DI PROPRIETÀ DI VITALITÀ E DI QUALITÀ VIVIFICANTI
punto come “vivente”: lungi dall’essere ovviamente tale in senso proprio, letterale, essa può essere comunque dotata di proprietà di vitalità e di qualità vivificanti. Le prime sono conferite all’opera architettonica attraverso il processo creativo artistico che le sottende, il quale, in quanto veramente tale e non mera rispondenza a canoni formali estetici convenzionali o di successo, per sua natura è forza rigeneratrice e vivificatrice. Le seconde sono mediate dal fatto che l’esperienza che l’uomo, l’abitante, il visitatore, lo spettatore, ne ha al suo contatto, è attraverso le prime rigeneratrice. Nell’incontro che l’essere umano ha con questa architettura avviene quello scambio di fenomeni animici spirituali mediati dall’esperienza fisica percettiva (attraverso i vari sensi: senso della vista, senso del tatto, della vita, del movimento, dell’equilibrio, dell’udito)
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che istaura un dialogo vivo tra interiorità animica ed edificio. Le qualità dell’architettura ai vari livelli (formale, funzionale, ideale, tecnologico, morale, ecc.) vengono recepite ed elaborate dalle dimensioni dell’anima alle varie sue profondità e lì operano in senso formativo, edificante, educativo, rigenerativo (se esse sono portatrici di valori positivi, evolutivi; viceversa, se quell’architettura è invece carica di valori negativi, o problematici, contraddittori, come illustrati più sopra, riconducibili ai due modelli della macchina e dell’animale, operano in senso deteriore). Al contempo le forze animiche dell’uomo agiscono attivamente nei confronti dell’oggetto edificio e sviluppano, insieme all’elaborazione della propria esperienza umana interiore, che culmina attraverso il processo intuitivo emotivo e di sentimento, di gusto, in quello conoscitivo cosciente, che permette la piena conoscenza concettuale e rappresentativa oltre che sentimentale (conoscenza immaginativa) dell’architettura che sta di fronte, anche il fenomeno spirituale più sottile che si attua attraverso questa conquistata conoscenza consapevole: la piena realizzazione dell’edificio come cosa creata dall’uomo per l’uomo, quindi con contenuti morali (conoscenza “intuitiva”). In questo senso allora si può dire realmente che quell’architettura è vivente: perché vive nell’anima dell’uomo, abitante visitatore spettatore, operando in modo effettivo, vivido, vitalizzante, mediante le sue qualità organiche e nel processo di doppio scambio creatura/creatore. Non è detto che gli edifici di architettura organica vivente che oggi possono essere concretamente visitati, gli stessi di Rudolf Steiner a Dornach (Basilea), debbano risultare chiaramente a tutti così come qui sopra descritto. Accade invero spesso che oggi diverse persone rimangano perplesse o addirittura respinte, estranee od ostili a questa architettura, per esempio di fronte al Secondo Goetheanum. La contrarietà non è indice che il vivente non sia presente veramente e in varia misura, ma nasconde comunque un rapporto effettivo e aperto da conquistare col tempo, privo di pregiudizi (solo che lo si voglia), che spesso è fatto di domande, di dubbio, di ricerca. E comunque è libero e individuale. E ciò è comunque vita reale. I testimoni del tempo, nel breve periodo in cui il Primo Goetheanum fu visibile e accessibile, tra la sua provvisoria inaugurazione e la successiva distruzione per
incendio (1920-1922), raccontano che si ebbero numerose visite guidate da parte di studiosi, interessati e curiosi, anche esterni al movimento antroposofico, quella concezione del mondo e stile di vita che Rudolf Steiner ha fondato. In generale di fronte alle forme esterne del Bau risultavano più positivi e aperti i visitatori profani, la gente comune, mentre gli addetti ai lavori (artisti, architetti, ingegneri) di formazione tradizionale mantenevano spesso un atteggiamento di scetticismo, riserva, di critica se non addirittura di disprezzo (dovuti al contrasto interiore tre le nuove forme che vedevano e la loro educazione accademica o convenzionale, consolidatasi interiormente). Ma quando essi entravano all’interno, nella grande sala, tutti rimanevano scossi, toccati, colpiti nel profondo in senso archetipico dall’esperienza dello spazio architettonico e delle sue forme. Se questa architettura fosse adesso presente e visibile, potrebbe operare ancor più in senso formativo, evolu-
Fiancata del Goetheanum
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QUELL’ARCHITETTURA È VIVENTE: PERCHÉ VIVE NELL’ANIMA DELL’UOMO, ABITANTE VISITATORE SPETTATORE, OPERANDO IN MODO EFFETTIVO, VIVIDO, VITALIZZANTE, MEDIANTE LE SUE QUALITÀ ORGANICHE E NEL PROCESSO DI DOPPIO SCAMBIO CREATURA/CREATORE
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L’ingresso della scuola Waldorf di Moenchengladbach
tivo, proprio oggi in cui all’uomo necessita di nuovo di un’esperienza profonda di valori alti e costruttivi, innovativi, reali ed operanti concretamente, al di là di tutte le teorie e le varie parole che sempre più si continuano spendere.
RUDOLF STEINER. L’ALCHIMIA DEL QUOTIDIANO 9 febbraio – 2 giugno 2013 MART Rovereto Corso Bettini, 43 38068 Rovereto (TN) Tel. 800 397760 - info@mart.trento.it www.mart.trento.it Orari: mar-dom 10.00-18.00, ven 10.00-21.00. Mostra collaterale presso Biblioteca MART a cura di Ars Lineandi (TN): progetti realizzati da esponenti del movimento organico vivente e da giovani architetti contemporanei. 5 aprile - 5 maggio 2013
LA VERA REDENZIONE DAL MALE CONSISTERÀ IN FUTURO, PER LE ANIME UMANE, NEL FLUIDO SPIRITUALE CHE LA VERA ARTE TRASMETTERÀ IN ESSE E NEI CUORI UMANI “Lasciamo pure che gli uomini riflettano quanto vogliono sul modo di eliminare la trasgressione e il delitto: la vera redenzione dal male consisterà in futuro, per le anime umane, nel fluido spirituale che la vera arte trasmetterà in esse e nei cuori umani, così che questi, mentre si sentiranno coscientemente avvolti da quanto sarà stato fatto nella scultura architettonica e nelle sue forme, quando saranno inclini a mentire smetteranno di mentire, quando saranno inclini a turbare la pace del loro prossimo smetteranno di farlo. Le architetture cominceranno a parlare una lingua che gli uomini di oggi non possono neppure presentire” (Rudolf Steiner, 17 giugno 1914).
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ESSERE O DIVENIRE UMANI? EQUIVOCI SULL’ORIGINE DEI PRIMATI ANTROPOMORFI E DELL’UOMO
DOPO TRENTO E ROMA, STA PER APRIRSI A NOVARA UNA NUOVA ESPOSIZIONE SUL TEMA AFFASCINANTE E CONTROVERSO DELLE NOSTRE ORIGINI BIOLOGICHE, ALLESTITA DALL’ESPERTO DI FAMA INTERNAZIONALE LUIGI CAVALLI SFORZA E DAL PROFESSIONISTA DELLA DIVULGAZIONE SCIENTIFICA TELMO PIEVANI, CON TEMA CENTRALE LA CONTEMPORANEA DIVERSITÀ E UNICITÀ DEL GENERE UMANO, COSÌ COME DOCUMENTATO DAI REPERTI FOSSILI, DALLA GENETICA MOLECOLARE E DALLA LINGUISTICA.
di Luca Sermoneta, medico antroposofo e docente di pedagogia steineriana
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ispetto a simili esposizioni come tradizionalmente formulate fino a pochi anni or sono, in questa mostra vengono finalmente accennati, anche nella pubblica divulgazione, aspetti fondamentali noti da lungo tempo agli specialisti su un argomento tra i più importanti delle scienze naturali per la conoscenza dell’essere umano. La paleoantropologia ha infatti un enorme impatto sulla concezione che possiamo avere di noi stessi, in modo analogo alle rappresentazioni mitologiche delle origini di ogni cultura tradizionale, e può considerarsi a buon diritto la moderna mitologia sulla genesi umana, inserita in quella più ampia della genesi degli organismi viventi prodotta dalla teoria Darwiniana dell’evoluzione. Quest’ultima ha prodotto, a partire dalla pubblicazione da parte dello stesso Darwin nel 1871 di “The Descent of man”, un’immagine distorta ed infondata dell’evoluzione umana, quella della scimmia che gradualmente si raddrizza nella
LO STESSO CONCETTO DI DERIVAZIONE DEI VIVENTI L’UNO DALL’ALTRO NON È PIÙ CONSIDERATO SCIENTIFICAMENTE FONDATO postura eretta dalla posizione quadrumane, icona della derivazione dell’uomo dall’animale come esige la scienza materialista, che deve ricercare le cause esteriori dei fenomeni, e radicatasi profondamente nel senso comune. Lo stesso concetto di derivazione dei viventi l’uno dall’altro non è più considerato scientificamente fondato, in quanto ogni specie costituisce una via a fondo cieco dalla quale non si può uscire per passare , per modifiche aggiuntive, ad una nuova e diversa: si può invece solo ipotizzare l’esistenza di forme che costituiscano l’antenato comune tra specie affini, come lo sono in ultima analisi tutti i viventi, che nella moderna sistematica risultano es-
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sere cugini di diverso e variabilissimo grado. L’esposizione a cui ci riferiamo rinuncia alla versione ancora considerata scontata della trasformazione della scimmia in essere umano, limitandosi a sottolineare l’importanza della deambulazione bipede per distinguere i possibili antenati dell’uomo dagli altri primati: non sono infatti le fattezze del cranio ed il volume del sempre celebrato cervello a cambiare per primi, bensì la conformazione di arti e tronco, la cui meccanica dimostra inequivocabilmente se fosse presente o meno questa modalità di porsi rispetto alla gravità. Peraltro si omette sempre di notare che, date le piccole dimensioni di queste “scimmie” antropomorfe fossili, in realtà il rapporto tra volume del cervello e peso corporeo, certamente il più elevato tra i viventi, è rimasto pressoché invariato dalla loro comparsa fino ad oggi! Le impronte fossili nelle ceneri vulcaniche di Laetoli, con le quali si dà inizio all’esposizione, sono un’altra spettacolare testimonianza della deambulazione bipede, ma non ci si chiede quale può mai essere l’origine di una prestazione motoria che a nostra conoscenza non può essere innata, istintiva, ma che deve venire appresa durante la prima infanzia da altri individui adulti? Queste orme fossili non sono in tal senso paleontologia, bensì già archeologia, dato che la postura eretta non è un fenomeno biologico ma culturale… e i primi primati per questo considerati ominidi, da chi mai l’avranno appresa? La stessa comparsa della postura eretta si verifica all’improvviso, senza passaggi graduali (non esistono e non possono esistere, per ragioni di pura meccanica, vie di mezzo tra postura quadrupede e bipede) ed i fossili che la dimostrano vengono fatti risalire fino ad un periodo compreso tra i 5 e 6 milioni di anni fa, mentre non sono mai stati ritrovati fossili attribuibili alle scimmie antropomorfe moderne (come il gorilla e lo scimpanzé) più antichi di un milione di anni; dunque tra gli antenati comuni ai primati antropomorfi moderni (l’uomo e le grosse scimmie summenzionate) è forse comparsa prima la postura eretta per essere stata persa in seguito da alcuni di essi? Anche le più recenti scoperte nei documenti fossili rendono inoltre sempre più complessa la ricostruzione delle ipotetiche discendenze tra le diverse specie fossili, molte delle quali sono coesistite nel medesimo periodo di tempo, fino ad almeno cinque contemporaneamente, come evidenziato anche nell’esposizione. E la diatriba tra gli studiosi per vedersi attribuire la scoperta dell’antenato diretto dell’uomo è sempre infuocata, ma i fatti continuano a svuotarla di significato.
La notevole diversificazione prima nei documenti fossili poi nell’evoluzione culturale successiva, accompagnata però dalla diffusione di un unico genere su tutte le terre emerse, Homo sapiens, apparente sopravvissuto di un’ipotetica lotta per il predominio del pianeta, costituisce un altro grosso interrogativo: per tutti gli organismi viventi le grandi svolte evolutive si sono verificate simultaneamente su tutti i continenti, pur con modalità diverse
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in relazione alle condizioni ambientali locali, mentre l’uomo presenta l’eccezione di essere preceduto da numerose forme, ma tutte comparse in un unica regione, l’Africa sud-orientale, seguite da un'unica specie poi diffusasi in tutto il globo a colonizzarne i più diversi ambienti. La successiva evoluzione di quest’unico genere umano, come ricavata da studi genetici e linguistici, tema principale del grosso dell’esposizione, si svolge su un piano culturale e non più biologico, emancipata sia da condizioni biologiche che ecologiche… insomma ormai si parla di noi, della nostra ricchissima varietà culturale ma anche della nostra profonda unità ed unicità biologica. Esiste una sola specie umana, qual è il significato di questa unicità e come può illuminare la ricerca sulle nostre origini? Nell’esposizione si accenna, quasi furtivamente ed in tono sommesso, alla più particolare caratteristica biologico-comportamentale degli esseri umani: possedere il più lungo periodo di sviluppo dedicato all’apprendimento, ovvero la più lunga infanzia e giovinezza, condizione necessaria a stabi-
lire il ponte tra natura e cultura, a far sì che l’aspetto biologico venga afferrato da quello culturale, come di fatto avviene fin dalla nascita con l’apprendimento della postura eretta, del linguaggio e della capacità di rappresentazione astratta. Inoltre questo lungo periodo di cure parentali e di sostegno sociale da parte anche di altri membri della comunità di appartenenza, svincola dalle necessità immediate di adattamento all’ambiente naturale, mentre l’ambiente socio-culturale diventa di fatto quello nel quale prosegue lo sviluppo dell’individuo.
NELL’UOMO SI RESTA PIÙ VICINI ALLE STRUTTURE MOLECOLARI DEI MAMMIFERI DI QUANTO AVVIENE NEGLI ALTRI PRIMATI. Per tornare alla domanda che ci siamo posti, “qual è il significato dell’unicità del genere umano per comprenderne le origini”, si deve riprendere un concetto formulato per la prima volta dall’olandese Luis Bolk nel 1925, quello della fetalizzazione dell’uomo rispetto agli altri primati, condizione oggi definita neotenia o pedomorfosi (mantenere caratteristiche infantili allo stadio adulto!). Quelle che consideriamo a ragione fattezze umane non costituiscono altro che il maggior permanere delle forme fetali e neonatali in modo evidente dei primati ma anche in certa misura degli altri vertebrati (in cui tutti i cuccioli ci fanno tenerezza…) per cui la forma umana sembra mantenersi più vicina al modello di base generico da cui hanno origine quelle più specializzate degli altri vertebrati, la più simile al loro possibile antenato comune. Se questo è vero, non ci deve stupire l’unicità del genere umano, essendo chiaramente uno solo il modello originale a cui egli tende a ritornare manifestandolo materialmente, tanto più quanto più procede nel corso della sua evoluzione, dove tende a mantenere forme sempre più giovanili, ovvero vicine alla fonte potenziale delle varie forme particolari che ne possono derivare. Non solo i fossili, ma anche la biologia molecolare conferma, attraverso gli studi sulle variazioni accumulate nel tempo delle proteine fondamentali comuni a tutti i viventi, che nell’uomo si resta più vicini alle strutture molecolari dei mammiferi di quanto avviene negli altri primati. Tutto ciò ha portato S.J. Gould, il più noto divulgatore della biologia moderna, ad affermare che “il vero padre dell’uomo è il bambino”, o come si esprime il biologo italiano G. Sermonti: “l’uomo è la specie più vicina, tra gli esseri viventi e fossili che conosciamo, alla misteriosa ‘madre’, da cui sono discesi tutti gli ominoidi, uomini e scimmie”. Ovvero: qual è il vero antenato dell’uomo? Ciò che egli deve divenire, sé stesso!