Autunno 2013 - Numero 31 - Periodico Trimestrale
Editrice Novalis - www.librerianovalis.it
ARTEMEDICA
NEWSLETTER ANTROPOSOFIA OGGI
POSTE ITALIANE S.P.A. - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE DL 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004N.46) ART.1, COMMA I, DCB MILANO
Beppe Assenza: una vita per la pittura e l'antroposofia
Curarsi con l’arte Intervista al dottor Enzo Soresi
Lotta alla malaria Artemisia, fonte di speranza per l'Africa
L’Europa e la singolarità russa Intervista a Alexander Rahr
w w w . a r t e m e d i c a . i t
Cascina degli ulivi biodinamica e agriturismo
Cascina degli ulivi è un'azienda agricola biodinamicaa situata si sulle colline di Novi Ligure in provincia di Alessandria. La cascina è conosciuta soprattutto per i vini, ma il progetto ha un respiro più ampio: una variegata produzione agricola agricola, allevamento allevamento, un agriturismo dove è possibile pranzare e cenare con cibi e vini provenienti dalla produzione aziendale biodinamica e soggiornare per periodi più o meno lunghi nella campagna piemontese.
Cascina degli Ulivi, Strada Mazzola 14, 15067 - Novi Ligure (AL) Tel +39 0143 744598 Fax +39 0143 510155 www.cascinadegliulivi.it - info@cascinadegliulivi.it
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Abbiamo voluto dare ampio spazio al pittore Beppe Assenza in occasione della pubblicazione del libro che raccoglie la sua opera artistica. Così abbiamo scelto per la copertina l’immagine dell’Arcangelo Michele, dato che la rivista esce in prossimità della festa di Michele, che ricorre il 29 settembre. È vero che la festa di San Michele non è una ricorrenza molto sentita; secondo Rudolf Steiner lo sarà molto di più in futuro. È simbolico il fatto che il drago venga tenuto a terra da un Michele con l’aspetto fanciullesco e fine, ma non è mai morto o completamente sconfitto. È importante osservare che MiDIREZIONE CULTURALE chele è spesso seduto su un cavallo, definito quale più nobile PAULETTE PROUSE conquista dell’uomo. Sono riflessioni e non vogliono essere delle risposte, ma solo dei suggerimenti su cui ponderare, e forse qualche lettore potrà darci dell’aiuto. Anche la figura del drago andrebbe rivista in un'altra luce. Se non avessimo quel mostro, questa potente entità divina dell’opposizione, a metterci gli ostacoli sul nostro cammino, non potremmo evolvere. A questo proposito vorrei ricordare il prologo del Faust di Goethe: Mefistofele (il drago) si presenta al cospetto di Dio Padre, che lo riceve dignitosamente e con rispetto, per chiedergli di lasciargli tentare Faust. Dopo un dialogo e qualche esitazione da parte di Dio Padre, questi gli dà il permesso di tentare il suo fedele servitore Faust; tuttavia prima che Mefistofele si allontani, Dio Padre lo ammonisce dicendo: “Ricordati però che l’uomo che si rialza dopo essere caduto è molto più forte di prima!” In un altro episodio, sempre dal Faust, viene chiesto al diavolo, che aveva assunto le sembianze di un cane, chi fosse lui: egli rispose “Sono colui che porta il male che poi si trasforma in bene“. Possiamo constatare come Dio con la sua schiera di Angeli è all’opera alla base dell’evoluzione dell’umanità. Essi concedono al male di conquistare passo per passo delle possibilità di influenzare noi esseri umani. Così il serpente ha accesso al paradiso e l’Arcangelo Michele ha scaraventato, secondo Rudolf Steiner, in una data ben precisa nel 1879, il drago giù in terra fra gli uomini. Non certo per danneggiare gli esseri umani, ma per creare nuovi ostacoli, prove, sfide per aiutarci a progredire e andare avanti. La spada di Michele è chiaramente un simbolo. Le armi dello spirito sono ben altre: cosa faccio se devo vincere la mancanza di coraggio, la depressione, l’invidia e tante emozioni che ci tirano verso il basso? Devo raccogliere tutte le mie forze interiori, dal mio Io più profondo, devo mettere in moto i miei pensieri, le sensazioni che mi possano ridare coraggio, equilibrio interiore, un sano giudizio e tanta fiducia nell’aiuto del mondo spirituale. E quindi la mia spada è il mio Io che ha già vissuto tante esperienze belle e difficili e mi sarà di aiuto anche nella mia attuale battaglia. Questo è il coraggio che l’Arcangelo Michele apprezzerà in noi e in qualche modo attiverà la sua spada insieme alla nostra.
Buona festa di Michele ai nostri cari lettori. Paulette Prouse
Autunno 2013 - Numero 31
Editoriale autunno 2013
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Direttore Responsabile Lucia Abbà Direzione Culturale Paulette Prouse Bruno Lanata Redazione Anna Chiello Grafica e Copertina Joint Design sas Traduzioni Giovanna Bettini Daniela Castelmonte Larissa Semeniouk Stampatore Mediaprint S.r.l. via Mecenate, 76 - 20138 Milano
LA PUBBLICITÀ SU ARTEMEDICA È ECONOMICA E EFFICACE unico concessionario per la pubblicità EDITRICE NOVALIS via Angera, 3 - 20125 Milano tel. 02 67116249 fax 02 67116222 www.librerianovalis.it INFORMAZIONI info@librerianovalis.it
Il mondo incantato delle fiabe di Letizia Omodeo
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Le prime tre tappe di sviluppo di Henriette e Ad Dekkers
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Curarsi con l’arte intervista a Enzo Soresi
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L’Europa e la singolarità russa Alexander Rahr
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Verso una scienza della qualità di Daniele Nani
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San Nicola nella vita dei credenti di Ambrogio Makar
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Beppe Assenza: una vita per la pittura e l’antroposofia tratto da Elsa Lieti
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Il maschile e il femminile di Gianni Crovatto
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Lotta alla malaria di Augustin Konda Ku Mbuta
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Renzo Rocca Giorgio Stendoro “UNA FERITA APERTA”
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Triarticolazione dell’uomo e della pianta di Giulia Giunta
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Metamorfosi animica dell’organismo sensorio in vecchiaia di Silvia Canepa
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SOMMARIO
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L’AZIONE TERAPEUTICA DEL PROCESSO CREATIVO
CURARSI CON L’ARTE di Bruno Lanata
Possono musica, pittura o scrittura favorire il processo di guarigione? Oppure, dobbiamo altrimenti ascrivere il lavoro creativo nell’ambito dei corretti stili di vita con finalità rivolte alla prevenzione e al benessere? L’arte e il suo rapporto con la malattia rappresentano un argomento affascinante e carico di risvolti spirituali, al quale Artemedica intende rivolgere un particolare interesse. In questo numero approfondiamo il tema con il dottor Enzo Soresi, medico specialista in anatomia patologica, malattie dell’apparato respiratorio e oncologia clinica, autore del libro Il cervello anarchico, in cui dedica un ampio capitolo ad Arte e creatività. Nel prossimo numero di Artemedica daremo quindi la parola a un medico antroposofo, il dottor Sergio Maria Francardo, per confrontare il suo punto di vista con quello del dottor Soresi.
Enzo Soresi, medico specialista in anatomia patologica, malattie dell’apparato respiratorio e oncologia clinica, ha sviluppato tutta la sua carriera presso l'Ospedale di Niguarda Ca’ Granda dove – dal 1990 al 1998 – ha diretto come primario la Divisione di pneumotisiologia. Studioso di oncologia polmonare ha pubblicato sull’argomento oltre 150 articoli comparsi su riviste scientifiche nazionali e internazionali. Attualmente è segretario di Octopus, associazione per le malattie fumocorrelate. Studioso di neurobiologia ha scritto un libro edito da UTET dal titolo “Il cervello anarchico” (2005) e ha recentemente pubblicato insieme a Pierangelo Garzia ed Edoardo Rosati “Guarire con la nuova medicina integrata” per Sperling & Kupfer. Enzo Soresi
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a sempre l’arte occupa un posto significativo quale medium in grado di sostenere l’uomo, consentendogli di ristabilire uno stato armonico spirituale e sollevandolo dal peso della materia e dai limiti della quotidianità. È stato forse partendo da questo presupposto che, un secolo fa, Rudolf Steiner aveva individuato come l’azione che le varie attività artistiche esercitano sulla sfera vitale e psichica dell’uomo potesse essere utilizzata a fini terapeutici. Aveva quindi evidenziato, da un punto di vista medico, le connessioni che si riscontrano tra il lavoro artistico e i processi fisiologici e patologici dell’uomo, inducendo a studiare e verificare le possibilità offerte dalla pittura, dalla scultura, dalla musica, dall’arte della parola e dalle attività artigianali. In tempi più recenti anche la medicina convenzionale ha mostrato una sempre maggiore propensione nel coinvolgere i malati in attività a carattere artisticocreativo, scelta di cui appaiono sempre più evidenti i benefici effetti.1 Ma quali sono i presupposti che caratterizzano la terapia artistica? Nel percorso di cura, l’attività artistica de-
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ve essere considerata come un mero supporto “occupazionale”, una forma di sostegno al paziente per aiutarlo ad affrontare e superare lo stress legato all'iter terapeutico, oppure costituisce una componente essenziale della terapia, è essa stessa terapia rivolta contro la causa del male o, comunque, capace di combattere i sintomi della malattia? Già da queste prime premesse appare quanto l’argomento si riveli carico di interessanti spunti di ricerca e dibattito. Dottor Soresi, vorrei iniziare questo nostro colloquio sulle terapie artistiche facendo riferimento alla frase di Antifonte – riportata con grande evidenza nel retro di copertina del suo libro Il cervello anarchico – in cui il filosofo greco del V secolo a.C. sostiene che “in tutti gli uomini è la mente che dirige il corpo verso la salute o verso la malattia, come verso tutto il resto". La mente può veramente farci ammalare ma anche condurci sulla strada della guarigione? Per capire meglio quanto asserito da Antifonte occorre fare riferimento al processo di costruzione biologica del cervello umano, di quest’organo così delicato e fondamentale nel nostro stare al mondo. Un processo che avviene nel tempo: dal terzo mese di gravidanza fino ai due anni e mezzo di vita il cervello è in fase accrescitiva. Mentre tutti gli organi sono già definiti alla nascita, il cervello continua il suo processo evolutivo anche durante i primi anni di vita. Quando nasciamo il cervello pesa circa 700 grammi e deve raggiungere all’incirca il peso di un chilo e quattrocento. Per arrivare a una completa definizione dell’organo, questa lunga fase di accrescimento prevede il suicidio neuronale: ossia il 50 per cento dei neuroni si devono suicidare con un meccanismo detto di apoptosi che, nel momento in cui nasciamo, è ancora in atto. Questo suicidio cellulare è strettamente correlato ai segnali interni ed esterni all’organismo. Nel contempo si svolge anche la migrazione delle cellule nervose residue, destinate a subire un posizionamento corretto e specializzato. Si pensi alla vista e, in generale, alla definizione neuronale specifica dei sensi. Il processo di costruzione culmina con la mielinizzazione delle sinapsi. Occorre poi tenere conto anche della sfera emotiva. Qui entriamo nell'ultimo atto. In sostanza, tutto questo complesso iter di sviluppo è strettamente correlato con l’ambiente in cui viene allevato il neonato. È in questa fase che noi costruiamo il nostro agire nel mondo. E se in questo mondo interattivo con l’ambiente si genera un disagio psichico, allora il processo creativo può essere interpretato come un atto compensatorio di quel disagio. Possiamo in questo individuare una prima chiave interpretativa che identifica la funzione terapeutica della creatività dell’artista? Come sostiene Mauro Mancia nel suo saggio Sentire le parole, nell’ambito di una memoria implicita “che si ri-
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Francis Bacon
ferisce alle prime esperienze infantili, per cui non è né cosciente, né verbalizzata, dunque preverbale e simbolica” sussiste la possibilità di un ricordo che è “in grado di agire anche a lunga distanza di tempo, diventando l’artefice di potenzialità espressive, creative ma anche psicogene, di difficile controllo”. Quindi, “la creatività umana appare come un ri-creare collegato alla memoria implicita (e quindi all'inconscio non rimosso) la quale non è passibile di ricordo, ma può essere rappresentata nell'attività creativa”. Nel tentativo dell’organismo di ristabilire l’equilibrio perduto, la cui mancanza è sinonimo di malattia, l’arte occupa un posto importante in quanto è uno dei mezzi per aiutare l’uomo a ristabilire l’armonia. In questo senso, dottor Soresi, quali ritiene siano le fondamentali differenze fra processo di produzione artistico-creativa vero e proprio e le attività inerenti la terapia artistica? Personalmente non ho un’esperienza diretta per quanto riguarda l’utilizzo delle terapie artistiche. Certo l'atto creativo come compensatorio di un disagio psichico che nasce da una pulsione della memoria implicita apre tutto un mondo di autoterapia dell'artista. Dicendo questo faccio riferimento all’esperienza personale vissuta al fianco di mia moglie. La sua sofferenza l’ha portata, piano piano, a sublimare in un racconto pittorico una situazione totalmente emozionale. Da sempre dipingeva, dipingere era la sua ragione di vita. Vivendo accanto a lei mi resi conto come, in quel caso, la creatività fosse compensatoria di un disagio psichico. Era rimasta, bambina, orfana di padre e, con la madre, il conflitto era costante per la sua ribellione alla vita borghese. In quegli anni disegni e quadri erano rigorosamente figurativi e fu con il progredire della malattia che la vidi giorno per giorno passare dall'arte figurativa all'arte informale. Le sue esperienze di malata venivano tradotte in rac-
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Ninetta Sombart, Geburt (Nascita) conti fatti di composizioni ed emozioni non oggettivabili. Fu vivendo vicino a lei e al progredire della sua malattia che mi resi conto di come l'arte informale permetta all'artista di raccontare le proprie emozioni senza oggettivarle. Vivendo vicino a un’artista e avendone poi conosciuto a fondo molti altri, mi sono reso conto di come la creatività sia spesso per queste persone compensatoria di un loro disagio psichico o come ho detto di un danno biologico primario. Potremmo citare, ad esempio, le opere di alcuni artisti quali Franz Kline, Mark Rothko. Di fronte ai quadri di Francis Bacon, poi, mi sono sempre chiesto da quale magma di inconscio nascesse la sua creatività. Nel percorso di cura, l’attività artistica deve essere considerata come un mero supporto, una forma di sostegno al paziente per aiutarlo ad affrontare e superare lo stress legato all'iter terapeutico, oppure costituisce una componente essenziale della terapia, è essa stessa terapia? Quando pensiamo a un'azione terapeutica del processo creativo, questo può essere inteso come un atto compensatorio di un disagio interiore. Oppure, possiamo inquadrarlo in un contesto del racconto di sé che il malato usa per liberare le emozioni. Ritengo che l’idea di Steiner di impiegare le tecniche artistiche in senso terapeutico possa essere inquadrata in un contesto di carattere emozionale rivolto a ripristinare l’equilibrio dell'individuo. Ogni atto creativo, in senso esplorativo, produce infatti un benessere indotto.
“In sostanza si conferma l'ipotesi che più il nostro pensiero è libero da condizionamenti, meglio è dal punto di vista sia evolutivo sia del benessere individuale. Ad ogni attivazione di nuove mappe cerebrali, infatti, corrisponde la liberazione di neurotrasmettitori che si riversano sul sistema immunitario potenziandone le sue capacità”. Penso si possa, quindi, tranquillamente affermare che se una persona è curiosa, e si ritiene un po’ artista, non fa altro che divertirsi e continuare mantenere il proprio benessere. Una cosa che mi sento sempre di consigliare alle persone anziane.
La terapia artistica sembrerebbe rientrare in quelle azioni proprie ai corretti stili di vita che costituiscono le basi di una strategia di prevenzione, finalizzata al mantenimento di uno stato di salute ottimale. In questo senso, potremmo integrare il consiglio che il dottor Enzo Soresi dà ai lettori a conclusione del suo libro "camminare almeno un'ora al giorno, mangiare in abbondanza frutta e verdura e pesce crudo" con l’avvertenza di dedicare una parte del proprio tempo a una qualche attività artistica. Ponendosi questa come un esercizio attraverso il quale approfondire la conoscenza di se stessi, imparare a conoscere i propri limiti e i propri difetti, e predisporsi a un cambiamento che porta ad aprirsi in modo nuovo nei confronti di se stessi e verso gli altri.2
1 “L’idea dell’arte come terapia è relativamente recente. È tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento che l’arte fa ingresso negli istituti manicomiali, negli ospedali e in diversi centri terapeutici. Dapprima è intesa come pura espressione artistica o come terapia occupazionale; più tardi arriva a rappresentare un mezzo terapeutico vero e proprio. L’idea di introdurre l’arte in situazioni diverse dal suo ambito e orientarla verso la “cura” è ricollegabile alla crisi dell’arte della fine del XIX secolo.” Maria Grazia Giaume, Edup, 2009 2 Citazioni tratte da: Enzo Soresi, Il cervello anarchico , UTET, 2005
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Adelbert Reif a colloquio con Alexander Rahr tratto da Die Drei. Seconda parte
Prosegue l’interessante intervista a Alexander Rahr, politologo considerato tra i maggiori esperti della situazione russa, nonché autore di numerosi libri sull‘argomento, tra cui Der kalte Freund - Warum wir Russland brauchen: Die Insider-Analyse, Hanser Verlag, Munich 2010 (“Il freddo amico. Perché abbiamo bisogno della Russia: un’analisi approfondita”). Al centro del dibattito la necessità di una rivalutazione da parte dell’Occidente della forza politica ed economica della Russia che, secondo Rahr, risulterebbe indispensabile per l’Europa e in particolare per l’Unione europea.
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rofessor Rahr, come spiega il fatto che gli impressionanti risultati del recente sviluppo economico e finanziario della Russia non si ripercuotano nel dibattito politico ed economico di quel paese? In effetti sussistono ancora gravi problemi. La corruzione è devastante. La disuguaglianza sociale è drammatica. La Russia ha raggiunto il successo economico non con la democrazia e lo stato di diritto, ma grazie a una sorta di modello cinese, con il capitalismo di stato, non con la libera economia di mercato. Non si deve per altro dimenticare che l’Unione sovietica rappresentava un’effettiva minaccia. Era una potenza che si mostrava aggressiva nei confronti dell’Occidente. Se nella Seconda guerra mondiale non fossero intervenuti gli Stati Uniti, Stalin sarebbe arrivato fino all’Atlantico; e l’Europa oggi apparirebbe del tutto diversa. Nel 1991 si è verificata una netta cesura nella storia. Per molti aspetti la Russia di oggi è simile a quella del 1917. Deve recuperare tutto il XX secolo. In Occidente non lo si capisce e si è impazienti. L’Europa ha pretese esagerate rispetto alla Russia? Sì. L’Europa è diventata troppo dogmatica e ideologica, troppo poco strategica e flessibile. A un paese come la Russia bisogna concedere più tempo. L’Ora Zero in Russia è stata il 1991. In Germania è scoccata nel 1945: dov’era la Germania vent’anni dopo la capitolazione? A metà degli anni Sessanta, nelle agitazioni
studentesche, il governo di allora intendeva guidare il proprio popolo con leggi eccezionali contro l’opposizione: non vi era ancora, quindi, una vera e propria società civile. Persino alcuni giornalisti erano perseguitati politicamente e mancavano molti valori democratici. La Russia si trova ora in questa stessa situazione, e non raggiungerà la democrazia ancora per molto tempo. Se ne possono incolpare Putin e le élites. Il fatto è che dopo quasi ottant’anni di comunismo occorre tempo per fare proprie le regole della democrazia e della libertà. Il suo libro inizia con la frase: “Insegnare la democrazia alla Russia è un’impresa senza speranza”. Dobbiamo dedurne che per l’Occidente sarebbe assurdo attendere che si instauri una democrazia secondo standard occidentali, prima di stabilire relazioni con la Russia? Certo, si può sempre aspettare. Ma si dovrebbe anche cogliere l’opportunità di collaborare con una Russia che non è ancora democratica, almeno secondo gli standard occidentali. La Russia si trova sulla strada della democrazia, ma di una democrazia russa. Contrariamente ai quasi ottant’anni di comunismo, oggi in Russia vige un sistema di diritto. Esistono leggi. Il problema è la realizzazione pratica. Occorre creare un ordine. Ma non può essere stabilito dall’alto. Una società perviene a un sistema di diritto e a un equilibrio sociale, solo quando questo è voluto e messo in pratica dal basso. Che il processo di trasformazione richieda un periodo così lungo causa alla Russia
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L’EUROPA E LA SINGOLARITÀ RUSSA
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Novgorod, le mura
notevoli problemi. Ciò nonostante il paese si sta muovendo più nella direzione di un’Europa democratica che verso un ritorno alla dittatura stalinista. Nota un avvicinamento all’Europa da parte russa? Esistono due immagini completamente diverse dell’Europa. La parte occidentale la definisce in base a determinati valori e considera tutto ciò che è al di fuori dei confini europei come non più Europa. Per la Russia invece è un concetto geografico. Eltsin, Putin e Medvedev, che hanno governato negli ultimi vent’anni in Russia, sono europei, ma europei del XIX secolo. Volevano far parte di un’Europa dove la Russia – quale grande potenza insieme ad altre potenze europee di primo piano – avrebbe creato un nuovo ordine analogo a quello del Congresso di Vienna del 1815. Questa è l’Europa che conoscono e alla quale intendono tornare dopo l’era comunista. Per loro è incomprensibile un’Europa dove nulla viene deciso, dove quel che conta è il consenso, dove uno stato come il Lussemburgo può a volte imporsi contro la Germania. Il paese più grande del mondo non vuole questa Europa perché non ci si ritrova. “Perché abbiamo bisogno della Russia” è il sottotitolo del suo libro. Fino a che punto è importante per l’Europa avere buoni rapporti con la Russia? Negli ultimi vent’anni l’Unione europea si è trasformata in una comunità di valori. Considerato storicamente è un eccellente risultato. Tutti noi siamo felici di vivere in un’Europa sicura e confortevole. Condividere valori comuni è tanto di guadagnato per la collaborazione reciproca e per i rapporti con gli alleati. Quella che abbiamo ora è un’Europa più bella, forse la migliore che l’umanità abbia mai visto. Il problema risiede nel fatto che questa bella Europa è incompiuta. Di una politica dei valori fa parte anche il realismo politico che manca all’Unione europea. Esporta valori in Africa, in America Latina, in Asia, ma fallisce nella politica energetica comune con la Russia e con altri paesi. Non ha un proprio esercito, né un’alleanza in tema di sicurezza, a parte quella con gli USA. Ha una politica estera basata solo sui valori. Troppo poco per l’Europa che rischia di diventare troppo debole anche nei futuri contrasti. Per questo, a mio avviso, occorre l’opzione russa. Non dico
che oggi sia un alleato alternativo agli USA o che debba diventare parte dell’Occidente. Ma la Russia è storicamente necessaria all’Europa. La questione tedesca è stata risolta: il prossimo passo sarà risolvere la questione russa, perché in Europa regnino stabilità e continuità. Purtroppo l’Unione europea non ha una visione unitaria della Russia. Mentre in Germania vi è una comprensione profonda della sua evoluzione, in altri paesi continua ad essere considerata un nemico. Ne risulta una discordanza su come ci si debba rapportare alla Russia per la creazione di un’alleanza strategica. Da parte russa si ritiene di poter stabilire rapporti di collaborazione solo con alcuni paesi, come Germania, Italia, Francia. Questo però porta a un’estrema ambiguità nei rapporti fra l’Unione europea e la Russia. Se l’Unione europea si impegna a stabilire un’alleanza strategica con la Russia, quali dovranno essere i contenuti essenziali da porre sul tappeto? Ogni Presidente russo, appena conquistato il potere, presenta delle proposte all’Europa. Pensiamo allo splendido progetto di Gorbaciov, che riprese da De Gaulle l’idea di una Casa comune europea. La risposta europea fu la “Carta di Parigi” dove veniva delineata un’Europa senza confini. Ne emergeva la grande opportunità, che forse soltanto Carlo Magno aveva avuto, di creare pacificamente una nuova Europa. L’idea però sparì ben presto dalle trattative. Eltsin disse, nel suo discorso inaugurale, che il mondo non si trovava più di fronte al conflitto est-ovest ma a quello nord-sud. E propose di istituire un sistema di sicurezza comune per la parte settentrionale del pianeta. Russia, Unione europea, USA, Canada e Giappone dovevano unirsi per aiutarsi reciprocamente di fronte alle minacce del futuro. L’Occidente disprezzò la proposta, giudicando la Russia troppo debole. Poi arrivò Putin, che dieci anni fa tenne al Bundenstag uno storico discorso nel quale proponeva di stabilire un’alleanza energetica. La Russia avrebbe fornito energia e materie prime, mentre l’Unione europea avrebbe messo a disposizione le tecnologie necessarie alla modernizzazione del paese. Nessuno mostrò interesse, benché fosse un discorso degno di nota e contenesse un’offerta allettante per la Germania e l’Europa.
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Un passaggio molto significativo del suo libro afferma che “oggi la Russia non vuole più far parte dell’Occidente, ma vuole creare il proprio modello di reintegrazione nello spazio post-sovietico”. È in quest’ottica che si pone la fondazione dell’Unione Euroasiatica di Russia, Bielorussia e Kazakistan… Ho parlato dell’Unione Euroasiatica con lo stesso Putin e la sua risposta mi ha sorpreso. Avevo pensato il progetto fosse da intendere come un tentativo di associare i paesi dell’Est in un’unione economica che costituisse poi una zona di libero scambio con l’Unione europea. Questa però è solo una parte di verità. L’aspetto che mi ha sbalordito è stata l’opzione cinese. Putin mi spiegò come si fosse pensato anche a una zona franca con la Cina. Per molti stati che fanno parte della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI) è importante avere migliori rapporti con i mercati asiatici, oltre che con l’Unione europea. Se questa seconda variante si dovesse realizzare, ciò comporterebbe una nuova spaccatura in Europa. Lasciare che accada non sarebbe nel nostro interesse. L’Unione europea ha perso l’attimo in cui la Russia tendeva verso l’Occidente e si è fatta sfuggire una grossa opportunità politica per il futuro, impedendo l’ingresso alla Russia? Certo. All’Europa è mancata la visione per capire che
Alexander Rahr, nato nel 1959 a Taipei e cresciuto fra Tokio, Bruxelles, Eschborn e Monaco, ha studiato Politica, Storia moderna e Storia dell’Est europeo, presso l’Università di Monaco. Dal 1994 lavora per la Deutsche Gesellschaft für Auswärtige Politik (DGAP) ed è direttore del Centro Berthold-Beitz, con specifiche competenze per Russia, Ucraina, Bielorussia e Asia centrale. Fa parte, inoltre, nel comitato direttivo del Dialogo di Pietroburgo, del Forum internazionale YES per l’Ucraina, partecipa ai colloqui russo-tedeschi sui diritti ed è coordinatore della “Officina del futuro” del Dialogo di Pietroburgo. Per il suo contributo nelle relazioni russotedesche, gli è stata conferita la Croce al merito della Repubblica federale tedesca.
quale grande continente unito sarebbe stata più forte di adesso. Ricordo che negli anni Settanta si discuteva su quel che sarebbe successo con la Russia. Per chiunque pensasse in modo razionale era scontato che, se la Russia si fosse liberata dal comunismo, avrebbe dovuto far parte della comunità europea. Mi chiedo che cosa sia andato storto, perché questo non sia avvenuto. L’Occidente ha perso l’Oriente. Non vi è più un’Europa dell’est. I confini dell’Europa sono i confini orientali della Polonia, che non solo sono innaturali geograficamente, ma non sono neppure confini storici. Sono già concepiti come flessibili e destinati a mutare. L’Europa è destinata a diventare più grande, non più piccola. Questa realtà non cambierebbe, perfino se dopo la crisi dovesse esserci un’Europa fortemente centralizzata oppure un’Europa dell’Euro. Anche se Unione europea e Nato cambieranno, resterà comunque la domanda: la Russia farà parte dell’Europa o dell’Asia? Quali sarebbero le conseguenze politiche ed economiche, se l’Unione europea giungesse all’erronea conclusione di non “aver bisogno della Russia”? L’Europa diverrebbe un bel museo dove si recherebbero gli abitanti degli altri continenti per studiare le radici della democrazia o per cercare le vestigia di una grande epoca, quando l’Europa era al centro della storia universale. Solo 15-16 anni fa il 21% della popolazione mondiale era europeo. Oggi lo è il 7% e presto diverrà il 4%. Noi ci dobbiamo agganciare ad altre nazioni forti. Non è necessario essere un profeta per dire che l’ordine mondiale sta mutando. Arriveranno sull’Europa altre grosse crisi. Diventeranno tese le relazioni con gli USA che saranno altrettanto in crisi e dovranno ritirarsi da molte aree strategiche per la sicurezza. Rimarranno in Europa, ma non saranno più un sostegno così saldo come prima. Questo è il motivo per cui sostengo la necessità di un’unificazione europea orientata a est. Il poeta russo Fëdor Tjutchev sosteneva che “la Russia non va compresa con la ragione… nella Russia si può soltanto credere”. Un’affermazione come questa è ancora valida? Se si considera soltanto questa frase, non potremo capire razionalmente la Russia. Di recente, un politologo russo mi faceva notare come la Russia non potrebbe mai essere un paese normale. Se fosse “normale” non esisterebbe più. Le minoranze perderebbero l’identità che le caratterizza. In questo stato dalle immense estensioni convivono innumerevoli identità culturali. La storia russa è forse la più spietata fra quelle europee. La Russia si considera Europa: ma un’Europa “diversa”, non nella tradizione dell’Occidente romano, ma in quella dell’Oriente romano, vale a dire di Bisanzio. In occidente noi vogliamo uno stato di diritto che funzioni secondo leggi chiare. La tradizione russa è orientata più verso una “giustizia affettiva” che secondo la lettera della legge. E aggiungo: per noi è così difficile da comprendere.
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In seguito, Medvedev chiarì che la Russia ha bisogno di un dialogo sulla strategia per sentirsi sicura in Europa. E proponeva un trattato fra Russia, da una parte, e Nato ed Europa dall’altra per creare insieme un ordine pacifico in Europa. Fu del tutto ignorato. L’Occidente insiste: per potersi integrare con l’Europa, la Russia deve prima diventare uno stato democratico.
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ARTEMEDICA
Dall’Italia del Sud, procedendo man mano verso il “mondo” del Nord, si snoda la storia e l’opera di un pittore di altissimo livello, che può essere annoverato tra i massimi artisti del Novecento. Personalità di indiscusso valore artistico, Beppe Assenza, con la sua opera, ha lasciato una profonda, positiva traccia nella storia dell’arte visiva. Tratto da: Elsa Lieti - Lugano 2013
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ato nel 1905 a Modica, in Sicilia, in una realtà rurale contrassegnata da grande semplicità, Beppe Assenza si è formato artisticamente e come individuo grazie alla spinta di una visione di respiro internazionale. Giovanissimo a studiato a Milano, tenendo nel 1925 una mostra nella Galleria del Buongoverno, e quindi a Roma, allestendo diverse mostre personali e partecipando ad eventi espositivi. Sempre alla ricerca di nuove risposte alle sue istanze creative, si trasferisce a Monaco, dove diviene amico di Karl Stirner, impara la lingua tedesca, ed espone in diverse città della Germania. Nel 1946 si stabilisce definitivamente a Dornach – vicino a Basilea – dove fonda una scuola per applicare il suo metodo di pittura basato sulla Teoria dei Colori di Goethe, rielaborata attraverso il pensiero scientifico-spirituale di Rudolf Steiner. Muore nel settembre del 1985 mentre si preparava per le tre mostre a lui contemporaneamente dedicate: una al Goetheanum, l’altra allestita nel proprio studio e l’ultima presentata presso la galleria Aenigma di Basilea. Nel corso della sua vita – seguendo il "filo rosso" di un cammino non solo “geografico” che lo aveva condotto dal
Sud verso il Nord – Assenza ha saputo fondere la propria natura siciliana calda e irruenta, sensibile ed estetica, a una coscienza nordica precisa e analizzatrice, a tratti fors’anche spigolosa. Parlando di lui, Albert Steffen – pittore basilese che gli era contemporaneo – soleva affermare: "Assenza è un siciliano con la testa da normanno". Beppe Assenza rappresenta un ponte tra la cultura italiana e quella svizzero-tedesca, ponte che per il Ticino si pone come momento significativo del suo passato e presente sociale.
Composizione euritmica, 1983, tecnica mista, firmato
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BEPPE ASSENZA: UNA VITA PER LA PITTURA E L’ANTROPOSOFIA
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ARTEMEDICA Autunno 2013 - Numero 31
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La nascita di Pegaso, 1975 circa, tecnica mista, cartone su compensato, firmato La sua opera Osservando la sua testimonianza pittorica, emerge come Assenza abbia lottato con passione in tutte le fasi creative della sua storia di artista. Passato da un primo periodo di ispirazione manieristica a uno di stampo espressionista, ha raggiunto infine il proprio apogeo negli ultimi trent’anni di attività, approdando a una pittura cosciente, in cui l’elemento “soggetto” e l’elemento “materico” si ricongiungono, facendo emergere nel contesto pittorico lo spirituale racchiuso nel materiale. Nel suo lavoro, costante, di ricerca Assenza ritrae i conoscenti esaltandone le proprietà animiche, le nature psichiche; elabora nella pittura i grandi temi nordici come il Faust o mediterranei come la Sfinge, porta il colore negli ambienti spirituali come la Meditazione, le Tre Sfere Cosmiche, il Golgota e Damasco. Esplora, reiterandolo in differenti rappresentazioni, il mito di Pegaso, il cavallo alato, assunto a simbolo dell’intelligenza che si libra libera, innalzandosi verso conoscenze più elevate. Definito, negli anni Cinquanta, come il "Kandinsky italiano", si deve forse attribuire alla sua naturale diffidenza nei confronti dei grandi canali della promozione artistica, ma anche alla sua innata timidezza – unite alla ricerca spirituale legata all’antroposofia – se il suo nome e la sua opera sono rimasti relegati a una nicchia di estimatori.
I COLORI SONO ATTI DELLA LUCE, LE SUE AZIONI ATTIVE E PASSIVE. IN QUESTO SENSO DA LORO POSSIAMO ATTENDERCI INFORMAZIONI SULLA LUCE. La scuola di Dornach È abbastanza raro trovare in un artista anche la figura di pedagogo e di fondatore di una scuola. Ma Assenza aveva due aspirazioni, oggi molto sentite dalla giovane generazione: credeva nell’autenticità dei rapporti umani e nella tensione rivolta al perfezionamento del proprio io. E proprio questa sua vicinanza ai giovani che lo porta a fondare una scuola di pittura. Qui Assenza insegnava ai suoi ragazzi a vivere la pittura affinché da una realtà animica istintiva si passasse a una fase dove l’anima diviene lo strumento artistico del pensiero: per questo ai giovani veniva consigliato, mentre dipingevano, di lavorare su se stessi, sui propri desideri, su come inserirsi nella società in fermento superando le crisi dovute al destino personale. Così, mentre dipingevano e studiavano
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le teorie pittoriche scoprivano anche chi erano e dove volevano andare. Il suo metodo – un vero e proprio percorso di formazione pittorica – ha come punto di riferimento la "Teoria dei Colori" di Goethe elaborata secondo la Scienza dello Spirito. Assenza preparava quaderni con schizzi a colori, con frecce per indicare le direzioni, linee circolari per evidenziare i movimenti, parole chiave, annotazioni. Nel suo metodo si dipinge con l’acquerello e si tengono i colori in continua trasformazione. Se ne scopre la dinamicità: l’irraggiamento regolare del rosso, la forza radiante del giallo, la potenza tranquilla del blu oltremare. Come per la composizione di una sinfonia musicale, si conducono gli allievi, passo dopo passo, verso composizioni che sono "eventi coloristici" non nati per caso ma scaturiti da un forte autocontrollo e dalle conoscenze delle leggi ottiche La domanda che Assenza poneva a se stesso e ai suoi allievi era: "Come entrare coscientemente nel colore?". Rispondere a questa domanda significa affrontare un percorso di pittura nuovo, modernissimo. Un percorso indicato dalle parole poste da Goethe a sigillo nella sua prefazione alla sua opera sui colori: I colori sono atti della luce, le sue azioni attive e passive. In questo senso da loro possiamo attenderci informazioni sulla luce.
Beppe Assenza: una vita per la pittura e l’antroposofia La prima, esaustiva biografia del grande artista della XX secolo, pubblicata in Italia dalla Fondazione Uriele, creata da Renata Babini Cattaneo. In oltre 300 pagine arricchite da 555 tavole a colori, il libro offre una dettagliata descrizione della vita e dell’opera di Beppe Assenza. Un ampio settore è infine dedicato al metodo da lui creato e applicato nella sua scuola di pittura. L’edizione italiana è stata realizzata con la collaborazione di Eliana Assenza, nipote diretta del pittore.
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Un testo di oltre 300 pagine arricchito da 555 tavole a colori tradotto in italiano da Eliana Assenza
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a sempre gli esseri elementari desiderano comunicare con gli uomini. Purtroppo, per molto tempo questo dialogo è stato interrotto. Finalmente, ora possiamo stabilire un rinnovato contatto con queste straordinarie creature grazie all’opera di Verena Staël von Holstein che – dopo anni di studi e ricerche – è in grado di dialogare con le creature del popolo della natura. Grazie alla sua preziosa collaborazione, in questo libro troverete riportate interessantissime conversazioni nelle quali gli esseri elementari illustrano i loro importantissimi compiti legati alla guida dei processi della natura e alle sue manifestazioni. Attraverso le pagine di questo testo, diventato ormai un classico, gli spiriti della natura svelano i segreti del cosmo e i misteri del passato e del futuro e ci aiutano a comprendere quanto accade nel presente. Rispondono, inoltre, a precise domande su temi di attualità politica, sulle cause delle catastrofi naturali, sul Cristo risorto, il male, la libertà, il significato dell’amore e la possibilità di venir “liberati” dall’uomo. Tra gli esseri elementari incontrati figurano gli spiriti del fuoco, dell’aria, dell’acqua, delle rocce, del vetro, del sale e dell’argento, i guardiani degli animali e degli alberi e un essere appartenente alle Entità superiori.
onoscere se stessi è una vera avventura in quanto l’autocoscienza ha la caratteristica di non arrestarsi all’abituale percezione di sé. La vera autocoscienza non si limita ad ambiti animici prossimi, non ancora ben compenetrati dall’io (quali inclinazioni, abitudini, passioni, brame, schemi mentali, difetti, unilateralità, e via dicendo), avvertibili con relativa facilità, pur essendo già abbastanza difficili da dominare. Deve andare più a fondo. In ogni uomo si celano forze assopite e qualità ignote che siamo poco propensi a svelare; né vogliamo ammettere l’influenza che hanno su di noi. Ne Il doppio troverete un quadro dei lati oscuri dell’inconscio. I cosiddetti “doppi” che in certi casi ci importunano, che ci seguono nel corso della vita e possono, addirittura, portarci alla follia. Tuttavia, questi “esseri” possono anche aiutarci in molte situazioni della nostra esistenza. Altri invece si presentano come immagini ideali dell’uomo del futuro. In questo libro – concepito come un manuale – troverete innumerevoli spunti di approfondimento e di riflessione per meglio comprendere l’essere umano nella sua completezza. Solo conoscendo i diversi doppi, avremo la possibilità di dominare e trasformare positivamente la loro potenzialità distruttiva.
COSA CI DICONO GLI ESSERI ELEMENTARI I SEGRETI DEGLI SPIRITI DELLA NATURA
IL DOPPIO L’UOMO E LA SUA OMBRA
EDITRICE NOVALIS – QF 10 – 2A ED., 2013
EDITRICE NOVALIS – QF 4 – 2A ED., 2013
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onsidero questo libro un’opportunità non solo per le terapie artistiche e in particolare dell’Arte della Parola Terapeutica ma anche per i medici. Riunisce le impeccabili nozioni medico/scientifiche contenute nella prima parte con le nozioni sull’arte della parola terapeutica della seconda parte. Vogliamo una medicina, una cultura e una terapia artistica che contempli un vero ascolto e una grande possibilità per noi uomini di essere ascoltati. Non si tratta di un tema da poco. Sergio Maria Francardo (medico antroposofico)
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Il presente saggio, ampio eppure sintetico, rappresenta una lieta sorpresa, recando un apporto di cui hanno sempre sentito la mancanza tutti i ricercatori e amanti della Parola, tutti i testimoni della “luce regale del Sole”, che si concentra e si esprime nel cuore dell’uomo. (...) Non ho alcuna difficoltà a dichiarare che sul piano espressivo della Parola, pochissimi ricercatori hanno raggiunto, come lucida perspicuità d’intendimento globale, come possibilità di approfondimento creativo, come sentimento religioso del Verbo, i risultati di Francesca Ghelfi. Alessandro Sbardelli (letterato, poeta e drammaturgo) IL CUORE LA PAROLA AUTORE: FRANCESCA GHELFI EDITRICE NOVALIS, COLLANA MEDICINALIA NOVITÀ 2013
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