Artemedica n.39

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POSTE ITALIANE S.P.A. - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE DL 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004N.46) ART.1, COMMA I, DCB MILANO

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Kaspar Hauser: il fanciullo d'Europa

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EDITORIALE

A u t u n n o 2 015 Mentre stiamo chiudendo questo numero della nostra rivista ci vengono incontro, in tutta la loro drammaticità, le immagini di questo moderno Esodo biblico che porta centinaia di migliaia di persone verso l’Europa. Anche se Artemedica è un periodico con cadenza trimestrale – che ha lo scopo di diffondere un messaggio legato al movimento antroposofico, per questo il nome della rivista è completato dalla dicitura Antroposofia oggi, e quindi non ha la pretesa di commentare avvenimenti di attualità – non si può certo distrarre lo sguardo e non considerare quanto sta accadendo intorno a noi: una svolta storica, una sorta di tsunami inaspettato, che non era stato previsto da alcun uomo politico. Certo ci sono stati tanti conflitti, tante guerre spietate fra noi europei. Di una cosa eravamo però certi: che, malgrado tutto, questo continente fosse nostro, che ci appartenesse in modo esclusivo. Ora occorrerà molta positività e fiducia nel disegno spirituale che probabilmente sta alla base degli eventi attuali. Per questo la redazione ha il compito di ampliare lo spettro dei temi considerando varie posizioni, anche se in apparente contrasto: sono infatti convinta che solo chi si interessa ad altri punti di vista è in grado di impegnarsi seriamente in favore delle proprie convinzioni. In concomitanza con la ristampa del libro su Kaspar Hauser per i tipi dell’Editrice Novalis, occorre riconsiderare l’argomento del “Fanciullo d’Europa”: i gravi avvenimenti che hanno segnato non solo la storia della Germania ma anche quella di tutta l’Europa sono forse il risultato della mancata presenza di Kaspar Hauser sulla scena politica? Perché si è scelto di tenerlo prigioniero per 16 anni? Non sarebbe stato più semplice ucciderlo? Ma chi lo teneva segregato dal mondo sapeva, in quanto ne aveva le conoscenze esoteriche, che da morto sarebbe stato molto più potente. Un caro amico, Vincenzo Bevilacqua ha scritto un articolo sul nostro viaggio a Chartres organizzato e guidato da Fabio Delizia, grande esperto di arte e profondo conoscitore della storia della famosa cattedrale. Chartres rappresenta un modello di quelle scuole-cattedrali medievali create per l’insegnamento, e attive in molte città europee tra il X e l’XI secolo. Il loro scopo era inizialmente l’educazione dei futuri sacerdoti, ma gradualmente accettarono anche studenti laici. Queste scuole-cattedrali costituiscono le istituzioni che precedettero la fondazione delle università e furono alla base della rinascita culturale della filosofia scolastica di cui Tommaso d’Aquino fu un grande esponente, ponendosi come il punto di raccordo fra la cristianità e la filosofia classica che ha i suoi fondamenti e maestri in Socrate, Platone, Aristotele. Alain de Lille fu formato alla scuola di Chartres. “La scuola di Chartres – come sottolineava Rudolf Steiner – è meravigliosamente situata nel mezzo, tra il principio nordico di Artù e il principio Cristo meridionale. Le ombre del castello di Artù e quelle del castello del Graal fanno agire gli invisibili impulsi soprasensibili… nel comportamento, nello stato d’animo imperanti negli appassionati discepoli che si trovavano – come si direbbe oggi – nelle aule di Chartres”.1

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Torquay 21/08/1924, Considerazioni esoteriche su nessi karmici vol. VI, Ed. Antroposofica, Milano (O.O. 240)


ARTEMEDICA NEWSLETTER

ANTROPOSOFIA OGGI

n. 39 - autunno 2015 iscritta al tribunale di Milano al n. 773 registro stampa, il 12.10.2005

Direttore Responsabile Luisa Abbà

Direzione Culturale Paulette Prouse

Redazione e coordinamento editoriale Anna Chiello Bruno Lanata

Traduzioni Daniela Castelmonte Giuseppina Quattrocchi

Impaginazione e grafica Giulia Boffi

Stampatore La Tipografia s.n.c Via Bramante 5, Buccinasco (MI) Stampato su carta Cyclus® 100% fibre riciclate – Colore naturale senza azzurranti ottici (OBA) – Prodotto in linea con le più severe certificazioni ambientali.

Per testi e immagini di cui non è stato possibile rintracciare i detentori dei diritti, l’editore si dichiara sin d’ora disponibile a riconoscere i diritti a chi ne facesse legittimamente richiesta.

La vittoria della vita sulla morte Ricordi e discorsi commemorativi di Rudolf Steiner su Christian Morgenstern «Vorrei dire oggi alcune cose sul nostro amico Christian Morgenstern, che ci ha lasciato recentemente e che ci era così caro, parlando innanzi tutto della sua vita e della sua carriera prima di entrare a far parte della nostra Società. Ed è giusto parlarne in questo gruppo perché egli era legato in modo speciale al suo presidente, Ludwig Noll, che fu per anni suo amico e medico personale.» Inizia con queste parole il discorso commemorativo tenuto a Kassel da Rudolf Steiner il 10 maggio 1914. Poeta noto soprattutto per la vena satirica e irriverente dei suoi Galgenlieder, Christian Morgenstern in realtà seguì per tutta la vita un cammino di continua ricerca spirituale. La sua ammirazione per Nietzsche e Lagarde, due voci solitarie nel panorama culturale europeo di quegli anni, fu solo il preludio all’incontro con l’antroposofia e al rapporto profondo, di reciproco affetto e stima, con Rudolf Steiner. Quest’ultimo fu dolorosamente colpito dalla morte del poeta a soli quarantadue anni e più volte ne ricordò la figura e l’opera in diverse conferenze. Alcuni di questi interventi sono qui raccolti, seguiti da una breve antologia di poesie.

Concessionario per la pubblicità EDITRICE NOVALIS Via Angera, 3 - 20125 Milano tel. 026711621 - fax. 0267116222

Il testo propone oltre ai ricordi e ai discorsi commemorativi di Rudolf Steiner anche La stella e altre poesie di Christian Morgenstern, e note sulla vita e le opere del poeta.

www.librerianovalis.it mkt@librerianovalis.it Il volume La vittoria della vita sulla morte è offerto in omaggio agli abbonati. Prezzo del singolo volume € 4,50 – Artemedica + volume: € 5,00


SOMMARIO Autunno 2015 4 La missione di Kaspar Hauser • Paulette Prouse

5 Ragioni di un’opera • Peter Tradowsky

7 La forza guaritrice dei metalli La terapia con i metalli cuore della Medicina Antroposofica • Frank Meyer Tratto da Info3

28 Il fenomeno zucchero

Nel nuovo QF, lo zucchero cibo e droga Malattia dell'ulivo malessere dell'uomo

30 Incontro con Gianluigi Cesari • Maurizio Pietro Morisco

32 Una “modesta proposta” di cura per “La malattia degli olivi salentini” • Rossano Ciasullo

12 Il bambino, questo sconosciuto • Luigi Orsucci

14 La consegna delle chiavi di casa La battaglia dei 21 anni • Francesco Pazienza L'arte di invecchiare

17 Le corrispondenze delle età della vita

Le fasi dello sviluppo umano nei vari settenni • Rudolf Steiner

19 Salute al femminile: novità nella cura delle patologie uterine

35 La libera vita dello spirito A cura del Movimento Filosofia della Libertà

36 Il motivo della luce nel Vangelo di Luca • Emil Bock

40 Segni di pietra

La presenza umana in Val d’Aosta in epoca protostorica • Leila Colombo A tavola con Giulia

42 Mais

La pannocchia di Saturno e degli indiani d’America • Giulia Giunta

Intervista a Giuseppe Bigatti Contributi

21 Quando facevamo la colla con la farina…

A colloquio con Alberto Rigoni

22 Ottobre

Le atmosfere autunnali nelle parole di un grande narratore • Fabio Tombari Il sogno di una morfologia

24 Una teoria per la “scienza della manifestazione”

45 Una visita alla Cattedrale di Chartres • Vincenzo Bevilacqua

48 Wagner e Verdi, due fiumi che conducono allo stesso mare

Dalla conferenza di Stefano Gasperi sul rapporto fra i due musicisti A cura di Simone Mattioli

51 L’arte del vero Ascolto • Patrizia Bertuzzi

• Emilio Ferrario

In allegato

La vittoria della vita sulla morte di Rudolf Steiner Con poesie di Christian Morgenstern


Kaspar Hauser: il fanciullo d'Europa

La missione di Kaspar Hauser • Paulette Prouse Kaspar Hauser, il trovatello di Norimberga, chiamato anche il fanciullo d’Europa, rappresenta l’elemento della volontà, la giovinezza e l’avvenire dell’umanità. È un’entità che supera il reale immediato, perché è solo dopo la morte che si può viverla nella sua realtà in divenire, non prevede esistenza se non in una prossima vita. Si sente attorno a lui la promessa e l’attesa di ciò che sta per venire. È come una presenza che non può o non vuole rivelarsi esteriormente. Egli, l’atlante, come viene anche chiamato, ha passato quasi tutta la sua vita seduto in una prigione, separato dal mondo. Che missione sta dietro questo grande sacrificio? La Germania del sud sarebbe dovuta diventare il nuovo castello del Graal e la culla di futuri importanti avvenimenti. Uno spazio ben preparato da grandi personalità come Goethe, Schiller, Hölderlin, Herder eccetera. Kaspar Hauser doveva riunire intorno a sé tutta questa grandiosa costellazione di personalità. Ma le logge massoniche e i Gesuiti non potevano accettare di rinunciare al loro potere. Il cammino spirituale di Goethe li spaventava. Il destino riversato su Kaspar Hauser è la più grande catastrofe per il popolo tedesco, ne consegue la sua drammatica storia. È successo il contrario di quello che era stato previsto attraverso Kaspar Hauser, ossia è stato impedita la realizzazione dell’Io come fattore essenziale per il popolo tedesco assumendo invece un aspetto decadente e distruttivo. Sapendolo Rudolf Steiner ha tentato con grandi sforzi spirituali di mettere un freno all’evoluzione funesta del popolo tedesco già avviata. Partendo da Goethe, egli ha cercato di sviluppare lo Spirito mitteleuropeo. Ma a prima vista non ha ottenuto un successo sul piano storico. La detenzione di Hauser gli permise però di

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Kaspar Hauser: il fanciullo d'Europa

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as ar au er

Peter Tradowsky

Aveva la missione di gettare le basi per il risveglio

spirituale dell’Europa ma la sua breve, tragica

esistenza sulla terra non glielo permise. La sua vita

e la sua morte sono rimaste un mistero che ha affascinato e ispirato storici e artisti finché

Kaspar Hauser

le indagini spirituali di Rudolf Steiner non ci hanno restituito il vero significato del ruolo che avrebbe dovuto avere Kaspar Hauser nei destini

dell’Europa. La sua venuta sulla terra attirò

– così venne chiamato dai suoi

contemporanei – adempisse la sua missione. Da lì il rapimento, la terribile, prolungata

reclusione, infine l’assassinio.

Questo libro – che si legge allo stesso tempo

come un giallo e come un testo

di meditazione – ci spiega come restituire

all’elevata individualità che dal 1812 al 1833 prese

il nome di Kaspar Hauser la possibilità di irraggiare

la sua forza sulla terra perché il suo ruolo

Kaspar Hauser

l’attenzione di potenti forze dell’ostacolo che

volevano impedire che il «bambino d’Europa»

Il fanciullo d’Europa

ezzo 18 euro

Peter Tradowsky

nei confronti dell’Europa non vada perduto.

conservare un antico stato di coscienza legato al periodo atlantico. Erede al trono di Baden, Kaspar Hauser doveva, all’inizio degli anni quaranta del secolo XIX influire su tutti i rapporti umani e materiali. La fede che il popolo tedesco presta a questa storia gli è propria e naturale e riposa sul suo sentimento della verità. È essenziale che il popolo tedesco non veda in questa storia una favola, ma senta come attraverso Kaspar Hauser fosse possibile conservare il legame con lo spirito del popolo.

Non è della grandezza tedesca di vincere con la spada; penetrare nel regno dello spirito, vincere i pregiudizi, combattere virilmente l’illusione: ecco ciò che è degno del suo zelo. Ha riportato una migliore vittoria chi ha brandito la saetta della verità che libera gli spiriti stessi. Lottando, liberare la ragione è combattere per tutti i popoli, e vale per l’eternità. (Schiller, abbozzo del poema Grandezza tedesca)

Ragioni di un’opera Riportiamo di seguito un brano tratto dalla prefazione scritta da Peter Tradowsky per la prima edizione italiana del suo libro su Kaspar Hauser. Un breve scritto dal quale emergono le ragioni profonde che hanno ispirato la stesura di questo lavoro di ricerca, ossia, come dice lo stesso Tradowsky “la necessità e l’importanza di una comprensione spirituale di Kaspar Hauser”. • Peter Tradowsky (…) Devo ... menzionare due ambiti che, pur non avendo a che fare direttamente con le osservazioni fondamentali, devono essere brevemente trattati. Il primo è quello relativo al fatto che, recentemente, è stata messa in dubbio l’identità di Kaspar Hauser come successore al trono del Baden. L’altro riguarda sempre dubbi espressi sull’autenticità di affermazioni attribuite a Rudolf Steiner e pubblicate per la prima volta in questo libro. Il titolo di prima pagina «Kaspar Hauser, il principe disincantato: ricerche genetiche sciolgono un enigma secolare» pubblicato su Der Spiegel (25 novembre 1996) ha fatto grande scalpore in Germania. In questo articolo si mette in risalto il fatto che due istituti di ricerche genetiche, uno tedesco e uno inglese, indipendentemente uno dall’altro, hanno constatato che il sangue trovato sugli indumenti che Kaspar Hauser indossava al momento dell’assassinio non poteva appartenere

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al figlio di Stephanie de Beauharnais. Un nuovo risultato di ricerche va naturalmente preso sul serio e va esaminata la sua forza di convincimento. In primo luogo non è da escludere un ulteriore dubbio:

se veramente si tratti del sangue di Kaspar Hauser. Inoltre bisogna prendere in considerazione anche le sorgenti d’errori del metodo usato, tanto più che i ricercatori – secondo le proprie parole – «sono arrivati

Il dramma e il mistero legati alla figura storica di Kaspar Hauser hanno affascinato nel corso del tempo la fantasia di scrittori, poeti e registi. Fra i numerosi film ricordiamo: Kaspar Hauser di Kurt Matull del 1915, L'enigma di Kaspar Hauser di Werner Herzog del 1974, Kaspar Hauser di Peter Sehr del 1993, e numerose pièce teatrali. Fra le opere letterarie, la recente raccolta pubblicata da Adelphi: Anselm von Feuerbach, Walter Benjamin e Geminello Alvi, Kaspar Hauser. Un delitto esemplare contro l'anima, Milano. *L’immagine è tratta dal film di Werner Herzog.

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Kaspar Hauser: il fanciullo d'Europa vicinissimi al limite della prova». Con questa scoperta dovrebbe venir confutato il risultato di una seria ricerca condotta su Kaspar Hauser nei secoli XIX e XX che Hermann Pies, il suo più importante ricercatore, nel 1996, dopo quaranta anni di indagini, così riassume: «Giunti a questo punto, ritengo di poter affermare di aver portato prove indiziarie consistenti a favore dell’appartenenza di Hauser al Principato del Baden tali che difficilmente se ne possono portare di più stringenti, anche se si trattasse di crimini dinastici compiuti». (H. Pies, Kaspar Hauser – Eine Dokumentation, Ansbach 1966). È necessario innanzitutto constatare che, così come gli avvenimenti scoperti da una serie di ricercatori non possono venire annullati da un’analisi, così neppure la figura di Kaspar Hauser, come è sviluppata in questo libro, può dipendere dalla sua discendenza. Nemmeno la sua prigionia, le sue gesta, le sue sofferenze, possono cambiare a causa di una stirpe diversa. Gli autori dell’articolo pubblicato su Der

Spiegel vogliono tuttavia destare l’impressione falsa e infondata che, dato che ora il problema dell’identità è risolto, tutta la questione riguardante Kaspar Hauser sia effettivamente chiusa. Per loro, alla fin fine, egli è solo un «balordo». Con ciò si svela completamente la tendenza che giace alla base della questione: cancellare l’immagine spirituale dell’apparizione del «Fanciullo d’Europa». Con ciò viene unicamente accentuata la necessità e l’importanza di una comprensione spirituale di Kaspar Hauser, come la si persegue in questo libro. Sulla questione dell’autenticità delle notizie del conte Ludwig Polzer-Hoditz trasmesse dall’erede del suo lascito, Paul Michaelis, voglio accennare qui soltanto che si sono presentati dubbi giustificati sulla veridicità di questi testi. Così probabilmente non è avvenuto nel novembre 1916 un incontro fra Rudolf Steiner e il conte Polzer-Hoditz. Da questa e altre informazioni si è tratta la conclusione che tutte le notizie fornite da Paul Mi-

chaelis siano false. Non posso aderire a tale conclusione poiché non è per nulla provato che le sue affermazioni provengano dal conte Polzer-Hoditz e dai dialoghi di quest’ultimo con Rudolf Steiner. Dato che i manoscritti originali sembrano essere perduti, non è possibile trarre una conclusione definitiva. Ovviamente, considerando l’incertezza della situazione, non si può neppure affermare che le notizie così trasmesse riflettano con sicurezza le parole di Rudolf Steiner. Senza una conoscenza più approfondita dei fatti non è possibile un giudizio autonomo, che lasci liberi. Sono dati di fatto talmente complessi che non si possono spiegare in modo riduttivo. Desidero solo aggiungere che le informazioni attribuite al conte Polzer-Hoditz mi sono state date a seguito delle conferenze che ho tenuto su Kaspar Hauser. Non erano per me un punto di partenza, ma si sono inserite senza alcun problema nelle mie considerazioni. Berlino, San Giovanni 1997

Ansbach e il suo cittadino più illustre

Dopo essere misteriosamente apparso nel 1828 a Norimberga, Kaspar Hauser divenne in breve tempo il trovatello più famoso della storia d’Europa. Nel 1831 si trasferì ad Ansbach dove due anni dopo fu ucciso. Una morte, un sacrificio considerati l’evento più mistico del XIX secolo. I due anni ad Ansbach furono sufficienti perché la storia del “fanciullo d’Europa” s’incidesse profondamente nella storia della città ed egli divenisse – al di là del tempo e dello spazio – il suo cittadino più noto. Sul luogo del suo accoltellamento è stato eretto un monumento che riporta la seguente incisione: Hic occultus occulto occisus est (Qui un uomo misterioso fu ucciso in modo misterioso). Kaspar Hauser suscita da più di 170 anni negli storici e nelle persone interessate innumerevoli domande ed enigmi a proposito delle sue origini. Dal 1998 la città di Ansbach organizza ogni due anni un Festival a lui dedicato. Con una vasta offerta di proposte e con ricerche sempre nuove, si pone il compito di rendere accessibile e sempre più comprensibile questo fenomeno storico nella sua unicità. Informazioni e programmi si possono richiedere a: Stadt Ansbach Amt für Kultur und Touristik Johann-Sebastian-Bach-Platz 1 91522 Ansbach Tel.: 0981 51243 // e-mail: info@Kaspar-Hauser-Ansbach.de

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La consegna delle chiavi di casa Riprendiamo la nostra traversata, continuiamo ad esplorare le tappe delle successive “battaglie per la conquista dell’individualità” nella biografia umana. Ci occuperemo ora della battaglia dei 21 anni. Nel precedente articolo mi sono occupato dei 18 anni e, coerentemente con l’attuale sistema giuridico, ho descritto l’assunzione di quel che chiamiamo comunemente la personalità giuridica. Si diventa maggiorenni e responsabili di se stessi nella società civile. • Francesco Pazienza www.francescopazienza.it Foto di Roberto Tani www.robertotani.it

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Si dà il caso che chi scrive, oltre a tutti i coetanei e le persone di età maggiore, abbia conseguito la maggiore età non a 18 ma a 21 anni. Cosa significa e che valore può avere questo cambiamento sopraggiunto nel sistema giuridico? Beh, non è difficile intuirlo. In questi decenni, negli ultimi cinquant’anni si sta assistendo a una vistosa tendenza ad anticipare le tappe. Gli individui, nella presunta evoluzione della specie, fanno esperienze sempre più precoci e sono ansiosi di farle. Addirittura c’è chi pensa di poter accelerare ancora. Si è parlato di patente a 16 anni e via di questo passo. I nostri ragazzi aspirano al ruolo di adulti sempre più precocemente. Ansiosamente. D’altro canto il sistema scolastico tende ad accelerare anche l’apprendimento e a renderlo sempre più intellettualistico. Diventiamo sempre più “intelligenti” o, semplicemente, siamo presi tutti in una frenesia collettiva che difficilmente riesce a dissimulare la sua motivazione economica. Ci sono ottime ragioni economiche per farlo. Firmare assegni o stipulare contratti dai 18 e non più dai 21 anni appare conveniente all’incremento del PIL. Abbiamo consumatori sempre più giovani. Fette di mercato nuove, emergenti. Ed è sotto gli occhi di tutti come il mercato indirizzato ai giovani sia vivace e redditizio. Ma se interroghiamo la carne, l’organismo umano nella sua plasmazione e riproduzione, scopriamo qualcosa di leggermente diverso. Il compimento della fisionomia, la plasmazione delle dimensioni del corpo impiega una ventina d’anni. Occorre che l’organismo compia per la terza volta la completa rigenerazione della carne cui ho accennato negli articoli precedenti. Dopo che l’organismo ha ricreato, per tre volte e da sé, la sostanza della sua carne, intorno ai vent’anni la crescita si arresta, la fisionomia diventa definitiva. Come ogni medaglia ha il suo rovescio, si potrebbe dire che si incomincia ad invecchiare. Si, il frutto è maturo e quando un frutto è maturo, nella natura vegetale, comincia a virare verso la marcescenza. Ma il frutto umano ha invece peculiarità differenti. La maturità umana ha tempi molto più lunghi. Come per la sua genesi ed evoluzione, del resto. Ma concludendo questa parte di riflessione indicherei due cose importanti. La prima è che esiste una grande differenza tra una fioritura (possiamo percepirla intono ai diciott’anni, l’ho descritta nel

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precedente articolo) e la fruttificazione, la piena maturazione che sto descrivendo intorno ai 20 anni al compimento del terzo settennio. La seconda è che se il “vento” che soffia dall’economia, tende ad anticipare le tappe, un altro vento, quello dello sviluppo psicologico, forse in modo organico e coerente, tende ad allungare il processo, proprio come reazione di difesa dell’Io umano. Questo merita più riflessione. Non si tratta solo di frenesia consumistica da un lato e di epoca del “bamboccioni” dall’altro. Espressione, quest’ultima, coniata da un ministro dell’economia di qualche governo fa. Si tratta di una reazione legata alla felice elasticità dell’organismo umano. Una sorta di compensazione, coerente in se stessa. E così abbiamo consumatori sempre più giovani, consumatori in erba e fiori, ma una maturità che si consegue sempre più faticosamente e sempre più tardi. Si protrae ben oltre i fatidici 21 anni. È risaputo che, soprattutto nella parte di Europa che abitiamo, negli ultimi decenni, i figli tendono a restare a carico della famiglia fino ai dintorni dei trent’anni. Sono dati statistici. e non credo questo abbia solo motivi economici. Non è solo perché è sempre più difficile trovar casa e lavoro. Sento il profumo di altri motivi, procediamo con ordine. Per un verso la spinta economica si avventa sul germoglio fiorito dell’Io umano. Gli amici che studiano l’Antroposofia vi riconosceranno l’impulso di Arimane. Il demone descritto da Goethe nel suo Faust. Il demone che subentra e “duetta” con Lucifero. Quello della mela mangiata nella scena della Genesi. A diciott'anni si è in fiore ma il frutto matura un poco più tardi. Il frutto, la cosiddetta maturità esistenziale, l’adultità, la fine del compimento fisiologico può essere pensata come la consegna di un appartamento a un proprietario, a un inquilino. La casa più umana, lo sappiamo tutti è il corpo. Il corpo come tempio in cui dimora l’individualità umana. La cosa più sacra. E il processo, il ritualismo del caso, a me piace indicarlo come la simbolica consegna delle chiavi di casa. È uno dei momenti più delicati dello sviluppo dell’individuo. Appena ci consegnano le chiavi dell’appartamento possono sorgere le reazioni emotive più differenti. Sovente di grande intensità. C’è sempre qualcuno che trova adatto o meno a se stesso l’appartamento finalmente consegnato. Il nostro corpo è la giusta dimora? Ci appare come un tempio o come una stamberga? Volevamo un grattacielo o una casa di campagna…

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Lo troviamo adatto alle nostre necessità? Sappiamo che nella tipologia psicologica umana, per chi ne ha esperienza e la passione di osservare, vediamo scenette tipiche e ricorrenti. Chi si entusiasma immediatamente e chi la trova assolutamente, sistematicamente inadeguata. Dopo 20 anni mi aspettavo qualcosa di diverso! Oppure ci si entusiasma subito ma ben presto le magagne saltano all’occhio e l’entusiasmo diventa tutt’altro. C’è qui un campo infinito di possibili osservazioni. Se abbiamo voglia di farlo, soprattutto per noi stessi, può essere prezioso. Io concluderei con una vena di umorismo che, a mio vedere, è sempre un ottimo condimento per le cose più serie. Se non sappiamo sorridere, se non ci concediamo questo sacrosanto distacco dalle cose più serie, non diventiamo “seri”, ma solo “seriosi”. Quando ero bambino mi proponevano le storielle in rima baciata

(i fumetti sono arrivati un poco più tardi e risultavano comunque sospetti, nella casa di un dottore). Mi proponevano figurine illustrate e commentate in rima del “Corriere dei Piccoli”. Uno dei personaggi più popolari era Sor Pampurio. Nella pagina trovate qualche notazione tagliata e incollata dalla rete. Coerentemente con il metodo suggerito agli insegnanti di adolescenti nelle scuole Waldorf, cerco di bilanciare sapientemente, senso dell’umorismo e senso del tragico. La consegna delle chiavi di casa, del tempio dell’individualità può essere un momento difficile per l’accettazione del proprio destino. Innamorarsi dell’involucro o sputarlo fuori come un boccone dal sapore disgustoso, oppure aver sempre bisogno di aggiungere zucchero, sale, pepe a ogni pietanza... Tutto è così umano: troppo umano! Permettetemi di salutarvi con un sorriso...

Sor Pampurio è arcicontento...

Sor Pampurio: più che un personaggio, una espressione proverbiale. Ogni volta è arcicontento del suo nuovo appartamento, ma poi lo cambia sempre; i suoi reiterati tentativi e le puntuali delusioni di trovare ideali condizioni di vita sono il pretesto per mettere a nudo i difetti e le manie di una società alle prese coi primi vagiti del consumismo. Ecco alcuni degli altri temi sviscerati dal personaggio più celebre di Bisi. Dopo l’appartamento, Pampurio vuole cambiare la servetta, ma non trovandone di meglio poi la riprende con sé. Durante la guerra c’è il periodo con le gag nel rifugio antiaereo e successivamente lo sfollamento in campagna. È poi la volta del nuovo amico, che però si rivela indigesto, così come il luogo della villeggiatura; poi si mette in proprio per arricchirsi, ma non gliene va bene una, ovviamente. Poi cambia continuamente idea sulla località di villeggiatura, salvo poi che i guai vengono allora dal figlio Pampurino, che viene ogni volta destinato al Collegio, che il ragazzo schiva sempre all’ultimo con una buona azione. Ancora, torna il tormentone della casa: Pampurio oscilla fra la casa in città e quella in campagna, ogni volta trova difetti e problemi e torna dov’era prima. La trattazione completa della saga pampuriana si trova nell'articolo di Giulio C. Cuccolini “Carlo Bisi, sociologo a quadretti, e il borghesissimo Pampurio”, nel volume Un maestro dell'ironia borghese. (www.amicidelfumetto.it/carlobisi/sorpampurio-è-arcicontento) Immagine tratta dal Corriere dei Piccoli, anno XXI, n. 17, p. 4

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Contributi

Wagner e Verdi, due fiumi che conducono allo stesso mare Simone Mattioli ha avuto l'occasione di assistere a una interessante conferenza tenuta da Stefano Gasperi sull’opera di Richard Wagner posta in relazione con quella di Giuseppe Verdi. Entusiasmato da quanto ascoltato ha voluto proporre un sintetico resoconto di quella lectio magistralis, che ci ha fatto pervenire e che volentieri pubblichiamo. • a cura di Simone Mattioli

Richard Wagner. Litografia di H. Rula nd,

fotografia di Franz Seraph Hanfstae ngl,

Monaco di Baviera 1871

Verso la fine della seconda delle due conferenze del ciclo Fede, amore, speranza (O.O.130) Rudolf Steiner fa uno dei suoi tanti elogi alla musica di Richard Wagner, ponendo Wagner come “portatore della fede che nutre l’anima” e spiegando come questa forza della fede Wagner se la sia, fino in fondo, conquistata. Nella mia vita, cosa abbastanza inusuale per chi si avvicina alla musica classica, le prime opere musicali che mi capitò di sentire furono tratte proprio dalla Tetralogia L’Anello del Nibelungo di Wagner (ciclo di quattro opere liriche tra loro concatenate e composto da una “vigilia”: L’Oro del Reno, e tre “giorna-

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te”: La Valchiria, Sigfrido, Il Crepuscolo degli Dei), grazie a un mio insegnante delle medie che fece ascoltare alcuni brani alla classe. Ricordo che non mi colpì tanto la musica, ovviamente molto raffinata e complessa per un ragazzo così giovane, ma fui entusiasta delle immagini. La mitologia nordica mi fece una fortissima impressione. Molti anni più tardi ebbi l’onore di assistere dal vivo alla Tetralogia al festival di Bayreuth, “tempio” mondiale della musica wagneriana, e oggi il tema di Wagner è tra quelli a me più cari. Affronterò questo tema facendo anche alcuni parallelismi con un altro grande della musica, contemporaneo a Wagner e spesso - come vedremo, indebitamente - a lui contrapposto, Giuseppe Verdi. Nel 1854 Wagner scrisse a Liszt: “La sostanza dell’Anello è la vita stessa in tutta la sua molteplice varietà, la sua abbondanza e il suo rinnovamento”. Wagner iniziò a scrivere questa gigantesca saga verso i 35 anni, e la scrisse partendo dalla sua fine, ossia dalla morte di Sigfrido, procedendo poi a ritroso. Impiegò circa vent’anni per finirla. Al pari di Verdi, Wagner ebbe una vita molto travagliata e sofferta, e alcuni epitaffi da lui scritti in età molto giovanile testimoniano che i suoi iniziali fallimenti lo portarono addirittura a considerarsi “meno di nulla”. Considerato un rivoluzionario, fu perseguitato e condannato a morte, e dovette emigrare. Per più di vent’anni si trovò nella condizione di comporre panorami straordinari di un’opera musicale colossale senza avere mai la fortuna di poterli udire - godendo quindi solo di un ascolto interiore - prima che queste sue opere potessero finalmente essere eseguite. Wagner e Verdi sono nati nello stesso anno, il 1813. È nota “l’aspra contesa”, che in parte dura ancora oggi, tra “verdiani” e “wagneriani”, una disputa irreale visto che in realtà chi ama davvero Verdi non può non amare Wagner, e viceversa: Verdi e Wagner sono come due grandi fiumi che conducono allo stesso mare. Per vie completamente diverse, questi due artisti perseguono lo stesso obiettivo: vivendo entrambi con estrema sofferenza il

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Contributi delle forze dell’anima. decadimento della società Wagner affronta questo borghese di fine Ottocento, problema con la sottile psisi rendono entrambi conto cologia con cui scava, nei che l’unica possibilità per suoi personaggi - figure un rinnovamento morale spesso doppie, paradossae spirituale dell’uomo è li, paranoiche, ma anche quello di rinnovare il teagloriose - all’interno detro. Partendo da quel mogli abissi e delle altezze dello dell’arte che secondo dell’anima umana, e con loro rappresenta la summa il suo sinfonismo in cui le di tutte le arti, ossia la tratre componenti della mugedia greca, il loro scopo è sica - melodia, armonia di far rivivere alla luce dele ritmo, che nella musica la modernità questo genere classica erano tenute perdove suono, gesto e parola lopiù assieme - tendono a sono fusi insieme in una disgregarsi, portando quinsorta di “poema sacro” o di anche nella musica l’edi Gesamtkunstwerk. Quesperienza, drammatica, di sto concetto, ormai entrato soglia. Questa esperienza nell’uso comune e tradotto di soglia era estremamente generalmente come “opera presente negli ascoltatori d’arte totale”, si ricollega delle sue opere, che erano anche al genere medioevaappunto o rapiti ed entule del “dramma mistero”, siasti o rimanevano sgoanticipando così ciò che Giovanni Boldini, Ritratto di Giuseppe Verdi, pastello su carta preparata, 1886. Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e menti e quasi terrorizzati. arriverà in seguito attraverContemporanea. Wagner ne parlava come so Rudolf Steiner, ossia un arte dell’Übergang (transizione, trapasso), il passare da un rinnovamento degli antichi drammi misteriosofici. Abbiamo detto che Verdi e Wagner si propongono di arrivare a suono, da una sonorità, da una tonalità all’altra come concetquesto obiettivo per vie totalmente diverse: è vero, nel senso che to tipico della vita, che è un trapasso continuo, un elemento i due artisti ci arrivano attingendo alle caratteristiche diverse dei processuale e dinamico, e definiva questo Übergang come sua loro rispettivi spiriti di popolo: Verdi attraverso un rinnovamen- forma musicale principale. to del melodramma, ossia rinnovando la vocalità, che è caratte- Era come se Wagner togliesse la sicurezza da sotto i piedi degli ristica dell’anima di popolo italiana, invece Wagner attraverso uomini, togliendo quegli elementi codificati, quei canoni nella il rinnovamento sinfonico. In Wagner questo rinnovamento fu pratica della composizione e dell’armonia, tipici della musica tanto forte che gli uomini della sua epoca furono condotti come prima di lui e che davano un senso di sicurezza, di stabilità. Inidavanti a una soglia: chi fu preso da entusiasmo e chi, sgomento ziando a dissolvere questi elementi, Wagner creava negli ascoltatori contemporanei una fortissima sensazione di angoscia. e atterrito, non riusciva a comprendere questa musica. Il celebre accordo, dato da due quarte aperte con continui inter- Un altro importante elemento che accomuna Wagner e Verdi valli di seconda ascendente, con cui inizia il Tristano, (opera che, è che entrambi furono due laici con una profonda dimensione per il suo cromatismo estremo, ha dato il via allo sviluppo della cristiana. Wagner fu criticato sia per l’elemento pagano che apmusica atonale e quindi alle esperienze della musica moderna e pariva nella sua Tetralogia, sia perché, nel successivo Parsifal, contemporanea, ndr), è ad esempio una cosa che all’ascolto noi questo paganesimo appariva essere superato: ma si trattava di sentiamo molto vicina, ma che all’epoca fu di una novità tale da un errore di interpretazione madornale. In proposito Wagner scrisse (Lettera al poeta francese Catullè Mendes, 16 luglio sconvolgere profondamente tutto l’ambiente musicale. Potremmo dire che Verdi e Wagner si collocano, storicamen- 1868, ndr): “la mia preghiera è la mia arte. […] Quanto a me, te, tra la fine del Kali Yuga e l’inizio dell’epoca di Michele. sappia che sono soprattutto cristiano”. Anticipando dunque i tempi, come è caratteristica dei grandi Da laico quindi Wagner - come Verdi - affonda nei misteri del artisti, si confrontano con un tema classico della modernità, Cristianesimo, e l’evoluzione più profonda dell’Io e della dicioè l’uomo di fronte alla soglia che comporta la scissione mensione della coscienza è ciò che riguarda la sua arte.

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Contributi Sappiamo che un’esperienza importante nella biografia di Wagner, determinante per l’evoluzione della sua arte, fu quando a Venezia vide l’Assunta di Tiziano. Wagner, che era dapprima molto affascinato dal pensiero di Schopenauer e dal Buddhismo, nel momento in cui vide la composizione dell’Assunta - in basso stanno gli Apostoli, in alto Maria in una sorta di separazione tra la luce e la tenebra - comprende che in realtà la Redenzione non avviene attraverso lo staccarsi dall’esistenza per raggiungere il Nirvana - come avrebbe potuto ritenere se fosse, per così dire, “caduto preda” di una visione buddhistica della realtà - ma immergendosi profondamente nella dimensione terrestre. E sia in Wagner che in Verdi il tema della Redenzione è fondamentale. Per Verdi, la Redenzione avviene attraverso il Dolore, tramite il quale l’uomo diventa più umano: si tratta dell’ideale del rein-menschlichen, del “puramente umano”, che è comune sia a Verdi che a Wagner e si concretizza, nei personaggi verdiani, in una purificazione attraverso il Dolore. In Wagner, invece, la Redenzione si ha attraverso l’Amore – e non dall’Amore, come sarebbe stato in una visione orientalebuddhista. E un altro elemento straordinario che accomuna questi due artisti è che entrambi alla fine della loro vita, nella loro ricerca umana e musicale, realizzano appieno quello che conosciamo come anelito faustiano, quell’Eterno Feminino, posto alla fine del Faust, che ci trascina verso l’alto. Verdi, alla fine della vita, dopo la morte di tutti i familiari, rimasto lui stesso solo davanti alla morte, compone i suoi Inni Sacri, tra cui un Inno alla Vergine mettendo in musica, per la prima volta nella storia di quest’arte, la preghiera di San Bernardo alla Vergine nell’ultimo canto del Paradiso di Dante. Wagner, che morì invece improvvisamente, a Venezia per un arresto cardiaco, pure morì, come si dice, “con la penna in mano” mentre stava scrivendo un frammento, rimasto incompiuto: questo frammento si intitolava proprio Sull’elemento femminile nella specie umana (Über das Weibliche im Menschlichen in Kultur und Kunst). La dimensione profondamente cristiana comune sia a Verdi che a Wagner, si esprime - pur, ripetiamo, per vie completamente diverse - nel modo in cui affrontano gli eterni problemi del bene e del male: della lotta, dell’incontro e del dialogo nel cosmo e soprattutto nell’uomo - tra la luce e la tenebra, come necessario motore dell’evoluzione della coscienza. Ossia mettendoci di fronte, come accennavamo, al grande mito della Caduta e della Redenzione. Verdi affronta il tema del bene e del male all’interno delle singole anime. Dalle prime opere verdiane a quelle sucessive si vede una maturazione, umana e musicale, per cui nelle prime opere il bene e il male sono separati in personaggi diversi. Ma in seguito, ispirato soprattutto dall’opera di Schiller, Verdi mo-

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strerà che in realtà il bene e il male sono presenti nella stessa persona, e si contendono l’anima dell’uomo. La lotta tra il bene e il male, nei personaggi verdiani, è dunque lotta dell’anima stessa. Wagner invece, per riuscire ad affrontare questo stesso tema, si allontana nelle grandezze del macrocosmo: il suo racconto comincia dalla protostoria, con l’Oro del Reno, inizio e preludio della Tetralogia. L’Oro del Reno è una sorta di riflessione musicale di ciò che la Genesi - si confronti la quarta conferenza del ciclo di Steiner sulla Genesi - descrive come intessersi tra la Luce e l’Acqua, sorta di dialogo, ma anche separazione, da cui L’Oro del Reno prende il suo tema di avvio. Wagner sa che non può affidarsi a personaggi storici, perché lui vuole indagare il mistero della Caduta e della Redenzione partendo dalle lontananze cosmiche. Si affida dunque alla protostoria. Si rifugia nel mito. Nei suoi scritti autobiografici, Wagner racconta che nel periodo in cui era direttore d’orchestra a Dresda - intorno ai 35 anni, ossia “nel mezzo del cammin di nostra vita” - gli era capitato per le mani un volume della Mitologia Germanica dei fratelli Grimm. Descrive così la lettura del libro: “Venni incatenato da una meravigliosa magia. Ciò che veniva tramandato mi parlava in modo familiare e subito tutta la mia sensibilità fu presa da rappresentazioni che in modo sempre più evidente si configuravano in una sensazione, di riconquistare una coscienza perduta da tempo, e sempre ricercata. Il successo di ciò sulla mia intonazione interiore non posso non designarlo come una completa rinascita.” Da lì Wagner si immerge nello studio della mitologia nordica. Legge il Nibelungenlied (Canzone dei Nibelunghi), frammenti di un poema scritto attorno al XII secolo ma basato su leggende molto precedenti. Legge l’Edda, raccolta di antichi scritti islandesi dove vengono narrate le vicende di Odino. Tutto ciò muove l’intelligenza creativa di Wagner al punto che di lì a poco inizierà a comporre l’opera della sua vita. Com’è noto, e al contrario di Verdi, Wagner scriverà tantissimi testi extra-musicali, opere teoriche che però, come sempre accade, non rendono ragione di tutta la complessità della vita di un artista, poiché le componenti principali sono quelle che emergono da strati più profondi dell’anima. Tuttavia in uno di questi testi troviamo un (unico) accenno alle sue fonti di ispirazione, quando, scrivendo della composizione dell’Anello del Nibelungo, Wagner dice di un sogno in cui si trovava a La Spezia, aveva avuto una giornata stancante e, tornato in albergo, si sdraiò su un divano entrando in una sorta di dormiveglia; in quello stato gli apparve, in un istante, un’ispirazione che lo fece trasalire: era il motivo da lui tanto cercato, l’arpeggio in Mi bemolle maggiore che compone le prime note dell’Oro del Reno, preludio e “vigilia” della Tetralogia.

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Contributi

L’arte del vero Ascolto • Patrizia Bertuzzi Ascoltare è arte di pochi. Se divenisse arte di molti, all’umanità sarebbe invero spianata la strada per l’avvenire. Ma come si fa ad ascoltare? Come si giunge a tanta operante saggezza? Poniamo un esempio. Una persona ci si fa innanzi, e noi, di essa, solo questo sappiamo: che è in procinto di squadernarci un mondo di cui non siamo in grado di valutare l’estensione e la profondità, un mondo nel quale, entrando, comunque ci sarà dato apprendere qualcosa, poco o molto non importa. Dobbiamo dunque chiederci: saremo capaci, dal nostro piano di coscienza, di essere dediti alle sue parole, alle risonanze della sua voce, all’espressività del suo volto, alle significazioni della sua gestualità di accogliere il suo mondo ideale “senza mischiarvi i nostri contenuti concettuali”? Difficile che tale caso si dia. Irretiti dall’atavico timore di perdere qualcosa di noi stessi, sovente si è soliti reagire ad un pensiero con un altro pensiero, ad una rappresentazione con un’altra rappresentazione, ad un’opinione con un’altra opinione, perché in profondità manovrati da una semiconscia emozione di fondo sottesa a determinare, in vece nostra, le “nostre” risposte: che pronunciate o solo pensate, non saranno mai veramente le nostre, bensì quelle della natura in noi. Che cercherà di affermarsi in luogo dell’Io. Il quale secondo realtà, può aprire il suo varco di luce solo nel celeste silenzio della pura attenzione. Questa facoltà dell’ascolto, questa capacità di tacitare il provvisorio mondo dei nostri punti di vista, cui invero la natura non è incline, può e deve essere dunque dapprima im-

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maginativamente preparata. Noi dobbiamo ascoltare: accogliere anche l’espressione di un pensiero contrario al nostro modo di vedere, senza reazione interiore, dobbiamo soltanto lasciarlo passare attraverso la nostra coscienza, cogliendo, al tempo stesso, il contenuto animico che emana dall’individuo che parla. Un ulteriore momento di preparazione può essere inoltre costituito dalla ritmica osservazione dei fenomeni naturali. L’impersonale disporsi davanti al miracoloso spaziare delle luci, dei colori, degli elementi, allena, per così dire l’anima, a tacitare i frastuoni e le dissonanze del proprio bagaglio psicosomatico, per dedicarsi finalmente all’incognita aseità del mondo. Noi possiamo ascoltare portando la nostra attenzione soltanto su ciò che una persona dice, ma se vogliamo darci una buona educazione occulta, dobbiamo portare la nostra attenzione su ciò che gli uomini ci manifestano di se stessi anche attraverso il suono delle parole. Compito importante è quello di imparare ad ascoltare l’uomo senza idee personali, senza gli automatici impulsi di approvazione o disapprovazione. Quando approviamo infatti, ci fondiamo con quella prima impressione e non abbiamo la possibilità di accogliere nient’altro; così se contrastiamo, ci precludiamo ogni possibilità di conoscenza. Può essere anche importante ascoltare le persone che non hanno molto da dire, i semplici, che avendo scarsa cultura o conoscenza, manifestano più facilmente la loro interiorità. Ciò che si vuole stabilire non è il contatto con le idee dell’uomo, ma il contatto con la sua anima. A volte, nel lin-

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Contributi guaggio scarno di un individuo semplice, si può facilmente cogliere l’espressione spontanea della sua interiorità. Ciò porta a un senso di identificazione, quasi ad una fusione sul puro piano animico. È un’esperienza, questa, che ci arricchisce: crea in noi quegli organi di sensibilità, di ricezione, onde è possibile essere veramente partecipi della vita interiore altrui. Attraverso la parola, oltre ai concetti, si manifesta l’anima. L’arte del vero ascoltare: ascoltare con i sensi, con la mente, con il cuore. Morire a se stessi per risorgere nell’altro. Ascoltare con i sensi è la facoltà di percepire l’altro: ascoltare con la mente è la capacità di capire l’altro; ascoltare con il cuore è la forza di amare l’altro. Un atteggiamento interiore molto importante per ascoltare davvero l’altro e percepirlo oggettivamente, è quello di mettere me stesso in secondo piano, altrimenti incontro me, non lui. È un pensiero semplice, questo, ma pieno di conseguenze: se io, di fronte alla percezione dell’altro, mi interesso solo a ciò che vivo io grazie alla sua presenza, resto dentro di me. Tutt’altro è l’incontro quando dico: ora non si tratta di me, si tratta di lui voglio percepire lui, voglio ascoltare il suo essere. Posso chiedermi, ad esempio, se l’altro mi stia portando incontro i suoi talenti o i suoi bisogni. Quando esperisco l’altro nel suo esercizio di creatività individuale ascolto in un modo del tutto diverso da quando mi chiede aiuto. Nell’uno e nell’altro caso devo fare attenzione, devo ascoltare: devo essere capace di divenire meno importante a me stesso. E questo è possibile perché in fondo io so che nell’altro coglierò – di sorpresa magari – aspetti nuovi di me e risorgerò in lui: mi ritornerà incontro ciò che io stesso sono divenuto dentro la sua interiorità nel corso del tempo. L’incontro è allora una vera esperienza di morte e di resurrezione. Posso risorgere al mio essere dentro l’essere dell’altro soltanto se prendo la decisione cosciente di morire a me stesso in quanto separato da lui, soltanto se rinuncio a restare dentro di me nella separazione. L’incontro vero è il superamento di ogni separazione, perché la separazione c’è soltanto a livello illusorio del fisico-materiale: nell’animico e nello spirituale

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non ci sono isolamenti, non siamo mai gli uni esterni agli altri. La domanda importante per capire l’altro nell’incontro è: in che modo è divenuto, lui, così com’è? L’intento di capire è l’opposto del giudicare. Quando io giudico l’altro gli sovrappongo e gli impongo le mie affermazioni conclusive su di lui. Ascoltare con la mente, con la forza libera del pensare è invece voler ricostruire la genesi dell’altro per capire il suo essere di oggi e così incontrarlo veramente. Dove si giudica, invece ci si scontra. Il giudicare o lo scontrarsi si richiamano a vicenda, sono incatenati fra loro. L’intento di capire è invece una conquista della libertà; è un’arte che si può esercitare unicamente con la genialità della libertà. Il passaggio dai sensi alla mente avviene quando comprendo che il visibile è soltanto espressione dell’invisibile. Ascoltare con il cuore significa amare l’altro incondizionatamente e non volerlo mai diverso da come è. Perché ciò che è lo è divenuto per esserlo. Ciò che l’altro è l’ha voluto il suo Io vero: ha voluto passare attraverso questa espressione dell’umano. Ognuno di noi è un modo di espressione dell’umano che l’Io superiore ha scelto in quanto necessario punto di passaggio evolutivo. Solo il cuore è capace di volere l’altro così com’è, perché solo il cuore sa vedere il meglio in ogni realtà. La mente ci è data per vedere l’altro così com’è; il cuore ci è dato per volere l’altro così come è. Ascoltare è più che ricevere. Ascoltare è veramente una autentica attività umana, poiché aiuta colui che racconta ad approfondire se stesso ed esprimere la propria umanità. Egli può entrare in contatto con paure, rabbie, dolori, desideri e aspirazioni che altrimenti giungerebbero difficilmente alla coscienza. In San Francesco l’ascolto era tale che gli permetteva di conversare con le anime anche quando teneva sermoni perché sapeva percepire ciò che viveva nel silenzio dei cuori. È un atto di grande altruismo ascoltare veramente un altro uomo. Lo sperimentare l’altro nella propria anima significa amore. In questo modo gli uomini si incontrano l’uno con l’altro nel senso del Cristo, è il Cristo che fa in modo che l’io dell’uomo si desti dall’incontro con l’Io dell’altro uomo, in modo da far diventare fratelli e sorelle anche coloro che non hanno legami di sangue.

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