Dello stesso autore Oltre il cancro. Un percorso in 21 passi verso la salute (Sperling & Kupfer, 2016). Angela Volpini. La via della felicità. Storia delle apparizioni del Bocco (San Paolo Edizioni, 2012). Meditare con l’I:Ching (Editore Edizioni Mediterranee, 2011). La sindrome di Giuda. La depressione come tradimento di se stessi (San Paolo Edizioni, 2011). Dialoghi con l’angelo. Film documentario su DVD (Anima Edizioni, 2009).
Superando le supersƟzioni oscuranƟste, i pregiudizi religiosi e la melassa New Age, questo libro, profondamente ispirato, inaugura una nuova spiritualità della terra, che proieƩa il leƩore in quella che la narratrice chiama We-Age, l’Epoca del Noi, nella quale l’umano viene finalmente celebrato nel suo limite valicabile.
€ 18,00
GiulieƩa Bandiera Giornalista, autrice televisiva e formatrice psico-spirituale, ha lavorato per Rai e Mediaset ed è autrice di numerosi saggi, manuali e biografie. Tiene conferenze e seminari in tuƩa Italia sullo sviluppo del potenziale umano e l’evoluzione della coscienza.
GiulieƩa Bandiera
Una donna sconosciuta scrive all’autrice, dichiarando di essere un angelo dell’Apocalisse e chiedendole aiuto per comporre un libro che racconƟ la sua storia. Incuriosita dal tono autoironico della richiesta, l’autrice acceƩa di incontrare la miƩente e con lei si confronta in una lunga intervista, nel corso della quale i ruoli finiranno per confondersi. Quello con la sua misteriosa interlocutrice diverrà infaƫ, per chi scrive, l’incontro con una se stessa potenziale, archeƟpica (e angelica, appunto) in grado di rispondere a tutte le sue domande.
GiulieƩa Bandiera Amina
l’amore che basta
l’amore che basta
Storia (vera) di un’iniziazione, di una ricerca, di una scelta estrema. E di un volo. Verso l’amore che libera.
COPERTINA: disegni di Stefano Tonelli www.stefanotonelli.it
Titolo originale: l’amore che basta di Giulietta Bandiera Copertina e impaginazione: Laura Alessandrello Immagine di copertina: Stefano Tonelli
Questo volume è stato stampato presso: Andersen Spa Via Brughera IV, 28010 Boca (NO)
Per testi e immagini di cui non è stato possibile rintracciare i detentori dei diritti, l’editore si dichiara sin d’ora disponibile a riconoscere i diritti a chi ne facesse legittimamente richiesta.
Prima edizione 2017 (II) Copyright © 2017 Editrice Novalis – Via Angera 3, 20125 Milano www.librerianovalis.it www.editricenovalis.com ISBN 978-88-88444-99-4
GiulieĆŠa Bandiera / Amina
l’amore che basta
INDICE
PROLOGO
9
PARTE I
Genesi
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PARTE II
Il maestro del presente
91
PARTE III
Il maestro della scelta
143
PARTE IV
Il maestro d’amore
223
PARTE V
Il maestro della salute
319
PARTE VI
Il maestro del nuovo
353
RINGRAZIAMENTI
359
Ai miei amici, visibili e invisibili
Prologo
Per la quasi totalità la mia vita è stata un tale nonsenso, che da un momento all’altro mi aspettavo di veder sbucare Dio da una nuvola per dirmi: “Sorridi! Sei su Candid Camera!” In particolare dal 2012, anno della mia Apocalisse personale, il mondo che avevo intorno ha collassato, privandomi di tutto ciò che ero stata e di tutto quanto avevo costruito in precedenza. Niente più salute, con la diagnosi di un cancro metastatico. Niente più amore, malgrado gli sforzi fatti per far funzionare un’altra storia, dopo un precedente fallimento matrimoniale. Niente più lavoro, malgrado un curriculum di tutto rispetto e un numero sconsiderato di anni di carriera. Niente più soldi, ovvio. E infine, niente più auto, per via di un danno elettronico senza speranza di riparazione che – se il resto ancora non fosse bastato – mi aveva portato via tragicamente la mia adorata Kia Sportage verde bottiglia che tante avventure aveva condiviso con me fino ad allora. Insieme a lei, tutta la mia esistenza precedente era stata demolita in un istante e ridotta ad un accumulo di debiti e macerie che nemmeno mi ci fossi impegnata. Ciò nondimeno, sono ancora in grado di affermare che Dio esiste. E se posso dirlo con tale sicurezza, è perché per molti anni ho lavorato per Lui e ancora adesso, a dire il vero, presto servizio volontario direttamente alle sue dipendenze, anche se in modo più sporadico di un tempo. Sì, avete capito bene, sto parlando proprio dell’Onnipotente,
L’amore che basta
del Grande Capo in persona, per il quale sono stata in missione, come i Blues Brothers, dai trentatré ai quarantanove anni, all’interno di un’organizzazione universale senza scopo di lucro, nella quale, per altro, militiamo in tantissimi, spesso anche insospettabili e nemmeno tutti di questo mondo. Non si può dire che Dio sia un cattivo pagatore, questo no. Magari un po’ lento qualche volta, ma guardate che quella faccenda che non paga il sabato è molto più di una semplice metafora. Lui ti dà solo quanTo ti serve, quanDo ti serve e mai, dico mai, che scolli un centesimo di più! Ora però qualcuno forse si starà chiedendo quale ruolo possa ricoprire una come me nell’impresa divina di cui sopra. Perciò va bene, lo ammetto: sono un angelo. A guardarmi ho più l’aspetto di una rotonda signora di mezza età, lo so, e invece sono un angelo vero, con i superpoteri e tutto il resto. Possiedo – al bisogno – la conoscenza di tutte le cose, l’armatura lucente, la prosopopea e tanto di spada di fuoco che, per discrezione, sono costretta a tenere nascosta… in bocca. Proprio così. Non avete mai sentito dire che “ferisce più la lingua che la spada”!? In quanto alle ali, macché, quelle sono soltanto una sublime invenzione di artisti e visionari. Perciò no, non ho ali. Niente penne. Né piume. Se necessario però posso muovermi nello spazio e nel tempo in modo diverso da voi. Perché è così che le intendiamo noi, qui, le ali. Se nel vostro mondo c’è un tempo che scorre e uno spazio fermo, nel nostro è esattamente l’inverso. Noialtri “raggi” (era così che ci chiamava, a ragione, quel geniaccio di Tesla1) possiamo essere ovunque contemporaneamente, giacché abbiamo un tempo fermo e uno spazio che scorre… Una comodità che non vi dico! 1
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Nicola Tesla, ingegnere, fisico, inventore e pensatore serbo-statunitense (1856-1946).
Prologo
Prima che mi accusiate di sedizione, o che vi venga voglia di smettere di leggere, aggiungerò tuttavia che non sono l’unico angelo che conoscete. Al contrario, siamo in parecchi a razzolare a questo mondo, svolazzando rasoterra come galline per non dare troppo nell’occhio. L’unica differenza fra quelli come me e la maggior parte degli altri è che io sono consapevole di essere ciò che sono, mentre molti dei miei consimili, pur prestando regolare servizio, non lo sanno nemmeno loro. Voi stessi potreste appartenere a questo novero senza averne la minima idea. E vi giuro che non ve lo dico per ruffianeria. Anzi, se così fosse, bisognerebbe proprio che vi deste una svegliata, perché qui l’Apocalisse incalza e c’è bisogno di elementi che sappiano quello che fanno. Non so se mi spiego. Il punto è che quando un angelo non sa di essere un angelo, non può usufruire dei tradizionali attributi di categoria e del kit di base che ti forniscono lassù quando la tua scelta diviene consapevole. Se credete, poi, che angeli si nasca, toglietevelo pure dalla testa. Angeli si può solo scegliere di diventarlo, proprio come si sceglierebbe un qualsiasi altro mestiere. Per questo la stessa espressione “sono un angelo”, che ho usato finora per comodità, risulta decisamente impropria, tanto quanto lo sarebbe dire, per esempio: “sono uno spazzino”, o “sono un medico”. Nessuno nasce con la scopa in mano, o con lo stetoscopio appeso al collo. Nessuno quindi è uno spazzino o un medico. Casomai FA lo spazzino o il medico. Essere angeli, ugualmente, non è uno stato dell’essere, ma una semplice funzione. Come direbbe il mio amico Igor Sibaldi2 (il quale appartiene 2
Scrittore, saggista e conferenziere italiano contemporaneo, studioso di teologia, filologia e storia delle religioni.
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L’amore che basta
a una simpatica gerarchia angelica tutta sua), angelo “lo sei, lo fai, lo hai”, oppure nulla di tutto questo. Al di là di ogni ideale romantico appioppatoci dall’umana immaginazione, noi angeli, quindi, non siamo altro che semplici “operatori dell’informazione”, esattamente come i postini, i corrieri, i giornalisti, gli operatori del web, gli addetti dei call center che con regolarità mandate al diavolo ogni giorno, o gli agenti segreti. Il nostro servizio principale è quello di recapitare messaggi dalla terra al cielo e dal cielo alla terra, collegando fra loro, o meglio “conciliando” tutti gli opposti: alto e basso, divino e umano, femminile e maschile, ape e fiore, atomo e stella, giorno e notte, materia e spirito e potrei andare avanti all’infinito, visto che io di tempo ne ho quanto ne voglio e non sono ossessionata come voi dall’idea di non averne mai a sufficienza. Se è così che la pensate, a proposito, allora avete ragione: non avete tempo. Questa faccenda di essere mortali, d’altro canto, è sempre stata una fissa generale che io proprio non comprendo. Ma so anche che sarebbe fatica sprecata sforzarsi di convincervi del contrario. Lo hanno già fatto i saggi di ogni tempo, perciò non vale la pena che vi stia a ripetere anch’io la solfa che siete esseri infiniti e che, se la smetteste una buona volta di darvi una data di scadenza, come se foste degli yogurt, agireste in modo molto meno pavido e sconsiderato di quanto non facciate abitualmente. Quindi risparmierò energia e non insisterò oltre su questo argomento. A parte quelli fissati con l’Oriente, lo yoga, la meditazione, che certi concetti li masticano da tempo, insieme ai loro pranzetti rigorosamente bio-vegan salutisti – gli altri, beh, non ci crederebbero comunque mai del tutto, perché la verità è che l’infinito a voi vi fa venire l’agorafobia. Ammettetelo. Per chi fa il mio mestiere, invece, l’infinito è la condizione naturale. 12
Prologo
Noi angeli nell’infinito ci sguazziamo e all’infinito coniughiamo perfino i tempi verbali, quando parliamo fra noi. Perciò, per dire “vado” diciamo “andare”, per dire “sono”, diciamo “essere” e per dire “voglio”, diciamo “volere”. Se poi a qualche disoccupato venisse la brillante idea di arruolarsi nell’esercito celeste, giusto così, per trovare una sistemazione, dirò che questo non è un mestiere facile. Al contrario, trattasi di un lavoro duro, a tempo pieno, per il quale bisogna essere predisposti e avere un’autentica vocazione. Requisiti richiesti: ottima comunicativa, conoscenza di tutte le lingue (nel senso che devi saper parlare anche con i muri), forti doti di intuizione, predisposizione al lavoro in team, rigore, puntualità, ordine (mentale soprattutto), equilibrio, adattabilità, capacità di sintesi, disponibilità a viaggiare di continuo e aspetto fisico del tutto ordinario. Ebbene sì, per quanto la cosa possa stupire, per un angelo la bella presenza non è un requisito indispensabile, altrimenti col cavolo che la passavo, io, la selezione! Dovendo compiere spesso missioni segrete, è importante, anzi, passare il più possibile inosservati, di conseguenza la faccenda della nostra proverbiale bellezza è un’altra leggenda ad esclusivo uso e consumo di poeti e cineasti. Vero è che, all’occorrenza, sappiamo renderci irresistibili, questo sì. Ma il mito dell’angelo alto, biondo e perfetto è più che altro una montatura per distrarre l’attenzione dei profani, se non in casi rarissimi, in cui la prestanza fisica risulti funzionale alla missione, o utile per farsi riconoscere come “agenti” di categoria. A me è toccato però di essere un angelo dell’Apocalisse, perciò la mia dotazione di base prevede altro tipo di attributi, quali la versatilità, il trasformismo, la forza persuasiva (detta anche “faccia di tolla”) e via discorrendo. Avete capito bene, sì: sono un angelo dell’Apocalisse. Di 13
L’amore che basta
quelli chiamati a radunare i figli di Dio con le loro trombe ai quattro angoli del mondo. Non è che io suoni proprio la tromba, a dire il vero. Quella lì è più che altro una licenza poetica, ma sono comunque in grado di farmi sentire da molto lontano, quando occorre, anche senza l’ausilio del telefono cellulare. Ora però non cominciate a farvi troppi film sul mio conto. In realtà non rappresento niente di così epico, come forse vi piacerebbe immaginare. La mia, anzi, è solo bassa manovalanza. Fin dal momento in cui mi sono arruolata nell’esercito luminoso, non ho fatto altro che eseguire ordini del tipo: risvegliare coscienze, connettere l’umanità (un lavoretto svolto prevalentemente negli anni fra il 2000 e il 2012) e inaugurare infine quella che noi qui chiamiamo “We-Age”, l’epoca del “Noi” e che voialtri state già vivendo senza nemmeno rendervene conto, mentre smanettate tranquilli sui vostri smartphone. Niente a che vedere con la melassa “New Age” nella quale si facevano solo parole e pensieri positivi. Qui si fanno i fatti, amici miei. In questa nuova epoca – o, meglio, in questa nuova dimensione – molti angeli come me sono scesi nel mondo per sperimentare vere e proprie incarnazioni e rendersi attivi allo scopo di guidarvi verso la vostra definitiva evoluzione. Per fare ciò, tuttavia, occorreva soprattutto “mettervi in rete”, affinché gli umani già “svegli” potessero incoraggiarne altri, ancora dormienti, a sintonizzarsi sulla frequenza del cuore. In questo modo – e soltanto in questo – l’umanità poteva sopravvivere ai grandi mutamenti vibrazionali del pianeta e al salto quantico che condurrà infine questa vostra civiltà ad una nuova coscienza, come qualsiasi manualista olistico saprebbe recitarvi a memoria. Da soli, separati dagli altri, non potevate farcela, d’altronde, a sopportare un simile cambiamento, senza come minimo 14
Prologo
impazzire (cosa che, per altro, sta già accadendo a parecchi). Ecco perché molti di noi sono stati spediti come cani da pastore a radunarvi in base ai vostri talenti e alle vostre reciproche affinità, di modo che l’unione facesse la forza. Chi pensate li abbia inventati, a questo preciso scopo, il PC, la Rete e i social network!?! Chi credete abbia ispirato gente come Charles Babbage, Robert Kahn, Vinton Cerf, Pier Giorgio Perotto, Bill Gates, Steve Jobs, Mark Zuckerberg, Reid Hoffman, o Jack Dorsey?!3 Tutto questo per riuscire a mettere insieme un numero di voi pari a 144 mila elementi che, risvegliandosi appunto alla nuova coscienza, potessero finalmente darci una mano a trasformare questo mondo, dalla spazzatura a cui lo avete ridotto, a un posto dove vivere tornasse ad essere di nuovo bello e possibile. Dite un po’, non sembra un film fantasy?! Eppure è proprio questa la realtà dietro la realtà manifesta. E se avete visto il film Matrix, sapete di cosa parlo. Tornando al suddetto numero dei 144 mila – equivalente a 122 – esso rappresenta il frattale dell’umanità e corrisponde alla famosa “massa critica” necessaria e sufficiente per portarvi in salvo tutti quanti. Tali individui selezionati costituiscono, per noi, altrettanti varchi attraverso cui la luce divina può penetrare la materia oscura del vostro mondo per trasfigurarla. Ma mi rendo conto di stare anticipando un po’ troppo… Per poter credere a quanto vi sto dicendo, lo capisco, avete bisogno di recuperare le puntate precedenti. Ebbene, c’è qualcuno tra voi che se la sentirebbe di farmi un’intervista, così che possa raccontarvi dal principio tutta la storia?!”
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Pionieri dell’epoca informatica e telematica.
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L’amore che basta
* Questa lettera, firmata “Amina”, la trovai nella mia casella di posta elettronica poco meno di un anno fa, leggendola tuttavia con parecchio ritardo rispetto alla data di invio. Nonostante il tono ironico, o forse proprio per quello, sentii subito di doverla prendere sul serio e feci di tutto per convincere la casa editrice per cui facevo consulenze, del fatto che valesse la pena contattare la mittente, per vedere se si potesse ricavare dal suo racconto qualcosa di pubblicabile. Non nascondo che fare la conoscenza di una persona che sosteneva di essere un angelo, se da un lato mi incuriosiva, dall’altro mi creava parecchia perplessità, visto che agli angeli non avevo mai creduto. Decisi tuttavia di dar retta alla mia prima impressione e fissai un appuntamento con quella che – al massimo – avrebbe potuto essere l’ennesima mitomane di turno. Che cosa rischiavo in fondo? Al massimo di perdere un po’ di tempo. Ma ne avevo già così poco, che nemmeno mi sarei accorta della differenza. Convocai pertanto la persona in questione, chiamandola al telefono al numero che mi aveva indicato in calce e registrai per diversi giorni tutto quanto mi disse. Lascio al lettore la facoltà di stabilire se si trattò o meno di una buona mossa. Quando segue è infatti il risultato degli incontri che ebbi con chi mi scrisse, la cui singolare testimonianza ho composto in questo volume, lasciandola così com’è nata, in forma di intervista. Mi auguro che possa essere d’ispirazione per chi la leggerà, come lo è stata per me, che ne ho potuto trarre più d’uno spunto di riflessione, in modo particolare per quanto concerne il rapporto che lega l’essere umano con la voce che, dal profondo, lo guida in direzione di se stesso. La curatrice 16
Parte I
GENESI Oltre ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, esiste un campo immenso. Là ci incontreremo. Rumi teologo e poeta mistico persiano (XIII sec.)
Indizi La mia interlocutrice è negli anni della sua maturità. Ha l’aspetto e i modi di una donna normale, apparentemente equilibrata e sobria. La sua espressione sorridente mi rassicura, nonostante un primo momento di emozione, per superare il quale decido di andare subito al punto: – Nella sua email, sia pure in tono ironico, lei sostiene di essere un angelo. Può confermare quest’affermazione? Sembra più l’inizio di un interrogatorio, che quello di un’intervista, non le pare!? Non volevo sembrare inquisitoria, mi scusi. Ma è questo che lei mi ha scritto, mi pare… Più o meno sì. Anche se le ho anche spiegato che angeli non è qualcosa che si è, ma qualcosa che si fa, se lo si sceglie. Lei sostiene quindi che tutti, volendo, possono fare questo tipo di scelta? Se se la sentono, perché no?! E lei precisamente da quanto tempo ha fatto la sua?
L’amore che basta
Direi da una ventina d’anni, forse ventidue. Ma alcuni indizi sono arrivati parecchio tempo prima, intorno al 1974, quando ero ancora una dodicenne con le idee un bel po’ confuse e vivevo in un paesino della provincia lombarda, insieme ai miei genitori: due operai emigrati dal sud Italia, entrambi giovani, belli, intelligenti e grandi lavoratori, legati fra loro da una relazione appassionata, anche se un po’ troppo possessiva. Non eravamo ricchi, in famiglia, ma facevamo una vita dignitosa, in una casa in affitto, al terzo piano di un condominio. Una casa sempre ben ordinata, dove vigevano orari regolari, cene condivise, gite domenicali e cose così, fino al giorno in cui mio fratello, di un anno più giovane di me, si ammalò gravemente di cancro al cervelletto, in una zona della testa detta, paradossalmente, “albero della vita”. Mi spiace. Contrariamente a me, lui sì che poteva corrispondere all’immagine classica di un angelo. Era biondo, con la pelle chiara e gli occhi blu, anche se dopo l’intervento d’urgenza si sarebbe trasformato in un alieno calvo e balbettante, gonfio di cortisone e con una lunga cicatrice a forma di bocca con gli angoli all’ingiù, che gli tagliava trasversalmente la parte posteriore del cranio. Per fortuna la sua mente funzionava ancora a meraviglia, sebbene avesse perduto la capacità di reggersi in piedi e bisognasse portarlo in giro in carrozzella. Tutto ciò non bastò inoltre a guastare il suo naturale buon umore, anche se la sua malattia avrebbe cambiato per sempre il corso della nostra vita. Non si riprese più? No purtroppo. Sopravvisse solo altri tre anni. 20
Genesi
Questo evento traumatico della sua infanzia ha a che vedere con ciò che lei avrebbe, per così dire, “scelto di diventare” in seguito? Diventare un angelo, vuole dire?! Sì, beh, diventare ciò che dice di essere… O di fare, veda lei. In un certo senso, sì. Ma la prego, non si senta imbarazzata. Mi assumo la piena responsabilità di quest’affermazione e sono qui proprio per provarle che è fondata. Le sembro imbarazzata? Altroché se lo è, ma per quanto mi riguarda, può anche rilassarsi. La dispenso dal credermi fino alla fine di questo mio racconto. E per tornare alla sua domanda precedente, fu proprio nel periodo della malattia di mio fratello che ebbi il primo indizio di quello che sarebbe stato in seguito il mio destino. Mia madre e mio padre, poveretti, fecero una serie di tentativi disperati per salvare il figlio, rivolgendosi perfino ad alcuni guaritori nella speranza di ricevere un miracolo, visto che i medici di speranze ne lasciavano ben poche. Uno di quei guaritori lo ospitammo addirittura in casa nostra per una settimana. Ricordo che lo chiamavano “sor Nino”, che veniva da Roma e che era uno stigmatizzato piuttosto anziano, che portava i mezzi guanti, come padre Pio. Si trattava di un guaritore autentico?
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L’amore che basta
Chi può dirlo? Di certo sembrava in buona fede, anche se ritrovarmelo in casa mi faceva comunque un certo effetto, a quell’età. Non ne sapevo ancora niente, io, di certe cose, perciò, quando era distratto, lo osservavo con la stessa curiosità con cui si osservano gli ornitorinchi nei documentari. Come lo avevate conosciuto? A parlarci di lui era stato un lontano parente, il quale sosteneva di essere guarito da una leucemia grazie alle sue preghiere. Ha detto però che suo fratello venne a mancare presto. Perché le sue preghiere non funzionarono nel suo caso? Si trattava di un carismatico, non di un mago. E comunque nemmeno se fosse stato un santo avrebbe potuto fare qualcosa di diverso da quel che fece. In compenso, portò un po’ di pace e di conforto in casa nostra, in un momento in cui ce n’era davvero un gran bisogno. C’è un motivo particolare per cui mi sta parlando di lui? Certamente, dal momento che fu sor Nino il primo a riconoscere di che pasta ero fatta e me lo rivelò un pomeriggio in cui eravamo soli in casa, io e lui. “Ma lo sai, tu, di essere un angelo?!” mi disse a bruciapelo, dopo che gli avevo servito un tè, per sedermi poi a guardare un programma musicale in tv, di quelli che all’epoca andavano per la maggiore fra gli adolescenti Sulle prime pensai si trattasse solo di un complimento e mi schernii arrossendo: “Io?! Ma se mi sento tanto cattiva!” 22
Genesi
“Invece sei proprio un angelo vero – ripeté lui con convinzione – E un giorno ricorderai che te l’ho detto”. Se poteva vedere il suo destino, vide anche quello di suo fratello? Probabilmente lo vide, ma ciò non significava che potesse modificarlo. Nessuno può salvare nessun altro. Mai. Ci sono soltanto persone che possono aiutarci a salvare noi stessi, se anche noi lo vogliamo. Mio fratello però, quando se ne andò nel settembre del 1977, ne aveva le tasche piene di questo mondo, sfibrato com’era dalle lunghe terapie e da quell’entrare ed uscire continuamente dall’ospedale. D’altronde – sorride – aveva sempre sognato di fare l’aviatore, perciò prese il volo molto presto, lasciandoci tutti con un palmo di naso! Dev’essere stato un dolore terribile per lei, a quell’età… Sissignora. A quindici anni un dolore simile ti spezza la vita. Per fortuna però io e lui ce l’eravamo spassata parecchio, durante i pochi anni trascorsi insieme, stringendo un’alleanza che tuttora dura. In quale forma? Deve sapere che mio fratello è il morto più vivo che conosca, capace di farmi ridere anche dall’aldilà. Se è vero che lei è un angelo, suppongo le sia facile comunicare con lui…
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L’amore che basta
Crede che io viva fluttuando nei cieli tutto il tempo!? Non lo so, me lo dica lei. Io sono un angelo della Terra, mia cara, un angelo in carne – parecchio in carne, come vede – ed ossa. Mio fratello invece ha preso un’altra via quando ha lasciato il suo corpo, almeno nel senso in cui lo intende lei, il corpo. E poi all’epoca io non ero certo quel che sono ora, perciò gliene volli parecchio per avermi abbandonata! Forse allora mi sfugge qualcosa... Abbia pazienza. Le mancano ancora troppi elementi per poter comprendere. Vede, qui nel mondo noi tutti siamo fatti di corpo, mente e spirito. In realtà però è solo il nostro corpo a vivere in questa dimensione e ad avere una consistenza solida. La mente vive a metà fra questo mondo e l’altro. Ma lo spirito, ah, lo spirito vive ovunque! Oltre il tempo e lo spazio. Nell’eternità. Un luogo dove niente è separato. Quando mio fratello morì, dunque, a dispetto della nostra separazione fisica, i nostri spiriti rimasero uniti come ancora sono. E questo non perché io sia un angelo, ma perché così funziona per tutti. Non tutti però possono comunicare con l’aldilà come lei sostiene di fare... Solo perché non credono di poterlo fare! Nemmeno io lo credevo, all’epoca, essendo solo una ragazzina. Siccome però dentro mi si era aperta una voragine da far impallidire il Grand Canyon, fu allora che cominciai a cercare Dio, 24
Genesi
per domandargli una spiegazione di quanto era accaduto. Senza però, per molti anni, ricevere risposta. La “vocazione”, quindi, le venne più tardi? Molto più tardi, anche se in casa nostra cominciarono a verificarsi, già negli anni immediatamente successivi alla scomparsa di mio fratello, fenomeni decisamente inspiegabili. Che genere di fenomeni?
Quelli che parlano Già nel periodo in cui Mauro stava male, ci eravamo trasferiti alla Cappuccina, un casale che sorgeva sulle rovine di un antico monastero e che si diceva fosse infestato dagli spettri. “Tutte leggende” replicava mio padre per rassicurarci, anche se gli abitatori invisibili di quel luogo davano continui segnali della propria presenza. Segnali di che tipo? Lampade e apparecchi radio o tv che si accendevano e si spegnevano da soli, porte che si aprivano e chiudevano senza che nessuno le toccasse, coperte del letto che volavano via come per una folata di vento improvvisa, pareti della cantina che sembravano respirare, soffi sulla faccia mentre parlavo al telefono e perfino i duecento fogli non rilegati di quello che speravo diventasse il mio primo romanzo, che in mia assenza si trasferivano magicamente nel cestino della spazzatura, senza perdere il loro ordine numerico.
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L’amore che basta
Quei fenomeni la spaventavano? Non più di tanto, se devo essere sincera. Con il tempo anzi finii per farci l’abitudine, anche perché li attribuivo alla presenza di mio fratello in casa e, in questo senso, mi erano addirittura di qualche conforto. Non si trattava dunque di presenze ostili? Non direi. Avevo però l’impressione che volessero in qualche modo richiamare la nostra attenzione, anche se io rimasi a lungo, l’unica della casa disposta a concedergliela. Gli altri preferivano liquidare quelle inspiegabili circostanze come casualità, fino a quando non furono gli spettri stessi a darmi manforte, palesandosi anche con altri membri della famiglia. E in che modo? Fu mia madre a ricevere un primo segnale, un giorno in cui, mentre guardava la tv seduta nel tinello, si vide cadere sui piedi un vaso di rame che abitualmente stava poggiato sulla mensola del caminetto, ad un metro e mezzo di distanza da lei, dopo un volo obliquo del tutto incompatibile con la legge di gravità. Non trovando spiegazione logica all’accaduto, mamma aveva allora istintivamente guardato il lampadario e controllato che non si fosse aperta qualche finestra, per poter escludere eventuali colpi d’aria, o scosse di terremoto. Ma il lampadario era immobile e tutte le finestre regolarmente chiuse. “Sei stato tu, Mauro?!” aveva esclamato allora la mia inconsolabile genitrice, non sapendo se piangere o ridere al pensiero di un segno mandatole direttamente dall’aldilà, dal compianto figliolo. 26
Genesi
Dopo di lei fu la volta di mio padre, il quale udì le stesse voci misteriose che anch’io tante volte avevo percepito, salendo al primo piano del nostro appartamento, dove erano ubicate le stanze da letto. Cosa dicevano queste voci? Sembravano discutere animatamente fra loro in una lingua indefinibile. Perciò non sono mai riuscita a capire cosa dicessero. Tuttavia, non appena si varcava la soglia della stanza, le voci istantaneamente smettevano, come se non potessero coesistere con la presenza fisica di un visitatore. Ha mai scoperto qual era la loro provenienza? Oggi, a quarant’anni di distanza, un’idea me la sono fatta eccome, ma allora tutto ciò che sapevo era che le voci sembravano provenire dal nulla ed essere prodotte dai muri stessi dell’abitazione, anche perché in quel periodo non avevamo vicini cui attribuirle e l’unico appartamento abitato nel casale era il nostro. Dopo papà, toccò ad uno dei miei zii più cari fare l’esperienza dei “fantasmi parlanti”, un sabato in cui, salendo le scale per venirmi a salutare, aveva esitato un momento prima di entrare nella mia stanza, udendo chiaramente diverse voci che discutevano animatamente al suo interno. Ciò lo aveva indotto a pensare che mi trovassi in compagnia di amici, scoprendo invece, dopo aver chiesto permesso senza ricevere risposta, che la stanza era completamente vuota e silente. Sconcertato dalla scoperta, egli aveva controllato allora se avessi scordato la tv o la radio accese, ma anche quelle risultavano perfettamente spente. A quel punto mio zio era tornato al pianterreno, per domandare a mia madre dove fossi finita. 27
L’amore che basta
“È uscita” gli era stato risposto. “Allora in questa casa ci sono i fantasmi!” aveva concluso lui, con espressione accigliata. Il caso deflagrò, tuttavia, allorché lo strano fenomeno si manifestò anche a mia cugina Betty, la quale, ancora dodicenne, ne rimase letteralmente scioccata. Da quel giorno, infatti, lei si rifiutò categoricamente di salire da sola al piano superiore dell’appartamento e ancora rido se ricordo il modo in cui si era precipitata giù per le scale, urlante e tremante, dopo aver sentito con le proprie orecchie “gli invisibili” parlare. A quel punto, tutta la famiglia dovette prendere atto che il fenomeno era qualcosa di più del semplice frutto della mia fantasia. Quanto a me, cercai di documentarmi in proposito, scovando in un libro su C.G. Jung un brano che mi aiutò, se non altro, a dare un nome ai miei chiassosi coinquilini dell’oltremondo. Il brano riferiva di un viaggio in Africa, durante il quale lo psichiatra svizzero aveva visitato delle case infestate dagli spiriti, nelle quali egli aveva udito chiaramente musica e voci di persone che parlavano, senza riuscire però a distinguerne le parole, che sembravano provenire direttamente dalle costruzioni abbandonate. Gli indigeni gli avevano poi spiegato che si trattava di “quelli che parlano”.4 Vi è differenza fra quelli che lei chiama spiriti e gli angeli? Gli spiriti, come quelli che mi tenevano compagnia alla Cappuccina, non erano ancora mutuati dalla mia coscienza, perciò si trattava di energie disordinate, anche se significative e utili per risvegliare la mia curiosità per i fenomeni psichici e per quelli “di frontiera”. 4
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Cit. tratta da Jung parla, Ed. Adelphi, Milano,
Genesi
In quanto agli angeli, beh… si renderà conto della differenza non appena le avrò parlato meglio di loro. A cominciare dal primo, che incontrai all’età di vent’anni, durante un periodo di vacanza al mare. Racconti. Fuori tempo Fu una specie di incontro romantico, avvenuto quando i miei decisero, con i risparmi di una vita, di acquistare una casa di vacanza nel Salento, la nostra terra d’origine. Un posto fantastico, con una luce dorata che si vede soltanto in Medio Oriente, uliveti a perdita d’occhio e l’aria profumata di oleandri e di erbe aromatiche. La casa si trovava in collina e aveva una vista panoramica sul mare di quelle che ti rimettono al mondo. Essendo ancora in costruzione, però, all’epoca aveva dei cellophane al posto delle finestre e il pavimento di sterrato e roccia. Ma per me era divertente villeggiare in quelle condizioni, perché sembrava di stare in campeggio, con le brande, gli armadietti di plastica e tutto il resto. Inoltre, per una volta, mia madre non avrebbe rotto le scatole a me e a papà affinché non sporcassimo il pavimento, visto che ancora il pavimento nemmeno c’era. Continui. All’epoca io avevo i capelli lunghi e un carattere piuttosto polemico e scostante. Tra l’altro detestavo le ricorrenze, che mi mettevano sempre di pessimo umore. E se le dico questo è perché l’incontro a cui accennavo si verificò proprio a Ferragosto, quando quel posto si trasformava in una bolgia. 29
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Una folla oceanica si riversava sul lungomare e non le dico le luci, le risate, i suoni di tamburelli e i camion ambulanti che vendevano involtini di budella, panzerotti fritti e dolci alle mandorle da duemilacinquecento calorie al centimetro quadrato! Tutto questo però non la divertiva, a giudicare dal suo tono… Proprio per niente. Ricordo perciò che quella sera me ne stavo seduta insieme ad alcuni amici ad aspettare lo spettacolo pirotecnico previsto per le ore 24, sulla terrazza di un bar del centro, sbadigliando di tanto in tanto per la noia. Gli altri erano vestiti tutti come i Duran Duran e Cindy Lauper. Io, invece vestivo ancora come Carole King negli anni Settanta, coi capelli sciolti e un abito folk da hippy di ritorno, ricamato sul davanti con ciocche di cotone colorate, fra le quali luccicavano qui e là dei minuscoli specchietti. Furono proprio quegli specchietti ad attrarre l’attenzione del ragazzino biondo che, di lì a poco, mi si sedette accanto sulle scale del bar. Un corteggiatore? Non esattamente. Era solo un tipetto che avevo già notato, nei giorni precedenti, mentre saltava scalzo sui massi del molo, dov’ero solita andare a fare il bagno. Quella sera indossava un paio di vecchi jeans scoloriti, tagliati a bermuda, sfilacciati e mezzo consumati, ma se ne stava scalzo e a torso nudo, come se fosse ancora in spiaggia, in mezzo alla gente vestita di tutto punto per la festa. Era bellissimo, però.
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Non so perché, ma me lo immaginavo. Aveva la pelle abbronzata punteggiata di salsedine e teneva le braccia conserte, appoggiate alle ginocchia magre, con i capelli mossi, striati di biondo, che si dividevano in ciocche ben distinte, alcune delle quali gli ricadevano sugli occhi, inaspettatamente scurissimi. Un angelo sui generis… E comunque la nostra conversazione iniziò in modo ben poco formale. Per ingannare il tempo e farci due risate, io e gli altri amici stavamo soppesando infatti il suono di alcune parolacce di uso comune, quando, di punto in bianco, lo sconosciuto ragazzino si era intromesso nella nostra conversazione con un paio di notevoli osservazioni, trattenendosi poi a guardare insieme a noi i fuochi artificiali. Appena terminato lo spettacolo, tuttavia, come preso da una grande fretta, si era alzato in piedi e aveva allungato una mano verso di me, affinché gliela prendessi. “Vieni, andiamocene via di qui!” disse. “E dove?” chiesi, lasciandomi trascinare via per mano, senza ricevere risposta. Dove la portò? In un posto più tranquillo, in cima al lungomare, fuori dal tiro dei lampioni, dove la gente già cominciava a diradarsi. E lei lo seguì senza resistenze? Sì, perché ne ero incuriosita. Inoltre non avevo alcuna pau31
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ra di lui, un po’ perché era più giovane di me – dimostrava al massimo sedici o diciassette anni – un po’ per via dei suoi modi gentili, di un candore assolutamente disarmante, senza la minima traccia di malizia. L’unico problema era che avevo a disposizione poco tempo, dovendo rientrare a casa nel giro di una mezz’ora, dato che si erano fatte già le due di notte. Chi lo sentiva altrimenti mio padre?! Che cosa faceste in quella mezz’ora?! Quando informai il mio giovane amico che non avrei potuto trattenermi a lungo in sua compagnia, egli mi rispose, con la sicurezza di un adulto, che c’era tutto il tempo che volevamo. Poco dopo si distese sul muretto che costeggiava il mare, inspirando profondamente e mettendosi a contemplare le stelle in una sorta di silenzioso rapimento. Io invece preferii restare in piedi accanto a lui, che se ne stava disteso perpendicolarmente a me, all’altezza della mia vita. È un racconto romantico, ne convengo. Ma l’idea di poter parlare con un angelo vero, o con qualunque altra cosa lei sia, mi evoca una serie di domande ben più urgenti… Se le prometto di seguirla fino in fondo, lei mi promette, poi, di rispondere anche a quelle?! Le prometto che risponderò a tutte le sue domande. Ma occorre che ci arrivi per gradi. Altrimenti non crederà a una parola di quello che le dirò, né ci crederanno i suoi lettori. Perciò, si rilassi. Abbiamo tempo per tutto, proprio come diceva il mio amico di quella sera lontana.
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Sta bene, allora. La ringrazio. Dopo quel lungo silenzio, il mio occasionale accompagnatore aveva ripreso a parlarmi, dicendo cose meravigliose che non ricordo quasi più, ma che mi scaldavano il cuore. Parlava lentamente, a voce bassa e mi disse che ero bella. Che ero buona. Che lui poteva vedermi com’ero veramente. In trasparenza. Se era un angelo, la cosa non stupisce. Posso solo dirle che era fantastico stare ad ascoltarlo, tanto che la mia mente cominciò a vagare per i fatti propri, pensando a che sfortuna fosse che un ragazzo simile fosse però di tanto più giovane di me. Come se potesse sentire quei pensieri, lui ogni tanto staccava gli occhi dal cielo e si voltava a guardarmi sorridendo, sollecitandomi a tornare nel presente e ad immergermi con lui nella contemplazione di quella notte magnifica. Ancora le brillano gli occhi mentre lo racconta… È vero, mi commuovo ogni volta… Ma lui, sa, era davvero incredibile! Sembrava amare ogni cosa guardasse e mi invitava a respirare tutta quella bellezza: il mare luccicante, la brezza lieve della notte, il cielo profondissimo e le lampare all’orizzonte che parevano danzare. Quel momento incantato e quell’intimità perfetta creatasi fra noi faticavo perfino a sostenerle, tanto mi toccavano nel profondo e allora provavo a buttarla sul ridere, allarmata dalle mie stesse emozioni.
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Lui le disse il suo nome? Disse di chiamarsi Corrado e mi raccontò di vivere in barca a vela, girando il mondo insieme ai suoi genitori: padre romano e madre francese. Solo quando tornavo a preoccuparmi del tempo, lo vedevo rabbuiarsi brevemente, per tornare poi a tranquillizzarmi e a ripetere che non c’era nulla di cui preoccuparsi. La sua voce scivolava dentro di me come un balsamo calmante e io non potevo che credergli, dimenticandomi di tutto il resto. Si direbbe proprio l’inizio di una storia d’amore. E lo fu, anche se non si trattava dell’amore che conosciamo a questo mondo. A un tratto mi resi conto che lo amavo come se lo conoscessi da sempre. Ma non lo amavo come una ragazza ama un ragazzo; si trattava di una qualità d’amore che mi era del tutto sconosciuta, di un amore che oggi definirei “incondizionato”. Vi era qualcosa in lui di incredibilmente familiare per me, quasi facesse parte dei miei stessi ricordi e della mia storia, da sempre. Un amore da sogno… Eppure più reale della stessa realtà, sebbene, mentre lo vivevo, mi sentissi ridicola e inadeguata. Ma forse avevo solo un po’ paura di quell’intensità sconosciuta. Lui intanto continuava a raccontare dei luoghi lontani che aveva visitato e che avrebbe voluto mostrarmi, mentre io lottavo con l’ansia di doverlo troppo presto abbandonare, separandomi da lui e rompendo per sempre quell’incantesimo. 34
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È vero. A volte ci guastiamo i momenti più belli, al solo pensiero che non dureranno… Ah, mia cara, in questo io sono stata una vera specialista nella vita! Infatti non facevo che guardare e riguardare l’orologio e, quando mancarono non più di cinque minuti all’ora del rientro, dissi che dovevo proprio andarmene e mi avviai decisa verso il bar del centro, per riprendere il motorino e correre a casa. E lui che cosa fece? Mi inseguì, ripetendomi ancora mille volte di non preoccuparmi. “Devo proprio andare!” insistevo io ansimando per la camminata svelta, senza più badargli. “Ma no, ti dico! C’è ancora un sacco di tempo!” diceva la sua voce alle mie spalle. “Ma quale tempo!?” sbottai allora guardando l’orologio e scoprendo disperata che si era fermato. “Ci mancava anche questa, adesso!” piagnucolai allora, scrollando il braccio, nel tentativo di rimettere in moto le lancette. “Guarda! Anche la luce del faro si è fermata! – disse a quel punto Corrado, indicando in direzione della collina, da dove si dipartiva un fascio luminoso che, come incantato, puntava immobile verso l’orizzonte – Ora il tempo è fermo e tu non devi più andartene!” aggiunse sorridendo con aria soddisfatta. Non pretenderà che creda anche a questo, vero!?... Io stessa non credevo ai miei occhi, tentando invano di trovare una spiegazione logica a quanto stavo osservando, ma 35
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anche alla sensazione che percepivo nell’aria: come un grande respiro trattenuto. Pensai addirittura che fossimo entrambi morti e che ci trovassimo in un’altra dimensione, tanto ogni cosa se ne stava lì, come sospesa, al di fuori della realtà. Non poteva trattarsi semplicemente di un guasto del faro? Non glielo so dire, questo. Ma in un istante processai nella mente tutte le nozioni di fisica e metafisica che avevo accumulato, fino a quel momento, leggendo libri e fumetti di fantascienza, senza riuscire però a capacitarmi che lo strano fenomeno magnetico si stesse verificando proprio lì, davanti ai miei occhi. Tuttavia era piuttosto curioso che l’eventuale guasto del faro coincidesse anche con la sosta inspiegabile del mio orologio, non trova? Voi due foste gli unici ad assistere al fenomeno? Niente affatto. Molta altra gente sul lungomare indicava in direzione del faro, commentando l’evento e obbligandomi ad escludere anche l’ipotesi di una eventuale allucinazione. Quanto durò la sosta? Non potrei dirlo con precisione, ma so che quella notte mi parve interminabile e che mi trattenni ancora a lungo con Corrado, fino a quando non gli permisi di accompagnarmi a casa, trascinando a mano il mio motorino. Non funzionava più nemmeno quello!? No, no, quello funzionava eccome. Ma lui preferì che cammi36
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nassimo, per restare ancora un po’ insieme, percorrendo a piedi nudi tutto il vialetto sterrato di casa mia, prima di salutarmi. Venne rimproverata per il ritardo? Macché! I miei già dormivano da un pezzo quando rientrai, la qual cosa mi fece rammaricare terribilmente per essermi preoccupata tutto il tempo senza ragione. Perciò potei trattenermi ancora un po’, prima che Corrado si decidesse a lasciarmi rientrare, strappandomi tuttavia una promessa… Quale? “Devi venire al porto domani mezzogiorno!” mi disse con espressione grave. “Certo che verrò!” risposi sorridendo, più che sicura del fatto mio. “Però devi essere puntuale! – insistette – Ricorda che sarò al molo ad aspettarti a mezzogiorno in punto!”. “E chi se lo scorda!?” feci io, con assoluta sicurezza, pensando che niente al mondo avrebbe potuto impedirmi di rivederlo. “Ma non devi tardare neanche di un minuto! Hai promesso!” “Non tarderò, lo giuro!” dissi infine, dandogli un ultimo bacio sulla guancia. Lui allora mi abbracciò stretta: “Non mi dimenticherai, vero!? – disse – Perché io non ti dimenticherò mai. Mai!” Un po’ sorpresa da quelle parole, assicurai che nemmeno io lo avrei dimenticato, sentendo innaturale il dovermi separare da qualcuno che, ad un tratto, mi era diventato tanto caro e dal quale mi sentivo amata in modo totale e sconosciuto. Sono passati tanti anni da quella notte, ma la sua espressione affranta, al momento del distacco, me la ricordo ancora come fosse oggi. 37
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Si trattava di un addio!? La nostra breve storia ebbe un epilogo inatteso, in effetti. L’indomani mi svegliai poco prima delle dieci, in una giornata di nuvole e vento, ansiosa di correre al porto subito dopo colazione. Mia madre mi informò, invece, che dovevo rimanere a casa poiché lei e mio padre avevano delle commissioni urgenti da sbrigare nell’entroterra e la casa, ancora in costruzione, non poteva rimanere incustodita. “Ma io non posso! – protestai – Ho un appuntamento a mezzogiorno! “Non discutere – disse lei in tono perentorio – È così e basta!” “Ma non posso, ti dico!… Devo andare al porto a mezzogiorno! Non capisci?!” insistetti in tono di supplica. “Più tardi verrà Roberta a farti compagnia” tagliò corto allora la mia risoluta genitrice, riferendosi a un’amica che ogni giorno passava a prendermi per andare al mare, senza più starmi nemmeno ad ascoltare. Non era molto comprensiva, sua madre… Non più di Crudelia De Mon con i suoi dalmata! – ride – Tuttavia dovette accorgersi del mio stato di prostrazione, poiché mi promise che non avrebbero tardato, in modo che potessi raggiungere chiunque mi aspettasse verso le due del pomeriggio. Corrado riuscì ad avvertirlo in qualche modo? E come!? Non c’erano ancora i telefoni portatili, perciò io ero in preda alla più nera disperazione. 38
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Posso immaginarlo… Roberta arrivò giusto a mezzogiorno e mi trovò in terrazza mentre riempivo d’acqua una bacinella di plastica, per metterci a navigare una barchetta di carta. Incuriosita da quel gesto, mi domandò che cosa stessi facendo. “Metto a navigare una barchetta nell’acqua – risposi io come in trance, dopo aver pianto tutte le mie lacrime fino a poco prima – era il mio gioco preferito da bambina”; raccontandole quindi, per filo e per segno, quanto era accaduto la sera prima con Corrado. Non poteva andarci la sua amica ad avvertire Corrado, o rimanere di guardia alla casa al posto suo? Non ricordo se glielo domandai, ma lei non voleva saperne di lasciarmi in quelle condizioni e aggiunse che se lui teneva così tanto a me, di certo mi avrebbe aspettata. E l’aspettò? Non gli fu possibile. Lo venni a sapere dai pescatori, quando, troppo tardi, mi precipitai al porto. Sua madre – mi riferirono – aveva avuto un malore e avevano dovuto salpare d’urgenza, per raggiungere un ospedale, proprio qualche minuto prima di mezzogiorno. L’ora precisa del vostro appuntamento… Proprio così e ancora le sentivo le parole della sera prima, quando Corrado mi aveva supplicata: “Non devi tardare neanche di un minuto, hai promesso! – e ancora – Non dimenticarmi. Io non ti dimenticherò mai”. 39
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Fu Roberta a rammentarmi il gioco della barchetta nella bacinella che mi aveva visto fare quando era arrivata a casa mia. Anche allora era mezzogiorno. Una premonizione... Una serie di eventi sincronici. Chi era dunque, Corrado? Non saprei dire se fosse davvero un’entità spirituale. Di sicuro in quella lontana notte della mia giovinezza, uno spirito celeste doveva essersi insinuato nel suo involucro di ragazzino per dirmi quanto mi disse e trasmettermi quell’amore sconfinato. Non ha mai più avuto sue notizie in seguito? Mai più. Anche se ogni anno, quando torno al mare per le vacanze, c’è sempre un giorno in cui, immancabilmente, ritorno da sola al molo nella speranza di incontrarlo. Se esistesse davvero, d’altronde, oggi sarebbe un uomo fatto e probabilmente nemmeno lo riconoscerei… Ci si può davvero perdere così, se ci si ama a quel modo? Certo che no. Infatti io lo porto dentro di me, quell’amore, nonostante gli anni trascorsi. E di quei pochi bellissimi momenti che abbiamo condiviso, mi restano anche un paio di pagine del mio diario di allora. Mi piacerebbe che le riportasse nel libro, se lo pubblica, anche se suoneranno un tantino sdolcinate. Ma ero giovane, sa, ed era così che mi sentivo quando le ho scritte, come avessi perduto tutte le carezze del mondo in una volta sola.
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(Da una pagina di diario – 16 Agosto 1982) Voglio fermare qualcosa di bello... Ieri sera con Corrado. Un rapporto limpido, pulito, senza ombre di malizia e di bugia. Bastava essere naturali, dire solo la verità (…) “Mai uccidere – mi ha detto – Neanche una formichina!” “No, mai, mai!” Avremmo potuto avere cinque anni. Era come da bambini, quando ancora si credeva ai propri sogni (…) Ieri sera ho ritrovato (…) un lungo momento di quell’innocenza (…) E il faro si è fermato a prolungare quell’istante infinito (…) incantato anche lui da tanta dolcezza, e incredulo, come noi, al punto da scordarsi di danzare la sua danza sempre uguale. Non ci sarà mai prezzo per ieri sera. Come ripagare una felicità così perfetta? Occorrerebbe un grazie troppo grande…
(E più tardi) E così, te ne sei andato. Portato via dal mare che ami tanto... proprio quando dovevamo rivederci. Ma chi eri, poi? Se non uno spirito fanciullo, ingenuo e selvaggio? Chi eri, se non ciò che volevo ritrovare? Ricordo che dicevi “non ti scorderò. Mai, mai!” Ti ho amato più profondamente di gente che conosco da una vita, ragazzino del mare, sorriso cui credere senza alcuno sforzo. Arriverò alla fine della pagina e poi anch’io ti lascerò. No, mai, mai! (…) Neppure tu mi hai lasciata. “Noi torneremo – hai detto – Si torna sempre. Non si muore, sai?” No, mai, mai!
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I guardiani della soglia Quell’esperienza cambiò in qualche modo la sua vita? Cambiò tutto, poiché gli angeli si manifestano sempre per darci una mano nei momenti cruciali, laddove siamo pronti a trasformarci e a procedere sul nostro cammino evolutivo, decidendo di dar loro una mano nel realizzare il Progetto divino, al quale essi lavorano insieme a tutti noi. Sono proprio quelli, i momenti in cui voi umani riuscite finalmente ad aprirvi al nuovo, lasciando perdere ciò che non serve più e decidendovi a cooperare con noi “raggi” per modificare il corso del vostro destino. E del destino di tutti. Dopo quell’estate dunque, la mia vita ebbe una svolta decisiva. Sebbene ancora studiassi, trovai il coraggio di gettare alle ortiche le mie insicurezze e di fare delle proposte al giornale regionale, per intraprendere una collaborazione. Non le dico la gioia, quando vidi per la prima volta le mie iniziali stampigliate alla fine di un articolo di due colonne striminzite, su una pagina di cronaca locale! Aveva trovato la sua strada. Così sembrava. E in seguito venni presa da quel giornale come collaboratrice fissa, a venti lire a riga – equivalenti agli attuali dieci centesimi di euro. Fu dunque il suo incontro con “l’angelo-ragazzino” ad offrirle tale opportunità? Neanche per sogno! Gli angeli si limitano ad ispirarci, a mostrarci ciò che è già in noi. Niente di più. Fui io stessa, invece, che in seguito a quell’incontro trovai 42
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la forza di credere maggiormente nelle mie possibilità e di seguire la mia aspirazione. Corrado non era stato che il “guardiano della soglia”. Si era limitato a mostrarmi ciò che ero e ciò che ancora potevo diventare: una persona degna d’amore e capace di amare senza paura. Inoltre egli aveva presenziato al mio passaggio fra l’adolescenza e l’età adulta, inaugurando quello che sarebbe stato anche il mio percorso di crescita spirituale. Egli insomma le indicò il suo potenziale? Sì, fu questo ciò che fece. Mi mostrò chi potevo essere, se lo desideravo, in modo che potessi sceglierlo consapevolmente. E in questo ebbe senz’altro una funzione angelica nella mia vita. Del resto, in alcune parti del mio resoconto scritto di allora, si notano tutti i segni caratteristici del “repertorio angelico”; indizi che nel frattempo ho imparato a riconoscere come tipici degli incontri con i messaggeri del cielo. E quali sarebbero questi indizi? Il controllo del tempo, la dimensione di un presente infinito, il senso di innocenza e la certezza di un’eternità possibile, realizzabile attraverso un amore perfetto, ideale. E poi quella peculiare gioia, quello stupore che sempre accompagna il passaggio delle creature celesti nella vita degli esseri umani. Incontrare Corrado era stato quindi come incontrare una parte di se stessa? Ora sì che incomincia a capire! – sorride – Ma fu più che altro come incontrare una me stessa potenziale, che avrei po43
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tuto diventare un giorno, se fossi riuscita a recuperare la mia natura più autentica. Poiché noi angeli siamo qui proprio per ricordarvi questo: chi siete veramente e in che modo potete cambiare, per somigliare il più possibile a voi stessi. E siamo sempre a portata di mano, se vi predisponete ad accoglierci. Incontrare un angelo dunque è possibile per chiunque? In qualsiasi momento, come sta accadendo a lei adesso. Anche se occorre fare un po’ di attenzione. Noi a volte vi sfioriamo, vi attraversiamo la strada, anche se non vi accorgete della nostra presenza, non perché non ci vediate, ma perché non ci riconoscete, per l’appunto. Se siete distratti, o se non vi sentite degni, come capita ai più, il nostro passaggio non lascia traccia in voi. Non che sia facile sentirsi degni di una cosa simile… E perché mai?! Se guardato dalla nostra prospettiva, il vostro è davvero un atteggiamento ridicolo e irriconoscente. Che diamine: voi siete gli eredi del regno di Dio, dopotutto. Voi tutti!! Ma di questa questione avremo modo di riparlare più avanti, perché ora, se permette, devo procedere col mio racconto, o finirò col perdere il filo. Vada pure avanti.
Altri indizi L’anno successivo, in giugno, partii per Londra per fare la guida di una vacanza-studio. 44
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Si trattava di un lavoretto estivo compatibile con la mia collaborazione al giornale locale, che facevo, ancora una volta, in cambio di un minimo rimborso spese; un modo come un altro di farmi una vacanza gratis e di imparare meglio l’Inglese. Avevo già partecipato come studentessa a uno di quei viaggi e in seguito fu l’organizzazione stessa a selezionarmi come guida, anche se non ero molto più vecchia degli studenti che dovevo accompagnare, né di molto più responsabile di loro. In compenso ero diventata una bellezza, in quel periodo: avevo tagliato i capelli a caschetto e mi truccavo con l’eye-liner, indossando abiti decisamente più femminili di un tempo. Ebbe qualche altro incontro interessante in Inghilterra? Feci la conoscenza di due ragazze genovesi del gruppo studentesco, di poco più giovani di me, con le quali sentii da subito una grande affinità. Si chiamavano Lena e Sabrina, erano cugine fra di loro ed erano entrambe bellissime, tanto che, sulle prime, le avevo prese per due modelle. Esse mi raccontarono di provenire da una famiglia di antroposofi e di praticare entrambe la meditazione. Insieme perciò cominciammo a fare esperimenti che mi intrigavano moltissimo. Che tipo di esperimenti? Di telepatia, prevalentemente. Ce ne andavamo insieme al parco e provavamo a leggere una i pensieri dell’altra, sedendo a una certa distanza e annotando su un quaderno ciò che ci arrivava per via intuitiva, confrontando poi i rispettivi risultati.
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E che cosa dedusse da quegli esperimenti? Che potevo disporre di notevoli facoltà extrasensoriali, di una grande intuizione e perfino di doti di preveggenza, che le mie due amiche dichiararono di aver già riconosciuto in me fin dal primo istante. Che effetto le fece quella scoperta? In realtà tutti gli esseri umani sono dotati di simili facoltà, in misura più o meno sviluppata, a prescindere dal fatto che decidano o meno di coltivarle ed utilizzarle nella propria vita. A me però la cosa incuriosiva parecchio, soprattutto dopo che le mie due mentori erano venute a trovarmi in casa della famiglia che mi ospitava nel Surrey. Entrando nella mia stanza, Lena, in particolare, aveva esclamato: “Ma qui dentro è pieno di angeli!” “Come di angeli?! – avevo fatto io senza capire – Sto morendo?!” Scambiando uno sguardo d’intesa con Sabrina, lei rise: “Questo lo devi chiedere a “loro”! – disse – Io posso solo dirti che uno deve chiamarsi Daniel, un nome che per qualche motivo ha a che vedere con te”. “Daniel” – ripetei – ricordando il titolo di una canzone di Elton John che piaceva tanto a mio fratello e che mi misi a canticchiare sottovoce, rendendomi conto solo allora che le parole dicevano: Daniel my brother you are, older than me Do you still feel the pain of the scars that won’t heal? Your eyes are died, but you see more than I Daniel you’re a star in the face of the sky…5 5
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Trad: “Daniel, tu sei mio fratello maggiore. / Senti ancora il dolore per le ferite che non guariscono? / I tuoi occhi sono morti, ma tu puoi vedere
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Curioso, non trova, considerato il destino del mio compianto fratello?! Quindi quello che la sua amica sentiva nella sua stanza era lo spirito di suo fratello?! Di sicuro si trattava di un altro segnale che indicava una pista. La stessa che mi ha portata ad essere ciò che sono oggi: una messaggera del cielo sulla terra e della terra in cielo. Non c’è mai una cosa senza l’altra, lo sa? Terra e cielo sono una cosa sola, in noi e fuori di noi.
La parola scritta Informare si direbbe sia la sua professione, nel mondo e oltre il mondo… Esatto. Anche se alla parola “informare”, oggi ne preferisco un’altra, che è “ispirare”. Fin dall’età di otto anni ho sempre avuto le idee chiare su quello che volevo diventare. Mia madre se lo ricorda ancora il giorno in cui, in terza elementare, al rientro da una visita scolastica alla redazione del quotidiano locale, le avevo comunicato di voler fare la giornalista. Cosa che si verificò puntualmente nel 1985, quando l’Ordine dei Giornalisti di Milano mi rilasciò il primo cartellino verde da pubblicista, dopo due anni di collaborazione con un oscuro giornaletto di spettacolo, per il quale avevo abbandonato il quotidiano provinciale dove già mi ero “fatta le ossa” i primi tempi. Lavoravo proprio per quella rivista quando, per la seconda volta, mi capitò di incontrare un angelo. più di me. / Daniel, tu sei una stella sulla faccia del firmamento”.
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Nella tormenta Stavolta però si trattò di un’esperienza diversa dalla prima. Di un vero e proprio salvataggio. Uno di quei casi in cui voialtri umani vi cacciate nei guai e tocca a quelli come me intervenire per trarvi d’impaccio. Non è che interveniate sempre, però, visto il gran numero di fatti drammatici che si verificano ogni giorno. Penso ai bambini che muoiono in circostanze tragiche, per esempio… Ciò accade perché noi possiamo intervenire solo in casi speciali ed esattamente quando il Disegno divino lo prevede. E comunque più spesso di quanto non crediate. Lei ha un’idea di quante volte ha rischiato la sua vita da quando è nata fino ad oggi?! Non saprei, no. Ecco, allora lo vada a chiedere al suo angelo custode! Come sa che ho un angelo custode? Lo so e basta – sorride – Non mi faccia domande indiscrete! Tutti ne hanno uno? Tutti quelli che credono di averne uno. E come sa che io ci credo? Perché ha dato a me una possibilità. E perché, soprattutto, ne ha data una a se stessa, accettando di incontrarmi. 48
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Lei lo conosce il mio angelo? Se le svelassi prima del tempo chi è il suo angelo, le rovinerei la sorpresa e anche il gusto della scoperta, non crede?! E che ne è di chi non crede? Non ha un angelo proprio? Di loro si occupa direttamente la grazia divina, in modo più generico e impersonale, come accade per le pietre, le piante, gli animali… Chi crede invece è in grado di dare a quest’energia una coscienza e perfino un’identità. Quindi siamo noi a creare il nostro angelo? In un certo senso, sì. Diciamo che a un certo punto lo riconoscete in voi, ritagliandolo dall’infinito. Quindi non c’è differenza fra noi e “lui”? “Lui è la vostra prefigurazione nello spirito e voi siete la sua immagine della materia” come disse una volta Gitta Mallasz. Chi è Gitta Mallasz? Una persona di cui le raccontò più avanti, quando le parlerò del libro “Dialoghi con l’angelo”.6 Per ora si accontenti delle sue parole. Non comprendo però come faccia Dio, se davvero esiste, a fare certe preferenze, permettendo a qualcuno di avere un angelo e ad altri invece no… 6
“Dialoghi con l’angelo”, a cura di Gitta Mallasz (Ed. Edium, Milano, 1979)
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È una domanda legittima. Ma se la pone solo perché ancora non comprende che anche fra lei e Dio non vi è alcuna differenza. E comunque non se la prenda con me. Io mi limito ad eseguire degli ordini. Gli “affari di Stato” sull’organizzazione generale dell’universo non mi riguardano. Tanto né io né lei potremmo mai comprenderli. Nemmeno un angelo li può comprendere? Io comprendo solo fino a un certo punto. Ma esistono livelli diversi di coscienza, più elevati del mio, che ancora devo raggiungere per comprendere di più. E sa qual è fra tutti il livello più alto?! Quello di Dio, suppongo. No, mia cara, quello dei bambini. È quello, lo stato di meraviglia a cui occorre giungere per comprendere tutto. Gesù lo disse, una volta: “Se non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli”.7 Il punto però è che il bambino non possiede ancora un linguaggio. Quindi non può comunicare ciò che comprende. Impossessarsi del linguaggio comporta per lui la necessità di crescere e, crescendo, finisce col perdere l’innocenza originaria e col corrompersi per tramite della sua stessa conoscenza, proprio come accade ad Adamo nel paradiso terrestre, quando pretese di cibarsi del frutto dell’albero “della conoscenza”. Vi è un modo, tuttavia, per rendere più digeribile quel frutto…
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Matteo, 18-1,3
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E quale sarebbe? Diventare coscienti. Quando la conoscenza si trasforma in coscienza, allora il ciclo si inverte ed è possibile tornare innocenti come bambini, conservando però la capacità di comunicarlo. E lei oggi, ha recuperato questo stato di coscienza? Magari! Se lo avessi fatto, potrei agire autonomamente e salvare tutti i bambini in pericolo di questo mondo. Invece devo limitarmi ad eseguire ordini che spesso non comprendo e salvarne solo alcuni, a meno che non agisca da essere umano. In questo caso, posso disporre almeno del libero arbitrio. Ma come angelo ho preso l’impegno di obbedire a un Progetto ben preciso, che non mi sogno neppure di mettere in discussione. Almeno quando sono in servizio. Sarà, ma a me continua a non sembrare giusto che uno perda la vita falciato sulle strisce pedonali da un pirata della strada, mentre un altro magari esca indenne da un incidente che lui stesso ha provocato… Neanche a me. E un tempo questa qui era una cosa che mi faceva proprio arrabbiare, se vuol proprio saperlo, ma poi l’ho accettata, perché so che un senso, da qualche parte, esiste. Una volta ragionavo anch’io come lei, in termini di giusto e di sbagliato. Ma le dico una cosa: non esiste niente di sbagliato nel Disegno divino. Niente di niente. Come ripeto, tuttavia, è inutile interrogarsi sui piani dell’Onnipotente. Quella lì è roba complicata, da perderci la testa; roba che ha a che vedere con le connessioni di tutte le cose fra di loro. 51
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Mi dia retta, lasci perdere. Sappia solo che le cause degli eventi a cui assistiamo, qui sulla Terra, si perdono nell’infinito. Anche se voialtri umani avete sempre qualche difficoltà, quando si tratta di pensare all’infinito, non è così? Come potrebbe essere altrimenti, limitati come siamo? I limiti che avete sono solo quelli che vi date da voi stessi, cercando di rimanere nella vostra zona di sicurezza, invece che esplorare il Nuovo. Ma se le fa piacere, posso spiegarle a cosa mi riferisco, quando parlo del Disegno divino… Dica. Userò una delle mie metafore preferite per spiegarglielo: la metafora del navigatore satellitare. Un esempio puntualissimo per cogliere la differenza fra destino e libero arbitrio. Pronta a seguire il mio ragionamento? Pronta. Poniamo allora il caso che, prima di incarnarsi in questo suo corpo, la sua anima abbia fatto un breve “colloquio di ammissione alla vita” direttamente con il Creatore. D’accordo?! D’accordo. E supponiamo che, durante quel colloquio, l’Altissimo le abbia posto la seguente domanda: “Da dove vuoi partire e dove vuoi arrivare in questa esperienza che hai deciso di fare nel mondo?” Una domanda alla quale mettiamo che lei abbia risposto: “Voglio partire da Milano e arrivare a Roma”. Mi segue? 52
Genesi
La seguo. “D’accordo!” ha detto allora l’Onnipotente, consegnandole un navigatore satellitare interiore, sul quale insieme avrete programmato la destinazione e l’itinerario concordato. Mi segue ancora?! Con tutta me stessa! A questo punto diciamo che le è stato consegnato un corpo, che è il migliore possibile per compiere il tragitto da lei prescelto, dopodiché è stata scodellata in qualche sala parto dei dintorni, va bene?! Appena nata, dunque, lei ha già in memoria il suo percorso di vita (quello che chiamiamo, appunto, “destino”) e il patto è che, nel tempo a sua disposizione – diciamo una novantina d’anni – lei raggiunga la destinazione prefissata. Il percorso che il suo navigatore satellitare le indicherà, di conseguenza, sarà sempre il più facile e il più veloce per arrivare dove lei vuole, godendosi il più possibile il tragitto. La stessa cosa il destino la fa con tutti gli esseri umani, indicando loro il percorso più facile, veloce e conveniente da seguire, per raggiungere ciascuno la propria destinazione. Ciò non toglie, però, che lei possa scegliere di cambiare strada… E che succede se la cambio? A quel punto, lei esercita il suo libero arbitrio e sceglie un percorso alternativo, facendo magari una puntatina ad Aosta, una gita a Venezia e un paio di altre soste di piacere a Napoli e ad Amalfi… Che cosa fa allora il suo navigatore?!
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Cosa?! Si riprogramma. Ogni volta che lei cambia percorso, qualunque percorso scelga, il navigatore le indicherà sempre e comunque la destinazione finale, quella equivalente al compimento del suo destino personale. Comprende?! Qualsiasi percorso scegliamo, quindi, va bene per arrivare dove dobbiamo?! Sì, è così. Questo mi ricorda il film “Sliding Doors!8 Ma certo. Giacché il suo navigatore interiore la orienterà sempre verso Roma, ovvero verso la sua destinazione già programmata. Capisco. Ogni volta che farà una deviazione, tuttavia, è probabile che lei perda tempo e che magari trovi qualche difficoltà sul suo tragitto, che non avrebbe trovato invece se avesse seguito il percorso iniziale. Ciò nonostante, arriverà sempre dove ha deciso di arrivare. È piuttosto confortante, detto così. Già. La vita è un gioco al quale proprio non si può perdere, come direbbe il mio amico Donald Walsh!9 8 9
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Film americano del 1997, diretto da Peter Howitt e interpretato da Gwyneth Paltrow, che dimostra come, pur scegliendo percorsi differenti, il destino trovi sempre il modo di compiersi. Scrittore statunitense autore del best seller Conversazioni con Dio.
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Lo conosce personalmente Walsh? E chi non lo conosce un simile messaggero!? La sua mi sembra una soluzione elegante per risolvere la contraddizione fra destino e libero arbitrio. Ma dica, se è davvero così semplice, perché nessuno lo comprende? Perché agli umani piacciono le cose complicate! Lei sostiene quindi che la partenza e l’arrivo sono le costanti della nostra vita, mentre le strade intermedie sono infinite. Ho afferrato? Perfettamente. Ciò significa che tutti i destini sono compresi in un destino unico? Un solo destino, sì. Quindi non c’è proprio niente di accidentale nella nostra vita? Niente. Nel modo più assoluto. E quelli che lungo il tragitto cambiassero idea sulla destinazione finale, o decidessero di fermarsi permanentemente altrove? In questo caso il “Grande Capo” darà loro l’opportunità di ritirarsi in anticipo dal mondo.
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Vuol dire che moriranno prematuramente? Solo temporaneamente, giusto per dare alla loro anima la possibilità di riprogrammare un nuovo tragitto, più consono alla loro nuova scelta. Come spiega allora che tanti, benché non siano affatto pronti a morire, se ne vanno da questo mondo prima del tempo? Gliel’ho già detto. È la loro anima a deciderlo. Hanno troppa paura della morte per scegliere coscientemente di andarsene, cosicché la forza che li muove, il loro spirito, lo fa al posto loro, in automatico. Se così fosse, avrebbe un senso, se non altro… Allora ci creda. Questo dipende solo da lei. Anche perché crederlo le conviene; nessun’altra spiegazione alternativa la soddisferebbe altrettanto. E chi invece la destinazione la raggiunge seguendo il percorso prestabilito? Alla fine muore lo stesso, non è così? Chi raggiunge la destinazione, ovvero la sua piena realizzazione, è libero di scegliere. Libero di “tornare” nella dimensione infinita, oppure di riprogrammare un nuovo percorso che ha voglia di sperimentare su questo pianeta. E se comprende la metafora, ora sa anche perché noi angeli possiamo intervenire in aiuto di alcuni di voi e non di altri, salvandoli da un rischio di vita, o lasciando, al contrario, che il loro destino si compia come previsto. Tutto dipende sempre dalle decisioni della vostra anima, a cui il Progetto divino, ogni volta, non fa che conformarsi ed “obbedire”. 56
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Può non essere facile da comprendere, ma ogni variabile è già compresa nell’infinito. Quindi voi angeli siete autorizzati ad intervenire solo per salvare coloro i quali hanno intenzione di proseguire sulla strada della propria evoluzione. Ho capito bene?! Ha capito benissimo. In ogni caso siamo tenuti ad assecondare la volontà dell’anima umana. Questo – e solo questo – è il motivo per cui alcuni muoiono prematuramente, perfino da neonati, o ancora nel grembo materno. In casi simili, l’anima si rende conto che, nelle condizioni in cui sta per incarnarsi, le sarà impossibile compiere la missione che si è prefissata e così decide di modificare i propri piani, o di ri-nascere in condizioni maggiormente favorevoli al proprio scopo. Tutto perfetto, dunque. Lo è, amica mia. Lo è. È una vita bellissima, quella che vivete qui. Un grande gioco che non finisce mai e nel quale vi è solo richiesto di spassarvela quanto più potete. Peccato che qualcuno ci abbia messo in testa proprio l’inverso, ossia che siamo nati per soffrire… E molti di voi ci sono anche cascati! – ridendo – Non è incredibile?! Invece si tratta solo di uno scherzo di cattivo gusto, ordito da chi vuole spacciare la propria volontà per quella di Dio! Francamente è una cosa che non mi diverte granché...
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L’importante è rendersi conto, prima o poi, di come stiano veramente le cose, per non sprecare più nemmeno un minuto vivendo da prigionieri, quando invece siete liberi. Liberi come l’aria. Questo invece mi ricorda il film “Matrix”,10 che lei citava nella sua email: pillola rossa o pillola blu? Continuare ad illudersi inconsapevolmente che la realtà sia quella che vediamo all’esterno, oppure svegliarsi e comprendere che essa è pura illusione e che siamo noi a darle la forma che desideriamo? Per l’appunto. E se uno si rende conto troppo tardi di come stanno veramente le cose, ma gli manca il tempo per recuperare? Di questo non deve preoccuparsi. Di tempo ne avete sempre quanto ve ne serve. Io per esempio alla sua età ero ancora del tutto inconsapevole. Eppure mi guardi adesso: non sono forse un angelo portentoso?! – ride. Allora vuole dire che c’è speranza anche per me? Lei è già molto più consapevole di quanto non immagini. Altrimenti non avrebbe mai potuto parlare con me. Gli incontri con gli angeli non capitano a chi è semplicemente fortunato, ma a chi accetta di confrontarsi col mistero. Di darsi una possibilità. Lei lo ha fatto, ed eccomi qui. Anch’io feci lo stesso a mio tempo. Anzi, stavo giusto per raccontarglielo, il mio secondo incontro “celestiale”… 10
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Film di fantascienza del 1999, diretto dai fratelli Larry e Andy Wachowski, vincitore di quattro premi Oscar.
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L’ascolto. Più che un incontro, a dire il vero, quello fu un vero e proprio “salvataggio”, che ebbe luogo, come le accennavo, nel 1984, un mercoledì sera... Sono passati oltre trent’anni, come fa a ricordarsi che era proprio un mercoledì? Ma forse è sciocco domandarglielo, date le circostanze… In realtà ho una pessima memoria. Il mio forte è l’intuito. Ma certe cose non si dimenticano facilmente. E poi all’epoca ero redattrice di quel settimanale di spettacolo che le ho detto e il mercoledì per noi era “giorno di chiusura”, vale a dire la giornata più lunga della settimana, quella in cui andava “chiuso” il numero settimanale della rivista ed in particolare le pagine dei programmi televisivi, soggette fino all’ultimo a variazioni. Senza l’ausilio di Internet, il nostro era allora un lavoro artigianale, perciò non di rado, il mercoledì, io e i miei colleghi dovevamo trattenerci in redazione anche fino a tardi, in attesa che tutte le emittenti televisive confermassero i rispettivi palinsesti. In più, quella sera c’era stato un blackout intorno alle ore 20, causato da un forte nubifragio, che aveva mandato in tilt i nostri Commodore 64 e determinato un ulteriore ritardo nel lavoro. Quando dunque riuscii ad uscire dall’ufficio erano già quasi le 23 e i tre quarti d’ora di viaggio in auto che mi separavano da casa, rischiavano di raddoppiare per via della pioggia torrenziale e della nebbia che riduceva a meno di un metro la visibilità.
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Tenga presente che, in mancanza dei telefoni cellulari (che si sarebbero diffusi solo qualche anno più tardi) non mi era nemmeno possibile avvertire i miei, con i quali ancora vivevo, né chiamare aiuto in caso di emergenza. In effetti non si capisce proprio come abbiamo fatto a vivere, per tanto tempo, senza i nostri cellulari... Già. Anticamente, se non altro, c’era la telepatia, ma l’essere umano ha perduto quel potere ed è stato costretto a sostituirlo con la telefonia mobile. Che cosa accadde, dunque, quella sera dell’84? Una serataccia, mi creda! Guidare era quasi impossibile in quelle condizioni meteorologiche, perciò ricordo che procedevo lentamente con la mia piccola auto, lungo un grande viale alberato, aggrappata al volante come a un’ancora di salvezza e tutta sporta in avanti verso il parabrezza per tentare di vederci un po’ meglio. Dove si trovava esattamente? Stavo attraversando una zona dell’estrema periferia di Milano e a quell’ora, se mi fosse accaduto qualcosa, temevo che nessuno si sarebbe fermato a soccorrermi. Non avevo neppure finito di formulare quel pensiero angoscioso, quando all’improvviso avevo sentito un rumore stridulo di lamiere che si contorcevano, ritrovandomi bloccata con l’auto nel bel mezzo di una selva di rami scheletriti. Cos’era successo?
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Un pioppo gigantesco, abbattuto probabilmente da un fulmine, o dal forte vento, era caduto sulla strada ostruendo l’intera carreggiata. Per via del vetro appannato e della pioggia scrosciante, non avevo visto l’ostacolo in tempo utile e anche quando avevo provato a frenare, avevo perduto il controllo della vettura, che aveva slittato paurosamente attraverso una gigantesca pozzanghera, finendo dritta fra i rami. Per fortuna, però, solo uno dei due fari si era rotto nell’impatto. In caso contrario sarei rimasta completamente al buio su una strada completamente priva di illuminazione. Che cosa fece? C’era ben poco da fare in quella situazione, perciò, in preda allo sconforto, appoggiai il capo sul volante e attesi che qualcosa accadesse, invocando l’aiuto della Madonna. Non so neanch’io perché mi rivolsi a Lei. Non Le ero particolarmente devota e raramente mi era capitato di invocarLa in vita mia. Ma in quel momento, mi venne spontaneo farlo. Mi trovavo in stato di shock. L’intero viale pareva un fiume in piena e il nubifragio imperversava fuori dall’abitacolo con un fragore pauroso, mentre la grandine sbatteva impazzita contro i vetri. Non avrei potuto scendere senza infradiciarmi, e poi per fare cosa?! Per andare dove?! Giunta al culmine della tensione, pensai perfino di spegnere l’auto e di restare ad attendere l’alba, sperando che i miei si decidessero a venirmi a cercare. Spegnere l’auto comportava tuttavia il rischio di venire ulteriormente tamponata e inoltre avevo bisogno del riscaldamento per non rimanere al freddo. Ma quanto potevo resistere in quelle condizioni?
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Non transitavano altre auto sul viale? In un quarto d’ora ne passò una sola, che dovette fare una larga manovra di aggiramento per evitarmi, suonando il claxon e lampeggiando, forse per redarguirmi del fatto di non aver esposto il triangolo catarifrangente… Una cosa che non mi era neppure venuta in mente, sconvolta com’ero. A quel punto ero scoppiata in singhiozzi convulsi e avevo invocato ancora più accoratamente l’aiuto del cielo, affinché qualcuno segnalasse almeno la mia presenza alla polizia stradale. E scommetto che l’aiuto non tardò ad arrivare… All’improvviso vidi nello specchietto retrovisore un nuovo paio di fari che si avvicinavano lentamente. Un’auto si accostò quindi alla mia e un tale sulla quarantina, stretto in un paltò scuro, con il bavero alzato e un cappello a larghe falde, ne discese, infradiciandosi completamente. Aveva con sé un cric e una fune e, nello stato confusionale in cui mi trovavo, venni perfino assalita dal terrore che volesse farmi a pezzi! Non fu così, dal momento che è qui a raccontarlo... In effetti vidi quel tale muovere la bocca e farmi dei cenni, decidendo di aprire solo di qualche centimetro il finestrino per sentire che cosa stesse dicendo. “Stia tranquilla! – lo udii gridare, mentre la tormenta lo schiaffeggiava – Ora la libero!” per poi mettersi a trafficare alacremente sul davanti della mia auto. Totalmente incredula, lo osservai quindi spezzare rami e darsi un gran da fare per liberare una delle ruote dai rottami, mentre cascate d’acqua e violente raffiche di vento rendevano oltremodo ardua la sua impresa. 62
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Una ventina di minuti più tardi, l’uomo legò con la fune la mia auto alla sua e mi fece cenno di togliere la marcia per potermi trainare lentamente lungo il viale. Non mi chiesi nemmeno dove mi stesse portando, ma quando raggiungemmo il primo centro abitato, mentre la pioggia cominciava a diminuire, vidi la sua auto accostare in prossimità di un bar ancora aperto, che esponeva all’esterno l’insegna del servizio telefonico pubblico. Voleva chiamare la stradale? No, voleva chiamare i miei genitori per tranquillizzarli! Un’altra cosa che a me non sarebbe venuta in mente, nel mio stato di totale stordimento. Un gesto piuttosto premuroso… Ricordo infatti di averlo visto entrare ed uscire dal bar nel giro di pochi minuti, facendomi cenno con la mano che era tutto a posto, per poi trainarmi per altri trentacinque chilometri fin dentro il cortile di casa. Visto che nemmeno i navigatori elettronici esistevano ancora, immaginai fosse stato mio padre a fornirgli per telefono l’indirizzo e le indicazioni stradali, giacché di certo io non lo avevo fatto. Arrivammo tuttavia a destinazione senza alcuna difficoltà; cosa alquanto strana, dato che il casale dove abitavo era raggiungibile, nell’ultimo tratto, solo attraverso una strada sterrata fra i boschi. E vuol sapere cos’è ancora più strano?! Che cosa? Che per tutto il tempo occorsogli per completare l’operazio63
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ne di salvataggio, il mio misterioso soccorritore aveva pronunciato soltanto pochissime parole, rifiutando anche l’invito di mio padre di entrare per bere qualcosa di caldo e asciugarsi gli abiti ancora bagnati, prima di ripartire. Si era limitato invece a fare un timido gesto di ringraziamento con la mano, spiegando che io non avevo alcuna colpa nell’incidente, giacché, con quel tempo, lo stesso avrebbe potuto accadere a chiunque. Infine se ne andò, senza nemmeno dirci il suo nome. Curioso, in effetti. Il giorno successivo mio padre ispezionò il danno dell’auto, mentre gli facevo il resoconto dettagliato dell’incidente, senza potersi capacitare di come quel tale fosse riuscito, da solo e a mani nude, a liberare la ruota dalle lamiere. “Che tipo strano – aveva commentato – ti ha portata fin qui e sembrava quasi vergognarsi… Sai che ho avuto quasi l’impressione che fosse un angelo?!” Sebbene allora non sapessi granché sugli angeli, anch’io a dire il vero avevo avuto la stessa impressione, ma le parole di mio padre mi sorpresero molto, conoscendolo come una persona pragmatica e ben poco incline ad ipotesi tanto fantasiose.
Il Cielo sopra Berlino Riferì ad altri di quell’incontro? Figuriamoci! All’epoca i miei amici mi avrebbero presa per pazza. Poi però la rivista per la quale lavoravo venne acquistata da un grande gruppo editoriale e fu là che conobbi Cristina, la nuova caporedattrice, la quale di certe cose se ne intendeva. 64
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Con lei finalmente sentii di poter parlare apertamente di argomenti legati al soprannaturale, poiché lei “vedeva oltre” e ogni tanto mi faceva notevoli rivelazioni. Del tipo? “Lo sai che dietro di te ci sono due angeli?! – mi disse un giorno sorridendo – Sei sempre in ottima compagnia”. E la cosa la sorprese? Nonostante le esperienze che avevo già vissuto, devo ammettere che sì, la cosa continuava a sorprendermi. Intanto perché due angeli mi sembravano fin troppi per una persona sola e poi perché tutto ciò mi intrigava, ma rimaneva comunque un bel gioco. Almeno fino alla sera in cui, nell’inverno 1988, andai al cinema a vedere il film di Wim Wenders “Il cielo sopra Berlino”,11 che rappresentò per me un’autentica folgorazione. Lo guardai incantata dall’inizio alla fine, con un’emozione indescrivibile. E mi accorsi che metteva in immagini quanto io avevo sempre saputo, senza neppure sapere di saperlo. Non sarei mai più stata la stessa, in seguito. Ricordo infatti che uscii dal cinema così sconvolta che nemmeno riuscivo più a parlare e che sognai angeli per tutta la notte successiva. D’altro canto, Wenders è uno dei “nostri”… Un angelo anche lui, vuole dire? Anni dopo ebbi modo di incontrarlo di persona, mentre lavoravo a un documentario ed egli mi confermò di essere stato 11
Film tedesco-statunitense del 1987.
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effettivamente ispirato dall’alto nel girare quel suo film, sebbene conservasse, proprio come me, una fede laica. Esattamente che cosa cambiò per lei dopo la visione del film? Praticamente tutto. Per cominciare, alla fine di quell’anno, la notte di Natale, conobbi, a casa di amici, quello che inaspettatamente sarebbe diventato mio marito… Inaspettatamente?
Primo Il nostro incontro diede una tale accelerazione alla nostra vita, che solo quattro mesi più tardi ci sposammo. Primo (uso questo pseudonimo per discrezione) era un ragazzo dolce e un tantino scarmigliato, di un anno più vecchio di me, con il quale avevo cominciato a parlare del più e del meno. Non lo avrei mai notato, però, se non fosse stato per una frase che egli pronunciò, quasi vergognandosi, nel mostrarmi il palmo delle sue grandi mani callose. “Io non ho niente – disse – Solo queste mani da operaio!” La seconda cosa che mi colpì di lui fu quando propose di cambiare musica nello stereo. Stavamo ascoltando brani contemporanei e, a giudicare dal suo aspetto, mi aspettavo che mettesse su qualche vecchio blues, o qualche disco rock. All’epoca io ero piuttosto snob in fatto di gusti musicali, ma Primo mi colse in contropiede, mettendo un’aria poco nota di Vivaldi. E quando qualcuno fa qualcosa che non ci aspettiamo, riesce sempre a conquistare la nostra attenzione. 66
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Il resto lo fece più tardi la nostra spudoratissima vittoria a carte, allorché ci mettemmo in coppia a giocare con altri amici, sbancandoli tutti! Una coppia vincente... Così almeno sembrava all’inizio. Ma in realtà un po’ di rodaggio non ci avrebbe fatto male, dal momento che non ci eravamo mai visti prima. Infatti, dopo una breve frequentazione, a San Valentino avevamo già rotto... Ma non ha detto che vi siete sposati? Sì, sì, ma quello è successo dopo. Prima c’era stata una temporanea battuta d’arresto, dettata dalla sua comprensibile paura. Come le ho detto, le cose accaddero tutte in una volta per noi due. Perciò, con la scusa di non avere nulla da offrirmi – ride – il mio futuro marito inizialmente aveva tentato di darsela a gambe per la strizza! Già, lo fanno in molti, questo… Quel San Valentino però io ebbi un altro incontro memorabile… Nel senso che conobbe un altro?! Non parlo di un essere umano… Un altro angelo allora?! Una specie...
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Sorpresa di San Valentino …In realtà era il 13 febbraio. San Valentino sarebbe stato il giorno successivo e, data la crisi sentimentale in corso, ero piuttosto rattristata e di cattivo umore. Verso le dieci di sera, montai in auto per andare alla stazione ferroviaria a prendere mia madre, la quale rientrava in treno da Milano, dove all’epoca lavorava come commessa di pasticceria, facendo spesso tardi. Casa nostra, come ho detto, si trovava in campagna, ma distava non più di una decina di minuti in auto dal vicino centro abitato e ricordo che quella era una serata limpidissima, fredda e stellata. Mentre percorrevo un tratto di strada sovrastato dalle chiome degli alberi, mi capacitai a un tratto di un forte chiarore nel cielo che pensai provenisse dalla luna. Da dentro l’abitacolo, tuttavia, non riuscivo a vederla, così aprii il finestrino per sporgermi, scoprendo che quel chiarore proveniva da tutt’altra fonte… Quale? Ciò che vidi era uno strano oggetto che galleggiava nell’aria ad un’altezza indefinibile. Un oggetto di forma ovoidale, che non emetteva alcun rumore e che aveva una sorta di led luminoso che scorreva lungo il perimetro, dandomi l’impressione che ruotasse su se stesso. Continuando ad osservarlo attonita, notai anche che, nella parte inferiore, il velivolo pareva fatto di braci incandescenti ed ebbi addirittura la sensazione che non si trattasse di una semplice macchina, ma piuttosto di un’entità organica.
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Sta scherzando?! Deve sapere che l’avvistamento di un Ufo era stato per me e per mio fratello un grande sogno dell’infanzia. Peccato, però, che lui non fosse lì con me, in quel momento, a fare quell’esperienza straordinaria! Non ebbe paura? Per niente. Mi rammaricavo solo del fatto che nessuno mi avrebbe mai creduta, se lo avessi raccontato. Quanto durò l’avvistamento? Avrei voluto avere più tempo per poter osservare l’oggetto con più calma, ma mia madre sarebbe arrivata a momenti, perciò dovevo spicciarmi. Quando tuttavia raggiunsi il centro abitato, mi resi conto che l’oggetto rimaneva costantemente al di sopra della mia auto. Come la inseguisse? Questo non posso dirlo con certezza; fatto sta che ogni volta che mi fermavo a un semaforo e mi sporgevo di nuovo per controllare, notavo che “quel coso” era rimasto nella medesima posizione, sebbene l’auto si fosse spostata nel frattempo sulla terraferma. Pensai allora che si trovasse ad una quota così elevata da poter essere visto da ogni punto dello spazio sottostante e mi guardai intorno per cercare qualcuno per la strada, che potesse notarlo a sua volta. Inspiegabilmente, però, quella sera mi sembrava di attraversare una città fantasma. In giro non c’era anima viva; né un’altra auto, né un passante. E perfino il bar della stazione 69
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era chiuso per il turno settimanale. Rimanevo pertanto, e mio malgrado, l’unica testimone di quel fenomeno incredibile. Come se lo spiega? Forse non era l’oggetto, o qualsiasi cosa fosse, ad essere entrato nella mia dimensione, ma io ad essere finita nella sua. In che senso, scusi!? Forse stavo semplicemente vivendo un’esperienza extrasensoriale. Non oggettiva quindi? È un’ipotesi che non posso escludere. Comunque parcheggiai sul piazzale della stazione in modo da poter osservare l’oggetto dal cruscotto anteriore e mantenni gli occhi fissi su di esso, in attesa dell’arrivo di mia madre. Solo pochi secondi prima dell’arrivo del treno, tuttavia, il velivolo fece un movimento fulmineo di ascensione verticale, per trasformarsi in un attimo in un puntino luminoso fra le altre stelle della sera. Ma non fu tutto: da quel puntino vidi anche dipartirsi, alla stessa velocità vertiginosa, altre minuscole luci, che a loro volta schizzarono in diverse direzioni, zigzagando proprio come le astronavi di Star Treck, per poi sparire definitivamente alla mia vista, inghiottite dal buio. Mamma intanto aveva già attraversato il piazzale e stava salendo in macchina proprio in quel momento. Le riferì quanto aveva visto? Naturalmente, anche se il mio racconto non la scompose. 70
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“Sai che novità! – replicò, guardandomi come se l’alieno fossi io – Tu vedi sempre cose strane!” (Ridendo) Come darle torto?! Io però ero in buona fede e l’indomani cercai inutilmente di dimostrarlo, telefonando a tutti gli aeroporti della zona. Del misterioso oggetto non sembrava però essere rimasta alcuna traccia, se non nella mia memoria. Solo un paio di amici documentaristi della televisione svizzera, essendosi già occupati di argomenti di frontiera, mi diedero un minimo di soddisfazione, confermando che la mia esperienza aveva parecchi punti in comune con altre da essi raccolte a proposito degli oggetti volanti non identificati. Nel senso che anche altri testimoni avevano avvistato oggetti che potevano essere scambiati per entità organiche? Probabilmente lei non sa che la Bibbia fa un preciso riferimento ad una gerarchia di angeli detti “Troni”, o “Ruote”, costituita da entità spirituali rotanti e “dotate di innumerevoli occhi”. Il profeta Ezechiele nel parlava già nel VII secolo avanti Cristo, pensi un po’… (Recitando a memoria il brano biblico in questione): “Il loro aspetto assomigliava alla brace e al fuoco… Quando quegli esseri viventi si muovevano, anche le ruote si muovevano accanto a loro e, quando gli esseri si alzavano da terra, anche le ruote si alzavano. Dovunque lo spirito le avesse spinte, le ruote andavano e ugualmente si alzavano, perché lo spirito vivente era nelle ruote”. 12
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Ezechiele 1, 13-20
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Vuol dire che anche quell’avvistamento era stata un’esperienza angelica? Vede, cara, la mia esistenza era allora in una fase di grande trasformazione e quando un essere umano si trova in quella fase particolare, intorno a lui possono accadere cose alquanto strane. E lo vuol sapere il perché? Perché in quei momenti noi ci apriamo. Ci facciamo domande fondamentali e ci predisponiamo a ricevere risposte che possono arrivare anche nei modi più impensati. Le sue quali furono? Beh, di lì a poco io e Primo tornammo insieme e lui mi domandò subito di sposarlo, superando i suoi iniziali timori. La mia vita stava dunque per cambiare radicalmente, poiché prima di tutto disponevo di un pretesto per andarmene di casa ed emanciparmi dalla mia famiglia. Ma perché tanta fretta di sposarvi? Primo abitava allora piuttosto distante da me e tanto valeva a quel punto vivere insieme, piuttosto che rincorrersi per chilometri. Fondamentalmente, però, eravamo due incoscienti, che giocavano a fare gli adulti senza esserlo ancora. In effetti avremmo potuto benissimo convivere, ma credevamo nel “per sempre” e così optammo per le nozze. Temerari ma romantici. Due illusi, più che altro. Ciò nonostante, il periodo dei preparativi delle nozze lo ricordo come uno dei più gioiosi ed eccitanti della mia vita. A parte il fatto che fu proprio allora che 72
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rischiai di morire in un incidente stradale, che per poco non provocai io stessa a causa di una fatale distrazione. Troppa felicità può dare alla testa… Oggi la chiamerei stupidità, ma provvidenzialmente l’incidente non si verificò. E quando dico “provvidenzialmente”, può credermi sulla parola. Perciò si tenga forte, visto che sto per raccontarle la più sensazionale delle mie esperienze con i paladini del cielo. (Ridendo) Ormai sono pronta a tutto, mi creda.
Quella sagoma di… Michele In quel periodo, quando non lavoravo, andavo per negozi a scegliere bomboniere e servizi di piatti, giacché, mancando poco alla data delle nozze, occorreva fare le cose alla svelta. Quel giorno di primavera, mentre il cielo minacciava un imminente temporale, stavo guidando sovrappensiero, quando mi ritrovai con l’auto nel bel mezzo di un incrocio pericolosissimo, che io stessa avevo ostruito, senza preoccuparmi di guardare che non ci fossero altre auto in transito. Subito dopo, sentendo il suono stridulo e prolungato di una paurosa frenata, mi voltai di scatto e vidi che un’altra auto stava per schiantarsi contro la mia, centrandomi in pieno dal lato di guida. Capii istantaneamente di essere sul punto di morire, dal momento che l’impatto pareva ormai inevitabile. Invece?!
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Invece la collisione non si verificò, come se qualcuno avesse interrotto le immagini di un film. Quello che vidi fu esattamente un fermo immagine fra un istante e quello successivo, nel quale potei scorgere nitidamente, per una sola, infinitesima frazione di secondo, la sagoma luminosa di un giovane guerriero, il quale, con un gesto fulmineo, impedì l’impatto, interponendo un’enorme spada fra la mia auto e quella che stava per investirmi in pieno, fermando così un destino che evidentemente non doveva ancora essere il mio. Un guerriero, dice… Già, un guerriero. Ma non si immagini un essere fisico. Si trattava piuttosto di una specie di folgore che pareva essere caduta all’improvviso fra le due auto, nella cui luce era distinguibile però una sagoma umana. Potrebbe descriverne l’aspetto? L’immagine che vidi era quella di un giovane sulla ventina, con un’espressione accigliata e paurosamente severa sul volto, tutto teso nel compiere l’azione che mi salvò la vita. Ammesso che sia così, perché secondo lei, venne salvata? Perché potessi venire qui a raccontarglielo. E per che altro?! Ma non mi faccia anticipare troppo… Non voleva le descrivessi la visione?! Credevo lo avesse già fatto.
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Non le ho detto ancora tutto. Ad esempio non le ho detto che la statura di quell’essere era imponente: almeno due metri e che aveva tratti mediorientali e capelli divisi sulla fronte. Di che colore? Io lo vedevo tutto intero del colore della luce. E mi comunicava un senso di incredibile potenza, paragonabile alle forze della natura quando si scatenano in tutto il loro impeto. Si spaventò? Guardi, fu un’azione talmente fulminea che nemmeno mi resi conto di quel che accadde. Durò soltanto un attimo, dopodiché quel che avevo visto era già svanito davanti ai miei occhi. Ricordo solo di essere stata bruscamente risvegliata dallo shock dalla voce dell’altro autista, il quale era sceso dalla sua vettura per inveire legittimamente contro di me, per quella disattenzione che avrebbe potuto costare la vita ad entrambi. “Madonna mia, – ripeteva, tenendosi la testa fra le mani – Un miracolo! Solo un miracolo poteva farmi frenare!” Pensa che avesse visto anche lui quel che aveva visto lei? Questo non lo so, poiché non riuscii a proferire parola, limitandomi a guardarlo con aria imbambolata. “Ma dove ce l’hai la testa?!” continuava a urlare il poveretto, ancora incredulo di aver potuto evitare una tragedia.
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Ri-Conoscimento In seguito ha cercato una spiegazione per quell’evento? Ci avrei impiegato anni a cercarla. Ma di quel giorno ricordo solo che, rientrata a casa, avevo trovato mia madre intenta a passare l’aspirapolvere in salotto. Nel vedermi, l’aveva però spenta per chiedere se avessi finalmente completato la lista-nozze. “Sai che per poco non morivo in un incidente?!” le dissi invece, raccontandole la visione del guerriero. Lei mi guardò con aria di compatimento e con una smorfia laterale della bocca, per poi riaccendere l’aspirapolvere. (Ridiamo entrambe e lei riprende) Era difficile anche per me credere a una cosa del genere. Né sul momento riconobbi in quell’evento un intervento divino, scambiandolo per una semplice allucinazione. Eppure anche lei, come sua madre, avrebbe dovuto essersi abituata ormai a simili stranezze… Non so che cosa dirle. All’epoca ero ancora agnostica e cercavo Dio senza riuscire a trovarlo da nessuna parte. Anzi, spesso arrivavo perfino a provocarlo, affinché si decidesse a palesarsi, escludendo che il “mandante” degli straordinari segni che già ricevevo fosse veramente Lui. D’altronde non disponevo allora degli strumenti necessari per riconoscere le tracce del divino nella mia vita ed ero come cieca, anche perché ciò che avevo visto non apparteneva in alcun modo al mio immaginario cosciente. Se lei non ha mai visto il mare in vita sua e ce la portano per 76
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la prima volta, forse esclamerà: “quanta acqua!”, ma continuerà a non rendersi conto che quello che sta guardando è il mare, poiché non possiede ancora quell’informazione e dunque non ha modo di riconoscerlo. Oggi che gli strumenti invece li ha acquisiti, come legge quell’episodio? Oggi esiste una vastissima letteratura sugli angeli. Per la maggior parte si tratta di editoria-spazzatura, ma altri testi più seri attingono a fonti antiche e più autorevoli: agli apocrifi dell’Antico Testamento, alla patristica, alla tradizione cabalista. Tutti questi testi parlano di generi differenti di angeli, appartenenti ad altrettanti gradi della gerarchia celeste, così come questa è stata descritta, per lo meno, per favorire l’umana comprensione. In realtà le schiere angeliche rappresentano solo differenti livelli di un’unica coscienza indivisibile. E i singoli angeli non sono altro che i “filtri” di questa coscienza, che di volta in volta si declina nella misura adeguata al grado di comprensione del singolo individuo. In altri termini, gli angeli sono come le lenti di un cannocchiale, attraverso il quale è possibile, per le creature incarnate, guardare a Dio senza venire folgorate dalla Sua luce. La verità va sempre presa a piccole dosi affinché risulti “sopportabile”. Non si può certo imparare tutto in una volta. No. Immagino di no. Tornando agli interventi angelici veri e propri, di quelli più comuni e quotidiani si occupano, in genere – e sempre in os77
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servanza al Progetto divino – le entità che definiamo “angeli custodi”, le quali svolgono l’importante funzione di guide spirituali dei singoli individui. Ad altre entità di livello più elevato, conosciute come “arcangeli”, competono invece prestazioni straordinarie, che si verificano meno di frequente e in circostanze del tutto particolari. Secondo le Scritture, a questi ultimi vengono affidate questioni di grande importanza, come la nascita, la guarigione, il passaggio dalla vita alla morte, la lotta per vincere gli istinti più bassi dell’ umana natura e così via. Angeli custodi e arcangeli si manifestano quindi in momenti e in modi differenti gli uni dagli altri? I cosiddetti “custodi” possono assumere un aspetto ordinario, per potersi meglio confondere fra gli esseri umani; mentre l’aspetto degli spiriti di più alto rango è prossimo all’iconografia classica, fatta eccezione per le ali che, come le dicevo, non sono un attributo indispensabile, se non in casi rarissimi, in cui si renda necessario, per gli spiriti celesti, farsi riconoscere da menti semplici e incolte. Un arcangelo quindi da che cosa lo si riconosce? Stando alle testimonianze dei mistici e dei moderni “contattisti”, gli arcangeli si mostrano talvolta in forma di guerrieri, per l’appunto, armati di spade o di lance, ma sempre con statura imponente e sguardi... indescrivibili a parole. I loro nomi sono stati pronunciati fin dalle origini dell’uomo: Michael, Gabriel, Raphael, Uriel…
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Ciascun arcangelo ha anche caratteristiche distintive proprie? Vi sono attributi simbolici che permettono di distinguerli l’uno dall’altro e che permisero a me di ipotizzare, non senza una certa emozione, le dirò, che l’entità che salvò la mia vita in quel pomeriggio della primavera 1989, potesse essere nientemeno che l’arcangelo Michele, il grande principe dell’esercito celeste. Da che cosa lo dedusse? Per prima cosa, questo arcangelo è preposto alle questioni riguardanti il passaggio fra la vita e la morte e quel giorno io mi trovavo proprio sulla linea di confine. Inoltre, nella simbologia classica, uno dei suoi attributi distintivi è proprio la spada, emblema di forza e di giustizia.13 Ma a corroborare la mia ipotesi fu soprattutto l’espressione severa che quell’immagine mostrava sul volto. Michele infatti è un tipetto deciso, una specie di supereroe, il quale, quando ha una missione da compiere, non si ferma davanti a niente ed è capace di fare, letteralmente, “il diavolo a quattro!” Non l’ha mai sfiorata il dubbio che tutto ciò sia stato soltanto il frutto della sua immaginazione? O di ciò a cui lei stessa desidera credere? E che differenza vuole che faccia?! Chi potrebbe affermare che qualcosa sia reale o non lo sia?! E in base a che cosa? Tanto vale perciò affidarsi alle nostre sensazioni. Semmai, a fare la differenza, è ciò che un’esperienza simile può rappresentare per noi e in che modo essa ci trasformi. 13
Un altro attributo dell’arcangelo Michele è la bilancia, simbolo di misura ed equilibrio.
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E comunque il dubbio è una tragica malattia, spacciata spesso per un sintomo di intelligenza. Ma mettere in dubbio un’esperienza mistica è come voler interrompere il volo di un aereo. Il solo risultato che si ottiene, è quello di vederlo precipitare nel vuoto. Lo vide altre volte, l’arcangelo? Certo che no. E per fortuna, date le circostanze estreme in cui quell’unica “visione” di cui fui testimone si verificò. Tutte quelle che seguirono furono manifestazioni molto differenti: sogni, premonizioni, o messaggi intuitivi. D’altronde, le apparizioni vere e proprie si verificano solo in situazioni-limite, in cui si determina una temporanea “fuoriuscita” dell’anima dal corpo, che consente di dare un’occhiata all’altrimenti invisibile. Le esperienze angeliche avvengono perciò in una dimensione differente rispetto a quella che conosciamo? Avvengono in un diverso stato di coscienza, nel quale spazio e tempo perdono completamente di significato. Come se, d’un tratto, si aprisse uno squarcio nella realtà, attraverso cui si ottiene l’immediata percezione di ciò che vi è al di là di essa. Si tratta però di uno strappo in una sorta di tessuto elastico, che l’attimo successivo si richiude senza più lasciare traccia, se non quella che rimane appunto nella nostra memoria. Ha mai raccontato “pubblicamente” quella visione prima d’ora? La raccontai nel mio primo libro sugli angeli, nel 1994. Ma prima di allora mi era capitato di farne solo un breve cen80
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no in un articolo, che firmai tuttavia con uno pseudonimo per non essere riconosciuta. Temevo che ammettere di aver avuto un’esperienza così insolita potesse mettere in dubbio la mia credibilità professionale. In seguito, però, del fenomeno angelico si cominciò a parlare sempre più spesso, nei libri e sui giornali, e così mi fu possibile parlarne a mia volta, perfino in qualche talk show televisivo, i cui conduttori puntualmente mi domandavano se gli angeli esistessero davvero. E lei, a questo, come rispondeva? Che esistevano PER ME, nella mia dimensione personale, ma che ciò non significa che esistessero per tutti, in senso assoluto. Risposta diplomatica. Sa, io ho lavorato a lungo per la televisione come autrice, perciò so quale linguaggio bisogna utilizzare con certa gente! – ride – E poi è proprio così che stanno le cose: lo ripeto: soltanto ciò a cui crediamo esiste per noi. Poiché è il nostro stesso pensiero a crearlo! Qualcuno ha mai messo in dubbio la sua buona fede sentendola raccontare queste sue esperienze? Non saprei e, se anche lo avessero fatto, non me ne importa granché. Ma a chi dubita dico soltanto questo: al posto di Dio, anch’io quel giorno avrei mandato un arcangelo a salvarmi, perché gli conveniva! – ride – Lui già lo sapeva quanta pubblicità che gli avrei fatto in seguito!
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E del suo futuro marito che mi dice? Lui le credeva? Inizialmente Primo era un po’ titubante, ma poi ci si abituò. Si fidava di me, ma più che capirle, certe cose lui le percepiva per istinto.
La sfida Fu un matrimonio felice, il vostro? Mio marito ed io condividevamo i principi fondamentali della vita, ma anche l’amore per la natura, gli animali, i viaggi e così via. Eravamo complici come due adolescenti e questo ci avrebbe tenuti insieme per molti anni, anche se non per sempre. La presenza amorevole di Primo fu fondamentale per me, inoltre, per poter affrontare alcune grandi prove che ancora mi attendevano. Che genere di prove? Dapprima persi mio padre, che ci lasciò nel novembre del 1991 a soli cinquantacinque anni, dopo la diagnosi di un cancro già in stato molto avanzato. Contestualmente a quel dolorosissimo lutto, che di nuovo colpiva duramente la mia famiglia, dovetti affrontare anche una grave truffa di lavoro, che ridusse me e Primo praticamente sul lastrico. Ci ritrovammo infatti, dall’oggi al domani, con una montagna di debiti, che ci privò da subito di ogni serenità. Fu allora che mi convinsi che Dio ce l’avesse personalmente con me e che gli lanciai, in un impeto di furore, una tremenda sfida. 82
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“Fino a che disseminerai di croci il mio cammino – giurai al cielo – non avrai la mia fede!” Non lo avessi mai fatto. Perché? Perché Dio decise di raccogliere la sfida. Come lo capì?
Sintesi Poco alla volta glielo spiegherò. Per intanto, le dico che fu necessario parecchio tempo perché io e Primo ci riprendessimo dal tracollo finanziario che ci aveva messi in ginocchio, ma alla fine lui trovò un ottimo impiego ed io, a mia volta, ebbi un avanzamento di carriera, diventando caporedattore della rivista per cui lavoravo. Pagammo quindi i nostri debiti e lasciammo la montagna per tornare a vivere più vicini alle nostre rispettive famiglie, affittando un bell’appartamento d’epoca. Inoltre ci comprammo un’auto nuova e cominciammo a goderci un periodo di relativo benessere, viaggiando e organizzando continuamente cene con gli amici. Qualcosa di misterioso, tuttavia, cominciava a spingere per uscire da me e una parola, in particolare, prese a martellarmi costantemente la mente: “Sintesi! Sintesi! Sintesi!”. Che significava? Che dovevo fare il punto della mia vita. E ricominciare da lì.
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Così feci, infatti, cominciando col raccogliere materiale per il mio primo libro. Già negli ultimi mesi del 1993, insieme al mio editore, avevamo deciso di mettere in cantiere un istant-book concernente gli angeli, un libretto senza troppe pretese, da distribuire nelle edicole invece che in libreria. Non che avessi la minima idea di cosa scriverci; tuttavia l’argomento stava ormai diventando “di moda” e perfino alcune grandi riviste straniere, come lo stesso Times, lo avevano trattato a più riprese. Per giunta, il mio editore era disposto a pagarmi dei viaggi all’estero, affinché gli riportassi storie interessanti. Decisi perciò di approfittare dell’occasione e partii per un periodo di ricerche, cominciando la mia inchiesta da Parigi, dove in quel periodo mio marito aveva un incarico come artigiano decoratore in uno studio di architettura. Romantica l’idea di andare a Parigi in cerca di angeli. Tanto più che eravamo sotto Natale e la città pullulava letteralmente di raffigurazioni angeliche. Ogni giorno, dunque, mentre Primo lavorava, io giravo per librerie, biblioteche, edicole e mercatini dell’usato, in cerca di materiale iconografico e di storie da raccontare, imbattendomi continuamente in qualche statua dell’arcangelo Michele, di cui la città sembrava disseminata, forse semplicemente perché, all’improvviso, ci facevo caso. Scattavo inoltre decine di foto e compravo materiale che mi facevo recapitare direttamente in albergo, nella zona dei Grands Boulevards, ai piedi di Montmartre. La sera tuttavia ero così stanca e con i piedi talmente gonfi, che preferivo restarmene in camera invece di uscire, divorando pagine piene di storie misteriose e avvincenti, mentre Primo guardava la tv. 84
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In poco tempo appresi sul tema della mia ricerca tutto quanto fosse possibile apprendere, almeno in teoria, sebbene ancora non mi sembrasse sufficiente per mettere insieme un libro. Che cosa le mancava? Le testimonianze concrete. Ma soprattutto una prova schiacciante dell’esistenza degli angeli. Era questo che più di tutto stavo cercando. Continuava a non tenere conto delle sue esperienze personali? Ne tenevo conto, ma avevo bisogno di altri riscontri, di conferme, che mi convincessero in modo inequivocabile che non me la stessi semplicemente “raccontando”, fino a che accadde qualcosa che, in un attimo, riuscì a convincermi. Che cosa?
La prova Avevo deciso di eseguire alcuni esperimenti pratici, reperiti in alcuni testi che avevo consultato, tramite i quali speravo di poter verificare l’effettiva presenza di un angelo accanto a me. Si trattava per lo più di esercizi di respirazione, rilassamento e visualizzazione, nel tipico stile dello yoga e del “channelling”; sistemi che servivano più che altro per svuotare la mente dai pensieri, liberando l’intuizione e provando a raggiungere uno stato di coscienza più elevato. Tentavo insomma di calarmi nelle profondità del mio essere alla ricerca della mia essenza originaria, ma ero piena zeppa di interferenze. 85
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Ne so qualcosa. Santo cielo, la mente razionale non la smette mai di parlare, non è vero?! Vuole sempre dire la propria e fare confusione, come gli ospiti di certi talk show televisivi, pagati soltanto per fare polemica. Ha sempre da ridire su tutto e sta lì a commentare ogni gesto che fai e ogni parola che dici. Non contenta, commenta anche il commento e il commento del commento. Una vera rompiscatole! Perciò fu un sollievo per me, in quei giorni parigini, poter interrompere di tanto in tanto il brulicare dei pensieri, creando silenzio dentro di me, nella speranza di udire la voce del mio angelo. Ci riuscì? Non fu così semplice all’inizio. Avevo poca dimestichezza con la meditazione e cercavo nel modo sbagliato quanto intendevo trovare. Ero a caccia del risultato e avevo fretta. Il tempo, d’altro canto, stringeva e quella breve vacanza ottenuta con la scusa del lavoro, non sarebbe durata che un altro paio di giorni. Ero intenzionata, tuttavia, a tornare dal mio editore con qualcosa di più di un semplice malloppo cartaceo da scopiazzare. Volevo la prova inconfutabile dell’esistenza degli angeli e la volevo subito. Il mio “collaboratore” invisibile continuava invece a latitare, infischiandosene del fatto che l’uscita del libro fosse programmata per la Pasqua successiva e che io ancora non ero nemmeno in grado di scrivere l’incipit. La penultima notte che trascorsi in Francia, però, qualcosa effettivamente accadde, quando mi svegliai di soprassalto, in tempo per vedere una forte luce ai piedi del letto, che sulle prime mi spaventò, ma che subito dopo liquidai alla stregua di un semplice sogno. 86
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Mentre osservavo quella luce, avevo cercato anche di svegliare Primo, per verificare se anch’egli potesse vederla, ma dormiva così profondamente che si limitò ad aprire gli occhi solo un attimo, per poi voltarsi dall’altra parte. La mattina seguente, di buon’ora, mi comprai quindi un croissant e andai a passeggiare nei giardini semideserti del Palais-Royal, domandando più volte all’angelo di palesarsi ed elaborando con lui una sorta di patto tacito, affinché mi fornisse in extremis un segno della sua presenza. Quali erano i termini del patto? Fin dagli anni dell’adolescenza avevo nutrito una grande passione per il poeta Arthur Rimbaud, il quale, pur essendo originario delle Ardenne, aveva trascorso molto tempo nella Parigi ottocentesca. Era un matto matricolato, Rimbaud, un poeta vagabondo che girava per le bettole di Montparnasse e del Quartiere Latino, ubriacandosi insieme al suo amante Paul Verlaine, per poi vomitare anche l’anima agli angoli delle strade. Tuttavia aveva scritto i versi più audaci e folgoranti che avessi mai letto in vita mia ed era stato per me, come per tanti altri, un vero e proprio mito di gioventù. Dico ciò per spiegarle il motivo della strana richiesta che rivolsi quella mattina al mio ipotetico custode. “Se proprio non puoi mostrarti a me per come sei – gli dissi mentalmente – fa’ in modo che entro stasera incontri, anche solo di sfuggita, qualcuno che mi ricordi Rimbaud. La considererò una prova sufficiente della tua esistenza”. Venne accontentata? Trascorsa qualche ora senza che accadesse nulla, finii per 87
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dimenticare del tutto la mia richiesta, lasciandomi distrarre dallo shopping. Intorno alle 16.30 tuttavia, siccome cominciava a fare freddo, mi rintanai in un negozietto nei pressi del Beaubourg, per acquistare qualche cartolina d’arte, in attesa che Primo smontasse dal lavoro. Il Beaubourg è da sempre un luogo di ritrovo per i giovani, pieno di musica, di colori e di giochi improvvisati dagli artisti di strada. Sulla piazza si affacciava allora un centro di prima accoglienza per ragazzi di ogni provenienza, in cerca di una prima sistemazione in città. Fu proprio passando davanti a quel luogo che, ad un tratto mi imbattei in qualcuno che mi ricordò il patto formulato diverse ore prima con il mio spirito-guida. Fra i giovani che facevano la fila allo sportello, ne notai infatti uno con evidenti problemi di tossicodipendenza, che scherzava con un gruppetto di amici dall’aspetto non più sano del suo. Mi accorsi subito dell’impressionante somiglianza con Rimbaud: gli zigomi pronunciati, la fronte ampia, i capelli scomposti, un naso all’insù quasi femmineo e due occhi azzurri che erano l’unica parte del suo volto che si rifiutasse di sorridere. Non fosse stato per il fatto che indossava un paio di jeans, si sarebbe detto un ologramma perfetto dell’originale! Da non crederci… Malgrado l’emozione che quell’incontro mi provocò, non fu tuttavia il suo volto, il particolare che più mi colpì di quel ragazzo, dandomi prova che potesse trattarsi di qualcosa di più di una semplice coincidenza. Egli infatti era invalido. Si reggeva su una stampella, poiché era privo di una gamba!
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Questo dovrebbe dirmi qualcosa? Forse non ricorda che Rimbaud morì nel 1891, all’età di trentasette anni, dopo una vita di sregolatezze, nel corso della quale, guarda combinazione, aveva fatto ampio uso di droghe. E vuol sapere quale fu la causa del suo decesso?! Una cancrena al ginocchio, pensi un po’, che gli era costata, poco tempo prima, l’amputazione di una gamba! Sbalorditivo. Può capire, dunque, quanto la cosa mi toccò, facendomi scoppiare in lacrime. Tutto avrei potuto immaginare, in quel mio stupido gioco mentale con un angelo di cui ancora mettevo in dubbio l’esistenza, tranne quello schiaffo ben assestato, in cui la realtà mi veniva mostrata senza filtri romantici, in tutta la sua nudità e crudezza, non solo attraverso l’amatissimo volto del mio poeta, ma anche e soprattutto attraverso il suo dolore. Una lezione che non avrei mai più dimenticato. Questo la spinse a credere? “Allora ci sei davvero!” dissi mentalmente all’invisibile, che a un tratto la mia coscienza aveva trasformato in una presenza effettiva al mio fianco. E, sì, da quell’istante credetti e quando noi crediamo in qualcosa, ecco che finiamo col creare una realtà corrispondente, dandole modo di manifestarsi. L’angelo di per sé non è che pura energia, perciò la sua esistenza è soltanto potenziale, fino al momento in cui non ne prendiamo coscienza, facendolo diventare vero. In seguito a quell’episodio, entrai dunque in confidenza col mio, tanto da incominciare a chiamarlo per nome. 89
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E qual era il suo nome? Fui io a dargliene uno e decisi di chiamarlo Daniel, dando retta all’intuizione avuta anni prima, a Londra, dalla mia amica Lena.
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Dello stesso autore Oltre il cancro. Un percorso in 21 passi verso la salute (Sperling & Kupfer, 2016). Angela Volpini. La via della felicità. Storia delle apparizioni del Bocco (San Paolo Edizioni, 2012). Meditare con l’I:Ching (Editore Edizioni Mediterranee, 2011). La sindrome di Giuda. La depressione come tradimento di se stessi (San Paolo Edizioni, 2011). Dialoghi con l’angelo. Film documentario su DVD (Anima Edizioni, 2009).
Superando le supersƟzioni oscuranƟste, i pregiudizi religiosi e la melassa New Age, questo libro, profondamente ispirato, inaugura una nuova spiritualità della terra, che proieƩa il leƩore in quella che la narratrice chiama We-Age, l’Epoca del Noi, nella quale l’umano viene finalmente celebrato nel suo limite valicabile.
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GiulieƩa Bandiera Giornalista, autrice televisiva e formatrice psico-spirituale, ha lavorato per Rai e Mediaset ed è autrice di numerosi saggi, manuali e biografie. Tiene conferenze e seminari in tuƩa Italia sullo sviluppo del potenziale umano e l’evoluzione della coscienza.
GiulieƩa Bandiera
Una donna sconosciuta scrive all’autrice, dichiarando di essere un angelo dell’Apocalisse e chiedendole aiuto per comporre un libro che racconƟ la sua storia. Incuriosita dal tono autoironico della richiesta, l’autrice acceƩa di incontrare la miƩente e con lei si confronta in una lunga intervista, nel corso della quale i ruoli finiranno per confondersi. Quello con la sua misteriosa interlocutrice diverrà infaƫ, per chi scrive, l’incontro con una se stessa potenziale, archeƟpica (e angelica, appunto) in grado di rispondere a tutte le sue domande.
GiulieƩa Bandiera Amina
l’amore che basta
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Storia (vera) di un’iniziazione, di una ricerca, di una scelta estrema. E di un volo. Verso l’amore che libera.
COPERTINA: disegni di Stefano Tonelli www.stefanotonelli.it