L'incontro con l'altro

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Nella Filosofia della libertà (1894) – in cui l’uomo, “spirito libero entro una comunità umana”, incontra l’Altro, accogliendone i puri concetti – si annunciava già il leitmotiv della socialità che avrebbe percorso l’opera di Rudolf Steiner fino agli scritti sulla triarticolazione dell’organismo sociale, fino alla profondità spirituale e umana delle Massime antroposofiche. Riprendendo gli interventi tenuti al Convegno del Movimento Filosofia della libertà del 2014, Karl-Martin Dietz segue le tracce di questo percorso, scoprendone tutta l’attualità profetica. Karl-Martin Dietz è nato nel 1945 a Heidelberg. Ha compiuto studi di filologia classica, germanistica e filosofia ad Heidelberg, Tübingen e Roma, ha inoltre frequentato la facoltà di scienze economiche. Si è laureato con una tesi sulla filosofia pre-socratica. Dal 1974 al 1980 ha svolto attività di insegnamento presso l’Università di Heidelberg. Nel 1978 ha fondato con Thomas Kracht l’Istituto Friedrich von Hardenberg für Kulturwissenschaften dove, oltre a lavori legati alla scienza dello spirito e a pubblicazioni volte a una presa di consapevolezza del momento attuale, viene sviluppata una “cultura dell’iniziativa basata sul dialogo” che nel corso del tempo si è concretizzata in intraprese economiche e in organizzazioni culturali.

ISBN 978-88-88444-73-4

€ 12,00

9 788888 444734

EDITRICE NOVALIS

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In copertina: foto di Mariaelisabetta Realini

MOVIMENTO FILOSOFIA DELLA LIBERTA`

RUDOLF STEINER

L’INCONTRO CON L’ALTRO

“Importante per il futuro non sarà cercare l’armonia sociale in modo astratto, ritornando sempre al fatto che tutti gli uomini sono uguali per loro natura, ma che gli uomini nella loro individualità imparino a comprendersi anche nelle grandi eterne forze che attraversano le individualità umane.”

KARL-MARTIN DIETZ

L’INCONTRO CON L’ALTRO Il percorso alla socialità nell’opera di Rudolf Steiner Torcegno 4-6 luglio 2014

EDITRICE

NOVALIS

26/05/15 13:51


L’INCONTRO CON L’ALTRO Il percorso alla socialità nell’opera di Rudolf Steiner Giornate di studio condotte da Karl-Martin Dietz



KARL-MARTIN DIETZ

L’INCONTRO CON L’ALTRO Il percorso alla socialità nell’opera di Rudolf Steiner Torcegno, 4-6 luglio 2014

A cura del Movimento Filosofia della Libertà EDITRICE

NOVALIS


Il libro raccoglie le conferenze tenute in occasione del convegno “L’incontro tra uomo e uomo. Il seme della formazione di comunità nell’epoca di un nuovo individualismo”, che si è svolto dal 4 al 6 luglio 2014 a Torcegno (Valsugana), organizzato dal Movimento “Filosofia della Libertà”. Pur mantenendo il carattere discorsivo degli interventi, il testo è stato rivisto e ampliato dall’autore. Non si tratta quindi della trascrizione di una registrazione, ma di una traduzione. Testi base per una corretta comprensione sono la Filosofia della libertà di Rudolf Steiner, i testi di Karl-Martin Dietz, fra cui: Fare antroposofia, I cuori cominciano ad avere pensieri, Iniziativa individuale e impresa. Per una cultura dialogica e gli Atti dei precedenti convegni: Che cosa fa l’angelo nel nostro corpo astrale? e Né del cielo né della terra. Redazione del testo tedesco Christa v. Grumbkow e Clara Dietz Traduzione di Daniela Castelmonte Impaginazione e grafica di Giorgio Catalano Redazione di Daniela Castelmonte e Giorgio Catalano

Tutti i diritti anche di traduzione riservati © 2015 Editrice Novalis, via Angera 3, 20125 Milano www.librerianovalis.it ISBN 978-88-88444-73-4


INDICE

Prefazione.. .......................................................................................................................... 9 Capitolo I

Introduzione. Come si forma una comunità?. . ................... 13 La legge sociologica fondamentale............................................................................ 14 Svolta di valori................................................................................................................... 15 Una “Società per una cultura etica”?. . ...................................................................... 16 Definizione significa: non riuscire a vedere il singolo uomo............................ 17

Interludio 1 Incontro individuale. Una cultura del comprendere............................... 21 Capitolo II

Incontro individuale nel lavoro quotidiano............................ 25 Livello dell’incontro........................................................................................................ 25 Gradi dei Misteri.............................................................................................................. 33

Interludio 2 Altruista?........................................................................................................................... 39 Capitolo III

Interesse agli altri uomini......................................................................... 41 Un nuovo tipo di ascolto.. .............................................................................................. 43 Passare accanto all’altro privi di interesse. . ............................................................. 49 Aumento di interesse per i contemporanei.. ........................................................... 52 Interesse oggettivo per gli errori degli altri uomini............................................. 53 Il cammino di pensiero al Cristo. . ............................................................................... 60

Interludio 3 Pensare i concetti dell’altro. . ................................................................................... 67

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indice

Capitolo IV

Voler comprendere gli altri uomini.. ................................................ 69 1. L’elemento originario della vita sociale............................................................... 69 Senso dell’io o auto percezione.............................................................................. 77 2. Il fenomeno originario della scienza sociale.. .................................................... 82 Un nuovo rapporto dell’uomo con l’uomo....................................................... 85 Istinti sociali e antisociali. . ........................................................................................ 86 Nucleo fondamentale del sociale: l’interesse dell’uomo per l’uomo........................................................................... 91 Vita spirituale: le sorgenti degli impulsi sociali. . .............................................. 92 Nuove comunità: sulla base dell’io umano........................................................ 94

Interludio 4 Modello e ritratto. . ........................................................................................................ 97 Capitolo V

La natura d’immagine dell’uomo..................................................... 99 1. L’influsso dell’altro sulla nostra vita................................................................... 100 Comprendere la sfera sociale in immagini....................................................... 103 2. L’uomo futuro............................................................................................................. 106 La rivelazione in immagine dell’altro uomo. . .................................................. 107 3. Formazione della fiducia. . ....................................................................................... 112 Forza sociale tramite la fiducia da uomo a uomo. . ........................................ 114 Impulso alla fiducia e impulso alle capacità.................................................... 114 Fiducia sociale e libertà. . ......................................................................................... 114 Fiducia quale impulso per la vita sociale.......................................................... 115 Amore e fiducia: i più importanti impulsi morali............................................................................ 115

Interludio 5 Noi siamo nulla............................................................................................................ 119 Capitolo VI

Risvegliarsi nell’animico-spirituale dell’altro uomo.................................................................................................... 121 Rifondere due volte il giudizio.................................................................................. 121 Il piano dell’interpretazione....................................................................................... 122 I quattro significati delle scritture............................................................................ 126 Risvegliarsi nello spirituale-animico dell’altro uomo. . ...................................... 128

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indice

Il culto rovesciato........................................................................................................... 130 Attenzione agli altri uomini........................................................................................ 134

Interludio 6 Le fasi delle idee.......................................................................................................... 137 Capitolo VII

Sguardo su una cultura dell’incontro.. ........................................ 139 Opere di Rudolf Steiner citate nel testo....................................................... 143

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PREFAZIONE

Il testo che segue tratta un tema centrale della vita umana: la formazione di comunità e la cooperazione fra le persone. La vecchia concezione basata su norme e statuti è sostituita da una nuova che si fonda sull’incontro tra uomo e uomo. Per questo nuovo tipo di comunità si trovano moltissime indicazioni specifiche nell’opera di Rudolf Steiner che qui perciò sono ampiamente documentate. Il testo rispecchia quanto è stato elaborato in occasione del convegno del Movimento Filosofia della Libertà che si è svolto a Torcegno (Valsugana) nel luglio 2014. Nella versione scritta si è cercato di mantenerne il carattere discorsivo, integrando però nel testo alcuni aspetti non abbastanza sviluppati a Torcegno, per ragioni di tempo; anche gli “Interludi” e il capitolo finale sono aggiunte successive. Sia il convegno sia la pubblicazione del presente testo non sarebbero stati possibili senza gli sforzi di molti amici. Sono particolarmente grato a Giorgio Catalano (Milano) per l’organizzazione e la gestione del convegno, a Eliana Rossi, Marzia Nenzi e Antonio Di Marco (Trento) per il loro coinvolgimento e contributo, a Christa v. Grumbkow e Clara Dietz (Heidelberg), per la redazione del testo tedesco, a Daniela Castelmonte (Milano) per la traduzione in italiano. Il progetto grafico del libro è di Giorgio Catalano. Ringrazio tutti i partecipanti per le loro stimolanti domande alcune delle quali sono riportate nel testo. Un particolare ringraziamento va alla signora Paulette Prouse e all’Editrice Novalis che nel corso di questi anni ha puntualmente seguito il lavoro dei nostri Convegni, pubblicandone di volta in volta gli Atti. 9



Vedere ciascuno come se lo si fosse visto già cento volte, e vederlo per la prima volta. Elias Canetti, La provincia dell’uomo. Quaderno di appunti 1942-1972, Milano 1978



I

INTRODUZIONE COME SI FORMA UNA COMUNITÀ?

La formazione di comunità basata sull’incontro individuale è una questione di grande attualità, assurta a tema solo nella seconda metà del xix secolo. Prima, diversamente, era chiaro come dovesse funzionare. Un tempo, intorno agli inizi dell’epoca grecoromana, veniva fondata dagli Dei. Si interrogava ad esempio l’oracolo di Delfi, chiedendogli di dare un ordinamento. Oppure ci si affidava a un “saggio”, come Solone di Atene. Nel vi-v secolo a.C. si è passati a pensare in modo autonomo come formare comunità. È il tempo in cui nasce la democrazia in Grecia. Vi è un tratto comune in tutti questi casi: in primo luogo si cerca un ordinamento, una costituzione. Con l’inizio dell’epoca moderna, dunque nel xv-xvi secolo, le condizioni mutarono. Vi era sempre il sovrano, il re per grazia di Dio, ma cresceva l’aspirazione da parte del popolo di stabilire i presupposti della comunità. In parte avvenne con le rivolte, come nelle rivolte contadine al tempo di Lutero; più tardi, partendo dal xviii secolo, con le rivoluzioni. Nella Rivoluzione francese del 1789, e anche nella Costituzione americana del 1776, i rapporti sono di nuovo cambiati. Da allora le basi della formazione di comunità si sono rovesciate, anche se la realizzazione del nuovo si fa attendere a lungo e fino a oggi non è ancora avvenuto pienamente. In tempi precedenti era la comunità l’elemento determinante e il singolo ne era solo una componente. Oggi la visione è capovolta. In anni precedenti abbiamo già parlato della legge sociologica fondamentale di Rudolf Steiner.

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L’incontro con l’altro

La legge sociologica fondamentale All’inizio della civiltà, l’umanità mirava alla costituzione di organizzazioni sociali; all’interesse di queste organizzazioni fu allora sacrificato l’interesse del singolo; l’evoluzione ulteriore porta alla liberazione dell’individuo dall’interesse associativo e al libero sviluppo delle esigenze e delle forze dei singoli. Rudolf Steiner, 1898 - O.O. 31

Un capovolgimento delle condizioni – da Rudolf Steiner visto semplicemente come legge! – Allora nessuno evidentemente notò l’esplosività di questa legge. Neppure gli antroposofi se ne accorsero. Pochi la menzionarono più tardi, e non mi pare neppure che ne abbiano riconosciuto il significato. Indica un rovesciamento nel rapporto del singolo con la comunità. A poco a poco però si diffonde ciò che questa legge descrive, così ad esempio nella Costituzione della Repubblica tedesca. La Costituzione è stata formulata dopo la guerra da un gruppo di intellettuali tedeschi. Erano state chiamate persone che si erano opposte all’ideologia hitleriana. Nel nazionalsocialismo e nel fascismo la regola in vigore era: “Tu sei nulla, il tuo popolo è tutto”. In modo analogo nel socialismo: “Il partito ha sempre ragione”. Dopo la guerra, vi fu un capovolgimento. Nel dibattito sulla Costituzione è stato formulato per la prima volta: “Lo Stato è per l’uomo, non il contrario”1. Si giunse a questo punto come frutto di molte riflessioni, anche in ambito giuridico; in effetti questa svolta si preparava già dal Rinascimento. Si tratta di un’evoluzione molto interessante sulla quale non possiamo però soffermarci. L’elemento determinante non sono più le regole generali, ma ciò che i singoli individui decidono fra loro. Il principio “La comunità si forma attraverso regolamenti” viene sostituito dall’altro principio, “La comunità nasce dall’incontro”, che nella storia dello spirito fa la sua apparizione solo in tem1. Cfr. di Karl-Martin Dietz, „Menschenwürde als innere Freiheit. Eine Herausforderung“, in: Die Drei 3/2013.

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INTRODUZIONE. COME SI FORMA UNA COMUNITÀ?

pi molto recenti, poco più di cento anni fa: nel 1898, nella legge sociologica fondamentale, Rudolf Steiner lo formulò in quel passo poco conosciuto. Fissò così un principio che per noi è di grandissima importanza: la comunità si forma attraverso l’incontro individuale invece che attraverso “condizioni strutturali”. Tutti coloro che vogliono costituire una comunità con l’aiuto di ordinamenti, seguono il principio vecchio; fino a oggi d’altra parte fanno così anche quasi tutte le organizzazioni antroposofiche. Se come primo passo si fa un ordinamento, ci si danno prima le regole e poi si inizia a lavorare. Questo principio è però di “ieri”.

Svolta di valori Va aggiunto poi qualcosa di cui noi tutti, per lo meno di una certa età, ci siamo resi conto anche se non ci è così immediato il nesso con la formazione di comunità. Vi è un’evoluzione sociale che in Germania si chiama “svolta di valori”. È stata osservata a partire dagli Anni ’50 ed è durata venti, trent’anni. Che cosa ha subito una svolta? I vecchi valori sono stati messi da parte e nuovi valori sono subentrati. Quelli vecchi sono ad esempio: obbedienza all’autorità, fedeltà, modestia, amore per l’ordine, puntualità, coscienza del dovere. Retrospettivamente si definiscono: “valori del dovere o dell’accettazione”. Nel frattempo al loro posto ne sono subentrati altri: indipendenza, autorealizzazione, responsabilità individuale, spontaneità, creatività. Sono definiti “valori dell’autosviluppo”. All’inizio alcuni deploravano che i giovani conoscessero troppo poco l’amore per l’ordine, la puntualità, il compimento del dovere; inizialmente si parlò addirittura di “perdita di valori”. Con il tempo è apparso chiaro che al posto dei valori a cui si era abituati ve n’erano di nuovi, condivisi non solo dai giovani, ma in genere dalla generazione attuale (che è la gioventù di allora). La grande differenza fra antichi e nuovi valori è: i vecchi sono generali, i nuovi sono personali. Così abbiamo un esempio di rovesciamento del pensare in relazione sia al singolo che alla comunità. Vi sono a 15


L’incontro con l’altro

volte esagerazioni: che il mio posto di lavoro, la mia ditta sopravviva non fa differenza – la cosa importante è che io mi realizzi. Nasce qui una domanda che storicamente deve essere risolta: come appare la nuova formazione di comunità? In che cosa consiste? – Questa è la formulazione del problema che nei capitoli successivi intendiamo elaborare.

Una “Società per una cultura etica”? I passi che seguono fanno parte di un articolo che Rudolf Steiner scrisse nel 1892. Proprio allora aveva elaborato l’individualismo etico, quando in Germania fu fondata una Società per una cultura etica. Come mai si scaglia con tanta veemenza contro questa Società? Una “Società per la cultura etica” in Germania Solo chi è lui stesso qualcosa, può riconoscere il valore dell’altro. L’uomo mediocre che vuole essere tutto e, pertanto, non è nulla, pretende che solo altri nulla stiano accanto al proprio. Chi vive secondo uno schema vorrebbe che anche gli altri lo facessero. Mentre chi ha qualcosa da dire, prova anche interesse per gli altri. Ma coloro che in realtà non hanno nulla da dire, parlano in favore della tolleranza e del liberalismo. Non hanno in mente niente di più che una casa comune per tutto ciò che è insignificante e scialbo. Non devono però contare su coloro che hanno dei compiti nel mondo. Per questi è penoso che ci si aspetti da loro la sottomissione al giogo di una certa genericità: che si tratti di una regola artistica o morale. Essi vogliono essere liberi, avere libertà di movimento per la propria individualità. Nel rifiuto di qualsiasi norma consiste appunto il tratto fondamentale della coscienza moderna. Il principio di Kant: vivi in modo che la regola della tua azione possa essere universalmente valida, è superato. È stato sostituito da questo: vivi nel modo che meglio corrisponde alla tua natura interiore. Proprio quando ognuno dà alla comunità ciò che solo lui e nessun altro può dare, le avrà dato il suo contributo più grande. Rudolf Steiner, 10.10.1892 - O.O. 31

È immediatamente chiaro contro che cosa si scagli: contro un agire basato su norme generiche. È ciò di cui oggi non abbiamo bisogno. Qui però non dice che cosa debba sostituire norme date 16


INTRODUZIONE. COME SI FORMA UNA COMUNITÀ?

in precedenza. Se aboliamo le norme, ognuno farà quel che vuole? Diventerà chiaro nel corso dell’opera di Rudolf Steiner quel che deve subentrare al loro posto. Vale a dire quello che oggi chiamiamo “incontro individuale”. L’incontro individuale, l’incontro da persona a persona non è solo qualcosa di bello che ci fa sentire bene, ma è necessario se si vuole arrivare a vivere e lavorare insieme. Alcuni se ne sono accorti. Nelle grandi crisi finanziarie a partire dal 2008, alla cui fine speriamo di essere vicini, un giudice costituzionale molto noto in Germania ha sollevato la questione: di che malattia soffre il capitalismo? Si possono immaginare molte risposte: sfruttamento, impoverimento ecc. ma quel giudice ha dato un’altra risposta: “La malattia del capitalismo è che i lavoratori sono visti unicamente come portatori di funzioni e fattori di costo”, sono cioè considerati solo nel loro ruolo e non come individui. “E di questo è malato il capitalismo”2. Spesso si pensa il contrario. Che il capitalismo sia malato perché al suo interno si può fare ciò che si vuole. Non si tratta certo di fare quel che si vuole senza regole e senza norme. Ma qualcos’altro deve subentrare al posto delle norme per rendere possibile la formazione di comunità. Rudolf Steiner ad esempio lo formulava così:

Definizione significa: non riuscire a vedere il singolo uomo La vera spiritualità vissuta diventa individualismo ovunque si trova questa spiritualità. Ovunque l’atto di definire diventa generalità. Quando viviamo la nostra vita, quando incontriamo le singole persone, dobbiamo farlo con il cuore aperto, con la mente aperta verso queste singole persone. Dobbiamo, per così dire, essere in grado di sviluppare una nuova sensibilità umana nei confronti di ogni singolo individuo. Si soddisfanno le esigenze delle persone, solo se ogni individuo viene visto come un essere umano nuovo. Perciò ogni singola persona ha il diritto di pretendere da noi che noi sviluppiamo una nuova sensibilità umana nei suoi confronti. Se invece ci 2. Ernst-Wolfgang Böckenförde, Vom Wandel des Menschenbildes im Recht, Münster 2001.

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L’incontro con l’altro

comportiamo secondo dei termini generici e diciamo che la persona deve essere in un certo modo sotto un certo aspetto, non soddisfacciamo le esigenze degli individui. Con ogni definizione dell’essere umano ci mettiamo infatti degli occhiali scuri, per non vedere l’individuo. 6.10.1922 - O.O. 217

Questo vuole dire che ognuno ha il diritto di essere visto dagli altri con occhi nuovi – una formulazione forte! Che cosa sarebbe infatti vederlo con occhi vecchi? Significa classificarlo: vedo qualcuno e lo colloco nelle categorie che conosco e che sono in vigore, come lavoratore, medico, stipendiato ecc., oppure anche come flemmatico ecc. (Intervento: Se noi parliamo di disporre in categorie, anche questa è una maniera vecchia di pensare. Disporre per categorie è un antico principio).

Classificare un individuo è il vecchio. (Traduttrice: Intendeva dire che il principio di classificare è, di per sé, una cosa vecchia).

Perché deve essere una cosa vecchia? Dobbiamo sapere che cosa non vogliamo più! Non bolliamo nessuno così, al contrario! Descriviamo che cosa avviene, disponendo in categorie. Non ne facciamo una categoria. Quel che descrivo qui ed è contenuto nel testo prima citato, non è un risultato, ma un compito che noi dovremo porci. Nelle consuete “immagini di uomo” che sono di solito molto grossolane, si distingue ad esempio fra un uomo-y e un uomo-x. L’uno è produttivo ed efficiente, l’altro non prende iniziative ed è passivo. Questa categorizzazione è molto diffusa. Se qualcuno si candida per un posto di lavoro viene giudicato in questo modo. Tutto il sistema delle valutazioni, dalle note scolastiche, al giudizio nel mondo del lavoro, a quello privato –tutto quel che vedo nelle persone viene disposto secondo categorie generalizzate e condivise. Non è per forza sbagliato, ma non coglie l’elemento individuale. Riguarda caratteristiche che forse l’individuo possiede, 18


INTRODUZIONE. COME SI FORMA UNA COMUNITÀ?

ma non riguarda l’uomo stesso, la persona. Tutto questo parlare di “immagine di uomo” è in tal senso scorretto. Alcuni parlano di “un’immagine antroposofica di uomo”. Attenzione! Non vi è nessuna immagine antroposofica dell’uomo dai contorni definiti. Quel che c’è è una “conoscenza dell’uomo”. Questa è un’espressione sovente utilizzata da Rudolf Steiner. È una sorta di visione descrittiva con cui intravedo qualcosa, “come” ne parleremo domani. In ogni caso l’ultima frase del testo citato indica molto bene che attraverso il modo in cui pensiamo, definitorio, con concetti rigidi, siamo d’ostacolo a noi stessi nel vedere l’individualità. Quindi non è per “delicatezza” che si scrive una valutazione verbale per i bambini, invece di una pagella con i voti numerici o le note. È qualcosa di completamente diverso (vi è infatti purtroppo anche il caso che sia solo una trascrizione del voto in cifre). Il voto verbale come è stato pensato, è una caratterizzazione della natura dei bambini. E se ogni uomo è un individuo, un essere a sé, non può tale caratterizzazione contenere alcun confronto con altri. Oggi è ancora alquanto inusuale. E quando si cerca di comportarsi in quel modo, come nelle valutazioni delle scuole Waldorf, si deve stare attenti a non ricadere nel vecchio, nell’idea del gruppo, nel lavorare con concetti generali. È un compito di questo tempo arrivare a un diverso tipo di formazione di comunità che riconosca l’individuo come essere unico e non come parte di un collettivo.

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Interludio 1

INCONTRO INDIVIDUALE UNA CULTURA DEL COMPRENDERE – Un intermezzo – L’incontro individuale mette in rilievo la dignità del singolo uomo nel contesto sociale. Si contrappone a manipolazioni e strumentalizzazioni in quanto cerca di comprendere il nucleo spirituale dell’altro uomo (il suo io). L’altro uomo viene compreso come “tu”, non come “esso”. Avviene un allargamento d’orizzonte da entrambe le parti che pone la forza dell’amore al posto degli ostacoli derivanti dalla struttura della personalità.

Individualità Nell’incontro individuale si cerca l’equilibrio fra l’affermazione di sé e l’attenzione all’altro, fra il rischio di un inasprimento del sé e quello della sua dissoluzione. Solo quando il singolo viene preso sul serio può partecipare attivamente alla comunità secondo una misura d’uomo. Di questo fa parte anche il fatto che ognuno prenda sul serio se stesso e si ponga ad esempio la domanda: come influisco sull’uno oppure sull’altro? Quale influenza (magari inavvertita) esercito sugli altri? Come arriviamo da entrambe le parti a vivere con autenticità? Una idea-chiave può essere in questo senso ciò che Pico della Mirandola scrisse nel suo Discorso sulla dignità dell’uomo, dove Dio creatore parla con l’uomo (Adamo): La natura degli altri esseri, stabilita una volta per sempre, è costretta entro leggi da me fissate in precedenza. Tu invece, da nessun angusto limite costretto, determinerai da te la tua natura secondo la tua libera volontà, nel cui potere ti ho posto. Ti ho messo al centro del mondo perché di lì più agevolmente tu possa vedere, guardandoti intorno, tutto quello che nel mondo esiste. Non ti ho fatto né del cielo né della terra,

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Incontro individuale una cultura del comprendere

né mortale né immortale, perché tu, come se di te stesso fossi il libero e sovrano creatore, ti plasmi da te secondo la forma che preferisci. Tu potrai degenerare abbassandoti sino agli esseri inferiori che sono i bruti, oppure, seguendo l’impulso del tuo animo, rigenerarti elevandoti agli spiriti maggiori che sono divini. Pico della Mirandola, Oratio de hominis dignitate

Spazio d’incontro Quale cellula iniziale del sociale, l’incontro individuale fra gli uomini crea uno spazio d’incontro. Senza spazio d’incontro si arriva facilmente al fenomeno noto nella società odierna: alla “solitudine nella massa” (Gunter Anders) al “mancato incontro” (Martin Buber), all’aggressione reciproca e soprattutto alla meccanizzazione e all’individualizzazione negata del sociale (Eric Fromm). Le forme per evitare l’incontro sono conosciute da tempo e vengono nascoste in modi a volte raffinati, ad esempio nei call-center. Se si vogliono creare condizioni umane che durino nel tempo, occorre un incontro fra individui che sia libero da scopi e metodi. Si tratta di non voler imporre a qualunque costo che ciò che è proprio (sensibilità, vissuto), ma di fare un passo indietro in una sorta di catarsi e da lì creare il rapporto con l’altro. Lasciare che l’altro esprima la propria specificità è la sfida che si trova nello spazio di possibilità dell’incontro individuale. E che si trasforma nella cellula iniziale di qualunque formazione di comunità. Come frase- chiave di questa concezione della formazione di comunità possono essere considerate le parole di Vàclav Havel: Libertà nel suo senso più profondo significa di più che poter dire senza riserve ciò che penso. Libertà significa anche che guardando l’Altro, posso immedesimarmi nella sua situazione, rivivere la sua esperienza, guardare dentro la sua anima e attraverso questa comprensione partecipe riuscire ad accrescere la mia libertà. Che cos’è quindi la comprensione reciproca degli altri se non un accrescimento della libertà e un approfondimento della verità? Václav Havel, Discorso tenuto di fronte al Bundenstag tedesco, 24 aprile 1997

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INCONTRO INDIVIDUALE. UNA CULTURA DEL COMPRENDERE

L’incontro individuale in questo senso non è solo più bello, piacevole e “umano”, ma rende tollerabili le relazioni reali anche nel mondo del lavoro. Dove regna una cultura dell’incontro individuale ogni disattenzione, errore, imperizia non diventano immediato motivo di conflitto. La soluzione dei conflitti è diventata oggi sempre più necessaria e sempre più spesso richiesta (mediazione). Dipende probabilmente dal fatto che i rapporti sociali sono divenuti negli ultimi decenni sempre più impersonali, sterili e meccanici. Quando l’incontro individuale viene curato in modo cosciente, l’effetto si ripercuote sui rapporti sociali nel loro complesso. A che cosa dovrà pensare in particolare chi vuole contribuire consapevolmente allo sviluppo di una cultura dell’incontro? Che cosa posso fare, partendo da me, per aprire uno spazio all’incontro e mantenerlo? Occorre un’atmosfera sociale di stimolo (invece che di critica), di incoraggiamento (invece del controllo) e di attitudini (invece della selezione), e discussioni aperte rispetto alle situazioni, ai problemi e alle idee. Tutto questo presuppone che io sia pronto e in grado di staccarmi dall’orientamento soggettivo di idee e sensazioni (che cosa è meglio per me?). Queste sono grosse richieste che il singolo può porre solo a se stesso. Non può essere infatti ordinato, naturalmente. Come ci liberiamo quindi del “deserto di ghiaccio dell’indifferenza” (Frithjof Bergmann, Die Freiheit leben, Freiburg 2005)? Come curiamo una cultura della comprensione che possa diventare anche accordo?

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II

INCONTRO INDIVIDUALE NEL LAVORO QUOTIDIANO

Abbiamo cercato di aver chiaro in che cosa consista oggi il compito della formazione di comunità (capitolo I). Vàclav Havel nel suo discorso (v. Interludio 1) indica con uno stile conciso, ma acuto, di che si tratti. Ma non dice come procedere nella pratica. Possiamo interrogarci sulla pratica, iniziando però a sviluppare una nuova formazione di comunità, capace di essere feconda fino nella cultura d’impresa.

Livello dell’incontro La prima questione è: che cosa vogliamo in effetti dalle persone? Che funzionino? – Questo è stato finora l’aspetto fondamentale nella conduzione d’impresa. Si pretendeva che i lavoratori mostrassero competenza e funzionassero bene. Che cosa ci aspettiamo ora da loro? – Ad esempio che si facciano venire in mente qualcosa. Che non aspettino finché un superiore non abbia buone idee, spesso poi troppo lontane dalla realtà dei fatti. Come arriva dunque il singolo a trovare buone idee nel suo posto di lavoro, a svilupparle e a verificarle? La seconda è: se non si deve e non si vuole aspettare indicazioni dall’alto, allora è necessario lo sguardo d’insieme sul tutto. Si deve sapere quale significato abbia nel tutto quel che si fa nel particolare. Non serve conoscere l’impresa in tutti i dettagli. Non funziona così. Questo non riesce a farlo nessuno, neppure un capo, il quale deve però chiarirsi quotidianamente quale significato sia connesso al tutto. Non può limitarsi a pretenderlo, ma attraverso il proprio lavoro contribuire a dargli forma. Allora ha luogo una rivoluzione nel rapporto del singolo con il tutto. Finora era normale che l’intera 25


L’incontro con l’altro

impresa fosse un dato prestabilito. In un’impresa moderna il singolo ha senz’altro spazi di libertà e lavorare è diventato perciò più piacevole. Ma qui si tratta di qualcosa di diverso. Si tratta del fatto che il singolo con la propria opera contribuisca al tutto, a dargli forma. Per la libera realizzazione di un dato contesto vi è il concetto di “sussidiarietà”. La sussidiarietà sta alla base della dottrina sociale cattolica e caratterizza ad esempio anche il rapporto fra l’Unione Europea e gli stati membri. Vi sono condizioni del contesto già date al cui interno vi sono spazi liberi. Non è quel che è in gioco nella nuova formazione di comunità, lo è invece che ogni singolo contribuisca, muovendosi all’interno del tutto, al suo ulteriore sviluppo. (Domanda: Non è un problema educativo, legato all’educazione ricevuta?)

Questo è il punto successivo di cui vorrei parlare. (…e anche alla decisione di volerlo fare.)

Sì, esatto – vi sono molteplici esigenze nell’educazione delle capacità. La prima è la propria forza formativa, la creatività. La seconda è lo sguardo sull’insieme e il contributo a formarlo. La terza esigenza è assumere la responsabilità pratica per il tutto. Certo posso sempre lavorare solo per il mio circoscritto ambito di competenza; ma ho presente che la responsabilità per il mio settore è qualcosa di diverso da quella per tutta l’impresa. Queste sono le tre esigenze più importanti: forza formatrice, sguardo d’insieme e assunzione di responsabilità. La direzione d’impresa doveva realizzare tutto questo anche prima, ora lo deve fare ogni singolo. Se si continua invece come si lavorava di solito, vale a dire con direttive che piovevano dall’alto, le cose non funzionano. Le direttive spengono la forza formativa individuale, lo sguardo d’insieme e l’assunzione di responsabilità. Quel che tiene insieme un’impresa del vecchio ordine sono le condizioni obbligate e le linee di comando che non servono più a nulla se si vogliono sviluppare creatività personale, responsabilità e capacità conoscitive, e che devono essere sostituite da qualcos’altro. Noi lo abbiamo elaborato 26


Incontro individuale nel lavoro quotidiano

nel corso di alcuni anni e lo abbiamo chiamato “incontro individuale”, dove si incontrano persone e non astrazioni. In un’impresa del vecchio tipo in certi casi non è neppure auspicabile che le persone si incontrino, perché - così si pensa – distoglie dal lavoro. Occorrono situazioni nelle quali sia possibile prima di tutto un lavoro strutturato individualmente. Se voglio entrare in contatto con un collega, devo imparare a conoscerlo come uomo, non solo nella sua funzione. Devo sapere quali siano le sue esigenze. E qui sorge naturale la domanda: come si fa? Abbiamo distinto alcune dimensioni dell’incontro:

Interesse Per prima cosa mi devo interessare all’altro. Se non mi interesso delle altre persone, non accade nulla. E non si può fingere interesse, recitare. Devo interrogare attentamente me stesso. Ci si può domandare ad esempio quando è stata l’ultima volta in cui ci si è interessati di un’altra persona. Vi sono risposte che ritornano spesso. Una è: non riesco a ricordare. Un tempo mi interessavo del mio compagno/a prima che ci sposassimo. Ma era molto tempo fa. Un’altra possibile risposta: sì, ancora ieri mi sono intrattenuto con la nuova collega. È arrivata una nuova collega e ho chiacchierato con lei una mezz’ora nel caos dell’ufficio. Di lei mi sono interessato. Allora si potrebbe chiedere ancora: come mai ti sei interessato di quella signora? Potrebbe essere che me ne sia interessato perché è così “dolce”. Era interesse all’altro? Era interesse a me stesso. Certo, di recente però ho parlato anche con una signora che non era affatto “dolce”, era un’arpia. Allora mi sono interessato di quella persona! Anche qui posso domandarmi come mai. Ad esempio perché aspetto che compia bene il suo lavoro, che faccia ciò che mi serve. Mi sono interessato di questa persona? Vi sono molte possibilità di non interessarsi agli altri come persone, benché possa sembrare che ci si interessi. (Domanda: Se ci si interessa agli altri perché insieme si vuole che vi sia un successo e che si possa così mantenere il proprio lavoro?) 27


L’incontro con l’altro

Non è autentico interesse all’altro come persona, ma perché si persegue uno scopo comune. Vogliamo procedere in senso individuale e non collettivo o definitorio, come si diceva poco fa. Vogliamo incontrare il singolo. Se fissiamo caratteristiche generali non vi è interesse alla sfera individuale dell’altro; è tutto preordinato. Ma non crea il presupposto per considerarci individualmente l’un l’altro. Che cosa potrei fare allora? Voglio incontrare individualmente l’altro, quella precisa persona con la quale ho a che fare. Che cosa posso fare? (Risposta: Aspettare che l’altro parli? Fino a che non si esprime?)

Significa che potrei sperimentare, per esempio, quel che l’altro pensa, quel che sente o che vuole. L’approccio è dapprima solo “interesse”, di che cosa mi posso interessare? Ad esempio di ciò che l’altro pensa. Posso dire: siamo di fronte a una situazione che non abbiamo mai incontrato. Che cosa ne pensate? Qui l’interesse si esprime già nel porre una domanda. Quanto spesso accade che si ponga una domanda? Partecipate a una riunione e viene affrontato un tema: ponete una domanda oppure esprimete la vostra opinione? Oppure, conversando con un altro, questi dice qualcosa e di rimando anche voi dite qualcosa. In situazioni di questo tipo non vengono portati interessi specifici. Il primo passo per giungere a un incontro sarebbe il cosciente uso dell’interesse da parte mia verso l’altro, seguendo una via sicura: porre all’altro domande. Devono naturalmente essere domande alle quali mi interesso realmente. L’altro dice qualcosa, e io penso: “Oh per amor di dio, quante volte l’ho già sentita!” O non chiedo neppure perché so già che cosa risponderebbe. Lo si sperimenta spesso nelle riunioni; si arriva alla porta, si vedono i colleghi che ben si conoscono là seduti e si pensa: “Chissà chi dirà di nuovo la stessa cosa?” E poi la dice davvero! Possiamo spezzare questo fronte del disinteresse? Questa è la grande domanda iniziale. Come mai è stato innalzato questo muro? La causa va trovata negli schemi di pensiero, nei pensieri già pronti che 28


Incontro individuale nel lavoro quotidiano

porto con me dalle esperienze del passato alle quali sono rimasto fermo; nei blocchi emotivi. Quando accade qualcosa, le mie reazioni seguono sempre una direzione preordinata. A questo punto devo già liberare il mio pensare, sentire, volere; non è affatto semplice perché è necessario aver riconosciuto le proprie idee preconcette, ed è già un compito.

Comprendere Tutto questo va compiuto per avere un reale interesse, ma ora si stratta di andare oltre. La domanda è stata posta: che cosa pensate in merito a…? L’altro risponde e forse io penso: “Come si può concepire una stupidaggine simile?” Di rado accade che ci si entusiasmi di ciò che pensa un altro. Come mi comporto allora? Vi sono diverse possibilità: sono una persona educata e rimango zitto, ma il mio interesse è svanito. Oppure sono un po’ istintivo e cerco di convincere l’altro, provo a controbattere. Non serve assolutamente a nulla, naturalmente. L’altro non ne vuole sapere. Il processo dell’incontro è già finito. Potrei dire invece, quando l’altro esprime qualcosa che ritengo sbagliato: “Secondo me è sbagliato, ma mi interessa sapere come ci sei arrivato”. La domanda non è più: “Che cosa pensi?”, ma “Perché lo pensi?” Lo ritengo sbagliato come prima, non devo per forza trovare tutto fantastico, ma ho un’eccellente domanda: come si può pensare ciò che ha detto l’altro? Se mi spiega come vi è arrivato, posso esserne convinto oppure no – di solito no – e chiedere ancora: “Hai tenuto presente anche questo o quell’aspetto?” Nell’intero processo si verifica qualcosa che si può definire: volere comprendere l’altro. Lo scopo non è correggerlo, ma immedesimarsi in lui. (Domanda: Dunque è così: si domanda e ancora si domanda e si domanda come ci sei arrivato, semplicemente come ci sei arrivato?)

Non devono essere domande puerili. Si riceve una risposta in seguito alla quale si domanda di nuovo, se non si è soddisfatti. Vale a dire: mi immedesimo del tutto nell’altro con un sacrificio consapevole. Non lo faccio perché ho il gusto di fare domande 29


L’incontro con l’altro

fini a se stesse, ma perché vorrei imparare a conoscere il mondo di pensieri dell’altro, lo vorrei sondare, vorrei arrivare al punto dove capisco perché è così. Vorrei scoprire il punto in cui il suo e il mio pensiero si incontrano, e non posso conoscerlo prima, non posso neppure stabilirlo volontariamente, posso solo cercare di sperimentarlo avvicinandomi ai pensieri dell’altro con prudenza, delicatezza e con grande dedizione. Può essere allora che affiori, che nasca qualcosa di comune anche se il contenuto delle opinioni diverge, vale a dire il motivo che sta dietro le affermazioni dell’altro. Un’esperienza di questo tipo l’ho vissuta una volta in modo molto evidente: durante una serie di incontri serali che si svolgevano con regolare periodicità, un anziano signore portava sempre la medesima richiesta molto generale, e poiché di solito nessuno se ne interessava, egli era sempre più esasperato. Lo sapevamo tutti: la serata era rovinata! Era una situazione molto spiacevole che si verificava puntualmente. Una volta toccava a me condurre l’incontro ed egli intervenne come sempre. La sua era una richiesta reale; non era ironico, né chiacchiere, era una richiesta reale, ma troppo vasta. “Lo sappiamo, ma va oltre il nostro tema”. L’uomo era pieno di disperazione, gli era impossibile smettere, anche se gli altri glielo avevano chiesto a più riprese. Quella sera la responsabilità era mia e dissi a me stesso che non potevo semplicemente lasciare che accadesse, né aveva senso contraddirlo. Gli chiesi allora: “Caro Signore, da quando la conosciamo, lei dice ogni volta sempre la stessa cosa. Evidentemente è un’esigenza per lei. Io mi chiedo che cosa vi sia in effetti alla base, quale sia il motivo della sua richiesta. Che cosa vuole in realtà continuando a esprimere questa richiesta?” Rimase molto perplesso perché non glielo aveva mai chiesto nessuno. Gli presentai un’ipotesi su quale poteva essere il motivo reale dietro alla sua richiesta continuamente ripetuta. Rimase completamente disarmato e disse: “Sì, è questo il motivo”. Era un motivo che comprendevo molto bene, a non l’avrei mai portato a espressione in quel modo strano e insistente. Da quella sera smise, almeno per molto tempo. 30


Incontro individuale nel lavoro quotidiano

Questo era un esempio del fatto che in un tentativo di comprendere gli altri in atteggiamenti contrastanti possono emergere motivi comuni. (Domanda: Quel signore ha poi ammesso il motivo, lo ha detto?)

Sì era un nobile motivo, ma lo aveva sempre formulato in modo così caparbio e unilaterale. Magari non lo si fa in modo cosciente, ma può accadere che ci si esprima così. È un esempio di quel che qui è inteso come secondo livello dell’incontro individuale: voler comprender l’altro.

Fiducia Se il colloquio prosegue, può emergere ancora un terzo aspetto. Mentre su un primo livello (“Interesse”) nascono domande e contro domande, sul secondo (“Comprendere”) ci si incontra sui motivi del pensare, oppure sul modo di porre le questioni. Vale a dire, ci si accorge all’improvviso che si è formulata la medesima questione. Che fino ad allora nessuno aveva espresso. Immaginate che qualcuno presenti una grossa questione conoscitiva. E che l’altro lo guardi e dica: anch’io me lo chiedo da trent’anni. Allora l’incontro raggiunge un nuovo stadio. I due si sono incontrati come persone in divenire, in evoluzione. Hanno scoperto l’uno nell’altro un nuovo strato di realtà: qualcosa che non è ancora maturo, che si trova nel futuro. Nel colloquio con l’altro e tramite l’altro scopro una realtà spirituale. Qui vi è qualcosa che non è ancora divenuto terreno, non ancora del tutto solido. Normalmente ci incontriamo provenendo dal passato: chiedo e l’altro mi risponde secondo quel che portiamo con noi. E ora ci accorgiamo entrambi che noi oltre a questo essere del passato - scuole frequentate – lingue imparate – studi – esperienze professionali – abbiamo dell’altro. Che vi sono anche in noi cose che risiedono nel futuro, che ci arrivano dal futuro. Non si incontrano solo gli uomini attuali plasmati dal passato, ma uomini futuri e ne può nascere una salda fiducia reciproca. 31


L’incontro con l’altro

Attenzione 1 Vi può essere ancora un quarto livello, ma non lo si può prevedere o “stabilire” in precedenza. Inizialmente volevo l’altro diverso da come è. Il motivo del mio interesse era forse che trovavo qualcosa di bizzarro in lui. ora però mi accorgo: l’altro deve essere così com’è; si tratta di accettarlo come è. Questo significa incontrarsi in una sfera dell’elemento individuale che va oltre quello personale. Non si tratta più di chiedere i pensieri o di sentirsi dentro il mondo dell’altro, ma si tratta di essere “attenti” all’altro così com’è. Non solo rispettare che sia diverso, ma accorgersi che deve essere così com’è. Fa parte del suo destino. Sperimentiamo le situazioni colme di destino nelle quali entrambi ci troviamo. Qui inizia la questione karmica, la prima domanda che ci poniamo: come ci siamo trovati in realtà? E ne consegue l’altra: che cosa facciamo ora? È la continuazione dell’incontro individuale! E può essere persino un bene che non capiti, non posso preordinarlo, né stabilirlo. E quando riesco a ri-pensare, a ri-sentire, a ri-volere i pensieri, i sentimenti, i moti di volontà dell’altro, ho già raggiunto un enorme risultato. È già qualcosa? Indubbiamente, non devo però guastare la situazione dell’incontro: sarebbe infatti un errore sovrastimare i pensieri, sentimenti, direzioni di volontà che porto con me; devo al contrario sviluppare dedizione, una dedizione attiva. Se per me è indifferente ciò che accade, tutto questo non accade. Si tratta di una dedizione che poggia su una forte attività. Sembra una contraddizione: o si accoglie o si è attivi. Un’attività realmente spirituale è diversa: occorre l’attività interiore per creare uno spazio comune di costruzione. Quel che ho illustrato qui posso riferirlo a qualunque forza direttiva di un’impresa economica. Infatti quasi tutti hanno avuto esperienze che vanno in questa direzione, anche se forse non le 1. Il termine tedesco “Achtung” ha un significato più ampio dell’italiano “attenzione”, significato che include in modo più evidente un senso di rispetto, apprezzamento, riconoscimento.

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Incontro individuale nel lavoro quotidiano

avevano notate coscientemente. Ed è illuminante che sia questo il punto di partenza per la formazione di comunità. Nel mondo economico i rapporti reciproci significano di regola: l’uno sa più dell’altro oppure vuole qualcosa dall’altro. Vi sono poi situazioni di disinteresse in cui si finge, dicendo: “Quel che hai detto, caro collega, è davvero bello, mi interessa molto, caro collega”. Non contribuisce alla formazione di comunità perché non è sincero. Si può invece dire a qualcuno: “Quel che hai detto mi suona strano, ma vorrei capire come ci sei arrivato”. Il presupposto è che si voglia davvero capire. E questo “voler realmente capire” è la porta d’ingresso all’incontro individuale dal quale molte altre cose possono divenire. (Intervento: Forse non ho compreso bene la parola “Motivo”. Si tratta del contenuto, di ciò che la persona dice, oppure il motivo sta dietro le sue affermazioni?)

Quest’ultima, quindi: motivo in senso filosofico. La fonte del pensiero in filosofia si chiama motivo. Ora vorrei aggiungere ancora un altro pensiero.

Gradi dei Misteri Quel che è stato fin qui presentato non sono solo i diversi piani dell’incontro. Va compreso con chiarezza come si fondano uno nell’altro e conducano a un modo di incontrarsi sempre più profondo. Hanno il carattere di gradi dei Misteri, come abbiamo visto in incontri precedenti, ma ne parlerò brevemente ancora una volta. Mi riferisco ai Misteri greci di Eleusi che in parte ci sono noti. Non conosciamo tutti i dettagli, sappiamo però quali passi venivano compiuti. Il primo è: conoscere di che cosa si tratta; si chiama “Preparazione”, in greco mýesis. Era un passaggio piuttosto accessibile: veniva raccontata la storia di Demetra e di sua figlia Persefone, che erano al centro dei Misteri di Eleusi. Il mito era raccontato e illustrato in un grande spazio aperto, in una piazza di Atene, e vi prendevano parte moltissime persone (1). 33


L’incontro con l’altro

I gradi dei Misteri 4. Compimento Unione

teleuté hénosis

3. Illuminazione Visione

photismos epopteia

2. Purificazione

kátharsis

1. Preparazione

mýesis

Un passo successivo era quello di liberarsi del vecchio rivestimento dell’io, quindi dell’abituale modo di pensare e di sentire, dei propri blocchi emotivi e di ciò che ne fa parte. Ne parleremo ancora in contesti diversi. La domanda qui non è così singolare: che cosa mi rimane se scarto tutto questo? Vivo tutto il giorno e tutti i giorni con determinati pensieri che mi sono stati impressi oppure che mi sono impresso. Lo si può sperimentare una volta, chiedersi quali pensieri si sono pensati quel giorno. Occorre un po’ di pazienza, ma lo si può fare: bastano cinque o sette pensieri formulati nella giornata. Bisogna porli di fronte a sé e chiedersi: da dove hanno tratto origine? Ci si può imbattere allora in scoperte singolari, constatando con quali pensieri si vada in giro – non sono poi così tanti e sempre gli stessi. È qualcosa di cui non ci si accorge nella quotidianità, è un atto di autocoscienza. La stessa cosa vale nell’ambito dei sentimenti. Nella tradizione degli antichi Misteri si chiama “Purificazione”. Purificazione della vita dell’anima che devo fare io stesso. Voi non potete purificare la mia vita dell’anima né io la vostra. Così siamo al secondo gradino (2). Poi nei Misteri di Eleusi arrivava un terzo livello di esperienza spirituale. Emergono cose nella mia coscienza che probabilmente c’erano anche prima di cui però non mi accorgevo. Nei Misteri divengono visibili azioni divine; al loro posto nella vita di pensiero dell’epoca moderna divengono visibili i nessi che indicano anche il futuro: cause, conseguenze, possibilità. Negli antichi Miste34


Incontro individuale nel lavoro quotidiano

ri questo passo si chiama “Illuminazione” o “Visione”, in greco: photismos, epopteia (3). Perché illuminazione? Qualcosa che prima era scuro diventa chiaro, così si può vedere quel che prima non si era visto. È quel che succede di fronte a un compito di matematica: lo si legge e si rilegge e non se ne viene a capo, si ricomincia di nuovo, si fa una pausa e si ricomincia e poi ancora e infine: “Ci sono!” Dopo appare proprio un’idea semplice, eppure è stato necessario così tanto tempo! Questa è l’illuminazione. Mi si illumina qualcosa che c’era già, ma non mi arrivava alla coscienza, cioè un’apertura verso il futuro. Ho sperimentato me e gli altri come un’organizzazione chiusa e ora mi accorgo: qui è molto più aperto che chiuso. Il gradino successivo era: “Compimento” o “Divenire uno”. A Eleusi si sperimentava l’unione con la divinità dei Misteri. I Greci chiamavano “henosis”, cioè “diventare uno” (hen è uno), quel che in latino è communio (4). In seguito la Messa della chiesa cattolica ha adottato questi gradi. Lettura del Vangelo: viene narrata la Storia (1). Offertorio: nelle offerte oggi ci si separa soltanto del proprio denaro, ma si intende qualcos’altro, una purificazione dell’anima (2). Consacrazione, transustanziazione: pane e vino terreni diventano sostanza spirituale (3). E infine Comunione: l’uomo si riunisce a Dio (4). È, tratteggiata in breve, una ricapitolazione dello scorso anno 2. Ma ci aiuta a considerare seriamente l’incontro individuale che è alla base della futura formazione di comunità, distinguendolo da norme, regole e tutto il resto. Infatti anche qui non è importante eseguire un passaggio dopo l’altro, ma una completa conversione interiore. La prima conversione si trova già all’inizio del primo livello (“Interesse”), quando mi dico coscientemente di volerlo sperimentare più da vicino. Non lo devo fare! È la mia libera volontà ed è collegata a un lavoro su me stesso. Invece di interessarmi a ciò che porto con me, alle idee fantastiche che mi vengono in mente, 2. Cfr. di Karl-Martin Dietz Né del cielo né della terra, Edizioni Novalis, Milano 2014.

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L’incontro con l’altro

mi interesso a ciò che mi viene incontro. Il successivo capovolgimento interiore avviene poi dal primo al secondo livello (“comprendere”). Senza questa conversione interiore giudicherò quel che l’altro mi racconta dal mio punto di vista: sono infatti capace di giudicare, so che cosa è bene e che cosa è male, che cosa funziona e che cosa no. È normale che sia così, però in questo modo non avviene alcun incontro individuale. L’altro non impara nulla e io neppure: se rimango chiuso in me stesso non ha luogo l’incontro. La successiva conversione è dal secondo al terzo livello (“Fidarsi”). Mi devo separare da quel che giunge dal passato, devo decidere di aprirmi verso il futuro. Nella Messa è il momento della “Consacrazione, Transustanziazione”: la trasformazione di quanto è stato offerto, del pane e del vino da una parte, del mio sapere, delle mie opinioni e atteggiamenti dall’altra. Tutto ciò che so al terzo gradino non è più per me stesso. È solo la base per ciò che di spirituale mi verrà incontro. Al quarto livello dal divenire uno viene una nuova, comune entità (“Attenzione”); e possibilmente non solo per quel che riguarda il pensare e il sentire, ma anche l’agire dell’altro. A questo livello noi possiamo operare insieme persino in situazioni complesse, come per esempio nel Collegio di una scuola, o in un’impresa, in situazioni quindi dove qualcosa è in gioco. Questo intendo con “complesse”. Possiamo operare insieme in piena armonia, senza dover prima stabilire un consenso nelle opinioni. Possiamo avere visioni diverse su questo e su quell’argomento, ma se abbiamo fatto una reale esperienza di incontro, abbiamo raggiunto un risultato comune. Questo è l’elemento capace di sostenere una comunità, altrimenti si ricerca sempre il consenso. Quando ci si accorge che non lo si può trovare, si cercano accordi e maggioranze: chi è a favore, chi è contrario, per arrivare a un risultato netto. Non può venirne concordia fra le persone, ma al massimo rassegnazione. Non vi è neppure alcuna comprensione reciproca, semplicemente un partito ha vinto, dove di solito entrano in gioco anche il caso o l’atmosfera del momento. Un accordo di maggioranza non offre nessuna base per l’agire comune. Quando invece si prendono 36


Incontro individuale nel lavoro quotidiano

i livelli dell’incontro come punto di partenza dell’agire comune, non occorre più un consenso di opinioni. E quale organizzazione è necessaria per produrre presunti consensi di opinione! Si inizia con il mercato dei voti, che non è tanto raro quanto si pensa. Si arriva addirittura alle minacce: “Se mi contrasti allora…” non si dice apertamente, ma non è così raro. Oppure si cerca di convincere l’altro, di manipolarlo. Così si arriva a risultati evidenti. Ogni votazione numerica in un collegio raggiunge un risultato netto; ma nel tempo affiorano i limiti di quel risultato, perché la questione era mal posta oppure si era tralasciato qualcosa. La maggioranza ottenuta non serve più, ma è troppo tardi! Oppure si inizia da capo, ma l’intero processo è stato un fallimento. Se al contrario si procede in senso dialogico, allora si ottiene un risultato durevole. Il processo decisionale andrebbe analizzato in altre sedi, non possiamo farlo qui, è un altro tema. Ma sulla base dell’incontro individuale vengono alla luce affinità portanti , comunità e forme del lavoro insieme. Oggi sempre più persone se ne accorgono: l’incontro individuale è diventato la cellula germinale per tutta la formazione di comunità. L’incontro individuale nei suoi quattro livelli è da una parte un vero elemento di vita pratica, dall’altra accenna a qualcosa sullo sfondo dei gradi dei Misteri che va oltre se stesso. Dove porti, che cosa sia, lo vedremo in seguito.

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