Liberi dal dogma

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Tom Ravetz Dopo aver completato la propria formazione al sacerdozio per la Comunità dei Cristiani a Stoccarda e aver studiato teologia presso l’Università di Aberdeen, Tom Ravetz, ha svolto la propria attività sacerdotale in Germania, nel Regno Unito e in Irlanda. Numerose sono le pubblicazioni e le conferenze che ha tenuto in merito a svariati argomenti di carattere teologico e spirituale. Prezzo 12,00 euro

Tom Ravetz Editrice Novalis

Liberi dal dogma costituisce un prezioso strumento per una più approfondita conoscenza della teologia della Comunità dei Cristiani, fornendo nel contempo interessanti spunti di riflessione sugli aspetti essenziali della vita religiosa in genere. Nella prima parte del volume, Tom Ravetz si interroga in merito a Dio, Trinità, Incarnazione, Spirito Santo e sul Male e la sua Redenzione. Nella seconda parte, Ravetz concentra la propria attenzione sugli aspetti che contraddistinguono e definiscono i compiti e la struttura della Comunità dei Cristiani che, rispetto ad altri movimenti religiosi, non richiede ai suoi membri l’accettazione di specifici dogmi o l’adesione a particolari visioni del mondo. Presente in molti Paesi, la Comunità dei Cristiani è stata fondata nel 1922, con l’aiuto fondamentale di Rudolf Steiner che, con l’Antroposofia, ha posto le basi per un rinnovamento conoscitivo della vita spirituale.

Liberi dal Dogma

Liberi dal Dogma Copertina_Scelta 22/06/15 17:34 Pagina 1

Tom Ravetz

Liberidal Dogma Riflessioni teologiche nella Comunità dei Cristiani




Tom Ravetz

Liberi dal dogma Riflessioni teologiche nella ComunitĂ dei Cristiani


Titolo originale Free from Dogma: Theological Reflections in The Christian Community

Traduzione Worldbridge Servizi Linguistici revisione a cura di Paola Stiore

Copertina di Andrea Astolfi Grafica Idein Copy editing Margeaux Santarelli

Questo volume è stato stampato presso Andersen Spa Via Brughera IV, 28010 Boca (NO)

Copyright© 2009 Tom Ravetz - Floris Books Copyright© 2015 – Editrice Novalis, Via Angera 3, 20125 Milano www.librerianovalis.it

ISBN 978-88-88444-74-1


INDICE Prologo

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Introduzione

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Non ardevano forse i nostri cuori dentro di noi? Teologia nel divenire (19). Il mondo moderno (23)

Parte I

L’esperienza di Dio

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1. Dov’è il tuo Dio adesso? Fede in Dio dopo “la morte di Dio” Dio, fondamento dell’essere Che differenza fa se Dio ha creato il mondo?

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2. La Trinità: una dottrina nata dall’esperienza Il IV secolo L’immagine di Dio L’immagine come archetipo

45 49 51 56

3. Il Guaritore Ferito Supereroe Cristo l’eroe La speranza del Messia

58 58 61 63

4. Veramente Dio e Veramente Uomo Comprendere gli estremi Figlio dell’Uomo ... ancora dormite...

66 68 71 73 5


5. Lo Spirito Santo Afferrare lo Spirito Umano e Santo La Koinonia Lo Spirito dell’evoluzione

76 81 82 84 85

6. Il male richiede la sua Redenzione Male Male Ribellione e redenzione

87 89 92

Parte II

La Nuova Comunità

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7. L’icona della Nuova Comunità La Comunità dei Cristiani La comunità della seconda venuta

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8. La Via nella Nuova Comunità La via dentro l’io Il viaggio verso casa La vita come viaggio La Consultazione Sacramentale Perdono La pedagogia divina

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9. L’Atto di Consacrazione dell’Uomo la Celebrazione della Nuova Comunità La cena Liberarsi e accogliere Il sole tra i sette sacramenti

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6

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10. Il Sentiero Biografico nella Comunità di Cristo Battesimo Confermazione Appartenenza Congedarsi dalla comunità terrena Celebrare la comunità della vita

139 141 142 144 145 146

11. La struttura della Comunità Comunità e congregazione Epilogo: La Speranza Futura

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Note Fonti e riferimenti Indice dei nomi

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A Deborah, la mia ispirazione, e a Christian, in segno di gratitudine al pi첫 devoto dei collaboratori



Prologo L’inizio è uno – singolo – un’unità. Tutto è racchiuso in sé. L’intera moltitudine di enti – animali e atomi, stelle e galassie, tutte le esperienze e i pensieri degli esseri umani e degli angeli – tutto ciò esiste come pura possibilità entro Dio. Il tempo ancora non esiste, lo spazio è racchiuso in sé. Poi la pienezza di Dio fuoriesce in una libera azione di amore creativo. Il mondo intorno a noi con tutta la sua abbondanza, pienezza e varietà di esseri individuali e separati – tutto sorge da questa fonte. Pietre e piante, animali, esseri umani, angeli e le altre potenze celesti – tutto ciò fluisce da Lui in una sovrabbondante generosità. La scienza parla di semplici atomi che condensandosi formarono gli elementi, le nebulose e le stelle che fecero sorgere le galassie. Tutta la maestà del cielo notturno è fluita da questa vasta profusione di energia. Ma tutto questo è solo una descrizione esteriore di ciò che è accaduto. All’interno vi è amore puro che si dona. Ogni anima umana, ogni sentimento, ogni respiro, si trova dentro Dio come possibilità prima di fuoriuscire nell’esistenza. Una varietà inimmaginabile emana da questa origine singola. L’amore di Dio è così grande che permette a ciò che è stato creato di allontanarsi così tanto da Dio, da divenire altro da Dio. Un mondo sorge a fianco di Dio, separato da Dio, addirittura in opposizione a Dio – e la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno compresa. Gerarchie di esseri spirituali – le mani e i piedi, le membra, gli occhi e le orecchie di Dio – lavorano nel mondo, illuminandolo con i loro pensieri, spronando il mondo a evolversi verso una perfezione sempre maggiore. Una creatura fatta a immagine di Dio cammina sulla terra, un creatore in divenire, che porta in sé il seme della parola di Dio, 11


già divina nella sua capacità di dare il nome e di comprendere, nel trovare e nel dare un significato. All’inizio gli esseri umani adorano la moltitudine di esseri spirituali che sperimentano entro e dietro tutto ciò che esiste: le mani e i piedi, gli occhi e le orecchie di Dio. Gli antichi ebrei sono i precursori, coloro che hanno l’arduo compito di comprendere che esiste un essere centrale nel cuore di tutto; un principio unificatore alla base di tutta la creazione con tutta la sua infinita varietà di sfumature e con tutta la sua magnificenza. L’adorazione di questo Dio permette agli uomini di divenire unitari essi stessi. Credo in un solo Dio, un essere onnipotente e divino. Con la venuta di Cristo e l’invio dello Spirito Santo, Dio si rivela come uno in tre e tre in uno. A Pentecoste, una moltitudine di lingue di fuoco fuoriesce da una singola fiamma centrale. Ogni singolo essere umano può divenire portatore dello Spirito Santo. Viene superata quella separazione e frammentazione in seno all’umanità che ebbe inizio con la Torre di Babele, simbolo della crescente separazione fra gli esseri umani nel corso della loro evoluzione. A Pentecoste, le parole degli apostoli risuonano nelle anime di chi li ascolta, a prescindere dal fatto che le abbiano capite con le loro menti. Gli stessi esseri di coloro che li ascoltano, anche se non riescono a comprendere con le loro menti. L’essere interiore di coloro che li ascoltano risuona all’unisono, mentre le parole richiamano ad essi la loro comune origine nello spirito. Ne nasce una nuova unità – non un semplice esseri uniti ma una comunità – un luogo di vita, lavoro e anelito comune. Questa è l’ekklesia, l’assemblea di coloro che sono chiamati a svolgere un servizio per il mondo. Essi superano le grandi divisioni che frammentano l’umanità – non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù, scrive San Paolo (Galati 3:28). 12


Nella loro celebrazione si rallegrano per una nuova unione tra cielo e terra, un assaggio della pienezza che sperimenteranno quando Dio sarà “tutto in tutti” (1 Corinzi 15:28). Essi celebrano la loro vocazione di esseri umani nel poter radunarsi in una nuova comunità con la creazione – con tutti gli esseri umani – e con il mondo divino. Questa comunità umana non è né uniforme né esclusiva. Non ha gerarchia, non è clericale nel senso tradizionale. Essa celebra tutta la creatività in armonia con l’abbondanza della vita e dell’amore che costituiscono l’ultima realtà. Essa cerca la verità di quel percorso in cui ci troviamo, non vuole prescrivere un dogma, ma aiutare gli esseri umani nel loro percorso. Nel cuore di questa comunità sta la celebrazione e la gioia. Quando il figliol prodigo ritorna al padre, questi si rallegra. Questo mio figlio, egli dice, era perduto ed è stato ritrovato, era morto e ora è tornato a nuova vita. Quando gli esseri umani trovano la loro vera vocazione nella celebrazione della comunità ritrovano se stessi e passano dalla morte alla vita.

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Introduzione Non ardevano forse i nostri cuori dentro di noi? Quello stesso giorno due di loro andavano in un villaggio chiamato Emmaus, distante circa sette miglia da Gerusalemme e parlavano l’un l’altro delle cose che erano accadute. Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù stesso si avvicinò e cominciò a camminare con loro. Ma i loro occhi erano chiusi e non lo riconobbero. Egli disse loro: «Di che cosa state parlando mentre camminate?» Ed essi si fermarono ed erano tristi. Allora uno di loro di nome Cleopa, gli rispose: «Sei tu l’unico visitatore di Gerusalemme che non sa ciò che è accaduto là in questi giorni?» Ed egli disse loro: «Cosa è accaduto?» Essi gli risposero: «Riguarda Gesù Nazareno che era un profeta potente in azioni e parole davanti a Dio e a tutto il popolo e di come i capi dei sacerdoti e i governatori lo condannarono a morte e lo crocifissero. Ma noi speravamo che egli fosse colui che doveva redimere Israele...» Allora Gesù disse loro: «O uomini stupidi e lenti di cuore nel credere alle parole dei profeti! Non era forse necessario che Cristo soffrisse queste pene per entrare nella sua gloria?». E cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro le cose che lo riguardavano nelle Scritture. Quando si avvicinarono al villaggio dove stavano andando. Egli voleva proseguire, ma essi lo trattennero dicendo: «Rimani con noi, si sta facendo sera e il giorno sta per finire». Così egli proseguì e stette con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, lo benedisse, lo spezzò e lo diede loro. I loro occhi furono aperti e lo riconobbero; ed egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l’uno all’altro: «Non ardevano forse i nostri cuori quando egli ci parlava lungo la strada mentre ci spiegava le Scritture?». (Luca 24:13-32, NR2006) 15


Nella prima domenica di Pasqua, i discepoli piansero l’amara perdita, non solo del loro amato maestro, ma anche la fine delle loro speranze e aspettative. Persino ora, dopo duemila anni, noi facciamo fatica a capire che il salvatore di Israele e di tutta l’umanità dovette passare attraverso la sofferenza per potersi rivelare nella gloria. Ai discepoli sembrava del tutto impossibile che qualcosa di buono potesse derivare dalla tragedia che essi avevano subito. Cristo non li conforta con vuote rassicurazioni che la loro speranza sarà soddisfatta nel modo in cui essi avevano immaginato. Egli parla loro delle Scritture ebraiche che essi, come ebrei, conoscevano bene. Ora che il loro dolore ha spezzato il duro guscio delle loro speranze essi sono in grado di ascoltare un nuovo modo di capire i testi a loro familiari. Nei loro cuori sofferenti, si accende un fuoco purificatore. Questo fuoco li prepara a sperimentare la gloria del Cristo risorto in un modo che non si sarebbero mai aspettati, non al comando di un esercito vendicatore della liberazione nazionale, ma come colui che condivide il pane spezzato – simbolo del suo corpo spezzato – alla tavola della cena che li invita alla comunione con lui stesso. Questa è la nascita della teologia cristiana. Mille anni dopo, Anselmo di Canterbury disse che la teologia è “fede che cerca comprensione”. Fede per lui significava qualcosa che si sperimenta. Nel racconto di Emmaus, la teologia offre ai discepoli la chiave per capire la loro esperienza della perdita e del dolore. Li prepara per l’esperienza di pienezza e di comunità. All’inizio, la teologia faceva parte del processo di purificazione del cuore che lo rendeva un organo di percezione della gloria di Dio, che appare in modi che non impariamo mai veramente ad aspettarci. Il primo uso della teologia era la catechesi, l’istruzione dei nuovi membri. Nella Chiesa antica, coloro che dovevano essere battezzati, a cui non era ancora permesso di assistere al mistero dell’Eucarestia, si sottoponevano a un’intensa preparazione 16


durante il Tempo di Passione. Essi imparavano a vedere la loro vita fino a questo momento nella luce del Vangelo. Essi vedevano che ciò che avevano ambito e considerato molto importante era in realtà vano. Essi riconoscevano che le cose più desiderate erano diventate il loro Dio e che essi non adoravano il fondamento di tutti gli esseri, ma gli idoli dell’amore del possesso e del successo. Passavano la notte del Sabato Santo in un’attesa, dopo la quale si spogliavano. Cirillo, vescovo di Gerusalemme, nel IV secolo, insegnava a questi nuovi battezzati come dovevano interpretare ciò che accadeva loro in questo stato: Spogliarsi era l’immagine di abbandono dell’uomo vecchio e delle sue azioni. Essendovi spogliati eravate nudi… Poiché dal momento in cui le potenze avverse hanno fatto la loro tana, non vi è più permesso di portare la vecchia tunica. Che meraviglia! Siete stati nudi davanti agli occhi di tutti e non siete arrossiti. Avevate veramente l’immagine del primo uomo Adamo che nel paradiso era nudo e non si vergognava. (Catechesi Mistagogica 2) Jacques Lusseyran, il combattente cieco della Resistenza francese, descrive come alcune delle persone selezionate per il lavoro nei campi di concentramento venivano immediatamente annichilite dall’esperienza di essere spogliate e rasate. Non potevano sopportare la perdita della loro immagine esteriore, il modo in cui vedevano se stessi e volevano che gli altri li vedessero. Per altri era, invece, l’inizio di una nuova vita, anche nelle terribili circostanze dei campi. Una volta spogliati ed esorcizzati, i candidati venivano condotti nella chiesa o nel battistero. Tre volte venivano immersi nell’acqua battesimale, tre volte veniva loro chiesto “Tu credi...”, prima nel Padre, poi nel Figlio, poi nello Spirito Santo. Dovevano rispondere ogni volta, mentre venivano estratti fuori dall’acqua: 17


“Credo!”. Loro sapevano tramite la loro preparazione che nell’entrare e nell’uscire dall’acqua, passavano dalla morte alla vita. San Paolo non si stanca mai di insegnare alla sua congregazione questo: Siamo dunque stati sepolti con lui mediante il battesimo nella sua morte, affinché, come Cristo è stato risuscitato dai morti mediante la gloria del Padre, così anche noi camminassimo in novità di vita. Perché se siamo stati totalmente uniti a lui in una morte simile alla sua, lo saremo anche in una risurrezione simile alla sua. Sappiamo infatti che il nostro vecchio uomo è stato crocifisso con lui affinché il corpo del peccato fosse annullato, e noi non serviamo più il peccato... Ora, se siamo morti con Cristo, crediamo pure che vivremo con lui, sapendo che Cristo, risuscitato dai morti, non muore più; la morte non ha più potere su di lui. (Romani 6:4-9, NR2006) Cirillo ricorda ai suoi ascoltatori della loro esperienza, nella sua chiesa a Gerusalemme, dove i candidati potevano osservare la teca del Santo Sepolcro: Dopo per mano siete stati condotti alla santa piscina del divino battesimo come il Cristo dalla croce alla tomba che vi è davanti. Ognuno è stato interrogato se crede nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Avete fatto la confessione salutare e vi siete immersi per tre volte nell’acqua e di nuovo siete risaliti simboleggiando la sepoltura di tre giorni del Cristo... Nello stesso tempo siete morti e rigenerati. Quest’acqua salutare fu la vostra tomba e la vostra madre... O cosa strana e paradossale! Non siamo veramente morti, né veramente seppelliti, né veramente crocifissi e risuscitati, ma l’imitazione in immagine è salvezza nella realtà. Il Cristo è stato realmente crocifisso, realmente seppellito e realmente è 18


risorto. Ogni grazia ci è stata elargita perché partecipando alle sue sofferenze lo imitiamo guadagnando in realtà la salvezza”. (Catechesi Mistagogica 2) I candidati attraversavano una sorta di svuotamento del cuore nell’esperienza di morte con Cristo. Da questa loro esperienza di morte del proprio vecchio essere, venivano preparati a partecipare all’Eucarestia, il dono di chi ha spezzato il pane in mezzo a loro. Il passo finale avveniva più tardi, probabilmente l’anno seguente, quando i sermoni di Cirillo avrebbe dato loro i concetti per capire che cosa avevano percepito così intensamente l’anno prima. Nel Tempo di Passione percepiamo un eco di queste potenti esperienze. Nella Comunità dei Cristiani, l’Epistola (la preghiera del tempo liturgico all’inizio dell’Atto di Consacrazione dell’Uomo) parla del cuore vuoto e dell’esperienza della perdita. Il Credo (dal latino credo, io credo) ci ricorda delle verità fondamentali della creazione – redenzione e consacrazione. Allora siamo pronti a percepire la gloria, la riapparizione di colui che è morto e rinato, che si unisce a noi alla tavola e la cui presenza conosciamo, come i discepoli fecero ad Emmaus, tramite il suo spezzare e condividere il pane, dando e condividendo se stesso. Per quali esperienze di perdita e vuoto passiamo prima di arrivare all’Atto di Consacrazione dell’Uomo? La vita stessa può fornirle. Oltre a questo, la Consultazione Sacramentale offre una via per prepararsi consciamente alla comunione con colui che appare alla tavola, spezzando il pane e dando se stesso. Teologia nel divenire La teologia esisteva prima ancora di Cristo. Teologia è una parola greca, formata da altre due parole: Theos, che significa Dio, e logos, che significa parola, pensiero, significato, studio, legge. 19


La traduzione più semplice di teologia sarebbe “parole su Dio” (alcuni teologi oggi preferiscono parlare di “conversazione su Dio”). Ma logos ha un significato più vasto di questo. Lo incontriamo in parole come geologia e biologia, lo studio della terra e della vita. Per gli antichi Greci, la parola riferita a un qualcosa era molto più che una semplice collezione di fatti su di un argomento. Non hanno mai dimenticato che logos, o parola, è la facoltà che innalza gli esseri umani dal livello del mondo animale – il loro collegamento con il “poeta” divino – le cui parole giacciono all’origine di tutta la creazione. Il logos di una cosa è la sua essenza, il pensiero esistito nella mente di Dio al momento della sua creazione. Quindi “teologia” è pensare a Dio e al Divino in un senso più ampio, è un pensiero che partecipa all’essenza stessa di Dio. A differenza di tutte le altre “-logie”, nella teologia il potere divino del pensiero riflette sulla sua stessa fonte. Soggetto e oggetto diventano una cosa sola mentre la facoltà logos riflette sulla natura del Logos stesso. La teologia nella Grecia antica era lo studio dei miti degli dei. I filosofi greci, che celebravano la nascita del potere liberatorio del pensiero umano che non aveva bisogno di miti, disprezzavano i teologi. Nella Cristianità, la teologia ha assunto un nuovo ruolo. I primi cristiani avevano accesso a un mondo di nuove e potenti esperienze. Fin dall’inizio, vollero capire cosa percepivano. Come abbiamo visto precedentemente, Gesù Cristo è stato il primo a insegnare la teologia cristiana, interpretando le Scritture ebraiche per dare ai discepoli concetti per poter capire le loro esperienze di lui stesso. Non c’è un vero e proprio parallelo nella storia delle altre religioni al fermento teologico e alle controversie dei primi cinque secoli della Cristianità. Infatti, il concetto della teologia sembra essere stato estraneo alle altre religioni del mondo, fino a quando il contatto con la Cristianità non fece loro formulare le proprie teologie. Questo fermento è spesso visto come un aspetto nega20


tivo della vita della Chiesa; certamente portò grande sofferenza e perfino spargimento di sangue. Una volta che gli imperatori romani vennero coinvolti, le discussioni teologiche furono mischiate con la politica, e le manipolazioni che hanno accompagnato i concili della Chiesa creano una lettura poco invitante. Tuttavia, la preoccupazione per la teologia rispecchia qualcosa di più profondo. Evidenzia un nuovo passo nello sviluppo umano. In tempi antichi gli esseri umani, quando erano più vicini all’unità originale con Dio, ricevevano ispirazione direttamente da esseri spirituali. Il loro viaggio li porta dallo stato di ricevitori della verità a quello di co-creatori della verità. Nell’Epistola che si legge all’inizio dell’Atto di Consacrazione dell’Uomo tra periodi festivi, i nostri pensieri sono rivolti alla Trinità. I primi due paragrafi contengono dichiarazioni sull’essere di Dio, il Padre e il divenire del mondo tramite la Parola creativa. Il terzo paragrafo non contiene dichiarazioni ma esortazioni, preghiere. Non ci sono dichiarazioni da fare su Dio lo Spirito Santo. Possiamo solo pregare per una mutua compenetrazione: che la sua luce splenda nella nostra conoscenza; che riceva la nostra conoscenza nella sua vita. La vita della Trinità trova la sua realizzazione nel nostro pensiero. Nei primi secoli, la teologia poteva ancora fare appello a poteri che abbondavano nelle culture religiose dell’antichità. Origene (185-253), uno dei più grandi maestri della Chiesa antica, insegna in parte tramite la ragione e il dibattito, in parte rifacendosi ai miti. Questi risuonano nelle anime dei suoi discepoli e confermano ciò che hanno percepito loro stessi. Gradualmente, con il passare dei secoli, la teologia diventa meno un supporto per l’esperienza che un suo sostituto. Ci sono sempre più discussioni fra i teologi. Allora i dogmi cominciano a essere definiti. Un mondo vivente di esperienza è gradualmente distillato in forme fisse. Questo va di pari passo con lo sradicamento del “paganesimo”. Agli esseri umani non 21


era permesso percepire il divino al di fuori di loro stessi nelle glorie della natura. Dovevano fare affidamento su se stessi. Hanno ripetuto ciò che il popolo ebraico aveva realizzato ai tempi del Vecchio Testamento: il viaggio solitario verso un’individualità unitaria. Questo lungo processo di astrazione raggiunse il suo punto culminante nel XIX secolo. L’Illuminismo è stato la liberazione finale della ragione umana da ogni catena di dogma e verità rivelata. La ragione ha buttato giù ogni porta che si è parata sulla sua strada. Prima il Vecchio Testamento e poi il Nuovo sono stati sottoposti a un’analisi critica. L’umanità si è liberata dai dogmi del passato. Ma questa liberazione ha portato con sé un’amara perdita. Si perse parzialmente la cognizione che i dogmi avessero avuto origine nell’esperienza spirituale. I teologi minacciarono di ridurre Gesù a un maestro di semplici regole morali. Quando Friedrich Nietzsche (1844-1900) affermò che Dio era morto, era in un certo senso vero. La dottrina della Trinità formulata dogmaticamente era morta; era un guscio vuoto. Friedrich Schleiermacher (1768-1834), il padre della teologia moderna, cercò il modo per tornare a una teologia vivente dell’esperienza. Rifiutando il dogma, ha ripiegato sulla descrizione di qualcosa di abbastanza generico (il “Dio-coscienza”, il “sentimento di dipendenza assoluta”). Gesù è chiamato Figlio di Dio perché in esso questa coscienza era viva a un livello senza precedenti. Lui è il più grande essere umano che incarna ciò a cui tutti devono aspirare. Forse simbolicamente, Schleiermacher ha relegato la Trinità nell’ultimo capitolo del suo libro, La fede cristiana. La teologia dell’esperienza diventa mera soggettività. C’è ben poco da difendere davanti alle accuse di Ludwig Feuerbach (1804-1872) e Karl Marx (1818-1883) che Dio altri non è che una proiezione delle qualità, delle speranze e delle aspirazioni umane su di un super-essere immaginario. 22


Il mondo moderno La situazione dell’anima religiosa all’inizio del XX secolo era qualcosa di simile a quella dei discepoli sulla strada per Emmaus. La vecchia immagine di Dio e le vecchie speranze di redenzione erano perse. Nei movimenti fondamentalisti, vediamo una reazione al dolore che ciò ha causato. Usando metodi letterali d’interpretazione che avrebbero lasciato perplesse le generazioni precedenti, i fondamentalisti cercano di avvallare una certa sicurezza in un mondo che sembra aver perso la sua direzione. Altri voltano le spalle alla spiritualità interamente, e cercano un senso in un mondo senza spirito. I fondamentalisti rifiutano la forza umana del pensiero, conferendo l’autorità ai testi rivelati. Ma, come abbiamo visto in precedenza, la teologia – la facoltà logos usata per capire il Logos stesso – è una realizzazione della creazione. Dobbiamo veramente credere che tutto questo sia stato solo un errore? Che i grandi progressi che gli esseri umani hanno fatto tramite il loro pensiero fossero un vicolo cieco? Né il fondamentalismo né lo scetticismo danno una risposta che attraversa l’esperienza della perdita e la trascende, così come i discepoli furono capaci di fare a Emmaus. Nel cuore dell’Atto di Consacrazione dell’Uomo, dove Gesù Cristo appare al tavolo-altare, spezzando il pane e condividendo il vino, c’è una nuova rivoluzionaria interpretazione delle sue parole. Mentre nelle vecchie liturgie, basate sui testi evangelici, sentiamo “fate questo in memoria di me” ora sentiamo l’esortazione “accogli ciò nei tuoi pensieri”. Il sentiero che abbiamo visto all’inizio si ripete: veniamo dal mondo che ha perso il suo conforto; incontriamo il Signore vivente; ora dobbiamo pensare a cosa è successo. Va oltre quando sentiamo che la morte, la resurrezione e la glorificazione di Cristo “penseranno in noi”. 23


Ma i sacramenti non ci trasferiscono immediatamente in un nuovo stato d’essere; loro inaugurano i processi. Come nella Chiesa antica, il Tempo di Passione è il tempo durante il quale inizia il processo di trasformazione che porta a diventare seguaci di Cristo. Per quanto a lungo possiamo averlo conosciuto, abbiamo bisogno di diventare dei principianti più e più volte. Le preghiere parlano al cuore vuoto dell’essere umano e ci ricordano della nostra perdita; nella Settimana Santa i nostri cuori cominciano ad ardere. Solo nella domenica di Pasqua il cuore si riempie di vita nuova. C’è un ulteriore passo. Nella preghiera di Pasqua sentiamo che Cristo si è rivelato come “senso della terra”. Sentiamo anche un comando: la nostra parola deve risuonare, svegliata dallo Spirito. La conoscenza del senso della terra – vale a dire, la cognizione “della necessita per il Cristo di soffrire tutto ciò ed entrare nella sua gloria” – non è un nostro bene privato. Noi stessi siamo sulla strada per Emmaus, piangendo la nostra perdita, e conosciamo molti altri su questa strada. Siamo chiamati a trovare parole che raggiungeranno i nostri simili nel loro dolore; parole che accenderanno la fiamma dei loro cuori. Ciò non è solo il lavoro dei sacerdoti; l’intera Chiesa ha un compito sacerdotale di testimonianza per il mondo. E sappiamo fin troppo bene che ripetere dichiarazioni dogmatiche non soddisfa le esigenze degli esseri umani. Non si tratta di dire certe parole di Chiesa, ma di aprirci agli altri e mostrare che anche noi conosciamo il dolore della perdita e dell’incertezza. Solo quando la Chiesa diventò uno strumento della politica di stato romana nel IV secolo, diviene importante stabilire e far rispettare le norme della fede. Oggi c’è bisogno ancora una volta di trovare lo spirito di libera celebrazione che c’era all’inizio della Chiesa. Gli esseri umani hanno bisogno di celebrare la realtà di Cristo mentre si avvicina a noi oggi, senza sottomettersi al dogma. La Comunità dei Cristiani si batte per rendere possibile ciò. 24


Assieme a questa attività centrale di celebrazione, le anime umane hanno bisogno di capire cosa percepiscono nella comunità; i sacramenti e i Vangeli. C’è un compito più riflessivo e intellettuale che deve essere realizzato qui, che è stato di uguale importanza nella Comunità dei Cristiani sin dalla sua fondazione nel 1922. Ha trovato aiuto nelle riflessioni di venti secoli durante i quali i cristiani hanno lottato per capire le loro esperienze. Anche il più arido dei dogmi può fornire una specie di grammatica, una struttura entro la quale si può sviluppare una teologia vivente. C’è un’altra fonte che ci permette di riflettere su questa esperienza, una fonte che è rifiutata dalla maggioranza dei teologi dell’era moderna: il lavoro di Rudolf Steiner (1861-1925). Le sue opere non forniscono le risposte a ogni domanda; ma ripetutamente le sue intuizioni mostrano una via che oltrepassa l’apparente impossibile impasse tra la verità ricevuta dogmaticamente e lo spirito critico del pensiero moderno. Possono portarci oltre le esperienze che già abbiamo, dando loro un contesto più ampio. Questo libro non è farcito di citazioni da Steiner perché non è inteso come una presentazione del lavoro di Steiner. Ciononostante, l’intero libro non sarebbe stato possibile senza la struttura che egli fornisce. Un elemento chiave è la sua concezione dell’evoluzione della coscienza, l’idea che l’essere umano è in cammino da un’unità originale con lo spirito verso l’individualità1. La conseguenza di questo cammino e il bisogno urgente dell’incarnazione di Cristo come tendenza controbilanciante sono il tema di innumerevoli cicli di conferenze. Il concetto di evoluzione della coscienza rende possibile osservare idee e pratiche rituali così come si sono evolute, vedere in esse i frutti della loro rispettiva epoca di sviluppo umano. Nell’argomento centrale della Cristologia, può essere mostrato come la classica tradizione teologica ci possa spesso portare fino a uno schema astratto. Le intuizioni che Rudolf Steiner fornisce possono rendere vivo questo schema. 25


Ancor più importante, se pur meno sensazionale del risultato delle sue ricerche, è la descrizione di Steiner di un sentiero di auto-sviluppo che può risvegliare organi che percepiscono lo spirito così limpidamente e chiaramente come i nostri organi sensoriali vedono il mondo fenomenico. Ciò è descritto in maniera classica nel suo libro Come si consegue la conoscenza dei mondi superiori? Questo libro chiarisce che prima ancora di arrivare al livello di percezione raggiunto da Steiner, il metodo di insegnamento interiore dà fiducia nei risultati delle proprie riflessioni. * * * In primo luogo questo libro parla a coloro che, mentre vivono nella Comunità dei Cristiani, hanno incontrato Cristo nei suoi sacramenti. Questo “Movimento per il Rinnovamento Religioso” è stato fondato nel 1922 da un gruppo di pastori, teologi e studenti che hanno chiesto a Rudolf Steiner aiuto per apportare un rinnovamento nella sfera della vita religiosa. Dato che la Comunità dei Cristiani non pubblica le parole dei suoi sacramenti in forma scritta, io dovrò fare riferimento a frammenti dei testi rituali, supponendo che i miei lettori conoscano il contesto più ampio, o che saranno tolleranti nel sentire parti di qualcosa che devono ancora conoscere. La prima parte del libro si muove attraverso le riflessioni su Dio, la Trinità, la creazione e l’esistenza del male. La seconda parte descrive la vita e il lavoro della Comunità dei Cristiani mentre ci aiuta a raggiungere la nuova unità, la comunità. Ho provato dove potevo ad apportare esperienze. Queste non sono intese come illustrazioni, ma come parte delle fonti della riflessione che segue. Laddove queste esperienze, che spesso appaiono all’inizio di un capitolo, non sono assegnate a nessuno né scritte in corsivo, vuol dire che sono le mie. Ciò che è scritto, è scritto sulla mia autorità. Ho imparato molto dai miei 26


insegnanti nella mia formazione per il sacerdozio a Stoccarda, Germania, e durante i miei studi per il diploma di laurea in Studi Divini ad Aberdeen. Riconosco il debito che ho verso i miei insegnanti, e riconosco anche che errori e omissioni sono esclusivamente causa delle mie limitazioni. * * * Oggi Cristo rivela se stesso nelle esperienze uniche di ogni anima umana in lotta. Perciò le fonti tradizionali della teologia nelle Scritture e la tradizione della Chiesa prendono vita quando diventano parte della sofferenza e della gloria della biografia umana. Questa teologia oltrepassa il semplice soggettivismo: l’esperienza di un “io” umano riecheggia dell’esperienza degli altri “io”. Spero che questi capitoli risuonino con l’esperienza dei miei lettori; e che possano aiutare loro, e coloro con cui parlano, a trovare le parole per portarli a chiedersi: Non sentivamo forse ardere il cuore dentro di noi?

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PARTE I L’ESPERIENZA DI DIO

Le visioni più sacre, visioni che portano con sé il sigillo dell’autorità, vengono tutte dal cuore umano e sono quindi soggettive. Il cuore umano è spesso un campo di battaglia dove il prezioso e l’abbietto lottano tra loro. Ma ci si può fidare del cuore umano. È il cuore dell’uomo che è stato creato nell’immagine di Dio. All’uomo è data l’autorità di parlare di Dio. Nell’uomo c’è qualcosa che punta oltre l’uomo. Lui può fare quel passo che gli permette di stare davanti a Dio. Tutto ciò che ha da fare è: tornare. “Se torni a me, io ti farò ritornare e rimarrai davanti a me...”. (Maybaum 1965, p. 87)

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1. Dov’è il tuo Dio adesso? Fede in Dio dopo “la morte di Dio” Liberarsi Un giorno che tornavamo dal lavoro vedemmo tre forche drizzate sul piazzale dell’appello. [...] Appello. Le S.S. intorno a noi con le mitragliatrici puntate: la tradizionale cerimonia. Tre condannati incatenati, e fra loro il piccolo “pipel”, l’angelo dagli occhi tristi. [...] Tutti gli occhi erano fissati sul bambino. Era livido, quasi calmo, e si mordeva le labbra. L’ombra della forca lo copriva. […] I tre colli vennero introdotti contemporaneamente nei nodi scorsoi. […] - Dov’è il Buon Dio? Dov’è? - domandò qualcuno dietro di me. […] Poi cominciò la marcia davanti alla vittima. I due adulti non vivevano più. […] Ma la terza corda non era immobile: anche se lievemente il bambino viveva ancora... Più di una mezz’ora restò così, a lottare fra la vita e la morte, agonizzando sotto i nostri occhi. E noi dovevamo guardarlo bene in faccia. Era ancora vivo quando gli passai davanti. La lingua era ancora rossa, gli occhi non ancora spenti. Dietro di me udii il solito uomo domandare: - Dov’è dunque Dio? E io sentivo in me una voce che gli rispondeva: - Dov’è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca... (Wiesel 1980, p. 33) Nel XX secolo, si è persa la vecchia certezza che Dio intervenga per evitare il peggio. Oggigiorno, questa certezza sembra quasi una curiosità storica quando la incontriamo in un documento come il Catechismo di Heidelberg (1563), che descrive la provvidenza di Dio come:

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“L’onnipotente e onnipresente potenza di Dio, mediante la quale egli sostiene, per così dire, con la sua mano, cielo e terra e tutte le creature, governandole così che piante e ortaggi, pioggia e siccità, annate produttive e sterili, cibi e bevande, salute e malattia, ricchezza e povertà ed ogni cosa, non vengono per caso, ma dalla sua mano paterna”. Oggi, la quantità di sofferenza che dovremmo escludere per mantenere questa convinzione la fa sembrare quasi blasfema. Se Dio controlla tutto, dando cose buone a chi se le merita, e rifiutandole a chi n’è indegno, perché mai c’è così tanta sofferenza di innocenti e ingiustizia nel mondo? Dov’era Dio ad Auschwitz? La perdita della vecchia immagine della potenza di Dio che ci protegge può farci sentire soli e indifesi in un mondo distaccato. Tuttavia, sappiamo che la perdita di un preconcetto è spesso un’occasione per avvicinarci alla verità. Potrebbe la “morte di Dio” rivelarsi non come la perdita di qualcosa di reale, ma solo come la perdita di idee amate, ma false? Così come non possiamo incolpare qualcuno per essersi rivelato diverso dalla nostra immagine, così non possiamo incolpare Dio per non essere come ce lo eravamo aspettati o avevamo sperato che fosse. Il XXII salmo descrive la situazione dell’anima umana che ha difficoltà a mettersi il cuore in pace con tale perdita. Mille anni prima della venuta di Cristo, che proclamò queste parole sulla croce, il salmista descrive una devastante esperienza dell’abbandono: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Te ne stai lontano, senza soccorrermi, senza dare ascolto alle parole del mio gemito! Dio mio, io grido di giorno, ma tu non rispondi, e anche di notte, senza interruzione (versi 1-2). 32


Tre volte il salmista fa affidamento su ciò che lo ha sostenuto nel passato. La prima volta ricorda la fede dei suoi antenati: Eppure tu sei il Santo, siedi circondato dalle lodi d’Israele. I nostri padri confidarono in te; confidarono e tu li liberasti. Gridarono a te, e furono salvati; confidarono in te, e non furono delusi (3-5). Non è abbastanza; anche questa sicurezza lo abbandona: Ma io sono un verme e non un uomo, l’infamia degli uomini e il disprezzato dal popolo. Chiunque mi vede si fa beffe di me; allunga il labbro, scuote il capo (6-7). Fa affidamento su memorie più recenti: la semplice fede dell’infanzia: “Sì, tu m’hai tratto dal grembo materno; m’hai fatto riposare fiducioso sulle mammelle di mia madre (9). Tuttavia, ciò lascia il passo a esperienze ancor più terribili: Grossi tori m’hanno circondato; potenti tori di Basan m’hanno attorniato; aprono la loro gola contro di me, come un leone rapace e ruggente. Io sono come acqua che si sparge e tutte le mie ossa sono slogate; il mio cuore è come la cera, si scioglie in mezzo alle mie viscere. Il mio vigore s’inaridisce come terra cotta e la lingua mi si attacca al palato; tu m’hai posto nella polvere della morte (12-15). 33


Nelle profondità della disperazione, chiama Dio: Ma tu, Signore, non allontanarti, tu che sei la mia forza, affrèttati a soccorrermi. Libera la mia vita dalla spada e salva l’unica vita mia dall’assalto del cane (19-20). Quest’urlo, strappato dalle profondità della disperazione, contiene dentro di sé il potere che trasforma la situazione: Io annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all’assemblea. O voi che temete il Signore, lodatelo! Voi tutti, discendenti di Giacobbe, glorificatelo, temetelo voi tutti, stirpe d’Israele! Poiché non ha disprezzato né sdegnato l’afflizione del sofferente, non gli ha nascosto il suo volto; ma quando quello ha gridato a lui, egli l’ha esaudito (22-24). La sua visione apre a un futuro messianico: Tutte le estremità della terra si ricorderanno del Signore e si convertiranno a lui; tutte le famiglie delle nazioni adoreranno in tua presenza. [...] si parlerà del Signore alla generazione futura. Essi verranno e proclameranno la sua giustizia, e al popolo che nascerà diranno come egli ha agito (27-31, NR 2006). Il salmista ha trovato una nuova capacità che gli permette di cantare la canzone di lode che finisce con l’affermazione dell’atto creativo e redentore di Dio: “Perché egli ha agito!” 34


La fede su cui ha fatto affidamento sino a questo momento è venuta dal passato, dal mondo della famiglia e della tradizione ancestrale. La nuova convinzione emerge quando si libera della vecchia. Risuona nei secoli come una risposta all’urlo che Elie Wiesel sentì: “Dov’è Dio?” La risposta a questa domanda non può essere astratta. È l’urlo di confessione strappato dall’anima che sente la liberazione dal dolore della morte e della dissoluzione: “Io ti loderò!” Questo momento cruciale è completamente individuale. Ci libera delle immagini di Dio che di fatto ci staccano dalla sua realtà; diventiamo aperti a un’esperienza del suo essere che è, all’inizio, molto al di sotto della nostra coscienza. Nei bambini, possiamo vedere questa esperienza nella sua forma originale: prima che ci siano dei pensieri per descriverlo, il bambino “sa” che c’è Dio, che ha un angelo, che c’è del bene nel mondo. Questo è ciò che Gesù intende quando dice “In verità io vi dico che chiunque non avrà ricevuto il regno di Dio come un bambino, non vi entrerà affatto” (Marco 10:15). È questo sentimento religioso nascosto profondamente che causa la preghiera nei passeggeri, quando il loro aereo incontra delle turbolenze. Successivamente possono essere imbarazzati e scartare il momento come una reazione superstiziosa alla loro paura. Le parole che usano possono essere sicuramente superstiziose (una supplica per essere salvati dalla mano di Dio), ma il loro contenuto più profondo è un grido, una supplica dell’anima, affinché essa possa essere pronta ad affrontare la realtà finale. Tali momenti ci portano il più vicino possibile alle nostre vere credenze. Ci avviciniamo all’esperienza del Salmista, al suo sgomento in faccia allo sfacelo e alla dissoluzione, e quindi anche alla sua esperienza di una nuova vita in questa morte dell’anima. Connettersi a questo strato del nostro essere non significa che dobbiamo distogliere lo sguardo e rifiutare gli eventi terribili del 35


nostro tempo. Infatti, se permettiamo a questi eventi di diventare reali nella nostra anima assieme al pensiero di Dio, non percepiremo nessuna contraddizione. Se permettiamo ad entrambe le esperienze di rimanere valide, desolazione assieme alla fiducia nella realtà finale, scopriamo qualcosa del nostro mondo. Diventiamo consci dell’agonia di Dio che nella sua bontà creò il mondo, e nel suo amore permise agli esseri umani di crescere in libertà. L’immagine della croce ci dice come Dio sopporti con le sue creature le terribili conseguenze di questa libertà. Dio, fondamento dell’essere A diciotto anni ero sicuro che non ci fosse nessun Dio. Le teorie materiali sembravano abbastanza adeguate per spiegare l’universo. Era facile essere d’accordo con il popolarizzato Marxismo che mi aveva fatto rendere conto come la religione fosse un inganno praticato sulla classe dei sottoprivilegiati. Fui ancora più sorpreso un pomeriggio di primavera, quando mi ritrovai a stare su un sentiero chiazzato con la luce del sole filtrata attraverso delle foglie di betulla, dicendo ad alta voce “Grazie, grazie!” Ero confuso, chi stavo ringraziando? Ciononostante, ero sicuro che i miei ringraziamenti fossero significativi, che sarebbero stati sentiti. Non possiamo spiegare il mondo che ci circonda in tutta la sua bellezza e coerenza. Come non possiamo spiegare la nostra stessa esistenza. La persona che sono è il risultato di una miriade di fattori: posso ripensare ai miei genitori, ai loro genitori; a questo punto solitamente i miei ricordi cominciano a offuscarsi. Poi posso continuare a tornare indietro con il pensiero attraverso le ere. “Prima di questo ci fu l’ascesa della civilizzazione… ancor prima i primi esseri umani sulla terra… ancor prima la formazione della nostra galassia, e ancor prima il Big Bang”. Non raggiungo mai 36


un punto finale, un punto in cui posso dire: ed ecco come tutto è iniziato; ecco perché sono qui ora. Persino la cosmologia odierna, che può avanzare valide ipotesi sull’inizio dell’universo, non riesce a spiegare da dove abbia avuto origine l’universo o perché sia venuto a crearsi. Perché ci fu una “stranezza” che portò all’esistenza di spazio, tempo ed energia dove prima c’era il nulla? Questo tipo di riflessioni possono portarci all’idea di Un creatore del mondo. Questa decisione di creare dà una risposta alla grande domanda su cui i filosofi si sono scervellati per almeno tremila anni: perché c’è un mondo e non un’assenza di mondo; perché c’è qualcosa e non il nulla? C’è una corrente di pensiero che risale al XIX secolo, che vede in Dio una proiezione su di una figura immaginaria da parte di esseri umani ignoranti. Ora che la scienza può dirci la verità sulle nostre origini, e capiamo perché gli esseri umani avevano bisogno di inventare queste storie su esseri divini per alleviare le loro paure e dare un obiettivo ai loro sforzi, possiamo fare a meno dell’idea di Dio. Questo punto di vista è diventato assai diffuso. Ogni idea sull’unicità dell’essere umano o qualsiasi origine spirituale è respinta come debolezza “antropomorfica” (rendere il mondo a misura d’uomo). Anche il desiderio di chiedere “perché” è ritenuto inappropriato. Nonostante sembri coraggioso affrontare la solitudine in un vasto universo di forze impersonali, tale pensiero, tuttavia, si basa su assunzioni che non sono state messe in discussione. La mente, per esempio, è vista semplicemente come una “qualità emergente”, il risultato casuale di processi evolutivi che ha adattato i suoi possessori a sopravvivere meglio all’era in cui si riproducevano. Gli Stoici, filosofi Greci la cui scuola iniziò trecento anni prima di Cristo, avevano un punto di vista piuttosto diverso sulla mente, o Logos, come la chiamavano loro. Hanno riconosciuto che la capacità umana di un discorso e di un pensiero intelligente è quello che ci lega alla Parola divina, attraverso la quale è stato creato il 37


mondo, e le cui tracce possono essere viste nel fatto che il mondo è strutturato in modo tale da permettere alla scintilla di logos che c’è in noi di comprenderla e discuterne. Come si potrebbe allineare questa idea con quella dell’evoluzione, che esclude l’esistenza di un qualsiasi obiettivo verso cui tutto si muove? Un modo potrebbe essere quello di vedere la proprietà del logos, la capacità di pensiero e di linguaggio, alla stregua di qualcosa scritto nella trama dell’essere come una specie di forza fondamentale. Proprio come le leggi fisiche fanno sì che le cose si sviluppino in un modo particolare, così c’è una legge o forza che spinge verso l’unione tra spirito e materia, una creatura razionale che reca dentro di sé il seme della sostanza divina. L’essere umano sarebbe quindi il risultato di due forze in atto: i meccanismi fisicamente descrivibili dell’evoluzione tramite selezione naturale, e l’attrazione o attrattiva esercitata su tutta la creazione al fine di diventare un’espressione della divinità. Ciò significa che dobbiamo prendere la nostra esperienza di essere umani più seriamente di quanto non siamo abituati a fare. Prima dello sviluppo del pensiero scientifico e critico durante l’Illuminismo, e la sua graduale diffusione, era un assunto indiscusso il fatto che l’uomo fosse l’ultima parola della natura, creato a immagine di Dio. Questo assunto era basato sulla rivelazione. Quando i fondamentalisti oggi cercano di leggere la Genesi come un manuale di biologia, o i sostenitori del “disegno intelligente” cercano di conciliare l’evoluzione con l’idea di un dio creatore, quello che fanno lo basano comunque su verità rivelate. Un pensiero veramente progressivo, però, non può semplicemente ignorare i risultati dell’investigazione scientifica. Deve costruire su di essi. Ci riesce quando riflette sulla sua propria natura. La base di un concetto spirituale dell’essere umano deriva dall’esperienza che tutti noi abbiamo quando pensiamo: siamo i creatori del mondo a cui pensiamo, che è allo stesso tempo reale. Attraverso ciò percepiamo la nostra doppia natura. Tutto ciò che è limitato o erroneo nel 38


nostro pensiero è il prodotto della nostra limitata natura di esseri in carne e ossa. Ciò che è obiettivo e vero mostra la nostra connessione con un mondo di esseri spirituali oggettivi. Noi siamo parte di un ordine superiore, del “Regno dei Cieli” come Gesù lo chiama, e tuttavia sentiamo che non ne siamo all’altezza. Affrontiamo quello che all’inizio sembra un paradosso. La sovrana libertà del pensiero umano, la quale mostra che gli esseri umani sono esseri spirituali, li ha portati a riflettere sulle loro stesse origini con tale rigore che hanno rifiutato la loro natura spirituale e ogni idea sull’esistenza di Dio. Infatti ciò non è un paradosso. Se siamo sia liberi che divinamente dotati di spirito divino, dobbiamo essere in grado di giungere a questa conclusione. In ogni caso, l’esistenza di Dio non può essere provata. Le prove sono solo il risultato di ragionamenti. Per poter discutere dobbiamo accettare assunti comuni. L’idea di una causa ultima è tale assunto: se pensiamo in modo materialistico, assumiamo semplicemente che non ci sia una spiegazione. Il filo del pensiero sull’origine delle cose descritte sopra finisce semplicemente con un punto interrogativo, o continua all’infinito. Ora che la cosmologia si avvicina sempre di più a descrivere cosa vede nel Big Bang come origine del nostro universo, la domanda riguardante cosa venne prima di ciò diventa solamente più intensa. Ci fu forse una catena di Big Bang? Dove avvennero, cosa ci fu lì quando il precedente universo, dal quale uno nuovo venne a esistere, collassò? Per la visione scientifica, tuttavia, immaginare Dio come la spiegazione rende solamente le cose più complicate, anche se nessun’altra spiegazione è stata ancora trovata. Il saggio e traduttore Juan Mascarò (1897-1987) riassume il materialismo: “Secondo la visione prosaica [del mondo] non esiste altro che la materia e la sua energia, e da ciò in qualche modo viene la vita e la coscienza” (1993, p. 9). Questo è l’assunto dell’umanità moderna. È stato solo nel XX secolo che questi pensieri si sono diffusi nell’ampia massa dell’umanità istruita. 39


Ora, il pensiero che noi, come esseri pensanti, potremmo essere soli nel vasto universo, che le nostre vite sono il risultato di reazioni chimiche e fisiche casuali, che l’idea di un’anima e di un Dio personale sono illusioni, tutto ciò è diventato quotidiano, quasi banale. A malapena ci accorgiamo come il mondo diventi desolato quando non ne vediamo l’origine nell’amoroso atto di un Creatore. Ma quello che più conta, non ci accorgiamo più che ciò è in contrasto con la nostra esperienza come descritta sopra. Pochi di noi hanno gli strumenti per stare al passo con la moderna cosmologia, ma c’è un’esperienza parallela che giace più a portata di mano. Molte persone leggono libri famosi di psicologia. Siamo scioccati quando leggiamo che una particolare esperienza dell’infanzia porta ad atteggiamenti e comportamenti che riconosciamo in noi stessi. Se accettiamo la visione contemporanea della natura umana senza aver alcun dubbio, allora potrebbe sembrarci che ciò sia la spiegazione del nostro carattere. Potremmo comunque notare una discrepanza con la nostra esperienza che ci lascia a disagio. Possiamo accettare le descrizioni dei meccanismi psicologici e vedere le loro conseguenze per il nostro comportamento, e tale conoscenza ci può aiutare a liberarcene. Ma la nostra stessa esperienza di essere in grado di fare ciò è una dimostrazione che c’è qualcosa in noi che è superiore a tali meccanismi. Impariamo dalla descrizione dei fenomeni, ma non abbiamo bisogno di accettare la spiegazione riduzionista della natura umana che non è tratta dai fenomeni ma letta in loro. Questa è un’esperienza della nostra doppia natura. Sarebbe sciocco pretendere di esseri fatti di puro spirito; perché mai allora avremmo bisogno di passare attraverso le esperienze di crescita nel mondo terreno? E in che altro modo potrebbero la pubblicità e la statistica prevedere così precisamente cosa farebbero molti esseri umani in una data situazione, con un dato stimolo? Ma la nostra vita consiste nel venire a patti con la nostra struttura genetica e psicologica e fare di essa un contenitore per il nostro vero essere. 40


La conoscenza della nostra natura spirituale che deriva da tale riflessione sull’esperienza è molto diversa dalla posizione di uno che parte “sapendo” che noi siamo esseri di spirito attraverso una verità rivelata. Ha una base più solida precisamente perché fondata sulla nostra esperienza. Nessun dogma – né religioso né scientifico – l’ha modellata. Se continuiamo con questa via di pensiero, realizziamo che le informazioni sulle origini dell’universo – che devono essere trattate con ancor più scetticismo del risultato della ricerca psicologica, dato che poggiano su strati di ipotetica interpretazione delle informazioni provenienti da un lontano passato – ci dicono qualcosa sull’evoluzione dell’universo materiale; la conclusione che non ci sia una dimensione spirituale è tuttavia giusta un’ipotesi, la quale, come dimostrato ancora una volta dalla verifica della nostra esperienza, risulta essere infondata. Ne Il viaggio del veliero di C. S. Lewis, quando viene detto alla stella a riposo che, nel mondo terreno, le stelle sono solo enormi sfere di gas fiammeggianti, essa dice: “Anche nel tuo mondo, figlio mio, ciò che hai appena descritto non è l’essenza di una stella, ma solo quello di cui è fatta” (p. 159). Che differenza fa se Dio ha creato il mondo? Il fatto che Dio intendesse qualcosa con la sua creazione significa che tutto non è casuale. Il mondo attorno a noi ha una direzione, una speranza di sviluppo, anche se ciò non è un “piano” nel senso di qualcosa di definito e già deciso nel passato. Ci troviamo in un viaggio da un inizio a una fine definitiva. Se possiamo capire lo scopo di Dio nella creazione, possiamo iniziare a capire lo scopo delle nostre stesse vite. I nostri sforzi e le nostre lotte sono importanti non soltanto per ragioni pratiche, ma hanno un significato più ampio. Nell’idea della volontà di Dio, nella sua intenzione, percepiamo la realtà di Dio come persona. L’umanità ha venerato lo spirito nella molteplicità degli esseri naturali per millenni. Era 41


la missione dell’antico popolo ebraico di staccarsi dalla molteplicità dello spirituale nella natura e di concentrarsi su ciò che è all’interno, dietro e oltre tutti i fenomeni che possiamo vedere. Solo un essere singolo, centrale può veramente essere ritenuto l’autore vero e proprio della creazione. Perché Dio creò il mondo? Nel IV capitolo dell’Apocalisse, è stato sollevato il velo sullo stato delle cose prima della creazione. C’è movimento, ma esso è contenuto: la gloria che i ventiquattro anziani e le quattro creature viventi mandano a Dio ritorna a loro in un ciclo infinito. La tragedia di questa situazione è mostrata nel V capitolo, dove diventa chiaro che la storia della creazione non può iniziare a meno che qualcosa di diverso o qualcuno di diverso entri nel processo. Questo è l’agnello, colui il cui sacrificio è alla base dell’intera creazione. In questa immagine dell’agnello già sacrificato intravediamo il grande rischio coinvolto nell’atto di creazione di un mondo con il potenziale per la libertà. Significa che Dio deve limitare se stesso, permettere che ci sia un mondo che egli non controlla. Abbiamo già visto come un risultato della nostra libertà sia la possibilità di sviluppare una filosofia dove non c’è Dio. Lo scopo e la direzione del mondo non è di correre lungo le tracce messe giù da Dio prima del tempo; piuttosto, il nostro mondo è una dinamica vivente. La forza di causalità naturale spinge le cose e le fa comportare in maniera prevedibile. Un’altra forza è anche al lavoro, non costringendo ma portando avanti la creazione, “tentandoci”, per usare la parola usata da John Taylor. Questo è lo Spirito Santo, che misteriosamente attiva tutto ciò che è parte del piano le cui piene dimensioni e compimento sono nel futuro, e che attira la creazione verso la scelta, l’individualità e l’amore creativo e altruista. Nel contrasto tra il IV capitolo dell’Apocalisse e ciò che segue, otteniamo una comprensione delle ragioni che spinsero Dio alla creazione. Dio desidera la comunità e, nonostante possa sembrare sorprendente, il dialogo, ciò significa che ci deve essere una parte 42


della creazione che è veramente libera, poiché solo quando esseri liberi si rivolgono con amore al loro Creatore – quando accolgono la sua offerta di conversazione – i desideri di Dio vengono esauditi. Una conversazione con dei perfetti specchi o fantocci non è affatto una conversazione. L’idea di Dio come compagno di conversazione, che desidera la comunità, è già presente nella Bibbia ebraica. La maggior parte delle persone che hanno avuto una qualsiasi istruzione religiosa ricorderanno l’immagine dominante della relazione tra Dio e l’uomo nella Bibbia ebraica come patto o alleanza, un accordo regolamentato dalla legge. È degno di nota, tuttavia, che Dio non è un severo compagno del patto. Nonostante minacci una punizione se gli israeliti non manterranno la loro parte del contratto, è sempre preparato a perdonare i loro tradimenti. In uno dei più commoventi passaggi della Bibbia ebraica, Dio assume la parte di un marito che sta uscendo per corteggiare la moglie infedele, per recuperare il loro matrimonio: «Perciò, ecco, io l’attirerò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore. Di là le darò le sue vigne e la valle di Acor come porta di speranza; là mi risponderà come ai giorni della sua gioventù, come ai giorni che uscì dal paese d’Egitto. Quel giorno avverrà», dice il SIGNORE, «che tu mi chiamerai: “Marito mio!” e non mi chiamerai più: “Mio Baal!”[...] Io ti fidanzerò a me per l’eternità; ti fidanzerò a me in giustizia e in equità, in benevolenza e in compassione. Ti fidanzerò a me in fedeltà, e tu conoscerai il SIGNORE». (Osea 2:14-20, NR2006) Se lasciamo vivere queste immagini in noi, possiamo percepire la realtà di Dio come persona. Così come realizziamo non potremmo che essere umani se non potessimo sperare, ci rendiamo conto che la speranza per la sua creazione è centrale all’essere creativo 43


di Dio. La sua potenza non giace nella costrizione; qui la visione scientifica del mondo ci protegge da un vecchio errore su Dio. Non c’è spazio per il tipo di volontà ordinante che i creazionisti vogliono sostenere nell’operare delle leggi naturali. Infatti, ci porta molto più vicino al mistero di Dio se vediamo che lui cerca di persuadere, di “attrarci” nella comunione con lui. Pregare questo Dio non è lo stesso che fare richiesta a un tiranno infuriato, che può o meno accondiscendere alla nostra richiesta. Nella preghiera cerchiamo di allineare noi stessi con il suo scopo nella creazione. La teologia russa ortodossa dà un’altra immagine per l’origine della creazione. Vede nel IV capitolo dell’Apocalisse una “circolazione di gloria”. All’inizio delle cose, questa circolazione era perfetta, ma era limitata. Nella creazione, la gloria è traboccata in un mondo che non era solo gloria. Il nostro compito come esseri umani è quello di ripristinare la circolazione dando la gloria a Dio, rendendo tutto ciò che facciamo un sacramento. Gli ebrei chassidici sapevano anche questo: hanno visto in ogni fenomeno terreno una scintilla della gloria originale. L’uomo pio – il chassid – rilascia queste scintille da ogni cosa che tocca e ogni pensiero che concepisce. Quando cammina, lascia dietro di sé una scia di impronte come piccole pozze di fuoco. Quando il pio si raduna per pregare, è come un grande falò le cui scintille volano su nel cielo notturno. Quando preghiamo “sia santificato il tuo nome” stiamo pregando che la scintilla divina al centro di ogni cosa sia rilasciata dal modo in cui viviamo. Una volta sono rimasto a guardare in una galleria i primi quadri astratti, dipinti da Vassily Kandinsky appena prima della prima guerra mondiale. Mi è venuto in mente che questi quadri – non basati sull’osservazione del mondo esterno, la prima creazione – segnano una nuova fase nella conversazione tra Dio e l’umanità. Poiché in loro l’originale spirito creativo degli esseri umani si manifesta. Scintille di creatività e 44


bellezza vengono liberate e volano nei cieli per unirsi alla lode degli angeli e di tutti gli esseri delle gerarchie che non hanno mai smesso di lodare Dio sin dall’inizio stesso delle cose. Pregare “venga il tuo regno” non è chiedere un’eruzione improvvisa da un altro mondo, un “Deus ex machina” portato in scena alla fine di una tragedia greca. Chiediamo a Dio di darci la forza così da poter essere noi stessi responsabili per il regno. Preghiamo affinché possiamo riconoscere nel regno della creazione il nome divino di ogni cosa; ci incoraggiamo l’un l’altro all’amore per la creazione e la creatività; preghiamo di poter vivere secondo i valori che echeggiano gli scopi di Dio nella creazione, di diventare sempre più degni compagni di dialogo con Dio. Pregare in questo modo significa dover essere preparati ad accettare l’onere di vivere il regno nel mondo con tutta la sua bellezza e bontà e tutto il suo male. Non preghiamo Dio di abolire il male, ma di darci la forza di diventare compagni quando lo incontriamo.

2. La Trinità: una dottrina nata dall’esperienza Le immagini che rappresentano Dio come un monarca dispotico e un giudice distaccato non ci aiutano ad affrontare la realtà del nostro mondo. Né ci portano più vicino al Dio personale, che desidera invece la comunità con gli esseri umani. Se queste immagini oscurano la verità, dove possiamo trovare immagini che ci portano più vicino al suo vero essere? Le immagini che possono aiutarci in ciò sono quelle che rappresentano Dio come Trinità. La più astratta formulazione della dottrina della Trinità dichiara che Dio è tre persone divine che condividono una natura divina. A prima vista, ciò sembra riassumere il distacco che c’è tra la dottrina ufficiale e il mondo delle persone ordinarie. Come può il cavillare sulla struttura dell’essere di Dio essere rilevante per i miei bisogni 45


di essere umano, o per la mia preghiera? Nel primo capitolo abbiamo notato come, alla nascita della teologia moderna, Friedreich Schleiermacher abbia relegato la sua discussione della Trinità alla fine del suo libro La fede cristiana. Sembra molto meno importante della discussione sulla religione radicata nell’esperienza umana. Molti cristiani oggi sono eredi di Schleiermacher: vedono la loro fede in Dio come molto più importante delle speculazioni astratte sulla sua natura. Ciò rende ancora più degno di nota scoprire che questa stessa dottrina ha la sua origine in un’esperienza profondamente sentita proprio all’inizio della Cristianità. Otto giorni dopo, i suoi discepoli erano di nuovo in casa, e Tommaso era con loro. Gesù venne a porte chiuse, si presentò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!» Poi disse a Tommaso: «Porgi qua il dito e guarda le mie mani; porgi la mano e mettila nel mio costato; e non essere incredulo, ma credente». Tommaso gli rispose: «Signore mio e Dio mio!». (Giovanni 20:26-28 NR2006)

Quando Tommaso si rivolge al Cristo risorto come Signore e Dio, sta dando voce a una potente esperienza. Quattro secoli dopo, i cristiani stavano solamente cominciando a capire questa esperienza. Anche oggi, siamo a malapena oltre l’inizio. In principio, l’esperienza, che in Gesù Dio è sulla terra, fu così intensa e viva che non ci fu bisogno di formulare una fede in maniera astratta. In seguito, la rivoluzionaria natura dell’esperienza di Tommaso iniziò a diventare chiara. Possiamo capire ciò se confrontiamo la confessione di Tommaso con il primo e più fondamentale comandamento dato al popolo ebraico tramite Mosè: Io sono il Signore, il tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla casa di schiavitù. Non avere altri dèi all’infuori di me. (Esodo 20:2-3 NR2006) 46


Ancora più enfatiche sono le parole dal cosiddetto “Sh’ma Yisrael ”, “Ascolta, Israele”, dal Deuteronomio, recitate ogni mattino e ogni sera dai pii ebrei: Ascolta, Israele: il Signore, il nostro Dio, è l’unico Signore (6:4). Per venti secoli, il popolo ebraico aveva avuto il compito di comprendere l’unità di Dio. Noi abbiamo solo bisogno di rammentare il loro cammino attraverso il deserto dopo l’Esodo per vedere come fu duro. Proprio nel momento in cui Dio rivelò se stesso a Mosè sulla cima della montagna, gli Israeliti eressero un vitello d’oro e lo venerarono come un dio, in un’estasi orgiastica. Fu un duro compito culturale distogliere l’attenzione di una nazione dalla molteplicità degli esseri spirituali che operano nel mondo verso l’unità che sta alla base di tutte le cose, ciò inizialmente è una grandissima astrazione. Tuttavia, fu necessario per gli esseri umani affinché si separassero dai poteri della natura e percepissero la loro natura unitaria di esseri dotati di un “Io”. Questo risultato non poteva essere disfatto dalla nuova esperienza di Dio in Gesù Cristo. Quindi che significa quando Tommaso chiama Gesù “mio Dio”? È forse sceso Dio stesso giù sulla terra nelle vesti di Gesù? É Gesù un “secondo Dio”? O forse Gesù non è veramente Dio, ma un essere umano eccezionale, che Tommaso sta onorando con il titolo di Dio? Quando i teologi iniziarono a giustificare la fede cristiana davanti al mondo intero (in una forma di scrittura chiamata apologetica, cioè una difesa della loro fede), attinsero alle risorse della filosofia contemporanea, la quale a sua volta era ancora nell’ambito dei misteri antichi. Il doppio ambito del mistero e del pensiero filosofico è particolarmente chiaro nel caso dell’idea di Cristo come Logos o parola estratta dal linguaggio della filosofia stoica. Possiamo percepire il mistero della Parola tramite 47


una semplice riflessione sulla nostra umanità. Cosa ci distingue dagli animali? Forse il più importante aspetto è la nostra capacità di linguaggio, di comunicare pensieri. Oggigiorno parliamo del genere umano come dell’uomo conoscitore (homo sapiens); potremmo anche parlare dell’uomo parlante, homo loquens. La parola ebraica per animale, behemah, significa muto; implicitamente, gli esseri umani sono creature che parlano. L’essere della Parola era stato il tema dei misteri e delle riflessioni dell’umanità per millenni. La parola è il simbolo della natura e della creatività degli esseri umani. Nel linguaggio, gli esseri umani mostrano di essere in parte divini. Nel mondo ellenistico – la cultura che emerse nel Mediterraneo orientale in seguito alle conquiste di Alessandro il Grande – i pensatori ebrei svilupparono una filosofia che attingeva al Vecchio Testamento e al pensiero greco. Videro la connessione tra il pensiero greco sul Logos e il libro della Genesi, nel quale Dio “chiama” il mondo all’esistenza. Al tempo di Cristo, i filosofi avevano già cominciato a vedere la parola di Dio nella creazione non semplicemente come un enunciato effimero di Dio, ma come un essere a pieno diritto, derivato da Dio ma diverso da lui. In questo modo, due grandi misteri sull’essere di Dio poterono essere riconciliati: la sua totale trascendenza – la sua separazione dal mondo – e la sua presenza come potenza nel mondo. La filosofia greca comprese la verità che Dio è completamente distaccato dal mondo. In via negativa i pensatori videro un modo per comprendere l’essere di Dio tramite la contemplazione del suo opposto. Il mondo è soggetto al cambiamento; Dio è immutabile. Noi esseri umani siamo soggetti a passioni; Dio è impassibile, e così via. Tramite questo modo di contemplare, arriviamo alla concezione di Dio come motore immobile, l’immutabile fondamento dell’esistenza. Tuttavia, se Dio è talmente lontano dal nostro mondo, che è soggetto al tempo e al cambiamento, come può essere responsabile 48


per la sua creazione? Come può l’eterno e costante Dio lavorare in un mondo di tempo e cambiamento? In alcune delle loro speculazioni più sfrenate, i gruppi gnostici nel periodo di Cristo avevano suggerito che il mondo materiale fosse non il lavoro di Dio, ma di un malvagio demiurgo, un essere spirituale inferiore, che desiderava catturare l’umanità nella trappola della materia. I primi teologi cristiani si accorsero giustamente che ciò contraddiceva l’intero mistero del Cristianesimo. Cristo venne, non per liberare gli esseri umani dalla terra, ma per salvarli in terra, e con essi salvare la terra stessa. Il mistero del Logos divino ha costruito un ponte che va dalla trascendenza di Dio al suo coinvolgimento nel mondo. La volontà creativa del Motore Immobile viene espressa attraverso la Parola di Dio. Origene insegnò che la Parola nasce eternamente da Dio. Non c’è mai stato un tempo in cui Dio sia rimasto senza la sua parola, tramite la quale la creazione venne a esistere. Tuttavia Origene non chiarì queste implicazioni perché attinse più alla sua esperienza viva che all’argomentazione astratta. Se la Parola è un “secondo Dio”, come egli a volte sostiene, come possiamo ancora affermare l’unità di Dio? Il IV secolo Nel IV secolo, il rapporto poco critico nei confronti delle verità spirituali, che caratterizzò il primo periodo della teologia cristiana, stava venendo a mancare. Dove prima c’era stata una visione olistica, ora c’era la tendenza all’astrazione, che spacca e frantuma la verità. Questo è il contesto della disputa che occupò la Chiesa per la maggior parte del IV secolo, la disputa tra Ario e i suoi seguaci e Atanasio e i suoi. Ognuno di questi maestri afferrò una parte vitale della concezione di Dio. Ario vide Cristo all’opera come lo spirito creatore nel mondo. Lui è il Logos divino, l’agente dell’immutabile, dio del 49


pensiero greco in questo mondo di cambiamento e di sviluppo. Egli appartiene all’ordine creato, come “primogenito di tutta la creazione”. Come primogenito nacque prima del tempo o come l’inizio del tempo stesso. Poiché egli è parte del nostro mondo creato, egli è nostro fratello, sebbene di gran lunga migliore rispetto a noi. Egli è parte della comunità della creazione. Atanasio, avversario di Ario, comprese la vicinanza del Figlio al Padre. Vide che il mistero della Trinità, implicito nella confessione di Tommaso, non può essere risolto mettendo un secondo dio accanto al Padre; piuttosto, ci dà uno scorcio dell’essere interiore di Dio-stesso. In uno dei colpi mortali alla teologia ariana, Atanasio fa notare che se il Figlio fosse stato creato, noi saremmo idolatri quando adoriamo Cristo, dato che sappiamo che non dobbiamo adorare nessuno se non Dio stesso. Se percepiamo Cristo come una persona a pieno titolo, allora non possiamo iniziare a pensare a secondi dei o a creature maestose; piuttosto, dobbiamo cambiare l’idea di divinità, vedendo una comunione di persone divine in un’unica natura divina. La tragedia della disputa che emerse tra l’arianesimo e la teologia ortodossa è che una parte dovette essere vittoriosa. Sia Ario che Atanasio avevano compreso un aspetto della verità su Dio. C’è sia un Logos creato che uno non creato. Il Logos divino o Figlio-Dio ha una controparte nella creazione, un logos che è creato come una sua riflessione nel mondo dello spazio e del tempo. Questo “logos creato” è la totalità degli esseri delle Gerarchie, i membri dell’essere di Dio, e suoi agenti nella creazione. Quando pensiamo a Gesù Cristo non dobbiamo prendere una decisione in termini di “o/oppure” creato o non creato, circa l’essere divino che s’incarna in lui; piuttosto, possiamo vedere l’opera di entrambi i principi nell’incarnazione. Ciò significa che ci sono sia la comunità della divinità che l’umanità all’interno di Cristo stesso, o per usare il linguaggio filosofico della chiesa antica, egli è consustanziale – homoousios – sia con Dio che con noi6. 50


La Chiesa cristiana adottò la teologia trinitaria dopo le lunghe lotte che culminarono nel Concilio di Costantinopoli del 381. Tuttavia, molti cristiani all’epoca convertiti vennero attratti dalla cristianità ariana, soprattutto le tribù germaniche che si stavano gradualmente infiltrando in Europa mentre l’Impero Romano declinava. L’Arianesimo incarnava un elemento che allettava questi popoli che non erano passati attraverso i secoli di sviluppo culturale che i popoli del mondo classico avevano attraversato. Erano ancora profondamente connessi con il mondo degli elementi, il mondo della creazione. Trovarono nella cristianità di Ario ciò che in tempi moderni è chiamato “il Cristo cosmico”. Cristo non è una parte lontana della divinità, ma il principio creativo nel mondo e nell’uomo. L’immagine di Dio Una volta partecipai a un incontro per pianificare una conferenza dove iniziammo con nient’altro che un’idea del titolo. Ognuno parlò di cosa il tema significasse per noi e di quali fossero i nuovi aspetti importanti. In qualche modo accadde: smettemmo di sentire solo noi stessi, smettemmo di aspettare di dire la nostra opinione, come spesso accade negli incontri. Improvvisamente eravamo in una danza; ognuno contribuiva con cosa poteva, notando a malapena se fossi stato lui o un altro ad aver parlato. Ciò implicava un rischio: avremmo finito la nostra discussione in tempo per prendere una decisione? Dovemmo mettere tutte le tensioni e preoccupazioni da parte. Quando la nostra discussione finì, ci guardammo l’un l’altro quasi timidamente, meravigliati. Qualcosa era accaduto per cui a malapena avevamo le parole. Dalla nostra discussione, era emersa una chiara idea del contenuto della conferenza. Ognuno aveva dimenticato se stesso o se stessa, e nel dimenticare, si era ritrovato più vicino a se stesso o se stessa. 51


La nostra più profonda esperienza dell’essere umano viene dal nostro essere in relazione, non in isolamento. Tutti conosciamo il tipo di discussione in cui non vediamo l’ora che l’altra persona smetta di parlare, così da poter riuscire a dire mezza parola. E conosciamo anche il tipo di comunione che può avvenire quando superiamo questo egoistico tipo di ascolto. Una corrente di dialogo scorre tra di noi; ci nutriamo a vicenda con le nostre parole. Tuttavia, anche quelli il cui lavoro o la cui esistenza è solitaria sono in un tipo di conversazione. L’artista che si ritira per dipingere o scolpire è in un dialogo con i suoi compagni artisti, presenti e passati, e con quelli che vedranno il lavoro quando sarà completato. L’eremita prega per il mondo, anche se si è ritirato da esso. Abbiamo visto come l’esperienza di Dio in Gesù Cristo abbia portato i cristiani a percepire che Dio non è una singola persona, ma un’unità di tre persone. Agostino parla della Trinità come dell’amante, dell’amato e dell’amore che li unisce. Il Padre è l’amante, il figlio l’amato e lo Spirito è il legame d’amore tra di loro. Non possiamo immaginare l’amante senza l’oggetto del suo amore; non possiamo immaginare l’amato senza l’amore che lo rende amato; non possiamo immaginare nessuno dei due senza l’amore che è il loro legame. Ogni “persona” della Trinità conferisce esistenza all’altra tramite ciò che fa: dando amore, ricevendo amore e unendo. Un’immagine tratta dal pensiero ortodosso greco aggiunge un altro aspetto. Qui, la Trinità è la danza divina, la perichoresis. Tre danzatori girano intorno insieme a tempo con la musica. Sono individui separati; tramite il loro unirsi, è nato qualcosa che esiste molto al di sopra di ognuno di loro come individui: la danza stessa. Al centro dell’universo c’è la danza dell’amore all’interno della divinità. Il potere dell’amore che anima la danza non è rivolto verso l’interno. Trabocca nella creazione. L’unità di Dio diventa molteplicità. 52


Nei “discorsi d’addio”, Gesù rivela che la danza non è finita, e che per Dio, non ci sono mai abbastanza compagni nella danza. Dobbiamo andare lungo la via che Gesù prepara per noi, la “via del Padre”. Anche Padre e Figlio sono in viaggio verso di noi, dove rimarranno. Dobbiamo unirci nella danza affinché la creazione possa continuare nel nostro danzare. Creato per la comunità La prima creazione dell’adam – la parola ebraica per “essere umano”, non ancora un nome vero e proprio – crea un singolo essere7. “Li creò maschio e femmina”, dice il testo, vale a dire che l’essere umano originale è asessuato, o piuttosto le caratteristiche maschili e femminili sono unite in un unico sesso: l’essere è ermafrodito. Il dualismo è contenuto all’interno di un essere. In un secondo passo della creazione, l’essere umano è formato non solo nello spirito, ma anche dalla polvere della terra. Lui/ lei è creato unico, di un genere. Poi accade qualcosa di abbastanza straordinario. Fino ad ora, Dio ha rivisto la sua creazione e l’ha trovata “buona” o “molto buona”. Ora, guarda all’essere umano che ha creato e dice: “Non è bene che l’uomo sia solo” (2:18). Dio ha creato qualcosa che non è buono! Forse possiamo intendere ciò nel senso che non è perfetto, non è finito. Nell’essere umano Dio ha qualcosa che è all’inizio, non alla fine del suo percorso. E ora Dio prova una serie di cose per rendere buono ciò che è “non buono”. Crea i regni della natura, ma questi non sono abbastanza per superare la singolarità dell’essere umano. C’è una specie di pathos nei tentativi di Dio: Dio il Signore, avendo formato dalla terra tutti gli animali dei campi e tutti gli uccelli del cielo, li condusse all’uomo per vedere come li avrebbe chiamati, e perché ogni essere vivente portasse il nome che l’uomo gli avrebbe dato. L’uomo diede dei nomi a 53


tutto il bestiame, agli uccelli del cielo e a ogni animale dei campi; ma per l’uomo non si trovò un aiuto che fosse adatto a lui. (Genesi 2:19, NR2006) C’è troppa differenza tra l’essere umano e gli altri regni della natura; Adamo può dargli dei nomi, ma non possono essere degli “aiutanti”. A una prima lettura, possiamo chiederci quanto realistico sia ciò; dopo tutto, gli animali addomesticati sono stati aiutanti dell’umanità da tempo immemore. Ma ci accorgiamo che si tratta di un tipo più profondo d’aiuto inteso qui. Un aiutante non è un semplice esecutore della volontà di un altro, ma uno che entra negli scopi dell’altro. Una comunione più profonda, una più profonda condivisione delle intenzioni è parte dello scopo di Dio per l’umanità. Ora Dio compie il prossimo passo: invece di creare altri esseri fuori dall’essere umano, apporta una differenziazione all’interno dell’essere umano unitario: Allora Dio, il Signore, fece cadere un profondo sonno sull’uomo, che si addormentò; prese una delle costole di lui e richiuse la carne al posto d’essa. Dio il Signore, con la costola che aveva tolta all’uomo, formò una donna e la condusse all’uomo. L’uomo disse: «Questa, finalmente, è ossa delle mie ossa e carne della mia carne. Ella sarà chiamata donna perché è stata tratta dall’uomo». Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e saranno una stessa carne. (Genesi 2:21-24, NR2006) L’immagine è affascinante se superiamo le secolari interpretazioni errate dell’uomo come essere umano originale, e della donna come in qualche modo proveniente da lui in maniera secondaria. L’unicità dell’essere umano “non era buona”. Adesso, invece, c’è stata una differenziazione; ci sono ora due esseri che condividono la stessa natura umana. 54


Tramite la divisione, qualcosa di abbastanza nuovo è possibile. “Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e saranno una stessa carne” (2:24). Tramite la divisione, una nuova unità è possibile, un nuovo obiettivo per l’essere umano. Ciò è possibile attraverso il tipo di “aiuto” che Dio desidera. Non basta che gli esseri umani diventino separati, semplicemente per esistere l’uno accanto all’altro. Essi adempiono lo scopo di Dio aiutandosi a vicenda. In questo modo si uniranno in un’unità superiore. Il percorso dello sviluppo umano echeggia il viaggio dell’intera creazione, dall’unità alla separazione a un’unità superiore, la comunità. Ora inizia la storia degli esseri umani. La storia si realizza senza sosta fino al compimento dell’Apocalisse. Ma qui arriva una specie di eco della Creazione, quando l’immagine della nuova unità tra i cieli e la terra è simboleggiata nell’immagine del matrimonio. Il processo di creazione stesso è ripetuto su scala umana. L’io divino si riversa nel mondo, che è separato da Dio. L’obiettivo di tutta la creazione, la sua tendenza primaria, è di realizzare l’unione con Dio. Ma questo non è un semplice ritorno, che annulla ciò che è accaduto tramite la separazione; l’unità finale è infinitamente arricchita da tutto ciò che è accaduto prima. Questa conoscenza, che Dio stesso cambia partecipando allo sviluppo della sua creazione, è espressa nella preghiera dell’Avvento dell’Atto di Consacrazione dell’Uomo, che parla del “divenire” degli esseri umani, nei quali è contenuto il divenire di Dio. Qui vediamo ancora quanto vulnerabile Dio renda se stesso nella creazione. È molto più sicuro restare nella circolazione delimitata della gloria dell’Apocalisse! L’intero mistero della libertà, del male e della comunione è contenuto nel paradosso che per il compimento della comunione superiore, alla creazione deve essere data la facoltà di rigettare interamente la comunione. Non contraddice forse ciò uno dei più potenti paradigmi che costituiscono il nostro paesaggio mentale: che abbiamo cioè bisogno 55


di staccarci dalla nostra dipendenza infantile e diventare esseri separati e indipendenti? Duemila anni di storia prepararono gli ebrei a credere nell’unità di Dio. Analogamente, secoli di storia, il tempo dal Rinascimento alla Riforma, hanno preparato l’umanità moderna a credere all’unità dell’io. Il potere rivoluzionario dell’immagine della Trinità è che ci mostra che quest’idea dell’io isolato è solo una fase in un processo più lungo. L’immagine come archetipo Nel libro della Genesi, Dio dice, “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza” (1:26). Ireneo, il teologo cristiano del II secolo (ca. 140-202), vide “l’immagine” come il carattere fondamentale dell’essere umano. La “somiglianza” è ciò che dobbiamo sforzarci di ottenere. La terra è il luogo dove questo sforzo è possibile, attraverso le avversità e gli ostacoli che incontriamo. L’esperienza che ogni essere umano in lotta ha, cioè che c’è una discrepanza tra ciò che sono per certo e ciò che sento che potrei diventare, è un’esperienza della differenza tra immagine e somiglianza. In Peer Gynt, il poema drammatico scritto da Henrik Ibsen (1826-1906), i troll rappresentano gli essere umani come il prodotto della sola evoluzione naturale. Il loro orgoglioso motto è: “Ti basti d’essere come sei!”. Affrontano Peer con ciò che gli esseri umani sono quando non hanno uno scopo che va oltre se stessi. Peer, che è un grande avventuriero e sognatore, alla fine deve riconoscere che nella sua intera carriera non ha affatto sviluppato se stesso, perché è fuggito dalle sfide che avrebbero spaccato il duro guscio di se stesso. Non è stato all’altezza del motto che lui dice ai troll essere l’essenza dell’umanità: “Sii te stesso!” Molte persone sentono il pericolo di vivere una vita che non ha orizzonti oltre la routine giornaliera, e così scrivono “dichiarazioni d’intenti” per se stessi. Per quanto artificiale possa essere, 56


ciò scaturisce dal desiderio d’incarnare “un’immagine” dalla vita che non è data immediatamente. Ma come troviamo l’immagine verso la quale dirigere i nostri sforzi? Una riflessione su cosa ci formi ci fa subito rendere conto che tutto il bello e il buono in noi è scaturito dall’essere connessi ad altri esseri umani. Arriviamo a capire ancora di più il ruolo vitale che la famiglia e la prima educazione ricoprono nella formazione del carattere dei bambini. Ognuno di noi può probabilmente ricordare un maestro preferito, che ci ha ispirato con l’amore per una materia. Mentre ci facciamo largo nella vita, la nostra sposa, i nostri amici e colleghi ci danno il riflesso, l’affermazione e il supporto di cui abbiamo bisogno per diventare la miglior persona possibile. Ciò risuona con l’immagine di Dio come Trinità. Se Dio è un’eminenza solitaria, un monarca distante che giudica e condanna arbitrariamente, comandando i suoi “sudditi”, allora il nostro obiettivo alla fine deve essere di diventare così. Se dall’altro lato invece vediamo Dio come una comunità di persone, che donano esistenza e sostanza l’un l’altro in una danza creativa, allora tale essere comunitario deve essere il nostro obiettivo. Le strutture sociali che ci creiamo possono essere viste come più vicine o lontane da questo ideale. Allora cercheremo delle strutture che permettano la “danza”, la comunitaria condivisione e donazione dell’essere mentre lavoriamo insieme. Strutture di potere rigide con una chiara gerarchia, che per ironia della sorte sono spesso create con l’obiettivo di proteggere verità sancite divinamente, non sono ancora state permeate dall’immagine della Trinità. La nostra sfida è creare strutture che promuovano il potenziale creativo di ogni incontro umano, rendendolo aperto all’invito alla danza della traboccante, auto-donante creatività che sta alla base dell’intera creazione. Scopriamo qui la ragione più profonda dietro un fatto della nostra psicologia. Gli esseri umani sono maggiormente soddisfatti quando possono dare se stessi a un obiettivo fuori da sé. Diventa 57


sempre più chiaro che l’ascesa in ricchezza non porta a una società di esseri umani felici e soddisfatti. Una volta che un certo livello di prosperità è stato raggiunto – quando cioè le comodità delle creature sono fornite a un livello tale che tutta la vita non ha bisogno di essere dedicata semplicemente alla sopravvivenza – ogni incremento di prosperità non rende le persone più soddisfatte. Ciò che le rende tali, è l’essere in grado di dare se stessi a un fine con cui potersi identificare8. Per molte persone, il momento in cui ciò diventa reale è quando hanno dei figli. Ma ci sono innumerevoli modi per dare noi stessi; ciò che è chiaro è che in questo giace la sola speranza di diventare esseri completi e realizzati. Ciò ci porta più vicino a capire una frase dal Nuovo Testamento che molte persone trovano difficile da capire, la cosiddetta “blasfemia contro lo Spirito Santo” che non sarà perdonata. È tramite lo Spirito Santo che possiamo essere riconnessi con la traboccante abbondanza di Dio. Quando neghiamo questa connessione – non necessariamente in pensieri, ma in atti – allora neghiamo la base del nostro stesso essere. Ci isoliamo da noi stessi alla radice. Ciò non significa che non ci sia una differenziazione all’interno di strutture che promuovono la vita dell’amore creativo e auto-donante. È un errore fatto all’estremo opposto dello spettro, di ridurre tutti e tutto a un unico livello. Di fatto, la Trinità è una lezione su come la differenziazione renda una vera cooperazione possibile, anche a livello dell’unione della sostanza che vediamo nella Trinità.

3. Il Guaritore Ferito Supereroe Un libro degno di nota apparve in America nel 1999 e subito divenne un bestseller. Expecting Adam (Aspettando Adamo), di Martha Beck, racconta “la storia di due motivati docenti di Harvard che scoprirono a metà gravidanza che il loro bambino era ritardato 58


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