World Excellence N°9 - Dicembre

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N°9 | Dicembre 2016 |

WORLD EXCELLENCE www.lefonti.it

FINANZA, ASSICURAZIONI E IMPRESE NELLA SFIDA GLOBALE

9 DICEMBRE 2016

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ISSN 2499-5282

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LEGGERE L’ ANIMA DEL MERCATO Per Ferruccio Ferragamo, a capo della maison fiorentina, è la chiave del successo di una offerta che, per essere competitiva, deve adeguarsi continuamente alle mutevoli esigenze e stili di vita della clientela

Ferruccio Ferragamo

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WORLD EXCELLENCE

ASSET MANAGEMENT

ASSET MANAGEMENT WORLD EXCELLENCE N°9

PORTAFOGLI

Le nuove scelte di investimento

Claudio Manfrin

Le attese dell’anno in arrivo Gli investimenti saranno influenzati dalla politica economica americana. Intanto il 2016 si chiude con un moderato segno positivo per il risparmio gestito italiano. Merito di diversificazione e flessibilità

Marcello Agnello

Omar Angelino

FINANZA USA

COREA DEL SUD

LA CONTRORIFORMA L’ altra tigre DI WALL STREET è pronta al balzo Mentre Donald Trump annuncia politiche espansive e la demolizione delle norme antispeculazione, la Fed, che resta scettica sulle nuove ricette, è pronta a riprendere la via della stretta monetaria. E l’Europa è costretta ad affidarsi ancora a Mario Draghi


Mettere al primo posto i tuoi progetti ci ha fatto meritare il primo posto. L’attenzione che dedichiamo ai progetti di vita delle famiglie italiane ci ha fatto meritare la fiducia di un milione di risparmiatori e ci motiva ogni giorno a fare sempre meglio. Questo impegno si riflette nella qualità delle nostre soluzioni di investimento, che hanno ricevuto numerosi e prestigiosi riconoscimenti. Dai più valore ai tuoi risparmi con ANIMA.

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EDITORIALE

Programmi concreti e condivisi al posto di facili promesse Angela Maria Scullica @AngelaScullica

I

l rapido diffondersi della tecnologia digitale e dei nuovi strumenti di informazione che raggiungono e collegano in tempo reale un vastissimo numero di persone di culture e nazionalità differenti, stanno favorendo la crescita di una opinione pubblica molto sensibile ai fenomeni di corruzione, cattiva gestione delle risorse pubbliche e private, sprechi, rovina dell’ambiente e via dicendo. Comportamenti e atteggiamenti considerati estremanente negativi per l’espressione e il progredire di una società sana e virtuosa. Il fenomeno è molto più sentito oggi rispetto a qualche anno fa dove la diffusione dell’informazione era demandata prevalentemente ai mezzi televisivi e ai giornali, per loro stessa natura, più facilmente controllabili e limitati. Il digitale ha abbattuto quei confini andando molto oltre e rendendo immediatamente fruibili a tutti voci, pensieri, parole, opere, contenuti senza alcun filtro, se non quelli imposti dalla sicurezza e dalla privacy. E ha reso possibile il formarsi di correnti trasversali di pensiero orientate alla qualità e all’abbattimento di ostacoli al raggiungimento del proprio benessere e/o di quello creduto collettivo, che trovano nella rete l’humus congeniale per raccogliere consenso. È facile quindi intuire come in questo terreno “liquido” percezioni, sentimenti, paure, valori e bisogni di sicurezza, possano amplificarsi e trasformarsi in movimenti inarrestabili così come la voglia di abbattere velocemente gli ostacoli, rottamare, eliminare disuguaglianze e tutto ciò che viene ritenuto “marcio” o non in linea con i propri valori e visione del mondo, diventa irrefrenabile. Da qui traggono linfa e forza vitale movimenti politici capaci di unire anche categorie sociali in contrasto tra loro, definiti forse in maniera semplicistica ma sicuramente efficace “populisti”, e quei leader che sanno usare i nuovi

mezzi di comunicazione in modo da amplificare i propri messaggi di rassicurazione che placano le ansie promettendo facili soluzioni ai problemi. Il fenomeno del populismo è oggi in crescita e rischia di compromettere la tenuta stessa di un’Europa che finora ha fatto molti sforzi per uscire dalla crisi senza però riuscire a creare un sistema di valori realmente condiviso in cui popoli con storie e culture differenti possano identificarsi e capirne i vantaggi. Ma se, oltre a sollevare reazioni allarmistiche, venisse compreso dando risposte concrete, chiare e perseguibili alla protesta che esprime, potrebbe alla fine trasformarsi in una buona occasione di miglioramento e di crescita. Le contestazioni e la disaffezione all’idea dell’Europa nascono da problematiche concrete. In questi anni di crisi continua, accompagnati dal vorticoso sviluppo della tecnologia, è infatti cresciuto notevolmente il divario tra povertà e ricchezza, sono stati cancellati molti lavori tradizionali, sono crollate numerose certezze, la competizione si è allargata in tutti i campi ed è diventata globale, la selezione è cresciuta emarginando un numero elevato di individui e imprese, l’immigrazione è aumentata a livelli esponenziali. Oggi, come dice Mario Draghi, per tornare a crescere non basta la politica espansiva della Bce, ma servono urgentemente riforme strutturali. Che però, aggiungiamo noi, in quest’epoca che ha assistito al crollo delle ideologie e alla nascita dei social network e di una comunicazione veloce e diretta in rete che rende tutti connessi e interrelati, vanno individuate e spiegate in modo da venire condivise e comprese dalla maggioranza dell’opinione pubblica nei reali vantaggi che possono portare in termini di crescita, benessere, efficienza, trasparenza, giustizia e sicurezza sociale. 

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WORLD EXCELLENCE

DIRETTORE RESPONSABILE Angela Maria Scullica angela.scullica@lefonti.it

SCENARI

REDAZIONE Federica Chiezzi (federica.chiezzi@lefonti.it),

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E ora Trump entra in gioco

REDAZIONE GRAFICA Valentina Russotti

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Il nuovo ordine economico

SEGRETERIA DI REDAZIONE segreteria@lefonti.it

PRIMO PIANO

TECNOLOGIA

COLLABORATORI Laura Colnaghi, Sergio Cuti, Filippo Cucuccio, Gloria Valdonio, Filippo Fattore, Luigi Dell’ Olio, Guido Sirtoli, Fabio Sgroi, Paolo Tomasini, Lucio Torri, Donatella Zucca

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L’industria 4.0 rottama fabbriche e capannoni

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Hi-tech milanese a vocazione estera

Meno burocrazia e largo ai giovani

MERCATI E IMPRESE

RESPONSABILE COMUNICAZIONE E RELAZIONI ESTERNE Claudia Chiari

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COORDINAMENTO INTERNAZIONALE ( New York, Dubai, Hong Kong, Londra, Singapore...) Alessia Liparoti alessia.liparoti@lefonti.it

È il momento del ritorno in Italia

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Fare rete per proteggere il vino

PROGETTI SPECIALI Alessia Rosa alessia.rosa@lefonti.it

INTERNAZIONALIZZAZIONE

INNOVAZIONE E DIGITAL MARKETING Simona Vantaggiato simona.vantaggiato@lefonti.it REDAZIONE E STUDI TELEVISIVI Via Dante 4, 20121 Milano - tel. 02 8738.6306 Per comunicati stampa inviare a: press@lefonti.it EDITORIAL OFFICES Londra - Milano - New York - Singapore Dubai - Hong Kong EDITORE

Le Fonti S.r.l. Via Dante, 4, 20121, Milano STAMPA Arti Grafiche Fiorin - AGFiorin CONCESSIONARIA PER LA PUBBLICITÀ Opq s.r.l. Via G.B. Pirelli, 30- 20141 Milano tel. 02 6699.2511 | info@opq.it | www.opq.it DISTRIBUZIONE PER L’ITALIA MePe - Distribuzione Editoriale Via Ettore Bugatti, 15 - 20142 Milano DISTRIBUZIONE ESTERO Johnsons International News Italia srl via valparaiso, 4 - 20144 milano SERVIZIO ABBONAMENTI Telefono 02 8738 6306 o inviare una mail a: abbonamenti@editricelefonti.it CAMBIO INDIRIZZO Si prega di comunicarci entro il 20 del mese precedente il nuovo indirizzo via mail a: abbonamenti@editricelefonti.it

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L’altra tigre è pronta al balzo

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Il segreto del successo di Dubai

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Così il Principato attrae le imprese più innovative

ASSET MANAGEMENT

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Le attese dell’anno in arrivo

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FINANCE 46 50

La controriforma di Wall Street Anche i giovani diventano previdenti

ASSICURAZIONI 56

Le prossime sfide

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Le banche accellerano sui rami danni

LAVORO

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Il futuro del lavoro nell’era digitale

Chi ha paura delle trumpnomics?

RUBRICHE 6 17 45 69 70 71 96 98

Mondo Nuovo News Luxury Lifestyle Top Executive Carriere Arte & Design Trend



MONDO NUOVO

Gli Usa e il mondo in transizione Richard N. Haass

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Presidente del Council on Foreign Relations, è stato direttore del Policy Planning per il Dipartimento di Stato Usa e inviato speciale in Irlanda del Nord e in Afghanistan per il presidente George W. Bush

l 20 gennaio, la transizione politica americana sarà completata. E il presidente eletto, Donald Trump, diventerà il presidente Trump, mentre il presidente Barack Obama si unirà a Jimmy Carter, George H. W. Bush, Bill Clinton e George W. Bush quale presidente emerito. Le speculazioni sulla possibile politica estera e interna di Trump sono dilaganti, ma nessuna di queste è significativa. Fare campagna elettorale e governare sono infatti due attività ben distinte, e non c’è alcuna ragione per presumere che il modo in cui Trump ha condotto la sua campagna determinerà il suo approccio alle politiche di governo. Ma in quest’incertezza, ci sono alcuni elementi che conosciamo. Il primo è che Trump si troverà ad affrontare una serie di sfide internazionali complesse. Di certo, nessuno di questi problemi è paragonabile al culmine della Guerra Fredda, ma il numero e la complessità delle questioni è senza precedenti nell’epoca moderna. Al primo posto c’è il Medio Oriente, una regione in fase avanzata di disfacimento. La Siria, l’Iraq, lo Yemen e la Libia pongono di fronte una sfida che va dalla guerra civile alla guerra per procura. L’accordo nucleare con l’Iran tutela un aspetto della potenza iraniana e solo per un periodo di tempo limitato. L’Isis starà anche perdendo la sua dimensione territoriale, ma, insieme ad altri gruppi, continuerà a essere una minaccia terroristica per diversi anni a venire. La piaga di milioni di rifugiati rappresenta poi non solo una tragedia umanitaria, ma anche un peso strategico ed economico per i paesi della regione e per l’Europa. L’Europa, dal canto suo, sta già affrontando una serie di sfide importanti tra cui l’aggressione della Russia contro l’Ucraina, la Brexit, la crescita dei populismi e dei nazionalismi e un tasso basso di crescita economica. La Turchia rappresenta un problema specifico vista la crescita dell’illiberalismo all’interno del paese e il comportamento volubile all’estero. Inoltre, il fatto che i curdi siriani si siano rivelati i partner migliori dell’America nella lotta contro l’Isis aggiunge complessità alle scelte di politica estera che si dovranno fare. La stabilità dell’Asia orientale è invece minacciata dall’ascesa della Cina e dalle sue ambizioni strategiche, dai progressi sul nucleare e sui missili balistici della Corea del Nord e da una miriade di rivendicazioni contestate marittime e territoriali. Nell’Asia meridionale ci sono nuove tensioni tra l’India e il Pakistan, due paesi rivali armati con il nucleare e con una storia di conflitti alle spalle. Anche il futuro dell’Afghanistan è incerto; in questo paese infatti più di un decennio di coinvolgimento e supporto internazionale non è riuscito a instaurare un

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governo capace o a reprimere i talebani e altri gruppi armati di opposizione. Più vicino agli Usa, il Venezuela, ricco di petrolio, ha molte caratteristiche tipiche di uno stato fallito. Anche in Africa un mix di governance inefficace, di bassa crescita economica, di terrorismo, guerra civile o entrambe sta dilagando in diversi paesi. Ma se da un lato fare campagna elettorale non è la stessa cosa di governare, la campagna di Trump ha creato ulteriori difficoltà oltre a quelle che già dovrà affrontare. Sostenendo il principio del «viene prima l’America», Trump ha sollevato dei dubbi negli alleati rispetto al fatto se sia o meno saggio continuare ad appoggiarsi agli Stati Uniti. La presunta soppressione del Trans-Pacific Partnership ha poi creato disagio in Asia e Sudamerica e ha creato dei dubbi rispetto al mantenimento da parte degli Stati Uniti del loro ruolo di modello per il commercio globale o a un eventuale passaggio a un approccio più protezionista. Il Messico, oggetto di forti critiche da parte di Trump durante la sua campagna, si trova ora ad affrontare una serie di questioni legate al commercio e all’immigrazione. Il presidente entrante e chi lo circonda saranno soggetti a una forte pressione per affrontare in tempi rapidi tutte le questioni e le preoccupazioni che si troveranno di fronte, ma farebbero bene a prendersi il loro tempo. La priorità per ora e per i mesi a venire dovrebbe essere definire la nuova amministrazione, infatti sono circa 4mila i posti da assegnare. La nuova amministrazione dovrà inoltre imparare a collaborare e a rivedere le politiche esistenti prima di decidere di implementarne di nuove. Ci sarà molta attenzione (e molte aspettative) sui primi cento giorni dell’amministrazione. Ma non c’è proprio niente di magico sui primi cento giorni di una presidenza fatta di 1.460 giorni. È più importante fare le cose bene che farle nel più breve tempo possibile. Gli altri governi farebbero meglio a fare di più invece di aspettare che la nuova amministrazione statunitense si sistemi. Gli alleati dovrebbero prendere in considerazione quello che potrebbero fare in più in nome della difesa comune. Potrebbero sviluppare e condividere le loro idee su come gestire al meglio la Russia, la Cina, l’Isis, la Corea del Nord e l’Iran. Allo stesso modo potrebbero iniziare a pensare a come proteggere e promuovere il commercio globale senza accordi guidati dagli Stati Uniti. In questa nuova era, l’equilibrio tra ordine e disordine globale sarà determinato non solo da ciò che faranno gli Stati Uniti, ma anche, e sempre di più, da quello che i paesi da sempre allineati con l’America saranno pronti a fare. 



SCENARI

CAMBIO AL POTERE

E ORA TRUMP ENTRA IN GIOCO Dalla Cina all’Europa, tutto il mondo cerca di capire che cosa succederà a partire dal 20 gennaio, quando il nuovo presidente Usa prenderà il comando Mario Lombardo

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IL BUONO E IL CATTIVO

In alto, Reince Priebus, prossimo capo staff della Casa Bianca, rappresenta l’establishment; sopra, Stephen Bannon è consigliere strategico di Trump, esponente dell’estrema destra

ora che succederà? È la domanda più comune dopo che Donald J. Trump ha vinto le presidenziali americane, ma la risposta è difficile, soprattutto perché The Donald cambia parere velocemente, spiazzando un po’ tutti. Nel corso della campagna elettorale si era speso in grandi promesse, che riguardavano l’economia e la società così come la politica estera, ma non appena conosciuto il risultato delle votazioni ha mostrato un altro volto rispetto a quello aggressivo fino all’insulto esibito nei comizi, dimostrandosi innanzitutto pragmatico.Nel discorso di accettazione, ha dichiarato tra l’altro di voler essere «il presidente di tutta l’America», in pratica stendendo la mano agli oppositori. Nel colloquio a quattrocchi con Barack Obama, a Washington e subito dopo le elezioni, è stato moderato, non solo nei toni, ma anche nella scelta della squadra alla fine sembra far emergere il suo aspetto pragmatico. Le prime mosse da presidente eletto, o meglio i nomi degli uomini che nei prossimi quattro anni saranno al suo fianco, hanno acceso critiche o addirittura destato panico, tanto che: «Donald mi preoccupa», ha detto Obama dopo la scelta di Stephen (Steve) Bannon, 62 anni, come consigliere strategico della Casa Bianca. Perché Bannon rappresenta l’estrema destra, la “pancia” razzista dell’America, l’uomo che impersona la alt-right, abbreviazione che sta per destra alternativa, quella che raccoglie un insieme di gruppuscoli extra parlamentari che trovano il collante nell’ideologia supremati-

sta bianca. In realtà l’investitura di Bannon a chief strategist è la seconda nomina di Trump: la prima riguarda Reince Priebus, 44 anni, come prossimo capo staff della Casa Bianca. Presidente del partito repubblicano, l’avvocato Priebus ha buona esperienza politica, garantisce la collateralità con i presidenti della Camera e del Senato, saldamente in mano al suo partito, e la sua nomina non ha destato critiche.Un falco e una colomba i primi nominati, che come tutti quelli poi chiamati a ruoli di governo vengono dalle file del Grand Old Party. Sono tra infatti considerati tra i “duri” del partito repubblicano Jeff Sessions, 69 anni, senatore dell’Arkansas già accusato di razzismo che sarà Attorney General, il nostro ministro della Giustizia; Mike Pompeo, 52 anni, membro del Tea Party, favorevole alle armi e contrario all’aborto e alla chiusura di Guantanamo, che sarà il capo della Cia; Michael Flynn, 57 anni, ex generale dimessosi in odio a Obama e alle sue politiche anti-terrorismo, il quale diventerà consigliere per la Sicurezza Nazionale. Steven Mnuchin, direttore finanziario della campagna elettorale di Trump, ex Goldman Sachs, è stato scelto per guidare il dipartimento del Tesoro, e ha confermato che ci sarà un tagio massiccio e generalizzato delle tasse; mentre Wilbur Ross, il prossimo segretario al commercio, ha esordito con un perentorio: «Basta agli stupidi accordi commerciali che gli Usa hanno con molti paesi». Solo falchi repubblicani nel governo Trump, sostiene Democracy Alliance, il club dei milionari fondato nel 2004 da George Soros che raccoglie i finanzieri di

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LA SQUADRA ECONOMICA Steven Mnuchin (a sinistra), ex Goldman Sachs, produttore cinematografico, fondatore dell’hedge fund Dune Capital Management è stato scelto da Trump come segretario del Tesoro; mentre il miliardario Wilbur Ross sarà il prossimo segretario al Commercio area democratica ora contrari a Trump e al suo programma considerato «un attacco terrificante alla nostra visione di un paese più giusto». Dopo la “sconfitta impossibile” nelle elezioni presidenziali, Democracy ha affidato alla senatrice Elisabeth Warren, che con Bernie Sanders rappresenta l’anima più liberal del partito democratico, l’incarico di trovare l’uomo, o la donna, che nel 2020 dovranno riconquistare la Casa Bianca. E Tom Steyer, il miliardario ecologista che ha già investito 140 milioni di dollari per migliorare il clima, si dice pronto a spendere il necessario per contrastare il presidente eletto. Ma ecco che Trump spariglia le carte nominando due donne e un afroamericano al governo, dopo aver asserito in diverse occasioni che il posto della donna è in famiglia e quanto agli afoamericani... Ora invece si sa che Nimrata (Nikki) Randhawa, 44 anni, di origine indiana e dal 2011 governatrice della South Carolina sarà l’ambasciatrice degli Stati Uniti all’Onu nonostante la problematica esperienza in politica

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estera, mentre Elisabeth (Betsy) DeVos, miliardaria attivista del Grand Old Party, imprenditrice e filantropa di 58 anni, sarà la segretaria (ministro) all’Istruzione. E sarà un chirurgo di colore, il dottor Ben Carson, il responsabile dell’Edilizia e dello Sviluppo urbano di cui non si capisce come possa sapere. Tutto però rientra nel percorso ondivago di Trump che continua a lanciare messaggi contraddittori: ha ribadito che qualche milione di immigrati irregolari finirà in carcere o fuori dagli States ma ha ammesso che sarà difficile erigere quel muro al confine del Messico che aveva promesso. Dice una cosa e subito dopo un’altra di segno contrario, sulla falsariga della sua campagna elettorale. Vinta, secondo gli analisti politici, grazie alla postverità , per la quale conta soprattutto la protervia del linguaggio e l’affermazione apodittica di alcune opinioni, non importa se vere e documentate oppure false e inventate, trascurando la realtà dei fatti per costruire un racconto in cui contano prontezza di spirito e brutalità dialettica.

Qualcosa del genere si è gia visto in Gran Bretagna, quando nella campagna referendaria per la Brexit sono state utilizzate tutte le armi della peggior retorica, con insulti e grida contro l’ipotesi del remain e calunnie e “bufale” sulle persone che la sostenevano. Nel Regno Unito la post-verità ha portato a un risultato alle urne del tutto inatteso e a una netta divisione tra pro e contro Brexit, come negli Stati Uniti tra favorevoli e contrari a Trump: un solco che neppure l’Alta Corte di giustizia è riuscita a colmare. Perché i giudici di Londra hanno stabilito che il referendum era solo consultivo e quindi che l’uscita dall’Unione Europea non può avvenire senza un voto di approvazione del Parlamento britannico, ma la premier Theresa May ha subito ribattuto che il suo governo farà appello contro la sentenza e, naturalmente, che non vuole sentir parlare di elezioni anticipate. A Bruxelles intanto già pensano a cosa potrebbe succedere se Trump mantenesse fede al proposito di diminuire l’impegno degli Stati Uniti verso la Nato e sono tentati di accelerare quel progetto di difesa europea che da anni giace nei cassetti del Parlamento. In ballo c’è poi il fatto che Trump potrebbe anche riconoscere alla Russia l’influenza sui paesi limitrofi che Putin reclama da tempo, così come potrebbe seguire i consigli di Israele e dell’Arabia Saudita che nella Turchia vedono un nemico. Anche in Cina c’è molta attesa sulle mosse di Trump. Dopo l’ultimo G20 americani e cinesi avevano infatti ratificato l’intesa di Parigi e si erano dichiarati


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