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LE FONTI
LEGAL
Anno 2017 - Prima immissione 13/12/2017 | Anno II | N°19 | Dicembre 2017
837009 772499 9
ISSN 2499-8370
70019
www.lefonti.it
Dicembre 2017 | N°19 | 20 € Mensile
LA RIVISTA N°1 DEGLI AVVOCATI
Gli studi legali entrano nell’ERA ROBOTICA Il settore della consulenza legale sta andando incontro a grandi trasformazioni tecnologiche. Che cambieranno organizzazioni, rapporti con la clientela e mercato. Ne parla il giuslavorista Franco Toffoletto
Franco Toffoletto
BANKING & FINANCE COME FUNZIONANO GLI STRUMENTI DI CESSIONE DEGLI NPL
CLASSIFICHE
CHI FA PIÙ AFFARI CON IL PRIVATE EQUITY
EDITORIALE
Lotta alla corruzione, un problema ancora aperto ANGELA MARIA SCULLICA
@AngelaScullica
C
he l’Italia sia un Paese con un tasso di corruzione elevato, è stato ribadito anche dai rapporti Trasparency International e Greco. Il primo ci piazza al 60esimo posto su 176 paesi nella scala della percezione della corruzione, con un voto di appena 47 su 100, mentre, se guardiamo all’ Europa, caliamo addirittura al terzultimo posto davanti solo alla Grecia e alla Bulgaria. Il secondo, e cioè il rapporto Greco (Group of States Against Corruption, organo anticorruzione nato nel 1999 in seno al Consiglio d’Europa), dopo avere riconosciuto gli sforzi compiuti negli ultimi anni dal nostro Paese sul fronte delle misure preventive e punitive dei fenomeni corruttivi nel settore pubblico, ed elogiato il ruolo svolto dall’Anac nella lotta alla corruzione, ha elencato una serie di molteplici e perduranti punti di debolezza del sistema tra i quali, spiccano la “debolissima regolamentazione delle attività di lobbying e di finanziamento della politica” e “l’assenza di una seria legge a tutela di chi segnala illeciti”. Criticità evidenziate anche da Trasparency International. Ma, quel che preme in questa sede sottolineare, è che da entrambi i rapporti emerge che, per affrontare la situazione in modo adeguato e porre soluzioni efficaci, occorre necessariamente affiancare all’attività di law enforcement un indispensabile mutamento culturale. In particolare il rapporto Greco lo invoca chiaramente esplicitando la necessità di un cambiamento di valori radicale e profondo (“combating corruption has to become a matter of culture and not only rules”). Ed è da qui che occorre partire per riflettere sul perché, nonostante gli innumerevoli sforzi legislativi profusi in questi ultimi anni, l’Italia resta ancora tanto indietro. A questo proposito la prima considerazione da fare riguarda la reale efficacia delle misure intraprese. A parte quelle che riguardano la trasparenza dei conti e l’antiriciclaggio, sul cui successo tutti sembrano d’accordo, come evidenzia il report di Transparency international Italia che assegna alla “trasparenza contabile e societaria” un punteggio di 81 su 100 e al sistema antiriciclaggio di 75 su 100, le altre in generale sembrano dettate più da una ricerca di consenso che da una reale e concreta conoscenza e determinazione. Prendiamo per esempio l’aumento delle pene e le modifiche operate dalla Legge Orlando (legge 103 del 23/06/2017) sugli articoli 159 e 161 del c.p. in tema di sospensione e prescrizione con le quali il termine prescrizionale potrebbe potenzialmente arrivare addirittura a 18 anni e 6 mesi. Misure certamente concepite per avere un impatto elettorale ma che, nella pratica, potrebbero rivelarsi un ostacolo per l’eliminazione del fenomeno. Come si è detto anche nella tavola rotonda promossa da Le Fonti, “L’eccessiva lunghezza dei termini prescrizionali costituisce la strada migliore per garantirsi quell’eccessiva lunghezza dei processi che lo stesso rapporto Greco stigmatizza. Senza contare che ciò, nei fatti, rischia di determinare la violazione pressoché sistematica del principio costituzionale della ragionevole durata del processo (art. 111 co. 3° Cost.)”. Relativamente invece all’innalzamento delle pene passate in pochi anni per il reato di cui all’articolo 319 c.p., da una cornice edittale compresa tra 2 e 5 anni a una tra 6 ai 10 anni, studi criminologici e di carattere socio-economico, hanno sempre evidenziato come non vi sia una correlazione tra l’aumento delle pene e la diminuzione di fenomeni criminali che si intendono limitare. Anche l’aumento delle pene sembra quindi rispondere più ad una esigenza di dimostrare più che a quella di rendere più efficace la norma. “La corruzione è per sua natura un reato difficile da far emergere giacché corrotto e corruttore hanno il medesimo interesse a tacere”, si è ribadito durante la tavola rotonda di Le Fonti. Con un aumento del minimo di pena viene meno la possibilità per gli inquirenti di incentivare l’indagato di corruzione a rivelare altri fatti che potrebbero estendere la portata delle indagini. Per concludere, a meno che non si affrontino i problemi con pragmatismo e conoscenza anche a costo di non piacere ai più, la questione della corruzione da noi resta aperta e si presta ancora ad essere utilizzata per meri scopi elettorali a breve termine.
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LE FONTI LEGAL LA RIVISTA N°1 DEGLI AVVOCATI
Sommario
SCENARI
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Chi fa più affari con il private equity
La lunga “trafila” per le autorizzazioni
DI GABRIELE VENTURA
PENALE E FISCO
DI MARIA ADELE DE LUCA
Anticorruzione tra standard europei e limiti nazionali
E LOREDANA CHIARAMONTE
PROTAGONISTI
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L’attività dello studio entra nell’era robotica DI LUIGI DELL’OLIO
MERCATI E BUSINESS
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Il meccanismo italiano per le crisi bancarie DI FILIPPO CUCUCCIO
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Il mito del camice bianco e il numero chiuso DI MICHELE BONETTI E SANTI DELIA
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Arriva la stretta sulle intercettazioni DI FILIPPO FATTORE
«Le life sciences hanno un grande potenziale» DI LUIGI DELL’OLIO
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DI SILVANO ENNE
General Counsel
Mondo legale
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DI LUIGI DELL’OLIO
PROGETTI SPECIALI Alessia Rosa (alessia.rosa@lefonti.it)
DIRETTORE RESPONSABILE Angela Maria Scullica (angela.scullica@lefonti.it) REDAZIONE Federica Chiezzi (federica.chiezzi@lefonti.it) SEGRETERIA EDITORIALE segreteria@lefonti.it COLLABORATORI Filippo Cucuccio, Luigi Dell’Olio, Filippo Fattore, Alice Trevisan, Paolo Tomasini, Gabriele Ventura
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In corsa
COORDINAMENTO INTERNAZIONALE (New York, Dubai, Hong Kong, Londra, Singapore) Alessia Liparoti (alessia.liparoti@lefonti.it)
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IMPRESE E LAVORO
La gestione dei rischi negli studi legali
RESPONSABILE COMUNICAZIONE E RELAZIONI ESTERNE Claudia Chiari
EDITORE
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DI GABRIELE VENTURA
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Carriere LEGAL n. 19 - Dicembre 2017
BANKING & FINANCE
DI FEDERICA CHIEZZI
Eventi
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DI LUIGI DELL’OLIO
Così si affronta il nodo critico del passaggio generazionale
RUBRICHE
DI LUIGI DELL’OLIO
Verso la Voluntary disclosure 3
Come funzionano gli strumenti di cessione degli npl
PROFESSIONE AVVOCATO
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DI ALICE TREVISAN
SCENARI
Arte in crescita negli studi legali Il sottile confine tra pubblicità e informazione
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INNOVAZIONE E DIGITAL MARKETING Simona Vantaggiato (simona.vantaggiato@lefonti.it) UFFICIO GRAFICO Valentina Russotti REDAZIONE E STUDI TELEVISIVI Via Dante 4, 20121 Milano tel. 02 8738.6306 Per comunicati stampa press@lefonti.it EDITORIAL OFFICES Londra, Milano, New York, Singapore, Dubai, Hong Kong CONCESSIONARIA PUBBLICITÀ Opq s.r.l. Via G.B. Pirelli, 30- 20141 Milano tel. 02 6699.2511, info@opq.it, www.opq.it
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SCENARI
RIFORMA DEL PROCESSO PENALE
Arriva la stretta sulle intercettazioni Il Governo vara il decreto che metterà fine agli abusi. Le conversazioni dei soggetti sotto inchiesta saranno sottoposte a un vaglio che eliminerà tutte quelle non rilevanti sotto il profilo penale. Regolamentati pure i “trojan” informatici DI FILIPPO FATTORE
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al bavaglio mediatico denunciato dalla Federazione nazionale della stampa al nuovo patto del Nazareno tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi ipotizzato dalle opposizioni, dalle critiche dei magistrati per il passo indietro sull’utilizzo delle nuove tecnologie alle perplessità dei penalisti per la compressione delle garanzie difensive. La riforma delle intercettazioni incardinata dal gover-
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no guidato da Paolo Gentiloni dopo decenni di tentativi andati a vuoto non è stata accolta con grida di giubilo. Le polemiche erano già partite sottotraccia prima dell’estate, quando il Parlamento diede il via libera alle linee guida contenute nella legge delega sul nuovo processo penale. Ma la mina è ufficialmente deflagrata il 2 novembre, con l’approvazione in prima lettura (ad un giorno dalla sca-
denza della delega) da parte del Consiglio dei ministri del decreto legislativo di nove articoli che ridisegna la materia. I giochi non sono ancora completamente chiusi. Considerato l’obbligatorio seppur non vincolante rituale dei pareri delle commissioni parlamentari competenti e il rapido approssimarsi della fine della legislatura, non è escluso che il provvedimento finisca di nuovo nel cassetto, seguendo lo stesso destino dei suoi predecessori. Limitare gli abusi Il governo, però, sembra intenzionato a non mollare. Anche perché, ha spiegato il premier Gentiloni, non si tratta di limitare l’uso delle intercettazioni, ma di contrastarne l’utilizzo disinvolto: «Sappiamo che questo strumento è fondamentale per le indagini e in nessuno modo vogliamo limitare la possibilità di disporre di uno strumento per la magistratura fondamentale per contrastare i reati più gravi, ma è evidente che in questi anni ci sono stati frequenti abusi». Sulla stessa linea il ministro della Giustizia, che ha sintetizzato la riforma spiegando che il provvedimento mette «una serie di vincoli che non restringono la capacità di indagine, ma riducono il rischio della fuga di notizie se non sono legate a fatti penalmente rilevanti». Il principio che ha guidato l’azione di g over no è che «le intercettazioni non sono disposte per far luce sulla sfera personale dei sing oli, ma per perseguire reati». Ed è intorno a questo che r uota la rifor ma. Non ci sarà alcuna restrizione, ha assicurato Andrea Or lando, «alla facoltà dei magistrati e degli investigatori di usare le intercettazioni come str umento di indagine, anzi in un passag gio specifico il testo rende più semplice la richiesta di autorizzazione per i più gravi reati contro la pubblica amministrazione».
RETROMARCIA Beniamino Migliucci, presidente dell’Unione delle camere penali, punta il dito principalmente sull’arretramento rispetto alla previsione della delega, «per cui la scelta delle conversazioni sarebbe dovuta avvenire nel contraddittorio tra le parti».
Nessun bavaglio Ed anche l’idea del bavaglio all’infor mazione, secondo il ministro, è il fr utto di una visione distorta: «Il provvedimento non inter viene sulla libertà di stampa e il diritto di cronaca, inter viene invece su un punto specifico, cioè la procedura attraverso la quale vengono selezionale le intercettazioni e la modalità con le quali queste vengono utilizzate come str umento di prova». C’è un primo vaglio, ha spiegato Orlando, che viene fatto dalla polizia giudiziaria sotto il controllo del magistrato che conduce le indagini, un vaglio che spinge a togliere ciò che non è penalmente rilevante dall’insieme delle intercettazioni che verranno poi utilizzate nel corso del procedimento; c’è un secondo passag gio in cui questo stesso lavoro è compiuto dal magistrato e poi c’è un meccanismo che può portare anche a un contraddittorio con la difesa per verificare se ciò che viene prodotto è rilevante penalmente; infine, l’ultima parola, qualora non ci sia un accordo, è rimessa a un giudice terzo. Per fare questo è previsto un archivio riservato in cui vanno a finire tutte le intercettazioni che non sono rilevanti dal punto di vista penale».
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GIUDIZIO POSITIVO Giovanni Legnini, vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, ha definito il testo «una soluzione improntata all’equilibrio e a un più avanzato contemperamento di diritti e valori non facilmente componibili».
Meno trojan nei pc Nel dettaglio, il testo inserisce dei vincoli alla trascrizione delle conversazioni nelle richieste dei pm e nelle ordinanze dei giudici: «Quando è necessario, sono riprodotti soltanto i brani essenziali», dispone il provvedimento. Non vengono però compromessi i virgolettati dei colloqui captati, che in una bozza preparatoria del decreto erano stati vietati e sostituiti da sunti delle conversazioni. Viene poi istituito presso l’ufficio del pm un archivio riservato delle intercettazioni la cui “direzione” e “sorveglianza” sono affidate al procuratore della Repubblica e il cui accesso, registrato con data e ora, sarà consentito solo a giudici, difensori e ausiliari autorizzati dal pm. Quanto ai mezzi per intercettare, si delimita l’uso dei “trojan”, ossia i captatori informatici, in pc o smartphone, che «pur ampiamente praticato nella realtà investigativa, non è stato in precedenza oggetto di alcuna regolamentazione a livello normativo», riporta la relazione illustrativa che accompagna il decreto. Ora l’obiettivo è quello di consentirne sempre l’impiego, senza particolari vincoli, per i reati più gravi, in primis terrorismo e mafia, prevedendo invece che per gli altri reati debbano essere esplicitamente motivate, nei decreti di autorizzazione, ragioni e modalità. La riforma semplifica inoltre l’impiego
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delle intercettazioni nei reati più gravi contro la pubblica amministrazione commessi da pubblici ufficiali, uno strumento per rendere più efficace il contrasto alla corruzione. Fatto salvo il diritto di cronaca, è previsto il carcere fino a 4 anni per chi diffonde riprese audiovisive e registrazioni di comunicazioni effettuate in maniera fraudolenta per danneggiare «la reputazione o l’immagine altrui». Il muro delle opposizioni I primi a storcere il naso di fronte alle nuove norme sono stati i rappresentanti delle opposizioni. Se Pd e Ap hanno rivendicato il risultato della riforma, per motivi diversi, è piaciuto poco sia ai grillini che a Forza Italia. Il Movimento 5 stelle, malgrado le rassicurazioni del governo sul fatto che
La riforma stabilisce che se il difensore viene occasionalmente ascoltato, la conversazione non può essere trascritta la stretta sulle intercettazioni non avrebbe impedito di trascrivere e utilizzare né le parole di Ruby Rubacuori su Silvio Berlusconi, né quelle tra Matteo Renzi e il padre Tiziano per l’inchiesta Consip, è convinto che il testo sia il frutto di un nuovo Nazareno. «Orlando, Gentiloni e il Pd hanno coronato il sogno dei Berlusconi: c’è un patto ed è chiaro», ha accusato Luigi Di Maio. Più tecnica l’obiezione arrivata dai banchi di centrodestra. Secondo Paolo Sisto, deputato di Forza Italia e avvocato penalista, si tratta di «una riforma ridicola, che penalizza l’esercizio dei diritti della difesa con complicazioni professionali che rendono pressoché impossibile il contraddittorio su quanto intercettato». Le critiche degli avvocati Una linea sposata anche dall’Unione delle Camere penali. Il presidente Beniamino
strati italiani, pochi e con enormi carichi di lavoro, riescano a fare i controlli che richiederebbe questa legge».
SEMPLIFICAZIONE La riforma semplifica l’impiego delle intercettazioni nei reati più gravi contro la pubblica amministrazione commessi da pubblici ufficiali, uno strumento per rendere più efficace il contrasto alla corruzione.
Migliucci punta il dito principalmente sull’arretramento rispetto alla previsione della delega, «per cui la scelta delle conversazioni sarebbe dovuta avvenire nel contraddittorio tra le parti». Ci voleva, ha spiegato il penalista, «un’udienza a cui doveva partecipare il difensore, avendo il tempo di conoscere le conversazioni intercettate. E invece adesso il contraddittorio non è pieno, perché decide il giudice in camera di consiglio e c’è una compressione dei tempi tale da portare ad una profonda limitazione del diritto di difesa». Altro punto critico è quello dei colloqui tra difensore e assistito. La riforma stabilisce che se il difensore viene occasionalmente ascoltato, quella conversazione non possa essere trascritta. «Si tratta di un divieto», ha detto Migliucci «che non è assistito da nessuna sanzione, nemmeno disciplinare. Bisognava invece stabilire che quelle conversazioni fossero subito avviate alla distruzione». Molto dubbiosa sull’efficacia della norma è, invece, Giulia Bongiorno, penalista ed ex deputata. «Nelle trascrizioni», sostiene l’ex difensore di Giulio Andreotti «vi sarà un’enorme discrezionalità, ai limiti dell’arbitrio, nel decidere quali intercettazioni siano rilevanti e quali no. Escludo che i magi-
L’insoddisfazione dei pm Insoddisfatti, però, sono anche i magistrati, che individuano nelle nuove norme un ostacolo alle indagini. In particolare, secondo il presidente dell’Anm, Eugenio Albamonte, «ridurre l’uso delle nuove tecnologie è di fatto una limitazione alle intercettazioni. Ora si rischia di danneggiare le indagini, non facendoci stare al passo con i delinquenti». Anche il più “babbeo” dei criminali, a giudizio di Albamonte, ha imparato a usare i rilevatori di microspie e sa che su whatsapp non si può essere intercettati senza trojan. Se un pm , sotto il controllo del gip, «non può disporre di ciò che il criminale usa, come fa?». Anche sulle trascrizioni ci sono perplessità. «La polizia giudiziaria», ha spiegato Albamonte «non può più verbalizzare ciò che non è rilevante per le indagini. Ma se poi lo diventa? Se un incontro neutro si rivelasse un passaggio di droga, chi ritroverebbe nel mare magnum delle intercettazioni quei colloqui?». Una critica condivisa da Nino Di Matteo, pm antimafia per anni a Palermo e adesso alla Procura nazionale. La norma che vieta la trascrizione, anche sommaria, delle conversazioni che appaiono irrilevanti nell’immediatezza, ha sottolineato, «non tiene in alcun conto un dato di esperienza assolutamente comune per tutti gli operatori del diritto, e cioè che la rilevanza di una conversazione, sia in senso accusatorio che difensivo, può manifestarsi anche a distanza di molto tempo dalla registrazione». Giornalisti sulle barricate Sul fronte del rapporto tra esigenze investigative è invece intervenuto il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Giovanni Legnini, il quale, pur dichiarandosi disponibile ad offrire una valutazione dettagliata dei possibili miglioramenti, ha definito il testo «una soluzione improntata all’equilibrio e a un più avanzato contemperamento di diritti e valori non facilmen-
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LA RIVISTA N.1 DEGLI AVVOCATI. UN RIFERIMENTO IN FORTISSIMA CRESCITA PER IL MERCATO LEGALE E PER I LEGAL COUNSEL DELLE IMPRESE DI ECCELLENZA
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