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LE FONTI
LEGAL
Anno 2018 - Prima immissione 26/07/2018 | Anno III | N°26-27 | Luglio - Agosto 2018
www.lefonti.legal
Luglio-Agosto 2018 | N°26-27 | 20 € Mensile
LA RIVISTA N°1 DEGLI AVVOCATI
ISSN 2499-8370
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PICCOLE E MEDIE IMPRESE
QUOTAZIONI TRA INCENTIVI E OSTACOLI
Il mercato dei capitali sta vivendo un momento di grande fermento dal punto di vista legislativo. Ne parla Lukas Plattner di NCTM
ANTICORRUZIONE UNA NORMATIVA ANCORA DA MIGLIORARE Lukas Plattner
CLASSIFICHE
GLI STUDI LEGALI PIÙ ATTIVI NEL SETTORE IMMOBILIARE
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EDITORIALE
Lavoro: un decreto ancora troppo vicino al passato ANGELA MARIA SCULLICA
@AngelaScullica
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l decreto legge sul lavoro varato dal Consiglio dei Ministri, noto con il nome di Decreto Dignità, presenta una serie di aspetti controversi che molto probabilmente non gli permetteranno di raggiungere il risultato sperato. Ossia quello di aumentare l’occupazione sconfiggendo, o almeno, limitando il precariato e dando più stabilità agli impieghi. Intento sicuramente importante, da condividersi in pieno, ma da calare nella realtà attuale che è ben diversa da quella passata. Innanzitutto oggi, siamo in presenza di una forte trasformazione dei modelli di business, delle organizzazioni, dei rapporti di lavoro e via dicendo, dovuta al progresso tecnologico, che richiede grande flessibilità, velocità di movimento e di adattamento a contesti in rapida evoluzione, pena l’esclusione dal mercato, l’emarginazione e il fallimento. Il mondo è diventato infatti fortemente competitivo e le interconnessioni, i big data e le macchine sempre più intelligenti apriranno orizzonti completamente diversi da capire e affrontare senza eccessive rigidità, costi e vincoli. Ci stiamo in pratica rapidamente allontanando da un contesto in cui il lavoro sedentario, vincolato al posto, alle mansioni esplicate e all’anzianità, tipico del settore pubblico, sta entrando nella storia economica degli anni dell’industrializzazione, del quarto stato e del proletariato. E qui citiamo il primo aspetto anacronistico del decreto, l’utilizzo della parola Dignità intesa come stabilità e inamovibilità dal luogo di lavoro. L’esempio lampante è il settore pubblico, dove l’eccessiva protezione, fa sì che il merito non venga considerato, e che spesso si creino situazioni che poco hanno a che fare con la dignità del lavoro. Di contro il settore privato, fatto in Italia prevalentemente da piccole e medie imprese che devono potersi muovere in modo flessibile e meritocratico, non essendo nella maggior parte dei casi in grado di garantire quella durevolezza nel tempo agli impieghi, farebbe molta fatica a entrare in quella sfera di dignità richiesta dal decreto. Ma non è questa la sede per fare polemiche. Vediamo invece gli altri aspetti anacronistici. Per limitare il numero di contratti a termine, il Decreto Dignità prevede l’introduzione di misure che diano al datore di lavoro l’onere di dimostrare le cause che hanno condotto alla volontà di utilizzare questo strumento al posto di una diversa tipologia contrattuale. Prima del decreto proposto dall’attuale governo, il contratto a tempo determinato durava 36 mesi, al di là dei quali, per il rinnovo, occorreva spiegarne le ragioni, altrimenti il contratto si trasformava in tempo indeterminato. Ora per diventare causale, al contratto a termine bastano solo 24 mesi. Presumibilmente, l’azienda non si assumerà il rischio di specificare una causa sbagliata e quindi, dopo il primo anno, per evitare il passaggio a tempo indeterminato, il contratto in questione rischia di essere risolto e il dipendente di perdere il lavoro. Riguardo al tempo indeterminato il Jobs Act attualmente in vigore prevede il regime a tutele crescenti, in altre parole, più dura il contratto, più il dipendente ha il diritto a un’indennità. Se quest’ultimo venisse licenziato ingiustamente, oggi ha diritto ad avere da 4 a 24 mensilità. Con il nuovo decreto le mensilità aumentano da un minimo di 6 ad un massimo di 36. Per quale ragione dunque una società straniera, per esempio inglese o tedesca, dovrebbe investire in Italia ed assumere un dipendente quando rischia di pagare 36 mensilità, un importo nettamente maggiore a quello richiesto nei loro Paesi di provenienza? Ma anche le società italiane prima di assumere un dipendente sapendo che, per licenziarlo, rischiano di pagare 36 mensilità, ci penseranno diverse volte. Bastano solo questi aspetti sopra citati per capire quanto, in uno scenario nel quale i computer e le macchine sono destinate a sostituire sempre di più l’occupazione meno formata e qualificata, la visione di un mondo del lavoro inamovibile e garantista possa rivelarsi utopistica e penalizzante per tutti, non solo per i datori, ma anche per gli stessi dipendenti. Sarebbe quindi, a nostro avviso, più opportuna una maggiore conoscenza del profondo cambiamento in atto nella società anche con un continuo monitoraggio di quanto avviene intorno a noi. E una reale e concreta attenzione a come aumentare il valore aggiunto del lavoro attraverso iniziative formative nuove, qualificanti e continue nel tempo. LUGLIO-AGOSTO 2018
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LE FONTI LEGAL LA RIVISTA N°1 DEGLI AVVOCATI
Sommario BANKING & FINANCE
PROTAGONISTI
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Mercato in crescita tra incentivi e ostacoli
Ecco il nuovo commentario
DI FEDERICA CHIEZZI
DI FILIPPO CUCUCCIO
MERCATI E BUSINESS
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Gli studi che fanno più affari nel mattone DI GABRIELE VENTURA
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Si riparte dal brand DI LUIGI DELL’OLIO
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I nuovi business del settore PENALE E FISCO
SCENARI
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Una normativa ancora da migliorare
DI FILIPPO FATTORE
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In corsa
Eventi
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Carriere
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In aumento i furbetti della legge 104
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PROFESSIONE AVVOCATO «Innovo nel segno della tradizione»
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DI GABRIELE VENTURA
L’importante è partecipare
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DI REMO DANOVI
LE FONTI AWARDS
LEGAL n. 26-27 - Luglio-Agosto 2018 EDITORE
IMPRESE E LAVORO
DI GUIDO SIRTOLI
RUBRICHE
Etica e business, un binomio in evoluzione DI FILIPPO CUCUCCIO
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DI LUIGI DELL’OLIO
Il nuovo Guardasigilli riparte da prescrizione e intercettazioni
DI FEDERICA CHIEZZI
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Polizze, la Cassazione fissa nuovi paletti
General Counsel Mondo Legale
DI LUIGI DELL’OLIO
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EDITORIAL OFFICES Londra, Milano, New York, Singapore, Dubai, Hong Kong CONCESSIONARIA PUBBLICITÀ Opq s.r.l. Via G.B. Pirelli, 30- 20141 Milano tel. 02 6699.2511, info@opq.it, www.opq.it
La sfida della governance
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DI LUIGI DELL’OLIO
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comitato scientifico le fonti (in ordine alfabetico)
SCENARI
LE RIFORME ANNUNCIATE
Il nuovo Guardasigilli riparte da prescrizione e intercettazioni Il neo ministro grillino Bonafede intende modificare da subito la disciplina sulle conversazioni spiate, ma tra le priorità del contratto c’è soprattutto la riforma dei tempi del processo, giudicata lesiva dei diritti delle vittime e in contrasto con la civiltà giuridica. Penalisti in rivolta, ma il sindacato delle toghe è pronto al dialogo. Anche se il caso Bari accende le polemiche DI FILIPPO FATTORE
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l primo impatto non è stato dei migliori. L’intervento del neo premier Giuseppe Conte al Senato, ai primi di giugno, è stato accolto con freddezza dagli operatori della giustizia. Il professore chiamato da Lega e Cinquestelle a guidare il governo ha illustrato il programma previsto dal contratto, che comprende la riforma della prescrizione, già revisionata dall’ex ministro Andrea Orlando nella riforma penale; l’inasprimento delle pene per violenza sessuale e corruzione; il potenziamento della legittima difesa; la costruzione «dove necessario» di nuove carceri; il daspo per i corrotti e il rafforzamento dell’agente sotto copertura. Il mosaico ha convinto poco. Specialmente i penalisti. «Un discorso pessimo, siamo preoccupati», ha detto fuori dai denti il presidente delle Camere Penali, Beniamino Migliucci, «Il premier si era definito avvocato del popolo, ma se le proposte sono queste, sono ricette vecchie, guardano al passato e non servono». Le critiche sono state serrate. Un aumento della prescrizione o la sua sospensione in primo grado? «Allungherebbe i processi e metterebbe le persone sotto scacco, per 20-25 anni sotto il potere di una procura». Pene più severe? «Una via per ottenere un consenso facile». Allentare i vincoli della legittima difesa? «È come se dallo Stato arrivasse l’induzione a commettere un reato».
CAMPI DIVISI Il Guardasigilli, Alfonso Bonafede, sopra, ha indicato tra le priorità la necessità di dividere in maniera netta l’attività giudiziaria da quella politica
Secondo i penalisti costruire nuove carceri non serve a nulla: dati inoppugnabili dicono che le pene alternative abbattono la recidiva Costruire nuove carceri? «Non serve a nulla: dati inoppugnabili dicono che le pene alternative abbattono la recidiva». L’agente sotto copertura: «Un’idea di Davigo, come altre nel contratto». La visita a Bari Ed è proprio dal coordinatore di Autonomia e Indipendenza, la corrente delle toghe che fa capo all’ex presidente dell’Anm, Piercamillo Davigo, che è invece arrivata un’apertura di credito al nuovo esecutivo. «Bisogna dare fiducia: vediamo
cosa sono in grado di fare. Per noi non ci sono governi amici o nemici, dobbiamo valutarli sul campo», ha detto Alessandro Pepe, che concorda sulle proposte su «corruzione e prescrizione, usata oggi in maniera strumentale, e sulla riduzione dei tempi della giustizia, anche se bisogna vedere come si farà. È importante intervenire sui processi penali, che sono diventati una corsa ad ostacoli». L’Associazione nazionale magistrati, all’inizio, non si è sbilanciata, anche se è trapelato un clima non positivo. Ma sono bastati pochi giorni a far cambiare l’orientamento. La prima crepa nel muro di diffidenza è arrivata con la visita ufficiale a Bari, che il neo ministro della Giustizia, il grillino Alfonso Bonafede, ha compiuto a sei giorni dal giuramento sulla Costituzione. Il Guardasigilli si è recato nella tendopoli dove da diversi giorni si svolgevano i processi, per annunciare la possibilità di un decreto legge per sospendere i processi. «Il ministro è determinato ad affrontare il problema», ha commentato l’Anm, pur mantenendosi cauta. Stop alle intercettazioni Una apertura più decisa è invece quella arrivata sul fronte delle intercettazioni. L’intenzione di ribaltare il lavoro dell’ex Guardasigilli è piaciuta ai magistrati. «La riforma è sbagliata e dunque se ci sarà un ripensamento non potremo che essere d’accordo», ha detto il presidente dell’Anm, Francesco Minisci. «Se il ministro ritiene che la riforma danneggia le indagini vuol dire che avevamo ragione noi», ha proseguito, ribadendo che la legge è anche «inidonea a evitare la pubblicazione delle conversazioni sensibili», che era l’obiettivo primario della riforma. «Il punto più critico», ha spiegato, «è il potere di selezione delle conversazioni rilevanti che viene demandato alla polizia giudiziaria: noi chiediamo che si intervenga su quello». «Credo che una riflessione vada fatta, si è molto discusso di questo strumento e dell’esigenza che alcuni aspetti vengano rivisti», ha aggiunto il procuratore nazionale antimafia, Cafiero de Raho, secondo cui «le intercettazioni rappresentano uno strumento della Giustizia attraverso cui
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si combatte il terrorismo e la mafia. Un sistema che renda più difficile e complesso il lavoro della polizia giudiziaria finisce per ostacolare l’efficienza del contrasto stesso». Più malumori ha invece creato il progetto di riscrivere il decreto sulla riforma penitenziaria. Su questo punto Minisci ha detto di voler aspettare di vedere «quali saranno gli interventi in concreto. Nella materia penitenziaria non si può assolutizzare: ci sono reati particolarmente gravi per cui non si può prescindere dal carcere e altri di minore allarme sociale per cui si può accedere alle misure alternative. Bisogna confrontarsi sui tipi di reato senza abbracciare una visione che guarda solo alla custodia cautelare o all’opposto solo alle misure alternative». Molto critici invece gli avvocati penalisti, secondo cui «il ministro della Giustizia ha una visione della pena fondata sul carcere, totalmente sbagliata. Confonde la certezza della pena con il fatto che vada scontata in carcere». «Siamo molto contrariati», ha detto il presidente Migliucci, «dal sentire questo tipo di ricette da un avvocato, che però fa il ministro». Separare politica e giustizia Ed è proprio sulla separazione dei ruoli, paradossalmente, che si concentra l’attenzione del Guardasigilli, che tra le priorità ha indicato la necessità di dividere in maniera netta l’attività giudiziaria da quella politica. «Ogni istituzione rimane nel proprio settore di competenza con confini chiari. Da qui una legge sull’impossibilità per i magistrati in Parlamento di tornare a fare il pm o il giudice», ha detto in una lunga intervista al Corriere della Sera. «Avevamo presentato un testo nella scorsa legislatura», ha spiegato il ministro, «dal quale si può ripartire, ma poi applicherò ciò che nel mio piccolo chiamo il metodo Bonafede: per realizzare i punti del contratto di governo faremo il passo iniziale con i parlamentari dei gruppi di maggioranza, e poi con il Parlamento nel suo insieme». Il concetto è emerso anche nel primo intervento davanti al plenum del Consiglio superiore della magistratura, con cui il Guardasigilli ha detto di voler «rafforzare» il rapporto di confronto che c’è stato in questi anni. Un confronto destinato a dare ancora i «suoi
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frutti» ora che si tratta di «assicurare un’efficace attuazione al regolamento sulla nuova procura europea» per «rafforzare la cooperazione giudiziaria internazionale» contro il crimine organizzato. Stesso spirito di collaborazione Bonafede lo ha offerto all’Anm. L’associazione non si è tirata indietro. «Abbiamo parlato di tutto e gli abbiamo offerto il nostro supporto tecnico, vivendo tutti i giorni l’esperienza degli uffici sono certo che possiamo dare un contributo significativo», ha detto il presidente Minisci dopo un lungo incontro avvenuto alla fine di giugno.
EFFETTI DEL DECRETO Il presidente dell’Unione delle camere penali, Beniamino Migliucci, afferma che un aumento della prescrizione avrebbe come effetto quello di «allungare i processi e mettere le persone sotto scacco»
Le proposte dell’Anm L’Anm ha già preparato una relazione con tutte le sue proposte, «affinché si possa costruire un sistema giudiziario sempre più efficiente e si possa lavorare per una magistratura credibile». Secondo il sindacato togato una delle priorità è la sicurezza negli uffici giudiziari. «La situazione è molto grave», ha detto Minisci, «ci sono palazzi di giustizia obsoleti e insicuri, lo dimostrano le numerose segnalazioni che ci arrivano da tutta Italia e i tre incidenti a Roma in pochi mesi. Bisogna intervenire con urgenza, per questo abbiamo chiesto un piano nazionale di edilizia giudiziaria e una destinazione di risorse significative». Tra gli interventi richiesti al Guardasigilli c’è anche la pianificazione del reclutamento del personale amministrativo. Piena adesione, infine, c’è sul divieto di rientro dei magistrati dalla politica. «La nostra posizione è chiara», ha ribadito il presidente, «il magistrato che fa politica non può ritornare ad indossare la toga, deve essere destinato a funzioni amministrative presso il ministero della Giustizia. Non deve avere funzioni giurisdizionali, perché siamo convinti che il cittadino non debba avere il minimo dubbio che il magistrato possa, una volta rientrato, ancora indossare una casacca. Coloro che scelgono di fare politica devono sapere cosa faranno dopo, per questo chiediamo regole predeterminate e valide per tutti». La riforma della prescrizione Il nodo caldo dei prossimi mesi sarà, in ogni caso, quello della prescrizione, su cui il Guardasigilli sembra intenzionato a procedere
spedito. «Nel contratto di governo è previsto che ci sarà la riforma, è un argomento fondamentale ed è una priorità per questo governo», ha spiegato il ministro della Giustizia in occasione del IX anniversario della strage di Viareggio, partecipando all’incontro nella Sala Consiliare del Comune di Viareggio. «Non è la prima volta che vengo qui e non ci si abitua mai a sentire raccontare le storie del vostro dolore, è un dolore inimmaginabile nella sua atrocità, arrivato nella quotidianità delle famiglie, una morte arrivata nello stare nel luogo di lavoro, di vacanza, o in casa a dormire o guardare la tv», ha detto Bonafede, sottolineando però che «le persone che hanno subito un dolore così atroce e inimmaginabile non stanno a testa a bassa, non si fanno piegare, alzano la testa e guardano negli occhi lo Stato e dicono: non mi interessa che vieni al funerale e fai le condoglianze, non mi interessano i riflettori delle tv, puntati le prime settimane, mi interessa che dopo non inizi quell’abbandono che mi porta in un’aula di tribunale, come parte civile da solo, senza l’aiuto dello Stato e addirittura mi faccia andare dietro ai magistrati che devono correre perché c’è la prescrizione». Durata ragionevole «Qualcuno», ha proseguito il Guardasigilli, «dice che i processi devono avere una durata ragionevole, sono d’accordo, ma la responsabilità che i processi abbiano una durata ragionevole non deve pesare sulle spalle dei familiari delle vittime di una strage, deve pesare sulle spalle di uno Stato che deve investire risorse. Infatti nel contratto laddove si parla di riforma della prescrizione si parla anche di investire risorse perché il processo abbia una durata ragionevole nell’interesse di tutti, degli imputati, delle persone offese e dello Stato. Tutti devono avere l’interesse ad accertare la verità». E Viareggio, in quest’ottica, potrebbe diventare un simbolo. «Lotterò ogni giorno», ha spiegato il ministro, «per dimostrare che questa è una nuova pagina, dove la giustizia appartiene ai cittadini e quando si fanno le leggi, le si fanno nell’interesse dei cittadini. Questo è lo scopo per cui lavoreremo alla riforma della prescrizione; e quando ci sarà la riforma, non vorrei che portasse il nome
di chi l’ha scritta ma ci fosse la Legge Viareggio, la Viareggio bis, perché chi applicherà quella legge dovrà ricordarsi di chi è morto e ha sofferto prima che quella legge esistesse, perché in Italia mai più dovrebbero esistere ingiustizie di questo tipo». Sul fronte tecnico, il suggerimento dell’Anm è di intervenire anche sul codice di procedura penale con provvedimenti per accelerare i processi, «perché la riforma della prescrizione da sola non basta». A questo proposito, hanno detto i magistrati, va introdotta «la possibilità in appello di aumentare la pena per l’imputato» e bisogna intervenire sulle notifiche «perché è inammissibile che nell’epoca di internet si proceda ancora con il metodo del camminamento».
FIDUCIA Da Autonomia e Indipendenza, la corrente delle toghe che fa capo all’ex presidente dell’Anm, Piercamillo Davigo, è arrivata un’apertura di credito al nuovo esecutivo.
Dialogo e scintille Accanto al dialogo, però, ci sono anche le scintille. Come quelle provocate dal decreto che ha sospeso fino al 30 settembre i termini processuali e di prescrizione e i processi penali senza detenuti a causa della inagibilità del Tribunale di via Nazariantz, in attesa di trovare una sede dove trasferire gli uffici giudiziari. «Constatiamo che la problematica barese non è stata risolta. Il decreto legge non risolve, anzi aggrava la situazione», ha detto il segretario dell’Anm, Alcide Maritati, aprendo i lavori della riunione straordinaria del Comitato direttivo centrale. Mentre il presidente nazionale Minisci, ha evidenziato come «la sospensione dei termini (prevista dal decreto, ndr) è un accessorio rispetto al tema principale» e il presidente della Giunta distrettuale di Bari, Giuseppe Battista, ha addirittura spiegato che il decreto è «una soluzione peggiore del problema». La criticità principale è rappresentata dalla mancata individuazione di un immobile che possa consentire anche solo le attività urgenti. I due edifici dove dovrebbero trasferirsi immediatamente gli uffici giudiziari penali, via Brigata Regina e l’ex sede distaccata di Modugno, sono sufficienti ad accogliere appena un quinto dei magistrati della Procura e metà di quelli dell’ufficio gip, ipotizzando una turnazione del personale amministrativo. Il decreto è solo «uno spot», ha tagliato corto il procuratore Giuseppe Volpe.
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