World Excellence N°19 - Ottobre

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N°19 | Ottobre 2017 |

WORLD EXCELLENCE LA RIVISTA

N° 1DEI CEO

ISSN 2499-5282

WORLD EXCELLENCE www.worldexcellence.it

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LE RIFORME IN ARRIVO DALL’ EUROPA

La Bce apre i cantieri per rafforzare gli strumenti di controllo e di prevenzione del sistema bancario. E difende l’Euro dalle criptovalute

INNOVAZIONE TECNOLOGICA

Mario Draghi

FINTECH

MADE IN ITALY

SI FA STRADA IL ROBOT CONSULENTE

PMI

LA CARTA VINCENTE Terreno fertile SI GIOCA per quotarsi SULLA QUALITÀ sul mercato Il consolidamento della crescita economica crea le condizioni ideali per un salto dimensionale delle imprese italiane. A patto di rimettersi in gioco nel nuovo scenario competitivo

LA NUOVA FRONTIERA DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Giorgio Metta

Ashish Umre

Lorenzo Asuni

Elon Musk

Ferdinando Torazzi

DISTRIBUZIONE FINANZIARA: CHI HA RACCOLTO DI PIÙ



EDITORIALE

Unità nella diversità sfida strategica dell’Europa Angela Maria Scullica @AngelaScullica

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l processo di integrazione partito con l’euro sta attraversando oggi una fase di profondo ripensamento intellettuale. Per troppo tempo infatti si è ritenuto che la creazione di una moneta unica e l’unificazione dei mercati economici e finanziari bastassero da soli a far convergere i singoli Stati in una grande area europea uniforme, coesa e democratica. D’altra parte i vantaggi di un’Europa unita, che ha cominciato a prendere forma dalla fine della seconda guerra mondiale (e che ha avuto un’accelerazione in seguito alla crisi di questi anni) erano evidenti agli occhi di molti. Una moneta unica, l’euro, e un sistema legislativo condiviso di diritti e doveri, uguali per tutti, avrebbero infatti potuto favorire la libera circolazione di idee, capitali, beni, servizi con tutte le conseguenze che ne sarebbero derivate in termini di crescita e benessere diffuso. L’evoluzione stessa della tecnologia che ha reso il mondo collegato e interrelato e la globalizzazione dei mercati spingevano in direzione di un processo di integrazione tra gli Stati europei. Un percorso che la crisi iniziata nel 2007, come si sa, ha accelerato sul fronte economico e finanziario. Oggi però, sotto i colpi di una perdurante stagnazione, di una ondata migratoria senza precedenti, di un riassesto degli equilibri mondiali, l’opinione pubblica appare sempre più distante e prevalentemente focalizzata su problematiche di breve termine. Il caso della Brexit prima, quello recente delle richieste di indipendenza della Catalogna, ma anche gli esiti delle votazioni in Germania che hanno visto avanzare la destra conservatrice e aumentare il vigore dei partiti populisti, fanno riflettere. Nei singoli Stati si rafforza la voglia di

autonomia mentre diminuisce l’identificazione in un’Europa che sembra chiedere ai più sforzi e sacrifici senza dare molto, o nulla, in cambio. Dai dibattiti e dai confronti odierni, sembra emergere chiara l’idea che l’unificazione delle economie e dei sistemi finanziari da sola non basta a creare coesione e voglia di costruire insieme un’entità europea che oltrepassi e abbatta i confini nazionali. Questo processo di integrazione richiede non solo la comunione di beni e servizi ma anche l’identificazione di un sistema di valori cogenti ed intangibili che supera le differenze storiche e culturali dei popoli e le loro peculiarità. Per dare un senso di appartenenza a popoli diversi per storia, lingua e tradizione occorre infatti partire dall’individuazione di valori comuni che stanno alla base delle nostre culture e radici storiche. Una identificazione che scaturisce inevitabilmente dalla comprensione e dal rispetto delle diversità culturali, identità e memorie dei singoli Stati. È da questo approfondimento che possono emergere infatti quei valori condivisi a cui le guerre e i conflitti del passato non hanno impedito di diffondersi e di radicarsi in profondità negli animi e nelle coscienze di tutti. Così una palese ed esplicita dichiarazione dei valori comuni dei popoli, in cui ci si possa identificare e trovare un senso di appartenenza, diventa oggi, nel momento più critico per l’Europa, segnato dall’ingente flusso migratorio che arriva dal medio oriente e dell’Africa, la grande sfida strategica per affrontare quella profonda e radicale evoluzione sociale e culturale che la tecnologia digitale, l’intelligenza artificiale e l’economia della condivisione stanno provocando.

Ottobre 2017 World Excellence

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WORLD EXCELLENCE

DIRETTORE RESPONSABILE Angela Maria Scullica angela.scullica@lefonti.it REDAZIONE Federica Chiezzi (federica.chiezzi@lefonti.it),

SCENARI 8

Nel mondo incerto l’Europa riprende fiato

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Terreno fertile per quotarsi sul mercato

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Il rischio di un nuovo (dis)ordine economico

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Il ruolo investigativo e strategico dell’Uif

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Tutti i cantieri aperti dall’Europa

ASSET MANAGEMENT

REDAZIONE GRAFICA Valentina Russotti SEGRETERIA DI REDAZIONE segreteria@lefonti.it COLLABORATORI Filippo Cucuccio, Vanessa D’Agostino, Luigi Dell’Olio, Filippo Fattore, Piera Anna Franini, Gianenrico Levaggi, Mario Lombardo, Annalisa Lospinuso, Nino Sunseri, Paolo Tomasini, Gloria Valdonio, Gabriele Ventura RESPONSABILE COMUNICAZIONE E RELAZIONI ESTERNE Claudia Chiari COORDINAMENTO INTERNAZIONALE ( New York, Dubai, Hong Kong, Londra, Singapore...) Alessia Liparoti alessia.liparoti@lefonti.it PROGETTI SPECIALI Alessia Rosa alessia.rosa@lefonti.it INNOVAZIONE E DIGITAL MARKETING Simona Vantaggiato simona.vantaggiato@lefonti.it REDAZIONE E STUDI TELEVISIVI Via Dante 4, 20121 Milano - tel. 02 8738.6306 Per comunicati stampa inviare a: press@lefonti.it EDITORE

Le Fonti S.r.l. Via Dante, 4, 20121, Milano STAMPA Arti Grafiche Fiorin - AGFiorin CONCESSIONARIA PER LA PUBBLICITÀ Opq s.r.l. Via G.B. Pirelli, 30- 20141 Milano tel. 02 6699.2511 | info@opq.it | www.opq.it DISTRIBUZIONE PER L’ITALIA MePe - Distribuzione Editoriale Via Ettore Bugatti, 15 - 20142 Milano DISTRIBUZIONE ESTERO Johnsons International News Italia srl via valparaiso, 4 - 20144 milano SERVIZIO ABBONAMENTI Telefono 02 8738 6306 o inviare una mail a: abbonamenti@lefonti.it CAMBIO INDIRIZZO Si prega di comunicarci entro il 20 del mese precedente il nuovo indirizzo via mail a: abbonamenti@lefonti.it

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PRIMO PIANO 20

Così prende forma la città intelligente

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MERCATI E IMPRESE 24

Made in Italy, la carta vincente si gioca sulla qualità

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Il fascino dell’arte contemporanea italiana

LETENSIONI INTERNAZIONALI FANNO VOLARE L’ORO TECNOLOGIA

FINANCE 40

Ecco chi ha raccolto di più e chi è in piena corsa

Eurizon: pronti ad affrontare le nuove sfide

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L’ ITALIA (FORSE) S’È DESTA

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La nuova frontiera dell’intelligenza artificiale

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Si fa strada il robot consulente

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Competere nel mondo digitale

RUBRICHE 6 82

Mondo Nuovo Trend



MONDO NUOVO

Trump e l’obiettivo crescita al 3% Kenneth Rogoff

I

Professore di Economia all’Università di Harvard, è stato capo economista del Fondo monetario internazionale dal 2001 al 2003

l presidente degli Stati Uniti Donald Trump si vanta che le sue politiche produrranno una crescita sostenuta del 3-4% per molti anni. Le sue previsioni sfidano il giudizio di molti esperti tra cui esponenti di Wall Street e della Federal Reserve, i quali prevedono che gli Usa saranno fortunati se cresceranno del 2%. Ma ci sono possibilità che Trump abbia ragione? E se è così, una crescita così sostenuta quali costi comporterà a lungo termine per l’ambiente e la disuguaglianza da reddito? Al mercato azionario potrebbe interessare solo il tasso di crescita, ma la maggior parte degli americani dovrebbe preoccuparsi molto del modo in cui la crescita viene raggiunta. Le previsioni di Trump sul tasso di crescita economica totale degli Usa sono alquanto insensate. Una sequenza continua di dati economici suggerisce che il tasso annuale è aumentato ora al 2,5%, grossomodo a metà strada tra quanto atteso da Trump e dagli esperti. Inoltre, l’occupazione ha registrato solidi dati nei primi sei mesi della presidenza Trump, con oltre un milione di posti di lavoro creati, e i listini hanno raggiunto nuovi massimi. Data questa performance, registrare una crescita annuale del 3% sarebbe quasi un miracolo. Naturalmente, la crescita quest’anno è per certi versi una continuazione di quella raggiunta durante la presidenza di Barack Obama. Modificare il corso di una nave enorme, in questo caso l’economia statunitense, impiega molto tempo, e anche se Trump riuscisse mai a realizzare qualcosa della sua agenda economica attraverso il Congresso, gli effetti della crescita probabilmente non si sentiranno fino al 2018. Certamente, Trump ha indebolito l’Environmental protection agency (che ha aiutato l’estrazione del carbone), ha ridotto i controlli finanziari (a vantaggio dei titoli bancari), e ha mostrato poco interesse nell’applicazione dell’anti-trust (uno sviluppo favorevole per i colossi tecnologici come Amazon e Google). Ma le sue principali iniziative politiche per la riforma fiscale sulle società e la spesa per le infrastrutture restano sulla carta. Inoltre, i piani di Trump di aumentare il protezionismo e ridurre drasticamente l’immigrazione, se fossero realizzati, avrebbero significativi effetti contrari sulla crescita (anche se, a essere onesti, la proposta di avere un’immigrazione più vicina ai bisogni dell’economia è ciò che la maggior parte dei Paesi, compresi Canada e Australia, già fanno). Forse l’unica importante decisione che Trump prenderà sull’economia sarà la scelta di chi dovrà sostituire Janet Yellen alla presidenza della Federal Reserve. In altre nomine, Trump ha preferito uomini d’affari piuttosto che tecnocrati. In linea di massima, i banchieri che hanno avuto più successo negli ultimi anni sono esattamente il tipo di esperti che Trump sembra evitare. Chiun-

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que sia nominato da Trump rischia di affrontare subito grandi sfide. La crescita modesta dei salari di fronte a una restrizione del mercato del lavoro è improbabile che continui, e qualsiasi grande aumento dei salari porterà una forte pressione al rialzo sui prezzi. Come la Fed gestirà un’eventuale transizione verso una crescita salariale più elevata sarà di fondamentale importanza. Se si aumenteranno troppo i tassi di interesse, il risultato sarà una recessione. Se aumenteranno i tassi troppo lentamente, l’inflazione potrebbe diventare alta e difficile da modificare. Quindi, sì, Trump potrebbe proprio raggiungere il suo obiettivo di crescita, soprattutto se troverà un modo per normalizzare la creazione di politiche economiche (il che è altamente incerto per un presidente che sembra preferire i tweet storm all’analisi politica). Ma anche se gli Stati Uniti raggiungeranno il target del 3%, potrebbe non essere la panacea che Trump spera. Per cominciare, è improbabile che la crescita più veloce invertirà l’attuale tendenza verso la disuguaglianza, e alcuni piccoli interventi presidenziali mirati alle azioni di stati o società specifici difficilmente cambieranno la situazione. Al contrario, non c’è motivo di presumere che i possessori di capitali non continuino a essere i principali beneficiari. Alla fine, questa tendenza potrebbe invertirsi, ma non scommetterei che possa succedere ancora. Se il degrado ambientale e l’aumento delle diseguaglianze rendono la crescita economica una benedizione mista, sta sbagliando il governo degli Stati Uniti a concentrarsi su di essa così tanto? Non del tutto. I tassi di crescita più elevati sono particolarmente positivi per le piccole imprese e le startup, che a loro volta costituiscono un importante contributo alla mobilità economica. I bassi tassi di crescita recenti hanno reso i potenziali imprenditori più riluttanti a muoversi negli stati o a cambiare lavoro, e hanno generalmente ridotto la mobilità economica. E se l’economia statunitense dovesse indebolirsi sostanzialmente per un periodo prolungato, potrebbe anticipare in maniera considerevole il giorno in cui gli Stati Uniti non avranno più una superiorità militare significativa rispetto ai suoi rivali. Coloro che, come Trump, vogliono ridurre il coinvolgimento militare statunitense all’estero, potrebbero sostenere che non c’è niente di cui preoccuparsi, ma si sbagliano. Tuttavia, le politiche che hanno generato una crescita sostenibile per l’ambiente e più largamente condivisa sarebbero molto meglio di quelle politiche che perpetuano le tendenze distributive attuali e aggravano le sofferenze di molti americani. Anche se Trump raggiunge i suoi obiettivi di crescita nel 2018 e nel 2019 - e potrebbe farlo - solo il mercato azionario potrebbe esserne contento. 



SCENARI EUROZONA IN CRESCITA

NEL MONDO INCERTO L’EUROPA RIPRENDE FIATO Mentre il Venezuela è vicino al collasso, il Messico stabilisce il record di morti violente degli ultimi vent’anni, la Corea del Nord insiste con le provocazioni nucleari e i rapporti diplomatici tra Usa e Russia sono ai minimi, buone notizie arrivano dall'Europa e dalla sua economia Mario Lombardo

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l termine di un’estate caldissima: di sole, incendi, terremoti e polemiche (sui migranti e sulle Ong, sulle case abusive, sugli hacker e gli attacchi ai data base dell’esercito, sui contrasti tra membri del governo, sui vaccini obbligatori, sul numero chiuso nelle università e altro ancora), per fortuna, e al contrario del recente passato, le buone notizie sono arrivate dall’economia e dal mondo della finanza, dove la Borsa ha riscoperto l’attivo, e gli utili delle grandi imprese sono esplosi: +34% nel primo semestre con l’indice Ftse Mib cresciuto del 10% dall’inizio dell’anno. Secondo l’Istat in giugno l’industria italiana ha segnato un +1% sul mese di maggio (come la Germania) e addirittura +5,3% sullo stesso periodo del 2016 e, considerando che la fiducia delle aziende sta toccando il massimo livelli da dieci anni a questa parte, l’ottimismo ha prevalso e ha

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contagiato un po’ tutti. In verità, il ministro per lo Sviluppo economico, Carlo Calenda ha avvertito: «All’Italia serve un piano industriale. La crisi non è risolta», ma i numeri, se confermati nei prossimi mesi, fanno davvero sperare: i prodotti farmaceutici a giugno hanno segnato un +18,5%; la produzione di auto un +13,6%; l’abbigliamento, settore forte del made in Italy, il +0,7%. La conferme che siamo fuori dal tunnel, o quasi, vengono anche dalle proiezioni del Fmi che stima all’1,3% la crescita del nostro Pil, ma la classifica dei Paesi virtuosi vede in testa l’India con un aumento del 7,2%, seguita dalla Cina (6,7%) mentre l’Italia è nelle retrovie. Tuttavia la Banca d’Italia, nel Bollettino economico d’estate, ha rialzato a +1,4% le stime di crescita nel 2017, valutando all’1,3% l’andamento del 2018 e all’1,2% quello del 2019 e sostenendo che dopo questi tre anni di crescita nel 2019 il Pil dovrebbe recu-

perare in toto su quanto è seguito alla caduta del debito sovrano iniziata nel 2011, salvo poi riconoscere che anche se ciò avvenisse il Pil rimarrebbe comunque inferiore del 3% circa rispetto al 2007. Anche dall’Ufficio parlamentare di bilancio arrivano conferme sul buon andamento della nostra economia, in aggiunta agli ultimi dati Istat, pubblicati il 16 agosto e riferiti al primo semestre dell’anno che certificano una crescita acquisita dell’1,3%, un dato addirittura superiore alle stime che per il 2017 indicavano una crescita dell’1,1%. D’altra parte, anche una delle “tre sorelle del rating”, in questo caso l’americana Moody’s che non è mai stata tenera con l’Italia, ha rialzato dallo 0,8% all’1,3% le stime della nostra crescita per il 2017 e dall’1% all’1,3% quelle relative al 2018. Andiamo meglio, andiamo bene, anche se sul lavoro ci sono dati discordanti. L’Istat sostiene che «il tasso di di-


FORZA TRAINANTE L’incremento del Pil nell’area euro viene stimato al 2,1% per quest’anno, con la Germania che guida il gruppo con un 2,2%

soccupazione sale a luglio all’11,3%» e segnala «un aumento di 0,2 punti percentuali da giugno. Il dato però si accompagna a un aumento degli occupati, +59mila unità e un drastico calo degli inattivi, -115mila», mentre «la disoccupazione giovanile si attesta al 35,5%». C’è stato un travaso di settore nel mondo del lavoro, diviso tradizionalmente in tre: occupati, disoccupati, inattivi, ed è appunto tra questi ultimi che si è avviata una nuova ricerca di lavoro, rialzando così il numero dei disoccupati e riducendo quello di chi il lavoro neanche lo cercava. Sale invece a più di 23 milioni il numero degli occupati anche se l’80% dei contratti stipulati nel primo semestre 2017 è a termine ma in questo modo il tasso di occupazione cresce al 59%. Ma per il nostro Paese, come ricorda la Commissione europea, il problema principale è l’enorme ammontare del debito pubblico e che per

ridurlo è necessario rivedere completamente i meccanismi della spesa e migliorare anche l’efficienza del sistema-Paese, eliminando gli sprechi e ridando efficacia all’amministrazione pubblica. Ma sono prediche inutili, se si confrontano gli ultimi dati a disposizione. Il debito pubblico italiano continua a salire, nonostante le promesse di nuove spending review e a maggio ha stabilito un nuovo record: 2.278,9 miliardi, con un aumento di 8,2 miliardi nei confronti di aprile. Pesano negativamente l’aumento delle disponibilità liquide del Tesoro (0,5 miliardi); l’effetto di scarti e premi all’emissione e al rimborso; la rivalutazione dei titoli indicizzati all’inflazione; la variazione del tasso di cambio (0,7 miliardi). Per Moody’s, la cui certificazione è l’ultima arrivata, il nostro Paese sarà però gratificato dalla politica monetaria accomodante (Mario Draghi e la Bce ci hanno aiutato molto con il Qe)

e dalle politiche fiscali, insieme alla forte ripresa dell’intera Unione europea. L’attesa, per l’agenzia di rating, è che l’area euro cresca di 0,3% punti nel 2017 e faccia altrettanto per l’anno prossimo. Così che l’incremento del Pil nell’area euro viene stimato al 2,1% per quest’anno e dell’1,9% nel 2018, con la Germania che guida il gruppo con un 2,2% che dovrebbe stabilirsi al 2% nel 2018. Anche per la Francia sono state riviste le stime di crescita: prima erano all’1,3% e ora sono all’1,6% sia per il 2017 come per il 2018. Per gli Usa invece le previsioni di Moody’s sono del 2,2% per il 2017 e 2,3% per l’anno prossimo, un ribasso rispetto alle stime precedenti ma che comunque riguarda cifre sempre confortanti. Intanto la Ue ha respinto le proposte britanniche per accelerare la Brexit ma Theresa May vuole riproporsi come premier. In Austria, Sebastian

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