WORLD EXCELLENCE Gennaio - Febbraio 2018
LA RIVISTA
N° 1DEI CEO
ISSN 2499-5282
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80022
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7 € | UK 6.00£
RICERCAEDESIGN PERESSERE COMPETITIVI Il presidente di Brembo illustra le strategie di sviluppo del gruppo per crescere su un mercato in forte evoluzione
INNOVAZIONE TECNOLOGICA Prima immissione 25/01/2018 - Bimestrale | N°22 - www.worldexcellence.it
NUOVO CORSO
Alberto Bombassei
IMPRENDITORIA SOCIALE
FINANCE
BITCOIN ELDORADO O BOLLA?
Corporate social responsibility: la nuova frontiera Mai come oggi un’azienda risulta convincente se manifesta sensibilità per i problemi della società, se punta al benessere della collettività o, almeno, investe le eccedenze nella comunità
ARRIVANO IN AZIENDA LE MACCHINE INTELLIGENTI Dopo aver fatto parlare molto di sé nel 2017, quest’anno le applicazioni di intelligenza artificiale faranno il definitivo salto di qualità
Bruno Sirletti, di Fujitsu Italia
Claudio Valtorta, di Mht
Juanjo Martinez Pagan, di Infoblox
Alberto Degradi, di Cisco
George Fischer, Regina Casonato, di Verizon di Gartner Enterprise Solutions Research
I PREMIATI DELL’EDIZIONE DI NOVEMBRE
Being ethical is always a good business
Studio Professionale dell’anno Compliance&Risk Management
Via Aristide De Togni, 7 20123 Milano | Tel. +39 02 87166657 www.studiocarna.it | carna@studiocarna.it
EDITORIALE
Accrescere la conoscenza per difendersi dai manipolatori Angela Maria Scullica @AngelaScullica
L’
attento esame delle vicende americane che hanno avuto, e continuano ad avere, esiti imprevedibili porta a considerazioni allarmanti sulla velocità con cui le nuove tecnologie si propagano e consentono a gruppi di avanguardia utilizzi anche spregiudicati al servizio di pochi. L’enorme capacità di analisi ed approfondimento di dati già acquisita ed in continuo accrescimento, unitamente all’uso sempre più diffuso di carte di pagamento, internet, social network ecc. rendono possibile una mappatura significativa di profili del pubblico per valori, attese, paure, speranze e quindi una veicolazione di messaggi particolarmente mirati. Il felice utilizzo di tali mezzi in sede di campagna elettorale è avvenuto negli Stati Uniti per le presidenziali. Questo eccezionale potenziale di comunicazione, se non controbilanciato da una altrettanto potente capacità di critica, può prestarsi però anche a manipolazioni ciniche e pericolose non volte al bene del Paese ma al rafforzamento di poteri personali. Lo si potrebbe verificare anche nel caso italiano dove nella campagna elettorale stanno spesso prevalendo temi non sufficientemente approfonditi e di chiara natura populista. Al di là delle riflessioni sulle reali e concrete conseguenze che le varie allettanti proposte avrebbero sui costi, sullo sviluppo e sulla crescita del Paese (di cui se ne è poco parlato) quel che preme in questa sede sottolineare è quanto i sondaggi, il marketing, internet e i social network stiano di fatto determinando e avendo influenza su discorsi pubblici, atteggiamenti politici e prese di posizione dei vari partiti. Questa nuova e moderna forma di propaganda politica che nasce dall’analisi e dall’approfondimento tecnologico dei dati su comportamenti, gusti, desideri e speranze degli elettori in modo da conquistarli scientificamente dicendo loro esattamente quello che vorrebbero sentirsi dire,
può diventare molto pericolosa perché colpisce l’immaginazione di una gran massa di persone non sufficientemente al corrente delle risorse disponibili nel Paese e delle capacità reali relative alla realizzazione dei programmi enunciati. Da qui emergono alcune considerazioni. La prima è che questo modo di farsi strada trova terreno fertile dove c’è ignoranza e superficialità che a loro volta si alimentano in una sorta di circolo vizioso. La seconda è che mai come oggi diventa importante per tutti rendersi conto dell’enorme potenziale di convincimento reso possibile dalle nuove tecnologie e quindi dell’urgente necessità di accrescere le conoscenze nel pubblico per non cadere nella rete di chi con scaltrezza si serve dei nuovi mezzi per accrescere potere, ruolo e posizione sociale. Infine la terza, strettamente collegata alle altre due, è comprendere in pieno il passaggio epocale che sta attraversando il mondo attuale senza infilarsi nel turbine e nella tempesta. Come Philip Kotler sostiene nel libro Ripensare il capitalismo «Oggi il mondo è più interconnesso e interdipendente che mai. Quando le cose vanno bene, l’interdipendenza globale va a vantaggio di tutti; ma quando le cose vanno male, diffonde rapidamente sofferenza e danni. Il risvolto positivo sono costi più bassi ma l’altra faccia della medaglia è una maggiore vulnerabilità». L’innovazione tecnologica scardina i vecchi modelli di business imponendone altri, chiude strade tradizionali e nello stesso tempo, apre nuovi spazi e crea opportunità. Capire che tutto questo è inevitabile e che se si mette la testa sotto le ali, si rischia di finire in miseria è il primo passo per non rifugiarsi in un mondo nostalgico, credere a tante inutili promesse e lasciare alla fine che a condurre i giochi siano solo demagoghi interessati al loro benessere e non a quello della collettività.
Gennaio - Febbraio 2018 World Excellence
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N°22 | Gen - Feb 2018 |
WORLD EXCELLENCE Gennaio - Febbraio 2018
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RICERCAEDESIGN PERESSERE COMPETITIVI Il presidente di Brembo illustra le strategie di sviluppo del gruppo per crescere su un mercato in forte evoluzione WORLD EXCELLENCE
INNOVAZIONE TECNOLOGICA
www.worldexcellence.it
Prima immissione 25/01/2018 - Bimestrale | N°22 - www.worldexcellence.it
NUOVO CORSO
Alberto Bombassei
IMPRENDITORIA SOCIALE
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BITCOIN ELDORADO O BOLLA?
Corporate social responsibility: la nuova frontiera Mai come oggi un’azienda risulta convincente se manifesta sensibilità per i problemi della società, se punta al benessere della collettività o, almeno, investe le eccedenze nella comunità
ARRIVANO IN AZIENDA LE MACCHINE INTELLIGENTI Dopo aver fatto parlare molto di sé nel 2017, quest’anno le applicazioni di intelligenza artificiale faranno il definitivo salto di qualità
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I PREMIATI DELL’EDIZIONE DI NOVEMBRE
DIRETTORE RESPONSABILE Angela Maria Scullica angela.scullica@lefonti.it REDAZIONE Federica Chiezzi (federica.chiezzi@lefonti.it), REDAZIONE GRAFICA Valentina Russotti
SCENARI
TECNOLOGIA
SEGRETERIA DI REDAZIONE segreteria@lefonti.it COLLABORATORI Filippo Cucuccio, Vanessa D’Agostino, Luigi Dell’Olio, Antonio Maria Ferrari, Piera Anna Franini, Gianenrico Levaggi, Mario Lombardo, Guido Sirtoli, Paolo Tomasini, Gabriele Ventura,
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2018 Segnali di ripresa nel mondo in tensione
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Sereno variabile la crescita prosegue
RESPONSABILE COMUNICAZIONE E RELAZIONI ESTERNE Claudia Chiari COORDINAMENTO INTERNAZIONALE ( New York, Dubai, Hong Kong, Londra, Singapore...) Alessia Liparoti alessia.liparoti@lefonti.it PROGETTI SPECIALI Alessia Rosa alessia.rosa@lefonti.it
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Innovazione e ricerca per una marcia in più
MERCATI E IMPRESE
REDAZIONE E STUDI TELEVISIVI Via Dante 4, 20121 Milano - tel. 02 8738.6306
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Largo all’imprenditoria sociale
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Appalti pubblici: seguiamo l’esempio inglese
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Promossi o respinti dal rating
EDITORE
Le Fonti S.r.l. Via Dante, 4, 20121, Milano STAMPA Arti Grafiche Fiorin - AGFiorin CONCESSIONARIA PER LA PUBBLICITÀ Opq s.r.l. Via G.B. Pirelli, 30- 20141 Milano tel. 02 6699.2511 | info@opq.it | www.opq.it
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Le nuove sfide dell’ Ict
MILANO 13/24 Novembre 2017
FINANCE 36
Bitcoin: eldorado o bolla?
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La nuova linfa dei Pir al mattone
DISTRIBUZIONE PER L’ITALIA MePe - Distribuzione Editoriale Via Ettore Bugatti, 15 - 20142 Milano DISTRIBUZIONE ESTERO Johnsons International News Italia srl via valparaiso, 4 - 20144 milano
ARRIVANO IN AZIENDA LE MACCHINE INTELLIGENTI
PRIMO PIANO
INNOVAZIONE E DIGITAL MARKETING Simona Vantaggiato simona.vantaggiato@lefonti.it
Per comunicati stampa inviare a: press@lefonti.it
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RUBRICHE 6 66
Mondo Nuovo Trend
LA RIVISTA DI RIFERIMENTO PER CEO E TOP MANAGER DELLE IMPRESE DI ECCELLENZA PER INNOVAZIONE E LEADERSHIP
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MONDO NUOVO
L’Europa ha davvero bisogno di un’unione fiscale e politica? Dani Rodrik
Professore di Economia politica internazionale alla JFK School of Government dell’Università di Harvard. Il suo ultimo libro si intitola «Straight talk on trade: ideas for a sane world economy»
I
l combattivo ex ministro delle finanze greco, Yanis Varoufakis, e il suo nemico, l’ex ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble, sono arrivati ai ferri corti sulla questione del debito greco durante tutto il mandato di Varoufakis. Ma erano pienamente d’accordo sulla questione centrale del futuro dell’Eurozona; l’unione monetaria richiede l’unione politica. Nessuna via di mezzo era possibile. Questa è una delle rivelazioni interessanti contenute nel resoconto di Varoufakis sul suo incarico in qualità di ministro delle finanze. «Probabilmente sei l’unico [nell’Eurogruppo] che capisce che l’Eurozona è insostenibile», Varoufakis cita Schäuble quasi come a dirglielo. «L’Eurozona è costruita male. Dovremmo avere un’unione politica, non c’è dubbio». Naturalmente, Schäuble e Varoufakis avevano idee diverse in merito agli scopi che l’unione politica avrebbe raggiunto. Per Schäuble era un mezzo per imporre una forte disciplina fiscale agli Stati membri; Varoufakis pensava che avrebbe allentato la stretta dei creditori sulla sua economia e avrebbe creato spazio per una politica progressista in tutta Europa. Ciononostante, è notevole che questi due funzionari provenienti da parti opposte dello spettro politico siano arrivati a un’analisi identica sull’euro. La convergenza è indicativa della crescente necessità di un’unione fiscale ed eventualmente politica, se l’euro dovesse essere mantenuto senza che arrechi danni alla performance economica o ai valori democratici. Il presidente francese Emmanuel Macron ha avanzato idee simili. E il leader dei socialdemocratici tedeschi, Martin Schulz, ha anche usato il proprio potere per sostenere gli «Stati Uniti d’Europa». Ma esiste anche una visione alternativa, molto meno ambiziosa, secondo la quale non è necessaria né l’unione fiscale né quella politica. Ciò che invece deve essere fatto è slegare la finanza privata dalla finanza pubblica, isolando ciascuna dall’abuso dell’altra. Con questa separazione, la finanza privata può essere pienamente integrata a livello europeo, mentre le finanze pubbliche sono lasciate ai singoli Stati. E Bruxelles non sarebbe più lo spauracchio, dal momento che non insisterebbe più sull’austerità fiscale e non attirerebbe l’ira dei Paesi con alta disoccupazione e bassa crescita. Martin Sandbu del Financial Times è stato un forte sostenitore dell’idea che un’unione monetaria e finanziaria funzionante non richieda un’integrazione fiscale. Egli ritiene che la riforma cruciale sia quella di prevenire i salvataggi delle banche da parte delle autorità pubbliche. Il prezzo dei fallimenti bancari dovrebbe essere pagato dai proprietari e dai creditori delle banche; dovremmo avere dei bail-in piuttosto che dei bailout. Sandbu sostiene che ciò non solo isolerebbe la finanza pubblica dalle follie delle banche, ma porterebbe anche a un equilibrio che imita la condivisione del rischio fiscale tra Paesi
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che sono mutuatari netti e Paesi che sono prestatori netti. Mentre nel primo caso le banche falliscono, nel secondo sono i creditori a dover sostenere i costi. «Con l’unione bancaria, non c’è bisogno di un’unione fiscale», sostiene. In un libro di prossima uscita, l’economista Barry Eichengreen dell’Università della California, Berkeley, sostiene anche la necessità di rinazionalizzare la politica fiscale, che ritiene essenziale per arginare l’ondata di populismo europeo. Eichengreen pensa che riportare la politica fiscale alle autorità nazionali richiederebbe la necessità di evitare che le banche detengano troppi debiti governativi, al fine di ridurre al minimo il rischio che la cattiva gestione fiscale nazionale faccia crollare il sistema bancario. I governi che falliscono dovrebbero ristrutturare i loro debiti piuttosto che ottenere salvataggi dagli altri stati dell’Ue. I sostenitori del taglio del nodo gordiano tra finanza pubblica e privata riconoscono che l’approccio dei governi nei confronti delle banche deve cambiare radicalmente. Ma non è chiaro se i rimedi proposti funzionerebbero. Finché la politica economica rimane la provincia dei governi nazionali, il rischio sovrano continuerà probabilmente a distorcere le operazioni della finanza transfrontaliera. Gli Stati possono sempre cambiare le regole ex post, il che significa che la piena integrazione finanziaria è impossibile. E i costi degli shock finanziari locali non possono essere facilmente diversificati. Consideriamo cosa succede quando una grande banca fallisce negli Stati Uniti: un’unione economica in cui si applicano già le regole di Sandbu ed Eichengreen. Le ricadute economiche regionali sono limitate dal fatto che altri mutuatari possono continuare a funzionare normalmente: l’affidabilità creditizia è determinata dai fondamentali di un debitore e non dal suo stato di residenza. Nessuno si aspetta che un governo statale interferisca nei pagamenti interstatali, riscriva le regole di bancarotta o emetta la propria valuta in caso di emergenza. I governi statali negli Stati Uniti esercitano poca sovranità in gran parte perché ne hanno meno bisogno. Gli Stati membri dell’Ue, dal momento che mantengono la sovranità, non possono assumere impegni altrettanto credibili per non interferire con i mercati finanziari. Pertanto, rimane il rischio che uno shock finanziario abbastanza grave nell’Ue influenzi tutti gli altri mutuatari nello stesso Paese in modo autoavverante. Far finta di poter separare la finanza privata da quella pubblica potrebbe aggravare, piuttosto che moderare, i cicli finanziari boom/bust. Nelle società contemporanee, la finanza deve servire a uno scopo pubblico che va oltre la logica della redditività del mercato finanziario. Quindi è irrevocabilmente politicizzata, per buone e cattive ragioni. Sembra che i decisori politici conservatori e progressisti si stiano rassegnando a questa realtà.
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SCENARI
GEOPOLITICA
2018 SEGNALI DI RIPRESA
NEL MONDO IN TENSIONE Dalla decisione di stabilire l’ambasciata Usa a Gerusalemme ai rapporti tesi con la Corea del Nord e quelli sempre più freddi con la Cina. Donald Trump vira sempre più verso l’isolazionismo, politico e commerciale. Intanto il Venezuela va in default, lo Yemen è al collasso e in Gran Bretagna il governo May appare sempre più debole. Ma l’economia ingrana la marcia... Mario Lombardo
L’
America agli americani. Lo slogan ottocentesco di James Monroe piace molto a Donald Trump, altro presidente repubblicano, soprattutto dopo che la Corte suprema ha approvato il suo divieto di ingresso negli Stati Uniti per chi proviene da sei paesi a religione islamica. Ma mentre la dottrina di Monroe si riferiva all’intero continente riuscendo così a promuovere l’espansionismo economico Usa anche nell’Ameria del Sud, quella di Trump sembra avere l’isolazionismo come obiettivo e con la chiusura delle frontiere nel tentativo di proteggersi dal terrorismo rende più difficili gli scambi commerciali e sociali.
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Gli Stati Uniti sono al centro dell’attenzione mondiale, sia perché rappresentano il faro economico-finanziario a cui guarda il resto del mondo sia perché la loro politica estera resta un rebus difficile da decifrare. Per esempio, per quale strategia Trump ritwitta i messaggi anti-islamici di un sito britannico dell’ultradestra (Britain First) e così pregiudica i rapporti con la Gran Bretagna che si indigna? Oppure perché dichiara all’improvviso di voler stabilire l’ambasciata americana a Gerusalemme, riconoscendola come «la vera capitale dello stato di Israele», facendo insorgere i paesi arabi e scatenando l’ira dei palestinesi? I rapporti con l’estero degli Stati Uniti
dipendono esclusivamente da Trump che ha in pratica esautorato Rex Tillerson, segretario di Stato vale a dire ministro degli Esteri, il quale vorrebbe aprire negoziati con la Corea del Nord sul nucleare mentre il presidente lo accusa di stare «perdendo tempo» e punta sull’esibizione di forza delle portaerei davanti alle coste nord coreane e sulle minacce di distruggere il paese se non bloccherà il suo programma atomico. Ma la crisi diplomatica in realtà ha investito l’intero Dipartimento di stato (il ministero degli Esteri americano), provocando esodi e dimissioni forzate di dirigenti legati al presidente Obama. L’amministrazione Trump “blinda”
l’Alabama al Senato. Così se il presidente sembra perdere credibilità soprattutto dopo la pubblicazione di Fire and Fury, le “rivelazioni” di Michael Wolf sulla Casa Bianca, gli Stati Uniti continuano invece a costituire la piazza di investimento preferita dal capitalismo.
sempre più gli Stati Uniti uscendo anche dal Global Compact, l’intesa Onu sui migranti raggiunta nel 2016 e il cui testo finale è atteso per il 2018. Dopo aver denunciato l’accordo di Parigi sul clima (Cop21), il trattato di libero scambio con l’Asia-Pacifico (Tpp), essere uscito dall’Unesco «perché anti-israeliana», Trump vuole demolire tutto quanto è legato alla precedente amministrazione e segue i suggerimenti di Stephen Miller, 32 anni, di idee radicali per non dire reazionarie, il quale ha sostituito Steve Bannon nel ruolo di consigliere e ideologo della Casa Banca. Vero che Trump può vantare successi interni come la manovra sulle tasse, o i record di Wall Street dove la Borsa ha sfondato il tetto dei 24mila punti sull’indice Dow Jones, mentre il Pil del paese è al 3,3% e in salita; sono stati creati 228mila posti di lavoro; i salari orari sono cresciuti dello 0,19%, su base mensile (meno tuttavia del +0,3% previsto). Ma anche sconfitte clamorose come l’elezione di Doug Jones, democratico, a rappresentare
Come l’America del Nord anche quella del Sud sembra tentata dall’idea dell’uomo forte al comando, per esempio in Bolivia, dove Evo Morales, primo leader indigeno eletto presidente della repubblica, ha fatto ricorso al tribunale costituzionale contro il freno alle candidature elettorali. Morales ha sostenuto che limitare il numero delle volte in cui un cittadino si candida, lede i suoi diritti politici e il tribunale gli ha dato ragione. Così nonostante il veto costituzionale e il fatto di aver perso con il 51,3% di no il referendum abrogativo, Morales si presenterà per la quarta volta alle presidenziali. Non è il primo che ci prova in Sud America. Ci sono già stati i casi di Hugo Chàvez in Venezuela e di Daniel Ortega in Nicaragua, per non parlare dell’Argentina dove prima Carlos Menem ha tentato la rielezione perpetua, seguito da Nestor Kirchner che intendeva alternarsi eternamente alla Casa Rosada con la moglie Cristina, ora accusata di tradimento e occultamento di prove per aver firmato nel 1994 un patto segreto con l’Iran a proposito dell’attentato contro l’associazione ebraica Amia di Buenos Aires. Ma al contrario di costoro, Morales ha buone probabilità di essere rieletto perché la Bolivia sta bene economicamente: il Pil l’anno scorso ha raggiunto il 4% grazie al controllo sugli idrocarburi e sul gas, nazionalizzati proprio da Morales. Frattanto c’è stato il rischio di un golpe in Honduras, sette anni dopo quello che esautorò Manuel Zelaya, il presi-
dente che non voleva lasciare il potere e per farsi rieleggere aveva violato la Costituzione. Le elezioni presidenziali ai primi dello scorso dicembre si sono svolte in un clima avvelenato da accuse di brogli, con dimostrazioni soffocate con la forza (sette morti) e il governo che ha sospeso le libertà costituzionali e decretato dieci giorni di coprifuoco. In lizza erano il presidente uscente Juan Orlando Hernandez e il presentatore televisivo Salvador Nasralla, che a turno sono stati in testa nello spoglio delle schede, interrotto tra l’altro da un misterioso black out dell’energia elettrica. Hernandez è stato riconfermato in deroga alle leggi. Pessime notizie vengono anche dal Venezuela, dove è in gioco la libertà politica e personale dei cittadini e il governo di Nicolàs Maduro a metà novembre non è stato in grado di pagare gli interessi sui 200 milioni di cedole dei due bond in scadenza nel 2019 e 2024 per un totale che raggiunge i 90 miliardi di dollari a una prima stima, ma che potrebbe anche essere superiore. Il Paese dove più di un milione di abitanti ha nonni italiani (l’emigrazione più imponente è avvenuta al termine della Seconda guerra mondiale) ai primi di dicembre è entrato in default come da tempo il mercato aveva già capito. Un film già visto quello dei bilanci nazionali che crollano, dove l’Argentina ha il record mondiale dei default (ben otto a partire dal 1827) oltre a quello dell’entità del crac con 100 miliardi di dollari. Come dimensioni del fallimento, segue l’ex Unione Sovietica che nel 1998 è finita in default per 30 miliardi di dollari, in seguito alla crisi economica che nel 1997 ha colpito i Paesi asiatici mentre l’ultimo crac sovrano, in ordine di tempo, è quello della Grecia che nel 2015 non ha rimborsato il Fondo monetario internazionale per 7,1 miliardi di dollari
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