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LEGAL IL MENSILE DEL MERCATO LEGALE
Anno II / N°14-15 / Lug.-Ago. 2017 / € 20 ISSN 2499-8370
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IMPRESE
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EDITORIALE
Giustizia civile: un sistema condizionato dal passato ANGELA MARIA SCULLICA
@AngelaScullica
I
l ridimensionamento dei tempi della giustizia civile in Italia è innanzitutto un problema culturale. È ben vero che c’è stato un impegno da parte del Governo ad affrontare il caso e che grazie ai nuovi strumenti messi in campo a partire dal 2013 le cause civile sarebbero passate dai 5,2 milioni del giugno 2013 ai 3,88 milioni del gliugno 2016, ma il contenzioso in arretrato nei tribunali resta altissimo e penalizza lo sviluppo economico del Paese. Secondo un recente studio pubblicato da ImpresaLavoro, che ha calcolato il numero dei processi pendenti, limitato alle sole cause civili e commerciali, per ogni mille abitanti, l’Italia è ben distante dalle economie più avanzate come Francia, Spagna, Germania, nonché dalla media europea. Anche sulla durata media dei processi, sempre limitando l’analisi alle cause civili e commerciali, il nostro Paese si distingue per un primato assai poco invidiabile. I 532 giorni medi per arrivare alla sentenza di primo grado, piazzano l’Italia al penultimo posto in classifica dopo Malta, dove i giorni sono 536. Anche qui la differenza con gli altri Stati è abissale. In Francia bastano 348 giorni, in Spagna 318, in Germania 192 e in Austria 130. La media europea è a quota 268, una durata praticamente dimezzata rispetto alla nostra. Come emerge da questi numeri la giustizia italiana risulta una delle più inefficienti in Europa con tutte le conseguenze che ne possono derivare in termini di freno allo sviluppo e alla crescita del Paese, come lo stesso Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco ha voluto sottolineare nella sua relazione annuale. Ma perché il nostro Paese resta così indietro nonostante gli sforzi messi in atto negli ultimi tempi per recuperare terreno sul fronte della giustizia civile? L’intera impalcatura della giustizia civile in Italia, costruita nel tempo sulla base di pensieri, concezioni, idee, equilibri, poteri ecc. maturati in un contesto chiuso, poco concorrenziale, corporativistico, oligopolista è oggi totalmente superata e inadeguata. Con la globalizzazione dei mercati dovuta allo sviluppo tecnologico, le barriere che proteggevano il sistema sono venute a cadere. Il loro dissolvimento ha preso in Europa una forte accelerazione dal 2008 in avanti con il manifestarsi e l’allargarsi della crisi. L’economia italiana protetta per anni si è trovata improvvisamente davanti a uno scenario decisamente molto più ampio e concorrenziale di quello nel quale aveva lungamente operato, che richiede innovazioni tecnologiche, idee meritocratiche, flessibilità, qualità, servizio, efficienza, velocità e via dicendo. Tutte doti insomma che finora erano state estranee all’impostazione mentale e burocratica di un Paese chiuso. Uno scenario dal quale l’Italia non si può esimere, nonostante le nostalgie e i tentativi di restaurazione che da più parti si fanno avanti con la conseguenza di ritardare un processo che il progredire delle tecnologie (ora si parla anche di intelligenza artificiale!) rende ormai inevitabile. Gli sforzi richiesti al legislatore e al Governo per adattarsi al profondo cambiamento in atto, facendo sì che il diritto e la giustizia rispecchino le nuove realtà, sono notevoli. Ma i passi fatti nella direzione corretta, seppure meritevoli di approvazione, restano ancora brevi e di scarsa efficacia. Alla base di tutto questo va infatti innanzitutto metabolizzato il cambio culturale richiesto da una trasformazione di tale portata che non è quello di accontentare l’Europa o le voci generali di miglioramento della macchina burocratica della giustizia, ma è quello di mirare anche in Italia a valori che premino capacità individuale, talento, meritocrazia, mercato, sviluppo e crescita. Valori che, per essere rispettati, richiedono tutti una giustizia efficiente.
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IL MENSILE DEL MERCATO LEGALE
Sommario Liberalizzazione e risarcimento spese legali
PROTAGONISTI
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Quando l’avvocato diventa psicologo
DI STEFANO SUTTI
DI GABRIELE VENTURA
I colossi del Web diventano più trasparenti
MERCATI E BUSINESS
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Perchè l’Italia è ancora poco green Il real estate riprende quota DI MILENIA TRECCARICHI
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Alla conquista dei mercati internazionali DI LUIGI DELL’OLIO
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Privacy in azienda, cambia tutto DI GLORIA VALDONIO
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L’importanza della programmazione PENALE E FISCO
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Da Malta un’opportunità per le Pmi Italiane DI FULVIO DEGRASSI
LEGAL n. 14/15 - Luglio/Agosto 2017 EDITORE
BANKING & FINANCE
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La giustizia è più rapida, ma ci costa ancora 14 miliardi DI FILIPPO FATTORE
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DI FILIPPO CUCUCCIO
RUBRICHE
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General Counsel
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Carriere
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Mondo Legale
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Gli studi più attivi del settore
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DI GABRIELE VENTURA
IMPRESE E LAVORO Al via i nuovi strumenti di tutela
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DI FEDERICA CHIEZZI
Troppi vincoli frenano la crescita
DI LUIGI DELL’OLIO
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DI GABRIELE VENTURA
SCENARI
DI LAURA FRANCO
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La procedura di concordato preventivo
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DI GIANFRANCO BENVENUTO
PROFESSIONE AVVOCATO Lavorare pro bono giova alla reputazione
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DI LUIGI DELL’OLIO
STAMPA Grafica Novarese DISTRIBUZIONE PER L’ITALIA MePe - Distribuzione Editoriale Via Ettore Bugatti, 15 - 20142 Milano UFFICIO ABBONAMENTI Telefono 02 8738 6306 o inviare una mail a: abbonamenti@lefonti.it www.worldexcellence.it/abbonamenti/ CAMBIO INDIRIZZO Si prega di comunicarci entro il 20 del mese precedente il nuovo indirizzo via mail a: abbonamenti@lefonti.it GARANZIA DI RISERVATEZZA PER GLI ABBONAMENTI Le Fonti garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione ai sensi dell’art. 7 del D. leg. 196/2003 scrivendo a abbonamenti@lefonti.it. Pubblicazione mensile registrata presso il Tribunale di Milano il 10 Marzo 2016, numero 83. La testata Legal è di proprietà di Le Fonti. Direttore responsabile Angela Maria Scullica Prezzo di copertina € 20,00
SCENARI
Malgrado le riforme messe in campo per velocizzare i procedimenti, le cause pendenti nel civile continuano a scoraggiare gli investimenti dall’estero. Se lo smaltimento dell’arretrato fosse al livello della media europea, il Pil potrebbe aumentare tra lo 0,66% e lo 0,86%. Anche le banche penalizzate: secondo l’Abi, il 50% delle sofferenze è dovuto ai ritardi nella definizione dei contenziosi PROCESSI
La giustizia è più rapida, ma ci costa ancora 14 miliardi DI FILIPPO FATTORE
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ell’atto di indirizzo per il 2017 il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, mostra un certo ottimismo. «I risultati raggiunti nella giustizia civile in questi ultimi anni», spiega, «testimoniano la bontà degli strumenti messi in campo». Grazie all’impegno riformatore che, secondo il Guardasigilli, avrebbe investito i fondamentali assetti del processo civile con l’obiettivo di ridurre i carichi di lavoro e l’arretrato, le cause pendenti sarebbero passate dai 5,2 milioni del giugno 2013 ai 3,88 milioni del giugno 2016. Anche i tempi per la definizione del primo grado si sono ridotti, riuscendo a scendere sotto il tetto dei mille giorni, con i 992 giorni registrati nell’agosto 2016. Un salto di qualità che sarebbe stato evidenziato positivamente anche dalla Banca mondiale, che nel suo ultimo rapporto Doing business 2016 ha piazzato l’Italia 36 posizioni più in alto rispetto all’anno precedente.
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Giustizia lumaca Qualcosa, insomma, si sta muovendo. Dal registrare piccoli segnali di miglioramento a considerare la pratica della giustizia civile sulla via dell’archiviazione, però ce ne passa. Gli stessi numeri indicati con orgoglio dal governo dimostrano che la situazione è ancora drammatica. Un quadro confermato con chiarezza anche dal confronto internazionale. Intanto, quelle 36 posizioni scalate portano l’Italia alla 111ª posizione del ranking della Banca mondiale, anni luce lontano dal podio. Podio a cui si avvicinano molto, invece, la Germania (12ª) e la Francia (14ª) e, seppure con qualche lunghezza di scarto, la Spagna (39ª). Per avere un’idea di cosa significhi concretamente il posizionamento, basta sfogliare lo studio recentemente pubblicato dal think tank ImpresaLavoro, che ha calcolato il numero di processi pendenti,
limitato alle sole cause civili e commerciali, per ogni mille abitanti. Ebbene, con 45 giudizi in attesa di definizione l’Italia in Europa fa meglio solo della Croazia (46) ed è ben distante dalle economie più avanzate come Francia (24), Spagna (18), Germania (9) nonché dalla media europea, che si attesta a 19 cause pendenti. Anche sulla durata media dei processi, sempre limitando l’analisi alle cause civili e commerciali, il primato del nostro Paese è poco invidiabile. I 532 giorni medi per arrivare alla sentenza di primo grado piazzano l’Italia al secondo posto in classifica dopo Malta, dove i giorni sono 536. Anche qui la differenza con gli altri stati è abissale. In Francia bastano 348 giorni, in Spagna 318, in Germania 192 e in Austria 130. La media europea è a quota 268, una durata praticamente dimezzata rispetto alla nostra.
Cassazione maglia nera Quanto ai miglioramenti, il rapporto Rule of law index 2016 curato dal World justice project, che effettua un monitoraggio costante sullo stato della giustizia in tutto il mondo, retrocede l’Italia di 5 posizioni (dal 30° al 35° posto) nella classifica sull’andamento complessivo della macchina giudiziaria. In questo ranking la Spagna risulta al 24° posto, la Francia al 21° e la Germania addirittura al sesto. Entrando nel dettaglio della giustizia civile, il rapporto prende in esame diversi indicatori specifici, come i ritardi irragionevoli, le attività messe in atto per garantire il rispetto della giustizia e l’imparzialità e l’efficacia delle misure alternative di risoluzione dei conflitti giudiziari, come per esempio il ricorso agli arbitrati e alle mediazioni stragiudiziali. Sul primo punto l’Italia, in una scala da 0 a 1, prende solo lo 0,35 rispetto allo 0,6 della Francia e lo 0,86 della Germania (media Ue 0,6). Stesso discorso sul secondo punto (0,42) e sul terzo (0,66), dove i voti ottenuti sono sempre inferiori alla media europea. Le responsabilità delle cattive performance sembrano diffuse e generalizzate. Un dettagliato studio dell’Ufficio parlamentare di bilancio analizza le difficoltà a smaltire l’arretrato prendendo in esame ogni singola tipologia di ufficio. Per quanto riguarda la Corte di Cassazione, si legge nel documento dell’organismo indipendente guidato da Giuseppe Tesauro, «si può rilevare che i procedimenti pendenti sono sempre più numerosi di quelli definiti nello stesso anno». Se le sopravvenienze fossero zero la Suprema corte impiegherebbe 47 mesi a smaltire tutto l’arretrato. La situazione va un po’ meglio nelle Corti d’Appello, dove a partire dal 2010 si registra un andamento decrescente delle pendenze. In ogni caso, nell’ipotesi di sopravvenienze nulle, l’esaurimento delle vecchie pratiche richiederebbe 27 mesi. L’asticella si abbassa ancora nei Tribunali, dove basterebbero 13 mesi. Qui, però l’Upb ha rilevato negli ultimi anni un calo dei procedimenti definiti, che pur
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restando superiore ai nuovi procedimenti iscritti, rappresenta una preoccupante inversione di tendenza. Il risultato complessivo, considerando le pendenze presso tutti gli uffici giudiziari, è che quelle di primo grado sembrano mediamente al riparo dai termini massimi previsti dalla legge Pinto sulla ragionevole durata dei processi, mentre quelle concentrate nei due gradi superiori di giudizio, il 10% del totale, «presentano profili di rischio». In termini assoluti, da un censimento straordinario effettuato nel 2015, i procedimenti presso i Tribunali e le Corti d’Appello che con ogni probabilità sforeranno i tempi previsti dalla Pinto sono stati
La media per arrivare alla sentenza di primo grado in Italia è di 532 giorni. In Francia ne bastano 348, in Spagna 318, in Germania 192 e in Austria 130. La media europea è a quota 268 quantificati in circa 1,117 milioni al 31 dicembre 2014, in aumento rispetto agli 1,048 milioni stimati l’anno prima. Le mosse del governo Resta da vedere se gli interventi messi in campo dai governi dal 2011 a oggi saranno in grado di invertire la rotta. Il dossier dell’Upb mette in fila tutti i provvedimenti varati negli ultimi anni sia sul lato dell’offerta sia su quello della domanda. Sul primo versante si segnalano principalmente la riorganizzazione della distribuzione degli uffici giudiziari sul territorio, l’istituzione dei cosiddetti tribunali per le imprese, l’ufficio per il processo, il processo civile telematico e gli interventi sul personale. Sul secondo, vanno menzionati l’introduzione della mediazione obbligatoria per alcune controversie civili e commerciali, le limitazioni all’accesso alla giustizia (tra cui spicca anche una stretta sul diritto al risarcimento dei danni previsto dalla legge Pinto per evitare un eccessivo impatto sulla finanza pubblica), le nuove procedure di risoluzione stragiudiziale
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delle controversie, i disincentivi monetari per scoraggiare l’uso dilatorio del processo e alcuni interventi sul codice di procedura civile. Di carne al fuoco ne è stata messa tanta. Ma c’è chi, come Ignazio Visco, pensa che il menù sia ancora insoddisfacente. «Nel settore della giustizia civile», ha spiegato il governatore di Bankitalia nella sua ultima relazione annuale, «le misure adottate negli anni passati hanno contribuito a deflazionare il nuovo contenzioso e quindi il carico dei pendenti. Le ricadute sul funzionamento del sistema restano tuttavia ancora limitate. Permangono elevate differenze nella produttività dei diversi tribunali, in generale peggiore nel Mezzogiorno, conseguenza anche di persistenti disfunzioni sotto il profilo organizzativo». Il quadro tratteggiato da Visco è ben diverso da quello prospettato dal ministro Orlando. Il numero dei procedimenti pendenti è diminuito, ha ammesso il governatore, ma «la riduzione discende solo dal calo dei nuovi procedimenti, anche il numero di quelli definiti si è infatti ridotto, sebbene con minore intensità». Non si tratta, dunque, di un reale miglioramento della macchina giudiziaria, ma di una toppa rappresentata dalle «misure adottate negli anni passati per scoraggiare il ricorso in giudizio». Prova ne è, checché ne dica il Guardasigilli, che «la durata media effettiva dei procedimenti definiti resta elevata: nel 2016 era di circa 1.100 giorni per il contenzioso ordinario e di 1.250 giorni per quello commerciale». I danni economici Quantificare il danno della giustizia lumaca non è facile, ma c’è chi ha provato a fare due conti. Sul fronte degli investimenti netti annui provenienti dall’estero, si legge nel dossier elaborato da ImpresaLavoro, «la media degli ultimi tre anni evidenzia un magro 0,72% del Pil». Ebbene, «secondo i numeri di un recente studio pubblicato dalla Commissione europea, la riduzione delle cause pendenti per numero di abitanti è collegata all’incremento di questo tipo di investimenti». In altre parole, basterebbe portare il ritmo di smaltimento dell’arretrato italiano al livello
della media europea per generare afflussi extra dall’estero per un valore compreso tra lo 0,66% e lo 0,86% del Pil, vale a dire tra i 10,8 e i 14,1 miliardi l’anno. E non è tutto. Ridurre di un quarto i tempi dei Tribunali potrebbe anche incrementare il tasso di natalità delle imprese nella misura di 143mila unità all’anno, una volta e mezzo il tasso attuale. Se il miglioramento fosse addirittura tale da eguagliare i tempi europei, ovvero un dimezzamento dei nostri, «la stima varia tra le 192mila e le 240mila nuove imprese in più all’anno rispetto ai ritmi correnti». Benefici da una “giustizia europea” ci sarebbero pure sul fronte del credito, su quello dimensionale delle imprese e sulla disoccupazione. Nel primo caso il maggiore flusso di liquidità potrebbe essere quantificato in 29,3 miliardi di euro, pari a un aumento del 3,7% dello stock attuale. Sul fronte produttivo le nostre aziende, secondo quanto stimato da Bankitalia, potrebbe crescere dell’8,5% in media. Mentre sul terreno del lavoro l’efficientamento della macchina giudiziaria avrebbe un impatto potenziale di ben 5,7 punti di riduzione del tasso di disoccupazione. Sull’impatto della malagiustizia sugli investimenti diretti dall’estero si sofferma anche Confimprenditori, che in un recente studio ha evidenziato che negli ultimi 9 anni l’Italia ha perso circa 6 miliardi di valore aggiunto sull’indotto, 15 miliardi di valore aggiunto diretto e 1,38 punti percentuali di crescita strutturale sul Pil (lo 0,3% in media ogni anno). Ovviamente, si legge nel dossier dell’Ufficio studi di Confimprenditori, «le colpe di questo mancato flusso non vanno attribuite solamente alla lentezza della giustizia civile, ma essa ne è innegabilmente uno dei fattori principali». L’impatto sulle sofferenze Ma i danni della giustizia lenta non colpiscono solo le imprese. L’altro grande settore penalizzato è quello bancario. «Se l’Italia non avesse avuto l’impatto dello spread, se fosse cresciuta come la media europea e avesse avuto un funzionamento della giustizia civile in linea con la media Ue», ha spiegato il vicedirettore generale dell’Abi, Gianfranco Torriero, il rapporto tra crediti deteriorati e impieghi sarebbe al 7,6%, allineato ai livelli europei, e non al 18,4%, come è quello attuale». Utilizzando un modello econometrico è stato calco-
PROSPETTIVE DIFFERENTI Il ministro della Giustizia, Antonio Orlando, stima che grazie alle riforme adottate, le cause civili pendenti sono passate dai 5,2 milioni del giugno 2013 ai 3,88 milioni del giugno 2016. Ma per il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, le ricadute sul funzionamento del sistema restano ancora limitate
lato che per le banche italiane i tre fattori sono responsabili per quasi 12 dei 15 punti percentuali di incremento tra il 2007 e il 2014 dell’Npls ratio. «Spacchettando la riduzione di 12 punti percentuali», ha spiegato Torriero, «circa il 50% è imputabile ai tempi lunghi della giustizia civile». Gli interventi fatti finora, secondo l’Abi, sono «certamente significativi». Ma si tratta di norme che intervengono sulle nuove posizioni. Per smaltire lo stock servirebbe un cambio di marcia che, sembra di capire, non c’è stato. In assenza di dati sugli effetti delle misure prese dal governo, il vicedirettore dell’associazione bancaria ha citato dati del ministero della Giustizia sui tempi di recupero di crediti in sofferenza o di escussioni di garanzie immobiliari, aggiornati al primo semestre 2015, in base ai quali «se anche non ci fossero nuove pratiche, servirebbero 9 anni per smaltire lo stock esistente», in caso di fallimenti e 4 anni per le esecuzioni immobiliari. Tra le ragioni dei tempi lunghi della giustizia civile, secondo il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, c’è anche l’aspetto organizzativo dei Tribunali. «Tutti concordano nella estrema carenza delle strutture. Ma il ministero della Giustizia non arriva ad avere l’1% del bilancio dello Stato. Se si incrementasse di qualche zero virgola per efficientare la giustizia, questo avrebbe effetti positivi anche sulla capacità del Paese di attrarre investimenti».
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