World Excellence N°2 - Maggio

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N°2 | Maggio 2016 |

WORLD EXCELLENCE www.editricelefonti.it

FINANZA, ASSICURAZIONI E IMPRESE NELLA SFIDA GLOBALE

N°2 MAGGIO 2016

5 € | Mensile

ISSN: 2499-5282

9 772499 528006

Per Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio, è necessario affrontare con decisione e coraggio il taglio fiscale

60002

WORLD EXCELLENCE

RIDURRE LE TASSE PER RAFFORZARE LA CRESCITA ASSET MANAGEMENT WORLD EXCELLENCE

ALLA RICERCA DEL PORTAFOGLIO IDEALE In un clima di forte volatilità con i tassi addirittura negativi, quale può essere la strategia da seguire per garantire un rendimento a rischio contenuto? Ne parlano i gestori

www.worldexcellence.it

Alessandro Allegri

Raphael Gallardo

Stefano Castoldi

Davide Pasquali

Stefan Kreuzkamp

RISPARMIO AD ALTA TENSIONE

Non si ferma l’altalena sui mercati finanziari

Riccardo Ambrosetti

ENERGIE RINNOVABILI

MAROCCO UN PAESE IN CORSA

Strategie, criticità e prospettive del mercato

Per le imprese italiane si aprono nuove opportunità di business



EDITORIALE

La grande scommessa dell’Europa Angela Maria Scullica

L’

Unione Europea, ancora fragile, troppo poco sentita e condivisa dalle popolazioni interessate, è messa a dura prova. Nata come strumento di pace tra Paesi lacerati da due guerre mondiali a breve distanza l’una dall’altra, dopo la caduta del muro di Berlino non è più riuscita a trovare un valido leitmotiv che unisca le sue varie anime attraverso l’individuazione di valori e obiettivi comuni il cui rispetto e raggiungimento possano portare a una effettiva e reale coesione di popoli. Oggi l’irrefrenabile ondata di profughi in fuga dalla guerra, dal terrorismo e dalla miseria accompagnata da una bassa crescita economica dovuta a una prolungata politica del rigore stanno accrescendo il peso delle forze disgreganti. Qualcuno parla addirittura di una “tempesta perfetta” in formazione, ma senza voler fare in questa sede inutili allarmismi, vediamo di tracciare in modo distaccato un quadro della situazione. Innanzitutto l’enorme e inarrestabile progresso tecnologico e la globalizzazione stanno portando le società attuali verso una visione altamente concentrata in cui le vie di mezzo stanno andando a sparire. Se ci guardiamo intorno, lo vediamo un po’ dappertutto, dal settore finanziario dove banche, assicurazioni, società di dimensione intermedia fanno fatica a reggere e devono trovare tra loro forme di aggregazione e di fusione, a quello commerciale dove le grandi catene stanno spazzando via quelle minori, dalle imprese che devono investire e crescere dimensionalmente per competere, dagli studi legali e professionali che cercano partnership e alleanze per affrontare in modo concorrenziale le problematiche di un mercato complesso e via di questo passo. Gli esempi infatti sono numerosi. In questo mondo concentrato lo spazio per una moltitudine fatta dalla maggioranza degli individui si restringe di molto creando scontento, povertà e frustrazione. Se a ciò aggiungiamo i macroscopici errori commessi dalla

politica internazionale in questi anni che hanno inasprito le tensioni nel Medio Oriente con tutte le drammatiche conseguenze che ne sono seguite in termini di terrorismo, guerre e immigrazione, potremmo arrivare a dire che siamo giunti a un punto di criticità elevata dal quale si rischia di precipitare nel caos. Una paura la cui consapevolezza si sta oggi diffondendo. Parallelamente si stanno sollevando sempre più forti le critiche a come finora è stato condotto il processo di integrazione europea. Un’Europa portata avanti da burocrati che ha agito solo davanti al pericolo immanente e con soluzioni rese deboli dalla mancanza di leadership e coesione forte tra gli Stati; dove a una politica troppo rigida e rigorosa di bilancio caldeggiata con vigore dalla Germania ha dovuto contrapporsi la politica monetaria espansiva della Bce, arrivando così ad un compromesso che ha prodotto modesti risultati. Le misure prese in campo finanziario per dare stabilità ed evitare il ripetersi di crisi sistemiche sono state accusate di non avere risolto i problemi ma, anzi, in alcuni casi, di averli addirittura aggravati. E via di questo passo. La verità è che, davanti a un pericolo reale di disgregazione, deve farsi con urgenza strada un ripensamento di quello che è stato finora questo processo di integrazione europeo e delle molte falle che ha avuto. Bisogna rendersi conto che, per far fronte alle innumerevoli sfide di un mondo globale competitivo e tecnologico che spinge per sua naturale evoluzione verso la concentrazione escludendo un numero troppo elevato di persone, occorrono decisioni forti, accentrate e, nello stesso tempo, condivise che mettano in primo piano valori come la rappresentatività, la riduzione della povertà, la diffusione della conoscenza, la ricerca, l’innovazione. Se l’Europa vuole sopravvivere alle odierne spinte contrastanti deve essere in grado di creare in fretta una cultura europea nella quale la gente riesca a riconoscersi e dei valori comuni per i quali valga la pena di restare uniti. Ce la farà? È la grande scommessa di oggi.  Maggio 2016 World Excellence

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RISPARMIO AD ALTA TENSIONE

Non si ferma l’altalena sui mercati finanziari

Riccardo Ambrosetti

DIRETTORE RESPONSABILE Angela Maria Scullica angela.scullica@editricelefonti.it REDAZIONE Federica Chiezzi (federica.chiezzi@editricelefonti.it), Sara Tamburini (redazione11@editricelefonti.it) REDAZIONE GRAFICA Valentina Russotti SEGRETERIA DI REDAZIONE redazione10@editricelefonti.it COLLABORATORI Andrea Salvadori, Salvatore Bruno, Paolo Cabrini, Sergio Cuti, Chiara Osnago Gadda, Melania Mauri, Filippo Cucuccio, Gloria Valdonio, Filippo Fattore, Mario Lombardo, Luigi Dell’ Olio, Matteo Mauri, Achille Perego, Fabio Sgroi RESPONSABILE COMUNICAZIONE E RELAZIONI ESTERNE Claudia Chiari

SCENARI 8

La paura del futuro allarga il frontre protezionista

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La minaccia Brexit incombe sull’Unione

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La Brexit del sistema bancario britannico

PRIMO PIANO 20

La ripresa passa dal taglio fiscale

MERCATI E IMPRESE

COORDINAMENTO INTERNAZIONALE ( New York, Dubai, Hong Kong, Londra, Singapore...) Alessia Liparoti alessia.liparoti@editricelefonti.it

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PROGETTI SPECIALI Alessia Rosa alessia.rosa@editricelefonti.it

INTERNAZIONALIZZAZIONE

REDAZIONE E STUDI TELEVISIVI Via Dante 4, 20121 Milano - tel. 02 8738.6306 Per comunicati stampa inviare a: press@editricelefonti.it

EDITORE

Editrice Le Fonti S.r.l. Via Dante, 4, 20121 Milano STAMPA Arti Grafiche Fiorin - AGFiorin CONCESSIONARIA PER LA PUBBLICITÀ Opq s.r.l. Via G.B. Pirelli, 30- 20141 Milano tel. 02 6699.2511 | info@opq.it | www.opq.it DISTRIBUZIONE PER L’ITALIA MePe - Distribuzione Editoriale Via Ettore Bugatti, 15 - 20142 Milano

RUBRICHE 6 Mondo Nuovo 18 News 30 Arte e Design 32 Luxury 33 Lifestyle 56 Credito 82 Carriere 84 Top Executive 96 Risparmio Gestito 98 Trend

34

Energie rinnovabili nella morsa dell’incertezza

Marocco un paese in corsa

FINANCE 38

Tagli, fusioni e sofferenze: banche sulla graticola

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La difficile gestione dei crediti deteriorati

50

Nasce il terzo gruppo bancario italiano

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Le criticità che hanno portato alla riforma

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Le nuove strategie di outsourcing

ASSICURAZIONI 62

Verso un nuovo modello di agenzia

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Il manager francese che cavalca il leone

TECNOLOGIA 68

La quarta rivoluzione industriale è alle porte

SERVIZIO ABBONAMENTI Telefono 02 8738 6306 o inviare una mail a: abbonamenti@editricelefonti.it

LAVORO

CAMBIO INDIRIZZO Si prega di comunicarci entro il 20 del mese precedente il nuovo indirizzo via mail a: abbonamenti@editricelefonti.it

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GARANZIA DI RISERVATEZZA PER GLI ABBONAMENTI Editrice le Fonti garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione ai sensi dell’art. 7 del D. leg. 196/2003 scrivendo a abbonamenti@editricelefonti.it Pubblicazione mensile registrata presso il Tribunale di Milano il 4 Dicembre 2015, numero 342. La testata World Excellence è di proprietà di Le Fonti Direttore responsabile Angela Maria Scullica Prezzo di copertina € 5,00

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Un bilancio fra luci e ombre

ASSET MANAGEMENT 88

Non si ferma l’altalena sui mercati finanziari


Patrimonio di Fiducia

FIDUCIA

s. f. [dal lat. fiducia, der. di fidĕre «fidare, confidare»] (pl., raro, -cie).

Atteggiamento, verso altri o verso sé stessi, che risulta da una valutazione positiva di fatti, circostanze, relazioni, per cui si confida nelle altrui o proprie possibilità, e che generalmente produce un sentimento di sicurezza e tranquillità:

Costituita nel 1958 Prima Fiduciaria Italiana per masse amministrate Indipendente da gruppi bancari 100 persone altamente qualificate Storica collaborazione con tutte le categorie professionali Sede di Milano 20123 Milano, via Amedei, 4 +39 02.72 422.1 relazioniesterne@unionefiduciaria.it www.unionefiduciaria.it

Filiale di Roma 00187 Roma, via Piemonte, 39 +39 06.420 338.1 relazioniesterne@unionefiduciaria.it www.unionefiduciaria.it


MONDO NUOVO

America anti-trade? Kenneth Rogoff

Economista e docente all’Università di Harvard

L’

ascesa di un populismo “anti-trade” nella campagna elettorale Usa 2016 preannuncia un pericoloso disimpegno di ruolo degli Stati Uniti nell’ambito dello scenario internazionale. In nome della riduzione delle disuguaglianze americane, i candidati alla presidenza di entrambi i partiti vorrebbero mortificare le aspirazioni di centinaia di milioni di persone disperatamente povere del mondo in via di sviluppo a raggiungere lo status di ceto medio. Il candidato presidenziale repubblicano Donald Trump ha proposto di “schiaffare” una tassa del 45% sulle importazioni cinesi negli Stati Uniti, un progetto attraente per molti Americani che ritengono che la Cina si vada arricchendo mediante pratiche commerciali sleali. Ma, nonostante tutto il suo straordinario successo in questi ultimi decenni, la Cina rimane un paese in via di sviluppo in cui una quota significativa della popolazione vive ad un livello di povertà che sarebbe impensabile per gli standard occidentali. Ed il problema della povertà in Cina non è certo il peggiore del mondo. Sia l’India che l’Africa hanno una popolazione più o meno paragonabile a quella cinese di 1,4 miliardi di persone, con quote significativamente minori di persone che hanno raggiunto il livello di classe media. Il candidato democratico alla presidenza Bernie Sanders è un individuo molto più interessante rispetto a “The Donald”, ma la sua retorica “anti-trade” è quasi altrettanto pericolosa. Seguendo importanti economisti di sinistra, Sanders si scaglia contro la proposta del nuovo Trans-Pacific Partnership (Tpp), anche se l’accordo potrebbe essere di grande aiuto per il mondo in via di sviluppo, per esempio, con l’apertura del mercato giapponese alle importazioni latino-americane. Sanders martella anche la sua avversaria Hillary Clinton per il suo sostegno ad accordi commerciali precedenti, come il North America Free Trade Agreement del 1992 (Nafta). Eppure, tale accordo ha costretto il Messico ad abbassare le sue tariffe sulle merci statunitensi molto più di quanto non abbia costretto gli Stati Uniti a ridurre le sue già basse tariffe sulle merci messicane. Purtroppo, il successo clamoroso della retorica anti-commercio di Sanders e Trump ha trascinato la Clinton lontano dalle sue posizioni più 6

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centriste, e potrebbe avere lo stesso effetto su molti membri della Camera e del Senato. È la ricetta per un disastro. Il TPP ha i suoi difetti, in particolare per le carenze in materia di protezione dei diritti di proprietà intellettuale. Ma è molto discutibile l’idea che l’accordo si rivelerà per gli Stati Uniti un enorme distruttore di posti di lavoro, ed è necessario agire per facilitare la vendita di beni ad alta tecnologia al mondo in via di sviluppo, tra cui la Cina, senza timore che tali beni possano essere immediatamente clonati. Una mancata ratifica del TPP condannerebbe quasi certamente decine di milioni di persone nel mondo in via di sviluppo ad una povertà persistente. Il rimedio giusto per ridurre le disuguaglianze all’interno degli Stati Uniti non è allontanarsi dal libero commercio, ma introdurre un sistema fiscale migliore, più semplice e progressivo. Gli Stati Uniti inoltre hanno un disperato bisogno di una profonda riforma strutturale del sistema educativo, che rimuova gli ostacoli all’introduzione di tecnologia e competizione.In effetti, le nuove tecnologie offrono la prospettiva di rendere molto più facile l’aggiornamento e la riqualificazione dei lavoratori di tutte le età. Sono poco lungimiranti coloro che sostengono la ridistribuzione attraverso più grandi deficit di bilancio del governo. In considerazione di un’evoluzione demografica negativa nel mondo avanzato, del rallentamento della produttività, e dell’aumento degli obblighi pensionistici, è molto difficile sapere quale potrebbe essere il finale di partita di un’impennata del debito. La semplice redistribuzione del reddito attraverso tasse e trasferimenti è molto più diretta e potente, e potrebbe certamente servire ad espandere la domanda aggregata. Chiunque ritrae gli Stati Uniti come uno dei grandi perdenti a causa dello status quo economico globale ha bisogno di acquisire nuove prospettive sulla questione. Ma l’idea che il commercio alimenti le disuguaglianze è una prospettiva molto “parrocchiale”, ed i protezionisti che si coprono con una narrazione moralistica della diseguaglianza sono profondamente ipocriti. Per quanto riguarda il commercio, l’attuale campagna presidenziale degli Stati Uniti è motivo di imbarazzo sostanziale, e non soltanto relativo alle personalità. 



SCENARI

GLOBALIZZAZIONE

La paura del futuro allarga il fronte protezionista La scarsa crescita economica nel mondo occidentale spinge i governi verso politiche nazionaliste e conservatrici. Che però devono fare i conti con lo sviluppo dell’ interconnessione globale delle loro economie Mario Lombardo

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I

segnali che vengono da Oriente sono difficili da decifrare. Soprattutto quelli che lancia la Cina dove il Pil è stato ricalcolato al ribasso mentre il premier Li Keqiang ha annunciato una “nuova normalità” che servirà per «costruire una socieà moderatamente prospera» ma prendendo atto che il paese «non sarà più la locomotiva capace di tirare tutti». Il Pil è stato tagliato al 6,5%, l’indice più basso da 25 anni; il deficit sul Pil previsto al 3%, lo stesso dato che si presume sarà raggiunto dall’inflazione annua; caleranno al 7,6% gli investimenti militari che erano del 10,1% nel 2015; si calcola che nelle miniere e nelle fonderie dello stato si perderanno circa sei milioni di posti di lavoro, a fronte di 10 milioni di nuovi. In ogni caso, a un «2016 difficile, per il quale bisogna prepararsi a combattere una battaglia complicata», fa seguito un ottimistico piano quinquennale,

il 13° varato dal governo cinese, che ne sottolinea gli “obiettivi ambiziosi”. Uno dei primi è fare dell’industria culturale un prodotto di esportazione. Secondo le stime di Pechino, se ora occupa solo il 4% su un mercato globale valutato in 220 miliardi di dollari, l’export culturale cinese può essere quintuplicato entro il 2020. Cominciando con il creare distretti produttivi nel cinema, nell’informazione e nella distribuzione dove già operano aziende come Alibaba, Huayi, Wanda. Turismo e sport costituiscono altri due obiettivi, tanto che le due squadre di calcio milanesi, Inter e Milan, potrebbero a breve passare, in toto o in parte, in mano cinesi. Anche il mercato degli smartphone vede la scalata di un’azienda cinese: Huawei ora è al terzo posto nella classifca mondiale delle vendite (nel 2015 cresciute del 52%) ma Ren Zengfei, il suo fondatore, punta a superare sia Apple, che ha il 15,9% del mercato, sia Samsung, che ne ha il 22,5%. Se il governo cinese è cauto, nell’outlook di primavera il Fondo monetario internazionale ha invece rivisto al rialzo la crescita del Pil cinese, confermando il dato del 6,5% che è l’obiettivo dichiarato dal governo, mentre lo yuan nei primi tre mesi del 2016 si è rafforzato dello 0,3% sul dollaro e le riserve di Pechino in valuta estera sono aumentate di 19,3 miliardi di dollari, per un totale di 3.213 trilioni di dollari. Il risultato potrebbe essere un ulteriore rialzo del renmimbi o “valuta del popolo”, che è il nome ufficiale dello yuan, svalutato pesantemente per due volte a partire dalla scorsa estate e il cui sostegno è costato oltre 500 miliardi di dollari alla People’s Bank of China, la banca centrale cinese. A settembre, a Hangzhou è atteso il vertice dei G20, e la Cina, presidente di turno, vuole mostrare i muscoli: così il renmimbi è tornato stabile mentre, in parallelo, è scemata la sua volatilità sul mercato monetario. Ma intanto US Steel, uno dei maggiori gruppi siderurgici americani, ha depositato un ricorso alla International trade commmission (Itc) per vietare le importazioni da diecine di produttori cinesi.

Dall’altra parte del mondo al centro del bersaglio sembra esserci la globalizzazione. Negli Stati Uniti a metterla nel mirino sono due candidati alla presidenza che non potrebbero essere più diversi tra loro: da un lato Bernie Sanders, radicale di sinistra, dall’altro il miliardario Donald Trump, demagogo di destra. Per conquistare le primarie nel Michigan, uno stato industriale con una forte componente operaia, hanno usato in pratica gli stessi argomenti: se c’è insicurezza per il posto di lavoro e i salari non crescono la colpa è della Cina, del Messico, dei paesi asiatici e latino-mericani dove la produzione è a basso costo, così che le multinazionali vi si trasferiscono riuscendo anche a evadere le tasse. Con la prosperità condivisa che resta un sogno lontano, hanno detto, è arrivato il momento di mettere un freno ai trattati commerciali di libero scambio e all’apertura delle frontiere. Quest’ultimo argomento interessa anche l’Europa, di fronte al continuo flusso di migranti. Negli Usa un muro, anche se incompleto, è già stato eretto per ostacolare l’accesso dal Messico: in Europa ne stanno erigendo di continuo, alle frontiere della Macedonia, dell’Ungheria e ultimamente dell’Austria. Le ragioni sono sempre le stesse. Impedire che migliaia, milioni di persone povere e senza professionalità si riversino nei paesi a economia avanzata mettendone in pericolo, insieme alla stabilità economica, anche quella politica. E si gettano in campo argomenti diversi per giustificare la decisione di chiudere le frontiere, dettati dal populismo, dal nazionalismo, da motivi economici o di opportunità politica. Come ha insegnato Machiavelli, il fine giustifica i mezzi. I due contendenti alla presidenza degli Usa d’altra parte nel Michigan hanno conquistato facilmente i voti dei rispettivi schieramenti, democratici per Sanders, repubblicani per Trump. Il termine usato dalla stampa americana per giustificare il loro atteggiamento è “pragmatismo”, o comunque spirito di adattamento. Lo stesso che negli Stati Uniti impronta an-

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ATTACCO FRONTALE Wolgang Schauble, ministro delle Finanze tedesco, ha attaccato la politica monetaria di Mario Draghi, presidente della Bce, a sinistra, giudicando sbagliati il quantitative easing e i tassi zero

che la politica monetaria, se si guarda all’esempio offerto da Janet Yellen, presidente della Federal Reserve, la banca centrale americana, che nel dicembre scorso, per la prima volta dopo 10 anni, aveva alzato i tassi di interesse spiegando che quella sarebbe stata solo la prima di una serie di mosse consimili e come immediato risultato aveva dovuto incassare un pesante ribasso per tutti i listini mondiali. Così, pragmaticamente , di fronte a una situazione del genere la Yellen ha immediatamente

Per vincere la guerra alla deflazione è stata avanzata l’ipotesi di un’arma finale rappresentata dalla cosiddetta helicopter money

cambiato registro. Ha convinto il Federal open market committee (Fomc), il centro decisionale della Federal Reserve che avrebbe voluto alzare il costo del denaro, che le condizioni dei mercati finanziari internazionali sono cambiate, e di molto, anche solo nel giro di pochi mesi. Tanto da suggerire di gradualizzare l’incremento dei tassi di interesse, che come lei stessa aveva promesso avrebbero dovuto subire due o tre rialzi nel corso del 2016 e invece sono rimasti invariati. Poi si vedrà, ma intanto la Yellen ha spiegato: «Considerati i rischi in prospettiva, ritengo approppriato per la Fed procedere con cautela», e in attesa di tempi migliori non ha neppure voluto confermare le previsioni

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degli analisti che ritengono ancora possibili «quattro incrementi nel corso del 2017 fino a osservre un tasso di interesse principale a quota 1,9%». La banche centrali europee però, con la Bce a guidare il gruppo, non vogliono sentir parlare di “cautela” e, per quanto riguarda i di tassi di interesse, anche se con l’eccezione tedesca, condividono la decisione di Mario Draghi, presidente della banca europea, che a inizio marzo li ha ulteriormente tagliati. Ma la parola d’ordine, adesso, è

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combattere la deflazione, a qualsiasi costo dopo che per anni ci si è impegnati contro l’inflazione troppo alta. Perché se da un lato è vero che con la deflazione cresce il potere d’acquisto dei singoli e delle famiglie così come, in parallelo, scendono i costi industriali, dall’altro si corre il rischio che pensando che la deflazione sia ormai una costante gli impreditori rimandino gli investimenti e la popolazione gli acquisti di beni di consumo, provocando così dei veri e propri scoquassi economici. Mentre il prezzo del petrolio torna a superare i 45 dollari al barile, nella zona euro i prezzi al consumo sono calati dello 0,1% su base annua (in Italia dello 0,2%):

sia il governatore della Banca centrale di Francia Villeroy de Galhau sia Jens Weidemann, capo della Bundesbank si mostrano scettici sulla politica monetaria accomodante della Bce e in una lettera congiunta al Parlamento europeo suggeriscono come strumento necessario per combattere la deflazione un minitro del Tesoro unico per tutta l’aria dell’euro, dotato di ampi poteri anche sui bilanci dei singoli paesi. Quanto a Wolgang Schauble, ministro delle Finanze tedesco, attacca la politica monetaria di Draghi giudicando sbagliati il quantitative easing (Qe) tanto quanto la scelta dei tassi zero, perché non solo sottraggono qualsiasi guadagno ai risparmiatori tedeschi e ai sottoscrittori di polizze assicurative, ma potrebbero addirittura provocare delle perdite finanziarie. Vero che con il Qe i prestiti alle imprese non calano più, però sono rimasti praticamente fermi: in gennaio, nella zona euro, hanno raggiunto soltanto un +0,6%, mentre in Italia sono negativi, segnando un –0,8%. Misure diverse dal quantitative easing, che finora si è rivelato poco efficare nello stimolare la ripresa dei consumi e degli investimenti nonostante il fatto che la Bce nell’ultimo anno abbia fatto arrivare 60 miliardi al mese (da marzo addirittura 80) nelle banche dell’eurozona, vengono ventilate da più parti, ma il capo economista della Bce, il belga Peter Praet, in un seminario della Luiss di Roma ha sostenuto che la Banca centrale europea ha agito “con grande determinazione” per cambiare


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