WORLD EXCELLENCE FINANZA, ASSICURAZIONI E IMPRESE NELLA SFIDA GLOBALE
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L’ETICA
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SPINGE IL BUSINESS Per Pasquale Natuzzi, imprenditore leader nel settore dei divani, il rispetto delle persone e dell’ambiente è fondamentale per conseguire una crescita sostenibile nel tempo Pasquale Natuzzi
ASSET MANAGEMENT WORLD EXCELLENCE N°10-11
LA CONSULENZA È LA CHIAVE DI VOLTA Siglato un accordo vincolante con UniCredit, finalizzato all’acquisizione di Pioneer Investment, ora Amundi punta su diversificazione e rischi bilanciati. In attesa delle politiche monetarie di Bce e Fed e delle mosse di Trump
Giordano Beani
BANCHE RETI
Un modello di business sotto pressione Marco Bernardi
SILICON VALLEY
La marcia in più CONTINUA del dinamismo LA CORSA AI MATRIMONI italiano
ASSET MANAGEMENT
Andrea Boggio
ASSICURAZIONI
Maurizio Bufi
Il2016sièchiusoconunaserie di operazioni di fusione e acquisizione nel settore assicurativo. Un trend cheprosegueanchequest’anno. Fari puntati su Generali e Axa
EDITORIALE
Alzare i muri è solo un palliativo Angela Maria Scullica @AngelaScullica
I
l vento sta cambiando. Stereotipi e certezze che hanno retto per decenni le economie e gli equilibri internazionali a partire dal dopoguerra, sono oggi messi in discussione. Con l’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti la parola “protezionismo” sta acquistando sempre più concretezza. Il neo presidente infatti finora non si è smentito: le sue dichiarazioni si dimostrano coerenti con le idee esposte in campagna elettorale. Accordi unilaterali con i singoli Paesi, dazi e barriere commerciali appaiono sempre più chiaramente come la strada che la nuova amministrazione Usa intende percorrere per rilanciare e sostenere la crescita economica, l’occupazione e il ruolo dominante americano. Un deciso cambio di rotta che si può definire anacronistico rispetto ai concetti di globalizzazione e libero mercato che hanno governato gli sviluppi mondiali di tutti questi anni e hanno spinto i Paesi Europei ad integrare con gran fatica le loro economie in un’unica area finanziaria, commerciale, fiscale e legislativa. Giuste o sbagliate che siano le idee e le considerazioni che portano gli Stati Uniti a questa scelta, occorre in questa sede fare alcune considerazioni. La prima è che è difficile arrestare la globalizzazione perché lo sviluppo tecnologico e il progresso portano a stringere nel tempo e nello spazio le interconnessioni tra persone, fatti e cose, abbattendo nel mondo i confini e concentrando risorse, mercati e popoli. Isolarsi in questo magma in continua ebollizione, anche se a breve può portare a risultati in termini di aumento di occupazione e Pil, come la storia insegna, rischierebbe di condannare chi prende questa decisione ad un inesorabile declino. La seconda considerazione, che si riaggancia alla prima, riguarda invece la natura stessa del lavoro che cambia fortemente con l’avanzare delle nuove tecnologie rendendo obsolete numerose attività e specializzazioni collegate alla manualità, al servizio, all’intermediazione e via dicendo. E imponendo in generale a tutti riqualificazione, flessibilità, preparazione, competenza e apertura mentale. Da questo punto di vista
è chiaro che non è la globalizzazione o il fenomeno dell’immigrazione a creare disoccupazione, ma l’incapacità di interpretare le richieste di un mercato in forte trasformazione, la difficoltà ad adattarsi ai nuovi contesti, la bassa conoscenza, la nostalgia del passato, la difesa di interessi e privilegi di casta e la scarsa disposizione all’apprendimento del nuovo. Lo ha espresso bene il presidente cinese Xi Jinping che a Davos ha candidato la Cina a prendere il posto degli Stati Uniti come motore dell’economia mondiale. «Perseguire il protezionismo», ha detto, «è come chiudersi in una stanza scura. Il vento e la pioggia restano fuori, ma anche l’aria e la luce». Che comunque ci sono, continuano a esistere e a manifestarsi nonostante i tentativi di frenarli e di creare ambienti protetti. La globalizzazione, ha proseguito il leader cinese, non può essere ritenuta responsabile «dei guai del mondo come guerre, attentati e profughi». Anzi, se si fanno anche solo pochi calcoli, si comprende quanto i vantaggi di un mondo aperto abbiano di gran lunga superato gli svantaggi anche in questo lungo periodo di crisi. Certo, se si fa un bilancio dei pro e contro che si sono avuti in seguito al forte aumento della competizione internazionale dovuta anche all’ingresso massiccio sui mercati di Paesi un tempo esclusi come l’India, la Cina, l’Est europeo e altri, non si può non evidenziare anche l’attuale accentuarsi del divario tra povertà e ricchezza e l’incremento di disuguaglianze, discriminazioni e povertà che alimentano paure, incertezze e dubbi in un numero sempre più elevato di persone e popolazioni. Squilibri che, una volta compresi e individuati, saranno contenuti con una serie di misure e correttivi dai quali i singoli Governi e Stati non potranno prescindere. Ma qualunque cosa sarà, resta il fatto che il progresso tecnologico mette tutti di fronte ad un’epoca nuova, dai contorni indefiniti e labili con la quale, nel bene e nel male, ci si deve misurare. E cercare di alzare barricate, muri e confini non fa altro che allontanare la presa di coscienza necessaria per trovare soluzione ai problemi.
Gennaio - Febbraio 2017 World Excellence
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WORLD EXCELLENCE
DIRETTORE RESPONSABILE Angela Maria Scullica angela.scullica@lefonti.it
SCENARI
RUBRICHE
REDAZIONE Federica Chiezzi (federica.chiezzi@lefonti.it),
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Il mondo accelera la corsa
REDAZIONE GRAFICA Valentina Russotti
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Prossima fermata Parigi
SEGRETERIA DI REDAZIONE segreteria@lefonti.it
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Globalizzazione allo stremo
COLLABORATORI Laura Colnaghi, Filippo Cucuccio, Sergio Cuti, Luigi Dell’ Olio, Filippo Fattore, Guido Sirtoli, Fabio Sgroi, Nino Sunseri, Paolo Tomasini, Lucio Torri, Gloria Valdonio, Donatella Zucca
PRIMO PIANO
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MERCATI E IMPRESE 26
PROGETTI SPECIALI Alessia Rosa alessia.rosa@lefonti.it INNOVAZIONE E DIGITAL MARKETING Simona Vantaggiato simona.vantaggiato@lefonti.it REDAZIONE E STUDI TELEVISIVI Via Dante 4, 20121 Milano - tel. 02 8738.6306 Per comunicati stampa inviare a: press@lefonti.it EDITORIAL OFFICES Londra - Milano - New York - Singapore Dubai - Hong Kong EDITORE
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Sviluppo sostenibile e legalità per rilanciare il business
Testa italiana e investimenti a stelle e strisce
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LAVORO
MENO IMPOSTE SUL WELFARE AZIENDALE
INTERNAZIONALIZZAZIONE 32
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Anche Draghi si prepara alla prova elettorale
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Dopo 10 anni diminuiscono i crediti deteriorati
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E intanto il mercato prende forma
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Piano Juncker: le potenzialità di un rilancio
ASSICURAZIONI 54
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Capitali globali
FINANCE
Continua la corsa ai matrimoni
E ORA I PIANI DEGLI AGENTI ENTRANO NEL VIVO
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Mondo Nuovo News Luxury Lifestyle Carriere Top Executive Arte e design Trend
Un passo avanti per tute blu e statali
TECNOLOGIA 70
Nuove tecnologie per una leadership digitale e internazionale
ASSET MANAGEMENT 76
Un modello di business sotto pressione
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Investire sulle Pmi senza pagare tasse
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La consulenza è la chiave di volta
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Quando il consulente diventa un software
LE FONTI AWARDS 88
Un anno da record
MONDO NUOVO
Incertezza Trumpiana Joseph Stiglitz
Premio Nobel per l’economia nel 2001, insegna alla Columbia University, il suo ultimo libro s’intitola «The Euro: how a common currency threatens the future of Europe»
O
gni gennaio, cerco di formulare una previsione per l’anno appena iniziato. Fare previsioni economiche è notoriamente difficile; ma, malgrado la verità espressa nella richiesta di Harry Truman di economisti con un «braccio solo» (i quali non sarebbero in grado di dire «on the other hand», d’altra parte), i miei risultati sono stati credibili. Negli ultimi anni ho correttamente previsto che, in assenza di forti incentivi fiscali (non imminenti né in Europa né negli Stati Uniti), la ripresa dalla Grande Recessione del 2008 sarebbe stata lenta. Nel formulare queste previsioni, mi sono basato più su analisi delle forze economiche strutturali che su modelli econometrici complessi. Per esempio, all’inizio del 2016, sembrava chiaro che le carenze della domanda aggregata globale, manifestatesi negli ultimi anni, non potessero cambiare drasticamente. Così, ho pensato che i previsori di una ripresa più decisa guardavano il mondo attraverso occhiali rosa. Gli sviluppi economici si sono poi dispiegati così come da me anticipato. Non è andata allo stesso modo per gli eventi politici del 2016. Avevo scritto per anni che se non si fossero affrontate le crescenti disuguaglianze ci sarebbero state conseguenze politiche. Ma le disuguaglianze hanno continuato a peggiorare, con dati impressionanti che dimostravano che l’aspettativa di vita media negli Stati Uniti era in diminuzione. Questi risultati sono stati prefigurati da uno studio dello scorso anno, condotto da Anne Case e Angus Deaton, che illustrava come l’aspettativa di vita fosse in declino per grandi segmenti della popolazione. tra cui i cosiddetti “uomini arrabbiati” americani della Rust Belt. Ma, con i redditi delle fasce inferiori della popolazione, il 90%, stagnanti per quasi un terzo di secolo (e in calo per una sua parte significativa), i dati sanitari hanno semplicemente confermato che le cose non stavano andando bene per aree molto vaste degli Usa. Ma, seppure apparisse chiaro che ci sarebbero state delle conseguenze politiche, la forma e la tempistica di esse erano molto meno evidenti. Perché negli Stati Uniti il contraccolpo è arrivato proprio quando l’economia sembrava essere in fase di ripresa, anziché in precedenza? E perché si è manifestato con un sbandamento a destra? Dopo tutto, sono stati i repubblicani ad avere bloccato l’assistenza per chi perde il lavoro a causa della globalizzazione, da loro portata avanti con assiduità. Sono stati i repubblicani che, in 26 Stati, si sono rifiutati di consentire l’espansione del Medicaid, negando così l’assicurazione sanitaria ai ceti più bassi. E perché il
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vincitore è stato qualcuno che ha costruito la propria vita approfittandosi degli altri, che ha ammesso apertamente di non pagare la sua giusta quota di tasse, e che ha fatto dell’evasione fiscale un punto di orgoglio? Donald Trump ha colto lo spirito del tempo: le cose non andavano bene, e molti elettori volevano il cambiamento. Ora l’avranno: niente sarà come prima. Trump sembra deciso a promuovere una guerra commerciale. Ma come risponderanno Cina e Messico? Può darsi che sia ben consapevole che quello che propone violerà le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio, ma potrebbe anche essere pensare che ci vorrà molto tempo prima che Wto si pronunci contro di lui. E per allora, la bilancia commerciale degli Usa potrebbe essersi riequilibrata. Ma sono in due a poter giocare quella partita: la Cina può intraprendere azioni simili, anche se la sua risposta rischia di essere più sottile. Se dovesse scoppiare una guerra commerciale, cosa accadrebbe? Trump potrebbe avere ragione a pensare di essere in grado di vincere; dopo tutto, la Cina è più dipendente dalle esportazioni verso gli Stati Uniti di quanto essi lo siano dalle esportazioni verso la Cina. Ma una guerra commerciale non è un gioco a somma zero. Anche gli Usa rischiano di perdere. Nessuno può sapere oggi chi possa sopportare meglio le difficoltà. Saranno gli Stati Uniti, dove i cittadini comuni hanno già sofferto per tanto tempo, o la Cina, che, nonostante i tempi difficili, è riuscita a generare una crescita superiore al 6%? Più in generale, il programma di Trump e dei repubblicani, con tagli fiscali ancora più sbilanciati verso i ricchi rispetto a quanto implicherebbe la ricetta standard del partito repubblicano, si basa sull’idea di una prosperità con “effetto a cascata”, una continuazione della supply-side economic dell’epoca Reagan, che non ha mai realmente funzionato. Una retorica veemente, o deliranti tweet alle tre del mattino, possono placare la rabbia di quanti sono stati dimenticati dalla rivoluzione Reagan, almeno per un po’. Ma per quanto tempo? A Trump potrebbe piacere abrogare le leggi economiche ordinarie, mentre persegue la sua versione di economia “voodoo”. Ma non può. Tuttavia, mentre la più grande economia del mondo entra in acque politiche inesplorate, sarebbe sconsiderato per un semplice mortale tentare una previsione, diversa da quella di affermare l’ovvio: le acque saranno quasi certamente agitate, e molte navi esperte, se non la maggior parte, affonderanno lungo la strada.
SCENARI
L’EVOLUZIONE IN CORSO
Il mondo accelera la corsa Grande incertezza e pronostici sconcertanti. Il nuovo anno si apre con situazioni in ebollizione, equilibri instabili, regole e sistemi non più sostenibili. Ma anche con nuovi spazi da conquistare Mario Lombardo
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ornano a correre i treni. Non che si fossero fermati, ma prima non erano previsti investimenti tanto massicci in un settore che sembrava minacciato dal trasporto aereo e/o marittimo. Ora però la svolta viene dalla Cina, come nelle maggior parte delle recenti inversioni di tendenza,
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perché Yang Yudong, il viceministro dei trasporti, ha annunciato che entro il 2020 la Repubblica popolare investirà oltre 500 miliardi di dollari nella rete a alta velocità. Il piano è di collegare con la ferrovia almeno l’80% delle più grandi città cinesi passando dagli attuali 19mila km di strade ferrate a 30mila, con una spesa pubblica
che sosterrà la crescita del paese. Che la ferrovia sia al centro dell’attenzione cinese è documentato dall’Eurasian land bridge, che in oltre 10mila km collega Pechino con Amburgo sulle tratte della ferrovia transmongolica, ma soprattutto dalla linea Chengdu-Tilburg-Rotterdam, dove un lunghissimo convoglio in 15 giorni
importante centro di smistamento ferroviario cinese, per ora è di una volta la settimana ma entro la fine del 2017 sarà quintuplicata. Una volta arrivate a Rotterdam le merci cinesi raggiungono poi il Regno Unito, la Scandinavia e il Portogallo con i servizi di short sea shipping che il porto olandese mette a disposizione, contribuendo a creare l’immagine di un ritorno al passato per quanto riguarda i trasporti internazionali, perché si torna a privilegiare mezzi già utilizzati per secoli. E non è l’unica contraddizione dell’e-
futurologi, politologi o sociologi che siano, hanno sbagliato tre previsioni una dopo l’altra: l’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti; l’esito delle presidenziali in Austria; quello del referendum in Italia. A pensarci bene, c’era già stata un’avvisaglia sulla loro incapacità (temporanea, si spera) di interpretare i segnali che vengono dalla società: la certezza che in Gran Bretagna avrebbe vinto il remain, mentre poi sappiamo com’è andata. Ora, come autodifesa, sostengono ch’era impossibile immaginare che,
EUROPA SOTTO PRESSIONE Quest’anno si vota per eleggere il nuovo presidente in Francia, e rinnovare il Parlamento in Germania. E con i movimenti populisti e nazionalisti in crescita, le istituzioni europee iniziano a scricchiolare
percorre circa 8mila km attraversando tra l’altro il Kazakistan e toccando Mosca per trasportare in una sola volta almeno 80 container. Per i carichi pesanti il viaggio su rotaia è più rapido ed economico di quello marittimo (in nave non si impiegano meno di 28 giorni per arrivare dalla Cina in Europa) e la partenza da Chengdu, il più
conomia 4.0, se si considera che la ricchezza sembra tornare a concentrarsi sulle materie prime: lo zinco è aumentato del 60%; del 30% lo stagno; del 16% il rame, l’alluminio e il nickel. A sorpresa, nel 2016 il rialzo maggiore è toccato al carbone: il coke, varietà utilizzata dalle industrie siderurgiche è aumentato infatti del 300%. Nessuno, tra gli addetti ai lavori, aveva previsto che dopo quattro anni di crisi il mercato delle materie prime d’improvviso risalisse a queste vette, ma in quanto a capacità di interpretazione dei dati si potrebbe parlare di «mal comune, mezzo gaudio», come sostiene un detto popolare. Anche i
negli Stati Uniti, la rabbia degli esclusi alimentata dagli strepiti populisti di Trump potesse travolgere insieme Hillary Clinton e il partito democratico. Così come era impensabile che il timore di una politica antieuropea (e xenofoba) in Austria portasse alla vittoria il verde Alexander Van der Bellen in luogo di Norbert Hofer, il favorito della destra. O che l’ostilità verso l’uomo solo al comando in Italia spingesse alle urne una valanga di elettori convincendone poco meno del 60% a votare no alla riforma della Costituzione. Le novità, soprattutto in campo sociale, sono vissute come un rischio dalla classe media, già minacciata dalla
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riduzione del mercato del lavoro e dalla crescita delle disuguaglianze. La resistenza al cambiamento viene considerata come la più praticabile se non come l’unica forma di difesa contro il pericolo di essere travolti dalla modernizzazione, dai tempi che cambiano. Ed è così che nel mirino è finita anche l’élite economico-culturale, che provoca rabbia e invidia per il censo e il sapere di cui dispone, insieme con i politici che fanno e disfano come meglio credono, senza ascoltare richieste e tantomeno suggerimenti.
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Nel mirino di chi vota finisce l’élite economico-culturale, che provoca rabbia e invidia
L’Italia è un paese vecchio, ci dice l’Annuario Istat 2016, dove ogni 100 giovani ci sono 161,4 ultra 65enni (in Europa solo la Germania invecchia più in fretta); una famiglia su tre è composta da una sola persona e comunque il numero medio di componenti è di 2,4 (era di 2,7 nel 1994-1995); gli iscritNel frattempo l’economia e la fiti alle università sono in calo; il 55% nanza hanno continuato a mardelle famiglie ha difficoltà di accesso ciare per la loro strada, senza essere al pronto soccorso; solo il 3,7% degli condizionate dal voto o dalla politica. occupati va al lavoro in bici, il resto in Perché, insieme al fallimento degli auto. L’Italia deve recuperare l’evasioindovini e dei guru, questo è un fene fiscale, dice l’Agenzia per le entranomeno di cui bisogna tener conto: il te che ha come obiettivo per il 2017 cosiddetto mercato viaggia su binari quello di superare gli incassi record diversi da quelli dei partiti, parlamengià raggiunti negli ultimi due anni, ti, governi. Si temeva un tracollo delcirca 15 miliardi. Per ottenere questo la borsa londinese dopo la Brexit e di risultato, il fisco nel 2016 ha inviato Wall Street dopo la vittoria di Trump 549mila lettere ai contribuenti evidene non è successo, tanto che il finanzietemente in difetto. Nel 2017 le lettere re George Soros, che aveva puntato che dovrebbero convincere i “distratsul ribasso, ci ha rimesso 1 miliardo ti” a mettersi autonomamente in regola di dollari. Si diceva che l’esito del reaumenteranno del 15%, fino raggiunferendum italiano avrebbe influenzagere quota 630mila. L’Italia deve agto pesantemente le borse e la finanza giustare i conti pubblici, dice l’Ue, che non solo europee, ma così non è stato. chiede una manovra correttiva da 3,4 Dopo un calo immediamiliardi, vale a dire lo to, ma abbastanza con0,2% del Pil. Bisognerà tenuto, l’euro è tornato pagare, dopo aver fatto sui valori pre-referenfinta di niente per settidum. Le borse hanno mane, con la Commisavuto qualche sussulto sione europea pronta ad che non ha inciso più avviare una procedura di tanto anche se la più di infrazione a carico del ballerina, al solito, è nostro paese, a causa del stata Milano. Lo spread debito eccessivo e per il italiano dopo una iniziamancato rispetto delle le impennata è tornato a TRANSIZIONE regole al riguardo. Nelle una quota ragionevole, Il premier Paolo Gentiloni è previsioni di Bruxelles il alla guida di un esecutivo anche se restano in alta- che secondo molti deve solo deficit strutturale italialena le azioni bancarie. traghettare verso nuove elezioni no (l’indebitamento al
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netto delle spese una tantum) viaggerà intorno al 2,4% del Pil, due decimali sopra il tetto concordato a Bratislava. Ma adesso «il conto di Renzi», come viene chiamato in Europa, deve essere pagato e sta a Pierre Moscovici, responsabile degli Affari economici dell’Ue, e al ministro Piercarlo Padoan trovare una soluzione. Perché un lungo commissariamento della Ue sulle nostre politiche economiche è inaccettabile per Paolo Gentiloni, a capo di un governo che le opposizioni accusano di essere soltanto la fotocopia del precedente, al contrario di quanto avrebbero voluto ottenere con il voto referendario.
Non soltanto in Italia è in atto uno spostamento di attenzione politica e di voto di cui è difficile capire la matrice e soprattutto gli obiettivi. Basta guardare alla Francia dove per le presidenziali nelle primarie del centrodestra ha trionfato Francois Fillon travolgendo anche il favorito Alain Juppé dopo l’ex presidente Nicolas Sarkozy, e la cosa si è ripetuta anche nel centrosinistra dove è bastato che il primo ministro Manuel Vals si facesse avanti presentandosi come prossimo candidato per vederlo scavalcare Francois Holland nel favore popolare, tanto da costringere il presidente della repubblica a rinunciare a un secondo mandato. Tutti a casa dunque, costi quel che costi. Per la pubblica opinione la vecchia classe politica ha fallito e il voto popolare va agli outsider, anche se non si sa che faranno quando avranno in mano il bastone del comando. Nel mi-
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