WORLD EXCELLENCE FINANZA, ASSICURAZIONI E IMPRESE NELLA SFIDA GLOBALE
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12 MARZO 2017
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Internazionalizzazione, capacità di presidiare nuovi mercati e investimenti nell’innovazione. Elena Miroglio illustra le strategie seguite dal gruppo di famiglia per battere la concorrenza
OBIETTIVO UNA CRESCITA SOSTENIBILE
Elena Miroglio
ASSET MANAGEMENT www.lefonti.it
WORLD EXCELLENCE
12 MARZO 2017
IL VALORE DELL’EDUCAZIONE FINANZIARIA
Con l’arrivo della Mifid II e l’introduzione dei Pir si aprono nuovi scenari. E per società di gestione e consulenti sarà decisiva la diffusione di una cultura di investimento di lungo periodo
Davide Gatti
PORTAFOGLI
L’ottimismo della reflazione
Paul Niven
CAPITAL MARKET UNION
INVESTIMENTI
A che punto è l’integrazione
Nuove strategie del risparmio
Sandra Crowl
Viktor Nossek
Yves Ceelen
BANCHE
GRANDI MANOVRE Intesa Sanpaolo cerca l’aggregazione con Generali mentre Unicredit lancia un maxi aumento di capitale. Ecco come si stanno muovendo i due maggiori istituti di credito italiani per competere sul mercato allargato
AGROALIMENTARE
Un’industria troppo artigianale e individualista
Reflusso Difficoltà di digestione Acidità
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COMPRESSE
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Leggere attentamente le avvertenze e le istruzioni per l’uso Aut. Min. del 07/10/2016
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BUSTINE GRANULARI
ANCHE IN GRAVIDANZA E ALLATTAMENTO
EDITORIALE
Aumenta l’informazione ma cala la profondità di critica Angela Maria Scullica @AngelaScullica
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rima la Brexit poi la vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti hanno posto il mondo intero davanti al grande e vitale interrogativo della nostra epoca caratterizzata da una forte spinta verso la globalizzazione dei mercati. Si possono porre freni a questo vorticoso cammino, che alza la competizione e aumenta in modo esponenziale la selezione, mettendo muri, arginando flussi di popoli, proteggendo i confini nazionali come, sembra, vogliono gli americani? Oppure il progresso tecnologico sta procedendo così in fretta da creare di fatto un’immensa area di relazioni complesse fortemente interconnesse tra loro che travolge, in modo spontaneo e irreversibile, muri, argini, barriere e confini? Le tensioni di oggi intorno a questo interrogativo alimentano populismi, disfattismi, ansie che forniscono un terreno fertile per lo sviluppo di idee protezionistiche e di tentativi di restaurazione di un ordine che ha retto per anni in un mondo meno tecnologico di quello attuale. Se andiamo più a fondo, infatti, ad alimentare questa forte nostalgia del passato c’è la paura di un futuro di cui non si percepiscono i confini, che vede l’intelligenza artificiale connettersi e sostituirsi in molti aspetti a quella umana. Un mondo dove molte mansioni di oggi verranno sostituite da macchine sempre più perfette e intelligenti che saranno in grado di governare processi complessi in modo assolutamente autonomo. Robot che assomiglieranno sempre più agli uomini e uomini che incorporeranno sempre più tecnologia. Un’idea che spaventa tanti e che spalanca le porte su scenari di portata rivoluzionaria impensabili negli anni pre-crisi. L’umanità oggi si sta muovendo in questo magma in ebollizione e deve farlo con attenzione e lungimiranza senza lasciarsi coinvolgere da ansie, paure, sentimenti negativi e distruttivi. Come in tutte le fasi storiche di grandi trasformazio-
ni opporsi al cambiamento dovuto al progresso spesso si traduce in una scelta riduttiva e alla fine perdente. La storia insegna infatti che nei passaggi epocali, come quello attuale, si presentano tante occasioni che una mentalità aperta, vigile, curiosa, intraprendente e lungimirante è in grado di vedere e cogliere in modo positivo e costruttivo. Ma insieme a queste doti, indispensabili per navigare con profitto nel mare magnum di questa società liquida (per cogliere la felice intuizione del filosofo Zygmunt Bauman), in un mondo in cui l’informazione è in sovrabbondanza, se ne aggiungono altre due: la conoscenza e la capacità (e voglia) di approfondire cause e motivi che portano Paesi e persone a prendere determinate decisioni, a fare certe dichiarazioni, ad avere atteggiamenti e via dicendo. Il paradosso dei nostri tempi infatti è proprio quello che più aumenta il flusso informativo, l’accesso in tempo reale a una molteplicità di fonti, il bombardamento di notizie ecc., più si diffondono superficialità e ignoranza. L’evolversi della tecnologia digitale ha permesso il rapido e veloce diffondersi di un quantitativo enorme di notizie che ancora non trova il tempo e le tecniche di analisi. Prova ne è il fenomeno sempre più dilagante delle notizie false e tendenziose che vengono diffuse in rete per ottenere certe reazioni e/o manipolare l’opinione altrui. Le voci si alzano per colpire l’interesse e l’immaginazione, i messaggi si studiano per diventare il più persuasivi possibili e per proporre facili soluzioni ai timori e alle ansie dilaganti, le tecniche si affinano per catturare l’attenzione del pubblico e portarlo dalla propria parte. Ed è per sottrarsi alla manipolazione dei tanti pifferai magici che utilizzano la rete per amplificare e diffondere la loro musica, che diventa assolutamente necessario incrementare la propria conoscenza e volontà di capire a fondo tutti gli aspetti di un mondo in profonda trasformazione.
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WORLD EXCELLENCE
DIRETTORE RESPONSABILE Angela Maria Scullica angela.scullica@lefonti.it REDAZIONE Federica Chiezzi (federica.chiezzi@lefonti.it), REDAZIONE GRAFICA Valentina Russotti
SCENARI 8
Salviamo la classe media
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Il lavoro nel futuro automatizzato
SEGRETERIA DI REDAZIONE segreteria@lefonti.it
PRIMO PIANO
COLLABORATORI Laura Colnaghi, Filippo Cucuccio, Sergio Cuti, Luigi Dell’ Olio, Mario Lombardo, Filippo Fattore, Piera Anna Franini, Chiara Osnago Gadda, Guido Sirtoli, Fabio Sgroi, Paolo Tomasini, Milenia Treccarichi, Lucio Torri, Gloria Valdonio, Donatella Zucca
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RESPONSABILE COMUNICAZIONE E RELAZIONI ESTERNE Claudia Chiari COORDINAMENTO INTERNAZIONALE ( New York, Dubai, Hong Kong, Londra, Singapore...) Alessia Liparoti alessia.liparoti@lefonti.it PROGETTI SPECIALI Alessia Rosa alessia.rosa@lefonti.it INNOVAZIONE E DIGITAL MARKETING Simona Vantaggiato simona.vantaggiato@lefonti.it REDAZIONE E STUDI TELEVISIVI Via Dante 4, 20121 Milano - tel. 02 8738.6306 Per comunicati stampa inviare a: press@lefonti.it EDITORE
CONCESSIONARIA PER LA PUBBLICITÀ Opq s.r.l. Via G.B. Pirelli, 30- 20141 Milano tel. 02 6699.2511 | info@opq.it | www.opq.it DISTRIBUZIONE PER L’ITALIA MePe - Distribuzione Editoriale Via Ettore Bugatti, 15 - 20142 Milano
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Un’industria troppo artigianale e individualista
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L’oro rosso di Conserve Italia
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Il rinascimento del Gallo Nero
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Quale futuro per l’hôtellerie
INTERNAZIONALIZZAZIONE 42
Mediterraneo in fiamme
FINANCE 48
Il doppio passo su titoli illiquidi e sofferenze
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Così Mustier ripulisce e rilancia UniCredit
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Messina apre la caccia al Leone di Trieste
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Quanto guadagna il private banker
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ASSICURAZIONI
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Puntare su una crescita sostenibile
L’EFFICIENZA PASSA PER ILTAGLIO DEI COSTI
MERCATI E IMPRESE
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LAVORO
Compagnie pronte a invertire la marcia
ASSET MANAGEMENT 74
Mercati finanziari: a che punto è il processo d’integrazione
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Le nuove tendenze del risparmio
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Il valore dell’educazione finanziaria
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L’ottimismo della reflazione
TECNOLOGIA 90
Anche l’agricoltura diventa smart
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Dall’Italia un ponte per l’Europa
RUBRICHE 6 21 55 67 70 71 98
Mondo Nuovo News Arte e Design Lifestyle Top Executive Carriere Trend
Risparmio. Conto
n’evo Più lo usi, più si sconta.
MONDO NUOVO
Il prezzo della Brexit sarà alto per il Regno Unito Daniel Gros
Direttore del Centro per gli studi politici europei di Bruxelles, ha lavorato per il Fondo monetario internazionale ed è stato consigliere economico della Commissione europea, del Parlamento europeo e del governo francese
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el contesto dei rapporti commerciali bilaterali, i profitti e le perdite sono distribuite in modo asimmetrico tra l’economia più grande e quella più piccola. Anche nei periodi migliori questo sarebbe un aspetto negativo per il Regno Unito che si appresta a negoziare dei nuovi accordi commerciali con l’Unione europea e altri stati. E non siamo di certo in uno dei periodi migliori. Secondo i principi di teoria economica, erigere nuove barriere commerciali sarebbe negativo per entrambe le parti. E tra due economie in fase di trattativa sarebbe la più grande a subire meno perdite. Nel caso di un dazio, per esempio, una riduzione della domanda da parte di un’economia più grande tenderà a far diminuire i prezzi dei prodotti che importa. L’economia più piccola invece non avrà un impatto sufficientemente importante sulla domanda e quindi tantomeno sui loro prezzi. Il vantaggio dell’economia più grande è persino maggiore in relazione alle barriere non tariffarie che spesso risultano dalle differenze nelle regolamentazioni e negli standard tra partner commerciali. Nella maggior parte dei casi, il paese più piccolo deve semplicemente accettare le regole del paese più grande. Alla luce di ciò, i sostenitori della Brexit sbagliano quando dicono che il Regno Unito, come importatore netto, sarà in una posizione forte nelle negoziazioni commerciali con l’Ue. Ciò che conta sono infatti le dimensioni relative e non i flussi commerciali netti. Diversi studi confermano questa teoria, affermando che il Regno Unito dovrà sostenere la quota maggiore dei costi legati alla Brexit. Se il Regno Unito e l’Ue dovessero concordare una nuova relazione commerciale basata sulla regolamentazione del Wto, secondo questi studi il Regno Unito perderebbe circa 110 miliardi euro, mentre l’Ue circa 50. Dato che l’economia dell’Ue è cinque volte più ampia di quella britannica, la perdita per il Regno Unito, in termini di Pil, sarebbe almeno dieci volte più consistente. Nel caso in cui non si dovesse raggiungere alcun accordo, emergerebbe comunque lo stesso squilibrio, solo che i costi a carico del Regno Unito sarebbero persino maggiori; una realtà che il premier Theresa May rifiuta di riconoscere quando sostiene che il Regno Unito sarebbe pronto a lasciare le trattative qualora non andassero nella direzione desiderata. Malgrado la retorica politica, un “brutto accordo” è in realtà
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la soluzione migliore per il Regno Unito rispetto a un accordo mancato. Ma le trattative con l’Ue rappresentano solo l’inizio. Il Regno Unito dovrà anche negoziare accordi commerciali con altri partner, tra cui gli Stati Uniti e la Cina. A prima vista, potrebbe sembrare che le negoziazioni con gli Usa non comportino alcuna preoccupazione. Dopotutto, il presidente Donald Trump ha affermato che il Regno Unito sarebbe il «primo della lista» per un accordo commerciale. Inoltre, ha lodato la Brexit e ha persino incoraggiato altri stati membri dell’Ue a seguirne l’esempio. Ma Trump si è anche impegnato a «mettere prima l’America» in tutti gli accordi e le azioni che porterà avanti, in particolar modo per quanto riguarda il commercio. Questo solleva dei dubbi sulla sua volontà di aprire i mercati statunitensi nei pochi settori nei quali il Regno Unito può ancora competere, come l’industria aerospaziale e quella automobilistica. Ma anche se lo dovesse fare non lo farà di certo gratuitamente. Quantomeno il Regno Unito dovrà conformarsi agli standard e alle normative statunitensi. I fautori della Brexit si aspettavano che l’uscita dall’Ue sarebbe avvenuta nel contesto di un sistema commerciale multilaterale regolamentato. Grazie alla presenza di quadri normativi come quello del Wto sembrava infatti che anche lo scenario peggiore per il Regno Unito non fosse poi così negativo e quindi che le conseguenze legate all’uscita dall’Ue fossero di scarsa rilevanza. Ma il mondo è cambiato in modo significativo da allora. L’ascesa di Trump al potere è stata alimentata dalle promesse di rovesciare le restrizioni dell’Wto (e di tutte le organizzazioni internazionali) e di prendere delle decisioni unilaterali sulla base degli interessi degli Stati Uniti. Anche le trattative commerciali con l’Ue sembrano essere troppo multilaterali per alcuni della schiera di Trump in quanto coinvolgono 27 paesi membri. Senza gli Stati Uniti, il sistema internazionale regolamentato sarebbe molto meno sicuro, soprattutto in quanto altri paesi potrebbero seguire l’esempio di Trump in tempi brevi optando per accordi bilaterali invece della cooperazione multilaterale. Con l’eventuale chiusura progressiva del sistema commerciale mondiale, tutti i paesi finirebbero per perderci ma non in modo equo. Gli Stati Uniti, la Cina e l’Ue (a condizione che sopravviva) riuscirebbero infatti ad avere risultati migliori rispetto a economie più piccole come il Regno Unito
SCENARI
EQUILIBRI IN TRASFORMAZIONE
SALVIAMO LA CLASSE MEDIA Mentre negli Usa prende forma il neo protezionismo di Trump, l’Argentina rischia il tracollo, l’Europa si prepara a elezioni problematiche e il presidente della Cina sembra l’ultimo fortemente convinto a sostenere la globalizzazione, il Forum economico mondiale di Davos lancia un appello a favore dell’innovazione sociale e per la redistribuzione della ricchezza Mario Lombardo
«R
estiamo in attesa di risposta», come si scriveva un tempo nelle lettere, ma abbiamo già capito che potrebbe anche non essere come ci si vorrebbe immaginare. E anche se ora le informazioni arrivano via etere o via cavo, soffriamo come allora l’ansia e l’impazienza che precedono le notizie incerte mentre facciamo i conti con un presente in
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cui continuiamo a chiederci che cosa potrebbe cambiare in Europa, con Francia, Germania, Italia che presto andranno al voto e la Gran Bretagna che uscirà dall’Ue. Intanto, nel Nord America irrompono sulla scena politica il neo presidente degli Stati Uniti Donald Trump e i suoi uomini, che dopo pochi mesi al potere hanno già creato sconcerto e proteste, e al Sud del continente le condizioni economico-politiche peggiorano di continuo,
tanto da far temere lo scoppio di rivolte e violenze . Le prime mosse di Trump sono servite a chiarire le cose. Prima ha cancellato parte di quanto deciso dalle precedenti amministrazioni, sia per quanto riguarda il welfare (Obamacare) sia a proposito dei trattati internazionali per il libero commercio (Tpp) e per l’ambiente. Il progetto «America first», punto forte del programma elettorale, ha iniziato a prendere cor-
po tra protezionismo commerciale e nazionalismo economico, e subito Wall Street ha segnato un record storico con l’indice Dow Jones a quota 20.000. Poi, visto che il governo del Messico rifiuta di sobbarcarsene il costo, sono arrivate ipotesi come quella di imporre un dazio ai prodotti messicani oppure tassare le rimesse dei chicanos per finanziare quel muro lungo 3mila km che dovrebbe impedire l’immigrazione clandestina.
A scatenare proteste violente, non to del Medio Oriente, con l’aperta solo negli States ma persino all’Osimpatia manifestata per Benjamin nu, sono stati però i provvedimenti Netanyhau e la politica espansioni(in realtà ordini esecutivi) contro la sta di Israele e la conseguente diflibera circolazione, riprovati anche fidenza verso gli arabo-palestinesi. da Wall Street e dalle banche. Perché Oppure in Turchia, dove Trump ha negare il visto di ingresso in base al interessi immobiliari; o in Arabia credo religioso o al paese di nascita Saudita, Egitto, India in cui ha amsembra troppo anche a chi sosteneva messo di fronte alla commissione che le minacce elettorali di Trump elettorale di svolgere attività econoerano solo retorica e ora si convinmiche con qualcuna delle sue cence che si tratta di politica. Ma non ci toundici (111) imprese estere. Una si poteva aspettare altro se si considera che il responsabile della strategia di Trump è Steve Bannon, membro del Consiglio per la sicurezza nazionale, fondatore del sito Breitbart, reazionario e razzista, già dirigente di Goldman Sachs FALCHI come un’altra mez- Steve Bannon, a destra, è il più fidato consigliere di Donald Trump. za dozzina dei con- È lui l’autore del duro discorso di inaugurazione del presidente americano e la mente dietro il bando anti islamico siglieri di un presidente che licenzia chi, come Sally Yates, responsabile gigantesca rete di affari internazioad interim della Giustizia, critica le nali da cui deriva un mastodontico sue decisioni, o nomina all’Istruzioconflitto di interessi. ne Betsy Davos, anche lei miliardaria, ex lobbista delle scuole private e Intanto, all’altro capo dell’Amerireligiose, vicina ai creazionisti. ca, l’Argentina sta attraversando una gravissima crisi economica da cui riIl cambiamento avvenuto alla schia di essere travolta. I poveri sono Casa Bianca sbalordisce. La diffe2 milioni in più dell’anno scorso, renza anche di immagine tra il nuol’inflazione è intorno al 40% e per vo e il precedente “uomo più potente le strade di Buenos Aires i cortei dei del mondo” è troppa per non risuldisoccupati si alternano con le manitare stupefacente. L’abito non fa il festazioni di protesta contro il govermonaco, sostiene un antico proverno del presidente Mauricio Macrì. bio, ma sembra che Trump e i suoi Il Pil continua a scendere, il ministro uomini vogliano smentirlo. Perché dell’Economia è stato severamente restano ormai pochi dubbi su come criticato e poi rimosso dell’incarico andranno le cose, per esempio dopo e il 10% della popolazione più ricche Bruxelles ha rifiutato Ted Malca possiede un reddito superiore di loch come ambasciatore Usa perché 25,6 volte a quello del 10% dei più è ostile all’Unione. O a proposipoveri. Tuttavia Morgan Stanley, che
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finanzia il governo Macrì e ne appoggia apertamente la politica liberista, addirittura prevede una ripresa e l’uscita dalla crisi entro cinque anni. Tra il Nord e il Sud dell’America non sono pochi i paesi in difficoltà. Tanto che a Panama (dove è scoppiato il caso dei Panama Papers sull’evasione offshore) lo scorso dicembre si è tenuta la 17ª edizione dell’International anti-corruption conference, aperta da un documentario sulla corruzione endemica in Guatemala. Ma la lista si allunga con il Brasile, stremato dagli scandali politico-finanziari, dalle spese per la recente Olimpiade e appunto dalla corruzione; oppure con il Venezuela, messo in ginocchio da un gigantesco debito pubblico e dal ribasso del prezzo del petrolio. In sintesi, e a voler essere ottimisti, solo due paesi sudamericani sembrano avere qualche prospettiva di miglioramento: il Cile e l’Uruguay. Per gli altri non sembra che il futuro immediato prometta grandi cose. Parlando di continenti, chi sta peggio tuttavia è l’Africa, dove anche paesi che hanno enormi risorse naturali, come la Nigeria che
CRY FOR ARGENTINA L’Argentina del presidente Mauricio Macrì sta attraversando una gravissima crisi economica da cui rischia di essere travolta
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è grande produttore di petrolio o la Repubblica democratica del Congo dove le ricchezze minerarie sono incalcolabili (dall’argento allo zinco, dal cobalto al rame e all’uranio), devono combattere da una parte contro il terrorismo feroce di Boko Haram e la povertà (in Nigeria), dall’altra contro lo sfruttamento delle multinazionali e la guerriglia dei gruppi ribelli nel Nord del paese (nell’ex Congo Kinshasa) con grandi sofferenze per la popolazione. Mentre le ultime proposte dell’Ue, pattugliare via mare le coste dell’Africa del nord e soprattutto quelle della Libia (dove ancora non si capisce chi governi) per impedire la partenza dei barconi di migranti, potrebbero anche aggravare la già tragica emergenza sociale che spinge diecine di migliaia di eritrei, etiopi, sudanesi e così via a cercare scampo in Europa. Al di là e al di fuori del parlamento europeo, dove tra l’altro è stato appena eletto alla presidenza l’italiano Antonio Tajani, ogni anno a metà gennaio centinaia di leader di diversi paesi convengono a Davos, nel cantone svizzero dei Grigioni, per trovare soluzioni almeno teoriche ai problemi economico-sociali. Quest’anno il tema del World economic forum era «Responsive and responsable leadership», ma come ha spiegato Jennifer Blanke, membro esecutivo del Wef, non si è discusso soltanto di classi dirigenti, anzi: «Il tema 2017 è un invito a rinnovare i sistemi che hanno sostenuto la cooperazione internazionale. È un appello a potenti, governanti, Ong, accademici e giornalisti a essere più responsabili. Non si può più ignorare l’ineguaglianza che sta cancellando la classe media. È un fenomeno cominciato 20 anni fa e che la quarta rivoluzione industriale sta accelerando».
REDISTRIBUZIONE Jennifer Blanke, membro esecutivo del Wef sottolinea che «l’ineguaglianza sta cancellando la classe media»
E a proposito della proliferazione dei robot nel mondo produttivo, in sostituzione del lavoro umano, Blanke ha poi sostenuto: «La tecnologia non è negativa: contribuisce alla riduzione della fatica dell’uomo e ad arricchire la società. Ma serve una ridistribuzione di questa ricchezza». Finendo poi per proporre, come soluzione, quella di puntare sull’innovazione sociale, legando a questo concetto quello di responsabilità. Perché, secondo Blanke, «il problema è diffondere consapevolezza sulla bontà del modello che rappresentiamo. La globalizzazione in sé non è negativa. Ha aiutato i paesi poveri a crescere, ad aumentare qualità e aspettative di vita. Anche il capitalismo ha permesso ai paesi di arricchirsi, creando infrastrutture, servizi, centri di ricerca. Ma bisogna trovare il modo di spiegarlo alla gente». L’argomento più dibattuto dai partecipanti al summit liberale di Davos è stato però la scomparsa della classe media. Vi si sono cimentati sia il nostro ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, sia il numero
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