N°24 | Mag- Giu 2018 |
WORLD EXCELLENCE Maggio - Giugno 2018
LA RIVISTA
N° 1DEI CEO
ISSN 2499-5282
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La rapida diffusione del fintech, le normative europee, l’evoluzione della domanda e i nuovi bisogni trasformano l’industria del risparmio. Ne parla Kunal Kapoor, numero uno di Morningstar
INVESTIRE SUI MERCATI FINANZIARI NUOVI TREND
La moda punta sulla sostenibilità ambientale TECNOLOGIA
La rivoluzione dei pagamenti in mobilità Kunal Kapoor
I PREMIATI DELL’EDIZIONE DI MARZO
EDITORIALE
La competizione tecnologica globale richiede sistema Angela Maria Scullica @AngelaScullica
I
n questi ultimi due anni colossi come Google, Amazon, Apple, Microsoft, Oracle, Alibaba, Baidu, hanno accelerato la ricerca e la sperimentazione sull’intelligenza artificiale. La posta in gioco è elevata. Chi riuscirà a conquistare una importante fetta di mercato sarà infatti il leader dei prossimi anni e potrà dettare le regole del gioco. La competizione sull’intelligenza artificiale si svolge su due piani: il primo, come abbiamo detto, riguarda le grosse corporation, il secondo, strettamente collegato al primo, mette in primo piano la rincorsa delle due potenze tecnologiche mondiali, America e Cina, con quest’ultima all’inseguimento della prima ma già posizionata molto bene per il rush finale. Da questo confronto serrato, che per molti versi potrebbe definirsi epico e che sta influenzando le scelte di geopolitica dei Paesi interessati, deriva in gran parte la forte accelerazione tecnologica di oggi. Una corsa che, con una velocità mai vista nel passato, ci proietterà in brevissimo tempo in un futuro nel quale la robotica e l’intelligenza artificiale ridisegneranno la vita, la società, il business, le relazioni, il pensiero e il comportamento dei popoli. Già oggi, rispetto a soli due anni fa, siamo diventati tutti più tecnologici, gran parte degli scambi commerciali avviene in rete, molti software, app, programmi ci aiutano nelle scelte, i social network ci condizionano nelle relazioni, internet rimodella i gusti, le mode e le tendenze e via di questo passo. Ma se l’evoluzione tecnologica ci mette davanti a nuovi e inesplorati orizzonti, e se la lotta per il predominio tecnologico tra gruppi e potenze accorcia i tempi del cambiamen-
to, occorre riflettere su alcune nostre fondamentali questioni. Innanzitutto sul ruolo culturale, politico ed economico dell’Europa che in questa lotta per la supremazia tecnologica arriva debole e divisa. Il Paese più lungimirante è stato senza dubbio la Germania che, più di tutti, ha creduto nella necessità di investire capitali in ricerca e sviluppo arrivando a coniare nel 2011 il termine di Industria 4.0; la Francia anch’essa si sta muovendo con stanziamenti importanti ma le autonomie nazionali dei Paesi dell’Unione europea che nel contesto globale hanno tutti dimensioni modeste, non aiuta quando i giochi diventano grandi e mondiali. Per poter competere con i giganti sarebbe quindi più opportuno fare protocolli di unità sulla ricerca e sullo sviluppo dell’intelligenza artificiale e fare rete a livello interstatale. Veniamo poi all’Italia, Paese che ha sempre minimizzato gli investimenti in formazione, ricerca e sviluppo ritenendoli una spesa non strategica. Qui da noi rimangono predominanti quotidianità, nostalgia del passato, scarso interesse per una conoscenza approfondita e per lo sviluppo di una coscienza critica. Ciò inevitabilmente rischia di relegarci in una posizione di basso livello nonostante le nostre riconosciute doti individuali di creatività, capacità e intuizione. Senza una visione strategica d’insieme, il nostro avvenire sembra oggi rimesso nelle mani di pochi imprenditori illuminati. E di tutti quei singoli, giovani e meno giovani, che con apertura mentale, attraverso le nuove tecnologie, si stanno rimettendo in gioco e reinventando un mestiere prevalentemente sulla spinta della mancanza di un lavoro tradizionale.
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DIRETTORE RESPONSABILE Angela Maria Scullica angela.scullica@lefonti.it REDAZIONE Federica Chiezzi (federica.chiezzi@lefonti.it), REDAZIONE GRAFICA Valentina Russotti
SCENARI
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Bcc, due holding in concorrenza
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Npl, le regole soft non convincono
SEGRETERIA DI REDAZIONE segreteria@lefonti.it COLLABORATORI Filippo Cucuccio, Vanessa D’Agostino, Luigi Dell’Olio, Filippo Fattore, Antonio Maria Ferrari, Piera Anna Franini, Laura Lamarra, Gianenrico Levaggi, Mario Lombardo, Paolo Tomasini, Gabriele Ventura, Donatella Zucca RESPONSABILE COMUNICAZIONE E RELAZIONI ESTERNE Claudia Chiari COORDINAMENTO INTERNAZIONALE ( New York, Dubai, Hong Kong, Londra, Singapore...) Alessia Liparoti alessia.liparoti@lefonti.it PROGETTI SPECIALI Alessia Rosa alessia.rosa@lefonti.it INNOVAZIONE E DIGITAL MARKETING Simona Vantaggiato simona.vantaggiato@lefonti.it REDAZIONE E STUDI TELEVISIVI Via Dante 4, 20121 Milano - tel. 02 8738.6306
Leader in crisi di popolarità
PRIMO PIANO 12
Investire sui mercati finanziari
L’innovazione interculturale per una marcia in più
EDITORE
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La finanza scommette sul biotech
Le Fonti S.r.l. Via Dante, 4, 20121, Milano
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Il business dei valori cresce con l’It
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L’industria della moda punta sulla sostenibilità
Per comunicati stampa inviare a: press@lefonti.it
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World Excellence Maggio - Giugno 2018
LA RIVOLUZIONE DEI PAGAMENTI IN MOBILITÀ
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La strategia della sicurezza
FINANCE 38
Un arbitro a tutela dei risparmiatori
CAMBIO INDIRIZZO Si prega di comunicarci entro il 20 del mese precedente il nuovo indirizzo via mail a: abbonamenti@lefonti.it
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MERCATI E IMPRESE 16
STAMPA Arti Grafiche Fiorin - AGFiorin
TECNOLOGIA
RUBRICHE 7 66
Mondo Nuovo Trend
MILANO 9 Marzo 2018
comitato scientifico le fonti (in ordine alfabetico)
II Edizione
con il Patrocinio di
27 GIUGNO 2018 Palazzo Mezzanotte
Nuove strategie di prodotti e servizi alla luce di MiFID II
MILANO
SHERE
16 ORE DI DIRETTA TV BUSINESS DIBATTITI
INTERVISTE
TRA I TEMI CHE TRATTEREMO: • L’impatto di MiFID II su distribuzione e consulenza finanziaria
• Investimenti sostenibili
SPEAKER
• Gestione attiva e gestione passiva:
IDEA
contrapposizione o complementarietà? • PIR un successo per imprese e risparmiatori italiani
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MONDO NUOVO
Cosa ferma la sinistra? Dani Rodrik Professore di Economia politica internazionale alla John F. Kennedy School of Government dell’Università di Harvard
P
erché i sistemi politici democratici non hanno reagito con sufficiente prontezza alle rimostranze che i populisti hanno usato con successo: disuguaglianze e preoccupazioni economiche, declino dello status sociale percepito, divario tra élite e cittadini comuni? Se i partiti politici, in particolare quelli del centrosinistra, avessero portato avanti un programma più coraggioso, forse si sarebbe potuta evitare l’ascesa di movimenti di destra e xenofobi. In linea di principio, una maggiore disuguaglianza determina la richiesta di una maggiore ridistribuzione. I politici democratici dovrebbero rispondere con un’imposizione fiscale più alta sui ricchi, destinandone i proventi ai meno abbienti. Questa intuizione è formalizzata in un noto documento di economia politica di Allan Meltzer e Scott Richard: più ampio è il divario di reddito tra l’elettore medio e quello mediano, più alte sono le tasse e maggiore è la ridistribuzione. Eppure, in pratica, le democrazie si sono mosse nella direzione opposta. La progressività delle imposte sul reddito è diminuita, si è incrementato il ricorso a imposte regressive sui consumi, e la tassazione dei capitali ha seguito una corsa globale al ribasso. Invece di incentivare gli investimenti infrastrutturali, i governi hanno perseguito politiche di austerità che sono particolarmente dannose per i lavoratori a bassa specializzazione. Sono state salvate grandi banche e imprese, ma non le famiglie. Negli Stati Uniti, il salario minimo non è stato adeguato a sufficienza, permettendo la sua erosione in termini reali. Parte della ragione di ciò, almeno negli Stati Uniti, è che l’abbraccio del partito democratico alla politica delle identità e ad altre cause liberali dal punto di vista sociale è avvenuto a scapito di questioni pratiche come reddito e lavoro. Come scrive Robert Kuttner in un nuovo libro, l’unica cosa che mancava alla piattaforma di Hillary Clinton durante le elezioni presidenziali del 2016 erano le classi sociali. Una spiegazione è che i democratici (e i partiti di centro-sinistra dell’Europa occidentale) si sono legati troppo a grande finanza e grandi imprese. Kuttner descrive come i leader del partito democratico abbiano deciso esplicitamente di aprire un dialogo con il settore finanziario dopo le vittorie elettorali del presidente Ronald Reagan negli anni Ottanta. Le grandi banche sono diventate particolarmente influenti non solo attraverso il loro peso finanziario, ma anche mediante il controllo di posizioni politiche chiave all’interno di amministrazioni democratiche. Le politiche economiche degli anni Novanta avrebbero potuto prendere una strada diversa se Bill Clinton avesse ascoltato di più il suo segretario del lavoro, Robert Reich, un avvocato politico progressista, e meno il suo segretario al Tesoro, Robert Rubin, ex dirigente di Goldman Sachs. Ma gli interessi costituiti spiegano solo fino a un certo punto il fallimento della sinistra. Le idee hanno svolto un ruolo almeno
altrettanto importante. Dopo che negli anni Settanta gli shock dal lato dell’offerta avevano dissolto il consenso keynesiano dell’era postbellica, e la tassazione progressiva e lo stato sociale europeo erano andati fuori moda, il vuoto venne riempito dal fondamentalismo di mercato (chiamato anche neoliberalismo) del tipo sostenuto da Reagan e Margaret Thatcher. Invece di sviluppare un’alternativa credibile, i politici del centro-sinistra hanno accettato totalmente le nuove tendenze. I Nuovi democratici di Clinton e il New labour di Tony Blair hanno agito da “cheerleader” della globalizzazione. I socialisti francesi sono diventati inspiegabilmente sostenitori della liberazione dei controlli sui movimenti di capitali internazionali. La loro unica differenza rispetto alla destra erano il “dolcificante” che promettevano sotto forma di maggiori spese per programmi sociali e istruzione. L’economista francese Thomas Piketty ha recentemente documentato un’interessante trasformazione nella base sociale dei partiti di sinistra. Fino alla fine degli anni Sessanta, i poveri generalmente votavano per partiti di sinistra, mentre i ricchi votavano per la destra. Da allora, i partiti di sinistra sono stati sempre più catturati dalle élite istruite, che Piketty chiama «sinistra dei bramini», per distinguerli dalla classe dei «mercanti» i cui membri votano ancora per i partiti di destra. Piketty sostiene che questa biforcazione delle élite ha isolato il sistema politico dalle istanze ridistributive. La sinistra bramina non è a favore della ridistribuzione, perché crede nella meritocrazia. Le idee su come funziona il mondo hanno avuto un ruolo anche tra chi non fa parte delle élite, smorzando la domanda di ridistribuzione. Contrariamente alle implicazioni della struttura Meltzer-Richard, l’elettore medio americano non sembra molto interessato all’incremento delle aliquote fiscali marginali o a maggiori trasferimenti sociali. Ciò che spiega questo apparente paradosso sono i bassissimi livelli di fiducia degli elettori nella capacità del governo di affrontare le disuguaglianze. Negli Stati Uniti, dagli anni ’60, la fiducia nel governo è generalmente diminuita, con alcuni alti e bassi. Vi sono tendenze analoghe anche in molti paesi europei, specialmente nell’Europa meridionale. Ciò suggerisce che i politici progressisti che prevedono un ruolo attivo del governo nel rimodellare le opportunità economiche devono affrontare una dura battaglia per conquistare l’elettorato. La paura di perdere quella battaglia può spiegare la timidezza nelle risposte della sinistra. Tuttavia, studi recenti ci dicono che le opinioni su ciò che il governo può e dovrebbe fare non sono immutabili. Sono soggette a persuasione, esperienze e cambiamenti delle circostanze. Ma una sinistra progressista capace di resistere a politiche xenofobe dovrà fornire una buona storia, oltre che buone politiche. Maggio - Giugno 2018 World Excellence
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SCENARI
INCONTRO
Donald Trump, a sinistra, ha accolto con tutti gli onori, il presidente francese Emmanuel Macron, a destra, in visita di stato negli Stati Uniti. Non così i media americani: il Washington Post lo ha definito «l’Obama francese che governa come Trump»
POLITICA GLOBALE
LEADER IN CRISI DI POPOLARITÀ Da Theresa May, sempre impantanata nella Brexit, a Emmanuel Macron, sceso al 40% dei consensi, fino a Donald Trump, che viaggia tra alti e bassi continui. Paradossalmente, riscuote consensi unananimi il dittatore nordcoreano Kim Jong-un Mario Lombardo
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nternational affairs are complicated, but internal are worst. La frase è stata attribuita a Abdel Fattah Al Sisi, riconfermato presidente egiziano, mentre a Sharm el Sheikh partecipava all’ultimo Business for Africa Forum dove si è discusso di strategie di sviluppo, investimenti e partnership internazionali. Difficile dargli torto e non soltanto perché lui stesso è nel mirino dell’opinione pubblica. L’aforisma trova molte conferme,
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anche se qualche volta viene smentito dai fatti. Vero che in Gran Bretagna Theresa May, la prime minister, è al minimo della popolarità, discussa dagli stessi parlamentari del suo partito. Criticano persino le sue accuse alla Russia, che avrebbe tentato di eliminare con un gas nervino (che i russi sostengono non sia mai stato prodotto da loro) un ex agente dei servizi di Putin rifugiato nel Regno Unito.
Nessuno ha dimostrato la colpevolezza dei russi, in compenso sono aumentati i britannici indifferenti alla nascita dell’ultimo royal baby e timorosi che May stia ipotecando il loro futuro, visto i previsti costi della Brexit. A proposito della quale la Camera dei Lord si è messa di traverso: con 348 voti contro 225 ha approvato la risoluzione di far restare lo United Kingdom nell’unione doganale europea, replicando il cosiddetto «modello Turchia». Una
sostanziale sconfitta per May anche se poi sulla questione saranno i Comuni, dove il governo ha un’esile maggioranza, a prendere la decisione finale. Mentre, nell’attesa, la capitale britannica cambia aspetto per avvicinarsi sempre più a quello di New York: sono infatti già iniziati i lavori per 115 nuovi grattacieli, o almeno edifici alti più di 20 piani, ed entro i prossimi 10 anni è previsto che il numero degli skyscraper salirà addirittura a 510. Anche in Francia il consenso per Emmanuel Macron è in fase calante. I sondaggi mostrano che il giovane presidente ha il 40% del favore popolare invece del 66% che gli ha permesso di insediarsi all’Eliseo perché, dicono, parla bene ma non mantiene le promesse, non dialoga con i corpi intermedi (i sindacati), ignora tutti gli appelli sull’immigrazione, governa senza partito e impone le sue riforme ignorando scioperi e proteste di studenti e ferrovieri. Anche i suoi rapporti con Angela Merkel si sono raffreddati dopo che a Strasburgo Macron ha parlato di una possibile guerra civile europea per colpa degli egoismi nazionali e indicato come priorità: «Via le quote sui migranti, sicurezza e difesa, sfida ai colossi web». In compenso quando è arrivato in visita di stato negli Stati Uniti, in aprile, Donald Trump lo ha accolto con grandi onori. All’arrivo a Washington baci e abbracci, 21 colpi i cannone, poi la Marsigliese, soldati in sfilata con gli abiti della Rivoluzione, il passaggio in rassegna delle truppe tra centinaia di bandiere, la cena di gala alla Casa Bianca. Ma i più grandi quotidiani americani non sono stati altrettanto amabili: il Washington Post ha scritto: «Arriva l’Obama francese che governa come Trump», mentre il New York
Times ha ricordato che Macron «è sfiduciato nei sondaggi e in difficoltà in Europa». La stampa democratica non ha creduto che il presidente francese potesse convincere Trump a cambiare idea sull’Iran, la Siria o Israele, tanto meno sul clima: non a caso infatti la discussione sugli accordi di Parigi, da cui Trump ha annunciato da tempo di voler uscire, è finita agli ultimi posti tra gli argomenti da affrontare. Nei colloqui franco-americani si è parlato poco dei dazi, che invece secondo il Fondo monetario internazionale rischiano di destabilizzare gli equilibri economici globali. Secondo i calcoli presentati nel World economic outlook del Fmi, un possibile aumento dei prezzi del 10% all’import comporterebbe in cinque anni la riduzione di Pil e consumi dell’1,76% e in dieci anni del 2%. Di conseguenza il Fondo che per quest’anno mantiene ferme al 3,9% le prospettive mondiali di crescita, le riduce al 3,7% nel 2023, con una ulteriore contrazione per i Paesi avanzati che passeranno dall’attuale 2,5% all’1,5%. Con la battaglia dei dazi, definiti come «restrizioni e ritorsioni», secondo l’Fmi nel breve termine anche i mercati finanziari saranno a rischio. Potrebbero infatti ricevere un contraccolpo per il fatto che «i prezzi degli asset possono rapidamente subire una correzione e fare scattare aggiustamenti di portafogli potenzialmente destabilizzanti». In Italia, «l’incertezza politica» seguita alle elezioni crea «rischi per l’implementazione delle risorse» come per il «riorientamento dell’agenda politica», secondo l'Fmi. Sono rischi che il nostro Paese condivide con Brasile, Colombia e Messico, ma per noi c’è anche il pericolo incombente del debito pubblico, che costituisce il principale fattore di de-
SCHIAFFO AL GOVERNO
La Camera dei Lord si è espressa contro il premier Theresa May e ha approvato una risoluzione per far restare il Regno Unito nell’unione doganale europea
stabilizzazione e per il quale si deve iniziare al più presto un «percorso discendente». Il Fondo avverte: «C’è il rischio che la politica monetaria restrittiva arrivi prima del previsto, con conseguenze negative per Paesi, società e famiglie fortemente indebitate», senza risparmiare neppure gli Stati Uniti che quest’anno sono vicini al 3% di Pil (0,2% più delle previsioni di gennaio) ma con una crescita molto rischiosa in quanto le politiche di stimolo eccessivo e di spesa pubblica varate da Trump, sarebbero inadatte a un’economia vicina al pieno impiego. Negli Usa il favore dei concittadini per The Donald va in altalena, alternando alti e bassi sul modello di quanto fatto da Wall Street negli ultimi tempi. Sale insieme al valore delle azioni quando Trump fa la voce grossa sul Medio Oriente o per la Siria, torna a parlare del muro con il Messico oppure di ridurre ancora le tasse, per le aziende. Scende per le rivelazioni di James Comey, ex direttore dell’Fbi licenziato da Trump e ora pronto a
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I NEDI COL A
-MI GL I ORI BANCHEEOPE RA T ORI DE L L AF I NANZ API ÙT E CNOL OGI CI GL I ORI I MPRE SEI T AL I ANE -MI -MI GL I ORI SCUOL EDI F ORMAZ I ONE A V OL EROT ONDECONI MAGGI ORI T E SPONE NT I DE LSE T T ORE