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IL BUSINESS LEGATO ALLA TERRA Vittorio Moretti
Vittorio Moretti illustra la strategia di capitalizzazione dei terreni agricoli che ha portato il Gruppo di famiglia a diventare una delle prime realtà vitivinicole italiane
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I PREMIATI DELL’EDIZIONE DI MAGGIO
Eccellenza dell’Anno
Leasing
Per la strategia intrapresa dalle società Fraer Leasing e SG Leasing, volta non solo a finanziare l’economia reale ma anche a migliorare la qualità delle proprie offerte attraverso l’innovazione di processo e di prodotto. L’attività leasing è stata svolta in maniera oculata, come confermano i risultati di bilancio.
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EDITORIALE
Lavoro: un decreto ancora troppo vicino al passato Angela Maria Scullica @AngelaScullica
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l decreto legge sul lavoro varato dal Consiglio dei Ministri, noto con il nome di Decreto Dignità, presenta una serie di aspetti controversi che molto probabilmente non gli permetteranno di raggiungere il risultato sperato. Ossia quello di aumentare l’occupazione sconfiggendo, o almeno, limitando il precariato e dando più stabilità agli impieghi. Intento sicuramente importante, da condividersi in pieno, ma da calare nella realtà attuale che è ben diversa da quella passata. Innanzitutto oggi, siamo in presenza di una forte trasformazione dei modelli di business, delle organizzazioni, dei rapporti di lavoro e via dicendo, dovuta al progresso tecnologico, che richiede grande flessibilità, velocità di movimento e di adattamento a contesti in rapida evoluzione, pena l’esclusione dal mercato, l’emarginazione e il fallimento. Il mondo è diventato infatti fortemente competitivo e le interconnessioni, i big data e le macchine sempre più intelligenti apriranno orizzonti completamente diversi da capire e affrontare senza eccessive rigidità, costi e vincoli. Ci stiamo in pratica rapidamente allontanando da un contesto in cui il lavoro sedentario, vincolato al posto, alle mansioni esplicate e all’anzianità, tipico del settore pubblico, sta entrando nella storia economica degli anni dell’industrializzazione, del quarto stato e del proletariato. E qui citiamo il primo aspetto anacronistico del decreto, l’utilizzo della parola Dignità intesa come stabilità e inamovibilità dal luogo di lavoro. L’esempio lampante è il settore pubblico, dove l’eccessiva protezione, fa sì che il merito non venga considerato, e che spesso si creino situazioni che poco hanno a che fare con la dignità del lavoro. Di contro il settore privato, fatto in Italia prevalentemente da piccole e medie imprese che devono potersi muovere in modo flessibile e meritocratico, non essendo nella maggior parte dei casi in grado di garantire quella durevolezza nel tempo agli impieghi, farebbe molta fatica a entrare in quella sfera di dignità richiesta dal decreto. Ma non è questa la sede per fare polemiche. Vediamo invece gli altri aspetti anacronistici. Per limitare il numero di contratti a termine, il Decreto Dignità prevede l’introduzione di mi-
sure che diano al datore di lavoro l’onere di dimostrare le cause che hanno condotto alla volontà di utilizzare questo strumento al posto di una diversa tipologia contrattuale. Prima del decreto proposto dall’attuale governo, il contratto a tempo determinato durava 36 mesi, al di là dei quali, per il rinnovo, occorreva spiegarne le ragioni, altrimenti il contratto si trasformava in tempo indeterminato. Ora per diventare causale, al contratto a termine bastano solo 24 mesi. Presumibilmente, l’azienda non si assumerà il rischio di specificare una causa sbagliata e quindi, dopo il primo anno, per evitare il passaggio a tempo indeterminato, il contratto in questione rischia di essere risolto e il dipendente di perdere il lavoro. Riguardo al tempo indeterminato il Jobs Act attualmente in vigore prevede il regime a tutele crescenti, in altre parole, più dura il contratto, più il dipendente ha il diritto a un’indennità. Se quest’ultimo venisse licenziato ingiustamente, oggi ha diritto ad avere da 4 a 24 mensilità. Con il nuovo decreto le mensilità aumentano da un minimo di 6 ad un massimo di 36. Per quale ragione dunque una società straniera, per esempio inglese o tedesca, dovrebbe investire in Italia ed assumere un dipendente quando rischia di pagare 36 mensilità, un importo nettamente maggiore a quello richiesto nei loro Paesi di provenienza? Ma anche le società italiane prima di assumere un dipendente sapendo che, per licenziarlo, rischiano di pagare 36 mensilità, ci penseranno diverse volte. Bastano solo questi aspetti sopra citati per capire quanto, in uno scenario nel quale i computer e le macchine sono destinate a sostituire sempre di più l’occupazione meno formata e qualificata, la visione di un mondo del lavoro inamovibile e garantista possa rivelarsi utopistica e penalizzante per tutti, non solo per i datori, ma anche per gli stessi dipendenti. Sarebbe quindi, a nostro avviso, più opportuna una maggiore conoscenza del profondo cambiamento in atto nella società anche con un continuo monitoraggio di quanto avviene intorno a noi. E una reale e concreta attenzione a come aumentare il valore aggiunto del lavoro attraverso iniziative formative nuove, qualificanti e continue nel tempo.
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N°25 | Lug- Ago 2018 |
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Vittorio Moretti
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L’industria del lusso si espande e assume nuove identità FINANZA
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I PREMIATI DELL’EDIZIONE DI MAGGIO
DIRETTORE RESPONSABILE Angela Maria Scullica angela.scullica@lefonti.it REDAZIONE Federica Chiezzi (federica.chiezzi@lefonti.it), REDAZIONE GRAFICA Valentina Russotti
SCENARI
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Frena la crescita del credito a consumo
COLLABORATORI Filippo Cucuccio, Vanessa D’Agostino, Filippo Fattore, Antonio Maria Ferrari, Piera Anna Franini, Gianenrico Levaggi, Mario Lombardo, Chiara Osnago Gadda, Paolo Tomasini, Donatella Zucca
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Nuove tutele per la cessione del quinto
RESPONSABILE COMUNICAZIONE E RELAZIONI ESTERNE Claudia Chiari
PRIMO PIANO
SEGRETERIA DI REDAZIONE segreteria@lefonti.it
COORDINAMENTO INTERNAZIONALE ( New York, Dubai, Hong Kong, Londra, Singapore...) Alessia Liparoti alessia.liparoti@lefonti.it
Dazi, nazionalismi e nuovi populismi
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Moretti, quando la terra batte il mattone
PROGETTI SPECIALI Alessia Rosa alessia.rosa@lefonti.it INNOVAZIONE E DIGITAL MARKETING Simona Vantaggiato simona.vantaggiato@lefonti.it REDAZIONE E STUDI TELEVISIVI Via Dante 4, 20121 Milano - tel. 02 8738.6306 Per comunicati stampa inviare a: press@lefonti.it EDITORE
CONCESSIONARIA PER LA PUBBLICITÀ Opq s.r.l. Via G.B. Pirelli, 30- 20141 Milano tel. 02 6699.2511 | info@opq.it | www.opq.it DISTRIBUZIONE PER L’ITALIA MePe - Distribuzione Editoriale Via Ettore Bugatti, 15 - 20142 Milano DISTRIBUZIONE ESTERO Johnsons International News Italia srl via valparaiso, 4 - 20144 milano SERVIZIO ABBONAMENTI Telefono 02 8738 6306 o inviare una mail a: abbonamenti@lefonti.it
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L’industria del lusso si espande e assume nuove identità
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Il gioiello diventa opera d’arte
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Il volto artistico della tecnologia
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NESSUNO È AL SICURO
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Cresce a Milano l’hub tecnologico
FINANCE 42
Con lo spread impazzito banche a rischio scalata
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MERCATI E IMPRESE
Le Fonti S.r.l. Via Dante, 4, 20121, Milano STAMPA Arti Grafiche Fiorin - AGFiorin
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RUBRICHE 6 66
Mondo Nuovo Trend
MILANO 31 Maggio 2018
comitato scientifico le fonti (in ordine alfabetico)
MONDO NUOVO
Anatomia del debito globale Howard Davies Primo presidente della United Kingdom’s Financial Services Authority (1997-2003), è presidente della Royal Bank of Scotland. È stato direttore della London School of Economics (2003-11) e vicegovernatore della Bank of England
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lla fine di maggio, il Fondo monetario internazionale ha lanciato la sua nuova banca dati sul debito globale. Per la prima volta, gli statistici del Fmi hanno compilato set completi di calcoli sul debito pubblico e privato, paese per paese, costruendo serie temporali che arrivano fino alla fine della seconda guerra mondiale. Il dato complessivo è impressionante. Il debito globale ha raggiunto un nuovo massimo pari al 225% del Pil mondiale, superando il precedente record del 213% del 2009. Quindi, non vi è stata alcuna riduzione della leva finanziaria a livello globale dopo la crisi finanziaria del 2007-2008. In alcuni paesi, la composizione del debito è cambiata, dal momento che nella recessione post-crisi il debito pubblico ha rimpiazzato il debito privato, ma oggi tale modificazione si è in gran parte fermata. Tali cifre elevate sono allarmanti? In termini aggregati, forse no. In un periodo in cui la crescita economica è solida quasi ovunque, i mercati finanziari sono tranquilli rispetto alla sostenibilità del debito. I tassi di interesse a lungo termine rimangono notevolmente bassi. Ma i numeri tendono a sostenere l’ipotesi che la cosiddetta intensità di indebitamento della crescita sia aumentata: sembra che rispetto al passato siano necessari livelli più elevati di debito per sostenere un dato tasso di crescita economica. Forse questo è in parte dovuto al fatto che l’aumento delle diseguaglianze di reddito e ricchezza dei paesi sviluppati ha distribuito il potere d’acquisto tra coloro che hanno una propensione alla spesa inferiore al proprio reddito. Sembra anche che la crescita della produttività abbia subito un rallentamento, quindi un dato volume di investimenti genera una produzione inferiore rispetto al passato. La raccomandazione del Fmi ai governi è quella di «riparare il tetto mentre splende il sole»: accumulare cioè surplus fiscale, o almeno ridurre i deficit, in periodi di congiuntura favorevole, in modo da essere più attrezzati nei confronti della prossima recessione, che sicuramente arriverà a breve. L’attuale ripresa appare abbastanza solida. Tutto questo mette il Fmi in rotta di collisione con l’amministrazione degli Stati Uniti che riduce le tasse, e adesso anche con il nuovo governo italiano. Se i grandiosi piani dell’Italia per un reddito minimo e più investimenti pubblici venissero attuati, il paese potrebbe presto trovarsi a sostenere discussioni spiacevoli con il Fondo. Ma quali sono le implicazioni se l’aumento del debito avviene principalmente nel settore privato? Si tratta di una questione che riguarda le autorità responsabili della stabilità finanziaria di tutti i paesi. A partire dalla crisi, sono stati introdotti nuovi requisiti patrimoniali molto più rigidi per le banche, ed è stato sviluppato un set di strumenti macroprudenziali per le autorità di regolamentazione. L’idea è che i regolatori dovrebbero essere in grado di attuare
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politiche anticicliche «controvento» rispetto a eccessive espansioni del credito, innalzando le quote di capitale di cui le banche sono tenute a dotarsi, con l’obiettivo di smorzare l’offerta di credito prima che raggiunga livelli pericolosi. L’aumento potrebbe essere imposto in modo generalizzato, ovvero focalizzato sul credito ipotecario, ad esempio, qualora l’incremento dei prezzi delle case risultasse rapido in modo preoccupante. Alternative diverse potrebbero essere l’imposizione di massimali per le garanzie a copertura dei prestiti, o di soglie minime per gli acconti da versare sugli acquisti di abitazioni. Sono state create nuove autorità per vigilare sull’uso adeguato di questi nuovi strumenti macroprudenziali. Il Comitato europeo per il rischio sistemico (Cers), presieduto dal presidente della Bce, opera all’interno dell’Unione, e il Financial policy committee (Fpc) della Banca d’Inghilterra ha giurisdizione nazionale nel Regno Unito. Negli Stati Uniti, il Financial stability oversight council (Fsoc) è l’organo di coordinamento. Ma ci sono importanti differenze tra loro. Il Fpc è in qualche modo il più potente dei tre. Può imporre buffer di capitali anticiclici alle banche del Regno Unito, e talvolta ha minacciato di farlo. Il Cers non può agire separatamente, ma controlla strettamente gli stati membri dell’Ue e dell’Associazione europea di libero scambio (Efta), e pubblica relazioni periodiche. La revisione più recente ha dimostrato che sono in vigore buffer addizionali in Svezia, Norvegia, Islanda, Repubblica Ceca e Slovacchia, in risposta alle particolari condizioni di credito di quei paesi. Nel frattempo la Francia si è unita alla lista. Nell’eurozona, naturalmente, la Bce è il supervisore, quindi Mario Draghi può indossare un «cappello diverso» e agire direttamente, se necessario, attraverso il proprio staff. La posizione degli Stati Uniti è meno chiara. L’Fsoc è un ente di coordinamento, non una agenzia di regolazione con poteri propri. Non ha autorità sui propri membri e non può imporre buffer anticiclici. I suoi tentativi di classificare le grandi assicurazioni statunitensi come imprese sistemiche a livello globale sono stati sventati dai tribunali. Presso la Federal Reserve c’è chi preferirebbe che così non fosse, riconoscendo che senza il supporto del Fsoc, che è presieduto dal segretario del Tesoro, per loro sarà difficile, se non impossibile, servirsi correttamente della cassetta degli attrezzi macroprudenziali. Dobbiamo quindi sperare che i requisiti di capitale stabiliti a Basilea dai vari regolatori bancari statunitensi siano adeguati. Finora, gli indici di bilancio non sono stati tagliati, anche se altre iniziative di deregolamentazione, proposte dagli incaricati di Trump nelle agenzie competenti, sono in corso. La politica macroprudenziale potrebbe funzionare come previsto in Slovacchia, ma è improbabile che venga in soccorso dove è più necessaria: nel più grande mercato finanziario del mondo.
SCENARI EQUILIBRI GLOBALI
DAZI, NAZIONALISMI E NUOVI POPULISMI Mentre l’Unione europea ricorre al Wto contro Stati Uniti e Cina per difendere «un commercio mondiale fondato sulle regole», la Turchia incorona il sultano Erdogan. E, nel mondo cresce il divario, demografico ed economico, tra le grandi città e i piccoli centri Mario Lombardo
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hi vivrà vedrà. È un proverbio banale, che si può citare in ogni occasione, persino a proposito di Bitcoin e altre criptovalute che per alcuni economisti eccellenti sarebbero solo un bluff, mentre in Wyoming si vorrebbe farne un sostegno per lo stato. Da una parte stanno Paul Krugman, Nobel per l’economia nel 2008, che dice: «Il Bitcoin è una bolla colossale che finirà in tragedia»; Robert Shiller, Nobel 2013, sostiene che le monete vrtuali sono soltanto «fallimentari esperimenti valutari»; Nouriel Roubini, primo a prevedere la crisi finanziaria del 2008, le definisce «una gigantesca bolla speculativa». Dal lato opposto c’è Adena Friedman, dal 2017 ceo del Nasdaq, per la quale «le criptovalute sono un
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D’altra parte, se è vero che il ministero della Giustizia di Washington ha aperto un’inchiesta penale per possibili manipolazioni sul prezzo dei Bitcoin; che la Cina ha vietato gli scambi in seguito alla conseguente flessione delle quotazioni delle monete digitali; che Filippine e Giappone hanno varato provvedimenti per regolamentarne gli scambi, è altrettanto vero che la capitalizzazione delle prime cento tra le criptovalute mondiali ha superato il tetto dei 320 miliardi di dollari. In testa Bitcoin, con 125 miliardi di dollari; seguono Ethereum con 56 miliardi; Ripple con 23; Bitcoin cash con 23; più lontana Eos, con 9 miliardi. Un boom impressionante, che ha anche attirato l’attenzione (e gli investimenti) di Goldman Sachs.
Le sanzioni minacciate da Donald Trump non rispettano le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio
mercato legittimo, anzi sono un nuovo trend di mercato». Ne è convinto anche Matt Mead, governatore dello stato meno popolato d’America, con soli 600mila abitanti su un territorio grande quasi come l’Italia, il quale ha deciso di puntare proprio sul business delle monete digitali. A Cheyenne, capitale del Wyoming, sono state introdotte leggi che esentano le criptovalute dalle tasse di proprietà e dalla regolamentazione sui titoli statali e che favoriscono gli scambi tra moneta tradizionale e criptovaluta, con l’obiettivo di attirare le startup del settore. È una svolta importante, visto che fino a ieri l’economia del Wyoming si basava sull’allevamento del bestiame, sulle risorse minerarie e sul turismo attratto dai parchi di Yellowstone e Gran Teton.
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Intanto l’economia reale vive forti fibrillazioni. Per tener fede agli impegni elettorali Donald Trump ha varato i dazi su acciaio e alluminio: i primi provvedimenti a difesa dei prodotti americani, perché altri dovrebbero aggiungersene, tra la costernazione mondiale e le proteste di tutti quelli che, prima, erano considerati partner commerciali. In Giappone il ministro dell’Economia, Hiroshige Seko, ha sostenuto: «Le tariffe doganali americane sulle importazioni di automobili potrebbero infliggere un duro colpo al commercio mondiale e potrebbero portare alla scomparsa del sistema commerciale multilaterale basato sulle regole della Wto», l’Organizzazione mondiale del commercio. In Italia la Coldiretti ha
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commentato che: «La decisione di Trump sui dazi scatena una guerra commerciale che mette a rischio 40,5 miliardi di esportazioni made in Italy negli Usa con gli autoveicoli e il cibo che rappresentano le principali voci. Si apre uno scontro duro e preoccupante». Mentre per la cancelliera Angela Merkel: «Le sanzioni minacciate da Donald Trump non rispettano le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio». E nel frattempo la Cina ha già varato misure analoghe ai dazi di Trump contro una serie di prodotti americani. L’Unione europea ha presentato ricorso al Wto contro gli Stati Uniti e la Cina per difendere «il sistema multilaterale per un commercio mondiale fondato sulle regole», e Cecilia Malmström, commissaria Ue per il Commercio sostiene: «La nostra scelta mostra solo che noi difendiamo il sistema multilaterale fondato sulle regole, e siamo determinati ad affrontare le cause di fondo delle tensioni
attuali». Così di fronte ai dazi americani sono state varate «misure di equilibrio» per 2,8 miliardi di euro, mentre contro la Cina si ricorre perché: «Non possiamo permettere a nessun paese di obbligare le nostre imprese a cedere il loro sapere», spiega ancora Mamstroem di fronte all’obbligo di cedere la proprietà intellettuale o l’uso dei diritti sulla loro tecnologia che il governo cinese impone alle imprese straniere che operano nel paese. Non c’è solo il commercio a preoccupare. Per restare in Cina, l’ultimo problema sul tappeto riguarda il celibato, perché ci sono 33 milioni di uomini in più delle donne, con grandi difficoltà da sormontare per trovare l’anima gemella. La colpa dello squilibrio maschi/femmine deriva da un lato dalla politica del figlio unico imposta anni fa dal governo centrale, dall’altro dalla pratica degli aborti selettivi. Per cercare di rimediare a giugno la Lega della gioventù comunista
FIGLIO UNICO In Cina ci sono 33 milioni di uomini in più delle donne. La colpa dello squilibrio maschi/femmine deriva da un lato dalla politica del figlio unico imposta anni fa dal governo centrale, dall’altro dalla pratica degli aborti selettivi
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CONTROTENDENZA Mentre il resto dell’Europa va a destra, la Spagna dà l’incarico di primo ministro al socialista Pedro Sànchez (in foto), dopo lo scandalo che ha travolto Mariano Rajoy
ha organizzato un appuntamento di massa per giovani single nella provincia di Zhejiang e la Federazione delle donne della provincia di Gansu (nel nord ovest) ha varato un evento analogo per «uomini e donne avanzati», vale a dire celibi e nubili di oltre 30 anni. Tornando più vicino all’Europa, in Asia Minore la Turchia soffre per il continuo apprezzamento del dollaro, che ha portato alla svalutazione della lira turca. Mentre il presidente Recep Tayyip Erdogan (che ha consolidato il suo potere trionfando alle ultime lezioni di giugno) continua a vantare un miracolo economico e a chiedere ai concittadini di convertire in lire la valuta estera, il suo paese che ha un forte indebitamento in dollari verso il Fmi, la World Bank, altre banche internazionali e governi esteri che hanno fatto prestiti, come conseguenza dell’altalena monetaria vede crescere del 40% le dimensioni del proprio debito. Così come succede anche per altri dei cosiddetti paesi emergenti, mentre al contrario per i paesi della zona euro che non sono indebitati in dollari il deprezzamento della moneta unica costituisce un vantaggio in quanto migliora le possibilità di
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